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LINGUA È POTERE
Parte IIIle LINGUE EUROPEE
nel MONDO
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400 milioni di madrelingua, 40 milioni di bilingui, un esercito distudenti. E poi Internet, politica, economia. L’idioma di Cervantes èuna miniera d’oro, cui la Spagna attinge a piene mani. Le strategiegeolinguistiche. Le reti istituzionali. Il panispanismo è un’utopia?
IL POTERE DELLO SPAGNOLO di Danilo MANERA
1. PER QUANTO LE STATISTICHE SIANO
sempre da prendere con le molle, nel caso della diffusione dello spagnolo esseoffrono dati piuttosto attendibili. I numeri ci dicono che lo spagnolo è la terzalingua più parlata al mondo, da circa il 5,7% della popolazione del pianeta (lestime la danno al 7,5% nel 2030). In cifre, ciò si traduce in circa 400 milioni diparlanti nativi, più 40 milioni di persone che la parlano come seconda lingua.
Secondo il sito di statistiche linguistiche Ethnologue, lo spagnolo è la secon-da lingua materna più parlata al mondo (dopo il cinese mandarino, superando dimisura l’inglese e prima di arabo, hindi, bengalese, portoghese, russo e giappo-nese). È lingua ufficiale dell’Onu, dell’Ue e delle organizzazioni regionali ameri-cane. La comunità ispanofona ha un’alta coesione linguistica: oltre il 90% degliabitanti dei paesi in questione hanno una conoscenza nativa dello spagnolo. Èanche diventata la terza lingua più usata in Internet, dopo inglese e cinese.
Nelle immediate retrovie del dominio universale dell’inglese, della podero-sa produttività cinese e della spinta demografica indiana, emerge dunque lospagnolo, seconda lingua di comunicazione internazionale, giacché cinese, hin-di e bengalese sono idiomi scarsamente veicolari. Lo spagnolo è l’«altra» linguaper eccellenza dell’Occidente (ruolo un tempo ricoperto dal francese), conbuone possibilità di diventare complementare alla lingua franca dei nostri tem-pi, l’inglese.
Lo spagnolo è lingua materna in 20 paesi: Argentina, Bolivia, Cile, Colombia,Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicara-gua, Panamá, Paraguay, Perú, Portorico, Repubblica Dominicana, Spagna, Uru-guay e Venezuela. Ad essi vanno aggiunti gli Stati Uniti (dove gli ispanici sono laprima minoranza e lo spagnolo la seconda lingua), Andorra, le comunità israelia-ne d’origine sefardita, le ex colonie della Guinea Equatoriale (dove è lingua di
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cultura), Filippine (dove rimangono tracce) e Marocco (dove è viva anche per lapresenza di Ceuta e Melilla).
Nella Spagna democratica si sono comprese ben presto le potenzialità dellalingua, sia come strumento geostrategico che come fonte di ricchezza. Si è cosìavviata una serie di azioni per incentivare la lingua. Dagli anni Novanta, mentrele imprese spagnole investivano massicciamente in America Latina e un conside-revole numero di ispanoamericani emigrava in Spagna, quest’ultima iniziava unprocesso di promozione della propria lingua e cultura, rilanciando i rapporti conle «nazioni sorelle» ispanoamericane. Nello spirito di un rinnovato incontro con ilmondo ispanico, che superasse la diffidenza delle ex colonie e certi triti ideolo-gemi come «razza» e «madrepatria», svalutati oltretutto dall’impresentabile usofranchista, e senza mai accentuare il cattolicesimo come tratto identitario, si è op-tato per mettere al centro del discorso il ruolo dello spagnolo come elementofondante della comunità ispanica di nazioni.
