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2010/2011 sul confine Diritti Umani meridionale

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2010/2011

sul confineDiritti Umani

meridionale

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Han participado en la elaboración de este informe:

Guillaume Jacquemart, Melanie Schewizer, Cecile Nicolas, Francesco Picone, Inmaculada Gala, Mª

Ángeles Marco, Manuela Martínez, Natalia García y Rafael Lara.

Coordinación: Rafael Lara

Queremos agradecer la colaboración de la APDH de Melilla y de la Asociación Elín en Ceuta

Edición: Área de inmigración de la APDHA

Fotografía de portada: José Luis Sánchez Hachero

Diseño de portada: Gabinete de Comunicación APDHA

La Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía es miembro de:

Asociación Europea de Derechos Humanos (AEDH)

Red Euroafricana Migreurop

Edita:

Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía

C/ Blanco White nº 5, 41018 Sevilla (España)

Tfno. +34954536270

[email protected]

www.apdha.org

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“FRONTERA SUR”: 10 ANNI DI VITA

Gli ultimi dieci anni di rapporti “Frontiera Sud” realizzati dall’”Associazione Per i Diritti

Umani dell’Andalusia” descrivono l’evoluzione dell’immigrazione irregolare nel nostro paese ed

attorno a questo. Lo spostamento di frontiere verso il Sud ha avuto come conseguenza la

necessità di ampliare il nostro sguardo che, poco a poco, si è esteso dallo stretto fino all’Africa

subsahariana, passando per tutto il Maghreb e senza dimenticare il resto di frontiere europee.

L’avvicinamento alla realtà si è realizzato da molteplici prospettive, provando sempre a

mettere in primo piano i protagonisti, le persone migranti, senza scordarsi tuttavia le ragioni

che fanno sì che emigrino in contesti pericolosi e le politiche che condizionano queste

migrazioni. In numerose occasioni ci siamo basati sulle testimonianze degli immigrati e su

visioni di amici e amiche di organizzazioni affini provenienti dal continente africano ed europeo

con cui lavoriamo da anni. Inoltre, ci siamo spostati ed abbiamo mantenuto una comunicazione

vicina con associazioni in Marocco e Mali principalmente, ma anche in altri paesi. Questi scambi

ci hanno permesso di avere una visione d’insieme variegata e complessa, qualcosa che abbiamo

provato a riflettere nei rapporti.

Guardando all’indietro sorprende che sin dai primi “Frontera Sur” che abbiamo

pubblicato ci siano temi ricorrenti a quelli di cui si fa menzione permanentemente. Tra questi,

spiccano l’”Europa Fortezza”, l’accordo di Schengen, il SIVE, gli accordi bilaterali e multilaterali

con paesi del sud, l’esternalizzazione di frontiere, i centri di permanenza/arresto o i minori non

accompagnati. L’Europa chiusa tenacemente che violava dentro e fuori le sue frontiere i diritti

delle persone migranti ha riaffermato la sua strategia ed i suoi obiettivi e, sfortunatamente, la

Spagna è stata un alunno esemplare nella messa in pratica e sviluppo di questi stessi. L’articolo

13.2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, “Ogni persona ha diritto ad uscire da

qualsiasi paese, anche il proprio, e a ritornare al suo paese”, continua a essere infranto

continuamente.

D’altro canto, e come si potrà leggere dettagliatamente nell’analisi di gestione di flussi

migratori di questo rapporto, le cifre relative all’immigrazione irregolare dal Sud hanno subìto

cambi significativi. La diminuzione di arrivi di immigrati nelle nostre coste è stravolgente, e

oscilla dalle 23.486 persone che sono arrivate nel 2001 alle 5.199 che lo hanno fatto nel 2010,

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passando per la ripresa di 41.180 del 20061. Per quanto riguarda le persone che hanno perso la

vita nell’intento di arrivare in territorio spagnolo, le cifre del 2010 (131 persone) si avvicinano

molto a quelle del 2001 (88 persone), contro quelle del 2006 e 2007, che si aggirano sulle 1.000

persone morte2. Questo ribasso nel numero di morti, di cui senza dubbio dobbiamo rallegrarci,

non può nascondere la realtà: continuano a morire persone nei loro peripli migratori, molte

sulle nostre frontiere dirette e molte altre alle nostre frontiere esternalizzate.

Nella “Frontiera Sud” 2010 che presentiamo quest’anno “mettiamo a nudo” l’Europa

Fortezza descrivendo le politiche di un continente che pretende di difendere le sue frontiere a

qualunque prezzo attraverso esternalizzazione, cooperazioni condizionate e ingerenze nelle

politiche di paesi terzi. Inoltre, analizziamo nel dettaglio la potente Agenzia Frontex, incaricata

di vigilare le zone di frontiera europee e di portare a capo espulsioni collettive di immigrati, e

che ha moltiplicato il suo bilancio di 14 volte negli ultimi cinque anni fino ad arrivare a quasi 88

milioni di euro nel 2010 nonostante le molteplici denunce di violazioni di diritti umani con cui

ha a che fare. In terzo luogo, il rapporto si avvicina al ruolo che sta disimpegnando la

Mauritania nel controllo migratorio europeo e mette in dubbio l’esistenza e la funzione del

centro di permanenza di Nouadhibou così come la cooperazione condizionata in questo paese.

Inoltre si affronta la situazione della migrazione subsahariana in Marocco, con speciale enfasi

per quanto riguarda i richiedenti asilo, e tenendo presente il ruolo svolto dalla UE nel regno

alauita. In seguito ci avvicineremo al contesto di Ceuta e Melilla, città circondate da mura in cui

le persone migranti vivono in un limbo legale e vitale. La situazione delle portatrici che

attraversano la frontiera di Ceuta inoltre è stata oggetto di interesse in questo lavoro, dando

luogo ad un riassunto dettagliato delle condizioni degradanti e pericolose a cui queste donne

sono sottoposte per poter sopravvivere.

Infine, si fa un’analisi dei dati dei flussi migratori del 2010 paragonandoli con gli anni

precedenti.

Dieci anni dopo aver cominciato a pubblicare i rapporti “Frontera Sur”, constatiamo che

le politiche migratorie e di asilo di Spagna e della Unione Europea sono sempre più restrittive.

Impera una visione utilitarista dell’immigrato come mera manodopera, vengono poste in essere

politiche di immigrazione scelta, messi in relazione in modo permanente i termini

“immigrazione” e “terrorismo” e non viene rispettato il diritto a emigrare. Nella APDHA

1 Monitoraggio proprio dei dati offerti annualmente dal Ministero degli Interni di Spagna.

2 Monitoraggio della APDHA.

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rivendichiamo la libera circolazione delle persone e denunciamo la violazione dei loro diritti nei

loro percorsi migratori. Lo facciamo da anni e continueremo a farlo nel futuro.

LA FORTEZZA EUROPEA A NUDO. DIFENDERE LE PROPRIE FRONTIERE A

QUALUNQUE PREZZO.

La politica di esternalizzazione che pratica l’Europa da vari anni non lascia spazio né ai

diritti umani, né tantomeno al diritto di asilo o alla libera circolazione delle persone. Questa

assenza dei diritti umani nelle politiche della UE si accentua nonostante la diminuzione nelle

cifre della immigrazione irregolare. Gli ultimi avvenimenti in Grecia, Turchia e nell’isola di

Lampedusa ci dimostrano che siamo molto lontani da una politica migratoria comune e solidale

da parte dell’Europa e che, al contrario, si irrigidisce e rimane cieca di fronte ai cambiamenti

democratici dei suoi vicini mediterranei.

I- Il consolidamento della fortezza europea

Le ultime cifre dell’immigrazione in Europa del Sud dimostrano che l’irrigidimento delle

politiche migratorie condotte ha avuto le sue conseguenze. Composte da una sottile mescolanza

tra repressione e prevenzione, pur tuttavia rimangono limiti molto gravi ai diritti umani e alle

convenzioni internazionali, così come un freno al diritto di asilo. L’estensione della politica della

esternalizzazione comporta, per altra parte, un ripensamento della nozione di frontiera.

A) Un continente quasi inaccessibile all’immigrazione proveniente dall’Africa

Da Cipro fino alle Isole Canarie, passando per le isole greche, Italia e Andalusia, si è

osservata una diminuzione significativa delle cifre dell’immigrazione irregolare per via marittima

nel 2010 (fenomeno che era cominciato nel 2007). Le cifre degli arrivi irregolari sono cadute del

65% in Italia, del 98% a Malta, del 99% nelle Isole Canarie, del 76% nelle isole greche.

Rispetto all’anno 2008, L’Italia ha visto in quella epoca arrivare 29.500 immigrati irregolari

contro i 3.400 durante i primi dieci mesi del 2010. L’evoluzione è simile nei paesi citati sopra:

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per Malta sono rispettivamente per gli anni 2008 e 2010, 775 e 30 entrate irregolari; per Cipro

1.000 e 7; per la Grecia 30.050 e 5.400; per la Spagna 13.424 e 3.6323.

B) Il ruolo importante dell’esternalizzazione.

Questo cambio nei movimenti migratori ha varie spiegazioni, come quella della crisi

economica che riguarda l’Europa, che accentua la disoccupazione del collettivo immigrante:

quelli che stanno in Europa sconsigliano ai rispettivi familiari che vogliono cominciare il

processo migratorio di uscire dal loro paese.

Però ciò che spiega veramente questa diminuzione degli arrivi nel Vecchio Continente è

costituito dalla politica della “esternalizzazione” che conducono i paesi europei dal vertice di

Siviglia nel 2002 e che ha fatto della “lotta contro l’immigrazione illegale” una priorità nelle sue

relazioni con i vicini dell’Unione Europea capeggiata da N. Sarkozy nel 2008.

Con l’esperienza che già aveva maturato nei temi della sicurezza e dell’immigrazione in

Francia come Ministro degli Interni ha deciso di fare della “immigrazione subita” il suo cavallo di

battaglia al comando della UE. Uno strumento per ciò è costituito dal “Patto Europeo

sull’immigrazione e Asilo” (2008) che definisce il nuovo ruolo dei paesi esterni alla UE, che

devono proteggere da lontano le frontiere europee in cambio di compensi, a volte finanziari, a

volte politici.

“La gestione concentrata dei flussi migratori” nasconde in realtà il desiderio di

allontanare il controllo delle frontiere dirette, e creare attorno allo spazio Schengen una

seconda muraglia, che deve assicurare la protezione della fortezza europea.

C) La cooperazione migratoria tra Europa/Africa: repressione e prevenzione

dell’immigrazione irregolare.

Per ottenere un subappalto efficace della protezione del territorio europeo contro gli

immigranti (considerati “illegali” già prima di uscire dal proprio paese) i governi europei hanno

messo in atto due tipi di “cooperazione” con i paesi vicini. La prima che è venuta alla luce è stata

una cooperazione di sicurezza attraverso la repressione degli immigrati dai paesi del nord e

dell’ovest dell’Africa, che è stata completata in seguito da una cooperazione di co-sviluppo,

necessaria affinché la prima abbia tutta la sua efficienza.

Per controllare i flussi migratori nella maggioranza delle traiettorie marittime, i paesi europei

3 Fonte: Frontex e Ministerio del Interior Español.

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hanno dovuto sviluppare in questi ultimi anni politiche di controllo e di sicurezza nelle zone

marittime dei paesi di partenza, e dopo direttamente nel territorio degli stessi. Queste misure –

sempre più rafforzate – portano a trattare le migrazioni come un crimine e gli immigrati come

delinquenti.

Prima, la Libia e il Marocco erano i paesi da cui partivano il maggior numero di

imbarcazioni verso Europa. Però, con gli accordi bilaterali firmati tra Italia e Libia (sono vari dal

2004) si sono bloccate le partenze di clandestini. L’accordo laterale del 2007 prevedeva pattuglie

miste formate da militari libici e da membri della polizia italiani, che pattugliavano tanto le

acque internazionali come le coste libiche. Inoltre, si è stabilito un centro operativo a Tripoli, che

vigila il mare con apparecchiature radar e satellitari fino alle coste italiane.

Il rafforzamento della vigilanza dello Stretto tra Spagna e Marocco (e la sempre più grande

implicazione nel controllo delle migrazioni da parte di quest’ultimo) e la messa in atto della

agenzia Frontex (2005) in queste zone hanno provocato uno spostamento delle rotte marittime

del Mediterraneo fino all’Atlantico e un ampliamento degli accordi bilaterali tra paesi

dell’Europa e paesi subsahariani, che siano paesi di partenza (Senegal, Guinea, Gambia, Capo

Verde, Mauritania…) o di transito (Nigeria, Ghana, Mali…). Più si esportano le frontiere

europee, più gendarmi servono…

Di recente, abbiamo assistito alla firma di accordi bilaterali che amalgamano traffico di

droga e terrorismo con l’immigrazione clandestina. Durante una visita del Ministro degli Interni

italiano Roberto Maroni in Ghana (febbraio 2010) per firmare un nuovo accordo bilaterale, il

capo della polizia italiana ha detto che “le questioni del terrorismo e dell’immigrazione devono

essere gestite congiuntamente, perché i flussi di immigrati irregolari possono essere il mezzo

per i terroristi per arrivare in Italia” 4.

E’ uno dei vari esempi che mostrano che i paesi europei hanno integrato una logica di

criminalizzazione degli immigrati, disprezzando il diritto delle persone a circolare e a lasciare il

paese dove si trovano (Art. 13 della DUDU). E che, per lottare contro questo fenomeno, bisogna

militarizzare il controllo dei flussi migratori, negando il diritto internazionale…e i diritti umani.

La Libia è tristemente famosa per le arbitrarietà commesse contro gli immigrati in questi

ultimi anni: “maltrattamenti, torture, violazioni, omicidi sistematici, con l’indifferenza assoluta

di Frontex e con il confort burocratico che fornisce la consegna di materiali italiani” 5.Con

l’intervento militare occidentale in Libia per proteggere i civili, i diritti umani si convertono ora

4 Italia-Libia: l'obiettivo primario è il contrasto all'immigrazione illegale. Ministero dell'Interno, 10/02/10.

5 Jean-François Bayart, Assez de collusions avec le régime de Kadhafi, Le Monde, 14/03/2011.

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nel principale motivo di azione…Guardando alla storia delle relazioni tra Libia e Europa, ne

possiamo dubitare molto…

Il diritto di asilo è anche un'altra vittima delle politiche migratorie dell’Europa. Con il

pretesto di bloccare gli immigranti nei paesi di partenza, questi sono privati della possibilità di

sollecitare lo statuto di asilo politico. La UE pondera che questi paesi abbiano la capacità di

accogliere in buone condizioni gli immigrati che arrivano, anche se ovviamente in realtà non c’è

né la capacità logistica, né tantomeno quella politica. Dunque, la UE finanzia la creazione di una

moltitudine di centri di detenzione in Africa del Nord.

I governi europei si rallegrano dei risultati di questa politica di cooperazione di sicurezza

con i paesi vicini. Però non sarebbe così efficace senza il suo complemento economico e

finanziario, cioè la politica di co-sviluppo, strumento di ricatto diplomatico utile a che gli

europei riescano a raggiungere i loro obiettivi.

Originariamente, il termine “co-sviluppo” nasce in Francia e proviene dall’intellettuale

franco-algerino Samir Naïr, che lo definisce come “una proposta per integrare immigrazione e

sviluppo in modo che entrambi i paesi, quello di invio e di accoglienza, possano beneficiare dei

flussi migratori. Cioè, è una forma di relazione consensuale tra due paesi in modo che l’apporto

degli immigrati al paese di arrivo non si traduca in una perdita per il paese di invio”. 6

Durante la presidenza francese di N. Sarkozy il termine ha già assunto un altro

significato. Quando si parla di co-sviluppo, si tratta di uno strumento di azione che permette di

ridurre le pressioni migratorie del Sud fino al Nord. Lo sviluppo dei paesi del Sud è diventato un

obiettivo teorico per combattere in modo sostenibile i flussi migratori irregolari. Cosicché si

somma, alla repressione dell’immigrazione irregolare, la sua prevenzione attraverso mezzi

economici.

La Francia ha fatto del suo aiuto allo sviluppo uno strumento di controllo delle

migrazioni irregolari, come prima lo aveva fatto la Spagna nel 2006 con il Piano Africa. In tutti i

casi, il ricorso allo sviluppo, al di là del fatto di costituire un ricatto indecente per il controllo

delle migrazioni, secondo molti studiosi, soprattutto incrementerebbe in una prima fase le

migrazioni, e, in seguito, dopo una fase di stabilizzazione, i movimenti migratori

comincerebbero a diminuire. E’ una politica che può essere efficiente solamente a lungo

termine.7

6 Sami Naïr (1997), Balance y orientación sobre la política de codesarrollo vinculada a los flujos migratorios.

7 Jérôme AUDRAN, Gestion des flux migratoires : réflexions sur la politique française de codéveloppement ,

Annuaire suisse de politique de développement [En ligne], Vol. 27, n°2 | 2008, mis en ligne le 22 mars 2010,

Consulté le 11 avril 2011. URL : http://aspd.revues.org/18.

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Il co-sviluppo è allora soltanto uno strumento camuffato per diminuire l’immigrazione

clandestina, ma anche uno strumento diplomatico per far pressione sui paesi che hanno

bisogno di questi investimenti: gli stati europei distribuiscono il proprio aiuto allo sviluppo

secondo i loro propri interessi e secondo i risultati ottenuti in ogni paese del Sud nella

repressione dell’immigrazione irregolare e della riammissione dei migranti clandestini.

D) Il ripensamento della definizione della frontiera.

La definizione della frontiera è stata per molto tempo incentrata su criteri geografici e

tecnici e si è evoluta integrando vari altri fattori (politici, economici, giuridici…).

Con la creazione di dispositivi di sicurezza “anti-immigrazione” per provare a controllare

i flussi di indesiderati verso l’Europa e la dislocazione della vigilanza dei paesi sviluppati in stati

vicini, stanno cambiando i parametri di definizione delle frontiere.

L’allargamento del raggio dei controlli migratori provoca un aggiramento del diritto

internazionale e della sovranità degli stati del Sud, ma rinforza la frontiera politica dell’Europa.

Non si lotta contro il “nemico” nelle sue stesse frontiere, bensì nel territorio del suo paese di

origine.

Di fronte alla chiusura dell’Europa, gli emigranti subsahariani devono aspettare per

attraversarla in queste nuove zone-tappo (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia). Anticamente spazi

di transito, si sono convertiti in “luoghi di condensazione e di tensione migratoria” 8.

Da quando l’immigrazione è sempre più sottomessa ai controlli amministrativi, i

consolati e le prefetture dei paesi europei si sono convertiti in nuovi posti “transfronterizos”. Le

città europee si sono trasformate in spazi molto ampli di controllo di identità. C’è dunque una

nuova frontiera che attraversa il corpo sociale di un paese, a causa dei controlli di polizia per

motivi di discriminazione razziale e per la caccia dei non documentati.

Queste tre componenti rendono la frontiera migratoria più complessa e molto estesa. E’

diventata impenetrabile, ed è realmente un freno alla libertà di circolazione delle persone. Per

potere entrare in Europa ed avere una protezione o semplicemente migliori condizioni di vita,

gli esiliati devono contornare questa barriera che si è costruita tra il sud dell’Europa ed il Nord

del Magreb. Anziché essere marittime, le traiettorie delle migrazioni sono diventate terrestri,

8 Sur le front des frontièr, Revista Plein droit, n°87, diciembre 2010.

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ma soprattutto più lunghe e più pericolose. Si sono concentrate nella frontiera terrestre greco-

turca, il tallone d’Achille della fortezza europea.

II- Grecia: il tallone d’Achille dell’Europa.

La chiusura delle vie marittime ha provocato uno spostamento dei percorsi migratori,

che si realizzano ora attraverso le vie terrestri, con la Grecia come meta finale. Questo paese al

momento di affrontare questa ondata mostra, proprio come la Turchia, i suoi limiti in materia di

rispetto dei diritti umani, provocando una grave crisi umanitaria.

A) Lo spostamento dei percorsi migratori.

La Grecia sta subendo dal 2010 un notevole arrivo di immigrati, e vede la sua frontiera

terrestre con la Turchia diventare l’anello debole dello spazio Schengen (il 90%

dell’immigrazione irregolare in Europa passa dalla Grecia).

Durante l’anno 2010, si stima in 128.000 il numero di ingressi irregolari nel territorio

greco. Nella regione di frontiera dell’Evros, nuova porta d’Europa, sono state arrestate 31.021

persone tra gennaio e settembre 2010, ossia una crescita del 969% paragonata a quella

dell’anno precedente (6.616 persone arrestate).

La Grecia era chiusa all’immigrazione irregolare da vie marittime, ma non da quelle

terrestri. I migranti hanno cercato nuove vie aggirando il muro del Mediterraneo e arrivando in

Turchia. Secondo il paese di partenza, il tragitto è più lungo, non più corto. Quelli che vengono

dall’Eritrea, dalla Somalia o dal Sudan incominciano un periplo più lungo, che passa per il

Sudan, l’Egitto, Israele, Siria; o attraversano il Mar Rosso ed in seguito passano per l’Arabia

Saudita, Giordania. È una rotta molto pericolosa, poiché nella frontiera egizio-israeliana la

polizia egiziana solitamente commette ogni tipo di brutalità (omicidi di migranti: 28 nel 2008,

20 nel 20099). Israele, dal canto suo, vuole lottare anch’esso contro le migrazioni, e sta

rinforzando le sue politiche repressive (con il progetto di costruire un muro nella frontiera con

Egitto, che dovrebbe essere eretto nel gennaio 201210).

9 Sylvain Marillard, Israel va construire un nouveau mur à la frontière égyptienne, Libération, 11/01/2010.

10 Ibid.

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Per i paesi magrebini, la soluzione è diventata “più facile”: alcuni hanno sostituito le

zattere con i voli low-cost11. Gli algerini e i marocchini possono realizzare il viaggio da

Casablanca o Algeri fino ad Istanbul, senza aver bisogno di visti, in quanto vi sono specifici

accordi tra i tre paesi contraenti.

La città turca si trasforma dunque in una vera sala d’aspetto per i migranti. Si raggruppano

per comunità (iracheni, afgani, sudanesi, somali, sud-sahariani, magrebini) e lavorano nella città

prima di cominciare il cammino fino alla frontiera che dista solamente tre ore da Istanbul12.

B) Grecia e Turchia di fronte alla sfida dell’implementazione della politica migratoria

richiesta dalla UE.

Ankara riceve pressioni da Bruxelles affinché mostri la sua determinazione nella “lotta

contro l’immigrazione illegale”. Non dimentichiamoci che la Turchia è candidata ad essere

membro della UE, e che questo paese dovrà accettare le imposizioni dell’Unione riguardo a

questo tema (tra altri) per poter entrar a far parte di questo club selettivo.

Per questo si creeranno nuovi centri di espulsione nel 2011 vicino alle frontiere greca e

bulgara. Si creeranno sette centri di “accoglienza e permanenza amministrativa” per coloro i

quali facciano domanda di asilo nelle province che ancora non sono equipaggiate con tali

strutture13.

Nel maggio del 2010 si è firmato con la Grecia un accordo bilaterale per il quale si stipula

che Ankara si impegna ad accettare almeno 1.000 richieste di riammissione all’anno. Tra il 2003

e il 2007, tra circa 21.000 richieste di riammissione, solamente 1.200 sono state accettate14.

Le politiche di esternalizzazione della UE e le negoziazioni per l’entrata della Turchia in

Europa sono molto vincolate. Il paese non ha altre alternative che sottomettersi agli accordi ed

avere una partecipazione molto attiva nel blindaggio delle frontiere europee.

Le critiche alla Turchia non devono nascondere la debolezza della politica greca in materia

di migrazioni. Il paese non era preparato a ricevere la quantità di immigrati che sono arrivati

durante l’anno 2010.

Il 24 ottobre del 2010, la Grecia ha interpellato gli stati membri sulla gravità della sua

situazione e ha richiesto l’assistenza delle squadre di Intervento Rapido nelle frontiere (RABIT,

11

Nicolas Castellano, De la patera al low cost, CadenaSer.com, 31/12/2010. 12

Karine Fouteau, Pologne, Roumanie, Grèce: les routes migratoires se déplacent à l'est de l'Europe, Mediapart. 13

www.migreurop.org sezione generalità per paesi. 14

Fonte: Ministero degli Interni greco.

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200 uomini) della agenzia Frontex. E’ la prima volta che uno stato membro della UE richiede

questo aiuto e ha rivelato la vulnerabilità in cui si trovava.

Durante quattro mesi, da novembre del 2010 fino al principio di marzo del 2011,

l’operazione capeggiata da Frontex nella frontiera greco-turca ha permesso, secondo la

Commissaria dell’Interno Cecilia Mamlström15, di ristabilire la “stabilità della situazione nella

frontiera”. Prima della missione, 7.607 persone clandestine erano state localizzate nella

frontiera terrestre, due mesi più tardi erano 3.413 e a febbraio del 2011 solamente 1.632 16.

Verso la fine del 2011, l’operazione “standard” Poseidone rimpiazzerà le forze RABIT.

Oltre a questa misura, l’UE ha concesso, nel dicembre del 2010, 9,8 milioni di euro

supplementari alla Grecia per sostenere la lotta contro l’immigrazione.

Però non è sufficiente. Alla fine del 2010, la Grecia ha deciso di elevare un muro,

coronato da filo spinato, di 12,5 km, tra la frontiera greca e quella turca nell’Evros, che

dovrebbe essere terminato verso la fine del marzo del 2011. La Grecia considera che sia la unica

soluzione per arginare l’ondata di arrivi irregolari nel suo territorio; tuttavia, può considerarsi

come un fallimento politico dello stato, poiché il fatto di aver eretto un muro esprime sempre

un senso di “impotenza di colui che costruisce il muro nel dominare il suo futuro e la sua

ossessione di allontanare lo straniero”17.

Inoltre, a livello di diplomazia, questa costruzione butta benzina sul fuoco tra la Grecia e

il suo vicino turco. L’opinione pubblica turca considera che il muro è una nuova misura per

separare fisicamente il continente europeo e la Turchia. Comunque, il governo turco non ha

reagito di fronte a tale situazione, e preferisce mostrarsi d’accordo con ciò che dice il governo

greco facendo passare l’idea che il muro non concerne la Turchia e i suoi cittadini, bensì i

migranti che transitano per il suo territorio18.

C) La mancanza di rispetto dei diritti umani da parte della Grecia.

