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IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO Il 1° settembre 1995 è entrata in vigore (ad eccezione del titolo IV - efficacia di sentenze e atti stranieri - avvenuta il 31 dicembre 1996) la “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” - legge 31 maggio 1995, n. 218. La legge ha carattere onnicomprensivo, infatti l’art. 1 dispone: “La presente legge determina l'ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per l'individuazione del diritto applicabile e disciplina l'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri.” Questa legge abroga e sostituisce le norme in materia contenute nelle Preleggi, nel codice civile e di procedura civile 1 . A differenza del diritto internazionale pubblico, costituito dal complesso di norme che regolano i rapporti tra i soggetti internazionali (stati e organizzazioni internazionali), il diritto internazionale privato è l’insieme delle norme (processuali e sostanziali) che ciascuno stato si da per disciplinare situazioni e rapporti che presentano elementi di estraneità (o connotati di internazionalità o transnazionalità) rispetto all’ordinamento statale. Per due motivi il diritto di uno stato rinuncia ad occuparsi di casi che presentano connotati di internazionalità: per ragioni di costi e perché la giurisdizione è un elemento fondamentale della sovranità di uno stato e quindi non si vuole invadere la sfera della sovranità di un altro stato. Per Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888) il d.i.p. è al di sopra di quelle ordinarie, delle super norme, perché legate a quelle estere e per questo sono collocate nel diritto internazionale privato, come avviene in molti stati, mentre in altri sono collocate nel diritto privato comparato. Le norme destinate a guidare il giudice nella individuazione del diritto applicabile, che insieme ad alcune regole di funzionamento costituiscono il diritto internazionale privato, sono chiamate norme di scelta del diritto applicabile o norme di conflitto o anche di collisione e tutte nascono dalla necessità di regolare conflitti di leggi 2 tra due o più ordinamenti aventi lo stesso oggetto. Le idee di Mancini su un diritto internazionale privato, che ha come primo criterio di collegamento la cittadinanza, quando allora era prevalente il criterio del domicilio, sono state trasfuse nel codice civile del 1865, di cui Mancini fu relatore alla Camera. Con il nuovo codice civile del 1942 i due principi essenziali del d.i.p. restano gli stessi: la tendenziale neutralità e bilateralità delle norme di conflitto e il criterio di collegamento della cittadinanza. Detti principi sono entrati anche nella riforma del 1995, anche se con alcuni correttivi. Le diversità che si riscontrano sia tra le regole di diritto internazionale privato che tra quelle di diritto materiale in vigore nei vari stati, fanno si che l’esito di una controversia possa variare a seconda che a deciderla siano i giudici dell’uno piuttosto che dall’altro stato. Infatti l’espressione forum shopping allude al fenomeno della ricerca del tribunale potenzialmente più favorevole, cioè del giudice davanti a cui può essere conveniente promuovere o accettare il giudizio. Mentre l’art. 1 della legge 218 usa l’espressione diritto applicabile, nella maggior parte degli altri articoli viene usata l’espressione legge applicabile, ma è la prima formula la più corretta in quanto il diritto applicabile è l’ordinamento giuridico nel suo complesso e non la singola legge. La consapevolezza dell’utilità della cooperazione internazionale ai fini di disciplinare le varie fattispecie di diritto privato in maniera uniforme tra gli stati, ha indotto questi (a coppie o a gruppi) a dotarsi di regole comuni attraverso la stipulazione di un numero crescente di trattati internazionali. Queste sono regole di diritto speciale e, in quanto tale, prevalgono su quelle autonomamente poste dal legislatore nazionale con lo scopo di ridurre il rischio di forum shopping e sostituire una parte del diritto materiale di ciascuno stato contraente. Inoltre, vi sono anche trattati che pongono norme uniformi di diritto internazionale privato, sia processuale che materiale. A questo scopo vi sono enti internazionali che hanno la funzione di preparare la stipulazione di accordi fra gli stati, ad esempio la Conferenza dell’Aja sul diritto internazionale privato e l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (UNIDROIT) 1 In particolare sono: gli artt. 17-31 delle Preleggi, artt. 2505 e 2509 del codice civile e gli artt. 2, 3, 4, 37 e 796-805 del codice di procedura civile. 2 L’espressione conflitti di leggi è già presente nella convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e nel Trattato istitutivo della Comunità europea in relazione alla compatibilità delle regole applicabili negli stati membri ai conflitti di leggi.

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Diritto internazionale privato

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IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

Il 1° settembre 1995 è entrata in vigore (ad eccezione del titolo IV - efficacia di sentenze e atti stranieri - avvenuta il 31 dicembre 1996) la “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” - legge 31 maggio 1995, n. 218. La legge ha carattere onnicomprensivo, infatti l’art. 1 dispone: “La presente legge determina

l'ambito della giurisdizione italiana, pone i criteri per l'individuazione del diritto applicabile e

disciplina l'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri.” Questa legge abroga e sostituisce le norme in materia contenute nelle Preleggi, nel codice civile e di procedura civile1. A differenza del diritto internazionale pubblico, costituito dal complesso di norme che regolano i rapporti tra i soggetti internazionali (stati e organizzazioni internazionali), il diritto internazionale privato è l’insieme delle norme (processuali e sostanziali) che ciascuno stato si da per disciplinare situazioni e rapporti che presentano elementi di estraneità (o connotati di internazionalità o transnazionalità) rispetto all’ordinamento statale. Per due motivi il diritto di uno stato rinuncia ad occuparsi di casi che presentano connotati di internazionalità: per ragioni di costi e perché la giurisdizione è un elemento fondamentale della sovranità di uno stato e quindi non si vuole invadere la sfera della sovranità di un altro stato. Per Pasquale Stanislao Mancini (1817-1888) il d.i.p. è al di sopra di quelle ordinarie, delle super norme, perché legate a quelle estere e per questo sono collocate nel diritto internazionale privato, come avviene in molti stati, mentre in altri sono collocate nel diritto privato comparato. Le norme destinate a guidare il giudice nella individuazione del diritto applicabile, che insieme ad alcune regole di funzionamento costituiscono il diritto internazionale privato, sono chiamate norme di scelta del diritto applicabile o norme di conflitto o anche di collisione e tutte nascono dalla necessità di regolare conflitti di leggi2 tra due o più ordinamenti aventi lo stesso oggetto. Le idee di Mancini su un diritto internazionale privato, che ha come primo criterio di collegamento la cittadinanza, quando allora era prevalente il criterio del domicilio, sono state trasfuse nel codice civile del 1865, di cui Mancini fu relatore alla Camera. Con il nuovo codice civile del 1942 i due principi essenziali del d.i.p. restano gli stessi: la tendenziale neutralità e bilateralità delle norme di conflitto e il criterio di collegamento della cittadinanza. Detti principi sono entrati anche nella riforma del 1995, anche se con alcuni correttivi. Le diversità che si riscontrano sia tra le regole di diritto internazionale privato che tra quelle di diritto materiale in vigore nei vari stati, fanno si che l’esito di una controversia possa variare a seconda che a deciderla siano i giudici dell’uno piuttosto che dall’altro stato. Infatti l’espressione forum shopping allude al fenomeno della ricerca del tribunale potenzialmente più favorevole, cioè del giudice davanti a cui può essere conveniente promuovere o accettare il giudizio. Mentre l’art. 1 della legge 218 usa l’espressione diritto applicabile, nella maggior parte degli altri articoli viene usata l’espressione legge applicabile, ma è la prima formula la più corretta in quanto il diritto applicabile è l’ordinamento giuridico nel suo complesso e non la singola legge. La consapevolezza dell’utilità della cooperazione internazionale ai fini di disciplinare le varie fattispecie di diritto privato in maniera uniforme tra gli stati, ha indotto questi (a coppie o a gruppi) a dotarsi di regole comuni attraverso la stipulazione di un numero crescente di trattati internazionali. Queste sono regole di diritto speciale e, in quanto tale, prevalgono su quelle autonomamente poste dal legislatore nazionale con lo scopo di ridurre il rischio di forum shopping e sostituire una parte del diritto materiale di ciascuno stato contraente. Inoltre, vi sono anche trattati che pongono norme uniformi di diritto internazionale privato, sia processuale che materiale. A questo scopo vi sono enti internazionali che hanno la funzione di preparare la stipulazione di accordi fra gli stati, ad esempio la Conferenza dell’Aja sul diritto internazionale privato e l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (UNIDROIT) 1 In particolare sono: gli artt. 17-31 delle Preleggi, artt. 2505 e 2509 del codice civile e gli artt. 2, 3, 4, 37 e 796-805 del codice di procedura civile. 2 L’espressione conflitti di leggi è già presente nella convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e nel Trattato istitutivo della Comunità europea in relazione alla compatibilità delle regole

applicabili negli stati membri ai conflitti di leggi.

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che ha sede a Roma. Ma taluni enti sono investiti di competenze maggiori, ad esempio la Comunità europea, e mediante atti normativi adottati dai propri organi, possono provvedere a rendere uniformi talune regole del diritto materiale e del diritto internazionale privato degli stati membri. Lo strumento attraverso cui vengono adottate dette misure è il regolamento che, oltre ad essere direttamente applicabile negli ordinamenti nazionali (art. 249 del Trattato della CE), consente di uniformare completamente le normative dei vari stati (la direttiva infatti necessita di integrazioni che potrebbero essere diverse da stato a stato). In forza del principio della preminenza del diritto comunitario3, le norme di d.i.p. contenute nei regolamenti prevalgono sia su quelle poste dalle convenzioni internazionali, sia su quelle di d.i.p. nazionali e perfino sulle norme di applicazione necessaria, ne possono essere disapplicate per motivi di ordine pubblico. I primi provvedimenti legislativi adottati sulla base dell’allargamento delle materie (art. 65) del Trattato istitutivo della CE4 sono: � il regolamento del 29 maggio 2000 n. 1346/2000 sulle procedure di insolvenza; � il regolamento del 29 maggio 2000 n. 1347/2000 (c.d. Bruxelles II) in materia matrimoniale e

responsabilità genitoriale, sostituito dal regolamento (CE) n. 2201/2003 (c.d. Bruxelles II); � il regolamento del 29 maggio 2000 n. 1348/2000 sulla notificazione e la comunicazione negli

stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale; � il regolamento del 22 dicembre 2000 n. 44/2001 (c.d. Bruxelles I)5 concernente la competenza

giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Le caratteristiche fondamentali dei regolamenti sono: � Prevalgono sulla legge nazionale, pertanto il giudice prima di applicare la legge materiale deve

verificare se esiste una norma del regolamento comunitario e solo in caso contrario può applicare la norma nazionale.

� Le norme di conflitto contenute nel d.i.p. nazionale hanno il carattere della unilateralità della giurisdizione, perché il legislatore nazionale non può stabilire la competenza del giudice straniero. Invece i regolamenti hanno il carattere della plurilateralità della giurisdizione, cioè stabiliscono quando è competente il giudice di una nazione piuttosto che un’altra.

Ritornando alla legge 218, l’art. 2 – Convenzioni internazionali – detta due disposizioni di carattere generale: “1. Le disposizioni della presente legge non pregiudicano l'applicazione delle convenzioni

internazionali in vigore per l'Italia. 2. Nell'interpretazione di tali convenzioni si terrà conto del loro

carattere internazionale e dell'esigenza della loro applicazione uniforme.”6 Dalla disposizione in esame si evince che il giudice, prima di applicare la legge italiana, deve accertare se esistano regolamenti europei o convenzioni internazionali applicabili nel caso di specie, in quanto hanno la prevalenza7. Bisogna precisare che i trattati internazionali possono essere recepiti, con procedimento speciale, da un ordine di esecuzione che dispone il rinvio formale al trattato (cioè una legge ordinaria che dispone anche la data di entrata in vigore) o con procedimento ordinario, cioè con una legge che dispone il rinvio materiale al trattato che consiste nell’adattamento delle norme del trattato all’ordinamento.

3 Frutto di un consolidato orientamento giurisprudenziale (Corte di giustizia comunitaria e Corte costituzionale italiana). 4 Disposto dall’art. 73 M del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 che modifica il Trattato sull'Unione europea. 5 Ha sostituito la convenzione di Bruxelles il 27 settembre 1968 sulle stesse materie. 6 Riguardo alla prima disposizione troviamo un paragone nell’art. 53 della legge federale austriaca sul d.i.p. del 1978 “la presente legge federale non incide sulle disposizioni delle convenzioni internazionali” e nell’art. 12 della legge federale elvetica di d.i.p. del 1987 “Sono fatti salvi i trattati internazionali”. 7 Inoltre, la legge 218 richiama in ogni caso a 4 convenzioni per il diritto applicabile nelle controversie: l’art. 42 per la materia della protezione dei minori; l’art. 45 per le obbligazioni alimentari tra componenti di una stessa famiglia; l’art. 57 per le obbligazioni contrattuali; l’art. 59 per i titoli di credito. Queste convenzioni sono sostanzialmente norme materiali e non solo norme di funzionamento, in quanto regolamentano materie a cui la legge 218 fa espresso rinvio e, alcune volte, hanno anche disposizioni sulla giurisdizione.

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con la conseguenza che il procedimento ordinario costituisce l’occasio legis per cui non si ha una perfetta aderenza tra ordinamento interno e quello internazionale. L’ordine di esecuzione attribuisce un carattere speciale alle norme del trattato, anche in relazione al dettato dell’art. 11 della Costituzione italiana, escludendo che possano venire modificate da norme (salvo che si tratti di leggi di revoca dell’ordine di esecuzione) confermando in tal modo la loro prevalenza rispetto al diritto nazionale comune.

LA GIURISDIZIONE INTERNAZIONALE

Innanzitutto bisogna fissare due punti: la non universalità della legge italiana e la differenza tra le nozioni di giurisdizione e competenza. Sul primo punto i regolamenti Bruxelles I e II e la legge 218/95 partono dall’assunto che l’autorità giudiziaria può esercitare il proprio compito di ius dicere (pronunciare il diritto) solo in ordine a una serie di situazioni (non necessariamente litigiose: giurisdizione volontaria) che presentino un significativo attacco con il nostro ordinamento configurando un titolo di giurisdizione per il giudice italiano. La competenza dell’autorità giudiziaria italiana è determinata in ragione della materia e del territorio. Tradizionalmente la determinazione della competenza di ciascun giudice all’interno dello stato è dato dalla legge nazionale. In seguito, le convenzioni internazionali hanno provveduto a delimitare l’ambito della giurisdizione degli stati contraenti in ragione della maggiore o minore intensità dell’attacco alla questione da giudicare con l’ordinamento dell’uno o dell’altro stato. Oggi i regolamenti non si limitano ad individuare le rispettive sfere di giurisdizione degli stati contraenti, ma talvolta determinano anche il singolo giudice nazionale competente. I regolamenti comunitari utilizzano l’espressione competenza per individuare la nozione che nel linguaggio giuridico italiano si identifica con il termine giurisdizione8, ma in realtà il legislatore europeo considera il territorio comunitario uno spazio unico, come fa il legislatore nazionale per i propri giudici. L’attribuzione della giurisdizione comunitaria ha un carattere esclusivo9, come avviene per i giudici nazionali, mentre è una giurisdizione residuale quella nazionale che interviene solo se nessuno dei titoli di giurisdizione comunitari operi a favore di un determinato stato.

Regolamento comunitario 44/2001

Il regolamento Bruxelles I10, in vigore dal 1° marzo 2002, concerne la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale tra tutti gli stati membri11 e per questo (come il Bruxelles II) è definito doppio in quanto disciplina sia la giurisdizione che il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere. L’ambito di applicazione del regolamento ratione materiae riguarda sia la ripartizione della giurisdizione tra i giudici dei diversi stati comunitari e sia il reciproco riconoscimento ed esecuzione delle sentenze. Invece, sotto il profilo personale, ratione personae, in base agli articoli 2, 3 e 4, il regolamento si applica sempre e soltanto quando il convenuto è domiciliato in uno degli stati comunitari (foro generale), mentre è irrilevante la cittadinanza. L’art. 1.1 esclude dall’ambito di applicazione del regolamento la materia fiscale, doganale e amministrativa e, nella stessa materia civile e commerciale, l’art. 1.2 esclude anche lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale dei coniugi, i testamenti e le successioni; i fallimenti, concordati e procedure affini; la sicurezza sociale; l’arbitrato. Queste esclusioni valgono

8 Il titolo della versione italiana del 2000 parla di competenza giurisdizionale. Questa terminologia riflette quella francese (lingua nella quale era stata negoziata la convenzione di Bruxelles). 9 Infatti la rubrica dell’art. 6 del regolamento 2201/2003 riporta: “Carattere esclusivo della competenza giurisdizionale…”. 10 Regolamento 44/2001 del 22 dicembre 2000, pubblicato sulla G.U.C.E. n. L 12 del 16 gennaio 2001. Il suo allegato I (norme nazionali sulla competenza) e l’allegato II (elenco dei giudici e autorità competenti) sono stati modificati dal regolamento CE n. 1496/2002, pubblicato sulla G.U.C.E. n. L 225 del 22 agosto 2002, 13. 11 Sono 25: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia e dal 1° maggio 2004 si sono aggiunti Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Ungheria e Danimarca.

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solo se costituiscono l’oggetto principale della controversia, ma non quando queste materie sono sottoposte al giudice per via incidentale. La distinzione tra domiciliati e non domiciliati è essenziale. I domiciliati in territorio comunitario non possono invocare le norme sulla competenza giurisdizionale di d.i.p. dei singoli stati membri (norme nazionali), ad esempio per l’Italia la legge 218, ma è lo stesso regolamento 44/2001 a ripartire la competenza giurisdizionale tra gli stati comunitari. Il criterio generale per l’individuazione del giudice competente è quello del foro del domicilio del convenuto, ma sono previsti anche di fori alternativi. Viceversa, se il convenuto non è domiciliato nel territorio di uno Stato membro, la competenza è disciplinata dalle norme di d.i.p. di ciascuno Stato (competenza residua). La giurisdizione disciplinata dal regolamento è suddivisa in 5 fattispecie: � foro generale del domicilio (art. 2), � foro speciale, alternativo al domicilio, in 7 casi tassativi ed è una facoltà dell’attore (art. 5), � foro speciale o imperativo, alternativo al domicilio, ma è una facoltà dell’attore parte debole se

questi è un assicurato, consumatore o lavoratore (sezioni 3, 4 e 5), � foro esclusivo (art. 22) in 5 casi tassativi, tale attribuzione produce effetto anche qualora il

convenuto non sia domiciliato in territorio comunitario; � foro scelto dalle parti (art. 23), anche se il solo attore ha domicilio in territorio comunitario. Chiunque sia domiciliato nel territorio di un determinato Stato membro può, indipendentemente

dalla propria nazionalità ed al pari dei cittadini di questo Stato, addurre nei confronti di tale

convenuto le norme sulla competenza in vigore nello Stato medesimo, in particolare quelle indicate

nell'allegato I (art. 4.2). È un principio che vieta di discriminare chi è domiciliato in altri stati comunitari rispetto a chi è domiciliato nel proprio stato e riguarda le persone fisiche, giuridiche ed enti sprovvisti di personalità giuridica di carattere associativo e non. Ad esempio un italiano domiciliato in Italia potrà, nei confronti di un americano domiciliato in USA, agire nel Regno Unito invocando le disposizioni inglesi relative alla competenza basata su un atto di citazione notificato o comunicato al convenuto durante il suo soggiorno temporaneo a Londra. La determinazione del domicilio delle persone fisiche è demandata dal regolamento agli stati membri. Qualora una parte non sia domiciliata nello Stato membro il giudice adito, per stabilire se ha il domicilio in un altro Stato membro, applica la legge di quest'ultimo Stato. Quindi, per fare un’ipotesi estrema, una dopo l’altra le leggi di tutti gli stati membri. La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, nel caso di competenze speciali o fori speciali cioè fori alternativi a quello generale del domicilio che mirano a valorizzare la presenza di un collegamento stretto tra l’organo giurisdizionale e la controversia al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia. Ai sensi dell’art. 5 vi sono sette casi di fori speciali, in cui l’attore ha la facoltà scegliere, in alternativa al foro generale del convenuto (ratione personae), anche uno speciale in relazione alla materia trattata (ratione materiae). Ad esempio se viene adito il giudice italiano, avrà una doppia competenza: quella generale del domicilio del convenuto e quella speciale scelta dall’attore in relazione alla materia trattata. La ratio di questa norma è dovuta al fatto che si ritiene più specifico il giudice competente per materia (foro speciale) rispetto a quello del foro generale del domicilio. I sette casi di fori speciali sono: 1) a. in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio

è stata o deve essere eseguita;

b. ai fini dell'applicazione della presente disposizione e salvo diversa convenzione, il luogo di

esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio è:

- nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni

sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto,

- nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i

servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto;

c. la lettera a) si applica nei casi in cui non è applicabile la lettera b);

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Questa norma chiarisce qual è il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio a seconda se si tratta di beni o servizi e in questo senso differisce rispetto alla convezione di Bruxelles del 1968 che su questo punto non chiariva cosa dovesse intendersi per obbligazione eseguita. Per questi due tipi di contratti, e salvo diversa pattuizione dei contraenti, è competente il giudice del luogo di consegna dei beni o esecuzione della prestazione di servizi, ma sono necessari 2 requisiti: � la designazione del luogo di consegna dei beni oggetto della vendita o di esecuzione della

prestazione di servizi deve risultare dal contratto, � detto luogo deve trovarsi in territorio comunitario. Il giudice italiano, ad esempio, in deroga al foro generale del domicilio se adito in un altro foro dall’attore dovrà stabilire, utilizzando la convenzione di Roma del 1980, dal diritto di quale stato sia regolato il contratto e accertare poi, alla luce del diritto di tale stato, il luogo in cui deve ritenersi avvenuta, o avrebbe dovuto avvenire, la prestazione. Se questo luogo è in Italia il giudice italiano è competente, in caso contrario dovrà declinare la giurisdizione a favore del giudice di quello stato e se è in uno stato non comunitario, la giurisdizione è di quello stato. 2) in materia di obbligazioni alimentari, davanti al giudice del luogo in cui il creditore di alimenti

ha il domicilio o la residenza abituale o, qualora si tratti di una domanda accessoria ad

un'azione relativa allo stato delle persone, davanti al giudice competente a conoscere

quest'ultima secondo la legge nazionale, salvo che tale competenza si fondi unicamente sulla

cittadinanza di una delle parti;

Sono tutte previsioni ispirate all’esigenza di facilitare la parte che si presume più debole, cioè quella che vanta il credito alimentare alla quale è consentito agire, oltre che nel foro generale del debitore di alimenti, anche davanti al giudice del luogo in cui essa ha la propria residenza abituale. Se il credito alimentare è fatto valere come domanda accessoria ad un'azione relativa allo stato delle persone, è competente il giudice dell’azione principale a meno che la competenza è fondata solo sulla cittadinanza di una delle parti. Non rientrano in quest’ultimo caso i giudizi per divorzio, separazione personale e nullità del matrimonio. Il regolamento in materia matrimoniale dispone che la cittadinanza è rilevante solo se coincide con quella dell’altro coniuge o se egli è da almeno 6 mesi nello stato in cui agisce in giudizio, per cui in questi casi è competente il giudice dell’azione principale e non quello dell’azione accessoria (quella per gli alimenti). Questo anche per evitare decisioni contraddittorie: per esempio in una sentenza che afferma l’esistenza di un credito alimentare, mentre l’altra nega l’esistenza di un rapporto di filiazione che ne è il presupposto. 3) in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso

è avvenuto o può avvenire;

In caso di diffamazione a mezzo stampa in più stati membri, la Corte di giustizia12 europea ha affermato che la vittima può esperire nei confronti dell’editore un’azione di danni sia davanti ai giudici dello stato in cui è domiciliato l’editore e sia davanti ai giudici di tutti gli stati dove la pubblicazione è stata diffusa. Nel caso di vendita di merci difettose, il luogo in cui si verifica il danno è quello in cui le merci sono state vendute per cui è competente il giudice di quello stato e quindi l’acquirente potrà agire nei confronti del fabbricante e chiamare in garanzia anche il venditore in quello stesso foro. 4) qualora si tratti di un'azione di risarcimento di danni o di restituzione, nascente da reato,

davanti al giudice presso il quale è esercitata l'azione penale, sempre che secondo la propria

legge tale giudice possa conoscere dell'azione civile;

Per il nostro c.p.p. (artt. 74 e 76), l’azione civile per la restituzione ed il risarcimento del danno può essere esercitata dal danneggiato anche nel processo penale attraverso la costituzione di parte civile. Ai sensi dell’art. 61 del regolamento, salvo disposizioni nazionali più favorevoli, le persone domiciliate nel territorio di uno Stato membro alle quali venga contestata una violazione non dolosa

12 La Corte di giustizia C.E. è competente a pronunciarsi a titolo pregiudiziale sull’interpretazione dei regolamenti in forza dell’art. 234 (ex 177) del Trattato e con le modalità ivi indicate (mentre la competenza della Corte ad interpretare in via pregiudiziale la Convenzione di Bruxelles si fonda sul protocollo del Lussemburgo del 3 giugno 1971).

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davanti ai giudici penali di un altro Stato membro di cui non sono cittadini, anche se non compaiono personalmente possono farsi difendere da un avvocato. Tuttavia, il giudice adito può ordinare la comparizione personale; se la comparizione non ha luogo, la decisione emessa nell'azione civile senza che la persona in causa abbia avuto la possibilità di difendersi potrà non essere riconosciuta né eseguita negli altri Stati membri. Cioè si vuole salvaguardare il diritto di difesa nell’eventualità che la mancata comparizione dell’imputato-convenuto sia dovuta al timore di venire arrestato. 5) qualora si tratti di controversia concernente l'esercizio di una succursale, di un'agenzia o di

qualsiasi altra sede d'attività, davanti al giudice del luogo in cui essa è situata;

6) nella sua qualità di fondatore, trustee o beneficiario di un trustcostituito in applicazione di una

legge o per iscritto o con clausola orale confermata per iscritto, davanti ai giudici dello Stato

membro nel cui territorio il trust ha domicilio;

7) qualora si tratti di una controversia concernente il pagamento del corrispettivo per l'assistenza

o il salvataggio di un carico o un nolo, davanti al giudice nell'ambito della cui competenza il

carico o il nolo ad esso relativo:

a. è stato sequestrato a garanzia del pagamento o

b. avrebbe potuto essere sequestrato a tal fine ma è stata fornita una cauzione o un'altra

garanzia questa disposizione si applica solo qualora si faccia valere che il convenuto è

titolare di un diritto sul carico o sul nolo o aveva un tale diritto al momento dell'assistenza

o del salvataggio.