Oltre al rafforzamento dei programmi di cooperazione, lo strumento politicodeterminate è stato la Conferenza iberoamericana, creata nel 1991, che si riunisceogni anno nel Vertice iberoamericano di capi di Stato e di governo: il XX si è te-nuto a dicembre 2010 in Argentina, a Mar del Plata, sul tema «Educazione perl’inclusione sociale». Durante il XIII vertice, svoltosi a Santa Cruz (Bolivia) nel2003, fu creata la Segreteria generale iberoamericana (Segib), con sede a Madrid,organo permanente di appoggio istituzionale e tecnico alla conferenza e ai verti-ci, guidato dal 2005 dall’uruguayano (nativo delle Asturie) Enrique V. Iglesias, giàpresidente per 17 anni del Bid (la Banca interamericana di sviluppo) e per 13 se-gretario del Cepal (Commissione economica per l’America Latina).
2. Sul terreno della lingua c’è un fiorire di iniziative al servizio di un vero eproprio programma di politica panispanica. In prima fila, la blasonata Real Aca-demia Española de la Lengua (Rae) e l’Instituto Cervantes. La Rae ha rivitalizzatol’Associazione delle accademie della lingua spagnola, creata nel 1951 con le sueanaloghe.
Tale associazione ha lavorato all’elaborazione di tre grandi codici: lessicale,grammaticale e ortografico. Dopo l’uscita, nel 2005, del Diccionario panhispáni-co de dudas, che cerca soluzioni consensuate a dubbi e difficoltà, le 22 accade-mie hanno pubblicato, alla fine del 2009, la Nueva Gramática de la lenguaespañola, definita «panispanica», che sostituisce quella classica del 1931 (parzial-mente rinnovata da una bozza del 1973). Un lavoro lungo e certosino, in cui ci sipropone di dare un carattere policentrico alla norma, descrivendo prima i tratticomuni e poi le varianti, senza porre come precettiva quella europea.
Nel 2010 si sono aggiunti il Diccionario de americanismos e una nuova edi-zione dell’Ortografía de la lengua española. Le accademie e il Cervantes hannogestito i congressi internazionali della lingua spagnola (Zacatecas, 1997; Vallado-lid, 2001; Rosario, 2004; Cartagena de Indias, 2007; l’ultimo era in programma aValparaíso (Cile), nel 2010, ma è stato sospeso a causa del terremoto), vetrine
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dell’impegno a difesa dell’«unità nella diversità» del condominio linguistico spa-gnolo. Una lingua cui vengono attribuite alcune virtù: la coesione e relativa omo-geneità dovute all’essere stata koiné prima peninsulare (in Europa) e poi conti-nentale (in America); la capacità di creare maggior senso di appartenenza rispet-to ad altre lingue; un apprendimento facilitato dal nitore fonetico, dalla sempli-cità ortografica e dalla corrispondenza tra parlato e scritto.
L’Instituto Cervantes, creato nel 1991 alle dipendenze del ministro degliEsteri spagnolo, sulla falsariga del British Council e dell’Alliance Française, hamostrato un’eccezionale vitalità. Oggi conta 58 centri nel mondo, un nutrito por-tale culturale e corsi avanzati virtuali online. Per il suo XV anniversario, nel2006, ha pubblicato la Enciclopedia del español en el mundo. Il Cervantes colla-bora, tra l’altro, con l’Istituto spagnolo per il commercio estero (Icex) e con laFederazione degli editori spagnoli (Fgee). Ha messo a punto un sistema comu-ne per certificare la conoscenza dello spagnolo come lingua straniera, recepitoda numerosi centri universitari spagnoli e ispanoamericani. Dal 2009, funzionaanche Universidad.es, fondazione pubblica che promuove il sistema universita-rio spagnolo nel mondo.