La violazione di diritti umani è flagrante; soprattutto a livello di protezione del diritto di

asilo. ACNUR descrive la situazione dell’asilo in Grecia come “una vera crisi umanitaria, indegna

da parte della UE”. Nel 2010, tra più di 30.000 domande di asilo presentate, soltanto 24 sono

state accettate.

15

Nathalie Vandystadt, Changement de mission anti-clandestins en Grèce, Europolitique, 3/03/2011. 16

www.frontex.europa.eu. 17

Sotto la direzione di Jean Marc Sorel, Los muros y el derecho internacional. 18

Carine Fouteau, Après les camps, les murs pour arrêter les migrants, Mediapart, 07/01/11.

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La Grecia, che deve attenersi al regolamento di Dublino II (cioè, ha la responsabilità di

esaminare le richieste di asilo), ha richiesto che gli altri membri della UE smettessero di far

ritornare automaticamente le domande di asilo, la qual cosa hanno fatto Germania, Svezia,

Islanda, Regno Unito e Norvegia. Nel frattempo, il Belgio è stato condannato dalla Corte

Europea dei Diritti Umani di Strasburgo dopo aver rimandato indietro un afgano che richiedeva

l’asilo in Grecia, giudicando le condizioni di trattamento a cui è stato sottoposto come

“degradanti e inumane”19.

Le condizioni di vita nei centri di detenzione sono simili. Sudici, sovraffollati, con episodi

di violenza della polizia…La situazione è allarmante, secondo un relatore ufficiale della ONU ad

Atene20. Nelle celle del centro di permanenza dell’aeroporto di Atene si possono accogliere

normalmente 18 persone, due per ogni cella, però una missione esplorativa ha trovato 88

persone in condizioni di igiene totalmente surreali.

L’Agenzia Europea dei Diritti Fondamentali (FRA) descrive la stessa situazione nel suo

rapporto annuale21. “La situazione nella frontiera terrestre esterna dell’UE tra Grecia e Turchia

costituisce una situazione di emergenza per quanto riguarda i diritti fondamentali. Persone,

incluse donne incinte, e famiglie con bambini piccoli, sono trattenute in condizioni inumane”

afferma il direttore della FRA, M.Morten Kjaerum.

La situazione nel centro di permanenza di Soufli ne costituisce un esempio: il 29 gennaio

del 2011, giorno di visita della FRA, 144 persone erano rinchiuse in una sola stanza che

misurava circa 110 metri quadri. Non c’era riscaldamento, un solo bagno e una unica doccia con

acqua fredda per tutte le persone lì trattenute, sebbene all’esterno le temperature si

avvicinassero a zero gradi.

La relazione aggiunge che le autorità greche non hanno preso nessuna misura per

migliorare le condizioni di permanenza forzata nei centri di Evros, nonostante la Grecia riceva

fondi dall’UE. Il problema sarebbe causato dall’incapacità dello stato nel dominare una gestione

migratoria praticabile, poiché questa responsabilità dipende da quattro ministeri e il riparto a

livello locale delle responsabilità non è ben definito.

Di fronte alle condizioni di vita cui devono far fronte i migranti in Grecia, 286 senza-

documenti hanno cominciato nel gennaio 2011 uno sciopero della fame che è durato 44 giorni

19

Le renvoi de demandeurs d'asile en Grèce condamné à Strasbourg, rtbf.be info, 21/01/11. 20

Grèce/migrants détention inhumaine, Le Figaro, AFP, 20/10/2010. 21

www.fra.europa.eu.

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e che ha ottenuto la sospensione delle loro espulsioni. Hanno pubblicato un manifesto22 che

rivela ciò che sta succedendo in Grecia:

“Siamo immigrati che viviamo in tutta la Grecia. Siamo arrivati qua perseguitati dalla povertà, la

disoccupazione, le guerre, le dittature. Le multinazionali occidentali e i suoi servitori politici nei

nostri paesi non ci hanno lasciato nessun’altra opzione se non quella di rischiare le nostre vite

10 volte per arrivare fino alla porta dell’Europa.

L’Occidente, che sta saccheggiando i nostri paesi, poiché ha un livello di vita

infinitamente migliore, è la nostra unica opportunità di vivere come esseri umani. Siamo arrivati

in Grecia (entrando nel paese normalmente o no) e stiamo lavorando per vivere, noi e i nostri

figli. Stiamo in uno stato indegno e all’oscurità dell’irregolarità, cosicché i padroni e i servizi

dello Stato traggono profitto dallo sfruttamento selvaggio del nostro lavoro. Viviamo con il

nostro sudore e con il sogno di ottenere qualche giorno gli stessi diritti dei nostri colleghi greci.

Ultimamente, le cose sono diventate molto difficili per noi. Mentre si vanno tagliando i salari e

le pensioni, mentre tutto si fa più caro, l’immigrato si presenta come il colpevole, come il

responsabile della miseria e dello sfruttamento brutale dei lavoratori greci e i proprietari di

piccoli negozi. La propaganda dei partiti e dei gruppi razzisti e fascisti è già diventata il

linguaggio ufficiale dello Stato rispetto alla questione migratoria. La sua fraseologia è ripetuta

quasi identica dai mezzi di comunicazione quando parlano di noi. Le loro “proposte” sono

dichiarate ora come politica del governo. Un muro lungo il fiume Evros, nella frontiera con la

Turchia, caserme galleggianti e l’Esercito Europeo nel mar Egeo, “pogrom” e squadroni

d’assalto nelle città, deportazioni di massa. Stanno provando a convincere i lavoratori greci che

costituiamo una minaccia immediata per loro, che noi abbiamo la colpa dell’offensiva senza

precedenti che i loro stessi governi hanno lanciato contro di loro.

La risposta alla fallacia e alla brutalità si deve attribuire ora e la attribuiremo noi, gli

immigrati. Mettiamo davanti le nostre vite per arrestare l’ingiustizia già contro di noi. Esigiamo

la legalizzazione di tutti gli immigrati, richiediamo l’uguaglianza dei diritti politici e sociali e degli

obblighi con i lavoratori greci. Richiediamo ai nostri compagni lavoratori greci e ad ogni uomo

che subisca anche lui lo sfruttamento del suo sudore, che si unisca a noi. Che appoggi la nostra

lotta, che non lasci prevalere nel suo paese la fallacia e l’ingiustizia, il fascismo ed il

totalitarismo delle élites politiche e economiche. Cioè, ciò che ha prevalso nei nostri paesi e ci

ha obbligati ad emigrare per poter vivere con dignità, noi ed i nostri figli.

22

Manifesto della Assemblea degli immigrati in sciopero della fame in Grecia. Gennaio 2011.

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Non abbiamo altra maniera per far sentire la nostra voce, per far sì che veniate a

conoscenza della nostra causa. Trecento di noi di tutta la Grecia inizieremo uno sciopero della

fame ad Atene e Tessalonica il 25 gennaio. Mettiamo le nostre vite a rischio, perché tirando le

somme questa non è una vita per un uomo decente. Preferiamo morire qui, piuttosto che

lasciare che i nostri figli vivano quello che abbiamo vissuto noi”.

La Grecia, estenuata per i flussi migratori, teme che con la guerra civile in Libia produca

una fuga di rifugiati verso le sue frontiere. Cosa che non è successa ancora, poiché coloro che

provano ad attraversare il mar Mediterraneo lo fanno verso l’isola italiana di Lampedusa.

II- Lampedusa: inizio di uno “tsunami migratorio” o puro fantasma

europeo?

Dall’inizio degli arrivi di immigrati tunisini in Italia il paese presenta la situazione a

Lampedusa come molto critica, criticando la poca solidarietà degli altri paesi europei. Tuttavia,

più che un’invasione, Lampedusa nasconde una strumentalizzazione delle migrazioni irregolari

per fini elettorali, e dimostra le goffaggini delle politiche migratorie degli europei di fronte agli

avvenimenti eccezionali dei paesi del Maghreb.

A) L’Italia sola di fronte ad uno “tsunami migratorio”…

L’inizio delle rivolte in Egitto, Marocco, Tunisia e Libia nel dicembre del 2010 ha

provocato una diminuzione della vigilanza di frontiera di Tunisi e Libia, fatto che ha permesso a

molti candidati alla migrazione (nazionali e stranieri) di uscire da questo territorio.

La vicinanza con l’Italia ha fatto sì che le partenze si stiano concentrando verso questo

paese e principalmente verso l’isola di Lampedusa. Da gennaio fino alla data odierna, circa

27.000 persone (fondamentalmente tunisini, però anche libici, eritrei e somali) sono arrivati nel

territorio italiano, che non era preparato ad accogliere questo “tsunami migratorio”, come lo ha

chiamato Berlusconi.

Questi arrivi hanno provocato lo straripamento del centro di permanenza temporanea

di Lampedusa, che ha una capacità di accoglienza di 800 persone. A febbraio contava 2.000

persone23, e a fine marzo erano più di 2.400 all’interno del centro, e più di 4.000 quelli che

23

Fonte: ACNUR.

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dormivano fuori, nella spiaggia o nel porto, in condizioni di vita esecrabili: Amnesty

International notava24 che “molti non beneficiano dell’assistenza richiesta per le proprie

necessita umanitarie più elementari (rifugio, cure mediche, coperte, possibilità di accesso a

strutture sanitarie)”.

Per “disintasare” l’isola, il governo italiano ha organizzato dall’inizio di aprile diversi

trasferimenti di immigrati verso altri centri di “accoglienza” nella penisola italiana. Tuttavia,

varie regioni, soprattutto quelle del nord, amministrate dalla Lega Nord (“estrema” destra,

partito dell’attuale Ministro degli Interni Roberto Maroni) hanno mostrato il proprio disaccordo

nell’accogliere gli immigrati.

Uno di questi campi di immigrati è stato installato nella città di Manduria (nel sud-Italia,

in Puglia) in una antica base militare nord-americana, che ha ricevuto la maggior parte degli

immigrati provenienti da Lampedusa. Sebbene fosse progettata per avere una capacità di 3.300

persone, si è pensato di raddoppiarla. Tuttavia, questo progetto di ampliamento del campo è

stato sospeso di fronte alla “scontentezza” del sindaco della città, Paolo Tomasino, che ha

presentato le dimissioni al governo italiano al rendersi conto di questa decisione.

La gestione di questo centro a Manduria è stata complicata sin dalla sua apertura.

Nonostante i sistemi di sorveglianza (recinti e un folto numero di agenti di polizia) le persone

immigrate continuavano ad avere l’idea di arrivare in Francia. Il numero di fughe era molto alto.

Il primo giorno, due immigrati su tre sono fuggiti25. “I giorni seguenti, le fughe sono aumentate.

La polizia mostra la propria fermezza, però la situazione diventa esplosiva. Un giovane di 16

anni prova a darsi fuoco. La rivolta si organizza, la polizia subisce pietrate e allenta la

sorveglianza lasciando uscire dal centro coloro che vogliono passare la notte fuori (…) Di fronte

al centro dove si distribuiscono i formulari per il permesso temporaneo di soggiorno, si aspetta

fino a tre ore in coda”. In seguito a questa situazione, sono rimasti circa un migliaio di immigrati

nel campo e tutti gli altri sono scappati, la maggior parte verso Ventimiglia, sulla frontiera

francese.

Però non tutti sono arrivati a Lampedusa. La fragilità e precarietà della traversata e la

paura di essere arrestati dallo spiegamento del Frontex e delle pattuglie italiane (che fanno

fronte in questo modo disumano all’esodo della guerra) ha provocato numerosi naufragi e una

lista interminabile di persone che hanno perso la vita. Si presentano qui alcuni di questi luttuosi

successi avvenuti nell’anno in corso:

24

Des milliers de personnes livrées à elles-mêmes dans des conditions ''épouvantable'' sur une île italienne,

www.amnesty.fr. 25

Richar Heuzé, Dans les Pouilles, un camp difficile à gérer, Le Figaro, 08/04/2011.

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11-feb

Muoiono cinque immigrati nella costa tunisina in seguito al naufragio

avvenuto quando provavano ad arrivare in Italia. Una commissione

indipendente di indagine imputa la responsabilità alle forze tunisine in questo

« incidente ».

12-feb

Una persona è morta ed un’altra è scomparsa in seguito al naufragio

avvenuto nel golfo di Gabes, ad est della Tunisia, un’imbarcazione che si

dirigeva verso le coste europee attraverso il mar Mediterraneo.

15-feb

60 persone circa sono morte affogate in acque territoriali tunisine in questo

esodo massivo verso l’isola italiana di Lampedusa. I fatti sono confusi, però, a

quanto sembra, i morti viaggiavano in due barche che sono affondate mentre

la marina tunisina faceva ben poco per soccorrerli, secondo quanto denuncia

uno dei sopravvissuti.

05-mar

La Guardia Costiera ed unità dell’esercito italiano hanno ripreso oggi in acque

del Canale di Sicilia la ricerca di due immigrati scomparsi per via del naufragio

e dello spezzarsi in due dell’imbarcazione in cui provavano, insieme ad una

trentina di irregolari, a raggiungere le coste dell’isola di Sicilia.

15-mar

Circa 60 immigrati sono affogati nella notte tra la domenica ed il lunedì in

seguito al capovolgimento dell’imbarcazione vicino la costa della Tunisia in cui

viaggiavano con rotta su Lampedusa (Italia), secondo quanto narrato da un

altro gruppo di nord-africani che viaggiavano in un’imbarcazione vicina.

31-mar

Il Ministro degli Interni della Tunisia ha annunciato che sono stati recuperati i

corpi di 12 immigrati tunisini dopo che l’imbarcazione in cui viaggiavano fosse

affondata durante il percorso per l’isola italiana di Lampedusa. La barca

trasportava 30 immigrati dell’isola tunisina di Kerkenah.

03-apr

Settanta cadaveri sono stati recuperati di fronte alle coste della Libia, nelle

vicinanze di Tripoli, secondo quanto ha informato oggi a Efe il presidente

dell’agenzia italiana per i rifugiati Habeshia, Mussie Zerai.

6-apr

Sono stati rinvenuti 20 cadaveri e scomparse altre 15 persone dopo che

l’imbarcazione in cui viaggiavano si capovolgesse a circa 70 kilometri dalle

coste dell’isola italiana di Lampedusa durante le operazioni di salvataggio che

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conduceva la Guardia Costiera.

14-apr

Andavano in un vecchio peschereccio che si è incagliato di fronte alla costa

dell’isola italiana di Pantelleria. I 250 immigrati erano partiti il martedì dalla

Libia e, quando erano sul punto di raggiungere terra, l’imbarcazione in cui

viaggiavano si è scontrata contro le rocce. Due donne sono morte affogate e

molti hanno dovuto arrivare in spiaggia a nuoto.

B) …che accumula le goffaggini a livello della sua politica migratoria.

L’ultima decisione del governo italiano di distribuire permessi temporanei di soggiorno

agli immigrati tunisini ha generato notevoli tensioni con la Francia. Questi permessi che ha

rilasciato l’Italia sono validi per tre mesi in tutto lo spazio Schengen. E’ chiaro che dietro questa

manovra si nascondono altri motivi, come quello di liberarsi dei tunisini che non vogliono

rimanere in Italia, bensì arrivare in Belgio, Francia o Germania.

La reazione della Francia non si è fatta attendere: Claude Guéant, Ministro degli Interni,

ha annunciato che si sarebbero chiuse le frontiere con l’Italia (cosa che hanno fatto in varie

occasioni a Ventimiglia), e che si sarebbero moltiplicati i controlli di identità (basandosi

sull’aspetto razziale, come si suol fare in Francia). Così, tra il 23 febbraio e il 28 marzo del 2011,

2.800 tunisini sono stati arrestati e 1.700 espulsi nella frontiera franco-italiana.

Il Ministro francese ha usato come argomento quello basato sul fatto che l’Italia non stava

rispettando l’accordo dello spazio Schengen, che il permesso temporaneo di soggiorno non era

sufficiente e che un candidato doveva poter dimostrare di possedere inoltre risorse sufficienti e

non essere una minaccia per l’ordine pubblico (sic)26.

La Commissione Europea, furiosa per questo gioco con il regolamento da parte

dell’Italia, le ha ricordato che esiste una direttiva del 2003 che accorda il diritto di soggiorno per

gli stranieri non comunitari nell’insieme della UE, a condizione che abbiano un titolo di lunga

durata (e non di tre mesi) e che abbiano i mezzi necessari per far fronte alle proprie necessità

(lavoro o denaro). Gli stranieri con semplici autorizzazioni temporanee di soggiorno e che non

abbiano sufficiente denaro potranno essere rimandati al paese di accoglienza, cioè, in Italia.

Oltre a questa direttiva, esiste un accordo bilaterale (1997) tra Francia e Italia per la

26

Paris veut parer à l'arrivée de migrants à Lampedusa, Le Monde, 07/04/2011.

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riammissione degli immigrati, per cui questo paese dovrebbe accogliere di nuovo i tunisini a cui

abbia lasciato attraversare per la sua frontiera.

Alla fine, il ricatto italiano non ha funzionato, e durante il vertice dei 27 che ha avuto luogo a

Roma per trattare questo tema, Roberto Maroni ha detto, deluso, e con una punta di

provocazione: “hanno lasciato sola l’Italia (…) Mi chiedo se ancora ha senso appartenere alla

UE”27.

Il governo italiano parla della disuguaglianza di protezione delle frontiere dello spazio

Schengen, poiché paesi come Francia, Belgio o Germania non hanno tanti chilometri di

frontiere da proteggere come l’Italia, la Grecia o la Spagna. Secondo Roma, è chiaro che c’è una

mancanza di solidarietà tra i paesi europei quando si tratta di agire in comune in materia di

migrazioni. Ogni paese applica la sua propria politica migratoria secondo i suoi propri interessi.

Tuttavia, d’altro canto, non hanno abbandonato l’Italia nella sua politica di repressione

dell’immigrazione, come ha detto Roberto Maroni. Inoltre, la Francia e l’Italia si sono messi

d’accordo per mobilitare le forze navali nel quadro di Frontex (che ha attivato il piano Hermes

2011 nell’isola di Lampedusa) per controllare le coste tunisine e limitare il numero di partenze.

Per rinforzare queste misure, la UE vuole rinnovare la sua politica di esternalizzazione con la

Tunisia. Le ha promesso appoggio finanziario per la sua transizione democratica (407 milioni di

euro per il 2011-2013) esigendo però come contropartita la cooperazione delle nuove autorità

tunisine nella lotta contro l’emigrazione clandestina.

In effetti l’Italia ha agito nella stessa maniera della UE firmando con la Tunisia il 5 aprile

un nuovo accordo per migliorare la cooperazione tra i servizi di sicurezza italiani e tunisini, fatto

che si concretizza nella somministrazione di mezzi e attrezzature logistiche. Questo accordo di

“cooperazione” inoltre cerca di prevenire le partenze irregolari verso l’Italia ed include una

sezione importante sui rimpatri degli immigrati tunisini presenti nel territorio italiano.

In seguito all’annuncio dell’accordo italo-tunisino, i 1.000 emigranti tunisini presenti a

Lampedusa si sono ribellati il 12 aprile, organizzando una manifestazione. Alcuni hanno

provocato un incendio nel centro di accoglienza dell’isola, che è stato spento dai pompieri.

Molti sono scappati dal centro per arrivare al porto di Lampedusa e provare a trovare una barca

che li potesse portare fino al continente (si può notare qui, come si avrà modo di approfondire

in seguito, pur prendendo in considerazione le dovute differenze del caso, una analogia

interessante con la situazione degli immigrati che arrivano a Ceuta). “Vogliamo arrivare in

27

Jean Quatremer, Le fardeau n'est pas si lourd à porter, Libération, 12/04/2011.

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Francia, in Germania, in Spagna, in qualunque paese tranne Italia e Tunisia, qua ci trattano

male, qua mi hanno picchiato (…). Non facciamo niente di male, sono un uomo come tutti gli

uomini” ha detto una persona28 che cercava di partire dall’isola.

C) Francia: Il fantasma dell’”ondata” migratoria.

Molti osservatori degli avvenimenti sono sorpresi dalle reazioni dei differenti governi in

relazione all’”ondata” di emigranti tunisini che sono arrivati a Lampedusa. Effettivamente, se

guardiamo indietro, l’Italia ha proceduto (come la Francia e la Spagna) ad una regolarizzazione

massiva di non-documentati (690.000 nel 2003). Perché ora i paesi temerebbero l’arrivo di

migliaia di immigrati in Italia? Perché l’Italia e la Francia firmano nuovi accordi bilaterali con la

Tunisia nonostante già ne esistano vari?

Sebbene si sia prodotto un arrivo rilevante sin dagli inizi dell’anno, le cifre devono essere

relativizzate: nel 2008 l’Italia e l’UE hanno negoziato con la Libia un accordo per impedire

l’immigrazione verso Europa di popolazioni che provengono dai paesi subsahariani. Secondo le

cifre del Ministero degli Interni italiano, questo accordo avrebbe ottenuto una diminuzione

degli arrivi a Lampedusa, che sono passati da 37.000 nel 2008 a 3.000 nel 201029.

Sembra che, con la vicinanza delle elezioni in Francia (2012) e Italia (2013), l’immigrazione abbia

assunto un’importanza ancora più forte all’interno del dibattito pubblico. Nei due paesi, il

partito che detiene il potere gioca la carta dell’insicurezza per ottenere un riscontro elettorale

in vista delle prossime sfide elettorali.

L’Italia fa credere ai suoi cittadini che l’Europa è diventata un colabrodo da cui entrano

tutti gli immigrati che vogliono e che l’Italia, con la sua politica migratoria, ha la capacità di

proteggerli dallo spettro islamico e terrorista. La mediatizzazione di ciò che succede a

Lampedusa rafforza la legittimità dell’azione del governo di Berlusconi.

In Francia avviene qualcosa di simile. Marine Le Pen ha visitato Lampedusa per mostrare

la sua preoccupazione per il problema migratorio, però, soprattutto, per preparare la sua

campagna elettorale del 2012. Il governo di Sarkozy pensa di dover reagire alla candidata di

estrema destra ed andare ancora oltre, poiché ha paura di perdere voti. Da qui la proposta di

modifica della regolarizzazione della libertà di circolazione nello spazio Schengen.

28

La révolte des immigrés de Lampedusa, Euronews, 12/04/2011. 29

Le Printemps arabe n'a pas entraîné de flux migratoire en Europe, Le Monde, 14/03/2011.

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L’ultimo incontro tra Sarkozy e Berlusconi il 26 aprile a Roma per discutere il “controllo

tecnico” degli accordi Schengen dimostra una volontà di ristabilire i controlli di frontiera interni

degli stati membri in caso di difficoltà eccezionali nella gestione delle frontiere. I presidenti

francese e italiano hanno inviato una richiesta per sollecitare Bruxelles per provare a farle

esprimere alcune proposte sul tema. Tuttavia, in realtà, già da vari mesi Bruxelles lavorava sul

meccanismo che permetterebbe di “far retrocedere le frontiere esterne di Schengen” nel caso

di “disfunzione” (per esempio, in caso di flussi migratori di massa)30. Però, “non si produrrà

nessun cambiamento rivoluzionario”, ha affermato un portavoce della Commissione Europea.

Altri paesi, come la Spagna, già hanno dimostrato il proprio disaccordo con la misura richiesta

da Italia e Francia. “Più rumore che altro31” per le lotte elettorali? Oppure, oltre a ciò, si sta

andando avanti nell’inasprimento del controllo e del rifiuto di migranti?

Inoltre, un rapporto mette in dubbio la validità di tutta la politica migratoria degli ultimi

anni: il documento ufficiale rivela che il 2009 è stato un anno di innalzamento della maggior

parte degli indicatori migratori32. Il supposto controllo dei flussi migratori si è convertito in un

fallimento che debilita le misure prese da Sarkozy a riguardo. In questo contesto si spiega la

reazione del governo francese quando l’Italia ha deciso di “lasciar passare” i tunisini in Francia.

E che annuncia la virata politica che sta prendendo il Ministero degli Interni che ha deciso di

riproporre e di rendere più definito il concetto di immigrazione scelta, la procedura di asilo e le

espulsioni di non-documentati, anche nel caso in cui soffrano di malattie gravi.

D) L’ingerenza delle politiche migratorie dei paesi europei

Mentre i paesi europei sembrano sopraffatti da circa 30.000 immigrati arrivati dal Nord

Africa e usano Lampedusa come uno strumento politico, si deve sottolineare la maniera in cui la

Tunisia sta accogliendo i rifugiati libici o subsahariani che provengono dalla Libia nonostante la

sua situazione poco stabile. L’arrivo di immigrati in Italia la si deve situare nel contesto, come

spiegava Jean-Philippe Chazy dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM): “Credo

che dobbiamo contestualizzarlo. Ci sono più di 600.000 persone che hanno lasciato la Libia e

30

Le Monde, Que prévoient les accords de Schengen? 26/04/11. 31

Personale interpretazione dell’espressione idiomatica castigliana “mucho ruido y pocas nueces”, che indica

qualcosa per cui si creano molte aspettative per il modo in cui è annunciato, ma che, in seguito, delude, poiché non

corrisponde con ciò che ci si aspettava. 32

Hausse officielle des flux migratoires en 2009, Le Monde, 07/04/2011.

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hanno viaggiato per i paesi vicini. Tunisia e Egitto hanno mantenuto le frontiere aperte, Chad,

Mali e altri hanno fatto lo stesso”.

E che dire della Costa d’Avorio? L’8 aprile del 2011, un portavoce dell’ONU ha informato

che migliaia di rifugiati della Costa d’Avorio continuano ad arrivare nei paesi vicini. “La maggior

parte, circa 135.000, sono stati accolti in Liberia, il cui Governo, stando fedele alla sua

tradizione, non li ha internati in accampamenti, ma li ha distribuiti tra distinti centri abitati”,

spiegava un comunicato ufficiale.

Se si parla di crisi umanitaria a Lampedusa, come descrivere la situazione nelle frontiere

della Libia? Secondo OIM, ogni giorno arrivano 8.000 persone alle frontiere libiche. Di costoro,

4.000 alla frontiera tunisina ed il resto si divide tra le frontiere algerine, del Niger e, addirittura,

del Sudan e del Chad. OIM ha richiesto un aiuto di 160 milioni di dollari alla comunità

internazionale, necessari per distribuire l’aiuto umanitario e per continuare ad organizzare le

evacuazioni dei rifugiati che si trovano in Libia. Per il momento, la OIM ha raccolto 44 milioni di

dollari, insufficienti perché l’organizzazione possa proseguire con le operazioni… La priorità

dell’Europa dovrebbe essere l’intervento umanitario (anziché quello militare) in Libia. E, in

qualsiasi caso, prima di cominciare la guerra, avrebbe dovuto far evacuare i rifugiati presenti

nelle varie città libiche; oltre ad avere un atteggiamento di accoglienza aperta di fronte alla fuga

di rifugiati del conflitto libico.

