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Voltaire
Trattato sulla tolleranza
Trait sur la tolerance
l'occasion de la mort de Jean Calas (1763)
Indice
Prefazione di Giacomo Marramao
1. Breve storia della morte di Jean Calas
2. Conseguenze del supplizio di Jean Calas
3. Idea della Riforma del secolo decimosesto
4. Se la tolleranza pericolosa e presso quali popoli permessa
5. Come pu essere ammessa la tolleranza
6. Se l'intolleranza di diritto naturale o di diritto umano
7. Se l'intolleranza fu praticata dai greci
8. Se i romani sono stati tolleranti
9. Dei martiri
10. Del pericolo delle false leggende e delle persecuzioni
11. Abuso dell'intolleranza
12. Se l'intolleranza fu di diritto divino nel giudaismo e se fu sempre praticata
13. Estrema tolleranza degli ebrei
14. Se l'intolleranza stata insegnata da Ges Cristo
15. Testimonianze contro l'intolleranza
16. Dialogo tra un sano e un moribondo
17. Lettera scritta al gesuita Le Tellier da un beneficiario, il 6 maggio 1714
18. Soli casi in cui l'intolleranza di diritto umano
19. Racconto d'una disputa teologica in Cina
20. Se utile mantenere il popolo nella superstizione
21. Virt vale pi che scienza
22. Della tolleranza universale
23. Preghiera a Dio
24. Poscritto
25. Seguito e conclusione
Appendice
"Il diritto dell'intolleranza assurdo e barbaro: il diritto delle tigri; anzi
ben pi orrido, perch le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi
ci siamo sterminati per dei paragrafi."
Lo scritto di Voltaire sulla tolleranza - un gioiello di spirito e di saggezza
- senza dubbio tra le opere pi singolari del grande scrittore francese, ed
anche tra quelle che pi contribuirono, in Francia e in Europa, a procurargli
quella fama di combattente contro le ingiustizie e le infamie del fanatismo
clericale, che super anche quella di filosofo e letterato.
Prefazione di Giacomo Marramao
Ci saranno sempre dei barbari e dei bricconi che fomenteranno
l'intolleranza [...]. Noi siamo stati contagiati a tal punto da tale furia che,
nel corso dei nostri lunghi viaggi, l'abbiamo portata in Cina, nel Tonchino,
in Giappone. Abbiamo impestato quei bei climi. I pi indulgenti fra gli
uomini hanno imparato da noi a essere i pi inflessibili. Noi abbiamo detto
loro innanzitutto, come premio per la loro buona accoglienza: Sappiate che
noi siamo, sulla terra, gli unici ad aver ragione e che dappertutto dobbiamo
essere i padroni. Allora siamo stati scacciati per sempre; sono scorsi fiumi
di sangue; questa lezione avrebbe dovuto correggerci.
Voltaire, Questions sur l'Encyclopdie, 1772
A leggere il primo capitolo di questo fulmineo libretto, ci si trova subito
immersi in un'atmosfera da fiction criminale. Al centro della trama, uno
"strano affare di religione, di omicidio, di parricidio". Dove si tratta di
scoprire se i genitori avevano strangolato il proprio figlio. Se un fratello
aveva assassinato suo fratello. Se un amico aveva ucciso l'amico. Se i
giudici erano responsabili di aver fatto morire sulla ruota un padre
innocente. O viceversa di aver risparmiato una madre, un fratello e un
amico colpevoli.
Si d il caso, per, che gli eventi narrati non siano frutto di finzione ma
realmente accaduti. Come realissimo lo scenario del loro svolgimento: la
Tolosa cattolica dell'anno 1762. Dove lo stesso fanatismo popolare che due
secoli prima aveva sortito il massacro di quattromila eretici si scagliava
adesso contro il negoziante protestante Jean Calas, spingendo i giudici a
condannarlo a morte per l'assassinio di un figlio che aveva manifestato
l'intenzione di convertirsi al cattolicesimo. Ma quando, poco tempo dopo
l'esecuzione, si prov che il presunto omicidio era stato in realt un suicidio,
apparve in tutta la sua gravit la violenza del pregiudizio di cui era rimasto
vittima il vecchio commerciante calvinista. Il merito della riabilitazione di
Calas - ottenuta attraverso una dura e tenace lotta - va ascritto per l'appunto
al narratore dei fatti in questione: FranoisMarie Arouet, gi celebre a quel
tempo in tutta Europa con il nome di Voltaire (anagramma di Arouet le
Jeune). Fu cos che, appena conclusasi la campagna per la riabilitazione con
la vittoria del partito philosophique, il pi famoso dei philosophes decise di
assumere quell'episodio come caso esemplare dello "spirito di intolleranza".