Nel settore privato, spicca la Fundación Telefónica, espressione della piùgrande impresa spagnola (radicata in America Latina), che ha promosso dal 2005una vasta ricerca dal titolo: «Valore economico dello spagnolo: un’impresa multi-nazionale», i cui risultati si vanno articolando in 10 volumi (cinque dei quali giàpubblicati, per i tipi della barcellonese Ariel 1). Si tratta di una ricerca interdisci-plinare, svolta in collaborazione con la Segib, la Rae e il Real Instituto Elcano(fondazione privata di studi internazionali e strategici), che coinvolge economisti,sociologi, statistici e filologi. L’opera si propone obiettivi ambiziosi: quantificare,su basi metodologiche solide, le attività produttive o di scambio che trovano nel-la lingua un contenuto o supporto; esplorare la dimensione economica della lin-gua nel commercio internazionale, nel flusso di capitali e nelle correnti migrato-rie; elaborare una precisa cartografia demolinguistica dello spagnolo nel mondoe della sua presenza in Internet. L’aspirazione esplicita è «evidenziare l’importan-za e il carattere strategico di questo bene intangibile per la Spagna e per la co-munità panispanica di nazioni» ed elaborare proposte per superare i deficit e in-crementare i benefici.
Si calcola che, nel 1992, la produzione culturale legata alla lingua rappresen-tasse il 3% del prodotto interno lordo (pil) spagnolo. Da allora l’aumento è statoconsiderevole, se nel 2004 l’apporto al pil era del 15,1% e quello all’occupazionedel 15,6%. Nel 2007, le industrie culturali fatturavano da sole oltre il 3% del pil
1. Si tratta di: J.L. GARCÍA DELGADO, J.A. ALONSO, J.C. JIMÉNEZ, Economía del español. Una introduc-ción; F. MORENO, J. OTERO, Atlas de la lengua española en el mundo; M. CARRERA TROYANO, J.J. GÓMEZ
ASENCIO, La economía de la enseñanza del español como lengua extranjera. Oportunidades y retos;F.J. GIRÓN, A. CAÑADA, Las «cuentas» del español; J.A. ALONSO, R. GUTIÉRREZ, Emigración y lengua: elpapel del español en las migraciones internacionales; El español, lengua global. La economía, Insti-tuto Cervantes, Madrid 2010, Santillana.
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(quasi 32 miliardi di euro). Nel 2009, l’editoria spagnola ha pubblicato 76.213 ti-toli, per un totale di 329.831.000 copie e una tiratura media di 4.328 copie a tito-lo, con un fatturato di 3,1 miliardi di euro nel mercato interno e 442 milioni inesportazioni. Sempre nel 2009, titoli vivi in catalogo erano 414 mila. Le case edi-trici spagnole possiedono inoltre 162 filiali estere in 28 paesi, l’80% delle quali inaree ispanofone.
Oggi, i numeri sono cresciuti ulteriormente e la lingua è considerata un«giacimento d’impiego». Inoltre, la lingua triplica le esportazioni spagnole neipaesi ispanofoni (più di quanto non faccia l’inglese tra i paesi anglofoni) e mol-tiplica per 2,5 la quota di migranti hispanohablantes che arrivano in Spagna, di-minuendo i costi di integrazione e formazione. Fin qui solo la Spagna, ma con-siderando le dimensioni dell’America ispanica, l’impatto della lingua sul volumed’affari si presenta cospicuo. Anche perché l’America Latina è in pieno sviluppo,forte di una popolazione giovane e istruita, di sistemi finanziari solidi, di econo-mie sempre più diversificate, di una collocazione strategica e della dovizia dimaterie prime.
3. Negli ultimi anni, si notano investimenti latinoamericani nella penisolaiberica. Il 20 e 21 settembre 2010 si sono svolte a Madrid le giornate «Iberoa-merica investe: le imprese globali nel decollo economico», organizzate dalla Se-gib. Ne è emersa, ancora una volta, la propensione spagnola verso l’Americaispanica, dove è più facile inserirsi proprio grazie alla ridotta distanza culturaledovuta alla condivisione della lingua. Persino le Filippine, grazie a remoti lega-mi storico-culturali, appaiono una potenziale base per l’accesso al mercato delSud-Est asiatico.
