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FrancoAngeli Turismo, consumi, tempo libero a cura di Romina Deriu Prefazione di Antonio Fadda Contesti mediterranei in transizione Mobilità turistica tra crisi e mutamento

La creatività al servizio dello sviluppo turistico responsabile

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Turismo, consumi,tempo libero

a cura di Romina DeriuPrefazione di Antonio Fadda

Contesti mediterraneiin transizioneMobilità turisticatra crisi e mutamento

Il volume è stato realizzato grazie al contributo del Dipartimento di Scienze Politiche, Scienze della Comunicazione e Ingegneria dell’Informazione dell’Università degli Studi di Sassari.

Copyright © 2013 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

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futuro sviluppata).

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque

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Editoriali (www.clearedi.org; e-mail [email protected]).

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Indice Prefazione di Antonio Fadda pag. 7 Il turismo mediterraneo: miti ed evidenze empiriche, di Romina Deriu »

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I. Le ragioni del muoversi

1. Le tourisme méditerranéen. De L’Hiver dans le Midi (la grande saison élitiste du XXe Siècle) aux ruées estivales vers le soleil de la seconde moitié du XX siècle, di Marc Boyer

»

41 2. La mobilità turistica nelle regioni marittime: moti-vazioni emergenti e nuove strategie imprenditoriali, di Asterio Savelli

»

44 3. Wine Tourism Motivation: an Amalgam of Pull and Push Factors?, di Maria Alebaki e Olga Iakovidou »

63

4. Quale mobilità, quali città, di Antonio Fadda » 85

II. La cultura che attrae

1. La promotion de l'héritage culturel immatériel au Monténégro en vue du développement touristique durable, di Ivona Jovanoviü e Andriela Vitiü-ûetkoviü

»

97 2. La città adriatica. Turismo, cittadinanza e identità in una regione marittima di frontiera, di Emilio Cocco »

114

3. Nuovi network nella governance delle destinazioni turistiche minori: il caso di RES TIPICA, di Paola De Salvo

»

131

6

4. Turismo culturale e festival di rievocazione storica. Il re-enactment come strategia identitaria e di marke-ting urbano, di Marxiano Melotti

pag.

144

III. Modelli balneari in transizione

1. Analysis of Seaside Tourism Supply (the Case of Liguria and Tuscany), di Roberto Lavarini »

157

2. Il turismo intercostiero: il caso del litorale domizio,di Maria Albrizio »

179

3. Italian Tourists and Seaside Tourism, di Rosanto-nietta Scramaglia »

203

4. Integrazione nel turismo adriatico, di Adriana Gal-vani »

221

5. Due coste e un mare solo? Il turismo nautico tra pubblico e privato, di Gabriele Manella »

241

IV. I volti della sostenibilità

1. La creatività al servizio dello sviluppo turistico re-sponsabile, di Pierluigi Musarò »

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2. Il progetto EDEN nella Regione Umbria: traietto-rie di sviluppo sostenibile per le destinazioni minori tra qualità e lentezza, di Viviana Calzati

»

273 3. Sostenibilità e benessere nel turismo, di Paolo Corvo » 289 4. Le tourisme tunisien en quête d’identité: quelques réflexions pour un développement durable, di Ali El-loumi

»

300 5. Il turismo responsabile nel nord del mondo. Pro-blemi di paradigma e ipotesi di studio della comunità locale materana, di Sergio Fadini

»

316 6. Quando l’insostenibilità è sociale: le mobilità per fini sessuali, di Laura Giobbi »

332

7. The Slow Tourism as a Strategic Approach for the Upper Adriatic Borderlands, di Moreno Zago »

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1. La creatività al servizio dello sviluppo turistico responsabile

di Pierluigi Musarò

1. Siamo tutti turisti

Se c’è una cosa che l’uomo ha sempre fatto è viaggiare. Forse sperando che lontano da sé, in un altro posto o in un altro tempo, ci fosse la chiave che apriva la porta di tutti i segreti, ogni tanto qualcuno, a rischio di tutto, si è messo in cammino a cercare. Per questo in ogni civiltà c’è il mito del viaggiatore-eroe; il figlio degli dei che si perde e torna, prodigo, dopo un lungo peregrinare; Gilgamesh, il re sumero che viaggia e viaggia per non morire; Ulisse determinato ad andare oltre le colonne d’Ercole, il limite ul-timo del mondo conosciuto. Il viaggio è sempre stato considerato un mezzo di crescita spirituale, come se muovere il corpo contribuisse a elevare l’anima. Lo testimoniano i pellegrini verso Santiago o la Mecca, e i sadhu indiani, i santi mendicanti, che devono essere come l’acqua: muoversi in continuazione, altrimenti stagnano.

L’essere umano ha sempre viaggiato, e ancora oggi, nel mondo, una per-sona su sei realizza ogni anno un viaggio a scopo turistico fuori dal proprio paese, facendo così del turismo uno dei principali settori dell’economia mondiale, nonché un’importante opportunità di sviluppo sia per le società occidentali che per i paesi più svantaggiati. Al punto che la crescita di quest’industria “leggera” ha provocato anche impatti “pesanti” su econo-mie, culture, società e ambiente. L’aumento del tempo libero e del reddito pro-capite disponibile, lo sviluppo delle comunicazioni e dei trasporti che permettono di raggiungere ogni angolo del pianeta in tempi brevi e a basso costo, ha fatto si che i turisti passassero da poche decine di milioni nell’immediato dopoguerra all’attuale miliardo.

Certamente è cambiato il nostro modo di viaggiare: l’attuale “diritto alla vacanza” ha trasformato il viaggio in un attraversamento dello spazio in macchine veloci, capaci di trasportarci lontano pur stando fermi. Da viag-giatori siamo diventati turisti, consumatori di un tempo “liberato” che solo

Università di Bologna.