Oltre ai casi elencati dall’art. 5 sulla competenza speciale, vi sono tre categorie di contratti in cui il giudice ha una competenza imperativa: in materia di assicurazioni, consumatori e di lavoro. In questi tre casi, a differenza dei fori alternativi disposti dall’art. 5, l’attore può scegliere un foro diverso dal domicilio solo se coincide con quello della parte debole (assicurato, consumatore e lavoratore). Quindi, in caso di controversia tra un datore di lavoro domiciliato in Francia citato in giudizio dal suo lavoratore domiciliato in Italia, questi può adire sia il giudice francese (foro del convenuto) che quello italiano (foro del lavoratore). La ratio quindi è quella di dare un foro alternativo alla parte debole. Tra le poche differenze tra il regolamento 44/2001 e la convezione di Bruxelles del 1968 (convenzione giudiziaria) vi è quella che quest’ultima includeva i contratti di lavoro, dei consumatori e di assicurazione nelle obbligazioni contrattuali, mentre il regolamento le inserisce nelle competenze imperative. Ai sensi dell’art. 22, al fine di agevolare il buon funzionamento della giustizia, sono determinate 5 ipotesi di competenze esclusive per le quali è irrilevante che il convenuto sia domiciliato al di fuori o entro il territorio comunitario. In questi casi tassativi le parti non hanno alcuna facoltà di deroga (come avviene per le ipotesi dell’art. 23 e 24) e qualsiasi giudice operante in uno stato comunitario, che non sia quello individuato dall’art. 22, deve dichiarare d’ufficio la propria incompetenza (art. 25). Il regolamento dispone che a pronunciarsi in questi casi deve essere il giudice che, per il luogo in cui opera, è nella condizione di conoscere meglio la materia del contendere e che può dare una sentenza rapida rispetto alla domanda giudiziaria. Indipendentemente dal foro generale del domicilio, hanno competenza esclusiva (art. 22): 1) in materia di diritti reali sui beni immobili e relativi contratti d'affitto, i giudici dello Stato

membro in cui l'immobile è situato. Tuttavia in materia di contratti d'affitto di immobili ad uso privato temporaneo stipulati per un periodo massimo di sei mesi consecutivi (ad esempio le locazioni stagionali), hanno competenza anche i giudici dello Stato membro in cui il convenuto è domiciliato, purché l'affittuario sia una persona fisica e il proprietario e l'affittuario siano domiciliati nel medesimo Stato membro (ad esempio per un appartamento situato in Italia, locato per massimo 6 mesi, che ha il proprietario e l'affittuario che siano domiciliati in Germania, può essere competente il giudice tedesco);

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2) in materia di validità, nullità o scioglimento di società o persone giuridiche, con sede nel territorio di uno Stato membro, o riguardo alla validità delle decisioni dei loro organi, i giudici di detto Stato membro. Per determinare la sede il giudice applica le norme del proprio d.i.p.13;

3) in materia di validità delle trascrizioni ed iscrizioni nei pubblici registri, i giudici dello Stato membro nel cui territorio i registri sono tenuti;

4) in materia di registrazione o di validità di brevetti, marchi, disegni e modelli e di altri diritti analoghi per i quali è prescritto il deposito ovvero la registrazione, i giudici dello Stato membro nel cui territorio il deposito o la registrazione sono stati richiesti, sono stati effettuati o sono da considerarsi tali a norma di un atto normativo comunitario o di una convenzione internazionale;

5) in materia di esecuzione delle decisioni, i giudici dello Stato membro nel cui territorio ha luogo l'esecuzione.

Uno dei tratti caratteristici della disciplina della competenza è la facoltà delle parti di designare il foro. La scelta può essere espressa, formulata dal convenuto nell’atto con cui si costituisce in giudizio (art. 23), o tacita (art. 24) e in questo modo il giudice adito dalle parti ha il potere-dovere di decidere su controversie sulle quali normalmente non avrebbe competenza e in tal modo si ha una proroga della competenza del giudice. La scelta delle parti è tacita quando il convenuto compare e si difende davanti al giudice di fronte al quale è stato chiamato in giudizio senza preventivamente contestarne la competenza. Questo comportamento del convenuto è idoneo a sanare il difetto di giurisdizione del giudice adito. Le clausole attributive di competenza non sono valide se in contrasto con le disposizioni in materia di assicurazioni, di consumatori o di contratti individuali di lavoro o se derogano alle norme sulla competenza esclusiva attribuita ai giudici ai sensi dell'articolo 22. Spetta al diritto processuale nazionale del giudice adito (lex fori) la determinazione del momento entro il quale quest’ultimo può utilmente far valere il difetto di competenza. Per l’art. 23 qualora le parti, di cui almeno una domiciliata nel territorio di uno Stato membro, abbiano attribuito la competenza di un giudice o dei giudici di uno Stato membro a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, la competenza esclusiva spetta a questo giudice o a quelli di questo Stato membro14, salvo diverso accordo tra le parti. Il consenso delle parti in ordine alla identificazione del giudice può essere manifestato in maniera espressa e contestuale, mediante una c.d. clausola compromissoria o accordo di proroga della

competenza, oppure tacita. La designazione può avere luogo sia prima che dopo l’insorgere della controversia e può riguardare in via generale l’autorità giudiziaria di uno stato membro (per esempio il giudice italiano) o uno specifico giudice (il tribunale di Taranto). La forma scritta della clausola attributiva di competenza comprende qualsiasi comunicazione con mezzi elettronici che permetta una registrazione durevole. Quando nessuna delle parti che stipulano la clausola sulla proroga della competenza è domiciliata nel territorio di uno Stato membro, i giudici degli altri Stati membri non possono conoscere della controversia fintantoché il giudice o i giudici la cui competenza è stata convenuta non abbiano declinato la competenza (art. 23.3). Ad esempio, se le parti sono domiciliate in Italia, ma scelgono la competenza del giudice francese, il giudice italiano non può conoscere la controversia fintantoché il giudice francese non abbia declinato la competenza, anche se è scontato il giudizio in quanto le parti possono dare la competenza al giudice di uno stato membro solo se almeno una è domiciliata in quello stato.

13 Alla luce dell’art. 25 della legge 218 il giudice italiano potrebbe ritenere di avere competenza esclusiva in ordine alle controversie relative di una società con sede effettiva in Italia, ma con sede statutaria in altro stato membro i cui giudici, a loro volta, attraverso le norme del loro diritto internazionale privato, potrebbero ritenere di essere investiti di competenza esclusiva. Il conflitto può essere risolto dall’art. 29 del regolamento che prescrive al giudice successivamente adito di rimettere la causa a quello che per primo era stato investito della controversia. 14 L’art. 23 rende irrilevanti le corrispondenti norme locali, ad esempio il riferimento agli artt. 1341 e 1342 c.c. italiano.

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Inoltre, la Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, consente alle stesse parti contraenti di scegliere la legge regolatrice del contratto, anche se è diversa da quella dei contraenti, ma con il limite delle disposizioni imperative. Il giudice adito deve verificare d’ufficio la propria competenza e la possibilità di pronunciarsi sulla ricevibilità della domanda in due casi: • (art. 25) se la controversia di cui è stato investito rientri nella competenza esclusiva del giudice

di un altro stato membro alla luce dell’art. 22; • (art. 26) se la parte convenuta sia domiciliata in un altro stato comunitario e non sia contumace

e, in questo caso costituendosi potrebbe sanare il difetto di giurisdizione. Il giudice prima di dichiararsi privo di competenza giurisdizionale deve accertare, sospendendo nel frattempo il procedimento, che al convenuto sia stata effettivamente data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale in tempo utile per provvedere alla propria difesa ovvero che sia stato fatto tutto il possibile in tal senso. In pratica: � se il domicilio del convenuto è in uno stato membro diverso dell’Unione europea il giudice si

dovrà attenere all’art. 19 del regolamento n. 1348/2000 relativo alla notifica e comunicazione negli stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale;

� se è domiciliato in uno stato al di fuori dell’Unione europea applicherà l’art. 15 della convenzione dell’Aja del 15 novembre 1965 relativa alla notifica all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale.

Per la litispendenza, l’art. 27 dispone che qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d'ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza. Se la competenza del giudice precedentemente adito è stata accertata, il giudice successivamente adito dichiara la propria incompetenza a favore del primo. La Corte di giustizia ha più volte precisato che la disposizione relativa alla litispendenza mira ad evitare procedimenti paralleli e il contrasto di decisioni che potrebbe conseguirne15. Ai sensi dell’art. 29, qualora la competenza esclusiva a conoscere delle domande spetti a più giudici, quello successivamente adito deve rimettere la causa al giudice adito in precedenza. Invece, se a favore del giudice adito per primo gioca un titolo non esclusivo di giurisdizione, spetta a lui declinare la giurisdizione a favore del secondo dotato di competenza esclusiva. Le società o altre persone giuridiche sono domiciliate nel luogo in cui si trova: a) la sede statutaria, b) l’amministrazione centrale, c) il centro d'attività principale. Può accadere che per una singola controversia può esserci più di un foro generale, se la persona giuridica o società ha la sede statutaria in uno stato, l’amministrazione centrale in un altro e magari il centro d'attività principale in un altro ancora. Quindi l’attore potrebbe agire contemporaneamente nei tre stati, configurando situazioni di litispendenza da risolvere sulla base dell’art. 27: “Qualora

davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi

il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d'ufficio il

procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza.” Quindi viene adottato il criterio della priorità cronologica, per cui se il giudizio è iniziato prima in Francia e poi in Italia è competente il giudice francese, mentre il giudice italiano deve dichiarare d’ufficio la propria incompetenza. La norma sulla litispendenza comunitaria (art. 27) differisce da quella della legge italiana (art. 7) per tre motivi: 1. il regolamento regola la litispendenza solo tra gli stati membri, mentre la legge italiana tra tutti

gli altri stati;

15 Nel 2003 (causa C-116/02, Gasser) la Corte di giustizia ha affermato che il giudice adito per secondo deve sospendere il procedimento anche se la sua competenza si basa su un accordo di proroga intercorso tra le parti. In questa occasione la Corte ha sottolineato che non è possibile derogare alla disciplina comunitaria sulla litispendenza per l’eccessiva durata dei processi dinanzi alle autorità giudiziarie dello stato in cui ha sede il giudice preventivamente adito (nella fattispecie si trattava dell’Italia).

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2. per il regolamento la litispendenza è rilevata d’ufficio dal giudice, mentre per la legge italiana è chiesta dalla parte;

3. il regolamento impone al giudice successivamente adito di dichiarare la sua incompetenza a favore di quello adito precedentemente senza dare un giudizio prognostico, cioè senza verificare se quel giudizio ancora in itinere ha o meno la possibilità di essere riconosciuto dal giudice di quello stato, al contrario l’art. 7 della legge italiana dispone che solo se il giudice ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l'ordinamento italiano, sospende il giudizio.

Il regolamento (art. 30) definisce il momento in cui la causa si considera pendente (la convenzione di Bruxelles taceva al riguardo) stabilendo che un giudice deve considerarsi adito: 1) nel procedimento mediante ricorso quando la domanda giudiziale o un atto equivalente è

depositato presso il giudice, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure affinché fosse effettuata la notificazione o comunicazione al convenuto;

2) con atto di citazione se questo deve essere notificato o comunicato prima di essere depositato presso il giudice, quando l'autorità competente per la notificazione o comunicazione lo riceve, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure affinché l'atto fosse depositato presso il giudice.

Il problema della litispendenza può configurarsi anche con le persone fisiche, qualora più stati comunitari, in base al proprio diritto interno, le ritenessero domiciliate nel proprio territorio. Diversa dalla litispendenza, è la connessione dove le cause pendenti in due paesi non sono identiche, ma connesse. Ad esempio una controversia per la compravendita di un immobile, causa sia di un mancato pagamento che di una domanda ricovenzionale. La nozione di connessione è data dall’art. 6 e dall’ultimo comma dell’art. 28, per il quale “sono

connesse le cause aventi tra di loro un legame così stretto da rendere opportune una trattazione e

decisione uniche per evitare soluzioni tra di loro incompatibili ove le cause fossero trattate

separatamente”. Si ha quindi un’ipotesi che implica l’assunzione della competenza per territorio di un giudice che in principio non vi rientrerebbe. Al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia in talune ipotesi di connessione, oggettiva e soggettiva, rispetto al principio di vicinanza si deroga attraverso la previsione di fori facoltativi davanti ai quali il convenuto può venir chiamato in giudizio con un meccanismo che, qualora cause connesse siano già in corso davanti a giudici di stati membri diversi, uno di essi ceda il passo all’altro, in modo che un unico giudice tratti e decida entrambe le cause al fine di evitare decisioni contraddittorie. Per l’art. 6 vi sono 4 casi nelle quali una persona (fisica o giuridica) domiciliata in uno stato membro può essere convenuta in giudizio in un altro stato configurabile non come foro generale, ma speciale alternativo: 1) Connessione soggettiva. In caso di pluralità di convenuti, davanti al giudice del luogo in cui uno

qualsiasi di essi è domiciliato. 2) Connessione oggettiva. Qualora si tratti di chiamata in garanzia o altra chiamata di terzo,

davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, sempre che quest'ultima non sia stata proposta solo per distogliere colui che è stato chiamato in causa dal suo giudice naturale16.

3) Connessione oggettiva. Qualora si tratti di una domanda riconvenzionale nascente dal contratto o dal fatto su cui si fonda la domanda principale, davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale;

4) Connessione oggettiva. In materia contrattuale, qualora l'azione possa essere riunita con un'azione in materia di diritti reali immobiliari proposta contro il medesimo convenuto, davanti al giudice dello Stato membro in cui l'immobile è situato. In pratica è possibile, oltre che far

16 Per giudice naturale qui si intende sia quello indicato dall’art. 2.1 che quello alternativo indicato dell’art. 5, mentre il compito di accertare l’eventuale abuso dell’azione principale spetta al giudice nazionale.

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valere una garanzia reale sull’immobile, chiedere a questo giudice di condannare per inadempimento contrattuale il debitore domiciliato in altro stato membro.

A queste 4 ipotesi di connessione va aggiunta una 5^ dell’art. 7 che riguarda le azioni relative alla responsabilità nell’impiego o nell’esercizio di una nave. Se più cause connesse siano pendenti davanti a giudici di stati membri differenti, il giudice successivamente adito può sospendere il procedimento in attesa che si concluda quello iniziato per primo in un altro stato membro (art. 28.1). Quindi mentre per la litispendenza vi è l’obbligo per il giudice di accertare la competenza, per la connessione vi è una facoltà. “Se tali cause sono pendenti in primo grado, il giudice successivamente adito può inoltre

dichiarare la propria incompetenza su richiesta di una delle parti a condizione che il giudice

precedentemente adito sia competente a conoscere delle domande proposte e la sua legge consenta

la riunione dei procedimenti” (art. 28.2). I provvedimenti provvisori o cautelari sono volti alla conservazione di una situazione di fatto o di diritto per preservare diritti dei quali spetterà poi al giudice di merito accertare l’esistenza. Il giudice al quale il regolamento affida la competenza è altresì competente ad adottare quei provvedimenti che il suo diritto nazionale prevede affinché la sentenza abbia effettiva esecuzione. Ai sensi dell’art. 31, i provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti al giudice di detto Stato anche se, in forza del regolamento, la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro Stato membro, ma deve comunque esistere un effettivo nesso di collegamento fra l’oggetto del provvedimento richiesto e la competenza territoriale dello stato membro del giudice adito. Per quel che concerne il diritto italiano, l’art. 31 del regolamento rimette in gioco le previsioni dell’art. 10 della legge 218, secondo cui il giudice italiano ha giurisdizione per adottare un provvedimento di natura cautelare, oltre a quando ha giurisdizione sul merito della controversia, anche quando il provvedimento richiesto deve essere eseguito in Italia17.

Il regolamento comunitario sulle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità

genitoriale

Il primo trattato sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di potestà dei genitori sui figli comuni è la convenzione del 1998. Le differenze tra alcune norme nazionali sulla competenza giurisdizionale e il non facile riconoscimento delle sentenze ostacolano la libera circolazione delle persone e il buon funzionamento del mercato interno. Per queste ragioni, in luogo della convenzione del 1998, l’Unione europea emana il regolamento (CE) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000 (c.d. Bruxelles II), in vigore dal 1° marzo 2001, con il fine di uniformare le norme sui conflitti di competenza in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. Nel 2002 la Commissione europea presenta una proposta che integra in un sistema completo le norme del regolamento n. 1347/2000 con quelle contenute nella proposta della Commissione e nell’iniziativa francese sull’esecuzione reciproca delle decisioni in materia di diritto di visita18 ai figli minori. Sulla base di detta proposta, viene approvato il regolamento n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (Bruxelles II)19 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e responsabilità genitoriale che abroga il regolamento n. 1347/2000.

17 Vi è una particolare tipologia di provvedimenti cautelari di carattere inibitorio nota al sistema processuale inglese: le anti-suit injunctions (ingiunzioni di anti-abito). Mediante una ingiunzione di questo tipo, e a pena di contempt of the

court (disprezzo della corte), il giudice inglese può vietare ad un soggetto convenuto in un procedimento, di iniziare o di proseguire una causa in un altro stato. La Corte di giustizia che ha statuito nel senso della incompatibilità della norma inglese (sentenza 27 aprile 2004) con la fiducia reciproca tra gli stati comunitari. 18 Per il punto (10) del preambolo del regolamento 2201/2003, è il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo. 19 Si applica dal 1° marzo 2005, ad eccezione degli articoli 67, 68, 69 e 70 che si applicano dal 1° agosto 2004.

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I regolamenti n. 1347/2000 e n. 2201/2003 non vincolano la Danimarca che non ha partecipato alla loro formazione, come si evince dal paragrafo (31) del preambolo20. Il regolamento Bruxelles II si applica da una parte al divorzio, alla separazione personale e all’annullamento del matrimonio (come il regolamento 1347/2000), dall’altra all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale indipendentemente da qualsiasi nesso con un procedimento matrimoniale per garantire parità di condizioni a tutti i minori. Il regolamento 2201/2003, al pari del 1347/2000, oltre a dettare norme di giurisdizione, disciplina il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere in materia matrimoniale, considerando esclusivamente gli effetti sul vincolo matrimoniale, mentre sono esclusi quelli di natura patrimoniale e personale (ad esempio il diritto al nome). La disciplina in materia matrimoniale

Per il regolamento Bruxelles II, i titoli di giurisdizione per le domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio alternativamente operanti sono: la residenza abituale21 di uno o entrambi i coniugi, la cittadinanza22 comune, oppure, il «domicile23» comune. L’art. 7 - Competenza residua – dispone: qualora nessun giudice di uno stato membro sia competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5 del regolamento, la competenza è determinata dalla legge nazionale di ciascuno. Il cittadino comunitario che ha la residenza abituale nel territorio di un altro Stato membro può, al pari dei cittadini di quest'ultimo, invocare le norme sulla competenza contro un convenuto che non ha né la residenza abituale, né la cittadinanza di uno Stato membro o che, nel caso del Regno Unito e dell'Irlanda, non ha il proprio «domicile» nel territorio di uno di questi Stati. Data la materia di cui il regolamento si occupa, alla cittadinanza del convenuto viene attribuito un ruolo decisivo, a differenza di quanto avviene nell’ambito del regolamento Bruxelles I che ne prescinde. Inoltre, diversamente dal regolamento 44/2001, il 2201/2003, riconosce alla volontà delle parti uno spazio assolutamente marginale, sicché la comparizione in giudizio del convenuto non può sanare il difetto di giurisdizione del giudice adito. In relazione alla reciproca fiducia che deve regnare tra gli stati comunitari, il regolamento stabilisce che ai fini del riconoscimento nessun controllo della competenza giurisdizionale del giudice può essere effettuato, nemmeno attraverso il limite dell’ordine pubblico (art. 24). L’autorità giurisdizionale davanti alla quale pende un procedimento in base all'articolo 3 è competente anche per esaminare la domanda riconvenzionale, se rientra nel campo d'applicazione del regolamento (art. 4). Ad esempio se in ordine alla domanda principale, in base al regolamento, sussiste la giurisdizione italiana e, in base al diritto processuale, competente per territorio è il tribunale di Taranto, a questo tribunale deve essere rivolta in via riconvenzionale anche la domanda che in via principale dovrebbe porsi ad una altro tribunale. Data l’indisponibilità dei diritti oggetto delle procedure che rientrano nella sua sfera di applicazione, il regolamento Bruxelles II non da spazio alla volontà delle parti come titolo di giurisdizione, ad eccezione di un caso: se vi è una domanda congiunta che richiede la giurisdizione nello stato di residenza abituale di uno dei coniugi24.

20 Al contrario, Regno Unito e Irlanda, pur avendo anch’essi diritto a non vincolarsi, hanno preferito partecipare all’adozione e impegnarsi all’applicazione del regolamento (paragrafo 30). 21 La relazione Borràs, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia concernente la distinzione tra residenti e non ai fini fiscali, ritiene che il regolamento abbia accolto una definizione autonoma di residenza e cioè “luogo in cui l’interessato ha fissato, con voluto carattere di stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi, fermo restando che occorre tener conto di tutti gli elementi di fatto che contribuiscono alla sua costituzione”. 22 Per la cittadinanza una qualificazione autonoma non è possibile per il suo carattere giuridico-politico, ma è definita da ciascuno stato. 23 Art. 3.2: “Ai fini del presente regolamento la nozione di «domicile» cui è fatto riferimento è quella utilizzata negli

ordinamenti giuridici del Regno Unito e dell'Irlanda.” 24 Art. 3.1, lettera a) quarto trattino.

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L’art. 17 - verifica della competenza - dispone che il giudice di uno Stato membro, investito di una controversia per la quale il regolamento non prevede la sua competenza e per la quale è competente un'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro, dichiara d'ufficio la propria incompetenza. Questa disposizione si salda con l’art. 18.1: in caso di mancata comparizione del convenuto che abbia residenza abituale in uno stato membro diverso da quello nel quale è stato chiamato in giudizio, “l'autorità giurisdizionale competente è tenuta a sospendere il procedimento fin quando non si sarà accertato che al convenuto è stata data la possibilità di ricevere la domanda giudiziale o un atto equivalente in tempo utile perché questi possa presentare le proprie difese, ovvero che è stato fatto tutto il possibile a tal fine”25. Quando è necessario notificare la domanda giudiziale in uno stato diverso da quello del foro: � se è uno stato comunitario, il giudice adito applica l’art. 19 del regolamento 1348/2000, sulla

notifica negli stati membri di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale; � se non è uno stato comunitario, applica l’art. 15 della convenzione dell’Aja del 1965 relativa

alla stessa materia. L’art. 16 dispone che il giudice si considera adito alla data in cui la domanda giudiziale viene depositata, purché l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata la notifica al convenuto. Se invece, in forza del diritto locale, l’atto deve essere notificato prima del deposito, il giudice si considera adito alla data in cui l’atto è ricevuto dall’autorità competente ai fini della notifica, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché l'atto fosse depositato presso l'autorità giurisdizionale. La regola base della litispendenza è data dall’art. 19.1: “qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l'autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d'ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita.” L’incompetenza del secondo giudice a favore di quello preventivamente adito è dichiarata solo dopo che questi ha accertato di avere giurisdizione. La disposizione disciplina tanto i casi di vera e propria litispendenza, caratterizzati da un’identità soggettiva ed oggettiva delle domande (ad esempio un’azione di divorzio intentata sia in Francia che in Italia), quanto i casi di falsa litispendenza, relativamente a domande aventi oggetto o titolo diversi (ad es. azione di divorzio intentata in Francia e azione di separazione intentata in Italia). Ai sensi dell’art. 20, in casi d'urgenza, le autorità giurisdizionali di uno Stato membro possono adottare provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge interna, relativamente alle persone presenti in quello Stato o ai beni in esso situati, anche se, a norma del regolamento, è competente a conoscere nel merito l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro. Detti provvedimenti cessano di essere applicabili quando l'autorità giurisdizionale dello stato membro competente nel merito abbia adottato i provvedimenti ritenuti appropriati26. Ai fini della giurisdizione, la legge 218 attribuisce rilievo alla cittadinanza italiana (anche di un solo coniuge) e alla circostanza che il matrimonio sia celebrato in Italia27, nonché al domicilio e alla residenza del coniuge convenuto (art. 3.1). Bisogna aggiungere che per il c.p.c. italiano vi è una competenza per territorio, per cui la residenza dell’attore - a prescindere da cittadinanza e durata - vale a fondare la giurisdizione del giudice italiano. Ciò deriva dalla previsione secondo cui se il convenuto non ha residenza, domicilio o dimora nello stato o, se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore28. Questo crea un caso di giurisdizione esorbitante del giudice italiano, in quanto è competente per territorio sia per il convenuto che per l’attore, ma l’art. 18.2 c.p.c. non dovrebbe applicarsi come titolo di giurisdizione. La disciplina in materia di responsabilità genitoriale

25 Questa norma trova riscontro nell’art. 22 lett. b) sulla riconoscibilità delle sentenze rese in contumacia. 26 Analogamente all’art. 20, dispone l’art. 10 della legge 218/95. 27 Art. 32, giurisdizione in materia di nullità, annullamento, separazione personale e scioglimento. 28 Artt. 18.2 c.p.c. e 4.1, legge 1° dicembre 1970, n. 898.