In tutto questo c’è inoltre una questione di prim’ordine: l’arrivo di persone in Europa

provenienti dalla Tunisia o Libia non può essere trattata secondo la prospettiva della “lotta

contro l’immigrazione illegale”, perché, nella maggior parte dei casi, sono persone che fuggono

da una guerra e, in questo senso, come quelli che arrivano in Tunisia, devono essere considerati

secondo la loro condizione di rifugiati. L’Europa, campionessa della democrazia e dei diritti

umani, elude ed addirittura non adempie alla Convenzione di Ginevra.

D’altra parte la celebrazione delle rivoluzioni nel mondo arabo da parte dell’Europa

nasconde un atto di grande ipocrisia poiché, allo stesso tempo, mantiene alcune pratiche di

cooperazione di sicurezza degne degli antichi regimi dittatoriali per respingere le migrazioni e i

rifugiati.

Gli accordi bilaterali firmati tra il governo provvisorio tunisino e Francia e Italia mettono

in pericolo la sua legittimità: non si dovrebbero accettare rimpatri in condizioni degradanti. La

Tunisia dovrebbe mostrare la sua volontà di rompere con la diplomazia di Ben Ali e che è

arrivata l’ora di rispettare i diritti umani. Le attuali politiche migratorie europee potrebbero

ostacolare il processo democratico poiché, di fronte al trattamento vessatorio degli emigranti e

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alla non rottura con il passato autoritario, i cittadini tunisini potrebbero avere una reazione

violenta.

La FTCR (Federazione dei Tunisini per una Cittadinanza delle due Rive) e la LTDH (Lega

Tunisina dei Diritti Umani) hanno richiesto alle autorità tunisine fermezza davanti alle pressioni

per prendere misure contrarie alle convenzioni internazionali in materia di diritti umani e del

diritto degli immigrati. Aggiungono che la Tunisia deve rifiutare i rimpatri di massa dei migranti

clandestini e tutte le richieste italiane di controllo di polizia dell’emigrazione, poiché

supporrebbe un passo indietro e ricorderebbe quello che si faceva durante il regime di Ben

Ali33. Nonostante ciò che sembri, queste richieste hanno ottenuto poca eco nel nuovo governo

tunisino.

I paesi europei hanno una “responsabilità indiretta” nelle rivoluzioni dei paesi

mediterranei: esportare e delocalizzare le politiche di sicurezza ha rafforzato il carattere

repressivo degli antichi regimi e ha fatto aumentare la pressione sulle popolazioni che, alla fine,

si sono ribellate. Gli europei devono ripensare le proprie politiche migratorie, soprattutto a

livello della loro applicazione di sicurezza in questi paesi. Non possono rischiare i loro processi

democratici.

IV-CONCLUSIONI

I paesi europei non possono continuare ad applicare politiche migratorie che ostacolino

fortemente i diritti umani, il diritto di circolazione, di asilo, di sovranità dei paesi del Sud, e che

possano interferire con i processi democratici dei paesi arabi del Mediterraneo.

L’Europa deve rifiutare i centri di permanenza forzata, l’esternalizzazione del controllo

dello spazio Schengen e la strumentalizzazione dell’aiuto allo sviluppo per ottenere le

riammissioni dei rifugiati nei rispettivi paesi di origine. Non può permettere che muoiano

persone che bussano alle loro porte, né accettare il traffico di essere umani.

Devono cambiare le relazioni con i loro vicini del Sud ed approfittare dell’ondata di

cambi democratici per sviluppare politiche migratorie più giuste, che rispondano non

solamente ai loro interessi, bensì a quelli di tutti. Le persone devono convertirsi nel centro di

interesse anziché essere puri strumenti per attuare politiche economiche o finanziarie.

33

Des ONG dénoncent les conditions ''inhumaines et humiliantes'' des immigrés tunisiens bloqués à Lampedusa.

Pagina web della Televisione Tunisina.

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L’Europa, che tanto criticava la “cortina di ferro”, sta costruendo un nuovo muro,

invisibile o reale in molti casi, che mette a repentaglio la libera circolazione delle persone.

Stiamo impedendo scambi con gli altri paesi mediterranei con cui abbiamo condiviso, per più di

3.000 anni, storia e cultura. Al posto di costruire muri, i dirigenti europei dovrebbero pensare a

costruire ponti.

FRONTEX: UN’AGENZIA SENZA CONTROLLO PER LA REPRESSIONE DELLE

MIGRAZIONI

Ancora abbastanza sconosciuta, l’Agenzia Europea per la Gestione della Cooperazione

Operativa nelle Frontiere Esterne degli stati membri dell’Unione Europea (Frontex) è stata

creata da un regolamento del Consiglio del 26 ottobre 2004 ed è entrato in vigore nel 2005. La

sua sede si trova a Varsavia. Prevede due tipi di interventi: vigilare le zone di frontiera (mare,

terra, porti e aeroporti) ed organizzare espulsioni collettive coordinate tra vari stati membri.

Realizza operazioni comuni nel breve e nel lungo periodo, RABIT, che sono cominciate nel

novembre del 2010 con la richiesta della Grecia di intervenire nella frontiera con la Turchia. Ai

primi di febbraio 2011, la Grecia ha sollecitato il prolungamento di questa operazione in seguito

agli avvenimenti in Egitto. Vari testimoni hanno riferito di violazioni di diritti umani durante le

operazioni svolte da Frontex in Grecia.

Secondo il citato regolamento comunitario, “sebbene gli Stati membri siano responsabili

del controllo e della vigilanza delle frontiere esterne, l’Agenzia facilita l’applicazione delle

misure comunitarie, attuali e future, relative alla gestione di queste frontiere”. Così, gli stati

membri conservano la propria sovranità, ma sono sostenuti da Frontex. Sei anni dopo, la

constatazione è che le cose non sono tanto semplici e che esiste una grave confusione su chi

controlla Frontex e chi deve rispondere delle sue azioni. Questa domanda si fa, soprattutto,

quando si propone il problema di esigere responsabilità come nel caso di violazioni dei diritti

umani. Frontex non deve rispettare i diritti umani? Non c’è una risposta unanime. Così,

nell’ottobre del 2010, una comunicazione di Frontex per il Parlamento Europeo afferma che il

rispetto dei diritti umani da parte dell’agenzia non ammette condizioni e che questo rispetto si

trova totalmente incluso nelle sue attività. Parallelamente, nello stesso mese di ottobre, il

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direttore di Frontex ha tuttavia dichiarato che il rispetto dei diritti umani non è a carico

dell’agenzia, bensì degli stati membri34.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona l’adozione del programma di Stoccolma, la

prevista adesione dell’Unione Europea alla Convenzione Europea di Diritti umani e la proposta

di revisione del regolamento di Frontex, si mescolano la volontà di chiarezza e di una maggior

trasparenza delle attività dell’Agenzia, da una parte, e la volontà di rafforzare il suo mandato

verso una maggiore autonomia, dall’altra.

Frontex è una struttura con un potere crescente (I), però è carente di garanzie per il rispetto dei

diritti umani (II).

I- Un’agenzia con un potere crescente

Frontex ha cominciato le sue attività con pochi mezzi, però presto questi sono cresciuti

esponenzialmente (A). Inoltre, una proposta di revisione del regolamento comunitario iniziale

prevede un’autonomia più ampia dell’agenzia (B).

A)Mezzi materiali e finanziari sempre più imponenti

Se si può discutere circa l’espressione “guerra contro gli immigrati”, ciò non impedisce di

constatare che l’Agenzia Frontex dispone di mezzi quasi militari e che il paragone con un

esercito o milizia non si allontana molto dalla realtà. In primo luogo, il suo direttore, Ilka

LAITINEN, proviene dalle forze armate, poiché è un generale. Inoltre, l’inventario centrale

dell’equipaggiamento tecnico disponibile (“Centralised Record of Available Technical

Equipment, CRATE) include un arsenale impressionante costituito da 26 elicotteri, 22 aerei

leggeri, 113 imbarcazioni militari e 476 apparecchiature tecniche per lottare contro

l’immigrazione clandestina: radar mobili, camere termiche, sonde per gas carbonico, detector

di battiti, etc.

Frontex guadagna in potere e indipendenza in modo crescente. Il suo bilancio è

aumentato in maniera impressionante: nel 2005 ha cominciato con poco più di 6 milioni di euro

per passare nel 2010 a quasi 88 milioni. Dunque si è moltiplicato di 14 in soli cinque anni.

34

Agence Frontex, quelles garanties pour les droits de l’Homme, Etude sur l’agence européenne aux frontières

extérieures en vue de la refonte de son mandat, novembre 2010, p. 20.

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Il bilancio approvato nel settembre del 2010 per l’anno 2011 è pari a 88.410.000€35.

Il Bilancio di Frontex36

Inoltre, un grande ermetismo copre le attività di Frontex. Poche cose trapelano e,

ovviamente, tanto le analisi di rischi come il piano di azione rimangono segrete.

Funzioni del Frontex

Secondo l’articolo 2 del Regolamento 2007/2004 del 26 ottobre del 2004 del Consiglio in cui

si crea l’Agenzia Frontex nel 2004, l’Agenzia ha le seguenti funzioni:

- Coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle

frontiere esterne.

- Assistere gli Stati membri nella formazione degli agenti della guardia nazionale di

frontiere e stabilire norme comuni di formazione.

35

http://www.frontex.europa.eu/gfx/frontex/files/budget/budgets/budget_2011.pdf, p. 7. 36

Fonte: http://www.frontex.europa.eu/budget_and_finance.

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- Realizzare analisi di rischi

- Seguire da vicino l’evoluzione dell’indagine in materia di controllo e vigilanza delle

frontiere esterne.

- Aiutare gli Stati membri che fanno fronte ad una situazione che richieda un’assistenza

operativa e tecnica rinforzata nelle sue frontiere esterne.

- Facilitare gli Stati Membri per quanto riguarda il sostegno necessario per

l’organizzazione di operazioni di ritorno congiunte.

L’iniziativa di un’operazione congiunta o di un progetto pilota può essere tanto dell’Agenzia

come anche a richiesta degli Stati Membri. L’Agenzia esamina l’iniziativa, compie un’analisi dei

rischi, approva, coordina e valuta.

Membri di Frontex: Stati della UE + Norvegia, Islanda e Svizzera.

Organigramma di Frontex37:

Esempi delle attività di Frontex 200938:

37

Secondo il rapporto General Frontex 2008, p. 17. 38

Rapporto generale Frontex 2009, p. 37 - 40.

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Alcune delle operazioni marittime nel 2009

HERA Annuale

Raccolta di informazioni relative a vie di

migrazione e agli immigrati per la loro

espulsione. Opera nell’Oceano Atlantico tra

paesi dell’Africa del nord-ovest e le Isole

Canarie.

NAUTILUS 172 giorni Pattuglie di controllo di migranti diretti a

Malta o Italia.

HERMES 184 giorni Pattuglie di controllo di migranti diretti a

Lampedusa.

POSEIDON Annuale Pattuglie di controllo di migranti diretti alla

frontiera greco-turca.

Alcune delle 8 operazioni nelle frontiere terrestri nel 2009

Centri di riferimento

(focal point)

349 giorni

Frontiere terrestri orientali e meridionali:

Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania,

Polonia, Slovacchia…).

SATURNA 116 giorni Grecia, Bulgaria.

Alcune delle 10 operazioni nelle frontiere aeree

HAMMER (parte 1) Settembre 2009 41 aeroporti.

HUBBLE Giugno 2009 19 aeroporti.

Operazioni di ritorno congiunte nel 2009

32 operazioni 14 nazionalità 1622 persone tra cui più di 770 nigeriani.

Alcuni dati di attuazione del Frontex nel 2010 secondo il rapporto del terzo trimestre 201039:

- Nel terzo trimestre del 2010, il Frontex ha realizzato la cifra più alta di arresti nelle

frontiere esterne da quando ha cominciato le sue attività. Così tra luglio e settembre

2010, ci sono stati circa 34.000 arresti.

39

http://www.frontex.europa.eu/situation_at_the_external_border/art22.html, p. 8 - 9.

Il rapporto 2010 di Frontex ancora non è stato pubblicato alla data presente del lavoro.

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- Aumento in massa di traversate “illegali” tra Grecia e Turchia per l’incremento di

persone dell’Afghanistan.

- La Turchia è ora il paese con il maggiore traffico di immigranti in direzione dell’Europa.

- Il secondo è la Grecia. Si nota un aumento di arresti nella frontiera “azzurra” nel Sud

Italia.

- I richiedenti asilo sono aumentati di più del 50% in Germania e Svezia. [Commento: in

maniera generale, tra il terzo trimestre 2009 e quello del 2010, le cifre di richiedenti

asilo si sono abbassate quasi di un 4%].

- Appaiono di nuovo le richieste di asilo da parte di Serbia ed anche, però meno, da parte

dei nazionali della Repubblica della ex-Jugoslavia della Macedonia (dagli inizi del 2010, i

nazionali di questa repubblica non hanno più bisogno di visto per viaggiare in Europa).

- Aumento dei matrimoni di “convivenza”.

- Aumento nella percentuale di minori non accompagnati.

- Una diminuzione dei rifiuti all’entrata di un 19% in confronto al 2009.

- Il numero di coloro che passano la frontiera e arrestati sono più di 2.000 e sono,

soprattutto, italiani.

B) In discussione: una maggiore autonomia dell’Agenzia Frontex.

La nuova Commissaria europea degli Affari Interni, Cecilia Malmstöm, ha proposto nel

febbraio 2010 una revisione del regolamento dell’Agenzia Frontex per concederle più

autonomia e più mezzi operativi di collaborazione con gli stati membri nella vigilanza delle

frontiere esterne. Più concretamente, a parte un incremento dei mezzi finanziari, materiali e

umani, con la proposta di nuovo regolamento Frontex “valuta, approva e coordina le proposte

di operazioni congiunte e di progetti pilota degli stati membri, stabilisce un piano operativo per

queste operazioni, può autonomamente prendere l’iniziativa di operazioni congiunte e di

progetti pilota e portarli a termine”40. In parallelo, la responsabilità incomberebbe sugli stati

membri e Frontex rimarrebbe esonerata dalla responsabilità delle sue azioni, la qual cosa

giustamente le si stava già rimproverando. Infine, dopo aver deciso delle operazioni, della loro

organizzazione e della loro conclusione, è proprio la stessa Frontex ad auto-valutarsi. Ancora

una volta, tale agenzia non dovrà rendere conto delle sue azioni davanti a nessuno. Il progetto

40

Agence Frontex: quelles garanties pour les droits de l’Homme, p. 34.

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di revisione preoccupa perché, anziché dare trasparenza a Frontex, incrementa la sua opacità41

ed è lontano dall’offrire qualsiasi garanzia di protezione dei diritti umani, sebbene faccia

riferimento astratto a questi stessi.

II – Un cambiamento giuridico favorevole al rispetto dei diritti umani.

Secondo le testimonianze di persone ed associazioni, Frontex ha violato diritti umani

elementari protetti sia a livello internazionale, sia europeo (A), però un cambiamento di quadro

giuridico recente porta a mettere in chiaro gli obblighi dell’Agenzia (B).

A) Alcune delle violazioni osservate.

Secondo Claire RODIER, della Rete Migreurop, “Il problema di Frontex è l’assenza di

chiarezza in quanto alle sue forme di attuazione”42. Sotto la copertura di salvare gente o lottare

contro la tratta di esseri umani, Frontex svolge una politica globale di respingimento. L’intero

rapporto “Agenzia Frontex: che garanzie per i diritti umani?” identifica alcune violazioni dei

diritti umani da parte di tale agenzia durante operazioni sia di vigilanza che di rifiuto.

Menzioniamone alcune43.

In primo luogo, la violazione del diritto di asilo e del principio di “non-refoulement” (o di

“non-respingimento”). Quando Frontex offre risultati di rifiuti di immigrati, non cita mai alcun

richiedente di asilo (e neppure casi di minori). Il rapporto insiste sul fatto che l’Agenzia constata

l’aumento del numero di falsi richiedenti asilo, però, come può far ciò senza verificare se ci

siano richiedenti di asilo tra le persone respinte?

In secondo luogo, violazione del diritto di uscire da un paese. Frontex vanta di aver impedito dal

2006 la partenza di migliaia di persone verso le Canarie, violando l’Art 13.2 della DUDU.

In terzo luogo, Frontex permette i trattamenti inumani e degradanti. Nel rifiutare le

persone, essa non si preoccupa di come vengono trattati gli immigrati nei paesi di destinazione.

Per esempio, nel centro di “accoglienza” degli immigrati di Nouadhibou in Mauritania,

41

Op.cit., p. 35. 42

In base ad un’intervista trasmessa su France 4, il 14 febbraio 2011, http://www.france24.com/fr/20110214-

frontex-union-europeenne-claire-rodier-gisti-migreurop-mediterrannee-ue-italie-clandestins. 43

Agence Frontex : quelles garanties pour les droits de l’Homme, p. 8 - 19.

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testimoni raccontano di numerose violenze e di ogni tipo di umiliazioni (il tema verrà

approfondito in seguito). Viene inoltre portata all’attenzione l’esistenza di maltrattamenti

durante le espulsioni (violenze, abusi di donne sposate…).

Nel quadro del lavoro dell’Agenzia è presente anche la discriminazione. In alcune delle

sue operazioni, Frontex concentra molte volte le sue azioni verso persone di una nazionalità

specifica. Il rapporto riferito prende gli esempi dell’operazione “Hydra”, che nel 2007 contrastò

l’immigrazione dei cinesi per via aerea, o l’operazione “Silence” che, nello stesso anno, si

concentrò sui somali.

Il rapporto tratta inoltre dell’illegalità delle espulsioni collettive, poiché ogni immigrato ha

diritto ad un esame individuale della sua situazione, e fa anche riferimento all’assenza di

protezione dei dati personali.

È forse Frontex dispensata dal rispetto dei diritti umani? In teoria, ovviamente, no.

Tuttavia, in caso di violazioni di diritti umani, risulta difficile capire verso chi dirigere

concretamente le denunce quando si ha a che fare contemporaneamente con le diverse

giurisdizioni di più territori ed agenti di nazionalità differente. Si osserva in questo senso una

diluizione della responsabilità degli abusi commessi.

Nell’impossibilità di sapere chi sia il responsabile delle azioni di Frontex (l’Agenzia in sé, gli Stati

membri o l’Unione Europea), il cambiamento che comporta l’entrata in vigore del Trattato

dell’Unione tuttavia imporrebbe a Frontex il rispetto dei diritti umani.

B) Il rispetto dei diritti umani è obbligatorio per Frontex come Agenzia dell’Unione

Europea.

L’1 dicembre 2009, è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, approvato dai 27 stati membri

della UE, e, con questo, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che lo rende

giuridicamente vincolante. Secondo l’articolo 5144, “Le disposizioni della presente Carta sono

dirette alle istituzioni, agli organi ed agli organismi dell’Unione (…), così come agli Stati membri

unicamente quando applichino il Diritto della Unione”. L’Agenzia Frontex fa parte degli

organismi decentralizzati incaricati dell’applicazione di una politica settoriale. Così, dunque, è

sottomessa alla Carta in cui, assieme ad altri diritti, si trovano:

- Il diritto alla dignità (art. 1)

44

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:083:0389:0403:ES:PDF.

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- La proibizione della tortura e delle pene o dei trattamenti disumani o degradanti (art. 4)

- La protezione dei dati di carattere personale (art. 8)

- Il diritto di asilo (art. 18)

- La protezione in caso di ritorno, espulsione ed estradizione (art. 19)

- La non-discriminazione (art. 21)

Inoltre, è previsto nel Trattato di Lisbona e nel protocollo n°14 della Convenzione Europea

dei Diritti Umani che l’Unione Europea deve aderire in breve tempo a detta Convenzione e, di

conseguenza, alla Corte Europea dei Diritti Umani.

Di recente, il 31 marzo 2011, Frontex ha approvato la sua “strategia” in materia di diritti umani.

In tale occasione, e in contraddizione con le dichiarazioni dell’ottobre 2010, il Direttore

dell’Agenzia ha dichiarato che “i diritti fondamentali e la dignità umana sono sempre stati al

centro dei valori di Frontex”45. In tale documento46 Frontex si impegna a rispettare i diritti

rimettendosi alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e agli obblighi

internazionali di protezione. In teoria, un Piano di Azione deve essere adottato in tal senso il

prossimo 24 maggio.

Sebbene sia difficile immaginare la compatibilità tra il rispetto dei diritti umani e le

attività dell’Agenzia, poiché, per come sono disegnate, le politiche europee comportano

necessariamente la violazione dei diritti umani, confidiamo nella speranza che con questo

nuovo testo e, soprattutto, la sua messa in pratica, si realizzi qualche passo avanti, per quanto

piccolo possa essere.

MAURITANIA: GENDARME D’EUROPA NELL’AFRICA OCCIDENTALE

La “pulizia” delle coste europee a scapito dei diritti umani nei paesi del sud.

Mauritania e il campo di Nouadhibou, un esempio significativo.

L’Africa occidentale è una regione di forte mobilità. Tuttavia, già nell’ottobre del 2008,

una missione congiunta tra APDHA e l’Associazione Maliense di Espulsi ha avuto modo di

45

Fundamental Rights and human dignity have always been at the heart of Frontex’s values (...),

http://www.frontex.europa.eu/newsroom/news_releases/art105.html. 46

Frontex Fundamental Rights Strategy, http://www.frontex.europa.eu/newsroom/news_releases/art105.html.

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costatare i cambiamenti che stavano cominciando a prodursi47; tra questi, la gravità delle

violazioni di diritti umani nella frontiera tra Mali e Mauritania.

Dopo l’indipendenza nel 1960, la Mauritania, nella quale la Francia non aveva realizato

grandi investimenti, si doveva costruire. Ha cominciato a farlo grazie alla manodopera straniera

dei paesi vicini. È un territorio di forte mobilità, immigrazione ed emigrazione. Nel 2000, la

Mauritania si è ritirata dal CEDEAO, e dunque dal connesso accordo di libera circolazione tra i

suoi membri, ma continuano a essere in vigore gli accordi bilaterali. Tuttavia, dal 2006 le

autorità mauritane conducono una vera repressione contro gli stranieri da parte dell’Unione

Europea. Con l’aiuto della Spagna ha allestito un centro di permanenza forzata dei migranti al

margine di qualsiasi quadro giuridico (I) e sembra mostrare che, attraverso le sue azioni che

impediscono le migrazioni verso l’Europa, tiene fede ai suoi obblighi e “merita” l’aiuto allo

sviluppo (II).

I) “Piccola Guantanamo”48, un concentrato di violazioni di diritti umani.

Il centro di “accoglienza” di Nouadhibou è stato costruito, in risposta alle autorità

comunitarie, spagnole e mauritane, in seguito alla cosiddetta “crisis de los cayucos” (crisi dei

“cayucos”49) (A), risposta erronea e precipitosa con gravi carenze e irregolarità (B).

A) Ricordo rapido dei fatti che hanno portato alla costruzione del centro.

Fatti drammatici si sono concatenati durante gli anni 2005 e 2006. Nel 2005, il Marocco,

come parte della sua cooperazione con l’Unione Europea in materia di lotta contro

l’immigrazione, e in seguito all’accordo di associazione in vigore dal 2000, è andata

progressivamente chiudendo le sue frontiere, quella terrestre e quella marittima. Il ruolo del

Marocco di gendarme al servizio dell’Unione Europea è arrivato alla sua massima espressione

nell’ottobre 2005. Mentre stavano scalando la frontiera tra Marocco e le “enclave” spagnole di

Ceuta e Melilla, almeno 14 persone sono state uccise da colpi di arma da fuoco marocchini e/o

spagnoli. Le autorità di entrambi i paesi hanno fatto cadere la colpa l’uno sull’altro; Tuttavia, sei

anni dopo, ancora non si è portata a termine nessuna indagine riguardo a quei fatti.

47

Otra frontera sin derechos: Malí-Mauritania, Informe de misión conjunta AME –APDHA Círculo de Nioro del

Sahel – Malí. Octubre 2008. 48

Soprannome dato al centro per immigrati in riferimento alla zona di non diritto qual è Guantanamo. 49

Vedi in seguito.

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In seguito a questa tragedia, i migranti hanno rivisto le rotte e molti di loro sono partiti da porti

dell’Africa subsahariana come Nouadhibou nel nord della Mauritania in direzione delle isole

Canarie (più di 750 kilometri, cioè almeno 3 giorni di viaggio). Nel 2006, più di 32.000

subsahariani sono arrivati sulle isole, più di 100050 sono morti in alto mare provando a

raggiungere le isole Canarie. È così la “crisis de los cayucos”51.

Davanti a questi arrivi, l’Unione Europea e il governo spagnolo hanno cercato soluzioni ed

hanno intrapreso una serie di misure52 con l’obiettivo soprattutto di fermare gli ingressi e

lottare contro la “immigrazione illegale” in generale. La Spagna ha respinto e continua a

respingere numerosi immigrati fino al loro punto di partenza, cioè la Mauritania (sia che siano

oriundi di tale paese o che siano transitati attraverso questo), invocando la clausula di

riammissione contenuta in un accordo bilaterale del 200353. A tale scopo ha spinto per la

creazione del centro di “accoglienza” dei migranti respinti a Nouadhibou, ha organizzato

pattuglie congiunte di vigilanza delle coste africane ed ha approvato il cosiddetto “Piano

Africa”, triennale, da allora rinnovato dal 2009 al 2012. Da parte sua, l’Unione Europea ha

erogato un finanziamento per “aiutare” la Mauritania a interrompere gli arrivi e impedire le

partenze. Attraverso Frontex (le cui attività sono state esaminate nella precedente sezione di

questo lavoro), ha avviato il programma “Hera”, inizialmente per alcuni mesi, ma esteso poi per

altri vari mesi e, alla fine, reso permanente.