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in apparenza è separato dal tempo di lavoro, fruitori di immagini stereotipa-te, cose “da fare” e luoghi “da non perdere”. Andiamo in una città perché sappiamo com’è, l’abbiamo vista in televisione o sulle riviste specializzate, sui cataloghi turistici, nelle proiezioni degli amici. «Da scoperta, il viaggio diventa sempre più una verifica di ciò che conosciamo già» (Aime 2005: 34). Nelle parole di Urry (1995: 48): «nell’epoca dell’ipermobilità l’esperienza turistica si riduce alla mera osservazione e alla spettacolarizza-zione dei luoghi. I turisti contemporanei sono collezionisti di sguardi; sem-pre meno interessati nel visitare lo stesso luogo anno dopo anno».

Eppure potremmo sostenere che oggi siamo tutti turisti, se non fosse che quest’affermazione sottintende non solo la constatazione di quanto la prati-ca turistica sia diffusa, ma mette in guardia anche da alcuni pericoli, primo fra tutti la sconfortante banalità che spesso caratterizza il turismo come pra-tica (Urbain 2003). La vacanza, infatti, sembra incarnare l’edonismo di una modernità liquida che «forma i propri membri al fine primario che essi svolgano il ruolo di consumatori» (Bauman 2002: 90).

Muovendo da una riconsiderazione dei confini che hanno storicamente distinto il turista dal viaggiatore, come il consumatore dal produttore, e dal cittadino, il saggio si propone di esplorare le pratiche di produzione cultura-le creativa che riguardano il rapporto tra turismo e territorio. Per riuscire in ciò, occorre lasciarsi alle spalle un’interpretazione del turismo come con-sumo di “massa”, che ha per lungo tempo viaggiato in parallelo con la criti-ca nei confronti dei processi di standardizzazione dell’esperienza ed omo-geneizzazione attivati dalle moderne industrie culturali. Si tratta di un’accezione riduttiva che vede nel turismo una pratica di consumo passi-vo, e che in questa sede mi propongo di superare grazie al concetto di «con-sumo produttivo» elaborato dai Cultural Studies.

Se è, infatti, vero che oggi il consumo è divenuto l’elemento trainante che permea di sé identità e bisogni, l’immaginario collettivo e la stessa or-ganizzazione del territorio, che si struttura come luogo di consumo e di produzione, è al contempo vero che la centralità di questa «area esperien-ziale» (Di Nallo, Paltrinieri 2006: 19) ci obbliga ad assumere il consumo come nuovo paradigma interpretativo dei cambiamenti sociali. Tanto più in un sistema caratterizzato da un’economia «dell’immateriale» (Gorz 2003) o «della conoscenza» (Rullani 2004), che vede oggi i consumatori sempre più impegnati a produrre ciò che consumano o a consumare esperienze che so-no possibili solo in virtù del ruolo di co-protagonisti da essi svolto (Pine, Gilmore 2000; Ferraresi, Schmitt 2006). Nel nuovo «biocapitalismo» (Co-deluppi 2008), infatti, dove le imprese prendono a riferimento soprattutto il modello dell’industria culturale (Boltanski, Chiapello 1999), il lavoro svol-to dal consumatore è tutt’altro che marginale, poiché riveste un ruolo cre-scente all’interno dei processi produttivi che fanno funzionare la catena economica del valore. Non a caso si parla oggi di «consumo produttivo» e

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di «prosumer», in altre parole di una nuova figura che nasce dall’unione di producer e consumer (Toffler 1987). Il che ci induce a riconoscere la di-mensione simbolica e intersoggettiva del consumo, il ruolo creativo che es-so svolge nei processi di oggettivazione e risoggettivizzazione della cultura, come nella riappropriazione semantica del territorio (de Certeau 2001, Parmiggiani 2001).

Nel quadro delle politiche per lo sviluppo locale sostenibile, il saggio si propone di esplorare il contributo che il format festival può fornire per la promozione del turismo responsabile: un turismo volto a riconoscere la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto a essere protagoni-sta nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del pro-prio territorio (Davolio, Meriani 2011). In linea con il concetto di «consu-mo produttivo» elaborato dai Cultural Studies, l’esplosione del “fenomeno festival”, che nell’ultimo decennio in Italia ha svelato le potenzialità della produzione culturale per lo sviluppo turistico, sarà focalizzata come pratica di prosumerismo capace di promuovere il territorio in maniera creativa. Il contesto esperienziale creato dal «consumo produttivo» di eventi culturali, a cui il format festival corrisponde, trasforma e rivitalizza lo spazio urbano, facendolo diventare una rete di luoghi e comportamenti significativi, crean-do un legame narrativo tra persone e territori così forte da modificare radi-calmente il modo di fare turismo, fino al punto da mutarne il significato profondo. Nello specifico, sarà preso come caso di studio IT.A.Cà_migranti e viaggiatori: Festival del turismo responsabile, che si svolge a Bologna e dintorni dal 2009, per evidenziare come una produzione culturale dal basso, che nasce dal fermento spontaneo e dalla capacità di mettere in rete la crea-tività diffusa di chi vive e rende vivo il territorio, possa costituire uno stru-mento privilegiato per accrescere il capitale sociale, culturale ed economico del distretto bolognese.