Infatti, le grandi imprese spagnole non lesinano appoggio al progetto diespansione internazionale, inalberando la bandiera della lingua e del patrimonioculturale: accanto a Telefónica e al suo portale Internet Terra, spiccano le bancheSantander e Bbva, la compagnia aerea Iberia, il settore energetico (Repsol, Iber-drola, Cepsa) e quello editoriale (Planeta, Prisa). La Fundéu Bbva, fondata nel2005 dalla banca stessa e dall’agenzia Efe, è un’istituzione senza fini di lucro per«contribuire al buon uso della lingua spagnola nei mezzi di comunicazione», non-ché al «prestigio internazionale» della lingua stessa.
Nel novembre 2008, a Salamanca, antica e celebre università e sede dei piùnoti corsi di castigliano per stranieri della penisola, si è tenuto un convegno in-ternazionale sullo «Spagnolo come valore e risorsa culturale, turistica ed econo-mica», durante il quale la regione di Castilla e León si è candidata a distretto chia-ve per il settore. La Comunità di Madrid e i suoi industriali non si sono fatti atten-dere e hanno fondato, all’inizio del 2010, l’associazione Madrid plataforma delespañol, con l’obiettivo di dare impulso all’economia e alle attività produttiveconnesse alla lingua, facendo di Madrid la regione leader nel campo. La sede èad Alcalá de Henares, altra città simbolo del castigliano, dove si assegna il pre-mio Cervantes, massimo riconoscimento delle lettere ispaniche.
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Naturalmente, per il prestigio della lingua è decisivo il fatto di dar accesso alricchissimo patrimonio culturale spagnolo e ispanoamericano, non solo quellostorico, ma anche quello attuale, che si giova del successo internazionale dellacreatività ispanica, dalla moda all’architettura, dalla gastronomia al cinema, dallaletteratura alla produzione audiovisiva. Lo spagnolo è la sesta lingua più tradottaal mondo. Ma forse il caso più vistoso è quello della musica. Grazie anche all’au-ge della musica latina negli Stati Uniti, lo spagnolo, dopo l’inglese, è la linguacantata di maggior diffusione internazionale.
A sottolineare che il castigliano è il miglior patrimonio di Spagna e cementodella «fratellanza panispanica» sono, in coro, tutte le voci istituzionali, dall’ex mi-nistro della Cultura, César Antonio Molina, all’attuale direttrice del Cervantes,Carmen Caffarel; dal direttore della Rae, Víctor García de la Concha, fino alla ca-sa reale, molto attenta a queste tematiche. È re Juan Carlos I che consegna il pre-mio internazionale Don Quijote, creato nel 2008 dalla regione Castilla-La Manchae dalla Fundación Santillana (di Prisa, il principale gruppo editoriale spagnolo,proprietario di El País). Per il miglior lavoro istituzionale a favore della diffusionee conoscenza della cultura e della lingua spagnola nel mondo, sono stati premia-ti l’ex presidente del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva (2008), l’ex presidentessadelle Filippine Gloria Macapagal-Arroyo (2009) e la Nueva gramática de la len-gua española (2010), alla presenza delle 22 accademie. In tale occasione, l’expresidente colombiano Belisario Betancur ha definito l’opera «più che un trattato,un segno d’identità».
4. Due spazi chiave per il futuro dello spagnolo sono gli Stati Uniti e il Brasi-le. Negli Usa, gli ispanici – che per oltre il 60% sono d’origine messicana – si ag-girano attorno ai 47 milioni, pari al 15% della popolazione totale. Hanno supera-to in numero e potere d’acquisto gli afroamericani e possiedono un peso eletto-rale di rilievo in California, Texas, Florida e New York. Non a caso, Obama eClinton avevano una versione del sito web e dei materiali di campagna elettoralein spagnolo. Inoltre, gli immigrati ispanici non sembrano perdere la lingua con ilsusseguirsi delle generazioni, come accadde per l’italiano o lo yiddish.