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Ai fini del regolamento Bruxelles II per responsabilità genitoriale si intendono i diritti e i doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo riguardanti la persona o i beni del minore. La responsabilità genitoriale comprende: � il diritto di affidamento, cioè l’insieme dei diritti e doveri concernenti la cura del minore (in

particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza); � il diritto di visita, cioè il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza

abituale per un periodo limitato nel tempo. Il regolamento 1347/2000 contemplava, oltre alle questioni di natura matrimoniale, le questioni concernenti la potestà dei genitori sui figli (biologici e adottivi di entrambi i coniugi) solo se sollevate contestualmente ai procedimenti in materia matrimoniale. Inoltre il suo campo di applicazione comprendeva le azioni dirette a disciplinare l’affidamento, ma sussistevano dei dubbi circa le azioni concernenti il diritto di visita. A questi dubbi risponde il regolamento n. 2201/2003 disponendo l’ambito di applicazione delle norme comunitarie alle seguenti materie: a) diritto di affidamento e di visita; b) tutela, curatela ed altri istituti analoghi; c) designazione e funzioni di qualsiasi persona o ente aventi la responsabilità della persona o dei beni del minore o che lo rappresentino o lo assistano; d) collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto; e) misure di protezione del minore legate all'amministrazione, alla conservazione o all'alienazione dei sui beni (art. 1.2). Non si distingue tra minori nati in costanza di matrimonio, fuori o dal precedente matrimonio di uno dei genitori. Il regolamento Bruxelles II attribuisce la competenza generale al giudice dello stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data di presentazione della domanda29, nell’interesse superiore del minore e di conformarsi al criterio di vicinanza della convenzione dell’Aja del 199630 prescindendo dalla circostanza che il minore si trovi effettivamente all’interno o all’esterno della Comunità. L’individuazione della residenza abituale del minore è una questione che il giudice deve valutare caso per caso e, qualora non possa essere stabilita, diventa competente il giudice dello stato membro in cui il minore si trova, anche in presenza di minori rifugiati o sfollati (art. 13). È inoltre prevista la possibilità di prorogare la giurisdizione, infatti i coniugi possono accettare che il giudice che si è pronunciato sul loro matrimonio, divorzio, separazione personale o annullamento provveda anche in ordine alla responsabilità nei confronti dei figli comuni, se ciò risponde all’interesse superiore dei minori. Detta competenza cessa appena sia passata in giudicato la sentenza in materia matrimoniale o quella sulla responsabilità genitoriale. I titolari della responsabilità genitoriale possono prorogare la competenza a favore dei giudici di uno stato membro con cui il minore abbia un sostanziale legame, in particolare se vi risiede abitualmente chi ha responsabilità genitoriale o è cittadino di quello stato: incombe sui giudici così scelti l’obbligo di accertare se l’esercizio della competenza prorogata è nell’interesse superiore del minore (art. 12.3). Laddove non sussista la competenza di alcuna autorità di uno stato membro ai sensi degli artt. 8-13, è previsto che ciascuno stato membro possa affermare o declinare la giurisdizione alla luce del proprio diritto nazionale (art. 14, competenza residua). In via eccezionale, il giudice di merito di uno Stato se ritiene che l'autorità giurisdizionale di un altro Stato membro con il quale il minore abbia un legame particolare sia più adatto a trattare il caso o una sua parte specifica e ove ciò corrisponda all'interesse superiore del minore può: interrompere l'esame del caso o della parte in questione e invitare le parti a presentare domanda all'autorità giurisdizionale dell'altro Stato oppure chiedere all'autorità giurisdizionale dell'altro Stato membro di assumere la competenza (art. 15). Il titolo di giurisdizione è dato dalla residenza abituale del minore (precedente o posteriore all’inizio del procedimento), dalla cittadinanza del minore, dalla residenza abituale di uno dei titolari della responsabilità genitoriale e dalla situazione dei beni del minore (art. 15.3). È comunque necessaria

29 Il regolamento n. 1347/2000 ancorava invece la competenza in materia di potestà genitoriale a quella in materia di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio. 30 Firmata dall'Italia nell'aprile 2003; non ancora in vigore per l'Italia.

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la richiesta di uno dei soggetti interessati o l’accettazione di almeno una delle parti se il trasferimento è disposto d’ufficio o su richiesta del giudice di un altro stato membro. Sul tema specifico della sottrazione dei minori, il regolamento del 2003 innova fortemente rispetto al regolamento n. 1347/2000 che ad esso dedicava solo l’art. 4, ispirato alla convenzione dell’Aja del 1980. La nuova disciplina, dettata dagli artt. 10 e 11, appare originale in quanto si discosta sia dalla convenzione dell’Aja del 1980 che da quella del 1996. Il nuovo regolamento riconosce alle autorità dello Stato in cui il minore è trattenuto solo la facoltà di adottare provvedimenti meramente provvisori contro il ritorno del bambino, al quale deve seguire una decisione di affidamento resa dai giudici dello stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato ritorno. È una soluzione che presuppone fiducia nello spazio giudiziario comune e dovrebbe avere un effetto deterrente contro la sottrazione dei minori, in quanto non sarà più possibile ottenere il trasferimento della competenza giurisdizionale dopo aver commesso tale illecito.

La legge italiana

La norma generale sulla giurisdizione italiana è data dall’art. 3 della legge 218, a cui si aggiunge l’art. 9 sulla giurisdizione volontaria e gli artt. 32, 37 e 50 sulla giurisdizione speciale, rispettivamente in materia di matrimonio, filiazione e di successioni. In relazione alle norme comunitarie, la legge sul diritto internazionale privato assume un carattere residuale (o marginale) in quanto applicabile solo se non vi sono norme comunitarie o convenzionali. Infatti l’art. 2.1 della legge 218 dispone: “Le disposizioni della presente legge non

pregiudicano l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia.” Nel sistema originariamente delineato dal c.p.c. la cittadinanza italiana del convenuto era il titolo generale di giurisdizione a cui si affiancava, implicitamente, il domicilio e la residenza in Italia ed enfaticamente si parlava del giudice italiano come giudice naturale del cittadino italiano. Con la riforma del 1995 la cittadinanza italiana non figura più tra i titoli generali di giurisdizione (o principali), ma solo nelle norme speciali. Infatti l’art. 3.1 contempla come titoli generali di giurisdizione, il domicilio e la residenza in Italia del convenuto31. Il successivo comma 2 stabilisce che taluni criteri di giurisdizione stabiliti dalla convenzione del 1968 (oggi il richiamo deve essere riferito al regolamento 44/2001) devono essere applicati anche se

“il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente”. Il giudice italiano, quando applica il regolamento 44/2001 in forza del richiamo dell’art. 3.2, non solo dovrà attenersi alle pronunzie interpretative rese dalla Corte di giustizia, ma egli stesso potrà chiedere a titolo pregiudiziale l’interpretazione. L’ultima frase dell’art. 3.2 dispone che, per le materie escluse dal campo di applicazione dal regolamento 44/2001 (materia fiscale, doganale, amministrativa, capacità delle persone fisiche, regime patrimoniale tra coniugi, testamenti, successioni, eccetera) la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri della competenza per territorio, sanciti dal codice di procedura civile. Al riguardo l’art. 18.2 c.p.c. dispone che nei casi in cui il convenuto non abbia la residenza abituale, ne il domicilio, ne dimora in Italia – così come nei casi in cui la dimora è sconosciuta – è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore. L’art. 4.1 riguarda l’accettazione della giurisdizione italiana che sussiste anche se le parti l'abbiano convenzionalmente accettata per iscritto, oppure se il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo (accettazione tacita). L’art. 4.2 dispone: la giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice o di un arbitrato estero se la deroga è provata per iscritto e la causa verte su diritti disponibili (c.d. accordo di deroga32). Sebbene la norma sia limitata ai diritti disponibili, la

31 Oppure se il convenuto ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio ai sensi dell’art. 77 c.p.c. 32 La deroga, a differenza della proroga che può riguardare qualsiasi causa, deve essere inerente cause per diritti di cui le parti possono liberamente disporre. L’art. 4.2 non contempla la deroga tacita o per fatti concludenti, invece l’art. 4.1 prevede solo la proroga tacita della giurisdizione italiana.

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disposizione ha notevole importanza in quanto riguardano la maggior parte dei rapporti commerciali transnazionali, dove spesso sono in gioco interessi rilevanti. La deroga è inefficace se il giudice o gli arbitri indicati declinano la giurisdizione o comunque non possono conoscere della causa (art. 4.3). Questa previsione implica, come rileva la relazione ministeriale, che il giudice italiano è tenuto ad esaminare nel merito la domanda che gli venga riproposta, anche se in precedenza si era dichiarato privo di giurisdizione con sentenza definitiva. In base all’art. 5, tutti i titoli di giurisdizione di cui si è parlato finora, dal domicilio del convenuto, alla proroga convenzionale e all’accettazione da parte del convenuto, sono inoperanti rispetto alle azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero. In ordine a tale azione “la

giurisdizione italiana non sussiste”. Va detto che la portata di questa norma è ridotta rispetto a quella dell’art. 22 del regolamento 44/2001 (diritti reali33 su immobili e contratti d'affitto di immobili), concernendo le sole azioni reali. Per effetto di norme internazionali, ai sensi dell’art. 11 la legislazione italiana è esclusa per particolari categorie di convenuti quali gli stati stranieri, gli agenti diplomatici e altri loro organi, le organizzazioni internazionali e i loro funzionari. La motivazione tradizionale dell’esenzione dalla giurisdizione consisteva nell’affermare l’immunità in base al principio del rispetto della loro sovranità (secondo la massima par in parem non habet

iurisdictionem) che dottrina e giurisprudenza intendevano affermando la piena esenzione dalla giurisdizione degli stati stranieri su qualsiasi tipo di causa. Tuttavia, in seguito parte della dottrina e della giurisprudenza ridusse la portata della consuetudine con la teoria dell’immunità ristretta, distinguendo tra atti dello stato straniero posti in essere nell’esercizio del potere sovrano (cosiddetti atti iuri imperii), per i quali vi è l’immunità, ed atti posti in essere nell’esercizio di attività privatistiche (c.d. iure gestionis), per i quali non vi sono privilegi. I nostri giudici non possono esercitare giurisdizione, neanche se il rapporto di lavoro tra il personale e lo stato cui appartiene l’ambasciata o il consolato attiene all’organizzazione interna di tale stato. La Cassazione (sentenza sez. unite 27/5/1999, n. 313) ha ritenuto non sussistere giurisdizione italiana in ordine alle domande, anche di natura meramente patrimoniale, quando il loro accoglimento può derivare solo dall’accertamento che, nell’esercizio dei propri poteri di organizzazione, lo stato estero si è comportato in modo contrario al diritto. Nell’ambito, invece, delle attività dello stato estero non attinenti alla propria organizzazione (compravendite, affitti, ecc.) esiste la possibilità di esercitare la giurisdizione. Il d.lgs. 7 aprile 2000 n. 163 sulla disciplina del personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura all’estero ha stabilito che, fermo restando quanto disposto in materia dalle norme di diritto internazionale generale e convenzionale, competente a risolvere le eventuali controversie è il foro locale. L’immunità diplomatica trattata fino adesso riguarda il processo di cognizione, mentre considerazioni diverse vanno fatte per il processo esecutivo, ossia per quanto riguarda la sottoposizione a misure coercitive di beni statali stranieri presenti in Italia. In proposito va innanzitutto ricordata la legge 15 luglio 1926 n. 1263 che, a condizione di reciprocità, escludeva la possibilità di procedere al sequestro o pignoramento ed in genere ad atti esecutivi su beni mobili o immobili, navi, crediti, valori ed ogni altra cosa spettante ad uno stato estero senza l’autorizzazione del Ministero per la Giustizia, anche se l’autorizzazione veniva quasi sempre negata. Dopo varie sentenze restrittive del campo di applicazione di questa legge, si è giunti alla sentenza 15 luglio 1992, n. 329 della Corte costituzionale che ha privato di ogni effetto la legge 1263/26 in riferimento all’art. 10 Cost. che dispone che l’ordinamento italiano si conforma alla consuetudine internazionale. Per la Consulta i beni di stati esteri presenti in Italia destinati all’esercizio di funzioni pubbliche sono immuni ex se da misure coercitive, indipendentemente dalla condizione di reciprocità, la quale non è prevista dall’art. 10 Cost. (a differenza dell’art. 11), ne dalla consuetudine internazionale che per il suo tramite viene trasformata in una norma di diritto interno. 33 I diritti reali possono essere di godimento (l’usufrutto) o diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca).

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Dall’altro lato, i beni di stati esteri presenti in Italia e non destinati all’esercizio della funzione sovrana o a fini pubblici (c.d. iure gestionis) non sono esenti da misure coercitive, infatti la Consulta afferma che il requisito dell’autorizzazione ministeriale contrasta con il precetto costituzionale (art. 24) che sancisce il diritto del singolo alla tutela giurisdizionale dei propri diritti. Quanto alle organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, FAO, NATO, eccetera), l’esenzione dalla giurisdizione italiana di cui esse godono è determinata dagli appositi accordi in materia. Ove le convenzioni non provvedano, anche qui vale il principio del limite alla giurisdizione dei giudici in connessione a ciò che riguarda l’organizzazione interna di enti i quali, forniti di personalità internazionale, appaiono assimilabili agli stati. Per quanto riguarda le misure coercitive, la Cassazione ha ripetutamente riconosciuto che la complessa normativa concernente i Quartieri generali militari creati dal Trattato del nord Atlantico, comporta l’immunità dall’esecuzione coattiva dei soli beni destinati al soddisfacimento dei loro compiti istituzionali, in armonia con il preminente interesse alla difesa dello Stato italiano. Per gli agenti diplomatici conviene distinguere tra gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni da quelli che non lo sono. Nel primo caso non rispondono personalmente ricadendo nell’ipotesi dell’esenzione della giurisdizione degli stati stranieri, nei casi e con i limiti di cui si è detto, nel secondo caso vi è una norma consuetudinaria internazionale (la cui portata non è del tutto pacifica) che esenta gli agenti diplomatici dalla giurisdizione civile, penale e amministrativa dello stato presso il quale sono accreditati34. Queste sono le c.d. immunità diplomatiche, ispirate all’opportunità di permettere all’agente diplomatico di svolgere liberamente la propria funzione (in base al principio ne impediatur legatio). Una norma automaticamente introdotta nel nostro ordinamento poiché l’art. 10 della Costituzione prescrive che l’ordinamento giuridico si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. La determinazione del preciso contenuto della norma consuetudinaria circa le immunità diplomatiche è materia propria del diritto internazionale pubblico. Basti qui dire che la norma, originariamente sorta a protezione dei soli capi missione, ha finito per essere estesa a tutti i membri della missione diplomatica e alle loro famiglie35. Le eccezioni al principio di immunità36 e la possibilità di rinunciarvi37 sono oggetto di specifica disciplina della convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni e immunità diplomatiche. Quanto agli organi di stati esteri, i capi di stato, i capi di governo ed i ministri degli esteri (per le due ultime categorie solo allorché si trovino in Italia in veste ufficiale) godono di immunità della giurisdizione civile analogamente a quanto si è visto per gli agenti diplomatici. Più limitate sono le immunità concesse, in base ad apposite norme convenzionali, agli agenti e funzionari di organizzazioni internazionali. In tema di connessione l’art. 6 della legge 218 – questioni preliminari – dispone: “Il giudice italiano

conosce, incidentalmente, le questioni che non rientrano nella giurisdizione italiana e la cui

soluzione è necessaria per decidere sulla domanda proposta.” In altre parole, per ragioni di economia processuale è riconosciuto al giudice italiano il potere di decidere anche in merito a questioni preliminari, sia pure incidentalmente, con effetto circoscritto alla definizione della domanda principale di cui è stato investito. La litispendenza (nei casi al di fuori di quelli previsti dall’art. 27 del regolamento 44/2001) è regolata dall’art. 7 - pendenza di un processo straniero: quando, nel corso del giudizio, sia eccepita (non può essere rilevata dal giudice) la previa pendenza tra le stesse parti di domanda, avente il

34 L’immunità piena dell’agente diplomatico incontra alcune eccezioni disposte dall’art. 31 della convenzione di Vienna del 1961 (azione reale su immobili privati, azione successoria, azione relativa a rapporti giuridici connessi alla libera professione o attività commerciale). 35 Mentre non pare che l’immunità spetti al personale non diplomatico facente parte della missione, come cancellieri, segretari, ecc. 36 Azioni reali su immobili posseduti a titolo privato, azioni riguardanti attività commerciali o professionali non connesse alle funzioni ufficiali di agente diplomatico, ecc. 37 Ma deve promanare dallo stato a cui l’agente appartiene e non dal diplomatico stesso.

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medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l'ordinamento italiano, sospende il giudizio. La sospensione è subordinata alla previsione che la decisione straniera soddisferà i requisiti necessari al suo riconoscimento. Se il giudice straniero declina la propria giurisdizione o se il provvedimento straniero non è riconosciuto nell'ordinamento italiano, il giudizio in Italia prosegue previa riassunzione ad istanza

della parte interessata. La pendenza della causa innanzi al giudice straniero si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo si svolge. L’art. 8 dispone che per la determinazione della giurisdizione italiana si applica l'art. 5 c.p.c.38 Tuttavia la giurisdizione sussiste anche se i fatti e le norme che la determinano sopravvengono nel corso del processo. Quest’ultima frase della norma contraddice in parte l’art. 5 c.p.c. che fissa la giurisdizione allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda. È una soluzione che riflette un precedente orientamento giurisprudenziale e risponde al principio di economia dei giudizi in ordine a situazioni non totalmente interne al nostro ordinamento. La giurisdizione volontaria (art. 9) è particolarmente ampia e sussiste quando il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana. Inoltre la giurisdizione volontaria è ammessa per specifiche questioni quali: la scomparsa, l’assenza e la morte presunta (art. 22.2); l’adozione (art. 40); la protezioni dei maggiorenni incapaci (art. 44). In materia cautelare, ai sensi dell’art. 10, la giurisdizione italiana sussiste quando: � il provvedimento (ad esempio un sequestro) deve essere eseguito in Italia; � il giudice italiano ha giurisdizione nel merito; in questo caso la misura cautelare è strumentale

rispetto al procedimento di cognizione che può svolgersi anche all’estero, purché astrattamente suscettibile di cadere anche sotto la giurisdizione italiana.

Ai sensi dell’art. 11 il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. Tale norma, deve essere collegata con l’art. 4 che impone che l’accettazione sia provata per iscritto, ma può essere accettata anche se il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. Tuttavia, il difetto di giurisdizione è rilevato dal giudice d'ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se la controversia ha per oggetto immobili situati all’estero, o se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale. Ai sensi dell’art. 12, il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana e lo stesso principio vale quando si svolgono in altri stati. La norma non prende una posizione specifica del diritto applicabile alla prova e l’art. 14 della convenzione di Roma conferma che la questione non sembra suscettibile di una soluzione unitaria, in quanto assume connotati diversi ed è intrecciata con questioni di forma. Sulla possibilità che il giudice italiano adotti un provvedimento previsto dal diritto straniero diverso da quello contemplato dal nostro ordinamento processuale è da ritenersi inammissibile ove non sia compatibile con i principi del nostro sistema giuridico, mentre è tendenzialmente possibile se il nostro ordinamento conosca il provvedimento richiamato dal diritto straniero. Per esempio il giudice italiano potrebbe omologare la nomina del tutore di un incapace compiuta, in base al diritto straniero, dal consiglio di famiglia, dato che i provvedimenti di omologazione, sia pure in contesti diversi, sono utilizzati dal nostro ordinamento. La giurisdizione speciale è disposta dagli artt. 32, 37 e 50:

38 Art. 5 - Momento determinante della giurisdizione e della competenza - La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo.

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• art. 32 - in materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dall'art. 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia.

• art. 37 - in materia di filiazione e di rapporti personali fra genitori e figli la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti rispettivamente da gli artt. 3 e 9, anche quando uno dei genitori o il figlio è cittadino italiano o risiede in Italia.

• art. 50 - in materia successoria la giurisdizione italiana sussiste: a) se il defunto era cittadino italiano al momento della morte; b) se la successione si è aperta in Italia; c) se la parte dei beni ereditari di maggiore consistenza economica è situata in Italia; d) se il convenuto è domiciliato o residente in Italia o ha accettato la giurisdizione italiana, salvo che la domanda sia relativa a beni immobili situati all'estero; e) se la domanda concerne beni situati in Italia.

LE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO

Nella legge di riforma del 1995, le norme di conflitto vere e proprie volte a regolare il diritto

applicabile (artt. 20-63) sono precedute da alcune regole di funzionamento39 (artt. 13-19) nelle quali il legislatore ha provveduto a disciplinare talune questioni generali della materia, colmando parecchie lacune della precedente normativa. L’individuazione del diritto applicabile avviene, secondo quanto precisa la relazione ministeriale, per mezzo di norme che, con riguardo a determinate categorie di situazioni giuridiche, si servono di un criterio di collegamento per designare la legge applicabile, cioè di una circostanza idonea a dimostrare una connessione, un collegamento o attacco, con l’ordinamento giuridico di un altro stato, da cui il giudice italiano deve desumere la norma idonea a regolare il caso. L’armonia internazionale delle soluzioni non è uno dei valori nel diritto internazionale privato, in quanto accanto a regole che tendono a realizzare l’apertura dell’ordinamento nazionale verso gli ordinamenti giuridici stranieri, ve ne sono altre che invece sono dirette, o vengono semplicemente sfruttate, per ostacolare il coordinamento e l’apertura verso l’esterno. Un esempio è la c.d. eccezione di ordine pubblico (regolarmente prevista anche negli altri ordinamenti) che consente di rifiutarsi di riconoscere le sentenze straniere e disapplicare le norme di conflitto nazionali, in quei casi in cui il riconoscimento della sentenza straniera o l’applicazione del diritto straniero condurrebbe ad un risultato inaccettabile. Lo stesso discorso vale per le norme di applicazione necessaria. Le norme di conflitto sono strumentali intervenendo a guidare il giudice nella scelta del diritto da applicare per decidere di situazioni e rapporti giuridici i quali, oltre che con il nostro, sono collegati con un altro ordinamento straniero da almeno uno degli elementi assunti come criterio di collegamento. Ad esempio, il giudice italiano chiamato a decidere della capacità di agire di un italiano domiciliato in Germania applicherà l’art. 2 del nostro c.c. in quanto, in questo caso, il criterio di collegamento è la cittadinanza (art. 23.140), benché in altri casi la legge 218 assume la residenza come criterio generale di collegamento. Ai sensi dell’art. 14.1 della legge di riforma, di fronte a una fattispecie non totalmente interna al nostro ordinamento, il giudice italiano applica, d’ufficio, la norma di conflitto (quindi individua la legge straniera) e il suo ambito di applicazione, senza necessità che le parti lo richiedano. Esempio di norma di conflitto è l’art. 51.1 (il possesso, la proprietà e gli altri diritti reali sui beni mobili ed immobili sono regolati dalla legge dello stato in cui i beni si trovano). In alcuni casi, espressamente previsti, è applicabile anche la legge richiesta dagli interessati. Un esempio di norma di conflitto facoltativa è dato dall’art. 62.1 che in tema di responsabilità per fatto

39 Sono regole di funzionamento il rinvio (13), conoscenza della legge straniera applicabile (14), interpretazione e applicazione della legge straniera (15), ordine pubblico (16), norme di applicazione necessaria (17), ordinamenti plurilegislativi (18), apolidi, rifugiati e persone con più cittadinanze (19). 40 “La capacità di agire delle persone fisiche è regolata dalla loro legge nazionale. Tuttavia, quando la legge

regolatrice di un atto prescrive condizioni speciali di capacità di agire, queste sono regolate dalla stessa legge.”

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illecito stabilisce che il danneggiato può chiedere l'applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno. In mancanza della richiesta il giudice applica d’ufficio la legge dello stato in cui si è verificato l’evento dannoso. Secondo il c.d. criterio della volontà, altre norme di conflitto facoltative sono contenute nell’art. 30 (rapporti patrimoniali tra coniugi), nell’art. 46 (successione per causa di morte e la divisone ereditaria) e l’art. 60 (rappresentanza volontaria). I criteri di collegamento possono riguardare tanto i soggetti interessati (cittadinanza, domicilio, residenza), quanto la situazione o relazione in ordine alla quale viene richiesto l’intervento del giudice (luogo in cui si trova un bene, in cui è stato celebrato il matrimonio), oppure il luogo dove è sorta o deve trovare esecuzione un’obbligazione. A ciascuno di detti elementi viene di solito conferito rilievo isolatamente, ma hanno rilievo congiuntamente se devono formare oggetto di valutazione di sintesi da parte del giudice (criterio del collegamento più stretto nelle obbligazioni contrattuali e criterio della prevalente localizzazione della vita matrimoniale). Se vi è una connessione con l’ordinamento italiano, i criteri di collegamento operano sia per l’individuazione del diritto applicabile che per individuare il titolo di giurisdizione per il giudice nazionale. La statuizione principale per determinare la giurisdizione italiana è data dall’art. 3.1 della legge 218: “La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in

Italia…”, mentre esempio di norma di conflitto è l’art. 29.1 “i rapporti personali tra coniugi sono

regolati dalla legge nazionale comune”. Sebbene si distingua, concettualmente e lessicalmente, fra titoli di giurisdizione e criteri di collegamento, riguardano gli stessi aspetti e connessioni e possono venir impiegati in entrambi i modi, anche se non necessariamente riguardo alle stesse categorie di fattispecie. Ad esempio il domicilio è un titolo di giurisdizione se da la competenza al giudice di uno stato, ma diventa criterio di collegamento se individua la legge applicabile di quello stato. Infatti il domicilio o la residenza sono titoli di giurisdizione della legge italiana, ma, in presenza di apolidi o rifugiati, diventano criteri di collegamento con la legge dello Stato del domicilio, o in mancanza, la legge dello Stato di

residenza (art. 19.1). Le tre connessioni principalmente usate sono: il domicilio, la cittadinanza e la volontà dei privati interessati. Il criterio della cittadinanza (preferito dal Mancini e accolto nelle norme di conflitto dei codici del 1865 e del 1942) riflette l’appartenenza dell’individuo allo stato, invece il criterio del domicilio, della residenza e della residenza abituale dipendono dalla localizzazione del centro degli interessi di una persona e dalla sua permanenza fisica in un determinato luogo. In passato, con eccezione del Regno Unito, generalmente il criterio della cittadinanza rispondeva agli indirizzi di politica legislativa di stati a forte emigrazione, interessati a tenere vivo il legame con propri cittadini all’estero che restavano sotto la giurisdizione dei giudici e delle leggi del loro paese d’origine. Invece, a favore dei criteri di tipo domiciliare erano gli stati verso i quali si dirigevano importanti correnti di immigrazione, interessati alla loro integrazione anche attraverso la possibilità di applicare loro la legge locale. Inoltre, a differenza di quanto accadeva in passato, oggi non pochi legislatori favoriscono il sorgere di situazioni di doppia o plurima cittadinanza. La volontà delle parti, fortemente voluta dal Mancini, ha un ruolo molto importante sia nel d.i.p. che nella normativa internazionale (basti pensare al regolamento comunitario n. 44/2001 e alla convenzione di Roma del 1980) sia come titolo di giurisdizione che come criterio di collegamento. Il principio della libera scelta, trova espressione - sul piano processuale - nelle norme che riconoscono alle parti il potere di prorogare (ossia estendere), ma anche di derogare la giurisdizione, dando rilievo anche alla volontà della sola parte convenuta manifestata successivamente41. La volontà delle parti ha assunto rilevo dopo un percorso lungo e interessante. Già Bartolo da Sassoferrato (1314-1357) e i commentatori della sua scuola si richiamavano alla volontà delle parti, in deroga al sistema della personalità della legge, per sottoporre il contratto alla legge del luogo di conclusione o a quella del luogo di esecuzione. Lo straniero, si diceva, addivenendo alla 41 Vedi gli artt. 23 e 24 Bruxelles I, l’art. 4 legge 218 e in maniera minore Bruxelles II.