2. Dal patrimonio alla produzione culturale

Se fino a pochi anni fa si riteneva che la dimensione economica potesse in qualche modo violare la presunta sacralità della sfera culturale, conside-rando quanto sia oggi di moda citare l’“economia della cultura”, ci si rende facilmente conto di quanto questa idea sia ormai superata. «Anzi, sembra che oggi la cultura possa trovare un proprio diritto ad esistere solo se e in quanto produce un significativo impatto economico di qualche tipo» (Ca-liandro, Sacco 2011: 7). Come denunciano i due autori, alla base di questo repentino cambiamento di atteggiamento vi è un sostanziale fraintendimen-to delle ragioni e dei modi attraverso cui si attiva questo ponte tra cultura ed economia. La cultura oggi deve rendere, e si deve poter quantificare quanto rende e a chi. Ma affinchè ciò avvenga è necessario superare l’idea

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tipicamente italiana che identifica la cultura con il «patrimonio» piuttosto che con la «produzione culturale». Quante volte, infatti, abbiamo sentito definire il nostro patrimonio come «giacimento di petrolio» o «tesoro» da scavare e sfruttare? Si tratta di una famigerata percezione - che Settis defi-nisce «metafora stracciona» (Settis 2010) - che condanna da tempo l’Italia ad un immobilismo generale, particolarmente visibile nella difficoltà ad uscire da una idea di sviluppo culturale basato sulla rendita e sulla conser-vazione dell’esistente. Il modello della città d’arte del turismo culturale, ad esempio, è una sorta di parco tematico offerto allo spettatore pagante, in cui tutto è banalmente musealizzato, immobilizzato, tourist friendly. Ne conse-gue che «i residenti della città d’arte si trasformano così in veri e propri te-nutari-manutentori, incapaci di vivere il senso della propria città, e interes-sati alla dimensione dell’esperienza culturale soltanto quando si calano, a loro volta, nel ruolo del turista» (Sacco 2006: 12). Se rivolti al passato non possiamo che vedere ogni forma di espressione culturale innovativa come una minaccia. Non a caso, Agamben descrive «Venezia come una tomba, uno spettro dove il cadavere è rimosso»; la stessa Venezia descritta da Um-berto Eco come una sorta di «Disneyland in laguna».

Valorizzare la cultura al di là dell’intrattenimento turistico significa ren-derla canale di eccellenza per la vera e decisiva infrastruttura della nuova economia: lo spazio mentale delle persone. La cultura ha bisogno di una società che pensa e che ama pensare, innovare, sperimentare (Appadurai 2011). La dimensione dello spazio mentale delle persone, la loro capacità di accedere e di dare valore a contesti di esperienza ricchi e complessi rappre-senta dunque una infrastruttura intangibile necessaria per progettare una di-versa qualità di esperienza turistica che coinvolga i visitatori, ma soprattut-to i residenti.

Produzione culturale, creatività e innovazione sono dunque elementi strettamente interconnessi e strategici, e le politiche per il turismo non do-vrebbero esimersi dal farne buon uso. D’altra parte, se è ormai largamente riconosciuto che le risorse culturali - siano esse tangibili, intangibili o mate-riali - sono oggi un “fattore produttivo” sostanziale per l’industria turistica, meno indagato risulta il legame tra produzione culturale, creatività e svi-luppo turistico locale.

Nell’ultimo decennio in Italia, il settore culturale ha registrato il passag-gio dalla fruizione di beni alla prevalente partecipazione ad attività cultura-li, determinando l’esplosione del “fenomeno festival”. Seppur con un certo ritardo rispetto a quanto è accaduto nel resto d’Europa, l’Italia è il paese in Europa con il maggior numero di festival. Se ne contano addirittura 1.300, una media di quattro al giorno. Numeri impressionanti, che attestano la vi-talità e l’attivismo di molti centri, spesso di piccole e medie dimensioni, confermando lo spostamento di interesse dalla produzione di “beni” alle “attività”, dalla salvaguardia del “patrimonio” alla promozione di “eventi

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culturali”, pilastri di una nuova economia esperienziale in cui i consumatori giocano un ruolo di co-protagonisti (Ryan 2002).

Il “fenomeno festival” rappresenta una riappropriazione della cultura da parte delle persone, una pratica di prosumerismo creativo, appunto, che promuove il territorio istituendo un contesto esperienziale dove le persone imparano a sperimentare, creare possibilità per sé e per gli altri, un contesto dove comprendere il mondo ed elaborare progetti futuri, dove il capitale umano avanza in sinergia con il capitale territoriale. Nel belpaese che si il-lude di vivere di rendita grazie allo sfruttamento del “patrimonio diffuso”, il festival irrompe con la sua visione proattiva di cultura e creatività, capace di rimuovere il blocco psicologico che attanaglia l’Italia grazie all’innovazione delle forme collaborative e partecipative che animano l’attuale Wikinomics (Tapscott, Williams 2007).

La formula “festival” è, infatti, sempre più diffusa e apprezzata dal gran-de pubblico grazie alla sua capacità di andare incontro ai mutamenti sociali contemporanei. Tra i fattori che ne hanno determinato il successo: le carat-teristiche di concentrazione spazio-temporale, la dimensione live, la capaci-tà di soddisfare un forte bisogno ludico-relazionale e quindi la voglia di far parte di una comunità di interessi, la capacità di ridefinire le identità di cit-tà, territori e compagini sociali, coniugando cultura, svago e intrattenimen-to, spesso con un focus su specifici argomenti, vincenti nel richiamare ap-passionati e curiosi in cerca di una trasmissione del sapere dall’alto valore esperienziale (Getz 1997, Guerzoni 2008). A questi elementi si somma: l’inadeguatezza delle istituzioni culturali tradizionali e dei media generali-sti, nonché lo sviluppo tecnologico, in particolare dei nuovi media, la scola-rizzazione di massa e la globalizzazione: mutamenti sociali che hanno con-sentito una democratizzazione dell’accesso alla cultura e l’emergere di nuovi bisogni quali la creatività, l’etica, l’estetica e la ricerca della qualità della vita.