Il “Piano Africa”54: si tratta di un programma elaborato - in risposta all’allarme mediatico

provocato dall’incremento di arrivi di migranti dall’Africa subsahariana alle coste delle Canarie –

dal Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione, inizialmente per un periodo che va dal 2006 al

2008, però è stato rinnovato per il periodo 2009-2012. Tale piano ha come obiettivo di dotare

la Spagna di “una politica globale, ambiziosa e, allo stesso tempo, realista e concreta verso

l’Africa Subsahariana, che costituisce la nostra frontiera sud e il cui destino è intimamente

legato al nostro”55. Sebbene stabilisca misure di aiuto allo sviluppo, questo programma ha come

50

Derechos Humanos en la Frontera Sur 2007, APDHA, p. 33. 51

Ovvero « crisi dei cayuco ». Il cayuco è un’imbarcazione primitiva costruita scavando un tronco, e quindi composta da un solo pezzo. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Cayuco. 52

Prisonniers du désert : enquête sur la situation des migrants à la frontière Mali-Mauritanie, La Cimade, 2010, p. 13. 53

“Ogni Parte Contraente riammetterà nel suo territorio, su richiesta dell’altra Parte Contraente, il nazionale di uno stato terzo che non rispetti o abbia smesso di rispettare le condizioni di arrivo o di permanenza applicabili nel territorio della Parte Contraente richiedente, sempre nel caso in cui si accrediti che tale nazionale di uno Stato terzo abbia effettivamente transitato per il territorio della Parte Contraente richiesta”, (art. 9-1 a) dell’Accordo tra il Regno di Spagna e la Repubblica Islamica di Mauritania in materia d’immigrazione, concluso in Madrid l’1 luglio 2003. 54

Derechos humanos en la Frontera sur 2008, APDHA, p. 15. 55

Plan Arica 2006-2008, p. 6.

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punto centrale la gestione dell’immigrazione e il controllo delle frontiere; infatti, una delle

misure è stata proprio la creazione del centro di Nouadhibou.

Il programma “HERA”56: si tratta di un’operazione dell’Agenzia Frontex messa in opera nel

2006 nel mare delle Isole Canarie. I suoi obiettivi sono la raccolta d’informazioni relative alle

rotte e l’identificazione degli immigrati con attenzione al loro respingimento attraverso agenti

inviati sul campo. Frontex considera che “l’operazione congiunta di maggior successo

coordinata da Frontex è stata HERA. Tale risultato è stato possibile, fondamentalmente, grazie

ad una stretta collaborazione con i paesi dell’Africa occidentale”57. Prevista all’inizio per 4 mesi,

quest’operazione è stata prima prolungata varie volte e, infine, istituzionalizzata, dunque

permanentemente in vigore.

La creazione del centro di Nouadhibou non rappresenta un fenomeno isolato, bensì una

delle misure della restrittiva politica di controllo delle frontiere europee contro la paura

dell’“invasione”. Inoltre, la sua installazione è avvenuta precipitosamente, senza rigore né

preoccupazione alcuna per il rispetto dei diritti umani.

B) Un centro con gravi carenze nei fondamenti giuridici

“Mi hanno arrestato perché portavo una maglietta del Barça”

Il centro è stato finanziato e costruito dalla Spagna. L’esercito spagnolo è stato incaricato

della trasformazione di una scuola per convertirla in centro di “accoglienza” d’immigrati. È

amministrato dalla Mezza Luna Rossa e dalla Croce Rossa Spagnola. La sua installazione non ha

seguito alcun procedimento: la sua esistenza stessa non ha fondamento giuridico, neppure il

suo funzionamento. Sembra un centro fantasma; nondimeno, le violazioni di diritti che

avvengono lì sono una triste realtà.

Le permanenze forzate non hanno niente di legale e violano i diritti umani elementari58.

Inizialmente, il centro è stato pensato per ricevere le persone che erano state respinte dalla

Spagna o dal Marocco, di nazionalità mauritana o che, presumibilmente, erano transitati per la

Mauritania. Non sono stati esaminati i possibili casi di richiesta di asilo, con un’evidente

56

Prisonnier du désert , La Cimade, p. 13. 57

Frontex, Informe General 2009, p. 10. 58

Agence Frontex: quelles garanties pour les droits de l’Homme, Etude de l’agence européenne aux frontières extérieures en vue de la refonte de son mandat, 2010, p. 8.

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violazione del principio internazionale di non-respingimento59. Inoltre, sono state inviate al

centro le persone arrestate in mare, violando in questo caso il diritto a uscire da qualsiasi

paese, incluso il proprio60. Progressivamente, vengono arrestati e incarcerati un numero

sempre più alto di presunti candidati all’emigrazione. Secondo la Croce Rossa spagnola, nel

2006, l’80% degli arrestati aveva viaggiato almeno un giorno in mare. Tuttavia, dal 2007, questa

cifra si è ridotta e chi non aveva mai viaggiato sono passati a essere la maggior parte dei

detenuti nel centro61.

Questi “presunti” candidati all’emigrazione clandestina possono essere rappresentati da un

qualsiasi straniero, persino i residenti in Mauritania, i pescatori accusati di voler pescare troppo

vicino alle coste europee o anche un uomo che ha una maglietta di una squadra di calcio

europea. Ciò costituisce un grave abuso, e viola, in modo palese, il diritto di non-

discriminazione62. Già il fatto di essere stranieri, di per sé, costituisce la condizione sufficiente

per essere arrestati. È come se venisse applicata automaticamente “una presunzione di

colpevolezza”; come se cioè fosseri ritenuti colpevoli pur non avendo commesso alcun genere

di reato.

Nouadhibou è una città cosmopolita dove si sono stabilite e in cui lavorano molte persone

appartenenti a vari paesi subsahariani. Vedremo in seguito il dramma degli stranieri residenti in

Mauritania. Oggi sembra che il semplice fatto di pensare di emigrare o di poterlo pensare

costituisca di per sé un crimine e, in questo senso, le autorità mauritane sembrano agire in virtù

di una specie di principio di precauzione per impedire le potenziali partenze e mantener fede

alla propria parte dell’accordo di cooperazione con l’Unione Europea. Ciò conduce a gravi

violazioni, come arresti assolutamente privi di fondamento alcuno, o denunce e

stigmatizzazioni verso la popolazione nera straniera63.

Le persone sono detenute al margine di qualsiasi procedimento: non ricevono nessuna

informazione o notificazione e non si può avviare alcun ricorso legale. Ancora una volta si viola

59

“Nessuno Stato Contraente potrà, per espulsione o ritorno, porre in modo alcuno un rifugiato nelle frontiere dei territori dove la sua vita o la sua libertà è in pericolo a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, o delle sue opinioni politiche”, art. 33-1 del Convegno di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati, del quale la Mauritania fa parte dal 1987. 60

“Ogni persona ha diritto di uscire da qualunque paese, incluso il proprio, e a ritornare al suo paese”, art. 13-2 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDH); “Ogni persona avrà diritto ad uscire liberamente da qualunque paese, incluso il proprio”, art. 12-2 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici del 1966 firmato dalla Mauritania nel 2004. 61

Prisonniers du désert , La Cimade, p. 19. 62

“Ogni persona ha tutti i diritti e le libertà proclamate in questa Dichiarazione, senza distinzione alcuna di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione política o di qualsiasi altra indole, origine nazionale e sociale, posizione economica, nascita o qualunque altra condizione”, art. 2 della DUDU. Vedere anche la Convenzione Internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. 63

Aux frontières de l’Europe: contrôles, enfermements, expulsions, Migreurop, 2010, p. 23.

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il diritto di non essere arrestati arbitrariamente e fuori da un quadro legale64. Il procuratore di

Nouadhibou stesso riconosce che: “Questi migranti non hanno commesso nessun crimine

perché non è, perlomeno per il momento, un crimine uscire in maniera illegale dal paese”65.

Una volta arrestati, l’espulsione è inevitabile66. Inoltre, la durata di detenzione non fa

riferimento a una norma, bensì dipende da quando si possa riempire un autocarro per condurre

tali migranti arrestati verso il Mali o il Senegal.

“Non veniamo espulsi finché il carico non è pieno; si può parlare di carico, come

bestiame”67.

Inoltre, le condizioni di detenzione comportano numerosi trattamenti disumani o

degradanti68. I detenuti riferiscono69 di umiliazioni, violenze, difficoltà o divieti di accesso ai

servizi, mancanza di attenzioni mediche. I detenuti possono stare 30 giorni in un’ex-aula di

lezione che funge ora da cella.

Tra la campagna Migreurop per un diritto di vigilanza nei luoghi d’incarceramento degli

stranieri, l’Associazione Mauritana dei Diritti Umani (AMDU) ha visitato il Centro di Nouadhibou

nel 2009. Da tale visita risultava tra l’altro che questo luogo non era un centro di accoglienza,

bensì una vera e propria prigione per immigrati. Sono rinchiusi in piccole celle senza

ventilazione né luce diurna70. Il 16 marzo 201171, AMDU è tornata a visitare il centro. Nel loro

rapporto si legge che le interviste sono state realizzate con la presenza della polizia, fatto che

ha, ovviamente, condizionato la libertà di espressione degli intervistati. I migranti interrogati

erano di un’età compresa tra i 20 e i 35 anni e provenivano da Senegal, Guinea Conakry,

Gambia e uno era del Camerun. Hanno detto di essere stati trattati bene dalla polizia e che la

Mezza Luna Rossa aveva loro fornito cibo e coperte a sufficienza. Tuttavia, quando l’“autobus

del rifiuto” è entrato nel patio, sembrava che alcuni di loro vedessero la fine del calvario che

rappresenta questo Centro.

64

“Nessuno potrà essere sottomesso a detenzione o prigione arbitrarie. Nessuno potrà essere privato della propria libertà, salvo che per le cause fissate da legge e secondo il procedimento in essa stabilito”, art. 9 del Patto Internazionale dei diritti civili e politici. 65

Prisonniers du désert, La Cimade, p. 18. 66

E non si tratta di una espulsione nel senso internazionale e giuridico del termine, bensì di un esilio o di un respingimento senza garanzie né procedimento di alcun tipo. 67

B. Malian residente a Nouadhibou (Prisonniers du désert, La Cimade, p. 18). 68

“Nessuno sarà sottomesso a tortura né a pena o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, art. 7 del Patto Internazionale dei diritti civili e politici. 69

Prisonnier du désert, La Cimade, p. 26 e p. 30. 70

Aux frontières de l’Europe: contrôles, enfermements, expulsions, Migreurop, 2010, p. 24. 71

Comunicato stampa di AMDU in francese en http://www.migreurop.org/article1850.html.

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La Mauritania fa parte di numerosi accordi di protezione dei diritti umani72, tra i quali si

deve citare il Patto Internazionale di Diritti Civili e Politici (dal 2004), il Patto Internazionale di

Diritti Economici, Sociali e Culturali (dal 2004), la Convenzione Internazionale sull’eliminazione

di tutte le forme di discriminazione razziale (dal 1988), la Convenzione contro la tortura e altri

trattamenti o pene crudeli, disumane o degradanti (dal 2004). Tuttavia, a livello pratico, tutti

questi convegni sono carta straccia.

La Mauritania mostra poca volontà nel rispetto dei diritti umani. Al contrario, infatti,

sembra che voglia provare all’Unione Europea che adempie correttamente alla sua parte

dell’accordo stipulato con essa e che partecipa attivamente alla gestione dell’immigrazione

verso l’Europa.

II – Mauritania, gestione dell’immigrazione al servizio dell’Unione Europea.

Chiaramente, dal 2006, si è verificato un cambiamento in Mauritania, e tale

cambiamento non è estraneo alla radicalizzazione della politica migratoria e di sicurezza

dell'Unione Europea. La Mauritania, nonostante contraddica la sua tradizione di accoglienza e

di mobilità (A), realizza una politica di dura repressione contro gli stranieri al servizio degli

interessi dell’UE (B). Tuttavia, ci possiamo chiedere quale sia la sua reale capacità di scelta (C).

A) Contraddizione con la tradizione di accoglienza e di mobilità in Mauritania.

“L’organizzazione e il controllo delle migrazioni non avevano priorità per un popolo che si

considera come nomade e che praticava il commercio di carovana. Tale situazione è cambiata

(…)”73.

La Mauritania è una regione “cerniera” tra il Maghreb e l’Africa subsahariana, e, di fatto, è

un luogo di numerosi scambi e di flussi umani. Inoltre, nel 2005, è stato concluso l’ultimo tratto

tra Nuadibù e Nuakchot dell’autostrada Tangeri-Dakar, fatto che ha permesso una notevole

facilità di circolazione di mercanzie e di persone74. La Mauritania era nota come un paese di

accoglienza e d’immigrazione. Il 7% degli abitanti di tale paese è straniero, una quota

72

FIDH, Mauritanie, l’établissement de la démocratie peut-il s’affranchir du règlement du passif humanitaire, Rapport de mission internationale d’enquête, n°447, avril 2006, p. 15. 73

Etude de synthèse des politiques migratoires et des cadres législatifs en matière de migrations sur le continent africain, fiche pays Mauritanie, CIGEM, décembre 2009, p. 8. 74

Prisonniers du désert, La Cimade, p. 9.

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indispensabile per la costruzione del paese: lavorano principalmente nella pesca, nella

costruzione e nelle miniere. In seguito all’indipendenza, la Mauritania ha stabilito un regime

giuridico molto favorevole all’ingresso, alla permanenza e allo stabilimento degli stranieri.

Secondo un accordo bilaterale tra Mauritania e Mali, i cittadini di uno di questi paesi hanno

soltanto bisogno di una carta d’identità per recarsi nell’altro.

Tuttavia, dal 2006, le cose hanno subito una svolta. La Mauritania non aveva

riesaminato i suoi strumenti giuridici sin dalla sua indipendenza. Molte leggi riguardanti gli

stranieri in Mauritania risalivano agli anni ’60. Due nuove leggi hanno modificato lo status degli

stranieri in tale paese. Si tratta di una legge sul traffico “illegale” degli immigrati per lottare

contro i “pasadores” (chi passa, attraversano), adottata nel febbraio del 2010, e un’altra legge,

ancora in fase di progetto, relativa all’ingresso e alla permanenza degli stranieri. Si tratta di una

chiara prova del fatto che la Mauritania sia succube degli interessi europei e voglia mostrare la

sua piena e completa cooperazione in materia d’immigrazione. Tale legge non è altro che la

copia della legge d’immigrazione francese del 2006 e la trasposizione di concetti europei che

non si basano sulla situazione e sull’ordine giuridico mauritani. Potremmo riferirci a questioni

come il matrimonio di convenienza per ottenere la nazionalità mauritana, l’irrigidimento dei

meccanismi del ricongiungimento familiare, o quelli relativi al permesso d’ingresso per studenti

o ricercatori. Tali disposizioni sono senza base reale in un paese come la Mauritania. Difatti, non

hanno riscontro, non è possibile applicarle; sono estrapolate da un contesto giuridico-sociale

alieno a quello di ricezione.

Arrivati fin qui, è doveroso fare una precisazione: nel 10° Fondo Europeo per lo Sviluppo

(FES), una dotazione per niente disprezzabile era destinata al cambiamento del quadro giuridico

mauritano relativo all’immigrazione. Si può desumere perciò che la Mauritania fosse, di fatto,

obbligata a realizzare suddetto cambio.

B) Una politica basata sulla quantità di detenuti, incarcerati e respinti come prova della

cooperazione della Mauritania.

In un comunicato, AMDU parla di respingimento abusivo e di “caccia alle streghe”75. Si può,

in effetti, osservare una sorta di accanimento verso gli stranieri. Come si è ricordato in

precedenza, le autorità mauritane agiscono in modo discriminatorio. L’obiettivo: riempire il

centro di Nouadhibou ed espellere il maggior numero possibile di persone. Hanno luogo

75

Prisonnier du désert, p. 22.

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dunque arresti nelle strade, nei posti di lavoro, nei centri di alloggio, nelle case, arresti a

qualunque ora, di giorno e di notte76. Senza pausa; e nessuno straniero è al sicuro dal rischio di

un arresto, neppure quelli che vivono e lavorano in tale paese da molti anni, neppure i

residenti. La maggior parte viene espulsa verso il Mali o il Senegal. Le conseguenze sono

drammatiche, perché molte volte gli espulsi hanno famiglia e lavoro in Mauritania. Quando

sono arrestati ed espulsi, abbandonano le rispettive famiglie, lasciano i lavori e li perdono, e le

famiglie devono inviare il denaro per far sì che ritornino a casa.

(…) Il mio negozio è rimasto chiuso durante il periodo della mia espulsione e non è buono

per gli affari. Dopo, non stavo bene, ero molto provato e lo sono ancora. Persino la polizia dice

“accetta l’espulsione e poi tornerai”. Quelli che ti hanno espulso, se ti vedono di nuovo il giorno

dopo, non ti dicono niente, non importa loro per niente (…)77.

Molti cittadini espulsi dalla Mauritania già erano stati respinti dal Marocco o dalla Spagna. Si

sono registrati casi realmente drammatici di persone “incarcerate nel deserto”. Si tratta di

stranieri cacciati dalle autorità marocchine in direzione della Mauritania, sia che siano di

nazionalità mauritana o che abbiano viaggiato attraverso tale territorio. Vivono ora un inferno

nel deserto soprannominato di “Kandahar” a causa delle mine, ormai disperse, installate

durante il conflitto del Sahara occidentale. I respinti possono rimanere vari giorni nel deserto,

perché la Mauritania si rifiuta di accordare loro l’ingresso senza passaporto. Le autorità

marocchine abbandonano in tutti i sensi gli stranieri in questa zona. Una dimostrazione di ciò si

è avuta alla fine del 2009, quando una cinquantina di persone è stata abbandonata dal Marocco

in questa zona, 34 sono scomparse e 18 arrestate dalle autorità mauritane e trasferite nel

centro di Nouadhibou, per essere in seguito espulse verso il Mali o il Senegal.

C) Mauritania: complice o vittima del ricatto dell’aiuto?

Il prestesto dell’aiuto europeo allo sviluppo per imporre misure di controllo delle

migrazioni. Decimo Fondo Europeo per lo Sviluppo.

In Mauritania ha avuto luogo un cambiamento di legislazione e avviene una continua

violazione di diritti umani protetti da convenzioni internazionali appena firmate. Qual è il

motivo per cui la Mauritania agisce in questo modo? Evidentemente, il ricatto dell’“Aiuto allo

Sviluppo”.

76

Cfr.op.cit., p. 21. 77

op.cit, p. 32.

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In effetti, utilizzando lo strumento dell’aiuto allo sviluppo, l’Unione Europea influenza senza

pudore nelle politiche che svolge Mauritania. “Il Fondo Europeo di Sviluppo (FED) è lo

strumento principale dell’aiuto comunitario alla cooperazione allo sviluppo prestata agli Stati

dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP)”78. Prima del 2006 non si trattavano le migrazioni nei

FES. Attualmente invece rappresentano un aspetto prioritario, come testimoniato in particolare

misura dal decimo FES (2008-2012). In questo79, 8 milioni di euro sono destinati al

miglioramento qualitativo del controllo negli avamposti di frontiera, all’appoggio ai servizi

incaricati della vigilanza del territorio, alla formazione di agenti incaricati della gestione delle

migrazioni, alla sensibilizzazione sui rischi dell’“immigrazione illegale” (per scoraggiare alla

radice l’idea stessa di poter lasciare il paese in modo regolare dunque), al riesame del quadro

giuridico e dell’apparato penale, alla riflessione sulla regolarizzazione dello status dei migranti e

a uno sviluppo di una cooperazione regionale per la gestione positiva dei flussi80.

Questo FES è stato molto criticato dalla società civile europea e dai paesi ACP perché

rappresenta uno strumento per imporre misure strategiche a favore dell’Unione Europea, però

a scapito delle popolazioni povere. In questo modo, cooperazione e co-sviluppo finiscono per

essere uno strumento al servizio del controllo delle migrazioni e un ricatto per far sì che i paesi

come Mauritania agiscano in funzione degli obiettivi dell’UE. Tali obiettivi sono la pulizia delle

coste europee, allontanare i migranti dalle frontiere europee e deresponsabilizzare gli europei

dalla gestione e dagli effetti delle migrazioni.

MAROCCO: IMPEGNI FIRMATI E MAI MANTENUTI

La situazione dell’immigrazione subsahariana in Marocco

Il Marocco ha ratificato la “Convenzione Internazionale per la Protezione dei Diritti dei

Lavoratori Migranti e delle loro famiglie” il 21 giugno 1993. Tale accordo è entrato in vigore il

10 dicembre 2002 in seguito alla ratifica del ventunesimo stato (condizione “sine qua non” per

la vigenza di convenzioni internazionali).

78

http://europa.eu/legislation_summaries/development/overseas_countries_territories/r12102_es.htm consultación el 18/04/2011. 79

Mauritanie-communauté européenne, document de stratégie pays et programme indicatif national pour la période 2008-2013. 80

Aux frontières de l’Europe: contrôles, enfermements, expulsions, Migreurop, 2010, p. 20.

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Per questo fatto dobbiamo congratularci con il Regno di Marocco (la Spagna ha firmato

tale convenzione, ma non l’ha ratificata, la qual cosa rende completamente inattiva tale firma).

La realtà del trattamento dei migranti sul suo territorio è molto lontana dagli impegni, così

come ha reso manifesto il rapporto di GADEM (Gruppo Antirazzista di Accompagnamento e

Difesa degli Stranieri e Migranti) del febbraio 200981.

Il Marocco, paese di emigrazione, si è convertito lungo gli anni in paese di transito e

d’installazione, spesso per difetto, di migranti, specialmente dall’Africa subsahariana. Le

restrizioni agli ingressi nel territorio europeo (politica dei visti, difficoltà nel ricongiungimento

familiare, etc.), insieme ai crescenti spostamenti di popolazione generati dai conflitti, in modo

particolare in Africa dell’ovest (Sierra Leone, Liberia, Costa d’Avorio), hanno comportato un

forte aumento delle migrazioni per via terrestre.

La UE ha riconosciuto priorità, nelle sue relazioni con il Marocco, al controllo delle

migrazioni, di modo che lo status di associazione avanzato, firmato nell’ottobre 2008, include

tra i suoi obiettivi, in forma più o meno esplicita, il controllo e, pertanto, la repressione delle

migrazioni. Tale argomento viene periodicamente utilizzato dal Marocco per far pressione

davanti alla UE in relazione ad altri temi, per esempio la questione “saharawi”.

Il Marocco si è dotato nel 2003 di una legislazione sommamente restrittiva e

criminalizzatrice dell’immigrazione. La legge 02/03 “Relativa all’ingresso ed alla permanenza di

stranieri nel Regno di Marocco, all’emigrazione e all’immigrazione irregolari”, penalizza la

emigrazione clandestina (nel suo articolo 49) con una multa che va da 3.000 a 10.000 euro e

carcere da uno a sei mesi (applicazione secondo la decisione del giudice).

La creazione nel Ministero degli Interni di una Direzione della Migrazione e della

Vigilanza delle Frontiere, e di un Osservatorio delle Migrazioni, venivano a completare la

riforma legislativa82.

Tre sono i corpi di sicurezza incaricati del controllo di frontiera:

- La Sicurezza Nazionale marocchina effettua il controllo di frontiera in senso stretto.

81

Rapport relatif à l´application par le Maroc de la Convention International sur la Protection des droits de tous les travailleurs migrants et les membres de leur famille, GADEM, Février 2009. 82

La Direzione della Migrazione e Vigilanza di Frontiere entra in funzionamento nel 2005 e la sua missione principale consiste nella “messa in pratica operativa della strategia della strategia nazionale” in materia di lotta contro le reti del traffico di esseri umani attraverso la vigilanza operativa delle frontiere e la ricerca in tutto il territorio nazionale. L’osservatorio della Migrazione ha come missione l’elaborazione di una strategia nazionale nel campo della migrazione. E’ incaricato della centralizzazione delle informazioni e della messa in opera di una database strategico a livello nazionale, di proporre ai poteri pubblici misure concrete, realizzare studi e portare a compimento progetti di ricerca sulle tendenze dei flussi migratori, e assicurare la diffusione di rapporti periodici.

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- Le Forze Ausiliarie (FA) vigilano affinché nessuna persona entra o esca dal territorio fuori

dai punti abilitati a ciò.

- Le Forze Armate Reali (FAR), la marina cosi come la gendarmeria reale. 3.000 membri

del suo personale contribuiscono alla missione di “lotta contro la migrazione

clandestina”, in coordinamento con le FA. Le FAR sono in particolar modo incaricate di

vigilare certe zone di frontiera sensibili, specialmente il sud ed il sud-est del paese.

I migranti subsahariani sono vittime di gravi discriminazioni e violazione di diritti. In termini

di alloggiamento e lavoro, per esempio, è chiaro. I prezzi degli affitti a favore di cittadini

subsahariani sono superiori alla media e numerosi testimoni concordano nell’affermare che il

prezzo degli affitti aumenta proporzionalmente all’intensità della pressione di polizia. In questo

modo quando riescono ad accedere a qualche lavoro, percepiscono salari più bassi.

Nonostante tutto ciò, chiama l’attenzione la mancanza di lamentele e denunce per questi

atti di discriminazione. Che sia dovuto alla mancanza di conoscenza dei propri diritti e opzioni e

dei meccanismi per farli valere, come ha fatto notare recentemente la Fondazione Oriente-

Occidente, o all’insufficiente volontà da parte delle autorità nel perseguire tali azioni, di fatto

risulta palese l’impunità degli atti razzisti contro i subsahariani, spiegabile con la vulnerabilità e

la precarietà della gran maggioranza di loro, in condizioni di inferiorità sociale.

La discriminazione verso i subsahariani è molto evidente al momento degli arresti,

frequentemente realizzati basandosi sul colore della pelle, senza neppure un controllo di

identità. Questa discriminazione accentua la criminalizzazione dell’insieme dei migranti, tanto

che gli arresti hanno luogo in piena strada, nei quartieri dove risiedono, sotto gli occhi dei vicini.

Un altro esempio di sopraffazione verso tali persone è fornito dall’assenza di libera

circolazione nell’interno del paese per i subsahariani. Le autorità esercitano pressioni sui

trasportatori e sui mezzi di trasporto (autocarri, taxi, controlli frequenti nei treni, specialmente

nelle linee che partono da Oujda e Tanger), al fine di dissuaderli dal trasportare migranti. I

trasportatori hanno paura di essere accusati di aiutare l’immigrazione irregolare, e sembra che

si sia dato ordine al personale delle stazioni di treno e autobus di denunciare la presenza di

migranti.