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conclusione o disponendo la esecuzione del contratto in uno stato diverso dal proprio, implicitamente manifesta la volontà di assoggettarsi alla potestà di tale stato e così consente che, come volontario suddito temporaneo (subditus temporarius), gli si applichi tale legge. Simmetricamente lo statutario francese Bertrand d’Argentrè (1519-1590), invocava l’esigenza di rispettare la legge o il foro scelto dalle parti nel contratto. Inoltre, Charles Dumoulin (1500-1566) non solo ammette che le parti possono concludere il contratto in un luogo e sottoporlo ad una legge diversa, ma sostiene che si deve tenere conto dell’eventualità di un loro accordo successivo circa la legge che deve regolare il contratto, diversa da quella che avevano stabilito in precedenza. Questa concezione farà parte del pensiero di Mancini e della codificazione del 1865 per affiancare e limitare il principio di nazionalità. In tempi recenti ci sono stati sviluppi ulteriori, specie nel d.i.p. italiano che all’art. 57, demandando alla convenzione di Roma del 1980, dispone che le parti possono non solo designare la legge applicabile (optio legis) a tutto il contratto, ovvero a parte di esso (art. 3.1), ma possono convenire di sottoporlo ad una legge diversa da quella che lo regolava in precedenza. Anche per i contratti totalmente interni al nostro ordinamento vale la distinzione tra le due volontà contrattuali: quella in ordine alla legge applicabile e quella in ordine al giudice competente. Su questa distinzione gli spazi lasciati all’autonomia privata, in relazione al medesimo tipo contrattuale, sono diversi da un ordinamento ad un altro, in quanto variabile è il numero delle norme inderogabili (alle quali i contraenti non possono sottrarsi o modificare) tra uno stato ed un altro. Ad esempio il contratto di locazione immobiliare: in alcuni stati vi sono delle norme inderogabili perfino sulla durata del contratto e sulla determinazione del canone. Comunque si vuole evitare l’abuso dell’autonomia contrattuale che porti i contraenti a scegliere di sottoporre un determinato contratto ad una legge straniera, al fine precipuo di sottrarlo a determinate norme inderogabili di un altro stato. La convenzione di Roma ha stabilito che in presenza di una norma di conflitto della legge straniera, anche in un contratto che sotto ogni altro profilo si presenti totalmente interno ad un determinato ordinamento, possa intervenire il limite dell’ordine pubblico. Il principio della volontà delle parti trova spazio, sia pure con limitazioni e cautele, anche nei negozi diversi dai contratti. Ad esempio nella legge 218: l’art. 30 (rapporti patrimoniali tra coniugi); artt. 46.2 e 46.3, (successione testamentaria e divisone ereditaria); l’art. 56.2 (donazioni); art. 62.1 (responsabilità per fatto illecito). Per tutta la materia contrattuale la convenzione di Roma sottopone alla legge regolatrice del contratto (la lex causae cioè la legge che regola il processo di merito) l’esistenza e la validità del consenso delle parti sulla legge applicabile (optio legis o pactum de lege utenda). Allo stesso modo, la legge nazionale che consente alle parti di scegliere la legge (optio legis) al di fuori del campo dei contratti, ne determina le condizioni per l’esercizio. In particolare l’art. 30.2 della legge 218, in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, dispone che l’accordo sul diritto applicabile è valido se considerato tale dalla legge scelta dai coniugi o da quella del luogo in cui l’accordo è stato stipulato; l’art. 46.2, in materia di successioni mortis causa, è rilevante la scelta a favore dello stato di residenza del de cuius solo se effettuata con dichiarazione espressa in forma testamentaria; l’art. 56.2 richiede che il donante effettui la scelta con dichiarazione espressa contestuale alla donazione; l’art. 62 colloca la richiesta del danneggiato all’interno del processo. Quanto alla validità dell’apposizione della clausola compromissoria e delle convenzioni sul foro competente (i c.d. compromessi), l’art. 57 della legge 218 dispone che le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 198042.

42 Tuttavia detta convenzione non si occupa della capacità dei contraenti, ad eccezione del contratto concluso con un incapace (art. 11), quindi per valutare la capacità dei contraenti di apporre compromessi è utile applicare gli art. 20 (Capacità giuridica delle persone fisiche), 23 (Capacità di agire delle persone fisiche) e 25 (Società ed altri enti) della legge 218.

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Un carattere di novità della legge di riforma del d.i.p. è dato dal criterio della prevalente localizzazione della vita matrimoniale di cui fanno uso, sempre come criterio sussidiario l’art. 29.2 (rapporti personali tra coniugi); l’art. 31.1 (separazione personale e dello scioglimento del matrimonio); l’art. 38.1 (adozione) e l’art. 39 (rapporti tra adottato e famiglia adottiva). La prevalente localizzazione della vita matrimoniale o familiare è una definizione che configura una sintesi di criteri, una sommatoria di indizi, che deve essere operata e valutata dal giudice per arrivare alla individuazione della legge competente. A differenza della convenzione di Roma che detta una serie di presunzioni idonee ad orientare l’interprete nella identificazione del collegamento più stretto alla legge applicabile, la legge italiana al riguardo non dice nulla, mentre la relazione ministeriale si limita ad indicare che per stabilire dove la vita matrimoniale sia prevalentemente localizzata, va tenuto conto, comparativamente, sia la natura che la durata delle connessioni atte a determinare tale localizzazione, valutando l’intero arco della vita matrimoniale tenendo conto, oltre alla residenza dei coniugi e di ogni altra circostanza significativa. Da questo deriva che tra i fattori di contatto o connessione di natura personale da prendere in considerazione vi è, oltre alla residenza, la cittadinanza o le cittadinanze degli interessati, il domicilio e la dimora di quanti compongono il nucleo familiare; mentre tra quelli di natura territoriale (o di fatto) il luogo di celebrazione del matrimonio, quello di nascita dei figli, quello in cui è stato assunto il provvedimento di adozione e il luogo in cui sono situati gli immobili Una diversa classificazione può essere fatta tra criteri di collegamento soggettivi o personali (ad esempio cittadinanza e domicilio) e quelli oggettivi (ad esempio il luogo di celebrazione del matrimonio o in cui sono situati gli immobili). Nel procedimento ordinario di cognizione, a fianco ai titoli generali (o principali) di giurisdizione (domicilio e residenza del convenuto) vengono presi in considerazione altri attacchi o connessioni, cioè titoli di giurisdizione sussidiari (o alternativi). Ad esempio, in materia matrimoniale, sono titoli sussidiari di connessione la cittadinanza italiana di uno dei coniugi nonché la circostanza che il matrimonio sia stato celebrato in Italia (art. 32). Quanto alla individuazione del diritto applicabile, la legge di riforma (così come le leggi straniere recenti) impiega spesso una pluralità di criteri di collegamento i quali concorrono tra loro in due modi: con il concorso alternativo e il concorso successivo. Si ha il concorso alternativo di criteri di collegamento quando la norma di conflitto considera vari aspetti della categoria di fattispecie da regolare, tutti collegabili a più ordinamenti giuridici. I casi di concorso alternativo della nostra legge riguardano per lo più la forma. Il risultato al quale il legislatore tende è la validità del negozio, come si evince dall’art. 28: “Il matrimonio è valido,

quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge

nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di

comune residenza in tale momento.” Del concorso alternativo di criteri di collegamento si fa uso anche per la forma del riconoscimento di un figlio naturale (art. 35.3); per il testamento (art. 48); le donazioni (art. 56.3) e l’atto di riconoscimento di poteri rappresentativi (art. 60.2). In tutti questi casi, non importa l’ordine secondo cui i criteri di collegamento sono elencati, ma che l’atto soddisfi i requisiti di forma prescritti dal diritto materiale di uno qualunque degli ordinamenti richiamati (per la forma degli atti è escluso il funzionamento del rinvio, art. 13.2 lett. b). Una conseguenza implicita nell’impiego di una pluralità di criteri di collegamento in concorso alternativo tra loro, si ha quando la parte volesse far valere l’invalidità formale di uno dei negozi suddetti, in quanto dovrebbe dimostrare che non sono soddisfatti i requisiti formali previsti da alcuna delle leggi richiamate e questo è un’evidente aspetto del favor validitatis. Casi di concorso alternativo di criteri di collegamento riguardano anche questioni sostanziali. Così l’art. 30.2 in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi dispone che “l’accordo dei coniugi sul

diritto applicabile è valido se è considerato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui

l'accordo è stato stipulato.”

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Le applicazioni più significative sono quelle in materia di filiazione: l’art. 34 sottopone la legittimazione per susseguente matrimonio alternativamente alla legge nazionale del figlio o a quella di uno dei genitori nel momento della legittimazione, mentre quanto alle condizioni per il riconoscimento del figlio naturale (art. 35.1) concorrono alternativamente la legge nazionale del figlio al momento della nascita e quella del soggetto che opera il riconoscimento al momento in cui questo avviene. Di questo gruppo di disposizioni la più completa e complessa riguarda i figli legittimi: in base all’art. 33.1 “Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al

momento della nascita” e in base all’art. 33.2 “E' legittimo il figlio considerato tale dalla legge

dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita del figlio.” Questo 2° comma è ispirato al favor legitimitatis, finalizzato a dare lo stato di figlio legittimo nel maggior numero di casi possibile, richiamando alternativamente la legge del figlio al momento della nascita e le leggi nazionali dei genitori. Per coerenza lo stato di figlio legittimo, acquisito in base alla legge nazionale di uno dei genitori, può essere contestato solo in base a quella stessa legge (art. 32.3). Invece la contestazione dello stato di figlio legittimo resta sottoposta alla legge nazionale del figlio al momento della nascita (in quanto richiamata dal 1° comma dell’articolo in esame). Il favore per una determinata soluzione di merito ispira altresì la disposizione dell’art. 13.3 in virtù della quale, nei casi contemplati dagli artt. 33, 34 e 35 relativi alla filiazione, si tiene conto del rinvio soltanto ove esso conduca all’applicazione di una legge che consenta di stabilire la filiazione. Si ha invece concorso successivo di criteri di collegamento quando la norma di conflitto impiega in sequenza (o a cascata) due o più criteri di collegamento, ciascuno dei quali subentra a quello (o quelli) che lo precede quando quest’ultimo non è in grado di funzionare nel caso in questione. I criteri sono elencati secondo un ordine decrescente che riflette la valutazione del legislatore circa l’ordinamento maggiormente adatto a regolare la categoria della fattispecie in ragione della maggiore o minore intensità dell’attacco al caso in questione. La legge tende a distinguere quali siano le connessioni più significative in funzione delle categorie di fattispecie disciplinate dalla singola norma di conflitto. Tuttavia i criteri sussidiari destinati a subentrare a quello di cittadinanza, ovvero ad integrarlo, sono indicati in via generale da disposizioni apposite che completano le norme di conflitto, fatte salve quelle che dispongono espressamente al riguardo (ad esempio l’art. 29.2: “i

rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono regolati

dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata”). Per gli apolidi43, rifugiati e persone con più cittadinanze, il criterio della cittadinanza viene sostituito da quello del domicilio o, in mancanza, il criterio della residenza (art. 19.1). Per i rifugiati l’articolo indica come criteri sussidiari rispetto a quello della cittadinanza, in successione tra loro il criterio del domicilio e la residenza, conformando il nostro diritto comune a quello stabilito dall’art. 12 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativo allo stato dei rifugiati, mentre per i pluricittadini è previsto che a prevalere sia la cittadinanza italiana o, in mancanza, quella dello stato con il quale esso risulti più strettamente collegato (art. 19.2), con effetti anche per il riconoscimento di sentenze e atti stranieri. Nelle nostre norme di conflitto, i criteri di collegamento (sui generis) della volontà delle parti e della prevalente localizzazione del rapporto non vengono mai usati da soli, ma quello della volontà è alternativo ad un criterio generale, quello della prevalente localizzazione è sempre attribuito un ruolo sussidiario (concorso successivo). La qualificazione è frequente in molti rami del diritto, ad esempio effettua una qualificazione il giudice quando accerta se un determinato comportamento configura un reato piuttosto che un altro.

43 L’art. 16 della legge sulla cittadinanza italiana (legge 5 febbraio 1992, n. 91) dispone: L’apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica è soggetto alla legge italiana per quanto si riferisce all’esercizio dei diritti civili ed agli obblighi del servizio militare. Lo straniero riconosciuto rifugiato dallo Stato italiano secondo le condizioni stabilite dalla legge o dalle convenzioni internazionali è equiparato all’apolide ai fini dell’applicazione della presente legge, con esclusione degli obblighi inerenti il servizio militare.

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Nel diritto internazionale privato ciascuna norma di conflitto ha dei suoi criteri di collegamento e conduce ad un differente risultato per l’applicazione del diritto di questo o quello stato. Dopo aver accertato di avere giurisdizione, il giudice deve innanzitutto decidere quale norma di conflitto (di origine nazionale, convenzionale o comunitaria) si adatti, o sia riconducibile, al caso e per fare questo compie un’operazione di qualificazione. Attraverso la norma di conflitto appropriata il giudice perviene alla identificazione della legge applicabile: la qualificazione serve appunto ad identificare la norma di conflitto adatta alla fattispecie sulla quale il giudice deve pronunciarsi. Implica operazioni di qualificazione anche la determinazione degli ambiti di applicazione delle norme di d.i.p. pattizie e di quelle comunitarie, al fine di decidere se applicare uno o l’altra convenzione internazionale oppure il d.i.p. comunitario o quello nazionale. A ben vedere, anche per accertare di avere giurisdizione il giudice ha già dovuto compiere un operazione analoga, ossia ha dovuto definire senso e portata delle espressioni giuridiche per identificare delle connessioni con il nostro ordinamento idonee a giustificare la sua giurisdizione. Tutti questi passaggi comportano un’operazione di qualificazione (anche se questa espressione viene prevalentemente impiegata riguardo a norme di conflitto) e, in definitiva può dirsi che detta operazione si configura come un problema di interpretazione che dovrà svolgersi secondo il sistema giuridico a cui la norma appartiene. Questo significa che per quanto concerne le norme di conflitto poste dalla legge italiana, la qualificazione deve essere effettuata sulla base del diritto italiano, cioè la lex fori, mentre per le norme di conflitto poste da atti comunitari la qualificazione deve essere operata sulla base del diritto comunitario e lo stesso discorso vale per quelle di origine convenzionale. Questa procedura è largamente condivisa in dottrina e in giurisprudenza ed è sancita dall’art. 2.2 della legge di riforma: “Nell'interpretazione di tali convenzioni si terrà conto del loro

carattere internazionale e dell'esigenza della loro applicazione uniforme.” Con riferimento alla delimitazione dell’ambito di applicazione delle norme di conflitto, il giudice è chiamato a valutare dei fatti non solo nella loro stretta materialità, ma anche degli effetti che se ne vogliono trarre mediante domanda giudiziale di cui egli è investito. Ad esempio, il fatto materiale della morte di una persona in un incidente, può essere alla base di un’azione rivolta contro il responsabile al fine del risarcimento del danno. Inoltre, la qualificazione delle norme di conflitto deve essere autonoma nel senso che deve partire dalla lex fori, ma deve dare alle espressioni giuridiche delle norme di conflitto un senso più ampio ed elastico di quello che hanno le norme del diritto materiale. Ossia nel valutare i fatti dedotti in giudizio per inquadrarli nella norma di conflitto appropriata è necessario un certo grado di flessibilità, nel senso che la qualificazione và operata con una visione della lex fori allargata per quei concetti base (ad esempio matrimonio, successione, ecc.) oggetto delle norme di conflitto. Ad esempio, quando il diritto italiano escludeva il divorzio, un matrimonio celebrato secondo la legge divorzista estera veniva ricondotto ai rapporti tra coniugi (artt. 18 e 19 delle Preleggi); come oggi, una questione relativa ai rapporti coniugali all’interno di un matrimonio poligamico, appare riconducibile ai rapporti personali e patrimoniali tra coniugi (artt. 29 e 30 del d.i.p.). Il fatto che si debba procedere alla qualificazione sulla base della lex fori può portare, paradossalmente, ad una risoluzione di un determinato caso diversa a seconda che venga sottoposto ai giudici di uno o un altro stato, anche se i due stati hanno le stesse norme di conflitto. In questo senso è utile ricordare il caso Bartholo del 1889 dove una vedova reclamava parte dei beni del marito in una controversia che interessava Malta e l’Algeria allora francese. Sebbene i due stati avessero le stesse norme di conflitto, le risoluzioni erano diverse, perché per l’ordinamento di Malta (dove i coniugi si sono sposati) il caso era qualificato nelle successioni e quindi avrebbero applicato le relative norme di conflitto, mentre per l’ordinamento francese (il marito, cittadino francese, si era trasferito ad Algeri fino alla sua morte) il caso era qualificato nei rapporti tra coniugi e quindi avrebbero applicato le relative norme di conflitto. Dunque, per ottenere soluzioni uniformi (la c.d. armonia internazionale delle soluzioni) non è sufficiente l’identità delle norme di conflitto, occorre assicurare un’interpretazione (quindi una

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qualificazione) uniforme. Persistendo la diversità tra i sistemi di diritto privato materiale, questo è un obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso la stipulazione di accordi tra stati, tanto bilaterali che multilaterali, che porti anche, ad avere norme uniformi di conflitto, sulla giurisdizione e sul riconoscimento delle sentenze. Infatti l’art. 2.2 della legge 218 dispone che il giudice italiano debba utilizzare i canoni interpretativi dell’ordinamento internazionale e dei trattati e questo vale anche per quella particolare operazione interpretativa data dalla qualificazione con cui viene determinata la norma di conflitto. Per il superamento dei particolarismi giuridici ed il raggiungimento di soluzioni uniformi, le convenzioni internazionali usano espressioni ampie e generali, il cui senso letterale sia idoneo a ricomprendere svariati sensi normativi. Un esempio è dato dalla convenzione dell’Aja che impiega l’espressione protezione dei minori per includere le diverse forme di protezione note alle legislazioni statali. Ma non sempre questo è possibile e pertanto è la convenzione stessa a prevedere una diversa modalità di qualificazione. Non mancano infatti casi nei quali le posizioni di partenza sono inconciliabili al punto che gli stati rinunciano a formulare una definizione convenzionale di nozioni anche cruciali. Esemplare è al riguardo la convenzione di Bruxelles, le cui regole sulla giurisdizione si applicano quando il convenuto sia una persona fisica domiciliata nel territorio di uno stato contraente, senza specificare in cosa consistono queste due nozioni (persona fisica e domicilio). Lo stesso avviene per i regolamenti 44/2001 e 2201/2003 e per il misterioso domicile del Regno Unito e Irlanda. Una difficoltà emerge rispetto al collegamento della cittadinanza impiegato tanto dalla nostra legge che dalle norme pattizie. Questo criterio di collegamento, per sua natura, non è suscettibile di venire qualificato dalla lex fori: gli stati infatti, per il carattere politico-giuridico proprio di tale vincolo, possono soltanto conferire o negare la propria cittadinanza e, come è stato riconosciuto dalla Corte di giustizia, non sono in proposito assoggettabili a controllo da parte di altri stati, trattandosi di materia che rientra nella competenza esclusiva (c.d. dominio riservato) di ciascuno di loro. Inoltre il giudice italiano può trovarsi di fronte ad individui che nessuno stato considera propri cittadini, gli apolidi, come pure individui che possiedono più di una cittadinanza. Il fenomeno della doppia o addirittura plurima cittadinanza tende anzi a presentarsi con frequenza sempre maggiore basti pensare che, a differenza di quanto era previsto in passato, oggi la cittadinanza italiana si trasmette sempre al figlio e che i cittadini della Unione europea godono della cittadinanza complementare dell’Unione (art. 18 del trattato CE). Così come resta il fenomeno dei rifugiati politici per i quali sembra incongruo sottoporre alla legge dello stato di origine, da cui sono fuggiti, la disciplina di diritti personali e rapporti familiari. Ormai si è imposto a livello internazionale il principio per cui lo stato non può legittimamente conferire la propria cittadinanza a individui con cui non abbia un legame effettivo. A orientare il giudice nell’individuazione del collegamento più stretto tra il soggetto ed un determinato stato membro, sono il domicilio e la residenza, nonché la continuità, la durata e l’attualità, ma anche altri indizi come la lingua del soggetto. La prevalenza della cittadinanza del foro, per quelli che la possiedono, e la cittadinanza con il collegamento più stretto, per gli altri, potrebbe comportare il verificarsi di discriminazioni vietate dal diritto comunitario. Una sentenza del 2003 della Corte di giustizia ha affrontato il problema del cambiamento di cognome di minori con doppia cittadinanza belga e spagnola. I genitori avevano chiesto alle autorità del Belgio, stato di residenza, di far assumere ai figli il cognome di cui sarebbero titolari secondo il diritto spagnolo. Il Belgio ha respinto la domanda, perché lo stato e la capacità delle persone sono disciplinati dalla loro legge nazionale e quindi al cittadino belga va applicata solo la legge belga (in conformità alla regola consuetudinaria di prevalenza della cittadinanza del foro). La Corte comunitaria da un lato riconosce che la disciplina del cognome è competenza degli stati membri, ma dall’altro precisa che, ove un cittadino di uno stato membro soggiorni legalmente in un altro stato membro, entra in gioco il diritto comunitario e pertanto al Belgio non è consentito sminuire la cittadinanza attribuita agli interessati dalla Spagna. Lo stato

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membro non è legittimato a limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il suo riconoscimento. Le norme di conflitto dell’art. 19 possono dar luogo a dubbi se il richiamo alla legge nazionale avviene nei confronti non della singola persona, ma dei coniugi. In questi casi, se uno dei coniugi è apolide o rifugiato, si tratterebbe di vedere se il domicilio è nello stato di cui l’altro coniuge è cittadino e se è così, applicare la legge di tale stato come legge nazionale comune. Se così non fosse, si dovrebbe passare al criterio di collegamento sussidiario e applicare la legge dello stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata. Nel caso in cui soltanto uno dei coniugi abbia due cittadinanze, di cui una italiana, vi è stata solo una sentenza del tribunale di Venezia del 1996 che per i coniugi, uno con nazionalità francese ed italiana e l’altro solo francese, ha applicato il diritto francese come legge nazionale comune. La maggior parte delle norme di conflitto riguarda una più o meno ampia categoria di fattispecie. Vi sono tuttavia anche norme di conflitto che contemplano determinati aspetti idonei ad assumere rilievo in ordine a più categorie di fattispecie. Questa tecnica legislativa è usata per norme di conflitto relative ad aspetti particolari di una o più categorie di fattispecie che prendono il nome di depeçage e frazionamento. Il depeçage è una tecnica legislativa trasversale per frazionare norme di conflitto in relazione ad aspetti particolari di diverse categorie di fattispecie. Ad esempio la capacità giuridica e di agire (artt. 20 e 23) può essere usata in maniera particolare sia per verificare la capacità di contrarre matrimonio (art. 27), quindi per la categoria del matrimonio, che come capacità del genitore di riconoscere i figli (art. 35), quindi per la categoria della legittimazione dei figli. Il frazionamento, previsto dalla convenzione di Roma del 1980, segue lo stesso concetto del depeçage, ma consiste nella possibilità per le parti o il giudice (non riguarda profili particolari) di sottoporre una parte del contratto alla legge di uno stato ed un’altra alla legge di un altro stato. Mentre l’art. 6 della legge 218 – questioni preliminari – prende atto dell’esistenza di questioni preliminari la cui soluzione è necessaria per decidere sulla domanda proposta e conferisce al giudice italiano il potere-dovere di decidere, anche se di per sé non rientrerebbero nella sua giurisdizione, nulla dispone circa la legge da applicare a dette questioni. Quindi la questione preliminare non è posta a titolo principale, ma è necessaria per risolvere la questione principale e quindi la risoluzione della questione preliminare condiziona quella principale. Ad esempio nel caso Ponnoucannamalle (1931), per una questione di eredità contesa tra figli legittimi ed adottivi, fu posta alla Cassazione francese la questione preliminare che quell’adozione era illegittima, perché contraria alla legge francese che precludeva l’adozione in presenza di figli legittimi. Le questioni preliminari si pongono per lo più nel campo del diritto di famiglia: basti pensare alla filiazione legittima che presuppone il matrimonio, ma che può costituire anche una questione preliminare per la successione. Una prima soluzione consiste nel sottoporre la questione preliminare alla legge richiamata dalla norma di conflitto del foro che la contempla specificatamente: investito di una questione successoria da decidere in base alla legge nazionale del defunto richiamata dall’art. 46 (Successione per causa di morte), il giudice italiano dovrebbe accertare lo stato di figlio legittimo dell’erede (presunto), in base alla legge nazionale di quest’ultimo richiamata dall’art. 33 (Filiazione), proprio come se la questione della filiazione si ponesse in via principale. Si parla pertanto di soluzione disgiunta perché il giudice applica due diverse leggi nazionali, quella del figlio e quella del defunto. Una seconda soluzione consiste nel sottoporre la questione preliminare alla stessa legge applicabile alla questione principale: nell’ipotesi prospettata il giudice italiano dovrebbe accertare lo stato di figlio dell’erede in base alla legge nazionale del defunto richiamata dall’art. 46. In questo caso si parla di soluzione di assorbimento. Una terza soluzione funziona al contrario, cioè consiste nel sottoporre la questione principale alla legge applicabile alla questione preliminare: il giudice italiano dovrebbe accertare lo stato di figlio dell’erede in base alla legge nazionale del figlio e decidere la successione in base a questa stessa legge. In questo caso si parla di soluzione congiunta.

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Una quarta soluzione consiste nel sottoporre la questione preliminare al diritto materiale del foro: il giudice italiano dovrebbe applicare la legge italiana ad entrambi per accertare lo stato di figlio dell’erede e per decidere la successione. Giova notare che il problema si pone solo allorché la norma di conflitto sottoponga la questione principale a un diritto straniero diverso da quello richiamato per la questione preliminare. La prima soluzione è preferibile alle successive perché il giudice italiano non può non tenere conto di una norma di conflitto solo perché la questione si presenta in giudizio come preliminare. Se la questione che il giudice italiano deve affrontare in via preliminare è stata già oggetto di una decisione dei giudici a cui si richiama la nostra norma di conflitto per quella principale, il giudice italiano può prenderne atto e riconoscere la decisione ai sensi dell’art. 65.