Secondo l’Osservatorio del Festival of Festival, in Italia l’investimento nei festival è di circa 400 milioni di euro e genera un giro d’affari stimato in 1,5 miliardi di euro. Al punto che, sempre secondo lo stesso Osservato-rio, sarebbero oltre 10 milioni gli italiani che nel 2008 hanno seguito alme-no un festival. Si tratta di nuovo ceto medio internazionale con capacità di spesa medio-alta, definito anche turismo culturale o serious tourism, ten-dente a muoversi in modo de-sincronizzato tra le città, desideroso che la destinazione si adatti a esso e non viceversa, che usa intensamente l’accesso alle informazioni on-line e contribuisce a crearle attraverso la condivisione sul web della propria esperienza, ricerca l’incontro con le cul-ture e le popolazioni locali, ama il viaggio veloce e vivere con lentezza nel-la destinazione (Maussier 2010).

Per quanto risulti difficile convergere su una definizione univoca del termine “festival” , utilizzato troppo spesso impropriamente per indicare un

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gran numero di eventi che poco hanno di diverso dalla tradizionale fiera o sagra di paese, nel corso del tempo questo format di produzione culturale di breve e brevissima durata si è imposto internazionalmente al punto di far parlare di una vera e propria “festivalmania”. Fenomeno non di poco conto, considerato che il tutto avviene in un clima di crescente concorrenza su spazi, tempi e soprattutto risorse economiche a cui la presente crisi ha dato una ulteriore sferzata.

Promossi come strumenti di rafforzamento dell’identità locale e di diffu-sione della stessa attraverso le rappresentazioni che di esse e del luogo che li ospita se ne fanno i visitatori e i locali stessi, i festival nella loro evolu-zione sono diventati anche strumenti della progettazione culturale e turisti-ca sul territorio, acquisendo importanti funzioni sociali per la comunità che li ospita. Veicoli privilegiati che forniscono un contributo importante allo sviluppo sociale, culturale ed economico dei territori su cui insistono, i fe-stival rappresentano un prodotto culturale complesso che, oltre a richiamare un grande pubblico, offre molti elementi di interesse per le comunità locali che li ospitano e al contempo contribuiscono alla loro produzione (Costa 2005). Da questo punto di vista, il successo del fenomeno festival appare legato alla capacità di non far sentire il viaggiatore un soggetto passivo, semplice fruitore finale dell’offerta turistica; e alla possibilità, per la popo-lazione locale, di andare oltre la semplice erogazione dei servizi, condivi-dendo piuttosto un senso di ospitalità volto a far scoprire il proprio patri-monio storico, culturale e folkloristico. Elementi che sono alla base del tu-rismo responsabile, appunto.

3. Comunità locale e turismo responsabile

Focalizzati come beni relazionali, «perché possono essere prodotti e frui-ti soltanto assieme da coloro che sono interessati ad essi» (Donati 2011), i festival emergono come strumenti strategici per la promozione del turismo responsabile. Per quanto i due fenomeni non appaiano direttamente correla-ti, come per il “fenomeno festival”, anche la crescita del turismo responsa-bile in Italia, nell’ultimo decennio, si è rivelata alquanto costante: segno di un consolidamento più generale dei nuovi orientamenti del consumo turisti-co, più attento all’impatto ambientale e sociale, oltre che economico, gene-rato attraverso il viaggio o la vacanza. Probabilmente anche grazie all’attenzione che i media hanno dedicato a questo tipo di turismo ed al buon lavoro di informazione, sensibilizzazione e promozione svolto dall’Associazione Italiana di Turismo Responsabile (AITR), oggi l’opinione pubblica italiana non si presenta impreparata o scettica nei con-fronti di questo modo di viaggiare che qualche anno fa veniva definito semplicemente “alternativo”. Per quanto siano ancora in molti ad avere

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l’impressione che un viaggio di turismo responsabile sia solo una forma di viaggio organizzato, assistito, non praticabile autonomamente, crescono oggi i soggetti che fanno propria la posizione dell’Unione Europea, secon-do cui il turismo responsabile non è un settore, ma «come dovrà diventare tutto il turismo» (Canestrini 2001). Lo sforzo comune di molti attori del tu-rismo responsabile è dunque volto a contaminare l’offerta turistica tradizio-nale, sia offrendo alternative valide per chi non accetta più di viaggiare in maniera superficiale con pacchetti all inclusive, sia promuovendo un diver-so atteggiamento nei confronti del viaggio, contribuendo così a creare un altro sguardo sul mondo, fondato su valori che il turista deve far propri e applicare in tutte le circostanze.

Considerati i trend in rapido aumento da oltre mezzo secolo (dai 25 mi-lioni degli anni ’50 i viaggiatori hanno superato oggi quota 900 milioni), è chiaro che il turismo rappresenta una possibilità di sviluppo per i luoghi meta dei flussi. Possibilità che tende a rendersi concreta solo se i benefici vengono redistribuiti in maniera equa tra le strutture legate al territorio e alle comunità locali (Pieroni, Romita 2003).

A partire dagli anni ’70, la presa di coscienza dei limiti sociali e ambien-tali dello sviluppo (Meadows 1972, Hirsch 1981) si è intersecata con la ri-flessione critica sul turismo di massa che ha condotto l’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) a promuovere, nel 1988, il “turismo sosteni-bile” come forma di viaggio capace di soddisfare le esigenze dei turisti e delle regioni ospitanti salvaguardando le opportunità per il futuro. In segui-to, la Carta di Lanzarote, l’Agenda 21 e il Codice Mondiale di Etica del Tu-rismo, promosso dall’OMT nel 1999, hanno contribuito ad ufficializzare il paradigma del “turismo responsabile”, fondato sui pilastri dell’equità socia-le, economica ed ambientale.