Singolare ventura, quella dei classici: divenire universalmente noti,
restando tuttavia sconosciuti. Neppure un testo rapido, teso e lampeggiante
come il Trait sur la tolrance (1763) di Voltaire sembra essere sfuggito a
tale destino: almeno a giudicare dai malintesi incresciosi e dalle paurose
semplificazioni a cui l'idea di tolleranza ormai soggetta, non solo ad opera
dei suoi detrattori ma dei suoi stessi apologeti. Chiunque lo rilegga o vi si
accosti per la prima volta oggi - a tre secoli dalla nascita dell'autore e a
duecentotrentun anni dalla sua prima pubblicazione - s'imbatter con
stupore in motivi del tutto diversi da quelli immaginati o coniati ad arte da
certi attualissimi portaparola di un antilluminismo di maniera. Nulla del
suprematismo filooccidentale oggi in voga. Nulla dell'orgogliosa
contrapposizione di "noi" agli "altri". Nulla della presuntuosa
rivendicazione dei princip della "civile" Europa contro gli "incivili"
extraeuropei. L'atto d'accusa del philosophe tale da non lasciar margine ad
equivoci: siamo piuttosto noi, gli europei, ad aver seminato tempeste
trapiantando il seme dell'intolleranza nelle altre culture.
Colpisce in Voltaire la latitudine come la longitudine dello sguardo, la
vasta veduta comparativa come l'ampio arco diacronico in cui inserisce il
suo discorso: mai astrattamente moralistico o pedagogicamente tedioso, ma
sempre prodigo di esempi e affollato di casistiche ("alla maniera degli
inglesi", di cui egli era all'epoca uno dei pi sviscerati estimatori). Capiamo,
leggendolo, quanto abbiamo perduto, nel corso degli ultimi due secoli, con
la nostra idea, enfaticamente eurocentrica, d'Europa: con il nostro
narcisistico "riflettere" su apogeo e tramonto, zenit e nadir del Vecchio
Continente. Dalla miriade di argomenti e di spunti che fa da contrappunto
alla polemica volterriana spiccano - quali centri gravitazionali - due motivi
dominanti. Il richiamo costante agli "altri", innanzitutto: sublime tecnica del
distanziamento, dove il rimando a culture lontane (nello spazio o nel tempo)
funge da specchio ustorio da rivolgere contro noi stessi, per marcare a fuoco
le miserie della Civilt, per denunciare guasti e corruzioni della nostra
condizione presente. E, in secondo luogo, l'insistenza sulla "debolezza della
nostra ragione": isola in un oceano di conflitti, di tribolazioni e di mali che
nessuna teodicea, nessun provvidenzialismo storico, in grado di
"spiegare". Motivi tipici, com' noto, di quella riflessione matura di Voltaire
che ha inizio immediatamente dopo la rottura con Federico di Prussia e,
prendendo le mosse dalla "crisi dell'ottimismo" innescata dal terremoto di
Lisbona (il Pome sur le dsastre de Lisbonne appare nel 1756, seguito
nello stesso anno dal monumentale Essai sur les moeurs et l'esprit des
nations e tre anni dopo dal "guizzante" Candide), finir per situarsi in
precario equilibrio sul crinale dell'epoca: tra le illusioni riformatrici del
periodo precedente e gli esiti rivoluzionari della temperie successiva.
Vediamo, allora, di fissarne i tratti salienti, cos come balenano in rapporto
al tema della tolleranza.
La tolleranza si pone per Voltaire - non altrimenti che per i suoi due
grandi predecessori in materia, Locke e Bayle - in primo luogo come
problema religioso: poich religiose sono le radici ultime dell'intolleranza.
Sarebbe fatale, ancor prima che ingenuo, sorvolare su questo aspetto
riconducendolo "storicisticamente" alle particolari condizioni di un'epoca
ormai lontana, ignara delle conquiste evolutive dei nostri civilissimi sistemi
democratici. appena sufficiente dare uno sguardo all'attuale scena
mondiale, per accorgersi di quanto ingiustificato e fuori luogo sia
l'edificante ottimismo radicato in tale credenza. All'esigenza di ripensare le
origini del fenomeno dell'intolleranza, non malgrado ma proprio in ragione
del crollo dei Muri e dei Blocchi Ideologici che hanno fino a ieri diviso il
mondo, ci richiamano oggi aspramente sia i conflitti etnici che dilaniano le
regioni dell'Esteuropa, sia le sempre meno latenti tensioni interculturali che
attraversano le democrazie nordamericane. Di tutte le forme di intolleranza
- ha affermato qualche tempo fa un filosofo poco incline alle seduzioni
dell'ideologia come Alfred Ayer - l'intolleranza religiosa quella che ha
causato il maggior danno. Ma anche - ha aggiunto - quella pi difficile da
spiegare. E inspiegabile puntualmente risulta agli occhi dello stesso
Voltaire. O, almeno, del Voltaire in questione: non il Voltaire - per
intenderci - ancora ottimistico e in fondo provvidenzialistico di Zadig
(1748), ma il Voltaire di Candide (1759), il Voltaire del dopoterremoto,
dentro la cui curva pessimistica va oggi