Se si presta attenzione al momento esatto dell’espulsione, la legge 02/03 prevede procedimenti

precisi per tali casi. Per esempio stabilisce che le decisioni di espulsione debbano essere

individuali e motivate. La realtà è che la grande maggioranza delle espulsioni alla frontiera è

collettiva.

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Queste espulsioni si svolgono frequentemente nel seguente modo: i migranti sono di

fatto arrestati per il colore della pelle nelle grandi città o nelle zone di frontiera. In seguito ad

una detenzione di durata variabile vengono spesso espulsi alla frontiera algero-marocchina, nel

nord-est del Marocco, più a sud, al livello di Errachidia, o verso la frontiera mauritana. Ogni

volta si trova un maggior numero di testimoni delle espulsioni verso la Mauritania, frontiera

meno ermetica rispetto a quella algerina, caratterizzata da zone desertiche estremamente

pericolose e minate.

La legge 0/3 stabilisce chiaramente anche che non possono venire espulsi né le donne

straniere incinte né i minori stranieri. Tuttavia, differenti fonti, ad esempio i gruppi marocchini

antirazzisti GADEM e ABCDS, fanno notare che, al contrario di ciò che era successo negli ultimi

anni, in cui a donne e bambini emigranti si portava più rispetto, le autorità sono ricorse di

nuovo al pugno di ferro.

Dal 15% al 20% dei migranti subsahariani in transito in Marocco è composto da donne.

La situazione di vulnerabilità è più grande per loro, poiché sono vittime di violenza lungo tutto il

processo migratorio, fatto che le spinge ad “avere un padrone”, che le protegga. Questa

“protezione” comporta frequentemente dipendenza, quando non schiavitù e il rischio di venire

maltrattate.

I migranti sono spesso vittime di trattamenti umilianti e degradanti. Le condizioni di

detenzione non sono per niente umane né degne. Gli spazi più diversi possono servire a tale

scopo: caserme militari, commissariati, scantinati, banchi di vendita nel bosco, etc. Le celle non

rispettano nessun accordo internazionale: scantinati, senza luce naturale, lampade accecanti e

tenute continuamente accese, e condizioni sanitarie deplorevoli. Di fatto non sono retti da

nessun regolamento e risultano fuori da qualsiasi quadro legale. Le autorità marocchine

aspettano molte volte che le celle siano piene per poter espellere i migranti, provocando così

una promiscuità difficile da sopportare. Nelle celle ci sono in alcune occasioni uomini, donne e

bambini insieme.

Le detenzioni di subsahariani non hanno luogo conformemente alla legge, poiché si

registra un’assenza sistematica di notifiche. Molti non passano davanti al giudice e il numero di

giorni di detenzione (cautelativa) viene sovente superato. Coloro che vengono portati davanti al

giudice raramente capiscono l’arabo, e l’assenza di interprete è generalizzata.

I migranti vittime di espulsione verso zone di frontiera, in particolare verso Oujda, sono

esposti ad aggressioni di bande criminali; è in particolar modo sanguinosa la situazione dei più

vulnerabili (ovvero donne, donne incinte, malati e feriti). La terra di nessuno tra Oujda

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(Marocco) e Maghnia (Algeria) è conosciuta per le attività di reti criminali che aggrediscono e a

volte sequestrano migranti espulsi, in particolare donne.

Un esempio di quanto appena esposto è fornito da quanto è successo tra agosto e

settembre del 2010, in seguito alla visita di Rubalcaba a Rabat alla fine di agosto, che

certamente ha risolto la crisi nata a Melilla, ma ha avuto le sue conseguenze per gli immigrati in

transito. Centinaia di cittadini subsahariani sono stati vittima delle retate effettuate tra il 19

agosto e il 10 settembre a Oujda, Al-Hoceima, Nador, Tanger, Rabat, Casablanca e Fez. In un

solo mese, il Marocco ha espulso circa 700 immigrati nella “terra di nessuno”83, tra Marocco e

Algeria, e lì li ha abbandonati, alla morte, in condizioni che violano in modo flagrante i diritti

umani.

La ONG “Medici senza Frontiere” (MSF) ha qualificato il fatto come espulsioni di massa.

Nell’eseguire le espulsioni, la polizia marocchina ha utilizzato crudelmente e

indiscriminatamente la violenza, senza rispettare le condizioni di vita e di igiene di queste

persone, alle quali si è impedito di mangiare e bere. Tra i coinvolti da tali misure figuravano

molte donne, donne incinte e bambini.

Raccogliamo dichiarazioni ai giornalisti fatte da Jorge Martin, capo di missione di MSF in

Marocco: “Abbiamo assistito una donna che aveva dato alla luce sei giorni prima. E’ stata

arrestata dalla polizia e ha passato cinque giorni in una cella di espulsione con suo figlio

neonato. E’ stata ricondotta alla frontiera. E’ riuscita a tornare a Oujda, però ora soffre di

problemi gastrointestinali gravi”.

In questi giorni, i gruppi di MSF hanno constatato un aumento inquietante di pazienti

con problemi legati alla violenza. Su 186 pazienti visitati, 103 erano vittime di lesioni e di ferite

provocate direttamente o indirettamente dalla violenza esercitata al momento dell’arresto. Le

condizioni di vita precarie e la mancanza di un alloggio adeguato hanno anche contribuito

all’aumento dei problemi sanitari. Quasi la metà di coloro che sono ricorsi a MSF presentavano

sintomi legati alle condizioni di vita e igieniche pessime. Il 18% soffriva di infezioni cutanee, il

10% di infezioni respiratorie e l’11% presentava problemi gastrici.

“L’inasprimento delle misure restrittive nel quadro del controllo migratorio in Marocco

ha un impatto diretto sulla salute e la dignità dei migranti e dei rifugiati”, spiegava Jorge

Martin84. Le retate e le espulsioni di massa fanno crescere la loro vulnerabilità e li espongono a

83

Espressione usata anche nella sezione successiva alla presente, quella cioè su Ceuta e Melilla, però considerando le dovute distinzioni e contesti. 84

http://www.cope.es/mundo/01-10-10--jorge-martin-msf-marruecos-expulsiones-estan-tocando-salud-mental-fisica-inmigrantes-220101-1.

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molteplici rischi. Perciò, conformemente al diritto nazionale ed internazionale, MSF ha fatto un

appello alle autorità marocchine per far sì che rispettino i loro obblighi nell’applicazione delle

misure di controllo migratorio. Ricordavano che il governo deve rispettare la dignità e l’integrità

dei migranti e fare il possibile per evitare l’aumento ancora più grande della loro vulnerabilità

ed insicurezza. Conformemente a quanto stipulano le leggi marocchine, le donne incinte, i

bambini e altri gruppi di migranti vulnerabili non devono essere ricondotti alla frontiera.

MSF stima in 4.500 gli immigrati subsahariani presenti in Marocco. Da parte sua, Fabien

Didier Yeyne, che ha fatto da portavoce degli immigrati subsahariani bloccati in Marocco nel

Forum Sociale Mondiale celebrato a Dakar lo scorso febbraio, ha dichiarato a Europa Press che

essi calcolavano tra 12 e 15.000 il numero di cittadini subsahariani che vivono in Marocco in

condizioni di assoluta precarietà85. Cifre analoghe sono in possesso della ACNUR (UNHCR), che

stima 10.000 immigrati senza documenti in Marocco. Meno del 1% di loro sono riconosciuti

come rifugiati dalla ACNUR.

Il 40 % di loro ha subito abusi da parte della polizia. La permanenza media in Marocco si

è prolungata fino ai cinque anni. Le condizioni di vita si sono spesso aggravate: vivono nascosti,

in “appartamenti zattera”86. Hanno molta paura e lottano ogni giorno per la sopravvivenza.

Senza alimenti, senza acqua e senza luce, e vittime della pressione delle Forze di Sicurezza e

delle mafie della tratta di persone, questa situazione-limite ha fatto emergere casi di patologie

psichiche, che arrivano fino alle automutilazioni e a tentativi di suicidio, secondo quanto

afferma “Medici Senza Frontiere”.

Didier ha dichiarato che “il Marocco prima nascondeva questa gente nelle frontiere ed

ora si vanta (del successo) della repressione perché non stanno più là, quando in realtà li tiene

nascosti nelle città”, ha denunciato il portavoce degli immigrati subsahariani che ha appena

fatto uscire il libro “Migrants au pied du mur” (Migranti ai piedi del muro).

La crisi ha fatto la sua comparsa in tale scenario, incrementando le difficoltà. I familiari

che vivono in Europa non inviano più denaro per poter attraversare lo Stretto, e ci sono molti

problemi per trovare lavoro nella zona. Il ritorno volontario non è una opzione. Molti hanno

85

http://www.europapress.es/epsocial/noticia-15000-migrantes-subsaharianos-viven-marruecos-absoluta-precariedad-20110214112917.html. 86

Traduzione letterale dallo spagnolo “pisos patera”, che indica un appartamento condiviso che include quanti più residenti sia possibile contenere, di modo che il suolo e i corridoi si trasformano in luoghi dove “riposano” le persone, fino a raggiungere una concentrazione insalubre e persino pericolosa, nel caso in cui avvenga un qualsiasi imprevisto che obblighi ad evacuare urgentemente l’abitazione. http://www.cienladrillos.com/2007/02/08-pisos-patera-camas-calientes.

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investito i risparmi di tutta la famiglia per arrivare in Europa ed ottenere un lavoro. Altri

semplicemente temono il ripudio o umiliazioni.

Sebbene la legge 02/03 stabilisca che “Nessuno straniero può essere espulso in un paese se la

sua vita o la sua libertà sono minacciate o esposte a trattamenti inumani, crudeli o degradanti”

(art 29), il fatto che le espulsioni si effettuino verso l’Algeria, una frontiera ufficialmente

chiusa87, e viste le informazioni sulla repressione subita dai migranti da parte di questo paese88,

è legittimo chiedersi se la libertà dei migranti espulsi da questa frontiera “non è minacciata” e

se non corrono rischi di essere “esposti a trattamenti inumani, crudeli e degradanti”.

Il Marocco, firmatario della Convenzione Internazionale per la Protezione dei Diritti dei

Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie, dovrebbe improntare tutta la sua politica migratoria al

rispetto di quanto firmato in tale convenzione, inclusa la realizzazione dei cambiamenti

legislativi pertinenti. E, nello stesso senso, astenersi dal firmare accordi relazionati con le

migrazioni con paesi che non abbiano ratificato detta convenzione (come è il caso di tutti gli

europei).

In senso totalmente contrario, in giugno, Eneko Landaburi, rappresentante della UE in

Marocco, dichiarava che la Unione Europea avrebbe semplificato la concessione di visti a

cittadini marocchini in cambio di un eventuale accordo per cui il Marocco si impegni a

riammettere gli immigrati illegali che entrano nel suolo comunitario attraverso questo paese.

Per accettare tale principio, il Marocco esige che esista una prova formale del fatto che la

persona provenga dal suo paese89, così come un consistente pacchetto finanziario per poterlo

applicare e porre in essere meccanismi di formazione e di controllo. Nel suo intervento,

dedicato ad effettuare un bilancio dei progressi del Marocco nell’anno passato e delle relazioni

bilaterali, Eneko Landaburi ha fatto inoltre notare che, nonostante i progressi in ambiti come il

consolidamento della democrazia, la riforma della giustizia continua ad essere uno dei punti

deboli del paese. Un’altra tra le sfide segnalate per questo anno rispetto al Marocco, a cui nel

2008 si è concesso lo statuto avanzato di associazione, è stata una maggiore celerità nella

riforma del codice di stampa, e la diminuzione delle disuguaglianze sociali e nell’educazione.

Nonostante ciò, Landaburi ha segnalato che la UE è “soddisfatta” per l’uso dato agli aiuti di

87

Nel 1994, in seguito agli attentati di “Atlas Assni”, commessi da francesi di origine algerina a Marrakech, le autorità marocchine hanno organizzato una vasta operazione di espulsione di algerini stabiliti o di visita in Marocco; l’Algeria ha reagito chiudendo le sua frontera terrestre con il Marocco, rimanendo da allora così. 88

La Cimade, Maroc, Algérie, Mali, Senegal, Mauritania, pays d´emigration, de transit et de blocage. Etat des lieu de la situation des migrants en 2008, Novembre 2008. 89

Il Marocco dovrà prendere la fotografia facciale e le impronte digitali dei migranti arrestati, dati che saranno immagazzinati da Eurodac; ciò servirà da prova se gli immigrati sbarcano in Europa e così saranno inviati automaticamente in Marocco.

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cooperazione concesse al paese, ed ha indicato che per il prossimo triennio possono contare su

un bilancio di 580, 5 milioni di euro, fatto che suppone un aumento del 20% rispetto ad anni

precedenti.

Che l’obiettivo prioritario nelle relazioni con il Marocco sia quello che quest’ultimo

faccia da gendarme per frenare la immigrazione verso Europa è inoltre evidenziato dall’assalto

all’accampamento “della Speranza” a ottobre nel Sahara Occidentale. Trinidad Jiménez,

Ministra degli Affari Esteri, si scusava dicendo che il conflitto era una questione internazionale,

non spagnola, aggiungendo che le relazioni con Rabat erano prioritarie per la Spagna,

sottolineando pure come negli ultimi anni la collaborazione con il Marocco sarebbe stata

essenziale per frenare la immigrazione irregolare verso la Spagna.

La UE viola i diritti umani con la sua politica di esternalizzazione delle frontiere e il

Marocco con la non applicazione degli impegni firmati nei Convegni Internazionali.

Fondamentalmente, essendo il Marocco un paese che emette e riceve nello stesso

tempo i migranti, deve improntare la sua politica migratoria ad una condotta che ponga fine

alla dicotomia tra ciò che richiede per i suoi immigranti all’estero per quanto riguarda

protezione e assistenza e il trattamento che offre ai migranti stranieri in Marocco. Sono due

facce della stessa medaglia.

Rifugiati statutari in Marocco

Passiamo in rassegna la situazione dei rifugiati (circa 800) e dei richiedenti asilo sul suolo

marocchino, dipendenti da UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati o

ACNUR; in francese “Haut Commissariat des Nations Unies pour les Refugiés o HCR).

In base alla storia della rivendicazione dei rifugiati subsahariani in Marocco, raccogliamo

dalla nota informativa di GADEM del luglio 2009 una breve retrospettiva:

- 20 giugno del 2006: Mobilizzazione di rifugiati (di varie associazioni di rifugiati del

Marocco) in occasione della Giornata Internazionale del Rifugiato. I rifugiati, realizzando

un “sit-in” davanti agli uffici dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, protestano contro il

respingimento in massa di domande di asilo e contro la lentezza nei processi di asilo,

l’assenza di assistenza materiale e finanziaria verso i rifugiati, cosi come la non

concessione di schede di residenza, il non riconoscimento da parte delle autorità

marocchine del loro status e il non riconoscimento dei loro diritti.

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- Dal 24 al 27 luglio 2006: “Sit-in” di un centinaio di rifugiati davanti agli uffici di UNHCR a

Rabat per protestare contro la mancanza di protezione dei rifugiati, il non

riconoscimento del loro status e le loro condizioni di vita estremamente precarie. Dopo

tre giorni e tre notti, l’intervento delle forze dell’ordine e la promessa di una riunione di

negoziazione tra UNHCR, il responsabile di sicurezza delle Nazioni Unite ed undici

delegati in rappresentanza delle differenti comunità nazionali di rifugiati, si pose fine al

“sit-in”.

- 10 gennaio 2007: Sit-in davanti a UNHCR in risposta agli arresti arbitrari, retate ed

espulsioni di rifugiati e richiedenti asilo effettuati il 23 dicembre 2006.

- Dal 18 al 25 maggio del 2007: Sit-in di una sessantina di rifugiati davanti alla sede di

UNHCR a Rabat, reclamando il rispetto della dignità di tutti i rifugiati. La manifestazione

termina con l’intervento delle forze militari.

- 12 febbraio 2008: Sit-in davanti a UNHCR a Rabat. In totale, 111 persone si riuniscono

per domandare: concessione dello status di rifugiato a tutti i richiedenti che lo meritino,

ottenimento della scheda di residenza ai rifugiati riconosciuti come tali da UNHCR,

accesso al mercato del lavoro per i rifugiati.

- Dal 18 al 24 giugno del 2008: Sit-in davanti alla sede di UNHCR a Rabat per rivendicare

l’assistenza finanziaria e regolare per tutti i rifugiati in Marocco, senza eccezioni.

Interviene la polizia per farli sgomberare.

- Il 15 giugno 2009: Sit-in davanti alla sede di UNHCR organizzata dall’Unione di tutti i

Rifugiati in Marocco (RTRM), che lancia una campagna sollecitando a UNHCR la

reinstallazione dei rifugiati in altri paesi. In seguito a vari giorni di riunioni con

rappresentanti di UNHCR senza risposta a tali rivendicazioni, il 2 luglio si scatena l’ira dei

rifugiati, che lanciano pietre contro il locale di UNHCR provocando danni, fatto a cui

segue un intervento violento delle forze dell’ordine marocchine. Il risultato degli scontri

è stato: 40 feriti, 5 rifugiati che si sono fatti visitare nell’ospedale, un ricoverato per

ferite gravi; un officiale di polizia marocchina ricoverato in un centro ospedaliero per la

frattura di un braccio; detenzione di cinque rifugiati che rimangono prigionieri in qualità

di preventivi (quattro della Costa d’Avorio, un congolese). Richiama l’attenzione il fatto

che le dichiarazioni dei cinque arrestati erano esattamente uguali nell’assumersi la colpa

dell’aggressione all’agente, quindi secondo tale versione ci sarebbe un solo aggredito e

cinque aggressori che hanno confessato. A parte, le dichiarazioni di autoaccusa firmate

erano redatte in arabo, mentre la polizia si limitava ad assicurare che si leggesse in

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francese agli accusati. Tutto ciò sarà causa di annullamento di qualunque processo

giudiziale e discredita l’insieme delle pratiche di polizia. Sono stati condannati ad un

mese di prigione ed al pagamento di una multa.

Il 2010 non è stato uno dei migliori anni per i rifugiati. A titolo di esempio il 22 gennaio

quindici persone che avevano appuntamento per registrarsi come richiedenti asilo davanti a

UNHCR di Rabat sono state ricondotte alla frontiera di Oujda su ordine del procuratore di

Marrakech. GADEM denunciava in tale momento che questa era una pratica che andava

ripetendosi da alcuni mesi in differenti regioni del Marocco e faceva constatare che si trattava

di un ordine illegale poiché di fatto esautorava il procuratore all’amministrazione, e poiché

provocava impotenza poiché non era motivata né passibile di ricorso in quanto orale. A ciò

c’era da aggiungere che, quando lo straniero beneficia dello status di rifugiato o ha già inoltrato

la domanda (come in questo caso), non può essere espulso, conformemente all’articolo 29 della

legge 02-03.

La quotidianità che vivono i rifugiati e i richiedenti di asilo di origine africana in Marocco

continua ad essere di profonda precarietà e di mancanza di aspettative. Senza assistenza

finanziaria e senza possibilità di lavorare in quanto sprovvisti di scheda di residenza, la loro

grande rivendicazione è la reinstallazione90 in un paese che permetta loro di rifarsi veramente

una vita in sicurezza.

Ciò si scontra con la premessa di UNHCR consistente nel non voler creare un “effetto-

chiamata” sul Marocco, che lo spinga ad una politica molto restrittiva di riconoscimento di

status di rifugiato e alla negazione per quanto riguarda il fatto di reinstallare rifugiati in Europa.

Il Marocco, che inoltre teme tale “effetto-chiamata”, non concede schede di residenza ai

rifugiati (chiudendo così loro l’accesso al mercato del lavoro ed alla possibilità di viaggiare

all’estero), e sembra voler rendere le cose quanto più difficili possibile, desiderando evitare

rimostranze da parte della sua stessa popolazione (la disoccupazione raggiunge il 15%).

Da parte sua, la Commissione Europea, fedele alla sua politica di esternalizzazione

dell’asilo, ha proposto nel maggio del 2009 di appoggiare UNHCR per stabilire uffici nel

Maghreb dai quali si potesse richiedere asilo. Niente può farci pensare alla benevolenza di tale

90

“Reinstallazione o reinsediamento si definisce come il trasferimento di rifugiati del paese nel quale hanno

richiesto rifugio a un altro stato che ha accettato di ammetterli. In generale si concederà asilo o qualche altra forma

di diritti di residenza a lungo termine ai rifugiati e, in molti casi, avranno l’opportunità di convertirsi in cittadini

naturalizzati. Il reinsediamento è una soluzione duratura, così come uno strumento per la protezione dei rifugiati”.

Fonte: OIM,

http://www.iom.int/jahia/Jahia/about-migration/managing-migration/refugeeprotection/cache/offonce/lang/es].

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proposta, quando lo stesso Antonio Guterres, Direttore di UNHCR, ha segnalato nel mese di

settembre l’asilo come la questione più critica nella politica di immigrazione europea, poco

generosa nel rapporto “vis a vis” con i rifugiati. La realtà è che l’80% dei rifugiati è accolta nei

paesi più poveri. L’Europa solamente ne accoglie circa il 5%. E i dubbi seminati sui paesi del

Maghreb per quanto concerne il loro trattamento verso i migranti in generale e i rifugiati in

particolare sono più che contrastati e sconsigliano in misura massima tale misura. La politica di

esternalizzazione europea cerca solamente di allontanare il problema delle sue frontiere, senza

nessun interesse né responsabilità verso i diritti umani e le condizioni di vita dei migranti e dei

rifugiati.

In tale contesto emerge con evidenza che le rivendicazioni dei rifugiati contrastano con

il fatto che il reinsediamento dei rifugiati riconosciuti come tali in Marocco sarebbe per l’Europa

come confessare il fallimento della propria politica di esternalizzazione.

CEUTA E MELILLA: IL LIMBO DELLA ILLUSIONE

Ceuta e Melilla rappresentano un caso molto particolare in materia di migrazioni: sono

luoghi dove si "sperimentano" e si possono vedere quasi immediatamente gli effetti e le

ripercussioni delle strategie di gestione dell'emigrazione dall'Africa elaborate dall’Unione

europea e Spagna.

Entrambe le città di confine sono diventate negli ultimi dieci anni una delle porte di

"controllo" dell'immigrazione verso l'Europa dal sud. Sono misuratori sensibili ai cambiamenti

delle politiche migratorie. Risulta decisivo per coloro che si impegnano nella difesa dei diritti

umani verificare quali controlli si mettono in atto, le operazioni relative ai confinamenti e le

espulsioni, così come le sue conseguenze sulla sofferenza umana per coloro che le subiscono.

Com’è noto, entrambe le città autonome in Africa del Nord sono al di fuori dello spazio

Schengen, fatto che impedisce alle persone migranti che vi accedono di continuare il loro

spostamento per il resto del territorio spagnolo ed europeo.

Quando, nel 1986, la Spagna entrò nella Comunità Europea, Ceuta e Melilla, i due

territori del Nord Africa sotto la sua sovranità, passarono automaticamente a far parte del

processo di costruzione europea. Le due città ispanomagrebine, tradizionale oggetto di aspre

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controversie geopolitiche, diventarono gli unici frammenti territoriali dell'Unione europea nel

continente africano. Questa condizione non venne estesa al Trattato di Schengen, firmato nel

1985 e a cui la Spagna aderì nel 1991, che garantisce la libertà di circolazione all'interno dei

confini europei.

La non appartenenza di Ceuta e Melilla all'area Schengen ha un'altra conseguenza: la

libertà di movimento interno porta con sé maggiori controlli e il rafforzamento delle frontiere

esterne. Così a Ceuta e Melilla esistono di fatto due frontiere separate da pochi chilometri:

quella della Spagna e dell’Unione Europea con il Marocco e quella dell'area Schengen con la

penisola e il resto d'Europa.

L’impermeabilizazione della frontiera, iniziata con la costruzione con fondi europei nel 2000

della recinzione di confine alta tre metri. di altezza, è uno dei primi passi; il successivo è

rappresentato da un controllo sempre più soffocante per attraversare il Mediterraneo e

raggiungere la penisola.

Entrambe le città sono diventate così una specie di "terra di nessuno", con un regime

speciale secondo il quale le leggi vengono applicate in base alle esigenze della politica di

controllo migratorio, e non ai bisogni e diritti dei soggetti più vulnerabili. Ceuta e Melilla sono

diventate una sorta di “città-centro di detenzione per immigrati”, un “limbo legale”91 nel quale

migliaia di persone sono detenute contro la loro volontà in una specie di “carcere dolce”92 in cui

le loro illusioni naufragano e le loro angosce del futuro diventano disperazione.

Qui, in questa "dolce prigione”, essi vedranno eternizzarsi la propria situazione, soffrendo la

miseria e subendo talvolta l'ostilità dei residenti, o rischieranno la vita per intraprendere la

traversata e cercare di "fare il salto" verso la terraferma.

Il settembre 2005 segna un punto di svolta nei flussi migratori a Ceuta e Melilla. In

questo mese ha luogo l'evento più terribile nella storia del loro perimetri di confine. Il tentativo

disperato di saltare la recinzione da parte dei migranti sub-sahariani che da mesi erano raccolti

in condizioni disumane nelle montagne di confine, venne respinto dalle forze di sicurezza

marocchine e spagnole, che, in alcuni casi, spararono indiscriminatamente sui migranti solo

perché stavano cercando di trovare una vita più dignitosa. Ciò ha provocato la morte di almeno

14 persone (o anche più, secondo fonti non ufficiali): una “frontera asesina”93, un'ulteriore

conseguenza della esternalizzazione delle frontiere praticata dalla UE. Le morti sono state

91

Asociación Elín: “Informe sobre la realidad de la inmigración en Ceuta hoy. Ceuta El drama silenciado de una

Frontera”, abril 2010. 92

Migreurop: “En las fronteras de Europa. Controles, confinamientos, expulsiones”, 2010. 93

Asociación Elín: Informe sobre la realidad de la inmigración en Ceuta hoy Ceuta El drama silenciado de una

Frontera, abril 2010, p. 4.

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seguite da persecuzioni in territorio marocchino: centinaia di famiglie sub-sahariane

ammanettate su autobus con destinazione l'esilio e la morte certa nel deserto.