Dal momento che proprio le risorse naturali, culturali e sociali costitui-scono la fonte di attrazione e di valore delle destinazioni turistiche, si è progressivamente compresa l’importanza di adottare la «prospettiva dei sa-peri locali» e coinvolgere la comunità nella gestione dei flussi turistici (De-riu 2012).

Questa costituisce, infatti, una leva determinante per indurre il passaggio dallo «sviluppo indotto» allo «sviluppo organico» (Cohen 1978), ovvero per attenuare le esternalità di un’industria gestita da agenti esterni, spesso le multinazionali del Nord del mondo, che nel promuovere il “prodotto turisti-co” compromettono l’ambiente e relegano la popolazione locale ai margini della ricchezza prodotta (Fadda 2001).

Oltre che per una più equa distribuzione dei benefici economici, la parte-cipazione attiva della cittadinanza nella progettazione dello sviluppo turi-stico si rivela fondamentale anche nella prospettiva di una governance ba-sata sull’adozione di un momento di “condivisione di conoscenza” (Tidore 2008) e sulla collaborazione tra una molteplicità di attori al fine di assu-

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mersi la responsabilità del benessere dei cittadini. Per decolonizzare le menti dall’immaginario sviluppista (Latouche 2004) occorre, infatti, pro-muovere un’idea di benessere legata ad una responsabilità sociale condivi-sa, frutto di processi di “reciproca responsabilità”, intesa come responsabi-lità individuale di ognuno indirizzata al raggiungimento del bene comune (Paltrinieri 2010).

Infine, ma non meno importane, il coinvolgimento della comunità appare necessario anche per valorizzare la cultura locale, evitando la perdita di au-tenticità del luogo, o quanto meno attenuando il rischio di rendere scontata l’idea che i locali esistano per uso e consumo dei turisti. Una tipica idea «del Nord per il Nord» che, come denuncia Aime (2005), rischia di raffor-zare un immaginario eurocentrico che condiziona la percezione dell’altro, perpetuando così «l’incontro mancato».

4. IT.A.Cà_migranti e viaggiatori: Festival del turismo responsabile

Dall’esigenza di promuovere in maniera creativa una nuova etica del tu-rismo, che sensibilizzi la forma mentis delle istituzioni come dei viaggiato-ri, dell’industria turistica come degli operatori impegnati sul campo, ha ori-gine IT.A.Cà_migranti e viaggiatori: Festival del turismo responsabile che si svolge a Bologna e dintorni. Nato nel 2009 per iniziativa dell’associazione YODA, in collaborazione con NEXUS Emilia Romagna e COSPE, il festival, nel corso delle successive edizioni, si è consolidato gra-zie al supporto da parte di CESTAS e AITR e alla compartecipazione di GVC, ISCOS, CouchSurfing, Mani Tese, ARCS, Terra di Tutti Film Festi-val, e un network di oltre 90 realtà attive sul territorio locale, nazionale e internazionale.

Nelle prime quattro edizioni, il festival - realizzato con il contributo di APT Emilia-Romagna, Provincia di Bologna, Coop Adriatica e Coonger e il patrocinio di Regione Emilia-Romagna, Università di Bologna, Comune di Bologna, Comune di Zola Predosa e Comune di Casalecchio di Reno - è cresciuto in dimensioni, obiettivi e prestigio, fino a diventare un punto di riferimento sul tema del turismo responsabile. Basti pensare che nella quar-ta edizione sono stati realizzati oltre 100 eventi, interamente gratis, nell’arco di 9 giornate, raccogliendo un crescente successo di pubblico (9.000 presenze circa) e di critica (con una copertura media locale e nazio-nale di rilevanza). Successo non di poco conto, considerato che il budget totale della manifestazione si aggira sui 30.000 euro, a fronte di una dota-zione media dei festival italiani di 450.000 euro, oscillante dai 40-50.000 euro dei piccoli festival ai 3 milioni di euro del festival della Scienza di Genova (Maussier 2010).

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I tanti eventi che animano il festival mirano a essere una spinta propulsi-va per valorizzare gli ideali di giustizia e cooperazione, mettendo in rete le diverse realtà che si occupano di viaggi sostenibili e responsabili, per coin-volgere le persone in un’esperienza multisensoriale. Lungo il viaggio pro-posto durante la manifestazione, si susseguono una serie di eventi e mo-menti d’incontro e condivisione: itinerari dentro e fuori mura alla scoperta delle diverse facce del viaggio, della natura e del patrimonio locale, presen-tazione di libri, esplorazioni urbane, convegni, cene, laboratori, proiezione di video, mostre fotografiche, musica, teatro, stand informativi e molto al-tro ancora per esplorare in maniera esperienziale e ludica i diritti e rovesci del viaggio.

Come si evince dallo stesso suffisso “migranti e viaggiatori” e dalla ricca programmazione culturale, il festival mira ad esplorare i diritti e rovesci del viaggio risalendo alla sua radice etimologica: la radice dell’inglese travel (viaggio) è la stessa del francese travail (lavoro) e dell’italico travaglio, cioè patimento, dolore, fatica. Di certo, in un’epoca in cui il viaggio è sino-nimo di svago, spensieratezza, relax, il richiamo etimologico può suonare bizzarro: oggi la voglia di viaggiare incarna valenze diverse e complemen-tari rispetto alla nostra routine quotidiana: una parentesi ludica, una ricrea-zione indispensabile per smaltire le fatiche del lavoro. Frutto della doppia morale sottesa alla dimensione turistica: un’etica puritana e produttivista per la nostra routine quotidiana, un “diritto allo svago” e alla trasgressione che assume la funzione di valvola di sfogo quando siamo in vacanza (Sa-velli 2004). Eppure la manifestazione si propone di esplorare i diversi aspetti del viaggio andando oltre la diffidenza e il pregiudizio tipico nei confronti dell’homo turisticus.