Ne sono indiretta riprova gli allarmi sulla «minaccia ispanica» lanciati dallascuola di Samuel P. Huntington, preoccupata per il rifiuto dei valori anglo-prote-stanti. Lo spanglish pare più l’inglese di chi è appena arrivato che lo spagnolo dichi si sta inserendo. Lo spagnolo propriamente detto ha sostituito il francese co-me seconda lingua più studiata ed è, infatti, la seconda lingua più richiesta nelleofferte di lavoro. Secondo proiezioni accreditate, nel 2050 il numero di ispanicinegli Stati Uniti potrebbe superare i 100 milioni, contendendo al Messico il pri-mato di ispanofoni.
In Brasile, la legge 11.161 del 2005 stabilisce l’obbligo per le scuole seconda-rie del paese di offrire la lingua spagnola come materia facoltativa. Ciò ha fattoimpennare la domanda. Un tempo, i brasiliani immaginavano di non aver biso-gno di studiare lo spagnolo: se la sarebbero cavata con il portunhol. Ora, con il
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Mercosur e l’ascesa regionale del Brasile, si è diffusa la necessità di conoscerlobene, anche a livello scritto. E l’Argentina vuole entrare da protagonista nell’affa-re dell’insegnamento, in un’ottica di reciprocità e integrazione.
A livello mondiale, oggi lo spagnolo è la seconda lingua straniera più stu-diata, dopo l’inglese. E il ritmo di crescita è vertiginoso. Secondo i dati dell’Insti-tuto Cervantes, la domanda d’insegnamento si concentra soprattutto nel conti-nente americano (Stati Uniti, con 6 milioni di studenti e Brasile, con oltre 5 mi-lioni). In Europa, dov’è considerata la quarta lingua in termini d’utilità, lo spa-gnolo è studiato da 3 milioni e mezzo di persone, distribuite in 38 paesi (soprat-tutto Francia, Germania e Italia, quest’ultima con oltre 300 mila studenti). Un al-tro mezzo milione di studenti si trova in Africa. Molto più limitato, invece il nu-mero di studenti in Asia.
La richiesta di turismo linguistico è aumentata al ritmo del 10% annuo dal1995, fino a raggiungere gli attuali 237 mila viaggiatori allievi, che generano ungiro d’affari di 404 milioni di euro. Poi ci sono gli oltre 25 mila studenti Erasmus(la Spagna è il paese più gettonato, concentrando il 17% degli arrivi). In questocampo, i problemi sono migliorare la formazione e le condizioni contrattuali deidocenti. E le prospettive più interessanti vengono dalla concorrenza dei paesiispanoamericani, che propongono sempre più corsi e vacanze studio.
Il punto debole dello spagnolo è il settore scientifico-tecnologico. Una per-centuale infima delle riviste scientifiche è scritta in spagnolo: oltre il 90% delle ri-cerche di scienziati ispanofoni si pubblica in inglese. Anche la presenza in Inter-net va sviluppata, con infrastrutture, inserimento nei processi produttivi, qualitàdelle pagine web (dove comunque, secondo Google, lo spagnolo si collocaquantitativamente al terzo posto).
Ci sono tuttavia dati recenti molto positivi, come il numero di utenti di lin-gua spagnola: circa 153,3 milioni (il 7,8% del totale), dopo inglese (536,6 milioni)e cinese (444,9), ma prima di giapponese (99,1 milioni), portoghese (82,5) e te-desco (75,2). Arabo, francese e russo, che vengono subito dopo, nonostante altecifre di parlanti, scontano ancora una diffusione limitata in Internet. È ben proba-bile che il peso economico degli utenti tedeschi o giapponesi sia maggiore, main quelle aree linguistiche la penetrazione di Internet è già altissima (prossimaall’80%) mentre resta molto spazio per spagnolo e portoghese (sotto il 40%),francese e arabo (sotto il 20%).
Argentina, Cile e Spagna sono i paesi dove oltre il 50% delle persone è con-nesso (in Spagna si tocca il 70%). Colombia, Costa Rica, la popolazione ispanicastatunitense, la Repubblica Dominicana e l’Uruguay hanno tassi di connessionesuperiori al 30%. In Messico si arriva al 27,4%. In deciso aumento le reti sociali ela stampa online in spagnolo (specie in Argentina, Messico e Spagna).