Dal 2005, come è noto, il governo spagnolo ha rafforzato straordinariamente entrambe

le frontiere: controlli 24 ore al giorno, con tutti i tipi di strumenti di alta tecnologia (sensori di

movimento, telecamere di sicurezza, visione notturna, ecc.). Il filo spinato è in gran parte

sostituito da alzaia94. Si eleva la barriera da 3 a 6 metri di altezza lungo il confine perimetrale,

incrementando le truppe allo scopo di rafforzare controlli sia via terra che via mare, rendendolo

praticamente intransitabile.

Ora sono pochi quelli che riescono a passare attraverso il confine perimetrale saltando il

recinto, e aumentano gli ingressi attraverso i valichi di frontiera (Tarajal a Ceuta e Benienzar a

Melilla), nascosti in auto, o tentando di passare dal Marocco a nuoto o in barche fragili, che

sono per lo più zattere-giocattolo di gomma gonfiabili.

Gli ingressi clandestini registrati dal Ministero dell'Interno sono stati nel 2010 pari a

1.567, dei quali 560 a Ceuta e 1.007 a Melilla. Queste cifre sono ben inferiori a quelle del 2005,

quando si raggiunse quota 5.556 persone. Allo stesso tempo segnano un incremento

significativo (41%) rispetto al 2009:

Anno 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Entrate 4.969 s/d s/d s/d 5.556 2.000 1.553 1.210 1.108 1.567

L’incremento è in gran parte legato alle tensioni avvenute alla frontiera di Melilla nel mese di

agosto, quando alcuni marocchini hanno accusato la polizia spagnola di maltrattamenti. Per

diversi giorni ci sono state manifestazioni e il confine è stato bloccato; ciò ha avuto anche il suo

impatto sulla questione dell'immigrazione. La Guardia Civil ha riscontrato un aumento di

ingressi a partire da queste dimostrazioni, ed è anche da quel momento che le autorità

marocchine hanno cominciato a rifiutare sistematicamente coloro privi di documenti che la

Spagna stava cercando di rimpatriare.

Da parte delle autorità spagnole è stato estremamente limitato lo spostamento delle

persone verso la penisola e sono stati sistematizzati i metodi di detenzione-espulsione. I

risultati sono stati maggiori sofferenze, maggiori esborsi finanziari, e l’ulteriore diminuzione

delle capacità di difesa contro le mafie e le reti di traffico di esseri umani; in breve, si è diffusa

una violenza silenziosa, crescente e disumana. Più morti in cambio di un apparente effetto

94

Quadro di corde in acciaio a forma di rete alto fino tre metri e dotata di sensori.

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dissuasivo. Ceuta e Melilla non rappresentano più porte facili da attraversare per andare in

Europa: sono attualmente luoghi di detenzione degli immigrati in attesa di realizzare

l'espulsione attuando accordi di restituzione con i rispettivi paesi di origine. Dal 2008 gli accordi

di riammissione degli immigrati rappresentano uno dei motivi che il governo ha per tenerli a

Ceuta il tempo necessario per essere riconosciuti per i loro paesi e organizzare la loro

deportazione. Un processo che ritarda diversi anni in molti casi.

Per tutto il tempo in cui sono costretti a restare a Ceuta o Melilla, gli immigrati vivono in

uno stato di “limbo”95 legale nel quale vengono compressi i diritti di cui gode qualsiasi

immigrato si trovi nella penisola. Per esempio, agli immigrati di Ceuta e Melilla non è consentito

registrarsi (“empadronarse”), motivo per cui non può ottenere i documenti richiesti dopo tre

anni, come consentito dalla legge. Non hanno neppure diritto alla sicurezza sociale né

all'istruzione obbligatoria.

L’attuazione iperrestrittiva della nuova legge sull'asilo, paradossalmente, ha

ulteriormente ostacolato la possibilità di "fare il salto verso la penisola". Invece di comportare

un miglioramento per i potenziali rifugiati che riuscivano a raggiungere una di queste città,

questi ultimi sono stati aggiunti al blocco di coloro che vi si trovavano da anni.

Fino al 2009, coloro ai quali si concedeva la scheda gialla per i richiedenti asilo erano

autorizzati a spostarsi verso il continente ed avevano il diritto di soggiornare e lavorare mentre

la propria domanda era in procinto di essere esaminata. Dal 2010 i richiedenti asilo riconosciuti

non sono autorizzati a lasciare la città. Questo è dovuto al fatto che si dà più peso agli accordi di

Schengen rispetto al diritto d'asilo. All'articolo 5 le direttive di Schengen stabiliscono che "la

Spagna manterrà i controlli (di identità e di documenti), nelle connessioni marittime e aeree

provenienti da Ceuta e Melilla che abbiano come sola destinazione un altro punto del territorio

spagnolo." Poiché queste due città non appartengono allo spazio Schengen, gli stranieri che vi

hanno accesso non possono entrare nella UE, se non sono dotati di documenti idonei; per

questo motivo tali richiedenti asilo non possono attraversare lo Stretto.

Di fronte a ciò, organizzazioni come CEAR, Amnesty International, Prodein, Elin e UNHCR

hanno denunciato l’illegalità di questo blocco, perché i ricorrenti hanno la scheda gialla,

documento rilasciato dal ministero degli Interni che li autorizza a soggiornare e circolare

liberamente attraverso la Spagna fino a quando il governo non dia una risposta definitiva a

riguardo. Non applicandosi così, la nuova legge sull'asilo non si sta dimostrando di protezione,

come invece si dichiara di essere.

95

Migreurop: En las fronteras de Europa. Controles, confinamientos, expulsiones, 2010, p. 12.

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MELILLA

Intorno a Melilla una doppia recinzione si estende per 10,5 chilometri. Il recinto esterno

si eleva per 3,5 metri, mentre quello interno raggiunge i 6 metri in alcuni punti. In questa città il

filo spinato, come già ricordato, è stato sostituito soprattutto dalla alzaia. La sorveglianza è

assicurata da 106 telecamere, da un impianto audio e da un sistema a infrarossi.

Nonostante questo sistema deterrente, il 18 maggio è stato registrato un tentativo di

salto oltre la recinzione. In mattinata, una quindicina di subsahariani si avvicinò al recinto nella

zona del quartiere cinese; sette hanno provato a raggiungere la strada entrando attraverso il

blocco del confine, gli altri hanno cercato di saltare la recinzione. Tutti sono stati respinti dalla

polizia. I media hanno sottolineato come proprio il giorno prima il primo ministro marocchino,

Abbas El Fasi, avesse rilasciato dichiarazioni invitando la Spagna ad intavolare un dialogo al fine

di "porre fine all'occupazione" di Ceuta e Melilla e delle isole spagnole nel nord del Marocco.

Il conflitto nella frontiera di Melilla nel mese di agosto, quando alcuni marocchini hanno

accusato la polizia spagnola di maltrattamenti e in cui per diversi giorni hanno manifestato con

striscioni e hanno bloccato la frontiera, lo si ribadisce, ha prodotto alcune conseguenze anche

sulle vicende migratorie. La Guardia Civil ha constatato la ripresa degli arrivi di zattere a partire

da questi incidenti; da quel momento le autorità marocchine rifiutavano sistematicamente

persone prive di documenti che la Spagna stava cercando di rimpatriare.

Gli ingressi degli immigrati subsahariani a Melilla provenienti dal Marocco è aumentato a

partire da quel momento. Quasi ogni giorno diversi giovani approfittano del territorio

marocchino per attraversare la frontiera o si introducono a nuoto o in piccoli gommoni dal

porto nelle vicinanze, a pochi metri da Melilla.

Nel 2010, le persone che sono riuscite a superare la frontiera ed entrare a Melilla,

secondo l'unica cifra fornita dal Ministero degli Interni, sono 1.007. A Ceuta sono riusciti ad

entrare 560.

Esistono due soluzioni per arrivare a Melilla a nuoto: a nord, si cerca di attraversare il Barranco

del Quemadero, a sud si prova a percorrere il Dique Sud, a ridosso del porto della zona del

Marocco ed alla foce di Arroyo Mezquita. Sono solo 200 metri a nuoto, distanza facilmente

percorribile a nuoto.

Alcuni sono riusciti a raggiungere la città autonoma spagnola attraverso un gasdotto che

collega il depuratore al Dique Sud, che è la zona che separa le acque della città autonoma e il

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paese nordafricano. In altri rari casi c’è chi rischia la vita nascondendosi su macchine o camion

per cercare di passare inosservati quando attraversano la frontiera.

La situazione sta diventando sempre più problematica, in quanto nel Centro di

soggiorno degli immigrati (CETI) di Melilla, all'inizio di quest'anno sono stipate 650 persone,

dopo l'aumento degli afflussi negli ultimi mesi e la decisione del governo di non trasferire più i

migranti nella penisola, operazione che ormai avviene solo quando le condizioni del CETI sono

insostenibili.

Si è venuta così a formare una baraccopoli nella zona di “Cerro di Plama Santa”, alla

periferia di Rio de Oro, nella quale il 26 marzo 2011 sono morti tre immigrati subsahariani in

seguito all’incendio del rifugio che occupavano. Molti immigrati non accettano il regime CETI,

che li annulla. Ad altri semplicemente viene ritirata la scheda per accedere al centro per non

"comportarsi bene". Molti altri si riuniscono ogni giorno a trascorrere lì la loro vita quotidiana.

L’Associazione “Prodein” ha recentemente denunciato la situazione disumana in cui si

trovano le persone accampate ai piedi del Gurugu. Il suo portavoce, Joseph Palazón, ha detto

che questi accampamenti non hanno la stessa estensione di quelli formatisi alcuni anni fa,

quando la valanga di immigrati subsahariani che volevano saltare la recinzione di confine era

più massiccia. Palazón ha avvertito che sempre più numerose sono le persone che vi si

stabiliscono in attesa di arrivare in Spagna, nonostante gli interventi della polizia marocchina

volti a smantellare gli insediamenti. Palazón ha assicurato che le persone potrebbero superare il

migliaio.

È doveroso inoltre evidenziare qui la vicenda di un folto gruppo di bengalesi che si è

trovato a trascorrere più di quattro anni a Melilla. A loro favore sono giunte oltre 15.000 firme

di sostegno. Il Mediatore si è interessato per loro anche di fronte allo Stato, ma è stato

costretto a dichiarare che, "in considerazione della ricettività nulla" della Amministrazione

Generale dello Stato, ha dovuto interrompere le azioni intraprese per far sì che i cittadini del

Bangladesh potessero lavorare nell’attesa che fossero eseguite o revocate le misure relative

all’espulsione. L'Amministrazione scarta questa possibilità perché "potrebbe stimolare l'attività

di reti di traffico di esseri umani" e perché sarebbe incompatibile con l'ordine di espulsione.

Il mediatore ha provato ripetutamente in varie occasioni a far capire al governo che la

proposta non comportava la concessione di permessi di soggiorno, bensì di permessi di lavoro

che avrebbero perso validità quando si fosse potuto eseguire il provvedimento di espulsione. La

tesi del mediatore consisteva sostanzialmente nella possibilità di concedere come una

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"alternativa provvisoria" tali autorizzazioni di cui alla disposizione supplementare n° 1, quarto

comma, della legge sull'immigrazione.

La lotta dei bengalesi e il sostegno delle organizzazioni sociali si sono concretizzati

nell’uscita di un gruppo di venti persone nel mese di gennaio a Madrid e Barcellona, dove, dopo

un tempo di permanenza nei centri di detenzione, sarebbero stato rilasciati, seppur senza

documentazione. Ma la fortuna era finita lì, poiché la misura non è stata estesa ad altri membri

del gruppo, così coloro che sono rimasti hanno ripreso a manifestare ogni mercoledì in Piazza

Menéndez Pelayo per ricordare al mondo che sono ancora lì, che, mentre alcuni cittadini di altri

paesi escono dal CETI dopo pochi mesi dall’arrivo, nel loro caso l’attesa sta per superare i

cinque anni.

CEUTA: IL “CARCERE DOLCE”96

Il CETI (Centro di permanenza temporanea di immigrati) di Ceuta è stato aperto nel

2000, una volta terminata la costruzione del perimetro di frontiera. Come quello di Melilla, a

differenza dei CIEs (che sono centri chiusi del Ministero dell'Interno) si tratta di un centro

aperto che dipende dal Ministero del Lavoro e dell'Immigrazione.

Nel gennaio 2011 una delegazione della APDHA ha realizzato una visita presso il CETI,

intervistando il Direttore di tale centro, Carlos Bengoechea, così come il personale medico,

psicologico o legale. Si sono svolti anche colloqui con immigrati del Centro senza ostacoli.

Secondo la direzione la capacità del Centro può essere aumentata fino a prevedere 600

persone circa; in quel momento erano 480 le persone presenti.

Parlando della situazione generale, il direttore ha poi dichiarato che "le relazioni tra il

Marocco e la Spagna sono piuttosto brutte, la polizia marocchina fa finta di non vedere e [gli

immigrati] stanno passando senza troppe difficoltà."

Ci dice che non è un centro chiuso, ma aperto; infatti gli immigrati sono liberi di uscire

ed entrare. "Nel mese di maggio la legge sul diritto di asilo ha portato ad un aumento degli

arrivi”. Ci sono richieste di asilo politico, di sfruttamento di donne, conflitti sociali che sono una

causa di persecuzione. Questa persecuzione è data da agenti di tipo sociale o dalla stessa

popolazione.

96 Asociación Elín, Informe sobre la realidad de la inmigración en Ceuta. hoy Ceuta. El drama silenciado de una

Frontera, abril 2010.

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Al loro arrivo i migranti ricevono assistenza psicologica, perché si trovano in pessime condizioni.

Il Centro è fornito di sale in cui in possono essere ospitate fino ad un massimo di 8 persone, uno

spazio medico piuttosto ampio, la sala da pranzo, spazi per attività sportive e un’area

amministrativa. Sebbene sia stato inizialmente progettato per ospitare i migranti mentre

venivano esaminate le loro richieste, per un periodo massimo di sei mesi, prorogabile per altri

sei, nella realtà la permanenza può durare anni. Il 60% è già da due anni presso il Centro.

"Quando trascorrono più di tre anni nel CETI, si trovano in una situazione di grande

vulnerabilità e cerchiamo di far in modo che siano trasferiti sulla terraferma, ma non dipende

da noi".

La legge sul diritto d'asilo ha paradossalmente ritardato l’ingresso nella penisola. La

legge sul diritto di asilo e rifugio viene violata in maniera evidente: è il caso di 83 richiedenti

asilo con documentazione di permesso di soggiorno per tutta la Spagna, ai quali è stato

impedito l’abbandono della penisola, senza che il governo abbia fornito alcuna spiegazione

convincente a riguardo.

L’accresciuto grado di controllo dei sistemi nella recinzione di frontiera e l’aumento

della presenza militare hanno causato un abbassamento del numero di persone che tentano di

saltare la recinzione, sebbene ancora si continui a provare sporadicamente. Il 6 marzo 2009, un

immigrato, tentando di saltare la recinzione, è morto dissanguato in seguito alla recisione di

un'arteria dell'ascella sinistra per il filo spinato.

L’invalicabilità del cancello fa sì che i tentativi di passare si verifichino con altre modalità

continuamente, quasi ogni giorno (da due a quattro persone), sia, come già scritto, a nuoto

nella zona del passaggio del Tarajal o per la Baia Nord attraverso il molo di Benzú, sia in fragili

barche giocattolo sulle quali si imbarcano da tre a cinque persone.

I tentativi di passare clandestinamente alla penisola si moltiplicano. Per esempio, lo si

ripete, nascosti su auto, giostre o al di sotto di camion o autobus. A volte con il risultato di

morirvi. È il caso di Kone Abdoulaye97, un richiedente asilo a cui era stato impedito di entrare

nella penisola. Il giovane è morto il 3 maggio 2010, investito nell’autostrada A-7 all'altezza del

comune di Malaga di Manilva, dopo essere caduto dalla parte inferiore del camion nel quale

viaggiava clandestinamente. Dal 2009 si trovava nel CETI.

Almeno undici persone, secondo quanto la APDHA abbia potuto verificare, sono morte a

Ceuta nel 2010 e, finora, nel 2011:

97

Cfr. Migreurop, En las fronteras de Europa. Controles, confinamientos, expulsiones, 2010, p. 15.

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19-apr-10 Si individua il cadavere di una persona di origine algerina a Playa del Chorillo

3-mag-10 Muore schiacciato un giovane dopo essere caduto dalla parte inferiore del camion in cui viaggia sulla AP7 a Malaga. Era fuggito dal CETI ed addirittura aveva una scheda di richiedente asilo

30-ago-10

Nelle spiagge del Sarchal e la Almadraba, nella baia a nord e sud, rispettivamente, della città autonoma di Ceuta, si trovano i corpi di due immigrati in avanzato stato di decomposizione. Il corpo trovato sulla spiaggia di Almadraba corrisponde a un uomo del Nord Africa, di circa 40 anni. Nel frattempo, il corpo localizzato sulla spiaggia di Sarchal può corrispondere ad un immigrato sub-sahariano sebbene la sua identificazione sia ulteriormente complicata dal loro stato, e si stima che avesse tra 45 e 50 anni.

11-set-10

“Playa de la Potabilizadora”, in acque della baia sud della città di Ceuta, viene trovato un corpo di un uomo che galleggia in mare. Potrebbe appartenere a un immigrato subsahariano che ha cercato di raggiungere a nuoto la città o è caduto da una barca.

30-set-10 Appare il corpo di una persona di origine algerina che galleggia in mare a Playa del Tarajal.

28-dic-10

Una persona subsahariana è morta nel rovesciamento di un contenitore diimmondizia in cui cercava di passare alla penisola. E’ risultato soffocato e ha avvertito della sua presenza un altro algerino che, come la vittima, era là dentro.

24-gen-11 La GC di Ceuta trova il corpo di un immigrato sub-sahariano che è apparso sulla spiaggia di Tarajal, presumibilmente quando aveva cercato di entrare a nuoto.

28-feb-11 La GC di Ceuta recupera dal mare il corpo di un immigrato sub-sahariano, minorenne, che è morto cercando di entrare a nuoto nella città e stava galleggiando vicino al molo di Benzú.

6-mar-11 Alcuni sub-sahariani di Beliunes (ce ne sono 70) denunciano la morte di due dei loro connazionali mentre cercavano di nuotare a Ceuta da Benzú, ma i loro corpi non sono stati rinvenuti.

Recentemente i tentativi di passare nascosti nei camion della nettezza urbana che

partono alla penisola dalla pianta di trasferimento si moltiplicano. Gli immigrati del CETI si

intrufolano nelle installazioni e nei cassonetti di immondizia. Il 19 aprile 2011 sette immigrati

subsahariani sono stati arrestati dopo essere sati protagonisti di uno scontro con la Guardia

Civil, contro la quale hanno gettato immondizia e pietre dopo essere stati scoperti quando

stavano per nascondersi in contenitori di spazzatura.

Il caso più drammatico è stato quello che si è verificato lo scorso 28 dicembre, quando

un immigrato camerunense di 33 anni è morto schiacciato in seguito al rovesciamento di un

contenitore di immondizia fuori dallo stabilimento di rifiuti. Era stato nascosto con altri

immigrati algerini clandestini per tentare di attraversare la penisola. È stato uno di loro ad

avvisare della sua morte.

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Il 7 febbraio, si è riprodotta una situazione che non si vedeva da una decina di anni: Un

gruppo di immigrati dal CETI ha provato a raggiungere la terraferma in piccole barche di

legno98. Tre subsahariani hanno preso una barca di legno abbandonata sulla spiaggia di Benitez

e hanno tentato il trasbordo. Il motivo? La disperazione.

Disperazione che ha molto a che fare con l'attesa senza speranza, con l'incertezza

quotidiana derivante dal fatto di sapere che si potrebbe essere espulsi da un momento all’altro.

Le operazioni di espulsione sono disumane: di solito l'arresto si svolge di notte per

evitare che gli immigrati possano intuirlo e fuggire, e si realizza entrando nelle stanze. Sono

solitamente arrestati in gruppi di 20-30 persone. Recentemente, è la popolazione nigeriana una

delle più perseguitate, in seguito all’accordo che la Spagna ha stipulato con quel paese, in base

al quale Madrid acquista gas e petrolio da Lagos, e, come contropartita, la Nigeria accetta che i

propri cittadini vengano rimpatriati.

Così, il 30 luglio la polizia ha prelevato nel CETI 32 nigeriani, tra cui tre donne, per

trasferirli nei CIE di Malaga e successivamente espellerli. Ancora, il 9 dicembre 2009, la polizia

ha fatto irruzione nella CETI e ha arrestato 12 nigeriani, tra cui cinque donne incinte,

espellendoli.

Non vi sono le difficoltà che si incontrano stando in carcere, ma la condizione psicologica

in cui si trovano quelli che sono lì è estenuante. Si arriva a Ceuta, credendo di aver raggiunto

l'Europa: niente di più sbagliato. L'immigrato è costretto a rimanere a Ceuta a tempo

indeterminato, senza sapere se riuscirà ad arrivare nella penisola e ottenere qualche

riconoscimento legale oppure se invece sarà espulso e rimpatriato nel proprio paese.

Per questo motivo viene chiamata la "dolce prigione": non è un soggiorno faticoso dal

punto di vista fisico, ma da quello psicologico. È facile riconoscere, in questa situazione, come

l'immigrato cominci ad avere la sensazione che gli si chiudano le porte, e che la sua vita

trascorra senza alcuna prospettiva positiva, su tutti i livelli: lavorativo, giuridico, economico, di

sicurezza. Questa vera e propria tortura psicologica a cui gli immigrati sono sottoposti e lo

stress derivante dal fatto di non sapere quando potrebbero essere rimpatriati li vanno

deteriorando poco a poco, tanto che in alcuni casi si ammalano. Una simile situazione

psicologicamente precaria può far sì che a volte alcuni finiscano addirittura per desiderare la

morte piuttosto che continuare a vivere in questo modo.

98

Cfr. El Faro Digital. 7 de febrero 2011.

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Come strategia di sopravvivenza, vi sono molti casi di persone che vivono nella foresta

per evitare di essere arrestati. Per esempio, G.S.99 è ancora a Ceuta e vive nella boscaglia in

attesa di uscire. Altri, invece, vista la situazione, decidono di protestare e mobilitarsi.

In quello stesso mese di agosto centinaia di subsahariani, per lo più provenienti dal

Camerun, hanno manifestato di fronte alla “Jefatura Superior” e alla delegazione del Governo.

Non era la prima volta, e il loro scopo era protestare a oltranza.

Il modo per resistere del collettivo indiano a Ceuta riveste invece particolare rilevanza e

portata per la società e di tale città e per l’opinione pubblica in generale.

Un gruppo di 67 indiani è fuggito dal CETI per accamparsi su una collina vicina, nel mese

di aprile 2008. Le ragioni che li hanno indotti a prendere la decisione di sopravvivere in

montagna sono state molte: la paura della deportazione, denunciare la propria situazione e

rendersi visibili alla società di Ceuta. Hanno chiesto ai cittadini di Ceuta che li sostenessero nelle

loro rivendicazioni attraverso una petizione (alla fine sono state ottenute oltre 8.000 firme).

La loro lotta e la solidarietà raccolta anche a livello nazionale hanno costretto il governo

a promettere di portarli in Spagna. Dopo 970 giorni in montagna, il gruppo indiano è ritornato

al CETI con la promessa di trasferimento. Il governo tuttavia solo parzialmente ha mantenuto

tale impegno: di coloro che erano rimasti sulla montagna (54) solo a 34 è stato rilasciato il

permesso di raggiungere la penisola nel marzo 2010. Gli altri 20 hanno visto come si fermava

nuovamente l'orologio della loro vita.

Secondo il quotidiano locale "El Faro"100, la situazione degli indiani testimonia in

maniera assai eloquente le tragedie che si consumano nel CETI. Quasi quattro anni nella città,

credendo a promesse che in seguito si sono rivelate false, senza causare alcuna sommossa,

collaborando e lavorando per integrarsi dopo sette anni senza neppure calpestare la loro terra;

mentre ora, all’improvviso, li si mette al corrente di una realtà: è più che probabile che

venissero arrestati e che venissero portati al loro paese su un aereo o con altri indiani arrestati

altrove. Non si può tenere ingannato un gruppo di immigrati per anni, promettendo loro bugie

e sottoponendoli ad una tortura psicologica come quella che ora stanno subendo. Riuscite ad

immaginare che cosa è non poter dormire perché non sai quale sarà la mattina che sceglierà la

Polizia Nazionale per entrare nel CETI e portarti via?

Nel mese di gennaio, in coincidenza con la visita della APDHA, Chandresh Sing

raccontava che funzionari dell'ambasciata Indiana erano venuti ad identificarli e che temevano

99

Cfr. Informe Migreurop, En las fronteras de Europa. Controles, confinamientos, expulsiones, 2010, p. 19. 100

Cfr. El Faro. Martes, 25 de Enero de 2011, Carmen Echarri.

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un rimpatrio immediato. Ancora una volta, la solidarietà e la mobilitazione sono riuscite ad

impedirla. Fortunatamente, agli inizi di aprile 2011 sono riusciti a raggiungere il continente

dopo sette anni dalla partenza.

Ma il dramma quotidiano nel CET continua. Un caso simboleggia bene fin dove arriva il

dramma dei migranti a Ceuta: un maliano è stato intercettato la mattina del 3 febbraio quando

saltava la recinzione per tornare al suo paese. Omar Chuick 101 aveva trascorso quattro anni a

Ceuta, dove era arrivato dopo un arduo viaggio in barca dal Senegal. Le sue illusioni di allora

hanno gradualmente ceduto il passo alla disperazione più assoluta. Senza possibilità di

raggiungere la terraferma, senza soldi, senza lavoro né futuro, lo scorso fine settimana ha

deciso di porre fine al suo sogno di una vita migliore in Spagna e tornare sui propri passi per

tornare al proprio paese.

Per la prima volta da quando, all'inizio degli anni ‘90, sono cominciati ad arrivare

immigrati clandestini, un uomo cercava di saltare il recinto... ma per arrivare in Marocco!