Muovendo dall’idea che la nostra specie ha un’ansia di mobilità che può e deve coniugarsi con la cultura della responsabilità e sostenibilità, il festi-val propugna un cambiamento di comportamento secondo una logica affine a quella adottata dal “consumerismo politico” (Musarò, Parmiggiani 2007): responsabilizzare il cittadino-viaggiatore, piuttosto che colpevolizzare il consumatore-turista; riconoscere ad esso capacità di scelta e far comprende-re la ricaduta politica di tale scelta, piuttosto che considerarlo “l’idiota in viaggio”; aiutarlo a capire che il suo potere è piccolo ma importante e inci-sivo se unito a quello degli altri. In altre parole, renderlo consapevole che indirizzarsi verso un turismo sostenibile non significa condannare lo svi-luppo di un territorio, ma vuole dire maturare e diffondere la consapevolez-za che anche per il turismo esistono limiti: far capire che la dinamica eco-nomica del settore, la soddisfazione del turista e la tutela del patrimonio na-turale, sociale e culturale sono quindi indissociabili. In linea con questa lo-gica volta a promuovere la cultura della sostenibilità e responsabilità, il fe-stival si propone come la prima manifestazione “carbon neutral” in Italia e comunque molto attenta all’impegno civile: ben 1.160 euro sono stati, in-

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fatti, devoluti alle vittime del sisma che negli stessi giorni del festival ha colpito l’Emilia Romagna.

D’altra parte, IT.A.Cà_migranti e viaggiatori nasce dall’idea che l’esotismo è dietro l’angolo, che per sentirsi turisti responsabili non serve partecipare a lunghi viaggi organizzati: anche il viaggiatore fai-da-te, che non ama gli itinerari prefissati, può interiorizzare i valori del rispetto e del confronto. Alla base della filosofia del festival bolognese c’è la convinzio-ne che il turismo è quotidiano: esperienza e tensione verso l’altrove, il turi-smo non si riduce a un periodo preciso di mobilità, né «il viaggio finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati» (Kapuscinski 2005). Una volta contagiati dal virus del viaggio ci si ritrova dunque a vivere in un’immobilità sospesa fra home e away, all’interno di una quotidianità in cui si mescolando diversi mondi.

Per orientare meglio i partecipanti all’interno dei molteplici percorsi che hanno caratterizzato l’ultima edizione, il festival ha individuato alcuni fili conduttori: turismo scolastico, political tourism, sostenibilità e marketing territoriale, viaggio migrante. Ma il festival si propone di focalizzare il viaggiare responsabile come una fenomenologia che va oltre la “somma” di queste pratiche. L'obiettivo della manifestazione è, infatti, sensibilizzare i cittadini all’idea del viaggio non solo come semplice vacanza, trasgressio-ne, svago, ma come un'esperienza dove si possa trovare la sfida, il rischio, il desiderio di conoscenza e scoperta del mondo vicino e lontano da casa.

Lo stesso nome della manifestazione deriva da un gioco di parole che da un lato richiamano le lunghe peregrinazioni di Odisseo, l’invito al viaggio per il viaggio, inteso come metafora della vita, desiderio di esplorare il mondo per crescere intellettualmente («Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in espe-rienze», recitano i versi del poeta Kavafis che aprono il programma). Dall’altro, il titolo pone l’accento sulla dimensione locale, sottolineando che il viaggio responsabile parte da casa e arriva a casa (ît a cà in dialetto bolognese significa “sei a casa?”), una qualsiasi casa, una qualsiasi Itaca da raggiungere, dove più che la meta conta il percorso e il modo in cui ci si mette in cammino.

Coerentemente alle caratteristiche tipiche del format comune ad altri fe-stival di approfondimento culturale capaci di inscriversi nell’identità di un territorio (si pensi al Festivaletteratura di Mantova, al Festivafilosofia di Modena o al Festival della Scienza di Genova), IT.A.Cà_migranti e viag-giatori rappresenta una manifestazione “policentrica” che presenta il van-taggio di favorire la promozione dell’intera città, piuttosto che di singoli spazi. I luoghi che ospitano gli eventi e gli itinerari inseriti nel palinsesto sono, infatti, disseminati sul territorio di Bologna e provincia: dalla centra-

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lissima Piazza Nettuno al più periferico Centro Interculturale Zonarelli, si-no al Parco dei Gessi o addirittura alla Via Francigena, protagonista di un trekking col treno realizzato in collaborazione con il Club Alpino Italiano. Oltre ad accrescere la coerenza tra le attività e il tipo di sede (il cinema in Piazza San Francesco piuttosto che il rafting sul fiume Reno) la presenza di più luoghi all’interno della stessa città (e il conseguente spostamento del pubblico dall’uno all’altro, secondo gli eventi cui si vuol prendere parte) crea quell’atmosfera singolare che arriva a coinvolgere anche chi, pur non partecipando al festival, si trova in città, percependola come più viva e animata dal punto di vista culturale e sociale.