5. Non mancano, tuttavia, voci critiche, che vedono nel progetto glottopoliti-co spagnolo una sorta di neocolonialismo linguistico, volto a ribadire una posizio-ne egemonica e paternalista, sebbene in forma aggiornata rispetto ai re cattolici,
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all’amministrazione vicereale o al regime di Franco. In quest’ottica, l’operazionepanispanica viene giudicata un abile maquillage dell’eurocentrismo normativo.
Va detto che, anche sul piano strettamente linguistico, la volontà unificatriceincontra limiti oggettivi. Non pochi studiosi ritengono che esistano molti spagno-li, con un proprio equilibrio interno. E il divario più marcato resta tra le duesponde dell’Atlantico. La differenza si palesa soprattutto nella fonetica e nel lessi-co del registro colloquiale e quotidiano, ragion per cui si nota molto nella linguaparlata. Per questo, ad esempio, il doppiaggio dei film stranieri, a seconda delladiffusione prevista, è spesso sensibilmente diverso. Puntare su uno spagnolo glo-bale, neutro e internazionale sembrerebbe contraddire l’impegno al riconosci-mento e alla promozione della diversità previsti dalla Carta culturale iberoameri-cana, approvata durante il XVI vertice iberoamericano di Montevideo, nel 2006.
A far da contrappeso all’euforia universalistica dello spagnolo più o menoconsensuato e multicentrico, vi sono poi realtà linguistiche parallele o marginali,spesso in situazioni di bilinguismo o diglossia.
Nelle comunità autonome di Spagna si sono dispiegate consistenti politichedi recupero e sviluppo dell’uso delle lingue locali, dopo la lunga repressione del-la dittatura franchista. Catalano, galego e basco possono contare sull’insegna-mento generalizzato della lingua, su possibilità d’insegnamento a tutti i livelli nel-la lingua, nonché su televisioni, radio e giornali. Esistono premi e festival artistici,musicali e letterari e sovvenzioni regionali alla traduzione. Anche in Italia, adesempio, la letteratura scritta in catalano, galego e basco comincia ad essere tra-dotta dall’originale. Esemplare l’azione catalana, con enti come l’Institut RamonLlull e l’Institut d’Estudis Catalans. La Catalogna è stata invitata d’onore alle prin-cipali fiere internazionali del libro. E si dà il fenomeno di autori che raggiungonofama internazionale pur scrivendo solo in galego (come Manuel Rivas) o in ba-sco (come Bernardo Atxaga). La sfida per queste culture minoritarie è farsi cono-scere meglio oltreconfine e rispondere alle esigenze di emigranti di varie genera-zioni (l’emigrazione galega, in particolare, è stata storicamente così intensa che invari luoghi dell’America ispanica si usa il termine gallego per indicare, generica-mente, uno spagnolo).
Resta da vedere se l’unità panispanica sovranazionale si concilierà con il di-ritto alla lingua originaria (che per chi lo esercita ha un valore incalcolabile) diquesti territori e, soprattutto, con quello delle popolazioni amerindie. Nell’Ameri-ca ispanofona, infatti, vi sono centinaia di lingue indigene, alcune con un consi-stente numero di parlanti (come náhuatl, quiché, quechua, aymara, guaraní emapuche, solo per citare le più note) e status di ufficialità o coufficialità, anchein più di uno Stato. In tutto il subcontinente è in atto una rinascita culturale e po-litica indigena, con fenomeni vistosi soprattutto in Bolivia, ma anche in Colom-bia, Messico, Guatemala, Ecuador, Perú e Cile.
Il panispanismo propiziato da Madrid e la nobile idea di un’entità sovrana-zionale condivisa dai popoli ispanofoni riuscirà a convivere con il rispetto delleimportanti realtà autoctone, troppo a lungo zittite?
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