IL DIRITTO APPLICABILE

Una norma di conflitto ha una struttura formata da due elementi essenziali (salvo eccezioni): la categoria astratta ed il criterio di collegamento. La categoria astratta è la fattispecie a cui quella norma si riferisce (ad esempio il matrimonio, la successione, eccetera), invece il criterio di collegamento individua l’ordinamento competente alla categoria astratta. La funzione delle norme di conflitto consiste nella individuazione (richiamo o rinvio) del diritto applicabile. Ad esempio, per la disciplina dei rapporti personali tra coniugi, l’art. 29 in primo luogo richiama (o rinvia) alla legge nazionale comune. Del c.d. problema del rinvio si occupa l’art. 13 della legge di riforma: se il rinvio al d.i.p. dell’ordinamento straniero operato dalle norme di d.i.p. italiane rimandano al nostro stesso ordinamento abbiamo un rinvio indietro, se invece rimandano alla legge di un terzo stato abbiamo un rinvio oltre o altrove (ad esempio la norma di conflitto italiana rimanda a quella francese e questa, a sua volta a quella belga). Questo problema nasce dalla contrapposizione fra sistemi di d.i.p. incentrati sul criterio di collegamento della cittadinanza e del domicilio. Infatti non è raro che una norma di conflitto di un certo ordinamento utilizzi per una categoria di fattispecie un criterio di collegamento, ad esempio la cittadinanza, quando per la stessa categoria un altro stato utilizzi il criterio di collegamento del domicilio. Ad esempio l’art. 26 della legge italiana dispone che per la promessa di matrimonio e le

conseguenze della sua violazione sono regolate dalla legge nazionale comune dei nubendi (la cittadinanza) o, in mancanza, dalla legge italiana. Quindi se nel caso concreto i nubendi sono russi e il loro d.i.p. ha una norma analoga, ma il criterio di collegamento è il domicilio al posto della cittadinanza, viene applicata la legge italiana anziché quella russa44. Le materie per le quali l’art. 13 prevede il ricorso al rinvio (altrove accettato e rinvio indietro) sono quelle che attengono alla capacità e ai diritti delle persone fisiche, alle persone giuridiche, ai rapporti di famiglia, alle successioni per causa di morte e ai diritti reali. A fare emergere con grande evidenza il problema è stata una vicenda ottocentesca: il caso Forgo concluso con una pronuncia della Corte di cassazione francese del 22 febbraio 1882. Forgo, cittadino bavarese, è vissuto in Francia sin da bambino senza riuscire ad acquistare né domicilio né cittadinanza francese. Nel 1869 muore senza testamento lasciando un ingente patrimonio immobiliare situato interamente in Francia. I soli parenti di Forgo erano alcuni collaterali della madre i quali sarebbero stati eredi se la successione fosse stata regolata dal diritto materiale bavarese, mentre per quello francese non erano considerati tali e pertanto succedeva lo stato francese. A seguito di una prima sentenza sfavorevole, l’Amministrazione francese ricorre per Cassazione ponendo espressamente la questione del rinvio e della qualificazione del caso. La Cassazione francese accoglie il ricorso ed enfatizza il rinvio dal diritto francese a quello bavarese e da questo, di nuovo (rinvio indietro) a quello francese; infatti la suprema Corte afferma che il Forgo non aveva ne domicilio ne residenza in Francia e pertanto bisognava applicare il diritto

44 Applicare la legge russa significherebbe violare quella stessa legge, in quanto dispone che a regolare la promessa di matrimonio è la legge del domicilio dei nubendi e non quella della cittadinanza.

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bavarese, ma questo rinvia al diritto francese in quanto è competente la legge del luogo dove gli immobili sono situati45. In merito al problema del rinvio i vari sistemi di d.i.p. accolgono soluzioni diverse, mentre il legislatore italiano del 1865 non si era espresso e la giurisprudenza aveva assunto una posizione negativa, confermata dal legislatore del 1942. L’art. 30 delle Preleggi, sotto la rubrica “Rinvio ad altra legge” stabiliva: “Quando, ai termini degli articoli precedenti, si deve applicare una legge straniera, si applicano le disposizioni della legge stessa senza tener conto del rinvio da essa fatto ad altra legge”. La stessa riforma lasciava invariato questo aspetto, ma durante i lavori parlamentari viene approvato un emendamento alla commissione giustizia della Camera che diventerà il definitivo art. 13.1 della legge 218: quando è richiamata una legge straniera, si tiene conto del rinvio operato dal d.i.p. straniero alla legge di un altro Stato: a) se il diritto di tale stato accetta il rinvio (rinvio altrove accettato); b) se si tratta di rinvio alla legge italiana (rinvio indietro). Per l’art. 13.2, il rinvio è escluso: a) nei casi in cui è applicabile la legge straniera sulla base della scelta effettuata dalle parti; b) riguardo alle disposizioni concernenti la forma degli atti; c) in relazione alle obbligazioni non contrattuali. Nei casi di cui agli artt. 33 (accertamento della filiazione), 34 (legittimazione) e 35 (riconoscimento del figlio naturale) si tiene conto del rinvio soltanto se esso conduce all'applicazione di una legge che consente di stabilire la filiazione (art. 13.3). Questa norma è data dalla necessità di evitare che il rinvio conduca a risultati pregiudizievoli per il figlio. Anche in materia di rinvio, quando la legge 218 dichiara in ogni caso applicabile una convenzione internazionale si segue sempre la soluzione adottata dalla convenzione (art. 13.4). I casi in questione sono le due convenzioni riguardanti la protezione dei minori (art. 42) e le obbligazioni alimentari in ambito familiare (art. 45) che peraltro sono mute in tema di rinvio; la convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (art. 57) che esclude il rinvio e le convenzioni su i titoli di credito (art. 59) che invece lo ammettono. Disponendo la nostra legge che si tenga conto del d.i.p. straniero, bisogna considerare anche la qualificazione della fattispecie data dall’ordinamento straniero richiamato. Ciò trova conferma nella previsione dell’art. 15, in base al quale la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo. Il risultato è che si potrebbe pervenire a una qualificazione discordante da quella operata in partenza dal nostro ordinamento. Per evitare questo, in forza delle previsioni dell’art. 13, il giudice italiano dovrebbe applicare una delle norme di conflitto dell’ordinamento richiamato la cui qualificazione coincide con quella della legge italiana. L’unica pronuncia in cui è stato affrontato il tema del rinvio risulta essere quella emessa dal tribunale di Pordenone nel 2002 che in virtù del rinvio indietro operato dalla legge nazionale ha applicato le norme materiali italiane per dichiarare la interdizione di una cittadina argentina residente in Italia. Sotto la rubrica - Conoscenza della legge straniera applicabile – l’art. 14.1 stabilisce: “l’accertamento della legge straniera è compiuto d'ufficio dal giudice” viene così sancito il principio iura novit curia (il giudice conosce le leggi)46. Lo stesso articolo prosegue con l’indicazione dei mezzi di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, quali: apposite convenzioni internazionali (in particolare la convenzione europea nel campo della formazione sul diritto straniero del 1968), acquisire informazioni per il tramite del Ministero della giustizia e rivolgersi a istituzioni specializzate o ad esperti (anche nella forma di una consulenza tecnica). Resta ferma la possibilità che le parti collaborino con il giudice attraverso gli abituali mezzi di prova.

45 Dopo il caso Forgo, il rinvio sembra essere stato utilizzato solo in due casi: nel caso De Marchi del 1938 e nel caso Ballestrero del 2000 sempre per cause relative a successioni per causa di morte. 46 La locuzione latina iura novit curia esprime un fondamentale principio del diritto processuale moderno in virtù del quale le parti possono limitarsi ad allegare e provare i fatti costituenti il diritto affermato in giudizio, mentre la legge non deve essere provata al giudice, perché egli la conosce a prescindere da ogni attività delle parti. La legge 218/95 ha esteso il principio iura novit curia anche al diritto straniero.

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L’esplicita enunciazione del principio iura novit curia conferma la possibilità che, per il diritto straniero applicato nel nostro ordinamento, vi sia la possibilità che la sua violazione o errata applicazione dia luogo a ricorso per Cassazione. In caso di reale impossibilità di applicare il diritto straniero richiamato dalla norma di conflitto, in quanto il giudice non riesce ad accertare la legge straniera neanche con l'aiuto delle parti, applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa e in mancanza si applica la legge italiana (art. 14.2), ma il ripiegamento sulla lex

fori può avvenire solo come soluzione residuale. L’art. 14.2 tiene conto della tecnica legislativa usata in gran parte delle norme di conflitto che utilizzano in successione tra loro più criteri di collegamento (concorso successivo) idonee a richiamare, in sequenza, diverse leggi straniere. In questo senso un parallelo può essere fatto con l’art. 16 - Ordine pubblico – “La legge straniera

non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico. In tal caso si applica la legge

richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi

normativa. In mancanza si applica la legge italiana.” Ancora una volta solo in estrema ratio è possibile applicare la legge italiana. Il principio iura novit curia accolto dall’art. 14.1 vale non solo riguardo al diritto materiale straniero, ma anche riguardo al d.i.p. dell’ordinamento richiamato dalla norma di conflitto italiana, laddove entra in gioco il rinvio disposto dall’art. 13. Dunque, l’accertamento, compiuto d’ufficio dal giudice, deve includere la riqualificazione della fattispecie alla luce dell’ordinamento straniero richiamato. Il giudice italiano deve individuare quale tra le norme di conflitto dell’ordinamento straniero sia applicabile nel caso di specie. Se entra in gioco il rinvio, qualche maggiore complicazione sussiste nell’eventualità che risulti impossibile acquisire la conoscenza del diritto internazionale privato straniero, ipotesi disciplinata dall’art. 14.2, in relazione al fatto che numerose sono le norme di conflitto che utilizzano una pluralità di criteri di collegamento in concorso successivo tra loro. La previsione dell’art. 15, in base al quale la legge straniera è applicata secondo i propri criteri di interpretazione e di applicazione nel tempo, implica l’individuazione delle regole che lo stesso ordinamento richiamato ritiene idonee a disciplinare la fattispecie e l’accertamento del significato che esse hanno nel loro contesto normativo. Commentando la disposizione in esame, la relazione ministeriale segnala come ad essa ci si debba rifare anche per risolvere eventuali dubbi circa la conformità alla costituzione dello stato cui appartiene la norma straniera da applicare. Se nell’ordinamento straniero il sindacato di costituzionalità delle leggi è operato direttamente dal giudice (controllo diffuso), è consentito al giudice italiano chiamato ad applicare una norma di quell’ordinamento verificare la conformità ai precetti costituzionali cui è subordinata. Se viceversa nell’ordinamento straniero il controllo è accentrato, il giudice italiano dovrà tenere conto delle decisioni adottate da tale organo, ma non sarà in grado di attivarlo chiedendo egli stesso sulla incostituzionalità della disposizione. In caso di incompatibilità della norma straniera con la Costituzione italiana, il problema và affrontato ricorrendo al limite dell’ordine pubblico, cioè non applicando la norma straniera. La problematica dei conflitti di legge interna (contrapposta a quella dei conflitti tra legislazioni appartenenti a stati diversi che costituiscono materia del diritto internazionale privato), si presenta in relazione agli stati plurilegislativi, cioè quegli stati in cui vigono più legislazioni civilistiche su base territoriale (conflitti interlocali) o su base personale (conflitti interpersonali). I conflitti interlocali si pongono allorquando nelle varie zone (regioni, stati, province, cantoni) in cui lo stato è suddiviso vigono normative differenti. Le ipotesi sono: stati federali (come U.S.A. e Canada) dove i vari membri godono di autonomia legislativa; stati politicamente unitari, ma legislativamente differenziati; stati in cui, a seguito dell’annessione di nuovi territori, vigono temporaneamente normative diverse. I conflitti interpersonali invece si producono quando nel territorio dello stato vigono contemporaneamente più legislazioni, ciascuna delle quali però è applicabile soltanto ad una

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determinata categoria di persone. È un fenomeno che si è ridotto con la decolonizzazione ed oggi riguarda essenzialmente la materia matrimoniale: accanto a stati che riconoscono esclusivamente il matrimonio civile, (Francia, Svizzera, ecc.), ve ne sono altri che riconoscono anche quello religioso a cui ricollegano anche effetti civili (Italia, Spagna, ecc.). Risolve entrambi i tipi di conflitto lo stato centrale, attraverso l’emanazione di norme attributive di competenza ai vari sotto-ordinamenti territoriali o personali. Ma il problema si pone anche indirettamente quando una delle norme di d.i.p. indichi come applicabile il diritto di uno stato plurilegislativo. La legge 218 all’art. 18.1 - Ordinamenti plurilegislativi dispone: “Se nell'ordinamento dello Stato

richiamato dalle disposizioni della presente legge coesistono più sistemi normativi a base

territoriale o personale, la legge applicabile si determina secondo i criteri utilizzati da

quell'ordinamento.” Questo comma rispecchia la scelta del legislatore italiano di seguire il criterio di collegamento manciniano della cittadinanza per il richiamo ad ordinamenti stranieri, mentre soluzioni diverse sono possibili in quei sistemi di d.i.p. che utilizzano il domicilio come criterio di collegamento principale. Infatti nei paesi di common law è diffusa la tesi che le norme di d.i.p. siano idonee ad operare un immediato richiamo tanto degli ordinamenti statali stranieri, quanto degli ordinamenti territoriali interni. Quanto agli ordinamenti legislativi a base personale va messo in rilievo che l’art. 18.1 apre la strada all’applicazione dei diritti non statali (in particolare religiosi) da parte del giudice, al quale è fatto obbligo di seguire le regole per mezzo delle quali l’ordinamento dello stato estero, richiamato dalla nostra norma di conflitto, si appropria di una normativa religiosa. Infatti, può accadere che l’ordinamento richiamato dalla norma di conflitto in una determinata materia non abbia una legge statale, ma abbia delegato la disciplina a norme che sono di origine non statale e in particolare di una confessione religiosa. Casi di questo genere li possiamo ritrovare negli ordinamenti musulmani e cattolici (ad esempio, per il matrimonio nel Portogallo). La relazione ministeriale chiarisce che i criteri secondo cui l’ordinamento centrale distribuisce le varie fattispecie tra i sotto-ordinamenti possono essere esplicitamente previsti dal legislatore straniero o semplicemente elaborati dalla giurisprudenza o messi in luce dalla dottrina, altre volte invece avviene che i sistemi di d.i.p. siano modellati sui sistemi di conflitto interlocali. Ma se in nessun modo il giudice riesce ad individuare detti criteri, egli deve applicare il 2° comma dell’art. 18: “Se tali criteri non possono essere individuati, si applica il sistema normativo con il quale il

caso di specie presenta il collegamento più stretto (cioè il principio di effettività).” Il giudice quindi, attraverso la valorizzazione dei singoli elementi di contatto, deve determinare l’effettiva attinenza della fattispecie al singolo sotto-ordinamento territoriale o personale. Anche il nostro ordinamento, come gli altri, mentre si apre verso i valori giuridici esterni per mezzo delle norme di d.i.p., al tempo stesso va nella direzione opposta con altre norme. Tra queste la principale è la clausola o eccezione dell’ordine pubblico, il cui fine primario dichiarato è quello di preservare l’armonia interna dell’ordinamento, precludendo l’applicazione da parte del giudice italiano di norme straniere che possono produrre effetti non compatibili con i principi etici, economici, politici e sociali del nostro ordinamento giuridico. Questo strumento trova espressione nel 1° comma dell’art. 16 della legge di riforma: “La legge

straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all'ordine pubblico.” Rispetto all’abrogata formulazione dell’art. 31 delle Preleggi, scompare il riferimento al buon costume. Viene altresì superato il lungo e intricato dibattito sull’unilateralità delle nozioni di ordine pubblico interno e di ordine pubblico internazionale. La Corte di giustizia ha riaffermato che l’ordine pubblico di ciascuno stato comunitario incorpora necessariamente i principi che assicurano la tutela dei diritti fondamentali, secondo le indicazioni fornite dai trattati internazionali. Sempre la Corte ha affermato che il limite dell’ordine pubblico è ricavabile anche nel diritto processuale e in particolare nei diritti della difesa, i principi del contraddittorio e dell’imparzialità del giudice, rientranti nel concetto più generale dell’equo processo.

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In passato la giurisprudenza si è mostrata propensa ad invocare l’ordine pubblico processuale in relazione alle sentenze straniere prive di motivazione esplicita (Cass. 1979), ma il problema non è da poco in relazione al fatto che in alcuni stati (Belgio e Germania) le sentenze di primo grado non sono motivate. Inoltre, il limite dell’ordine pubblico scatterebbe nell’ipotesi di sentenze fondate esclusivamente sulle dichiarazioni della parte creditrice. L’ordine pubblico di cui all’art. 16 è quello che si suole tradizionalmente definire come ordine pubblico “internazionale” per distinguerlo dall’ordine pubblico “interno”. La distinzione tra l’uno e l’altro è posta, in primo luogo, con riferimento alla funzione: • L’ordine pubblico internazionale costituisce una eccezione al normale funzionamento delle

norme di diritto internazionale privato. • L’ordine pubblico interno, invece, non ha nulla di eccezionale, costituendo (insieme al buon

costume ed alle norme imperative ex art. 1343 cod. civ.) un limite normale alla libertà negoziale, ovvero alla facoltà dei privati di autoregolamentare i propri interessi.

E’ osservazione comune, inoltre, che l’ordine pubblico internazionale ha un contenuto più ristretto dell’ordine pubblico interno. Si pensi a due cerchi concentrici: quello più largo racchiude i principi dell’ordine pubblico interno, quello dal raggio più corto racchiude i principi dell’ordine pubblico internazionale47. Così, ad es., la norma italiana che fissa il limite della maggiore età (18 anni) per l’acquisto della capacità di agire è una norma di ordine pubblico interno (tant’è che non può essere derogata per volontà privata), ma non esprime un principio di ordine pubblico internazionale tant’è che le norme straniere possono disporre diversamente. Tuttavia, l’aggettivo internazionale non compare nell’art. 16 e neppure negli artt. 64 (riconoscimento di sentenze straniere) e 65 (riconoscimento di provvedimenti stranieri), ma è la collocazione sistematica delle disposizioni in esame a rendere manifesto che il riferimento è all’ordine pubblico internazionale. Merita altresì ricordare come la clausola o eccezione di ordine pubblico compaia sempre, oltre che nei d.i.p., anche nelle convenzioni, sia quelle relative alla legge applicabile, sia quelle sul riconoscimento delle sentenze e persino nei regolamenti Bruxelles I e II. Il limite dell’ordine pubblico è relativo nel tempo e nello spazio. La relatività nel tempo discende dalla possibilità di cambiamento delle leggi di un determinato ordinamento. Ad esempio la legge sul divorzio del 1970 ha introdotto la possibilità per il giudice italiano di applicare leggi divorziste straniere, ma fino ad allora questa era preclusa proprio per il limite dell’ordine pubblico. Un altro esempio è dato dalla sentenza della Cassazione 20 marzo 1998, n. 2946, in materia di differenza di età tra adottante e adottato. La relatività nello spazio discende dai differenti valori che improntano i vari sistemi giuridici: si pensi alle regole che vietano il matrimonio tra religioni diverse. Un altro limite, realmente internazionale, all’ordine pubblico è dato dalla salvaguardia dei principi universali, in quanto propri della Comunità degli stati (Dichiarazione universale dei diritto dell’uomo del 1948, Convezione europea dei diritti dell’uomo, ecc,). Il giudice ha un ruolo decisivo laddove sia fatta valere una pretesa basata esclusivamente su di una determinata norma straniera, in quanto se accerta che non può trovare applicazione perché in contrasto con l’ordine pubblico, pur appartenendo all’ordinamento competente secondo la nostra norma di conflitto, rigetta la domanda.

47 In virtù dell’indeterminatezza del concetto di ordine pubblico rimanda ai problemi “classici” del diritto internazionale privato (tra i quali, i patti successori stranieri, il fedecommesso illimitato, i testamenti orali all’estero, il patto di quota lite ammissibile in taluni ordinamenti, la riconoscibilità di sentenze prive di motivazione o emesse senza difesa tecnica delle parti in causa), a cui si affiancano i nuovi che ci propone oggi l’ordine pubblico internazionale: si pensi al matrimonio poligamico, al ripudio della donna, all’adozione effettuata dai single, al testamento biologico, alle garanzie negative del commercio internazionale, alla libertà di licenziamento, alle convivenze omosessuali e a tutto il settore che viene definito delle “biotecnologie” (fecondazione eterologa, fecondazione post mortem, clonazione).

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Innovando rispetto all’abrogato art. 31 delle Preleggi che nulla diceva al riguardo, il 2° comma dell’art. 16 regolamenta il caso di una norma disapplicata dal giudice per motivi di ordine pubblico: “In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente

previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana.” Questa norma ha lo scopo di disincentivare ricorsi di comodo all’eccezione dell’ordine pubblico e di favorire il rispetto della volontà legislativa, delineando una gerarchia di criteri di collegamento, una pluralità di soluzioni, preferibili al diritto italiano. Oltre all’ordine pubblico internazionale, un secondo limite al normale funzionamento delle norme di diritto internazionale privato è rappresentato dalla presenza di norme di applicazione necessaria48 che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, trovano applicazione anche quando il diritto straniero avrebbe dovuto essere applicato in base alle norme conflitto. Caratteristica delle “norme di applicazione necessaria” è quella, disposta dall’art. 17, di dover essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera e in tal modo hanno la funzione di limite preventivo all’operare delle norme di conflitto. In altre parole le norme di applicazione necessaria devono essere applicate dal giudice, prima che questi possa determinare quale diritto straniero potrebbe essere richiamato dalla norma di conflitto. Invece, l’eccezione di ordine pubblico interviene come limite successivo rispetto al funzionamento della norma di conflitto, disattivandola a posteriori, perché le conseguenze che produrrebbe nel foro di applicazione da essa richiamato risulterebbero inaccettabili. Generalmente le norme di applicazione necessaria si basano sugli stessi principi posti per l’ordine pubblico49, anche se spesso disciplinano aspetti particolari e circoscritti (a volte addirittura marginali) di una fattispecie, non già l’intera fattispecie nel suo complesso. La relazione ministeriale indica come esempi di norme applicazione necessaria quelle che disciplinano il profilo valutario delle obbligazioni contrattuali, la capacità di porre in essere determinati atti, in materia di locazione di immobili, adozione e protezione degli incapaci, di pratiche restrittive della concorrenza, di tutela del risparmio e di mercati finanziari, di tutela del consumatore e in molti altri campi. Accanto alle norme di applicazione necessaria propriamente dette, esiste una sottocategoria di norme chiamate autodelimitate o spazialmente condizionate aventi un ambito di applicazione che non ammette deroghe. Tra esse vi sono quelle che espressamente contemplano situazioni non totalmente interne chiamate anche norme di d.i.p. materiale: l’art. 115 e 116 c.c. che riguardano il matrimonio degli italiani all’estero e degli stranieri in Italia, così come molte previsioni della disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori in relazione alle adozioni internazionali. Peraltro, di solito sono le stesse regole materiali interne ad esigere di venire applicate anche a situazioni e rapporti transnazionali ed è compito del giudice riconoscerle. Nell’interpretare la norma per accertarne il carattere di applicazione necessaria, il giudice possiede inevitabilmente, come rispetto alla clausola di ordine pubblico, un certo margine di discrezionalità. Qui però deve concentrare la sua attenzione su una specifica regola dell’ordinamento del foro, senza operare raffronti con i valori giuridici esterni. Tuttavia, in relazione alla loro applicazione, danno luogo a due problemi. Il primo è che in relazione alla loro funzione di garanzia sociale, talune norme di applicazione necessaria prevedono l’intervento di autorità pubbliche o il ricorso a procedure che ne rendono assai difficile, se non impossibile, l’applicazione al di fuori del proprio contesto giuridico. Il secondo è in relazione alla previsione dell’art. 7.1 della convenzione di Roma che autorizza il giudice a dare efficacia alle norme di applicazione necessaria di un terzo stato sulla base di concrete valutazione del caso. Ad esempio se un francese ed un italiano decidono di applicare ad un contratto

48 Dette anche norme di immediata applicazione, norme di collegamento speciale, norme d.i.p. materiale, ecc. 49 Ma ve ne sono alcune che rispondono a esigenze di carattere pratico ed organizzativo (per esempio quelle relative all’apertura dei negozi che riflettono la scelta pratica del legislatore di organizzare in un dato modo un settore di attività economica).

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di compravendita su beni archeologici la legge spagnola, non possono eludere le norme di applicazione necessaria della legge italiana su tali beni, anche se formalmente tale legge è esclusa dal contratto. Le norme di applicazione necessaria sono presenti nella generalità degli ordinamenti giuridici stranieri e come per il limite dell’ordine pubblico, non incidono nel diritto comunitario e pertanto atti e trattati internazionali debbono essere applicati dal giudice senza poter opporre sia il limite dell’ordine pubblico che quello delle norme di applicazione necessaria. Fa eccezione la convezione di Roma del 1980 che, per sua stessa previsione (art. 7.2), tali norme trovano egualmente applicazione.