Essendo un festival sul turismo, vi è una chiara vocazione internazionale, che prevede la premiazione di Itaca_Contest, un concorso internazionale di parole e immagini in collaborazione con Pentales (New York), e uno scam-bio culturale/residenza artistica con la Escuela Nacional Arte Visual di Ma-puto (Mozambico). Al contempo, nel corso delle 4 edizioni, la manifesta-zione ha sviluppato nuove partnership con altri festival, del territorio bolo-gnese, affini per tematiche e filosofia: Green Social Festival, Festival Porte Aperte, Terra Equa_Festival del Commercio Equo e dell'Economia Solida-le, Slow Food Day_Mercato della Terra. Si tratta di gemellaggi attraverso i quali gli organizzatori tentano di inserirsi in circuiti più ampi in cui scam-biare idee, esperienze e contatti; costruendo, a loro volta, reti di reti che inevitabilmente aumentano il capitale sociale, culturale ed economico del territorio bolognese.

Non mancano, inoltre, i solidi rapporti instaurati con le scuole secondarie e con l’Università di Bologna, attraverso l’ideazione di seminari, laboratori, o percorsi di ricerca condivisa. Tra gli altri, il laboratorio realizzato all’interno del Corso di Alta Formazione su Comunicazione dei Consumi Sostenibili, del Dipartimento di Sociologia, da cui è scaturito il convegno “Verso la carta europea del turismo sostenibile e responsabile”; e il labora-torio di Marketing Territoriale nel web 2.0 del corso di Laurea Magistrale in Scienze della Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica, che ha con-dotto alla realizzazione del Barcamp dal titolo “Il racconto turistico [come] può essere sostenibile?”.

Appare dunque chiaro che IT.A.Cà_migranti e viaggiatori si propone come una spinta propulsiva capace di mettere in rete le tante realtà che a Bologna e dintorni, con diverso titolo, si occupano di migrazione e viaggi responsabili. Grazie ad una sorta di processo di partecipazione creativa, frutto di un intenso e lungo lavoro di regia e coordinamento, il festival ha il pregio di far emergere e valorizzare le straordinarie sfaccettature della cit-tadinanza bolognese, con le sue diverse anime, che rientrano in una cultura della responsabilità e della sostenibilità.

Da questo punto di vista, il festival rappresenta una produzione culturale dal basso, che nasce dal fermento spontaneo di chi rende vivo il territorio,

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riuscendo a coinvolgere in un’esperienza multisensoriale sia i residenti che i visitatori. Nell’arco di quattro anni, infatti, la manifestazione non solo ha offerto l’opportunità a residenti e visitatori di riflettere su un modo di viag-giare diverso, improntato alla sostenibilità e alla responsabilità; ma ha al contempo contribuito ad accrescere il capitale del territorio grazie all’intenso lavoro di rete messo in atto. Esempio di «economia civile» (Bruni, Zamagni 2009) che sviluppa modi virtuosi di far interagire i cittadi-ni, dal punto di vista della teoria relazionale il lavoro di rete che caratteriz-za il festival mette in atto una «we-refelexivity» operata da una pluralità di attori societari che agiscono in una rete sussidiaria di relazioni. Fattore cen-trale che non solo favorisce la riscoperta e la valorizzazione del territorio e delle relazioni umane in termini di bene comune, ma al contempo permette di coltivare la relazione con l’altro e spingersi oltre la chiusura dell’io. Co-me scrive Donati (2011: 315), che chiude il suo libro associando la poesia di Kavafis all’idea di relazione: «il Sé raggiunge una sua pienezza non già nell’essere “in Sé e per Sé”, ma nella relazione di apertura al mondo, nell’essere “tutto occhi e orecchi”, pronto a riprogettarsi sempre di nuovo. Questa riflessività io la chiamo “riflessività relazionale”. Essa sola ci per-mette di continuare il viaggio della vita, specie quando la società diventa più turbolenta».

5. Conclusione

Come abbiamo avuto modo di vedere, nonostante il rischio di banalità, lo studio del turismo - per la sua combinazione di visuale, estetico e popolare - resta una delle porte d’ingresso privilegiate per comprendere il territorio. Tanto più quando lo sviluppo turistico si sforza di andare oltre la mera con-servazione del patrimonio storico e artistico, per promuovere i luoghi in maniera creativa, grazie ad una produzione culturale innovativa, qual è il format festival (Paiola, Grandinetti 2009, Ferrari 2006).

Il turismo svolge un ruolo essenziale nella dialettica sociale e spaziale che assegna significato ai luoghi: da una parte alimenta l’immaginario indi-viduale e collettivo attraverso la produzione d’icone e di rappresentazioni, dall’altra modella i luoghi che si fanno “turistici” attraverso trasformazioni visibili che rendono possibile la pratica turistica e che spazializzano quelle stesse immagini. Si tratta di un aspetto messo in rilievo da una interpreta-zione del turismo come fenomeno di “massa” che ha per lungo tempo viag-giato in parallelo con la critica nei confronti dei processi di standardizza-zione dell’esperienza ed omogeneizzazione attivati dalle moderne “indu-strie culturali”. In quest’ottica, l’industria turistica non si esime dal proces-so di “McDisneyzzazione” o “McDonaldizzazione” della società (Ritzer 1997): il processo di standardizzazione confeziona un’esperienza inautenti-

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ca, ovvero un’«autenticità messa in scena», esibita ed agita su un palcosce-nico per il pubblico dei turisti. Si tratta di un approccio che ricalca l’antica dicotomia sull’autenticità o artificialità dell’esperienza e dei luoghi turistici, da considerare ormai superata grazie al già richiamato concetto di consumo produttivo elaborato dai Cultural Studies, secondo cui il turista - «consape-vole di essere un turista e del fatto che il turismo è una serie di giochi con una molteplicità di testi e senza un’unica esperienza autentica» (Urry 2000: 91) - trae piacere dal viaggio dosando attività e motivazioni eterogenee.