La storia di Christopher Onwugharam102, di nazionalità somala, ha sfatato invece i cliché

dell’immigrazione clandestina. Con i suoi 60 anni, oggi è riuscito ad uscire da Ceuta in direzione

di Murcia, in cerca di un futuro migliore. Conosciuto dai suoi compagni come "il nonno del CETI"

questo somalo ha rotto con il consueto profilo di immigrato grazie al fatto di non essere il

solito giovane che riesce ad entrare a Ceuta a nuoto o anche su di una piccola imbarcazione da

spiaggia. Christopher Onwugharam ha detto ai giornalisti che a 55 anni ha dovuto scappare

dalla Somalia, lasciando la moglie e quattro figli. "O me ne andavo o mi avrebbero ucciso, come

hanno fatto con mio padre, che hanno ucciso a colpi d’ascia." Dove si trova la protezione di

asilo praticata dal nostro paese?

Fortunatamente, con i suoi 60 anni, questo immigrato ha già realizzato parte del suo

sogno: lasciare legalmente Ceuta.

Riassumendo quanto detto, dunque, è opportuno sottolineare la particolarità del

contesto e di questa situazione in cui si trova chiunque tenti di raggiungere il sogno

rappresentato dall’Europa passando attraverso Ceuta: chi arriva in questa città già pensa di

trovarsi in Europa, e che le sofferenze del viaggio non sono state vane. La verità è un'altra;

l'immigrato, lentamente, scopre che Ceuta è solo un'illusione d'Europa. È una terra di nessuno,

un "limbo" legale, perché chi arriva deve aspettare anche anni affinché la situazione cambi e

possa così uscire da lì, sia entrando legalmente in Spagna, sia in seguito all’espulsione. Non si

101

http://www.abc.es/20110204/espana/abcp-saltar-valla-para-volver-20110204.html. 102

http://www.abc.es/agencias/noticia.asp?noticia=678585.

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patiscono sofferenze fisiche, bensì interiori, più profonde, psicologicamente logoranti, causate,

in primo luogo, dalla permanenza forzata e stagnante in un luogo che per l'immigrato non è né

il punto di partenza, né quello di arrivo. Dolorosa è poi l'incertezza insopportabile riguardo al

futuro, vicino e lontano, che caratterizza questo soggiorno sospeso, surreale.

"Guardo l'orizzonte e vedo la Penisola così vicina, che ti fa venir voglia di saltare in acqua ed

uscire a nuoto, ma so che da qui non posso uscire. Ceuta è come una prigione, una prigione

dolce"103.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: ha senso morire per seguire qualcosa

che, nella maggior parte dei casi, si rivela essere un'illusione, un inganno? Per rispondere,

questa frase di un immigrato è utile:

"Quando ti svegli la mattina leggendo di un subsahariano annegato al largo di Ceuta, e

poi di sera assisti ad un abbraccio commovente tra una donna e suo marito che ha appena

superato la recinzione, capisci che alcune morti non sono prive di significato, sebbene non

debbano mai verificarsi"104.

IL PESO DELLA VITA: DONNE PORTATRICI TRANSFRONTALIERE A CEUTA105

Le frontiere terrestri tra Spagna e Marocco sono tra le più problematiche d’Europa. E’ il

passo obbligato di tutte quelle persone che fuggono dalla miseria che generano le guerre, la

fame o i disastri naturali, persone che fuggono dagli orrori prodotti con la responsabilità dei

paesi sviluppati. Però, a sua volta, è la frontiera economica più brusca del mondo, dato che il

PIL del lato spagnolo è approssimativamente 15 volte superiore a quello del Marocco. Si tratta

delle frontiere di Ceuta e Melilla col Marocco, circondate come si sa da due cancellate alte sei

metri.

Melilla confina con il Marocco per 11 chilometri con la regione del Rif e, specificamente,

con i comuni di Farjana (al nord ed ovest) e Beni Ansar (al sud), entrambi appartenenti alla

provincia di Nador.

103

Asociación Elín, Informe sobre la realidad de la inmigración en Ceuta hoy Ceuta El drama silenciado de una

Frontera, abril 2010, p. 2. Testimonios recogidos de personas voluntarias e inmigrantes en su día a día en Ceuta. 104

Ibidem. 105

Cfr. APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 73.

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Ha attualmente quattro passi frontalieri con il vicino Regno del Marocco. Attraverso tali passi si

realizzano tutti i transiti con i loro distinti gradi di permeabilità e complessità, essendo quello di

Beni Enzar il passo frontaliero ufficiale: è dogana commerciale e possono transitare sia veicoli

sia pedoni. E’ aperto 24 ore su 24. Nel valico frontaliero del quartiere cinese solamente si

permette il passaggio di pedoni e rimane aperto fino alle 22.00. Il varco frontaliero di Farh Ana

permette soltanto il passaggio a cittadini di Nador. Infine, il passo frontaliero di Mariguari,

abilitato per studenti, è pedonale e chiude d’estate.

La frontiera di Ceuta confina con il Marocco (per 6,3 chilometri) con le prefetture di Fahs

Anjra e M’Diga-Fnideq, entrambe appartenenti alle regioni di Tanger-Tetuan. In questa

frontiera si trovano il perimetro frontaliero Tarajal ed il passo frontaliero Beuitz.

Il perimetro frontaliero di Tarajal è il varco frontaliero ufficiale attraverso cui possono

transitare sia veicoli, sia pedoni. La sua apertura è di 24 ore. Giornalmente attraversano questo

perimetro frontaliero circa 35.000 persone secondo la Delegazione del Governo di Ceuta.

Dipendendo da tale perimetro frontaliero, nell’anno 2005 è stato abilitato il passo

frontaliero di Buitz, un passo-ponte abilitato solamente per pedoni, con orario più ristretto

(dalle 7.00 alle 13.00 da lunedì a venerdì).

Anteriormente, la frontiera di Ceuta con il Marocco aveva il passo frontaliero di Benzù,

attraverso cui era permesso il passaggio solo a vicini di Beni Younech, attualmente totalmente

chiuso.

Di tutti i passaggi che hanno luogo nella frontiera del Marocco con la Spagna,

approssimativamente 35.000 (il 57%) sono effettuati da donne. La maggior parte di solito

proviene da zone rurali del perimetro di Tetuan e Nador; passano la frontiera per prestare

lavoro come portatrici, domestiche, cuoche, richiedenti di lavoro o studenti.

Alle 7 di mattina, nel passo frontaliero di Ceuta, un enorme gruppo di persone, per la

stragrande maggioranza donne, aspetta che si apra il valico o il ponte. Sono passate

precedentemente attraverso la frontiera “legale” di Tarajal dal Marocco alla Spagna. Una volta

in Spagna, nella località di Ceuta, effettuano i loro acquisti nel vicino poligono industriale di El

Tarajal e portano i loro enormi sacchi di merce in spalla (tra 50 e 100 kili). In seguito, si dirigono

nuovamente nel territorio marocchino a lasciare il carico e, se hanno tempo, realizzano un

nuovo trasporto. Per tutto ciò, è necessario essere ben situate nella fila, poiché quanto prima si

posizionano, prima passeranno e prima dunque potranno intraprendere il cammino di ritorno

per caricarsi di un nuovo fardello.

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Tutto ciò comporta rischi fisici, addirittura anche per la propria vita, a causa della calca

prodotta dall’enorme gruppo di persone che si forma. Nel maggio del 2009 si sono prodotte

due valanghe umane che hanno seppellito ed hanno tolto la vita a due donne trasportatrici

(Bussara e Zhora). Il loro ricordo e la denuncia di quel fatto sono tornati nella mobilitazione

organizzata da APDHA e dalla Rete Chabacka alle porte di Ceuta nell’ottobre di quest’anno. In

seguito alla morte di queste due donne trasportatrici, sia il governo di Ceuta, sia il Marocco

hanno adottato le seguenti misure106:

Da parte della Delegazione del Governo di Ceuta:

- Aumentare il numero di agenti di vigilanza fino ad arrivare a 90 sorveglianti.

- Non permettere l’ingresso a più di 3.000 donne nei poligoni vicini alla frontiera.

- Delimitare e ridurre la dimensione dei pacchi.

Da parte delle autorità marocchine:

- Non permettere il passaggio a più di 3.000 persone.

- Aumentare la vigilanza, revisione e controllo dei pacchi.

Profilo delle donne trasportatrici.

Migliaia di donne marocchine si guadagnano da vivere realizzando il lavoro di

trasportatrici. È molto difficile conoscere il numero delle donne che si impegnano come

trasportatrici; molte fonti documentarie indicano che tra 20 e 25 mila persone si dedicano a

portare pacchi tra un paese all’altro; tra queste, il 90% del totale è costituito da donne.

Solitamente provengono da Tetuan o dalle sue zone rurali. Donne sole e con carichi

familiari, o con marito malato che non è in grado di lavorare. Sempre più spesso si tratta di

donne con studi universitari, in seguito alla difficoltà di trovare un posto di lavoro nel proprio

paese.

Per la maggior parte sono donne giovani e con grande resistenza fisica, anche se coloro che da

anni praticano tale lavoro hanno problemi lombari e di schiena, mal di testa e dolore alle

gambe, a causa della grande quantità di peso che caricano sulle spalle (tra 45 e 100 kili). Anche

se tuttavia possiamo trovare donne che trasportano “pipas”, che comporta un carico di minore

entità (tra 10 e 20 kili).

Il prezzo per fardello è molto variabile, in relazione a vari criteri: se la persona trasportatrice è

uomo o donna, il tipo do mercanzia che trasportano e se dipende da qualche impresario o è per

106

Ivi, p. 74.

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conto proprio. Un fardello di circa 50 kili può valere tra 20 e 50 Dh107 e i sacchi con un peso che

va dai 90 ai 100 kili, tra 80 e 100 Dh. Il sacco di “pipas” di 10 kili vale 20 Dh. Però, questo non è il

beneficio che la donna riceve, perché a tali quantità è da trattenere ciò che le donne pagano

per le tangenti o “Rasca”, che dipendono dai criteri personali dei sorveglianti, richiedendo essi

tra 10 e 20 Dh o accettando qualche regalo. Inoltre, si deve aggiungere il costo del trasporto

dalle loro casa fino alla frontiera, che oscilla attorno ai 15 Dh per tragitto108.

L’obiettivo delle trasportatrici è entrare ed uscire da Ceuta il maggior numero di volte

possibile, perché quante più volte entrino ed escano, più denaro ottengono. Una donna può

realizzare tra uno e tre trasporti al giorno. Ogni giorno è una lotta per entrare ed uscire dalla

frontiera e, soprattutto, è una lotta per ritornare alla propria casa sane e salve.

Il tragitto e organizzazione.

Il processo è semplice: prima dell’alba, le trasportatrici escono dal proprio domicilio in

distinte zone del Marocco, arrivano a Ceuta attraverso la frontiera di El Tarajal, accedono

all’omonimo poligono, caricano i “sacchi” e tornano in Marocco attraverso il ponte di Biutz.

Quante più volte realizzano questa operazione tra le 7.00 e le 13.00, lasso di tempo in

cui rimane aperto il passo, tanti più ingressi possono compiere. Questo valico è una barra

metallica che attraversa il muro tra entrambi i paesi, aperto nel 2005 esclusivamente per

questo tipo di mercanzie, poiché la frontiera ufficiale non era in grado di assorbire tale transito

di persone.

Il viaggio non è facile poiché al peso dei pacchetti, e alla calca di gente in cui si trovano

quando camminano attraverso tale barra metallica, si devono aggiungere i furti, le ferite da

armi bianche ed anche gli accoltellamenti. Inoltre, quando le trasportatrici sono alla fine del

percorso, devono “lottare” con gli agenti doganali che tolgono loro parte della mercanzia che

trasportano o chiedono loro denaro in cambio di lasciarle continuare. La legge del più forte è

quella che impera in questo punto del percorso e la forza è data dai galloni di un’uniforme.

Possiamo differenziare due tipi di organizzazione109:

1- Per conto proprio: donne che comprano le mercanzie con denaro proprio e vendono

i prodotti in Marocco.

2- Per conto altrui: a sua volta prevede due modalità:

107

Tra 1.75 e 4.4 euro (applicando il tasso di cambio dell’aprile 2011). 108

Cfr. APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 75. 109

Ivi, p. 76.

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a. In alcuni luoghi esistono donne che gestiscono gruppi di trasportatrici a cui

danno un numero affinché in seguito possano ottenere i soldi

dall’impresario.

b. Lo stesso impresario all’inizio e alla fine:

i. Nella frontiera si trovano le furgonette caricate di mercanzie. Le

persone corrono a prenderle. Arrivano solo i più rapidi e forti. Il resto

deve continuare a camminare fino al poligono e dopo ritornano alla

frontiera con il fardello.

ii. Ogni mercanzia è marcata con un numero.

iii. Quando la mercanzia attraversa la frontiera, l’impiegato del

commerciante identifica la mercanzia tramite il numero che essa

porta.

iv. Si consegna un biglietto al trasportatore/trasportatrice.

v. Alla chiusura della frontiera, guadagnano a seconda del biglietto che

possiedono.

Le gabbie.

Per attraversare il valico frontaliero “ufficiale” di Tarajal dal Marocco alla Spagna, si

trova a sinistra il corridoio di entrata in Spagna e a destra quello di uscita. I corridoi di ingresso

in Spagna sono a loro volta divisi: una parte attraverso cui entrano le persone con

documentazione dell’Unione Europea e un altro che volgarmente si chiama “Las jaulas” (le

gabbie), zona o corridoi da cui entrano le persone di nazionalità marocchina, la cui parte

maggiore è costituita da donne.

Queste “gabbie” sono passaggi stretti fatti di recinti di un reticolato di fili metallici in cui, in

alcuni casi, vi è anche presente il tetto, fatto con il fil di ferro. Alla fine delle gabbie si trovano i

torni, spazi molto più stretti, che rendono agitato e problematico il passaggio della mercanzia

che portano i trasportatori sulle proprie spalle.

Per mantenere il controllo, il Marocco fa affidamento su agenti di polizia incaricati dell’ordine,

che vengono chiamati “Mejazni”, e la Spagna su membri della Guardia Civile che vengono

chiamati “Muleros”.

La mercanzia che si prova a far passare da un lato all’altro della frontiera varia da frigoriferi a

pneumatici, passando dall’alcool, dai vestiti o dalla carta igienica.

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Quasi nessuno dichiara alla dogana le imposte stabilite per la mercanzia che si trasporta, ma

d’altro canto vengono richieste tangenti per poter passare.

E’ un lavoro che si converte nel peso reale dei sacchi che trasportano, però, a sua volta, è un

peso della vita, in una lotta per poter ritornare alle proprie case sane e salve, una lotta per la

sopravvivenza ed il mantenimento del focolare domestico. Tutto questo peso è prodotto dalla

corruzione della polizia, gli abusi di potere, il controllo delle grandi imprese, la precarietà

economica di molte famiglie in Marocco e le condizioni disumane dei passi frontalieri.

LA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI: UN TRIONFO DELLA EUROPA

FORTEZZA, UNA SCONFITTA PER I DIRITTI UMANI

NEL 2010 CONTINUA A DIMINUIRE L’ARRIVO DI IMMIGRATI

In seguito alle rivoluzioni nei paesi nel Nord Africa, i flussi di rifugiati, soprattutto verso

la costa italiana, aumentano, e il dibattito sull’immigrazione e l’asilo all’interno dell’Unione

Europea è particolarmente intenso. Risulta così più interessante analizzare l’evoluzione degli

arrivi in Spagna durante il 2010. La Spagna è il paese più interessato dall’immigrazione

irregolare in tutta l’Unione Europea, per la sua vicinanza ai paesi africani e per le sue frontiere

marittime, che si estendono per circa 5.000 chilometri.

D’altronde le cifre dell’immigrazione clandestina in Spagna continuano a diminuire come

nell’anno 2009. Sono stati raggiunti dati simili a quelli relativi all’inizio della storia

dell’immigrazione in Spagna.

Il Ministero degli Interni spagnolo ha già presentato il suo bilancio della “lotta contro

l’immigrazione illegale” del 2010. Secondo questi dati, sono arrivati 3.632 immigrati senza

documenti in Spagna a bordo di imbarcazioni. Paragonato questo dato con quello del 2001, si

riscontra un abbassamento del 80,4% negli arrivi di persone che sono giunte in maniera

irregolare dalle coste spagnole. La cifra più alta di immigrati irregolari durante questa decade è

presente nell’anno 2006 con circa 39.172 imbarcazioni arrivate in Spagna. Ciò significa che

l’immigrazione irregolare è caduta di un 91,2% nell’anno 2010 in relazione con l’anno 2006,

secondo le cifre del governo spagnolo.

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Secondo il ministro degli Interni Alfredo Pérez Rubalcaba, le città autonome di Ceuta e Melilla

hanno fatto registrare una diminuzione nei flussi dell’immigrazione irregolare del 71,8%

rispetto all’anno 2005, anno in cui sono state intercettate 5.566 persone, contro le 1.567

dell’anno precedente.

Nella seguente tabella possiamo osservare le cifre ufficiali dell’immigrazione irregolare,

relative all’ultimo decennio, calcolate dal governo spagnolo110:

2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Isole Canarie 4.112 9.875 9.382 8.426 4.715 31.678

12.478

9.181 2.246 196

Penisola e Baleari

14.405

6.795 9.794 7.249 7.066 7.502 5.579 4.243 5.039 3.436

Ceuta e

Melilla

4.969 s/d s/d s/d 5.556 2.000 1.553 1.210 1.108 1.567

Totale 23.486

16.670

19.176

15.675

11.781

41.180

19.610

14.634

8.393 5.199

È indiscutibile che nell’anno 2010 si sia registrata una diminuzione straordinaria di arrivi

di immigrati irregolari in Spagna. In ogni caso, considerando i flussi nel loro insieme, includendo

Ceuta e Melilla, i dati del Ministero degli Interni riflettono una diminuzione reale del 38% degli

arresti e non del 50%. Di fatto, nella sezione di Ceuta e Melilla il Ministero si riferisce alle cifre

del 2001 e 2005, senza confrontarle con quelle del 2009, che rifletterebbero un aumento in tali

località del 41,4%.

Le cifre ottenute secondo il monitoraggio effettuato dalla APDH inoltre corroborano il

risultato relativo alla diminuzione degli arresti di immigrati nelle frontiere. Proprio come

nell’anno 2009, nel 2010 la diminuzione nella zona delle Canarie è il dato più rilevante. Gli arrivi

di persone in barche, “cayucos” o zattere quasi rasentano lo zero, se paragonati alle cifre degli

anni precedenti. Così, si sono contate 258 arrivi di immigrati nella zona delle Canarie nel 2010,

cioè un 89% in meno rispetto all’anno 2009, e a sua volta un 97% in meno rispetto all’anno

2008111.

In totale, gli arrivi di immigrati senza documenti attraverso le frontiere della Spagna

sono diminuite del 38% nel periodo compreso tra il 2009 e il 2010112, sebbene il Ministero degli

Interni di Spagna ha pubblicato un rapporto che prevede un ribasso del numero di arrivi del

110

Ricerca della APDHA in base alle cifre offerte annualmente dal Ministero degli Interni del Regno di Spagna. 111

Dati della APDHA. 112

Secondo le cifre analizzate dalla APDHA.

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50,1% rispetto all’anno 2009; in realtà, la diminuzione che si deduce dalle sue cifre, lo si ripete,

è del 38%.

Nella seguente tabella, vi sono i dati ottenuti negli ultimi tre anni113:

Dati secondo il monitoraggio della APDHA

2008 2009 2010

Andalusia 3.720 4.412 2.921

Levante 780 880 623

Ceuta e Melilla 1.140 1.108 1.567

Canarie 9.932 2.328 258

Totale 15.572 8.728 5.369

La grande maggioranza degli immigrati irregolari arrivati alle frontiere spagnole, lo si

ripete ancora una volta, proviene da paesi subsahariani. Nell’anno 2010 sono arrivati 1.817

subsahariani alla coste spagnole. Ciò implica un abbassamento del 39,76% nell’anno 2010

rispetto all’anno 2009. Oltre alla popolazione subsahariana, la maggior parte di immigrati

proviene da Marocco e Algeria, sebbene comunque si sia percepita una diminuzione del flusso

di immigrazione da tali stati. Si è contato nell’anno 2010 un totale di 265 marocchini e 775

algerini.

Nella seguente tabella si mostrano i risultati concernenti i rimpatri di immigrati irregolari

nei rispettivi paesi di origine114:

Figure raccolte nella Legge sull’Immigrazione115

2009 2010 Diff.116

%

Negazione di ingresso 12.226 9.453 -2.773 -22,68%

Riammissioni 5.099 1.959 -3.140 -61,58%

Restituzioni 7.526 7.297 -229 -3,04%

Espulsioni 13.278 11.454 -1.824 -13,74%

Totali 38.129 30.163 -7.966 -20,89%

113

Monitoraggio condotto dalla APDHA. 114

Dati offerti dal Governo di Spagna. 115

Presentazione ““Balance de la lucha contra la inmigración ilegal 2010””, Ministerio del Interior de España. 116

“Differenza”.

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Figure giuridiche contemplate nella Legge sull’Immigrazione

(Definizione del Ministero degli Interni)

- Negazione dell’entrata: persone respinte nei luoghi frontalieri abilitati, abitualmente

porti o aeroporti.

- Restituzioni: persone che hanno provato ad entrare in Spagna attraverso luoghi non

abilitati come frontiere.

- Riammissioni: espulsi dalla Spagna in virtù di accordi di riammissioni con paesi terzi.

- Espulsioni: rimpatriati in virtù delle cause raccolte nella Legge sull’Immigrazione

attraverso espedienti amministrativi causati dalla permanenza irregolare in Spagna.

Quando si mettono in relazione le cifre degli arrivi attraverso le frontiere marittime,

consistenti in 3.632 immigrati117, con i rimpatri, che nel 2010 hanno raggiunto quota 30.163

(cifra 8,3 volte superiore), non risulta facile comprendere quanto sia difficile per un immigrato

ottenere di essere accolto in Spagna.

ALCUNE CONSEGUENZE

Il calo degli arrivi clandestini alle frontiere marittime si può analizzare da prospettive

diverse. La prima di tali prospettive è quella del governo spagnolo, che si presenta sia come

vittima dell’immigrazione, sia come salvatore di vite in mare. Finge di essere una vittima

perché l’obiettivo della politica migratoria della UE e Spagna è eliminare le possibilità di

accedere al continente agli immigrati del terzo mondo. Inoltre, si presenta come colui che

attua un intervento umanitario, poiché salva molti immigrati dalla morte nel mare.

Tuttavia si può inoltre utilizzare la prospettiva della eliminazione delle speranze, dalla

disperazione per tutto un continente a cui hanno chiuso tutte le uscite. O addirittura

guardando le conseguenze che non si notano immediatamente o che sono mascherate dalla

crisi, della necessità reale di immigrati in Europa e Spagna.

Oppure, infine, forse potremmo guardare il fenomeno dal punto di vista della

degradazione del rispetto dei diritti umani nella gestione dei flussi migratori o nella quantità

di persone che, nonostante tutto, continuano a perdere la vita nel tentativo di arrivare in

Europa in modo irregolare.

117

Dati del Ministero degli Interni di Spagna.

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Le donne incinte

La società disconosce che ottenere asilo nella UE è quasi impossibile per gli immigrati

che fuggono dai paesi africani. Molti di coloro che hanno fatto lo sforzo per partire dal

proprio paese in cerca di un futuro che possa offrire più speranze, in seguito ad una

traversata piena di ostacoli e pericoli, quando riescono ad arrivare alla costa spagnola, sono

rinchiusi in Centri di Internamento, in attesa di essere rimpatriati nei loro paesi di origine.

Gli immigrati spendono tutto ciò che possiedono per compiere il viaggio, e spesso invano.

Data la pericolisità che implica la traversata per arrivare in Spagna, e che molte persone

hanno perso la vita, la maggior parte degli immigrati di solito sono uomini e giovani.

Provano ad effettuarlo anche le donne, che solitamente rappresentano un quarto dei

migranti (si vedano ad esempio i dati del 2010).

Ultimamente si è registrata l’affluenza di un numero significativo di donne incinte, forse

con la speranza che la nascita del figlio avvenga in terra europea e che così possano avere

maggiori possibilità di ottenere un permesso di soggiorno. Il viaggio implica un grande

pericolo per la madre e il bambino. Nell’anno 2010 si sono contate più di trenta donne che

arrivavano già incinte nell’imbarcazione o persino nascoste nella parte inferiore dei camion.

E’ la testimonianza della storia di “Happiness”, il bebé che è nato in una zattera in

viaggio verso la Spagna il 14 dicembre118:

“Judith ha 28 anni. È nigeriana ed ha la speranza di trovare una vita migliore. Per questo

se n’è andata con suo marito incinta, in procinto di dover dare alla luce il bambino, per

intraprendere il viaggio più pericoloso della sua vita. La madre, cosi come altri 37 rifugiati,

ha cominciato il viaggio dal Marocco. Tra gli altri rifugiati c’erano altre sei donne incinte. Si

sono messe in uno “Zodiac” con il sogno di arrivare in terra europea e cominciare una vita di

libertà e pace.

Quando si trovavano vicino all’isola di Alboran, Judith si preparava a partorire. Ha dato

alla luce suo figlio in mezzo alla zattera, prima di arrivare all’isola di Alboran. Grazie ad altre

due donne, Judith ha potuto partorire. La bambina è nata bene, e dato che tutto è riuscito

bene, ha deciso di chiamarla Happiness, sostantivo astratto inglese che vuol dire “felicità”.

Un po’ più tardi il “Salvamento Maritimo” le ha trovate in uno stato di salute accettabile.

Sono arrivate all’isola con il cordone ombelicale ancora collegato. Infine, Carlos Puche, un

agente della “Guardia Civil”, ha protetto con il suo corpo il bebé, per due ore, fin quando

118

Cfr. APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 82.

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sono arrivati insieme al porto di Motril, affinché venga posta in un luogo caldo. Una volta al

porto, hanno portato all’ospedale la madre e sua figlia.

Infine la figlia ha ricevuto la nazionalità nigeriana come sua madre; il fatto di essere nata

in acque internazionali è un aspetto giuridicamente controverso.

Mezzi sempre più precari

Nel 2010 spicca un altro fatto che dimostra la precarietà in cui avviene la traversata:

l’incremento degli arrivi di immigrati che attraversano lo Stretto nelle fragilissime barche-

giocattolo di plastica. Si dirigono principalmente a Ceuta, ma in vari casi provano ad arrivare in

simili condizioni fino alla provincia di Cadiz119.

Tale fenomeno non costituisce una novità poiché è sempre più difficile ottenere il

denaro necessario per pagare il trasbordo su di un gommone o su di una zattera. Una zattera

che vale pochi euro, in alcuni casi anche fornita di GPS, è il mezzo che con sempre più

frequenza si utilizza per “fare il salto”.