IL RICONOSCIMENTO E L’ESECUZIONE DELLE DECISIONI GIUDIZIARIE

STRANIERE

Il regolamento comunitario 44/2001

Il legislatore comunitario parte dall’assunto della reciproca e piena fiducia negli ordinamenti degli stati membri e nelle decisioni dei loro giudici. Illuminanti al riguardo sono due passi (16 e 17) del preambolo del regolamento 44/2001: “(16) La reciproca fiducia nella giustizia in seno alla

Comunità implica che le decisioni emesse in un altro Stato membro siano riconosciute di pieno

diritto, ossia senza che sia necessario esperire alcun procedimento, salvo che vi siano

contestazioni. (17) La reciproca fiducia implica altresì che il procedimento inteso a rendere

esecutiva, in un determinato Stato membro, una decisione emessa in un altro Stato membro si

svolga in modo efficace e rapido. A tal fine la dichiarazione di esecutività di una decisione

dovrebbe essere rilasciata in modo pressoché automatico, a seguito di un controllo meramente

formale dei documenti prodotti e senza che il giudice possa rilevare d'ufficio i motivi di diniego

dell'esecuzione indicati nel presente regolamento.” Le istituzioni comunitarie aspirano ad istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e

giustizia in vista del quale, lo stesso Trattato della C.E. (artt. 61 e 65) prevede l’adozione di misure per migliorare e semplificare il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Il regolamento 44/2001 rappresenta un passaggio importante di un lavoro avviato con la convezione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, seguito dal regolamento n. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati. L’art. 33.1 del regolamento Bruxelles I stabilisce: “Le decisioni emesse in uno Stato membro sono

riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento.” Il riconoscimento avviene in virtù di un procedimento normativo (ope iuris o ipso iure) anziché giudiziario (ope iudicis). La parte interessata che si oppone al riconoscimento in via principale può chiedere la verifica dei requisiti di cui all’art. 34 (art. 33.2). A fruire del regime privilegiato, quasi automatico, di riconoscimento ed esecuzione sono tutte le decisioni rese da autorità giudiziarie degli stati membri, incluse quelle rese in procedimenti intentati a persone non domiciliate nella Comunità in virtù di una competenza nazionale residua (art. 4.1), fatte salve le ipotesi di competenza esclusiva contemplate dall’art. 22. Perché operi il regime privilegiato messo a punto dal regolamento, occorre che si tratti di decisioni pertinenti a materie comprese nel campo di applicazione del regolamento stesso e su tale pertinenza un certo margine di controllo esiste in capo al giudice del riconoscimento anche se è vincolato alle valutazioni operate dal giudice straniero. Al giudice dello stato del riconoscimento e dell’esecuzione compete altresì verificare che il provvedimento rientri nella nozione di decisione data dall’art. 32: “Ai sensi del presente

regolamento, per decisione si intende, a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi

decisione emessa da un giudice di uno Stato membro, quale ad esempio decreto, sentenza,

ordinanza o mandato di esecuzione, nonché la determinazione delle spese giudiziali da parte del

cancelliere.” In questa nozione sono incluse le sentenze non definitive, le decisioni interlocutorie (quelle con cui il giudice straniero abbia affermato la propria competenza in caso di litispendenza

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internazionale). Al contrario, per l’art. 64 della legge 218 sono riconoscibili solo le sentenze definitive. Nemmeno il regolamento 2201/2003 richiede ai fini del riconoscimento, la definitività della sentenza, ma l’art. 21.2 stabilisce che non è necessario alcun procedimento per l'aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno Stato membro a seguito di una decisione di divorzio, separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio pronunciata in un altro Stato membro, contro la quale non sia più possibile proporre impugnazione secondo la legge di detto Stato membro. Inoltre, la Corte di giustizia ha ritenuto che possono fruire del regime di riconoscimento ed esecuzione, già previsto dalla convenzione di Bruxelles, anche i provvedimenti cautelari, ferma restando l’esigenza del rispetto del principio del contraddittorio, mentre ha escluso l’applicabilità della convenzione alle transazioni anche se avvenute dinanzi ad un giudice. Il regime di circolazione delle decisioni giudiziarie configurato dal regolamento ha carattere assoluto, nel senso che a chi intende chiedere il riconoscimento o l’esecuzione di una sentenza straniera non è dato scegliere se avvalersi della procedura prevista dal diritto comune piuttosto che quella del regolamento. A differenza di quanto solitamente avviene negli accordi internazionali relativi al riconoscimento delle sentenze che lasciano al riguardo liberi gli stati contraenti, il regolamento disciplina minutamente la procedura da seguire: quest’ultima deve svolgersi in tutti i paesi dell’Unione, secondo modalità sostanzialmente identiche, al fine di ridurre al minimo le formalità. Il regolamento non fornisce elementi utili per la identificazione di un modello teorico di riferimento per il riconoscimento delle sentenze. Tuttavia in materia esistono due modelli: quello della assimilazione degli effetti, in base al quale si conferiscono alla decisione straniera gli stessi effetti di cui gode una decisione nazionale analoga e quello della estensione degli effetti, secondo cui la decisione straniera viene accettata con gli effetti di cui gode nello stato d’origine. La relazione Jenard si pronuncia per quest’ultima teoria a proposito dell’art. 26 della convenzione di Bruxelles: “Il riconoscimento deve avere come effetto di attribuire alle decisioni l’autorità e l’efficacia che esse rivestono nello stato in cui sono state pronunciate”. Va peraltro precisato che, sul piano pratico, ricondurre la soluzione dettata dal regolamento all’una o l’altra teoria (assimilazione degli effetti o estensione degli effetti) non comporta conseguenze significative. L’autorità e l’efficacia delle sentenze straniere non sono limitate agli effetti conseguenti all’autorità

di cosa giudicata, ma riguardano tutti gli effetti che l’ordinamento d’origine riconnette a tali sentenze e risalgono alla data in cui hanno iniziato ad esplicarsi nello stato d’origine. Non a caso nella redazione del regolamento è stata deliberatamente evitata l’espressione autorità di cosa

giudicata, in quanto (come chiarisce la relazione Jenard) sono suscettibili di essere riconosciute le decisioni interlocutorie e in materia di giurisdizione volontaria che non hanno autorità di cosa giudicata. Il regolamento specifica, invece, che soltanto in relazione alle sentenze che siano esecutive nello stato membro d’origine è possibile domandare che siano rese esecutive anche in un diverso stato comunitario (art. 38). Nel caso il riconoscimento della decisione straniera venga negato (perché sussiste almeno uno dei motivi di diniego previsti dall’art. 34 e 35), pur nel silenzio del regolamento, si è prospettata la possibilità che l’azione sia comunque proponibile al giudice stesso che ha negato il riconoscimento. Stante la riconoscibilità di sentenze non definitive, potrebbe verificarsi il caso che la sentenza straniera, già riconosciuta, cessi di essere efficace nell’ordinamento d’origine a seguito dell’emanazione di una successiva sentenza. In questa eventualità è da ritenere che essa cesserebbe automaticamente di avere efficacia in un altro stato, mentre la sentenza straniera di riforma deve a sua volta essere riconosciuta. Il 2° e 3° paragrafo dell’art. 33 prevedono la possibilità che in ordine al riconoscimento di una decisione insorga una controversia. In tal caso, se il riconoscimento è richiesto in via principale, si può far ricorso alla procedura che il regolamento disciplina primariamente ai fini dell’esecuzione. Il regolamento circoscrive alla parte interessata la possibilità di avvalersi di detto procedimento

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semplificato affinché una decisione venga dichiarata riconoscibile (o esecutiva). Viceversa, alla parte che contesta la riconoscibilità resta la possibilità di utilizzare il procedimento ordinario configurato dal diritto locale. Questa è una delle principali differenze rispetto al regolamento 2201/2003 il quale prevede che la procedura semplificata possa essere seguita da entrambi i coniugi50 e nello stesso senso dispone l’art. 67.151 della legge italiana. La parte che vuole avvalersi della sentenza straniera può avere interesse, anziché a richiedere il riconoscimento in via principale, ad invocare semplicemente la sentenza in via incidentale, come eccezione di cosa giudicata nel corso di un altro procedimento ovvero a fondamento di un rapporto pregiudiziale di cui giovarsi come elemento costitutivo, impeditivo, modificativo o estintivo di un ulteriore e diverso rapporto nel cui ambito gravita il diritto che si intende far valere. Nel caso di istanza di riconoscimento in via incidentale l’art. 33.3 ammette che la verifica della regolarità della sentenza straniera sia compiuta dal giudice cui è stata proposta la domanda sulla questione principale, riconoscendogli una competenza anche nei casi in cui non l’avrebbe. In particolare sembra idoneo a compiere la suddetta verifica anche il giudice penale, posto che l’art. 33.3 non distingue tra giurisdizioni degli stati membri. Al pari del procedimento delineato dall’art. 67 della legge italiana e in relazione al principio dell’automaticità dell’efficacia delle sentenze straniere, il procedimento previsto dal regolamento ha natura meramente dichiarativa. L’azione di riconoscimento in via principale è prevista per qualsiasi sentenza tanto dichiarativa che per quelle suscettibili di esecuzione. Il legislatore comunitario si è sforzato di rendere il più semplice e spedita possibile l’esecuzione delle sentenze straniere (o rilascio della dichiarazione di esecutività della sentenza estera), cioè costituire un titolo esecutivo per dar luogo all’esecuzione forzata in ciascun stato membro delle decisioni emesse negli altri stati comunitari, con una procedura che si affianca a quella prevista dal regolamento n. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo concernente le decisioni relative ad i crediti non contestati. In base agli artt. 53-56, la parte che chiede il riconoscimento di una decisione o il rilascio di una dichiarazione di esecutività deve produrre una copia autentica nella lingua originale della decisione che presenti tutte le condizioni di autenticità (art. 53.1). Nel caso in cui l’istanza sia volta a ottenere la dichiarazione di esecutività, deve produrre un attestato (art. 54), rilasciato dal giudice o dall'autorità competente dello Stato membro nel quale è stata emessa la decisione (rilasciato su richiesta di qualsiasi parte interessata), compilato utilizzando il formulario di cui all'allegato V del regolamento. In questo attestato il giudice d’origine deve indicare, tra l’altro, i nomi delle parti, la data della decisione, in caso di decisione contumaciale la data della notifica o comunicazione della domanda giudiziale e deve dare atto che la decisione è esecutiva nello stato membro in cui è stata pronunciata. Qualora l'attestato non venga prodotto, il giudice o l'autorità competente può fissare un termine per la sua presentazione o accettare un documento equivalente ovvero, qualora ritenga di essere informato a sufficienza, disporne la dispensa (art. 55.1). Qualora il giudice o l'autorità competente lo richieda, deve essere presentata una traduzione dei documenti richiesti. La traduzione è autenticata da una persona a tal fine abilitata in uno degli Stati membri (art. 55.2). Non è richiesta alcuna legalizzazione o formalità analoga per i documenti indicati, come anche, ove occorra, per la procura alle liti (art. 56). L’istanza con la quale la parte chiede il riconoscimento oppure la dichiarazione di esecutività deve essere presentata al giudice indicato dall’allegato II del regolamento, richiamato dall’art. 39.1, che per l’Italia è la corte d’appello competente per territorio, con riferimento al domicilio della parte contro cui viene chiesta l’esecuzione o, in alternativa, al luogo dell’esecuzione (art. 39.2).

50 Ossia tanto la parte che chiede lo scioglimento o l’invalidità del matrimonio o la separazione, quanto la parte contraria. 51 Attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento.

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Le modalità del procedimento abbreviato sono suddivise in due fasi: la prima è unilaterale, nel senso che la parte che non ha richiesto il riconoscimento della decisione subisce l’iniziativa, e una seconda fase che deve svolgersi in contraddittorio. I motivi del diniego possono essere fatti valere solo nella seconda fase del procedimento dalla parte che contrasta la riconoscibilità o l’esecutività. Il regolamento tace in merito alla possibilità che d’ufficio possano essere rilevati dal giudice. Nella prima fase (art. 41) il giudice può solo verificare l’espletamento delle formalità di cui all'articolo 53, senza poter controllare l’esistenza di motivi di diniego del riconoscimento e pertanto la verifica attiene solo alla regolarità formale della documentazione. La parte contraria all'esecuzione non può, in questa prima fase del procedimento, presentare osservazioni. La decisione relativa all'istanza intesa a ottenere una dichiarazione di esecutività è immediatamente comunicata al richiedente secondo le modalità previste dalla legge dello Stato membro richiesto (art. 42.1). Nel caso sia stata chiesta la dichiarazione di esecutività, questa è notificata o comunicata alla parte contro la quale è chiesta l'esecuzione, corredata della decisione qualora quest'ultima non sia già stata notificata o comunicata a tale parte (art. 42.2). Ciascuna delle parti può proporre ricorso contro la decisione relativa alla richiesta della dichiarazione di esecutività (art. 43.1). La seconda fase è data nel caso vi sia impugnazione del provvedimento di riconoscimento o di esecuzione. Il ricorso è proposto dinanzi al giudice di cui all'allegato III (per l’Italia la corte d’appello) ed è esaminato secondo le norme sul procedimento in contraddittorio. Il ricorso deve essere proposto nel termine di un mese dalla notificazione della stessa, ma se la parte contro la quale è chiesta l'esecuzione è domiciliata in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività, il termine è di due mesi a decorrere dalla data della notificazione in mani proprie o nella residenza. Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza (art. 43.5). Contro il provvedimento di ricorso è ammessa ulteriore impugnazione per ragioni di diritto (ricorso per Cassazione). Dal momento che sono suscettibili di riconoscimento anche sentenze non passate in giudicato (e persino interlocutorie), il giudice di uno Stato membro, davanti al quale è chiesto il riconoscimento di una decisione emessa in un altro Stato membro, può sospendere il procedimento se la decisione in questione è stata impugnata (art. 37.1) fino a quando si giunga a decisione. I motivi per i quali il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione, resa dai giudici in un altro stato comunitario, possono venire rifiutati sono stabiliti dagli artt. 34 e 35 secondo una valutazione data dal giudice del riconoscimento, non vincolata da quanto deciso al riguardo dal giudice a quo. L’elencazione è tassativa, ma in primo luogo il riconoscimento è negato se la decisione esula dal campo di applicazione del regolamento. La Corte comunitaria ha affermato che la norma deve essere interpretata restrittivamente in quanto costituisce un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi fondamentali della convenzione. Per l’art. 34 le decisioni non sono riconosciute: 1) Se il riconoscimento è manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro

richiesto. Nella originaria proposta di regolamento non era previsto questo limite perché incongruo rispetto al procedimento di integrazione europea, comunque la sua soppressione figura tra le future modifiche al regolamento. In una sentenza del 2000, la Corte di giustizia ha affermato la sua competenza a controllare i limiti entro i quali il giudice può ricorrere alla nozione di ordine pubblico per non riconoscere una decisione.

2) Se la domanda giudiziale od un atto equivalente (per i paesi common law52) non è stato

notificata o comunicata al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter

52 Nel Regno Unito e Irlanda non ricevono i convenuti l’originale della domanda giudiziale, ma soltanto una comunicazione sulla decisione del tribunali di citarli. Recentemente la Corte di giustizia ha considerato domanda giudiziale o atto equivalente, anche il decreto ingiuntivo previsto dagli artt. 633-645 del c.p.c. italiano.

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presentare le proprie difese53 ad eccezione del caso che, pur avendone la possibilità, egli non

abbia impugnato la decisione. In altri termini, se il debitore ha contribuito con la sua inerzia a rendere irrevocabile la sentenza, è costretto a subirne le conseguenze anche negli altri stati membri. Sulla regolarità della notifica o della comunicazione della domanda il regolamento tace, ma ne tratta la convenzione di Bruxelles richiedendo espressamente la regolarità della notifica alla luce della legge dello stato d’origine, nonché delle convenzioni internazionali relative alla notifiche delle citazioni54. Il regolamento n. 1348/2000 consente al destinatario di rifiutare l’atto oggetto della notificazione o comunicazione se non è redatto nella lingua ufficiale dello stato membro richiesto oppure in quella dello stato membro mittente compresa dal destinatario. La notifica deve avvenire in tempo utile affinché il convenuto si possa difendere. La nozione di tempo utile è determinata nel singolo caso dal giudice dello stato richiesto, tenendo conto del fatto che potrebbe essere stato notificato in una lingua diversa da quella del convenuto, concernere l’applicazione di un diritto straniero e comunque circostanze eccezionali tali da far ritenere insufficiente il termine decorrente dalla notifica.

3) Se sono in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro

richiesto. La Corte di giustizia ha osservato che è incontestabile che l’ordine sociale di uno stato sarebbe turbato se la parte potesse giovarsi di due sentenze contraddittorie, anche se l’esistenza in concreto di contraddizione tra le due sentenze è lasciata all’apprezzamento del giudice. La Corte di giustizia ha dichiarato inconciliabile una sentenza tedesca che condannava il coniuge alla corresponsione degli alimenti all’altro, in forza di un matrimonio che una sentenza olandese aveva sciolto. Secondo la dottrina prevalente e, implicitamente, la Corte di giustizia, l’anteriorità di una decisione rispetto ad un'altra è ininfluente: il riconoscimento va negato tanto se la sentenza nazionale sia stata emanata prima di quella straniera quanto dopo. Nel primo caso l’esistenza stessa della sentenza locale basta a bloccare l’ingresso di quella straniera nell’ordinamento nazionale. Nel secondo caso il riconoscimento della decisione straniera è operativo finché non sia emanata una sentenza nazionale, dopo viene distrutto cioè cessa di avere effetto, garantendo i diritti acquisiti in buona fede sulla base della decisione straniera, anche se si riveli successivamente incompatibile con la decisione locale. La legge 218 ha cercato di limitare questi problemi ponendo come requisito per il riconoscimento di una sentenza straniera la non pendenza di un processo davanti al giudice italiano per lo stesso oggetto e tra le stesse parti.

4) Se sono in contrasto con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un

altro Stato membro o in un paese terzo (non membro quindi), in una controversia avente il

medesimo oggetto e il medesimo titolo, allorché tale decisione presenta le condizioni necessarie

per essere riconosciuta nello Stato membro richiesto. La portata di questa norma è più limitata rispetto al precedente punto 3) in quanto deve trattarsi della medesima controversia, cioè identità di parti, oggetto e di titolo, in sintesi è un ipotesi di litispendenza. Inoltre, poiché entrambe le decisioni in conflitto sono estranee allo stato richiesto, vale la regola del prior

tempore potior iure (primo nel tempo, più forte in diritto) e dunque non può essere riconosciuta la decisione successiva, confrontando non le date di inizio dei procedimenti, ma soltanto quelle delle due sentenze contrastanti.

Oltre ai quattro casi elencati nell’art. 34, l’art. 35.1 prevede altre eccezioni al divieto di sottoporre a controllo la competenza del giudice a quo. La disposizione in esame esclude il riconoscimento per

53 Questa è un’applicazione specifica dei principi sull’equo processo che la giurisprudenza della Corte europea riconduce alle convenzioni in materia di diritti umani. 54 Tra cui la convenzione dell’Aja del 1965 sulla notifica all’estero degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale, il regolamento n. 1348/2000 sulla comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile e commerciale e il regolamento 1206/2001 sulla cooperazione fra autorità giudiziarie degli stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile e commerciale.

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violazione delle disposizioni sulla competenza in materia di assicurazioni, per i contratti conclusi con i consumatori, per le competenze esclusive e nell’ipotesi dell’art. 7255. Il giudice a cui è richiesto di dichiarare la riconoscibilità o l’eseguibilità è vincolato dalle constatazioni di fatto sulle quali il giudice dello Stato membro d'origine ha fondato la propria competenza (art. 35.2). Circa l’eventualità che il giudice d’origine si sia pronunciato, nei confronti di un convenuto domiciliato fuori dalla Comunità, ritenendosi competente in base alle regole dettate dal legislatore locale, l’art. 35.3 dispone che “non si può procedere al controllo della competenza dei giudici dello

Stato membro d'origine”, per cui questa norma diventa un prolungamento della competenza dell’art. 4, cioè si ha la c.d. competenza esorbitante su un convenuto domiciliato fuori dalla Comunità. Per evitare il rischio che il divieto di controllare la competenza del giudice d’origine venga aggirato attraverso il ricorso al limite dell’ordine pubblico, la seconda frase dell’art. 35.3 espressamente esclude che le norme sulla competenza possano riguardare l’ordine pubblico. Ai sensi dell’art. 36 (per il riconoscimento) e dell’art. 45.2 (per l’esecuzione) del regolamento in

nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame del merito, ma è vietato anche il controllo della competenza del giudice dello stato d’origine. Il divieto del riesame nel merito delle sentenze56 costituisce una peculiarità della convenzione di Bruxelles e del regolamento, in quanto non è molto frequente in altre convenzioni. Totalmente diversa è la soluzione accolta dall’art. 64, lett. a) della legge 218 per la quale una sentenza straniera può essere riconosciuta in Italia quando “il giudice che l'ha pronunciata poteva

conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento

italiano”. La competenza così saggiata secondo i canoni del nostro ordinamento viene usualmente denominata competenza internazionale del giudice straniero e una previsione analoga è presente nella maggior parte delle convenzioni sul riconoscimento delle sentenze estere. Il regolamento dedica il capo IV agli “atti pubblici e transazioni giudiziarie” che godono del medesimo sistema agevolato di circolazione previsto per le decisioni giudiziarie. Gli atti pubblici stranieri sono dichiarati esecutivi, su istanza di parte, secondo la procedura di esecuzione prevista dagli artt. 38 e ss., sempre che abbiano efficacia esecutiva nello stato membro di origine e presentino le condizioni di autenticità in esso previste. Il regolamento non contiene precisazioni in ordine al requisito della autenticità, ma la Corte di giustizia ha affermato che un titolo di credito, esecutivo nello stato d’origine, non rappresenta un atto autentico ai fini della normativa comunitaria in materia di circolazione delle decisioni, laddove la sua autenticità non sia stata attestata da un’autorità pubblica o da qualsiasi altra autorità autorizzata dallo stato. Il giudice al quale l'istanza è proposta (ai sensi dell’art. 43 o dell'art. 44) rigetta o revoca la dichiarazione di esecutività solo se l'esecuzione dell'atto pubblico è manifestamente contraria all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto (art. 57). Bisogna precisare che, come in sede di riconoscimento/esecuzione delle decisioni giudiziarie, anche per l’esecuzione degli atti pubblici è necessario, verificare la regolarità e la completezza della documentazione allegata all’istanza e l’attinenza dell’oggetto dell’atto pubblico alla materia civile e commerciale. Agli atti pubblici sono equiparate le convenzioni in materia di obbligazioni alimentari, ove concluse di fronte all’autorità amministrativa o da questa autenticata, e le transazioni concluse davanti al giudice straniero in corso di giudizio. Il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati

Il 21 aprile 2004 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento n. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (in vigore dal 21 gennaio 2005 55 Per i trattati stipulati prima del 1° marzo 2002 (data di entrata in vigore del regolamento), gli stati membri si siano impegnati a non riconoscere le sentenze emesse da un altro stato contraente della convenzione di Bruxelles se emanate sulla base della competenza esorbitante, contro un convenuto domiciliato o abitualmente residente in uno stato non comunitario. 56 Il divieto non opera in relazione all’accoglimento di istanze relative a circostanze successive all’emanazione della sentenza straniera come pure a domande nuove, addizionali a quelle del riconoscimento o ricovenzionali.

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ed operante a pieno regime dal 21 ottobre 2005) relativo alla materia civile e commerciale e con le stesse esclusioni previste dal regolamento n. 44/2001. Il regolamento n. 805/2004 fornisce al creditore un’alternativa alla richiesta di esecuzione della decisione secondo quanto previsto dagli artt. 38 e ss. del regolamento 44/2001: l’alternativa è rappresentata dalla presentazione della domanda per ottenere la certificazione della decisione come titolo esecutivo operante in tutti gli stati membri. La domanda va presentata al giudice d’origine, il quale è tenuto a verificare la sussistenza di alcuni requisiti. In primo luogo la decisione deve essere esecutiva nello stato membro in cui è stata pronunciata, inoltre non deve essere in contrasto con le norme del regolamento n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale in materia di assicurazioni e sulle competenze esclusive. Considerata la soppressione di qualsiasi controllo nello stato membro dell’esecuzione, il regolamento 805/2004 richiede il rispetto di alcune norme minime a garanzia dei diritti di difesa del debitore, tra cui le modalità di notifica della domanda introduttiva del giudizio estero e le informazioni riguardo al credito (importo, eventuali interessi, ecc.). Va peraltro precisato che il regolamento da un lato non obbliga gli stati membri a adeguare il proprio ordinamento nazionale a queste norme procedurali minime, dall’altro prevede una sanatoria dell’inosservanza delle norme minime (è questa la rubrica dell’art. 18): in pratica è comunque possibile ottenere la certificazione come titolo esecutivo europeo, se il debitore è stato in qualche modo posto in grado di conoscere la natura e la consistenza delle pretese del creditore e dunque di difendersi. A questo procedimento si può ricorrere solo quando il debitore: a) l’ha espressamente riconosciuto con una dichiarazione o una transazione approvata dal giudice o in un atto pubblico; b) non l’ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario, in accordo con le procedure previste dalla normativa dello stato d’origine; c) non è comparso o non si è fatto rappresentare nel corso di una udienza relativa a un determinato credito che pure era stato inizialmente contestato. Se è certificata come titolo esecutivo europeo nello stato d’origine, la decisione è riconosciuta ed eseguita negli altri stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento (art. 5). Il regolamento prevede, altresì, l’eventualità di certificato di titolo esecutivo europeo parziale, laddove solo alcune parti della decisione soddisfino i requisiti previsti. Il procedimento di esecuzione è disciplinato dalle norme nazionali dello stato membro dell’esecuzione. Il creditore deve fornire alle autorità competenti per l’esecuzione una copia della decisione e una copia del certificato di titolo esecutivo europeo che presentino le condizioni di autenticità prescritte: ove necessario, il creditore deve fornire una traduzione del certificato nella lingua dello stato membro di esecuzione. Il debitore può opporsi all’esecuzione solo se la decisione straniera certificata come titolo esecutivo è incompatibile con una decisione anteriore pronunciata in uno stato membro o in paese terzo. In nessun caso la decisione straniera e/o certificato possono essere oggetto di riesame nel merito. Infine possono essere certificati come titolo esecutivo europeo anche le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici aventi ad oggetto crediti non contestati.

Il regolamento comunitario sulle decisioni in materia matrimoniale

e in materia di responsabilità genitoriale

La disciplina in materia matrimoniale

Anche il regolamento comunitario n. 2201/2003 può essere descritto come un atto doppio in quanto comprende sia norme che riguardano la competenza giurisdizionale che quelle riguardanti il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere. L’art. 2 di Bruxelles II al punto 4 sancisce che per decisione si intende “una decisione di divorzio,

separazione personale dei coniugi o annullamento del matrimonio emessa dal giudice di uno Stato

membro, nonché una decisione relativa alla responsabilità genitoriale, a prescindere dalla

denominazione usata per la decisione, quale ad esempio decreto, sentenza o ordinanza”. La disciplina prevista dal regolamento 2201/2003 pur ispirandosi al 44/2001 per le decisioni di carattere patrimoniale, si discosta per alcuni profili. Infatti vi è la possibilità di adire l’autorità

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giudiziaria, secondo le sbrigative modalità previste dal regolamento, non solo per la parte che chiede il riconoscimento, ma anche per quella che vi si oppone (art. 21.3) e viene espressamente considerata la questione delle iscrizioni nei registri di stato civile (art. 21.2). Al pari di Bruxelles I e della legge 218/95, il regolamento 2201/2003 sancisce che le “decisioni

pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia

necessario il ricorso ad alcun procedimento.” Inoltre, in presenza di decisioni definitive, “fatto

salvo il paragrafo 3, non è necessario alcun procedimento per l'aggiornamento delle iscrizioni

nello stato civile di uno Stato membro” (art. 21.2). Spetta all’ufficiale di stato civile, al quale la sentenza è stata presentata, accertare che non vi siano motivi di diniego del riconoscimento, anche se la sua valutazione non è insindacabile. Il fatto salvo il paragrafo 3 dell’art. 21.2 comporta che “ogni parte interessata (cioè entrambi i coniugi57) può far dichiarare, secondo il procedimento di cui alla sezione 2, che la decisione deve

essere o non può essere riconosciuta.” La sezione 2 del regolamento (artt. 28-36) traccia le regole per l’esecuzione delle decisioni che riguardano la responsabilità genitoriale, per le quali è sempre necessario l’intervento dell’autorità giudiziaria locale, a differenza delle decisioni che riguardano il vincolo matrimoniale per le quali è necessario l’intervento del giudice soltanto quando il riconoscimento è oggetto di contestazione. Ma il ricorso all’autorità giudiziaria è possibile anche nell’eventualità opposta: quando cioè l’ufficiale di stato civile non abbia avuto dubbi e abbia provveduto alla trascrizione o all’iscrizione di una decisione che non sarebbe invece suscettibile di riconoscimento ad avviso di uno degli interessati. Questi infatti, potrebbe chiedere al giudice, seguendo la procedura disposta dal regolamento, un provvedimento di accertamento negativo in base al quale, l’ufficiale di stato civile è tenuto a ripristinare la registrazione. Viceversa, se questa procedura si concludesse con un provvedimento che accertasse la riconoscibilità della decisione, la questione sarebbe risolta in via definitiva e non potrebbe essere riaperta nemmeno in via incidentale. Per le contestazioni riguardanti il riconoscimento di decisioni matrimoniali, la competenza territoriale è degli organi giurisdizionali indicati dagli stati (per l’Italia la corte d’appello) ed “è

determinata dal diritto interno dello Stato membro nel quale è proposta l'istanza di riconoscimento

o di non riconoscimento”(art. 21.3). Così disponendo, il regolamento Bruxelles II supera la distinzione, mantenuta nel regolamento 44/2001, tra il procedimento di chi chiede il riconoscimento e quello di chi lo contesta. I motivi di rifiuto del riconoscimento, art. 22 e 23, rappresentano solo delle eccezioni, in quanto lo spirito del regolamento è basato sulla fiducia reciproca tra gli stati comunitari. Il compito di accertare l’esistenza o l’inesistenza di motivi che ostacolino il riconoscimento è svolto d’ufficio dal giudice, questo è quanto risulta dall’interpretazione sistematica del regolamento ed è confermata dal fatto che la precisazione che occorre una richiesta della parte è presente per uno solo dei motivi per i quali può essere negato il riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale58. A differenza di quanto avviene per il regolamento 44/2001, l’opposizione al riconoscimento può avvenire solo in questo caso. Ai sensi dell’art. 22, la decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non è riconosciuta nei casi seguenti: a) “se il riconoscimento è manifestamente contrario all'ordine pubblico dello Stato membro

richiesto”. b) “quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato

notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter

presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato

57 La relazione Borras suggerisce che è legittimata ad attivare il procedimento, oltre ai coniugi, il P.M. o una autorità analoga se così prevede il diritto dello stato nel cui ambito si pone il problema del riconoscimento. 58 “su richiesta di colui che ritiene che la decisione sia lesiva della propria responsabilità genitoriale, se è stata emessa

senza dargli la possibilità di essere ascoltato;” (art. 23, lett. d).