Di certo, l’immaginario turistico non svolge solo il compito di riflettere la realtà dei luoghi, descrivendoli, ma ha anche una funzione performativa: esso impone particolari modi di comportarsi e di pensare, sanziona l’adozione di comportamenti diversi, prescrive particolari necessità e ali-menta i sistemi di significato con i quali interpretiamo, gestiamo e trasfor-miamo lo spazio. La prova tangibile di questa performatività ci è fornita dalle classiche guide turistiche e dalle mappe dei luoghi “da non perdere” in esse contenute. Offrendo al turista quella visione dall’alto, prospettiva perfetta, che pretende di cogliere l’essenza e lo spirito dei luoghi, esse lo immortalano sulle pagine patinate e lo trasformano in un prodotto ad uso e consumo del touristic gaze (Urry 1995). Lo spazio turistico assume così i lineamenti di una messa in scena, un quadro da ammirare, non rendendo grazia delle identità locali che sono invece molteplici e si trasformano con-tinuamente, dei vicoli e delle piazze che pullulano di persone e dei rapporti di sintonia o idiosincrasia che le legano a quei luoghi.

Al contrario della guida turistica, dove la comunità non ha diritto di pa-rola, perché la mappa espunge il soggetto dal paesaggio, riducendo lo ster-minato universo di segni che è il mondo a icona (Farinelli 2003: 170), il format festival appare in grado di animare lo spazio urbano, risemantizzarlo attraverso l’intima unità che si crea fra un luogo fisico e i sentimenti, le emozioni, i valori estetici che l’individuo gli attribuisce in base alla sua esperienza esistenziale. Rispetto ai dépliant e alle mappe che sottintendono un mondo chiuso, vetrinizzato (Codeluppi 2007), il festival si configura come una vera e propria pratica di prosumerismo culturale, in grado di ri-leggere i luoghi e raccontare l’esperienza turistica attraverso una nuova se-mantica del viaggio. D’altra parte, nelle forme sempre più partecipative della comunicazione, capaci di veicolare l’esperienza dell’esperienza (Boc-cia Artieri 2004), il viaggio tende a sostituire il vecchio immaginario rap-presentazionista, relativo alla riproduzione fedele della realtà, con l’immaginario performativo di un viaggiatore/turista che pretende di esser-ci, partecipare, produrre, condividere (Gemini 2008).

Lo stesso successo dei festival si inserisce in questa convergenza fra il viaggio fisico e le comunicazioni – le forme di mobilità virtuale descritte da Urry (2000) – che dà origine a nuove forme turistiche fondate su una socia-lità di tipo reticolare e mobile. Dal punto di vista degli spettatori, partecipa-

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re ai festival significa informarsi per tempo sulla programmazione e i luo-ghi, curiosare tra i nomi degli ospiti e le novità degli eventi, instaurare nuo-ve relazioni, condividere on line le immagini catturate e arricchirle del pro-prio punto di vista. Nella nuova relazione tra tecnologia e creatività, non solo i luoghi da mettere in scena sono al contempo messi in gioco, ricreati dalle mobilità e dalle pratiche dei turisti, ma lo stesso viaggio finisce per essere pensato e realizzato sempre più come esperienza condivisa (Gerosa, Milano 2011).

Nell’ottica del mobilities paradigm e di una prospettiva culturologica che riconosce nel turismo un movimento pluristratificato, non esclusivamente costituito dalla circolazione delle persone verso un luogo (Sheller, Urry 2004), i luoghi in cui i festival insistono diventano punto di incontro di immagini, persone, marche, oggetti, temi, relazioni, fluidi e co-creati dal turista “spettattore” che interagisce con essi tramite la sua corporeità e la stessa tecnologia, ridefinendoli. Attraverso le nuove forme di mobilità vir-tuale mediate dal consumo degli spazi urbani, le persone si riappropriano dei luoghi e al contempo producono un senso collettivo alternativo a quello “istituzionale”, un immaginario del territorio più autentico che viene ali-mentato dai nuovi media e dalla relazionalità sui blog e sui social network (Mascheroni 2007). Si crea così un duplice effetto: da un lato, «la comuni-tà, anche lontana e “non collegata”, si ritrova comunque al centro dei rac-conti di chi l’ha visitata, sempre più spesso corredati di video, immagini, commenti» (Grigolli, 2011); dall’altro, la traduzione del territorio che pren-de vita nel palinsesto dei festival, come nei feedback dei social network o nelle foto di Flickr, può stimolare il viaggiatore/turista a scegliere il suo percorso più per emozioni e affinità che per destinazioni (Borghi, Celata 2009).

La rete di quanti partecipano agli eventi culturali, siano essi seduti sul palco o in platea, abitanti del loco o visitatori, crea uno storytelling polifo-nico che, attraverso il gioco di rimandi tra luoghi e narrazioni, che nascono offline per essere raccolte e diffuse online, contribuisce a creare un senso collettivo, utile ad ancorare l’immaginario turistico al genius loci, oppure a sovvertirlo. In altre parole, partecipando ai festival si diventa “spettattori” del territorio e si dà vita ad una comunicazione più “sostenibile”, meno ver-ticale e mediata, in linea con un nuovo pluralismo della comunicazione tu-ristica.

Di là dal valore strettamente culturale e dai concreti vantaggi che offre sotto il profilo economico, dunque, il format festival, per la sua capacità di attrarre turisti traducendo le caratteristiche fisiche dei luoghi in segni, rap-presentazioni e narrazioni, che sono poi veicolati dai media, rappresenta una risorsa locale e un medium del territorio ideale per promuovere uno sviluppo sostenibile dello stesso.

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