Le politiche di chiusura delle frontiere fomentano l’indignante tratta di persone

L’aumento dei controlli e dei respingimenti ha una consequenza logica: l’incremento di

reti criminali che si dedicano al traffico di persone, spesso di natura mafiosa.

Non si parla di “pasadores” che guadagnano quantità esorbitanti di soldi per fornire i

mezzi per il passaggio della frontiera: se coloro che aspirano ad emigrare non possono prendere

il traghetto, è logico che ricorrano ad altre “agenzie di viaggio” che si approfittano della loro

situazione, a volte in condizioni veramente disumane. Tale fenomeno è accettato dagli

immigrati che giungono in Europa in zattere, coscienti delle condizioni e che lo fanno pur nella

piena consapevolezza che potrebbe trattarsi del loro ultimo viaggio.

Quando si parla di traffico di persone, ci si riferisce alle mafie che, approfittando del

debito contratto dalla persona che emigra per poter compiere il viaggio, la forzano a realizzare

mansioni in condizioni di vera schiavitù (a volte servizio domestico, prostituzione, mansioni

agricole…) e ottenendo con tale lavoro guadagni esorbitanti rispetto all’”aiuto fornito”. Molte di

loro sono state persino ingannate su ciò che li aspettava all’arrivo in Spagna, con la promessa di

un lavoro o un futuro migliore. Cercando una vita migliore, hanno messo la loro vita nelle mani

delle nuove reti di schiavitù.

119

Ivi, p. 83.

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La Spagna è uno dei paesi d’Europa con più traffico di persone per la sua vicinanza ai

paesi del terzo mondo. Tema invisibile, ma tremendo. La schiavizzazione moderna sta

avvenendo qui e ora. In quanto organizzazione per i diritti umani, la APDHA non può non

inorridire e condannare tale traffico disumano di persone ed esigere la sua persecuzione120.

Sono l’aumento di controlli, i respingimenti e l’impossibilità di attraversare la frontiera

in alcuna maniera ciò che infine crea le condizioni perché tali mafie possano operare

illegalmente per commettere le loro riprovevoli azioni. Se realmente fosse possibile immigrare

in modo regolare e ordinato in Spagna, tali mafie perderebbero buona parte delle condizioni

per agire.

In buona misura ciò viene anche favorito dalla confusione concettuale, voluta da parte

dei governi, tra ciò che si deve intendere per “tratta di persone” e “immigrazione iregolare”.

Migliaia di persone intraprendono progetti migratori autonomi con l’intenzione di migliorare le

proprie vite e molte volte anche quella delle proprie famiglie. Tali persone trovano molte

difficiltà nel percorso, prima, durante e dopo il viaggio, soprattutto quando è per loro

impossibile ottenere un visto di accesso regolare nei paesi in cui desiderano vivere e lavorare.

Per tale motivo mettono in pratica strategie di accesso irregolare. Le politiche iper-restrittive

poste in atto dalla UE e, in modo particolare, dalla Spagna per l’entrata di cittadini dei paesi più

poveri, unitamente alla mancanza di risorse nei loro ambienti di origine, e ad impedimenti

imposti anche dai loro propri governi, fanno sì che spesso debbano appoggiarsi a reti che li

aiutino a realizzare un viaggio migratorio con successo. Ricorrere a tali reti di appoggio è

sempre stata la strategia normale e la più generalizzata in ogni processo migratorio.

D’altronde, la polizia tende a considerarle tutte (persino le realtà appoggiate dalle ONG)

come reti criminali, mentre gli immigrati di solito le considerano come intermediari necessari,

perfino nel caso delle più coercitive e sfruttatrici. Di certo tale confusione tra reti mafiose che si

occupano della tratta di persone e reti che “aiutano” l’immigrazione irregolare, voluta per

nascondere interessi precisi, facilita soltanto la terribile azione delle prime.

Per quanto concerne il caso specifico del traffico di persone a fini di sfruttamento

sessuale, considerare che tutte le persone che si prostituiscono lo facciano perché forzate non

solo è erroneo, bensì rende anche difficile la lotta contro il disumano commercio del traffico di

persone obbligate a prostituirsi. Attualmente, e secondo l’esperienza della APDHA, la lotta

contro il traffico illecito di persone nei contesti di prostituzione si limita a retate o incursioni

della polizia, nelle quali le arrestate sono di solito le donne che si trovano a lavorare, per poi far

120

Ivi, p. 84.

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loro pressione sotto minaccia di espulsione cercando di far loro dire chi le ha aiutate ad

accedere in Spagna121. Dal punto di vista della APDHA, questa modo di intervenire contro le

mafie non produce risultati che vadano oltre la criminalizzazione e il fomento della paura e un

atteggiamento di estrema riservatezza nelle stesse lavoratrici del sesso immigrate e i loro

ambienti vicini.

Decine di persone continuano a perdere la vita nel tentativo

13 agosto: personale dello stabilimento di Inusa, l’impresa concessionaria di nettezza

urbana di Alicante, ha trovato nella spiaggia di Urbanova, ad Alicante, il cadavere di un

immigrato algerino. È una delle 14 persone di una zattera che è naufragata vicino all’isola di

Tabarca, tra le quali due sono state soccorse in tempo, di sei vengono trovati i cadaveri e le

altre sei rimanenti sono date per disperse.

28 agosto: In seguito ad un avviso, proveniente dal Marocco, di una zattera che era

partita da Alhucemas con 37 persone a bordo, tra loro 4 donne, si trova un’imbarcazione alla

deriva nel mare di Alboran. Dopo tre giorni di ricerca, il “Salvamento Maritimo” ha sospeso la

ricerca dopo aver setacciato senza successo una superficie di 16.600 kilometri quadrati, dando

per disperse le 37 persone.

Un totale di 131 persone122 sono morte o scomparse provando a raggiungere la Spagna.

Sono stati localizzati 49 cadaveri e 82 persone sono date per disperse123. Tuttavia, senza

dubbio, sono state molto di più, come denota l’apparizione sporadica di cadaveri nelle coste,

risultato senza dubbio di naufragi non individuati.

Evoluzione delle persone morte o scomparse nella ultima decade124:

121

Ivi, p. 85. 122

Ivi, p. 86. 123

Vedere, in seguito, “Allegato: Monitoraggio di naufraghi e persone che hanno perso la vita”. 124

Monitoraggio della APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 86.

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Zona nella quale hanno perso la vita gli immigrati che si dirigevano in Spagna nel 2010125:

Zona Nº persone

M/S

Mauritania 3

Algeria 32

Ceuta 7

Levante 26

Andalusia 63

Totale 131

Pur nella consapevolezza dell’insufficienza e della parzialità di queste cifre, poiché non

soltanto vi è la costante presenza di naufragi non individuati, bensì inoltre è quasi impossibile

quantificare adeguatamente le morti e sparizioni che si producono nelle coste della Mauritania

e Algeria e, molto meno numerose, quelle prodotte nel deserto di entrambi i paesi.

125

Monitoraggio della APDHA, Ibidem.

Año 2001

Año 2002

Año 2003

Año 2004

Año 2005

Año 2006

Año 2007

Año 2008

Año 2009

Año 2010

Número 88 152 236 288 368 1167 921 581 206 131

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

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POSSIBILI RAGIONI DEL CALO DI ARRIVI IRREGOLARI

Esistono varie ragioni che potrebbero spiegare la diminuzione degli arrivi di immigrati

irregolari. Possiamo sottolineare tre motivi di speciale importanza nella riduzione del flusso di

immigrati: la crisi economica mondiale, i maggiori controlli della polizia e l’esternalizzazione

delle politiche migratorie.

I flussi di immigrati dall’Africa registrati negli ultimi 10 anni hanno generato un allarme

nella società europea, arroccata in paure di identità e di futuro. Le paure aumentano in tempi di

incertezza e di crisi, di mancanza di orizzonti chiari, nei quali colpevolizzare o stigmatizzare

coloro che vengono considerati “altri” risulta più facile – e genera maggior sicurezza soggettiva

– rispetto a indicare e reagire socialmente contro i gestori e i veri colpevoli della situazione in

cui viviamo.

Gli “altri” sono coloro che vengono in “cayuco” o gommoncini gonfiabili. Si è creata una

isteria nei mezzi di comunicazione, in una spirale sociale di rifiuto e timore, la cui espressione

sta risultando nell’ascesa dei partiti xenofobi in tutta Europa.

La priorità che la Spagna e la UE assegnano alla “lotta contro l’immigrazione illegale”

deve essere iscritta in tale contesto. Scarnificata, la Fortezza Europa è rimasta nuda con le crisi

nei paesi arabi, come si racconta in una sezione precedente di questo lavoro.

Una crescente sfida che ha il suo riflesso nella creazione dell’agenzia europea Frontex,

come inoltre si analizza in un’altra sezione di questo lavoro.

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Uno dei sistemi satelliti usati dalla agenzia Frontex è il SIVE (Sistema Integrato di

Vigilanza Esterna). Operativo dall’anno 2002, si è già esteso praticamente alla totalità delle

coste spagnole, essendo previsto il suo spiegamento durante l’anno 2011 e 2012 in Galizia e

Catalogna.

Spiegamento del SIVE (Fonte: Ministerio del Interior)

Tuttavia, esistono molti problemi di efficacia e funzionamento del sistema. Sebbene il

Ministro degli Interni spagnolo abbia sostenuto che “con il SIVE abbiamo l’assoluta garanzia che

nessuno possa entrare nel nostro paese senza che lo sappiamo”, aggiungendo che questa

tecnologia spagnola permette di individuare “il 99%” dei tentativi di arrivo per via marittima126,

la realtà, sul campo, è abbastanza più complessa. Di fatto, lo stesso Ministero ha dovuto

riconoscere in Parlamento che il SIVE ha soltanto individuato una delle otto zattere che sono

arrivate ad Alicante nel 2010. Dal monitoraggio compiuto da APDHA127, emerge che la maggior

parte delle volte sono i mercanti o le unità del Frontex (per esempio, aerei della Guardia di

126

Europa press, 18 gennaio 2011. 127

Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 88.

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Finanza Italiana) coloro che individuano le zattere. Addirittura, non è insolito che dal Marocco si

avvisi della partenza delle stesse affinché siano raggiunte e così sia evitato un loro possibile

naufragio.

Lo spiegamento per il controllo delle frontiere ha anche come conseguenza una grande

dotazione di polizia e guardia civile. La Spagna ha aumentato la presenza della polizia alle

frontiere passando da 10.239 agenti nell’anno 2003 a 16.375 nel 2010, un aumento del 60%.

Oltre allo spiegamento umano e tecnico per il controllo delle frontiere, un'altra delle

ragioni per le quali è diminuito il flusso di immigrati verso le terre spagnole, come già detto,

può risiedere nell’incidenza della crisi mondiale, che ha colpito la Spagna con più forza rispetto

che ad altri paesi europei, e che la converte in un paese meno attraente per emigrare. Per

esempio, secondo Caritas, in Spagna si trovano circa 100.000 immigrati in più in una situazione

irregolare per la crisi in Spagna. Costoro hanno perso il lavoro e, conseguentemente, il

permesso di soggiorno.

Però, come già nel rapporto riferito all’anno 2009128, si arriva alla conclusione che è

l’esternalizzazione della politica migratoria per accordi di rimpatrio e il controllo dei flussi nei

paesi africani ciò che realmente sta alla base del calo dei flussi migratori. Lo ha riconosciuto lo

stesso Ministro degli Interni spagnolo, Alfredo Pérez Rubalcaba, nell’affermare che sebbene “la

crisi spiega una parte” di queste cifre perché “riduce la pressione” sulle frontiere, i risultati

hanno a che fare con la collaborazione con i paesi di origine, tra i quali ha evidenziato Algeria,

Mauritania, Mali e Senegal.

Si tratta di una politica che ha trasformato paesi come Mauritania o Marocco in veri

gendarmi del controllo di frontiera per la UE, come si è mostrato in precedenza.

Uno strumento della esternalizzazione della politica migratoria è il “Seahorse” (Rete di

Scambio di Informazioni). Si tratta di uno dei sistemi satellitari più sofisticati, finanziato dalla

Commissione Europea. Questo strumento collega la Spagna e il Portogallo mediante una rete di

comunicazione via satellite con i paesi del lato atlantico africano. In Spagna il “Seahorse” è

gestito dalla Guardia Civil. Il sistema facilita lo scambio di dati e permette di ispezionare il

movimento nel territorio africano e ostacolare o impedire i flussi di immigrati da lì.

Oltre a ciò, si sono impartiti vari corsi dal 2006 tra questi paesi africani concernenti

l’immigrazione irregolare. Oltre a meccanismi marinari, di padroni di imbaracazioni, di operatori

di rete e di specialisti in attività subacquee. In questo modo, la Spagna educa i paesi africani

128

Cfr. Derechos Humanos en la Frontera Sur 2009, p. 12.

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della sponda atlantica al fine di arrestare i flussi di immigrati. Inoltre si è dotata la Gendarmeria

mauritana di veicoli fuoristrada, telecamere e visori notturni.

CONCLUSIONI GUARDANDO AL FUTURO

Secondo “Fortress Europe”, 14.714 persone hanno perso la vita al largo delle

coste europee dal 1988. In aggiunta a tale dato va considerato che 6.344 corpi sono ancora dati

per dispersi in mare. Perlomeno 1.691 persone hanno perso la vita nel tentativo di attraversare

il Sahara, per poter compiere il viaggio via mare. Tuttavia, “Fortress Europe” crede che siano

molti più, grazie alle testimonianze di testimoni oculari che hanno dovuto abbandonare

cadaveri lungo la traversata129.

Queste cifre danno un’idea del pericolo che i migranti corrono per le proprie vite

durante il viaggio e dà un’immagine del punto a cui debba arrivare la loro disperazione per

129

Cfr. APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 90.

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spingerli a rischiare tanto. I migranti si giocano la vita e spendono tutto ciò che posseggono per

provare a sopravvivere o avanzare.

Contro i migranti, la UE chiude le frontiere con un poderoso apparato tecnologico e con

un ampio spiegamento militare. A tal fine si serve di sistemi satellitari, elicotteri e barche che

provano ad arrestare il flusso di immigrati a qualsiasi costo, anche rischiando di violare

gravemente i diritti umani.

La maggior parte degli immigrati che arriva infine in terra europea è rinchiusa in campi o

Centri di Internamento e, in seguito, espulsi nei loro paesi di origine, o per dove hanno

viaggiato, quando essi invece cercano soltanto aiuto e una vita migliore. L’Europa pretendeva di

costruirsi come uno spazio di libertà e diritti, anche se, a vedere quanto accaduto, tale Europa

sta clamorosamente fallendo nei suoi propositi. Sta voltando le spalle a paesi realmente

bisognosi e fingendo di non percepire i problemi che hanno i paesi del terzo mondo e a tutte le

persone che “bussano alle porte d’Europa”.

Guardando alle cifre scritte in precedenza, sembrerebbe che per il momento si sia

conseguito un certo successo nel controllo dei movimenti migratori. Tuttavia si tratta di

un’illusione; ciò che è successo da poco nell’isola siciliana di Lampedusa, in Italia, o in Grecia,

deve però destare attenzione. La smania di sopravvivere è più forte di qualsiasi politica,

recinzione o forza di armi, le quali vengono usate dimenticando il dovere di protezione dovuta.

Soprattutto, c’è da dire che l’Europa ha la sua parte di colpa nella situazione di miseria

dei paesi africani, in seguito alla concessione di sovvenzioni al commercio europeo, per far sì

che i prodotti del continente più ricco risultino più economici nel mercato africano rispetto ai

loro propri prodotti, rendendo difficili lo sviluppo e l’espansione. Addirittura il burro importato

dall’Europa costa meno in Marocco rispetto a quella prodotta localmente; il pollo della Francia

è più economico di quello nigeriano; come se non bastasse, le grandi imbarcazioni europee

esauriscono la quantità di pesce disponibile in quelle zone, mentre le popolazioni africane

hanno a disposizione piccole chiatte e non ottengono una produzione accettabile che permetta

loro di essere più forti nel mercato, tenendole bloccati ad una economia di sussistenza.

Fin quando non si cambierà la forma di pensare e di agire verso i paesi più bisognosi, i

paesi più avanzati economicamente dovranno sempre addossarsi la maggior parte della colpa

della situazione di miseria e povertà che attraversano i primi. Non si è ancora finito di sfruttare i

paesi del terzo mondo. Si comincia con la conquista, si continua con la colonizzazione e la

schiavitù e oggi si sfruttano economicamente e ci si sorprende del fatto che l’Africa continui a

soffrire. Ci si sorprende che continuino ad arrivare immigrati nella coste europee e non si vuole

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sapere niente di loro. Perché ancora non si è capito che si è nello stesso mondo, che ogni vita

ha lo stesso valore, e che si continua a trattare la gente del terzo mondo come se non si avesse

a che fare con persone, come se avessero meno valore del carico che solca i mari.

In questo modo il problema dell’immigrazione irregolare non si risolve, bensì si sposta.

Un giorno la gente del sud, dall’Africa, verrà ancor più numerosa, e niente la fermerà, perché il

problema è di un altro tipo; il problema che si ha consiste nel non lasciare che essi siano una

parte del mondo, che non è solo dei paesi ricchi.

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218

Allegati

A. Monitoraggio delle persone morte (M) o scomparse (S) nel tentativo di

arrivare in Spagna nel 20101

Data Zona M S

13

mar Andalusia

Un immigrante muore carbonizzato per l’incendio di un contenitore in cui

viaggiava nascosto nell’attraversamento di Benalmadena, Malaga. 1

13 apr Andalusia

Il mercantile Liliana salva a 18 miglia da Carboneras i tre sopravvissuti di

un’imbarcazione affondata nella rotta tra Algeria e Spagna. Scomparsi in mare

gli altri 11 passeggeri, non trovati dopo tre giorni di ricerca infruttuosa.

11

19 apr Ceuta Nella spiaggia del Chorillo, in acque della baia sud di Ceuta, appare un

cadavere. 1

05

mag Andalusia

Un giovane immigrato di 20 anni è morto travolto dopo essere caduto dalla parte

inferiore del camion in qui viaggiava, all’altezza del municipio di Manilva

(Malaga).

1

30

mag Levante

Nella costa di Vila Joiosa Javea, a nord di Alicante, appare il cadavere di un

immigrato nell’acqua. 1

31

mag Andalusia

Nella provincia di Malaga muore un immigrato che stava nascosto nella parte

inferiore di un camion proveniente da Ceuta. 1

11 giu Andalusia

7 immigrati sono scomparsi dopo essere stata avvistata da una nave mercantile

un’imbarcazione che si trovava alla deriva a circa 25 miglia dalla costa di Ceuta

e molto vicino alla costa di Malaga.

7

10 lug Andalusia

Si ribalta un motoscafo dopo aver subito un incidente a 43 miglia a sud di

Motril. Nonostante gli sforzi realizzati per il salvataggio, alla fine si sono

registrati 5 morti, tra loro tre donne, una di loro forse incinta, e due neonati.

5

28 lug Levante

In acque della costa di Xabia, ad Alicante, appaiono 2 cadaveri che

galleggiavano. Una delle persone morte è di origine subsahariana e il secondo

magrebino.

2

29 lug Levante

Appare un cadavere che galleggia vicino la costa di Javea. Un altro cadavere

ancora viene raccolto l’11 agosto. La Guardia Civil immagina si tratti di una

zattera che sarebbe naufragata nelle coste delle Baleari con dodici immigrati a

bordo, di cui si sono stati recuperati quattro cadaveri e se ne danno 6 per

dispersi.

4 6

11 ago Andalusia Viene localizzato il cadavere di un immigrato subsahariano a 9 km. a est della

zona di « el Boquete de Levante » nella linea de la Concepcion (Cadiz). 1

13 ago Levante

In acque dell’isola di Tabarca, Alicante, naufraga una zattera con 14 persone in

totale. Vari cadaveri si stanno raccogliendo lungo i giorni seguenti, con il

risultato che alla fine ci sono 6 persone morte e sei scomparse.

6 6

16 ago Algeria

12 morti disidratati nel deserto algerino nella frontiera con il Mali, bloccati nel

Sahara in seguito ad un’avaria meccanica al camion su cui viaggiavano diretti

verso Oujda

12

28 ago Andalusia

Viene trovata alla deriva nel Mare di Alboran, ad Almeria, un’imbarcazione con

37 persone a bordo, tra cui 4 donne, di origine subsahariana. Erano partiti da

Alhucemas (Marocco). Si lavora senza coordinate poiché non si è definita una

possibile posizione dell’imbarcazione. Il « Salvamento Maritimo » sospende la

ricerca dell’imbarcazione dopo aver setacciato senza successo una superficie di

16.600 kilometri.

37

1 APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 92.

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219

28 ago Canarie

L’equipaggio della nave di bandiera bulgara « Svilen Russev » ha avvistato la

piccola imbarcazione di fronte alle coste della Mauritania. I membri

dell’equipaggio hanno avvisato immediatamente il « Salvamento Maritimo » di

Tenerife. A bordo viaggiavano 2 uomini, 1 di 35 anni in pessimo stato fisico,

castigato dalla fame, la sete e il sole ardente; accanto a lui, il suo compagno,

morto. Con grandi sforzi, il sopravvissuto è riuscito a raccontare ai suoi salvatori

che era da 20 giorni nell’imbarcazione, senza rotta, in alto mare. Erano morte

altre 2 persone.

1 2

30 ago Ceuta Appaiono due cadaveri in avanzato stato di decomposizione. Uno nella spiaggia

del Sarchal e un altro in quella de la Almadraba. 2

05 set Algeria

Sabato 5 settembre una zattera veniva localizzata in acque algerine. 34 persone

erano sopravvissute dopo 8 giorni alla deriva. 3 erano morte, e i loro corpi

gettati in mare. Al limite delle loro forze, senza mangiare né bere, hanno

resistito sostenuti da lontano dalla solidarietà e le suppliche di familiari e amici.

3

11 set Ceuta Nella « Playa de la Potabilizadora », viene rinvenuto il cadavere di un uomo che

galleggiava nel mare, di origine subsahariana. 1

30 set Ceuta Nella « Playa del Tarajal », a Ceuta, appare un cadavere di una persona

magrebina che galleggiava. 1

04 ott Algeria

Tratte in salvo due imbarcazioni rovesciate in mare, a 3 miglia da Mostaganem,

nel tragitto per la Spagna. Salvati 30 passeggeri, mentre 8 sono gli scomparsi in

mare.

8

07 ott Levante

Nel Porto di Valencia, 6 uomini algerini sono stati portati in stato di arresto in

un’imbarcazione. Una persona è morta saltando dall’imbarcazione quando è

arrivato il « Salvamento Maritimo ».

1

04 nov Algeria

Naufragio nel tragitto per la Spagna. Un mercante trae in salvo 5 dei 10

passeggeri dell’imbarcazione, proveniente da Ain Tourk, Oran. Gli altri 5 sono

dati per dispersi.

5

Algeria

Trovato il corpo di un giovane affogato nel tragitto per la Spagna, a Chaabia. Si

tratta del quarto cadavere trovato in un mese nella zona di Mostaganem, dopo

dei 4 ritrovati a Ouled Boughanem, Hadjadj e Sidi Lakhdar.

4 12 nov

28 dic Ceuta

Ceuta, una persona subsahariana è morta nel ribaltamento di un contenitore

d’immondizia in cui provava a raggiungere la penisola. È risultato morto per

asfissia, e ha avvertito della sua presenza un altro algerino che viaggiava anche

lui nello stesso contenitore

1

TOTALI 49 82

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220

B. Tabella riassuntiva degli arrivi d’immigrati via mare 20102

Mese

Tot.

arri

vi

Zona geografica di arrivo Genere

Mino

ri

Zona de provenienza

Alt

ri Zona

Andalu

sía

Zona

Levan

te

Zona

Canar

ie

Zona

Ceut

a e

Melil

la

Uomi

ni Donne

Subsahari

ani

Maroc

co

Alger

ia

Alt

ri

Gennaio 146 88 12 44 2 56 2 6 45 0 12 45 M

Febbra

io 32 25 0 4 3 27 0 5 7 4 21

Marzo 135 134 0 0 1 69 1

59 0 19 7 M

Aprile 109 102 0 5 2 88 13(*5) 1 48 0 3

17 M,

alcu

ni B

Maggio 233 191 21 0 21 121 28(5*) 10 151 0 19 20 M

Giugno 520 397 72 4 38 413 19(2*) 16 233 18 21

87

M,5

B

Luglio 375 264 71 18 22 304 29(2*) 15 153 3 111 67

M

Agosto 737 557 83 21 76 544 36(9*) 20 380 83 103

97

M, 10 B

Settemb

re 596 248 182 45 121 469 21 (5*) 30 274 14 237

37

M

Ottobre 387 153 98 80 56 207 19(1*) 30 77 26 127

15

T,101 M

Novem

bre 227 142 0 36 49 21 19 25 153 5 0

12

M

Dicemb

re 317 226 62 0 29 142 46(1*) 23 206 0 90 2 M

Totale 381

4 2527 601 257 420 2461

233(30

*) 170 1786 153 763

* : incinta

M : del Maghreb

B : del Bangladesh

2 APDHA, Informe Derechos Humanos en la Frontera Sur 2010-2011, p. 80.

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SEDE ANDALUZAC/Blanco White 5. 41018 Sevilla/ T:954536270/ Fax:954534086/ [email protected]

DELEGACIONES

ALMERÍA C/Capitán García Andujar 2, 1º izq. 04003 Almería/ T-Fax:950253324/ [email protected]

BAHÍA DE CÁDIZ

Cádiz C/Corneta Soto Guerrero 9, 1ºD. 11004 Cádiz/ T-Fax:956228511/ [email protected]

San Fernando C/ Real 175. 11100 San Fernando/ T:956882856/ [email protected]

Puerto Real C/San Alejandro 2, 1º. 11510 Puerto Real/ T:956474760/ [email protected]

Chiclana C/Ancla s/n, Centro Cívico El Cerrillo. 11130 Chiclana / [email protected]

Puerto de Santa María C/Gatona 7. 11500 El Puerto de Santa María/ T:956876086-675098469/

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CAMPO DE GIBRALTAR [email protected]

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SEVILLA C/ Blanco White 5, Acc. A. 41018 Sevilla/ T:954537965/ Fax:954534086/ [email protected]

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