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inequivocabilmente la decisione”. Questa previsione va coordinata con la lett. a) posto che, secondo la Corte di Giustizia, il mancato rispetto dei diritti della difesa nel giudizio di origine può giustificare che venga invocato il limite dell’ordine pubblico nei confronti di una decisione resa in un altro stato contraente. Data la presunzione di regolarità delle decisioni rese negli stati membri, è da ritenere che l’onere di provare il mancato rispetto del proprio diritto a difendersi in giudizio gravi sulla parte che contesta la riconoscibilità della decisione emessa nel procedimento in cui essa è rimasta contumace.

c) “se la decisione è incompatibile con una decisione resa in un procedimento tra le medesime

parti nello Stato membro richiesto”. d) “se la decisione è incompatibile con una decisione anteriore avente le stesse parti, resa in un

altro Stato membro o in un paese terzo (quindi anche non comunitario), purché la decisione

anteriore soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto (diversamente da quanto previsto dall’art. 34.4 del regolamento 44/2001, non è richiesta identità di titolo e oggetto)”. Qui, a differenza della lettera precedente, entra in gioco il fattore tempo: vi è ostacolo solo se la sentenza resa in un altro stato, comunitario e non, è anteriore a quella del riconoscimento.

Il regolamento non solo stabilisce il divieto di riesame nel merito (art. 26), ma vieta espressamente al giudice del riconoscimento di sottoporre a controllo la competenza giurisdizionale dello stato membro d’origine, così come di invocare l’eccezione di ordine pubblico nella suddetta prospettiva, anche rispetto ad una decisione basata sulla competenza residuale dello stato d’origine (art. 24). L’art. 25 dispone: “Il riconoscimento di una decisione non può essere negato perché la legge dello

Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti il divorzio, la separazione personale o

l'annullamento del matrimonio.”Questa precisazione, a quanto risulta dalla relazione Borràs, tiene conto del desiderio degli stati membri il cui diritto materiale consente con minor rigore la pronuncia del divorzio, di evitare che il riconoscimento delle decisioni delle loro corti sia reso eccessivamente difficile negli stati membri con legislazioni materiali più rigorose. Se nello stato d’origine, esemplifica la relazione, il divorzio può essere concesso dopo una separazione di due anni, il riconoscimento di detto divorzio non può essere negato per il solo fatto che il diritto dello stato richiesto prevede almeno cinque anni di separazione. L'autorità giurisdizionale di uno Stato membro, dinanzi alla quale è richiesto il riconoscimento di una decisione pronunciata in un altro Stato membro, può sospendere il procedimento se la decisione è stata impugnata con un mezzo ordinario (art. 27). Se la decisione è articolata su vari capi della domanda e l'esecuzione non può essere concessa per tutti i capi, l'autorità giurisdizionale autorizza l'esecuzione solo per uno o taluni di essi59, inoltre l'istante può chiedere un'esecuzione parziale (art. 36)60. L’art. 37 dispone: la parte che chiede o contesta il riconoscimento o che chiede una dichiarazione di esecutività deve produrre: a) una copia della decisione, che presenti le condizioni di autenticità prescritte; b) un certificato, ai sensi dell’art. 39, contenente indicazioni sintetiche secondo il modello standard

di cui all'allegato I (decisioni in materia matrimoniale) o all'allegato II (decisioni in materia di responsabilità genitoriale) rilasciato dall'autorità giurisdizionale o dall'autorità competente dello Stato membro d'origine.

Se si tratta di decisione resa in contumacia, la parte che ne chiede il riconoscimento o l'esecuzione deve inoltre produrre l'originale o una copia autenticata del documento comprovante che la domanda giudiziale o l'atto equivalente è stato notificato o comunicato al contumace o, in

59 L'esecuzione solo per uno o taluni dei capi di domanda può avvenire su iniziativa del giudice, su richiesta dell’istante, ma può anche essere dovuta al diritto processuale applicato. 60 In rapporto a questa norma assume rilievo il limite al campo di applicazione del regolamento che non comprende le misure di carattere patrimoniale anche se disposte nella stessa sentenza di separazione o scioglimento del matrimonio.

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alternativa, un documento comprovante che il convenuto ha inequivocabilmente accettato la decisione. Qualora venga prodotta solo la sentenza, l'autorità giurisdizionale può fissare un termine per la presentazione degli altri documenti o accettare documenti equivalenti ovvero, qualora ritenga di essere informato a sufficienza, disporre l'esonero della presentazione degli stessi. Qualora l'autorità giurisdizionale lo richieda, è necessario produrre una traduzione dei documenti richiesti. La traduzione è autenticata da una persona abilitata in uno degli Stati membri (art. 38). Allo stesso obiettivo della semplificazione si ispira anche l’art. 52 statuendo che non è richiesta alcuna legalizzazione o altra formalità analoga per i documenti, le traduzioni, né per l'eventuale procura alle liti. Ai sensi dell’art. 30, le modalità del deposito dell'istanza sono determinate in base alla legge dello Stato membro dell'esecuzione. L'istante elegge il proprio domicilio nella circoscrizione dell'autorità giurisdizionale adita. Tuttavia, se la legge dello Stato membro dell'esecuzione non prevede l'elezione del domicilio, l'istante designa un procuratore. L'autorità giurisdizionale decide senza indugio e ne da conoscenza al richiedente, a cura del cancelliere, secondo le modalità previste dalla legge dello Stato membro dell'esecuzione. In questa fase del procedimento, né la parte contro la quale l'esecuzione viene chiesta né il minore possono presentare osservazioni (art. 31 e 32). Solo dopo che la decisione del giudice è stata comunicata alla parte che ne aveva sollecitato l’intervento, può aprirsi la fase contenziosa (o in contraddittorio) del procedimento. Infatti l’art. 33 - Opposizione - dispone che ciascuna delle parti può proporre opposizione contro la decisione di concessione della dichiarazione di esecutività. L'opposizione è proposta davanti all'autorità giurisdizionale di cui all'elenco comunicato da ciascuno Stato membro alla Commissione (per l’Italia resta la corte d’appello). Invece, il precedente regolamento 1347/2000 provvedeva esso stesso ad individuare il giudice competente in ordine all’opposizione e per l’Italia si trattava ancora una volta della corte d’appello, la stessa che aveva emesso la pronuncia oggetto dell’opposizione. In alcuni stati, l’organo che si pronuncia per l’esecuzione non è lo stesso che si pronuncia per l’opposizione. Ad esempio in Francia si tratta rispettivamente del presidente del Tribunal de grande instance e della Cour d’appel. Il ricorso è esaminato secondo le norme sul procedimento in contraddittorio. Se l'opposizione è proposta dalla parte che ha richiesto la dichiarazione di esecutività (nel caso l’istanza sia stata respinta anche solo parzialmente), la parte contro cui l'esecuzione viene fatta valere è chiamata a comparire davanti all'autorità giurisdizionale dell'opposizione. L'opposizione contro una dichiarazione di esecutività deve essere proposta nel termine di un mese dalla notificazione della stessa. Se la parte contro la quale è chiesta l'esecuzione ha la residenza abituale in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata rilasciata la dichiarazione di esecutività, il termine è di due mesi a decorrere dalla data della notificazione in mani proprie o nella residenza. Detto termine non è prorogabile per ragioni inerenti alla distanza. In caso di contumacia della parte controinteressata, il termine deve essere sospeso fino a quando sarà accertata la regolarità della contumacia. Per evitare inconvenienti e anche semplicemente l’inutile svolgimento di attività processuali, l’art. 35 stabilisce che il giudice dell’opposizione, ad istanza di parte, può sospendere il procedimento se contro la decisione estera è stata proposta impugnazione ordinaria nello stato d’origine o se il termine per l’impugnazione non è ancora decorso (in questo caso può stabilire una scadenza entro la quale l’impugnazione deve essere proposta)61. Disciplina relativa ai concordati

In via generale le decisioni dei giudici religiosi, in quanto fatte proprie dal diritto di un determinato stato, sono suscettibili di riconoscimento in altri stati sulla base delle norme di diritto processuale

61 Qualora la decisione sia stata emessa in Irlanda o nel Regno Unito, qualsiasi mezzo di impugnazione esperibile nello Stato membro d'origine è considerato impugnazione ordinaria.

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civile internazionale applicabili nei confronti di quello stato. È un fenomeno rilevante nella Comunità Europea per la presenza di Portogallo, Spagna e Italia. Il Portogallo conferisce ai tribunali ecclesiastici cattolici giurisdizione esclusiva a decidere della validità dei matrimoni celebrati in conformità del concordato con la Santa Sede e attribuisce valore civile alle pronunce di quei tribunali. Analogamente Italia e Spagna, pur non conferendo ai tribunali ecclesiastici giurisdizione esclusiva, prevedono che le sentenze con le quali detti tribunali dichiarano la nullità matrimoniale possano essere attribuiti effetti civili. Per questa ragione, l’art. 63.1 sancisce che il regolamento 2201/2003 fa salvo il trattato internazionale (concordato) concluso fra la Santa Sede e il Portogallo, firmato nella Città del Vaticano il 7 maggio 1940. Ogni decisione relativa all'invalidità di un matrimonio disciplinata da questi tribunali è riconosciuta negli Stati membri secondo le modalità stabilite dal regolamento. Le disposizioni valide per il Portogallo si applicano altresì ai concordati conclusi con la Santa Sede dall’Italia e dalla Spagna (art. 63.3). L'Italia e la Spagna possono sottoporre il riconoscimento delle sentenze in questione alle procedure e ai controlli applicabili alle sentenze dei tribunali ecclesiastici pronunciate in base ai trattati internazionali con la Santa Sede (art. 63.4). Questa previsione del regolamento si spiega con in concordato del 1984 per il quale l’Italia ritiene applicabili (anche se abrogati dalla legge 218) gli artt. 796 e ss. c.p.c. ed ha preteso che fosse fatta salva la possibilità di sottoporre, a queste più rigorose prescrizioni, anche il riconoscimento di sentenze di nullità pronunciate dai tribunali ecclesiastici portoghesi e spagnoli. La disciplina in materia di responsabilità genitoriale

Anche per le decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, come per quelle in materia matrimoniale, vale: • il principio che devono essere riconosciute senza che sia necessario il ricorso al alcun

procedimento (art. 21.1); • la possibilità, per la parte interessata, di chiedere al giudice di uno stato membro di dichiarare

che una decisione adottata in un altro stato membro può o non può essere riconosciuta ; • la procedura che il regolamento prevede per disciplinare la dichiarazione di riconoscimento ed

esecutività delle decisioni. Per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia di responsabilità genitoriale il procedimento è lo stesso di quello descritto per le decisioni in materia matrimoniale62. Tuttavia in materia di responsabilità genitoriale, a differenza del procedimento di riconoscimento delle decisioni in materia matrimoniale, la determinazione della competenza territoriale non è rimessa alla lex fori (art. 21.3), ma dipende direttamente dalla residenza abituale della parte contro cui è chiesta l’esecuzione oppure la residenza abituale del minore cui l’istanza si riferisce (art. 29.2). Quando ne il genitore contro la quale è chiesta l’esecuzione, ne il minore abbiano residenza abituale nello stato membro, la competenza territoriale è determinata dal luogo dell'esecuzione (art. 29.2). Il capo III comprende una sezione dedicata alla esecuzione di talune decisioni in materia di diritto

di visita (art. 41) e di ritorno del minore (art. 42). Per queste due fattispecie viene abolito l’exequatur63 nello stato membro dell’esecuzione e la possibilità di opporsi al suo riconoscimento, se la decisione è stata oggetto, nello stato d’origine, di certificazione su istanza del titolare del

62 Il procedimento è unico ed è descritto nel capo III del regolamento. 63 L'«exequatur» è una nozione propria del diritto internazionale privato, riferita ad una decisione resa dal giudice di un paese che autorizza, con procedimento sia ordinario che ridotto, l'esecuzione nel territorio di quest'ultimo di una decisione giudiziaria, una sentenza arbitrale, un atto pubblico o una transazione giudiziaria pronunciati o emessi all'estero (in sintesi è quella che in Italia prende il nome di giudizio di delibazione). L'eliminazione dell'exequatur tra gli Stati membri per tutte le decisioni giudiziarie in materia civile e commerciale è l'obiettivo ultimo del programma per il riconoscimento reciproco adottato dalla Commissione e dal Consiglio nel dicembre 2000.

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diritto di visita. Il certificato può essere rilasciato64 soltanto ove la decisione sia stata resa nel pieno rispetto del diritto di difesa del convenuto contumace e del diritto di tutte le parti di essere ascoltate e in particolare il minore, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione dell’età o del grado di maturità. Le decisioni che non ottengono la certificazione possono comunque essere riconosciute ed eseguite in applicazione delle norme generali in tema di riconoscimento ed esecuzione del regolamento. Va precisato che la disciplina si applica solo al diritto di visita riconosciuto ad un genitore del minore: la limitazione si spiega da un lato in ragione delle notevoli diversità tra le normative statali in tema di diritto di visita dei titolari di responsabilità genitoriale che non siano i genitori, dall’altro alla luce dell’art. 24.3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 secondo cui ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori. Ai sensi dell’art. 28.1, le decisioni relative all'esercizio della responsabilità genitoriale su un minore, emesse ed esecutive in un determinato Stato membro, sono eseguite in un altro Stato membro solo dopo che siano state dichiarate esecutive su istanza della parte interessata (genitori, figli o, se prevista, anche l’autorità pubblica), purché siano state notificate65. Alla luce delle peculiarità del loro oggetto e del coinvolgimento di più soggetti, per le decisioni relative ai minori i motivi di diniego del riconoscimento sono stati enunciati dal legislatore comunitario in maniera più specifica e analitica rispetto alla materia matrimoniale. Ai sensi dell’art. 23, le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute nei casi seguenti: a) “se, tenuto conto dell'interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente

contrario all'ordine pubblico dello Stato membro richiesto”. b) “se, salvo i casi d'urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la

possibilità di essere ascoltato, in violazione dei principi fondamentali di procedura dello Stato

membro richiesto”. La relazione Borràs rileva che alla base di questa norma vi è la convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 198966 secondo cui gli stati garantiscono al fanciullo, capace di discernimento, il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa e in particolare su ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguarda. È da ritenere che l’esigenza che il minore venga ascoltato sia un principio universale di ordine pubblico.

c) “quando è resa in contumacia, ovvero la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato

notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter

presentare le proprie difese, salvo che sia stato accertato che il convenuto ha accettato

inequivocabilmente la decisione”. È la stessa limitazione data in materia matrimoniale. d) “su richiesta di colui che ritiene che la decisione sia lesiva della propria responsabilità

genitoriale, se è stata emessa senza dargli la possibilità di essere ascoltato”. Questo è l’unico motivo di diniego per il quale si ritiene necessaria la richiesta dell’interessato, il che conferma che gli altri motivi di rifiuto sono riscontrati d’ufficio dal giudice.

e) “se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale

emessa nello Stato membro richiesto”. f) “se la decisione è incompatibile con una decisione successiva sulla responsabilità genitoriale

emessa in un altro Stato membro o nel paese terzo in cui il minore risieda, la quale soddisfi le

condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto”.

64 Sulla base del modello riportato negli allegati III (certificato sul diritto di visita) e IV (certificato sul ritorno del minore) del regolamento. 65 Tuttavia la decisione è eseguita in una delle parti del Regno Unito (Inghilterra e Galles, Scozia e Irlanda del Nord) soltanto dopo essere stata registrata per esecuzione, su istanza di una parte interessata. 66 Solo U.S.A. e Somalia non sono parti della convenzione di New York.

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g) se la procedura prevista per l’ipotesi di collocamento del minore in altro stato membro (vedi art. 56) non è stata rispettata.

Il divieto di riesame nel merito (art. 26) vale anche per la responsabilità genitoriale, ma questo non significa che sia inibito ai giudici dello stato richiesto di adottare nuovi provvedimenti in ordine ai minori, resi necessari dal verificarsi di situazioni nuove, qualora la residenza abituale del minore sia nello stato richiesto (competenti in relazione all’art. 8).

La legge italiana

In conformità alla partizione tracciata dall’art. 1, il terzo gruppo di articoli della legge 218 disciplina l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri in Italia. Anche in assenza di specifici impegni internazionali, il generale principio della collaborazione internazionale e quello dell’economia dei giudizi hanno da tempo indotto la maggior parte degli stati ad ammettere la possibilità che i propri giudici tengano conto di sentenze e atti giurisdizionali stranieri, mentre sono pochi quelli che richiedono un nuovo processo. In relazione all’efficacia delle sentenze straniere, il principio ispiratore della legge 218 è dichiarato nella relazione ministeriale: è necessario passare attraverso un provvedimento dell’autorità giudiziaria italiana solo quando le parti dissentono l’efficacia della sentenza straniera, in caso contrario non vi è ragione di instaurare un nuovo processo. La legge del 1995 tratta con distinte disposizioni le decisioni e i provvedimenti di volontaria giurisdizione67 stranieri, nonché gli atti pubblici ricevuti all’estero. Per la relazione ministeriale, devono essere assoggettate alle norme che disciplinano il riconoscimento e l’attuazione delle sentenze straniere tutte le decisioni che in Italia sono trattate dal giudice e decise con sentenza, comprese quelle amministrative o comunque rese dalla pubblica autorità non identificabile con quella giudiziaria. Sul modello della convezione di Bruxelles, rispetto al sistema previgente degli abrogati articoli del codice di procedura civile, l’innovazione significativa della legge è la distinzione tra riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere: solo per queste ultime è sempre richiesto l’intervento dell’autorità giudiziaria italiana, mentre ai fini del riconoscimento è necessario solo in caso di contestazione. L’art. 64 fissa in positivo i requisiti necessari ai fini del riconoscimento, mentre la convenzione e i regolamenti comunitari sono formulati in negativo stabilendo quali ostacoli precludono il riconoscimento. L’art. 64 stabilisce che la sentenza straniera è riconosciuta, senza che sia

necessario il ricorso ad alcun procedimento, quando coesistono le seguenti condizioni: a) “il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla

competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano”. Questa prima norma differisce da quanto dispongono i regolamenti comunitari, per i quali il giudice di uno stato membro non può sindacare la competenza del giudice a quo. Invece, per la legge italiana il giudice deve controllare che l’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento straniero abbia effettivamente delle connessioni simili a quelle della lex fori (sulle parti e la materia) idonei a determinare la competenza del giudice italiano.

b) “l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a

quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti

essenziali della difesa”. Per la Cassazione il riferimento della norma è all’equo processo riportato nelle convenzioni e atti internazionali sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali della persona.

c) “le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la

contumacia è stata dichiarata in conformità a tale legge”. d) “essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata”. Questa

norma segna una profonda divergenza rispetto ai regolamenti 44/2001 e 2201/2003 e la

67 I provvedimenti stranieri di volontaria giurisdizione (art. 66 legge 218) sono quelli adottati in virtù di regole di diritto internazionale pubblico ed essenzialmente sono quelli delle autorità consolari in materia di giurisdizione volontaria.

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convenzione di Bruxelles del 1968 che ammettono anche le decisioni non definitive. La diversa soluzione è comprensibile nell’ambito di una disciplina di portata generale e in assenza del clima di fiducia tra le diverse autorità giudiziarie degli stati europei.

e) “essa non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in

giudicato”. Quindi solo le sentenze italiane definitive sono un ostacolo al riconoscimento e l’esecuzione, mentre quelle straniere possono essere riconosciute anche se contrarie ad un'altra sentenza estera.

f) “non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse

parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero”. La relazione ministeriale rileva che, quello del rispetto del giudizio iniziato per primo, è un criterio teso ad evitare alla parte soccombente all’estero che il riconoscimento della sentenza straniera possa precludere di avere un’altra possibilità con un processo avviato in Italia. Questa norma è assente nei regolamenti comunitari e nella convenzione di Bruxelles, ma vi è una rigorosa disciplina sulla litispendenza.

g) “le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico.” A differenza dei regolamenti comunitari e della convenzione di Bruxelles, non vi è l’avverbio manifestamente.

Come già accade nei regolamenti comunitari e nella convenzione di Bruxelles, anche per la legge italiana in nessun caso la decisione straniera può formare oggetto di un riesame nel merito. Una vertenza promossa davanti al giudice italiano, avente per oggetto una sentenza straniera, che si chiude con un rifiuto del riconoscimento o dell’esecuzione per la mancanza di uno dei requisiti necessari, resta irrisolta. Se le parti vogliono pervenire ad una soluzione giudiziaria nell’ambito del nostro sistema giuridico debbono rifare la causa davanti al giudice (se sussiste la giurisdizione italiana) che la regolerà secondo le norme di conflitto (italiane o convenzionali). Sul riconoscimento di provvedimenti stranieri (cioè tutte le decisioni diverse dalle sentenze) l’art. 65 sancisce che hanno effetto in Italia (automaticamente) quelli relativi alla capacità delle persone, nonché all'esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, quando essi sono stati pronunciati dalle autorità dello Stato la cui legge è richiamata dalle norme di conflitto della legge italiana o producono effetti nell'ordinamento di quello Stato, anche se pronunciati da autorità di altro Stato, purché non siano contrari all'ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa. È da notare che non è menzionata la condizione di essere provvedimenti definitivi, prevista invece dall’art. 64 per le sentenze straniere. L’art. 65, al pari del 66, mira a configurare un percorso ulteriormente semplificato rispetto all’art. 64, prevalentemente con riferimento a situazioni quasi totalmente interne a un ordinamento straniero: ad esempio un divorzio tra cittadini svizzeri pronunciato in svizzera, ma il cui matrimonio è stato celebrato in Italia. Il riconoscimento automatico è altresì disposto dall’art. 66 per il riconoscimento di provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria emanati dalle autorità dello stato. Questi sono riconosciuti automaticamente, sempre che siano rispettate le condizioni di cui all'art. 65, in quanto applicabili, quando sono pronunziati dalle autorità dello Stato il cui diritto è richiamato dalla nostra norma di conflitto o comunque producono effetti nell'ordinamento di quello Stato ancorché emanati da autorità di altro Stato, ovvero sono pronunciati da un'autorità che sia competente in base a criteri corrispondenti a quelli dell'ordinamento italiano. Questa ulteriore ipotesi di riconoscimento automatico si fonda sulla circostanza che il giudice straniero che ha adottato il provvedimento di giurisdizione volontaria sia provvisto di competenza internazionale, circostanza che compare nell’art. 64 tra i requisiti cui è condizionato il riconoscimento delle sentenze. Se in via di principio, per decisioni e provvedimenti di giurisdizione volontaria stranieri, il riconoscimento ha luogo senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento (con la stessa formula impiegata dalla convenzione di Bruxelles e dai successivi regolamenti), la legge prende ovviamente in considerazione l’eventualità che insorga qualche intoppo. Ai sensi dell’art. 67, in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera o del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla corte d'appello del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento. A differenza della

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convenzione di Bruxelles e del regolamento 44/2001 che nega la possibilità di ricorrere alla procedura semplificata alla parte che contrasta il riconoscimento, la legge 218 estende questa possibilità a chiunque abbia interesse. Le decisioni straniere o il provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, unitamente al provvedimento che accoglie la domanda, costituiscono titolo per l'attuazione e l'esecuzione forzata. Quanto al rito, nel silenzio dell’art. 67, la giurisprudenza ritiene che debba essere seguito il rito ordinario a differenza di quanto avviene per il riconoscimento delle decisioni contemplate nei regolamenti 44/2001 e 2201/2003 che prevedono una procedura assai più snella. Restava dubbia la questione se fosse necessario utilizzare il meccanismo previsto dall’art. 67 e quindi ricorrere all’autorità giudiziaria, nei casi in cui la decisione straniera necessita trascrizione o iscrizione in pubblici registri. Il quesito ha provocato il differimento dell’entrata in vigore di tutto il titolo IV della legge (efficacia di sentenze e atti stranieri), avvenuta solo il 31 dicembre 1996, per consentire l’approvazione di un disegno di legge che regolamenti la questione. In un primo momento l’orientamento, anche dei disegni di legge sulla riforma dell’art. 67, era quello dell’obbligo di ricorso al giudice per la trascrizione o iscrizione nei pubblici registri, giustificata dalla distinzione dell’art. 67.2 tra esecuzione forzata ed attuazione. Ma alla fine la legge è entrata in vigore mantenendo la sua formulazione originaria. A questo punto Ministro della Giustizia ha risolto la questione con la circolare del 7 gennaio 1997 che avvalora una interpretazione del tutto opposta, forse influenzata dalla stesura in corso del regolamento 1347/2000: il provvedimento straniero viene presentato direttamente all’ufficiale di stato civile per essere trascritto, iscritto o annotato nei registri il quale, se ritiene sussistere i requisiti previsti dagli artt. 64, 65 e 66 provvede di conseguenza, viceversa rimette la questione al Prefetto al quale compete la vigilanza sulla tenuta dei registri di stato civile (D.P.R. 396/2000). Il Prefetto a sua volta, se ritiene che esistano le condizioni, l’ufficiale di stato civile procede di conseguenza, in caso contrario lo invita a comunicare al richiede che mancano i requisiti. Solo allora il richiedente potrà rivolgersi alla corte d’appello. Il dubbio circa l’interpretazione dell’art. 67 riguardava oltre che i registri di stato civile, anche quelli immobiliari. Il ministero si riferisce solo ai primi, ma è plausibile che venga seguita anche nel secondo caso: nel senso che il provvedimento straniero può essere sottoposto al conservatore dei registri immobiliari, a cui è affidato il compito di stabilire in prima battuta se sussistono i requisiti per il riconoscimento, dovendosi ricorrere alla corte d’appello solo in caso di rifiuto. L’art. 67.3 dispone: “Se la contestazione ha luogo nel corso di un processo (in via incidentale), il giudice adito pronuncia con efficacia limitata al giudizio.” In questo caso la contestazione della riconoscibilità di un provvedimento straniero non avviene mediante un’azione diretta, ma in un processo nel quale quel provvedimento è fatto valere in relazione alle conseguenze che ha sulla domanda principale. Essendo il riconoscimento delle decisioni straniere automatico, a sollevare la questione di riconoscibilità, ponendola come questione preliminare rispetto alla domanda principale, è la parte che si oppone alla riconoscibilità. L’art. 68 dispone il riconoscimento automatico anche per gli atti pubblici68 ricevuti da pubblici ufficiali all'estero, mentre solo in caso di mancata ottemperanza o di contestazione la parte interessata deve seguire la procedura delineata dall’art. 67, necessaria anche ai fini dell’esecuzione forzata. L’unico limite al riconoscimento ed esecuzioni è quello dell’ordine pubblico69.

68 Ad esempio la promessa unilaterale di pagamento, la rinuncia all’azione, il riconoscimento della fondatezza di una domanda e gli atti di conciliazione ricevuti da giudici, cancellieri e autorità amministrative. In generale è da considerarsi atto pubblico se corrisponde ai requisiti previsti dall’art. 2699 c.c. oppure è redatto con le formalità richieste, da un notaio o da altro ufficiale di stato civile. 69 La circolare del Ministro degli Interni del 26 marzo 2001 in materia di registri di stato civile ha disposto che non è trascrivibile il matrimonio celebrato all’estero tra omosessuali, di cui uno è italiano.

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LA CONVENZIONE DI ROMA DEL 1980 SULLA LEGGE APPLICABILE ALLE

OBBLIGAZIONI CONTRATTUALI

Attraverso l’art. 57 della legge di riforma, la convenzione di Roma del 198070 in materia di obbligazioni contrattuali, viene incorporata nella legge 218 ed esteso così il suo ambito di applicazione a tutti i tipi di obbligazioni contrattuali, comprese quelle di cui la convenzione non si occupa. Con la previsione dell’art. 57, la convenzione di Roma acquisisce carattere universale, nel senso che si applica anche agli stati non contraenti, se richiamati dalle norme di conflitto della legge italiana, al pari di quanto avviene per convenzioni richiamate dagli art. 42, 45 e 59. La convenzione di Roma, inizialmente sottoscritta dai primi 9 stati membri della Comunità Europea, è stata successivamente ratificata da altri stati contraenti entrati a far parte dell’Unione Europea (in totale 25). Inoltre, a seguito di un protocollo entrato in vigore nel 2005, la Corte di giustizia delle comunità europee è competente sulle questioni inerenti la corretta interpretazione della convenzione, al pari di quanto avviene per la legislazione comunitaria. La convenzione di Bruxelles del 1968 (esecuzione delle sentenze straniere in materia civile e commerciale) e di Roma del 1980 (legge applicabile alle obbligazioni contrattuali) costituiscono le prime concrete attuazioni della volontà di fare del territorio comunitario uno spazio giuridico integrato dove i cittadini possono far valere i loro diritti in un altro stato membro non meno che in quello in cui risiede. Esiste un progetto di Diritto europeo dei contratti orientato al riavvicinamento del diritto materiale che potrebbe condurre gli stati membri dell’Unione Europea a dotarsi di una disciplina di diritto sostanziale uniforme (c.d. Roma I71), ma per ora le sole norme di carattere generale vigenti restano quelle della convenzione di Roma del 1980. Ai sensi dell’art. 1.1 della convenzione, le sue disposizioni “si applicano alle obbligazioni

contrattuali nelle situazioni che implicano un conflitto di leggi.” Ad esempio un contratto che al momento della conclusione è totalmente interno allo stato del foro, ma che all’inizio del processo una delle parti trasferisce la residenza in un altro stato oppure se il contratto contiene una clausola che richiede l’applicazione della legge di uno stato diverso da quello del foro. La convenzione si applica anche a situazioni che hanno connessioni con uno stato non comunitario, nel caso che almeno una delle parti abbia la cittadinanza di uno stato comunitario o vi sia residente. Infatti l’art. 2 dispone: “La legge designata dalla presente convenzione si applica anche se è la

legge di uno Stato non contraente.” La relazione Giuliano e Lagarde riporta che la convenzione è una legge uniforme di diritto internazionale privato idonea a sostituire, nelle materie da essa contemplate e fatte salve le altre convenzioni, le norme di d.i.p. vigenti nei singoli stati contraenti. L’art. 1.2 esclude dall’ambito di applicazione della convenzione alcuni negozi, per le quali si prevedevano specifiche discipline pattizie72, ma anche tutte le questioni che riguardano la capacità delle persone fisiche, sottoposte alla legge nazionale, e giuridiche regolate dalla legge dello stato dove questa si è perfezionata. Nella convenzione la determinazione della legge applicabile è ispirata a tre principi fondamentali: 1. Il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti73 (art. 3.1), quindi possono scegliere anche

una legge diversa da quella dei contraenti, ma con il limite delle disposizioni imperative. Ad 70 Testo modificato dalla convenzione del 10 aprile 1984 relativa all'adesione della Grecia, dalla convenzione del 18 maggio 1992 relativa all'adesione della Spagna e del Portogallo, dalla convenzione del 29 novembre 1996 relativa all'adesione dell'Austria, della Finlandia e della Svezia e dalla convenzione del 14 aprile 2005 sull'adesione della R. ceca, dell’Estonia, di Cipro, Lettonia, della Lituania, dell’Ungheria, Malta, Polonia, della Slovenia e della R. slovacca. 71 Per distinguerlo da Roma II, la proposta di regolamento sulle obbligazioni extra-contrattuali. 72 In particolare testamenti e successioni, regimi matrimoniali, diritti e doveri derivanti dai rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, compresi gli obblighi alimentari a favore dei figli naturali, obbligazioni che derivano da cambiali, assegni, vaglia cambiari nonché da altri strumenti negoziabili; compromessi, clausole compromissorie e convenzioni sul foro competente; ai contratti di assicurazione per la copertura di rischi localizzati nei territori degli Stati membri (ma non quelli di riassicurazione); eccetera. 73 È principio corrispondente ad un orientamento concordemente seguito nel d.i.p. di tutti gli stati comunitari, dalla maggior parte degli ordinamenti degli altri paesi e dalla giurisprudenza arbitrale.

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esempio tra un francese ed un italiano, entrambi domiciliati nei loro paesi, le parti possono scegliere la legge inglese per regolare il contratto, ma solo se in quella materia l’ordinamento francese o italiano non lo vieta. Le parti possono designare la legge applicabile a tutto il contratto, oppure a una parte di esso, cioè i contraenti hanno la facoltà di scegliere leggi diverse per regolare distinte parti del contratto.

2. In assenza di scelta, il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto (art. 4.1).

3. Quanto alla forma, un contratto concluso tra persone che si trovano nello stesso paese è valido se soddisfa i requisiti di forma della legge del luogo che ne regola la sostanza o della legge del luogo in cui viene concluso (art. 9.1).

La scelta della legge applicabile al contratto può essere espressa o tacita, cioè risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze. Ad esempio dalla scelta del foro o dalla determinazione del luogo dove dovrà svolgersi il giudizio. Ai sensi dell'art. 3.2, le parti possono convenire in qualsiasi momento di sottoporre il contratto ad una legge diversa da quella che lo regolava in precedenza. Qualsiasi modifica relativa alla determinazione della legge applicabile, intervenuta posteriormente alla conclusione del contratto, non ne inficia la validità formale e non pregiudica i diritti dei terzi. Addirittura la scelta o la modifica della scelta della legge applicabile potrebbe avere luogo anche nel corso di una controversia relativa al contratto, ma dipende dal diritto processuale del singolo stato stabilire se ciò possa in concreto avvenire e fino a quando: per quanto riguarda l’Italia, presupponendosi il consenso di entrambe le parti, è da ritenere che tale momento possa essere successivo alla prima comparizione delle parti e trattazione della causa (art. 183 c.p.c.). La scelta deve riguardare quegli elementi del contratto suscettibili di essere sottoposti a una legge diversa da quella che regola gli altri elementi, senza dare luogo a risultati contraddittori. Ove le leggi prescelte non potessero essere cambiate coerentemente, sarebbe impossibile tenere conto della volontà dei contraenti e si renderebbe necessario ricorrere all’art. 4 sulla legge applicabile in mancanza di scelta. Allo stesso modo, quando le parti scelgono la legge regolatrice solo per parte del contratto, senza indicare nulla per la parte residua, per quest’ultima si ricorre all’art. 474. La piena autonomia delle parti ha un limite nell’art. 3.3 disponendo che la scelta delle parti di una legge straniera, accompagnata o non dalla scelta di un tribunale straniero, qualora nel momento della scelta tutti gli altri dati di fatto si riferiscano a un unico paese, non può recare pregiudizio alle norme inderogabili di tale paese, cioè alle c.d. disposizioni imperative. Queste norme hanno una connotazione più ampia rispetto a quelle di applicazione necessaria, in quanto è sufficiente che il loro ordinamento le consideri indisponibili e possono appartenere a qualunque ordinamento, anche diverso da quello del foro. La legge regolatrice della clausola contrattuale per la scelta della legge applicabile è data dall’art. 3.4: “L'esistenza e la validità del consenso delle parti sulla legge applicabile al contratto sono

regolate dagli articoli 8 (esistenza e validità sostanziale), 9 (requisiti di forma) e 11 (incapacità).” In mancanza di scelta delle parti, la legge applicabile al contratto è regolata dall’art. 4 con un sistema complesso, la cui linea comune è data da uno dei tre principi fondamentali: applicare la legge dello stato con il quale il contratto ha un collegamento più stretto75. Si è già osservato che la convenzione ammette il frazionamento del contratto sia per volere del giudice (art. 4.1) che delle parti. Quanto alla prima eventualità, il giudice, se le parti non hanno provveduto a designare la legge regolatrice, qualora una parte del contratto sia separabile dal resto

e presenti un collegamento più stretto con un altro paese, a tale parte del contratto potrà

applicarsi, in via eccezionale, la legge di quest'altro paese. Non si tratta dunque di un obbligo imposto al giudice, ma di una facoltà, in via eccezionale, di addivenire al frazionamento.

74 In questo senso si è espressa anche la nostra Cassazione (sez. unite del 2001). 75 Da notare che il criterio di collegamento per individuare la legge regolatrice del contratto è diverso da quello richiamato dalla convenzione di Bruxelles e dal regolamento 44/2001.

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Si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale, se si tratta di persona fisica o la propria amministrazione centrale, se si tratta di una società, associazione o persona giuridica. È esclusa l'applicazione di questa previsione quando la prestazione caratteristica non può essere determinata. Per la Cassazione la prestazione caratteristica è la fornitura di merce con le modalità previste nel contratto, ma può essere individuata anche nella prestazione intellettuale di un avvocato. Il termine prestazione caratteristica adottato dall’art. 4.2 è stato mutuato dalla Corte federale svizzera il quale ritiene che la prestazione caratteristica attiene alla prestazione funzionale di un contratto, quindi quella non monetaria. Pertanto in una compravendita la prestazione caratteristica è data da chi fornisce il bene e non da chi paga il prezzo. Tuttavia questa definizione crea alcuni problemi in alcuni tipi di contratto come il mutuo, per questa ragione per alcuni la prestazione caratteristica va valutata caso per caso in relazione alla causa del contratto. Bisogna aggiungere che il criterio del collegamento più stretto della convenzione di Roma al pari della prevalente localizzazione della vita matrimoniale della legge italiana, danno al giudice un grande potere discrezionale per rapportarli al caso concreto. Se il contratto è concluso nell'esercizio dell'attività economica o professionale della parte, il paese da considerare è quello dove è situata la sede principale dell’attività, oppure, se a norma del contratto la prestazione dev'essere fornita in una sede diversa dalla sede principale, il paese da considerare è quello dove è situata questa diversa sede (art. 4.2). Quando il contratto ha per oggetto un diritto reale o un diritto di utilizzazione di un bene immobile, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto con il paese in cui l'immobile è situato (art. 4.3)76. Le presunzioni del collegamento più stretto vengono meno quando dal complesso delle circostanze risulta che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese (art. 4.5). Quindi se il giudice ritiene, nonostante il gioco delle presunzioni elencate nell’art. 4, che al contratto debba essere collegato un'altra legge, applica quest’ultima. Questo perché si tratta di presunzioni, in pratica un aiuto che la convenzione fornisce al giudice per determinare quale legge ha il collegamento più stretto con il contratto, ma che non vincolano la sua scelta. Per riassumere, il criterio di collegamento con la legge applicabile è dato in successione da: 1. la volontà delle parti; 2. laddove non vi è una scelta, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto con

la legge dello stato dove è residente il prestatore caratteristico; 3. se questo elemento viene meno (perché non si può individuare o il giudice non lo ritiene

sufficiente) opera il criterio del collegamento più stretto secondo il gioco delle presunzioni; 4. se il gioco delle presunzioni non è idoneo a parere del giudice, questi disporrà diversamente. Per i contratti conclusi con i consumatori (art. 5) e per i contratti individuali di lavoro (art. 6) la convenzione ha due norme di conflitto apposite al fine di proteggere le parti considerate deboli. I contratti conclusi dai consumatori hanno per oggetto la fornitura di beni mobili materiali o di servizi a persone, i consumatori, per un uso estraneo alla loro attività professionale, compresi i contratti destinati al finanziamento di tale fornitura (art. 5.1). In deroga all'articolo 477 ed in mancanza di scelta, sono sottoposti alla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale (art. 5.3). Se le parti scelgono la legge, tale scelta “non può

aver per risultato di privare il consumatore della protezione garantitagli dalle disposizioni

imperative della legge del paese nel quale risiede abitualmente” (art. 5.2). Quindi il giudice deve 76 Mentre per il contratto di trasporto di merci si presume un collegamento più stretto col paese in cui il vettore ha la sua sede principale al momento della conclusione del contratto, se detto paese coincide con quello in cui si trova il luogo di carico o di scarico o la sede principale del mittente (art. 4.4). 77 Infatti l’art. 4.2 stabilisce che la legge da applicare è quella dello stato dove ha la residenza abituale la parte che deve fornire la prestazione caratteristica. Anche se quella dovuta dal consumatore non è prestazione caratteristica, questa norma si applica anche ai consumatori.

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fare una valutazione tra la legge applicabile al consumatore (quella della sua residenza abituale) e quella scelta nel contratto. Se questa è più favorevole al consumatore la applica, altrimenti applica quella prevista dall’art. 5.3 (legge dove il consumatore ha la residenza abituale). L’art. 5 deve essere posto in relazione alla direttiva comunitaria 93/13 (ma ci sono disposizioni analoghe anche in altre direttive: 97/7 e 99/44) secondo cui “gli stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della protezione assicurata dalla presente direttiva, a causa della scelta della legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno stato membro”. Tale norma è oggi trasfusa nell’art. 1469 quinquies, ultimo comma, del nostro codice civile che amplia la tutela del consumatore nei confronti dei rischi dell’optio legis. Per questa ragione la scelta del diritto applicabile operata dalle parti è suscettibile di essere ignorata a favore della legge della residenza abituale del consumatore, in relazione ai contratti che presentano uno stretto legame con uno stato comunitario. Per i contratti individuali di lavoro78, l’art. 6 stabilisce sostanzialmente le condizioni di tutela operate per i consumatori, infatti: “la scelta della legge applicabile ad opera delle parti non vale a

privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge che

regolerebbe il contratto, in mancanza di scelta” (art. 6.1) Il paragrafo 2 prevede che, in mancanza di scelta, il contratto di lavoro sia regolato (criterio di collegamento in concorso successivo): � dalla legge del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro, anche se è inviato

temporaneamente in un altro paese; � in mancanza, dalla legge del paese dove si trova la sede che ha proceduto ad assumere il

lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro sempre nello stesso paese; � se risulta dall'insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più

stretto con un altro paese, si applica la legge di quest'altro paese. Da notare che mentre la legge scelta dalle parti cede sempre davanti alle norme imperative degli stati, nei contratti conclusi dai consumatori e quelli di lavoro le norme della legge designata dalle parti cedono solo se la disciplina è per loro più favorevole (inderogabili in peius). Le norme imperative disposte dalla convenzione sono date dagli articoli: 3.3 (contratti interni), 5 per i consumatori, 6 per i lavoratori, 7 norme di applicazione necessaria e 16 ordine pubblico. L’art. 7.2 riconoscendo che la volontà contrattuale “non può impedire l'applicazione delle norme in

vigore nel paese del giudice, le quali disciplinano imperativamente il caso concreto

indipendentemente dalla legge che regola il contratto.” Viene in questo modo fugato il dubbio che uno stato contraente, dando applicazione ad una norme di applicazione necessaria79 che esclude o limita una norma della convenzione, si possa commettere un illecito internazionale per violazione degli obblighi assunti mediante convenzione. La Corte comunitaria ha però ritenuto che, in virtù del principio che assicura la preminenza e uniformità di interpretazione del diritto comunitario, le norme di applicazione necessaria degli stati membri non operano rispetto alle prescrizioni del Trattato CE e in particolare dei suoi 4 capisaldi: libertà e circolazione delle merci, persone, servizi e capitali. L’art. 7.1 prevede che quando le norme della convenzione portano all’applicazione di una legge di un determinato paese, potrà essere data efficacia anche alle norme imperative di un altro paese con il quale la situazione presenti uno stretto legame, se il diritto di quest'ultimo paese è applicabile quale che sia la legge regolatrice del contratto. Per decidere se debba essere data efficacia a queste norme imperative, si terrà conto della loro natura e del loro oggetto, nonché delle conseguenze che deriverebbero dalla loro applicazione o non applicazione. 78 La nozione di contratto individuale di lavoro non viene fornita dalla convenzione di Roma, ne da quella di Bruxelles e dal regolamento 44/2001, sebbene prevedano un apposita disciplina. Essa pertanto va ricostruita dall’interprete sulla base delle singole legislazioni nazionali. 79 Le norme imperative sono definite dalla relazione Giuliano e Lagarde norme di applicazione necessaria, cioè disposizioni che devono essere applicate indipendentemente dal carattere transnazionale o solo interno della fattispecie da regolare, in virtù della volontà del legislatore di salvaguardare l’organizzazione politica, sociale ed economica di una nazione.

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Questa ipotesi non trova riscontro nella nostra legge ed è data facoltà ai vari stati se applicarla o meno: l’Italia ha aderito anche a questa norma. Per dare efficacia alle norme di applicazione necessaria della legge di uno stato diverso da quello della legge che regola il contratto, non basta il legame tra l’oggetto della controversia e la legge, vi deve essere un attacco tra il contratto e le norme di quel paese. Occupandosi dell’art. 9 relativo ai requisiti di forma, la relazione Giuliano e Lagarde osserva che l’art. 7.1 può trovare applicazione anche nel caso la legge del luogo di esecuzione di un contratto di lavoro prescriva, con una norma di applicazione necessaria, la forma scritta a pena di invalidità (anche limitatamente alla clausola di non concorrenza). Se il giudice riterrà dare efficacia a quella legge, pronuncerà l’invalidità del contratto nonostante la legge del luogo di stipulazione oppure quella prescelta dalle parti ammettano la forma orale. L’art. 8.1 fa dipendere l'esistenza e la validità del contratto o di una sua disposizione, dalla legge che sarebbe applicabile in virtù della convenzione se il contratto o la sua clausola fossero validi. Tuttavia il contraente, al fine di dimostrare che non ha dato il suo consenso, può riferirsi alla legge del paese in cui ha la sua residenza abituale, se dalle circostanze risulta che non sarebbe ragionevole il suo comportamento (art. 8.2). L’art. 10.1 lett. e) sottopone alla legge regolatrice del contratto anche le conseguenze della nullità del medesimo contratto. Ma fu data facoltà agli stati di riservarsi su questo punto e tra quelli che se ne sono avvalsi vi è l’Italia. Configurabile come norma materiale, in quanto opera anche se i contraenti sono concittadini o sono domiciliati nello stesso paese, è l’art. 11 il quale sancisce che nel contratto concluso tra persone che si trovano nello stesso paese (non lo stesso luogo), la persona fisica capace secondo la legge di questo paese può invocare la sua incapacità, risultante da un'altra legge, solo se l'altro contraente ne era a conoscenza al momento della conclusione del contratto o l'ha ignorata per colpa. La protezione dell’art. 11 ai contraenti in buona fede non opera per le persone fisiche che si trovarono in stati diversi, anche se la legge che disciplina il contratto dovesse considerarlo concluso nel paese in cui si trova il contraente capace. La convenzione interviene in tema di capacità per evitare che la sicurezza delle relazioni commerciali transnazionali possa essere compromessa, ove si consenta ad una persona fisica, incapace secondo la legge (nazionale o domiciliare che sia80), di trarre vantaggio dalla sua incapacità e dalla conseguente invalidità del contratto, per nuocere alla controparte in buona fede. La relazione Giuliano e Lagarde sottolinea che l’art. 11 si applica solo ai contratti disciplinati dalla convenzione, ma, per l’Italia questa limitazione è superata dall’art. 57 della legge 218 per la quale le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso da essa regolate. L’art. 9 regola i requisiti per la forma81: un contratto concluso tra persone che si trovano nello stesso paese è valido se soddisfa i requisiti di forma della legge del luogo che ne regola la sostanza in forza della convenzione o della legge del luogo in cui viene concluso; invece un contratto concluso tra persone che si trovano in paesi differenti è valido se soddisfa i requisiti di forma della legge che ne regola la sostanza in forza della convenzione o della legge di uno di questi paesi. Il fatto che tali leggi (la lex causae e la lex loci actus

82) siano poste sullo stesso piano implica che la constatazione della validità del contratto può avvenire solo in base a una di queste e non possa essere contestata in relazione alle altre leggi. Allo stesso modo, nei casi di concorso alternativo di criteri di collegamento, un contratto potrà essere dichiarato invalido per la forma solo se né la legge che ne regola la sostanza, né la legge del luogo di conclusione consentono di ritenerlo valido. 80 Sia in quegli ordinamenti che sottopongono la capacità delle persone fisiche alla loro legge nazionale, sia per quegli ordinamenti che la sottopongono alla legge del domicilio. 81 L’assenza di definizione della forma nella convenzione, importante per la qualificazione, è giustificata dalla relazione Giuliano e Lagarde con la scelta di demandarla alla “legge del luogo che ne regola la sostanza”. Per la relazione la forma è “qualsiasi comportamento esterno imposto all’autore di una manifestazione di volontà giuridica, comportamento in mancanza del quale la manifestazione di volontà non può essere considerata pienamente efficace”. 82 La legge del luogo dove il contratto viene concluso.

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Oltre al contratto, è valida la forma di un atto giuridico unilaterale relativo ad un contratto concluso, o da concludere, se soddisfa i requisiti di forma della legge del luogo che regola o regolerebbe la sostanza di quel contratto in forza della convenzione o della legge del luogo in cui l’atto è compiuto (art. 9.4). Questa disciplina vale anche per gli atti pubblici per i quali, anche se non contemplati da tutte le legislazioni comunitarie, si è deliberatamente evitato di formulare regole specifiche. La forma dei contratti dei consumatori è regolata dalla legge del paese in cui il consumatore ha la sua residenza abituale (art. 9.5) e, allo stesso modo qualsiasi contratto che ha per oggetto un diritto reale su un immobile o un diritto di utilizzazione di un immobile è sottoposto alle regole imperative di forma della legge del paese in cui l'immobile è situato, se tale legge si applica indipendentemente dal luogo di conclusione del contratto e dalla legge che ne regola la sostanza (art. 9.6). Importanza essenziale riveste l’art. 10 che determina la sfera di applicazione della legge regolatrice del contratto e in particolare: a) la sua interpretazione; b) l'esecuzione delle obbligazioni che ne discendono; c) nei limiti dei poteri attribuiti al giudice dalla sua legge processuale, le conseguenze dell'inadempimento totale o parziale di quelle obbligazioni, compresa la liquidazione del danno, se governata da norme giuridiche; d) i diversi modi di estinzione delle obbligazioni nonché le prescrizioni e decadenze fondate sul decorso di un termine; e) le conseguenze della nullità del contratto. Quest’ultimo punto regola primariamente le restituzioni cui le parti devono procedere in seguito alla constatazione della nullità del contratto. Sulla delicata questione si è riconosciuta agli stati contraenti la facoltà di formulare una riserva e l’Italia ne ha fatto uso. Pertanto, il giudice italiano dovrà rifarsi al diritto richiamato dall’art. 61 (obbligazioni nascenti dalla legge) del d.i.p. e non alla convenzione. Per quanto concerne le modalità di esecuzione (giorni festivi, esame della merce e misure da adottare nel caso questa viene rifiutata) e le misure che il creditore dovrà prendere in caso di esecuzione difettosa, si applica la legge del paese dove l'esecuzione ha avuto luogo (art. 10.2). L’art. 14 è una norma sostanziale in quanto dispone che la legge regolatrice del contratto è applicabile se, in materia di obbligazioni contrattuali, essa stabilisce presunzioni legali o ripartisce l'onere della prova. Gli atti giuridici possono essere provati con ogni mezzo di prova ammesso (tanto dalla legge del foro quanto dalle altre leggi sulla validità dell’atto in relazione alla forma) sempreché possa essere impiegato davanti al giudice adito. L’art. 15 - esclusione del rinvio – stabilisce che quando la convenzione prescrive l'applicazione della legge di un paese, essa si riferisce alle norme giuridiche in vigore in questo paese, escludendo le norme di diritto internazionale privato. Al contrario l’art. 13 della legge 218 stabilisce che si tiene

conto del rinvio operato dal diritto internazionale privato straniero alla legge di un altro Stato. Quanto al richiamo ad ordinamenti plurilegislativi, a differenza della soluzione dell’art. 18 della legge 218 (la legge applicabile si determina secondo i criteri utilizzati da quell'ordinamento), quella dell’art. 19.1 della convenzione dispone che se uno Stato si compone di più unità territoriali ciascuna con le proprie norme in materia d'obbligazioni contrattuali, ogni unità è considerata come un paese ai fini della determinazione della legge applicabile. Per quanto riguarda il limite dell’ordine pubblico la soluzione inserita nell’art. 16 della convenzione è stata accolta dall’art. 16 della legge 218. La convezione dispone che l'applicazione di una norma della legge designata dalla convenzione può essere esclusa solo se tale applicazione sia manifestamente incompatibile con l'ordine pubblico del foro. Bisogna ricordare però, che il 2° comma dell’art. 16 della legge italiana prevede una linea di ripiegamento assente nella convezione, stabilendo che se la legge straniera non è applicabile perché i suoi effetti sarebbero contrari all’ordine pubblico, i nostri giudici applichino la legge richiamata mediante altro collegamento eventualmente previsto e solo se ciò non sia possibile, applichino la legge italiana. Anche se manca una previsione simile, può essere accettata la tesi del richiamo all’art. 4 della convenzione che entra in gioco nella misura in cui la legge che regola il contratto non sia stata scelta. L’art. 18 dispone che nell'interpretazione e applicazione delle norme uniformi della convenzione, si terrà conto del loro carattere internazionale e dell'obbligo che siano interpretate e applicate in modo uniforme.