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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE D. M. 270
Fonetica e fonologia dello spagnolo d'Andalusia
Tesi di Laurea di RelatoreFabio Pellitterimatricola 0567803
Chiar.mo Prof.Eleonora Iacono
_____________________________________A. A. 2011/2012
INDICE
Introduzione ............................................................................................................................. 3
CAPITOLO I . Storia dell'Andalusia e dell'Andaluso
1.1 Introduzione .................................................................................................................. 5
1.2 Storia dell'Andalusia ................................................................................................. 7
1.3 Storia dell'andaluso ................................................................................................... 9
CAPITOLO II . Fenomeni fonologici dello spagnolo d'Andalusia
2.1 Il seseo-ceceo ................................................................................................................. 17
2.2 Le aspirazioni ................................................................................................................29
2.2.1 La h- iniziale ......................................................................................................... 31
2.2.2 L'aspirazione di jota ......................................................................…................. 32
2.2.3 L'aspirazione di -s implosiva ...........................................................................34
2.3 Le vocali proiettate ..................................................................................................... 45
2.4 Alterazioni di consonanti implosive e intervocaliche ................................. 50
2.4.1 Liquide: -l ed -r implosive ................................................................................ 50
2.4.2 Dileguo di -d implosiva e -d- intervocalica .................................................. 55
2.4.3 Nasali: -n ed -m implosive ................................................................................ 57
2.5 Il yeísmo ...........................................................................................................................61
Conclusioni ............................................................................................................................... 66
Bibliografia ............................................................................................................................... 69
INTRODUZIONE
Nel meraviglioso sud della Spagna, descritta dal tortuoso percorso del Guadalquivir,
dalla Sierra Morena e dalle alte cime della Sierra Nevada, delimitata dal mar
Mediterraneo e dall'Oceano Atlantico, che la separano dalle coste del Maghreb, spicca
l'Andalusia, una delle più brillanti regioni della Spagna, crogiolo di arti, sapori e
costumi, da sempre culla dell'interculturalità e delle tradizioni folcloristiche ad essa
legate. Quando si parla di Andalusia, infatti, non si può non pensare ai bailaores di
flamenco, ai canti e ai balli popolari, alle numerose prelibatezze culinarie, così come
agli splendidi resti dell'architettura arabo-islamica, ultimi segni di una grande civilità,
che per tanto tempo ha reso ricca e florida questa terra. Eppure, la particolarità di questa
regione non risiede soltanto nell'ambito socioculturale delle tradizioni o in quello
artistico della sua architettura, ma investe anche il campo linguistico.
Effettivamente, non serve essere particolarmente esperti in questo settore per
accorgersi delle molteplici differenze, soprattutto fonetiche e lessicali, presenti nello
spagnolo parlato in Andalusia rispetto allo standard castigliano. Nel corso del tempo,
diverse cause sono state segnalate come responsabili della varietà andalusa:
l'eterogeneità di etnie che hanno popolato questa terra nei secoli, la particolare indole
dei suoi abitanti, il clima torrido e spossante o, più tecnicamente, le istanze evolutive
della lingua che, mossa da inarrestabili spinte di rinnovamento interne, vive in eterno
contrasto con la tendenza alla codificazione e alla standardizzazione.
L'obiettivo principale di questa trattazione è illustrare tale varietà (parlata) dello
spagnolo dal punto di vista della fonetica e della fonologia, ambito linguistico in cui
l'andaluso si distacca di più dalla norma.
Nel capitolo I si propone una breve introduzione sulla storia di questa regione, sugli
abitanti che l'hanno popolata e sui dominatori che l'hanno conquistata; quindi, vengono
3
riproposte le prime considerazioni fatte a proposito della lingua andalusa da parte di
studiosi antichi e moderni.
Nel capitolo II, invece, si passano in rassegna i fenomeni fonetici e fonologici più
importanti, illustrando via via:
• la definizione generale dei fenomeni, con una breve esposizione delle loro
caratteristiche;
• le loro possibili origini storiche, con il sussidio delle più antiche testimonianze
scritte, recuperate ed esaminate dai più eminenti filologi e linguisti: lavoro non facile
per coloro che si sono cimentati a rintracciare, attraverso possibili grafie erronee, i segni
di una possibile modificazione fonetica già avvenuta o in via di assestamento.
Ricordiamo, infatti, che la varietà scritta di ogni lingua differisce in modo sostanziale da
quella orale, sia perché riguarda i registri più formali (come nel caso di atti notarili,
scritti scientifici, ecc.) sia perché linguisticamente più controllata;
• la loro estensione geografica e sociolinguistica, poiché quasi mai un fenomeno è
omogeneamente diffuso: esistono sempre zone più influenzate dalla lingua standard e
zone più anarchiche, ove talvolta il fenomeno può giungere a soluzioni estreme. È anche
indispensabile considerare le variabili sociologiche (sesso, età, livello d'istruzione,
ruralità) nell'analisi della diffusione dei fenomeni esposti;
• le loro possibili cause, cioè le motivazioni di tipo prettamente linguistico che
possono avere influenzato o dato vita al cambiamento. Alla base di ogni fenomeno c'è
quasi sempre l'instabilità del sistema fonologico, con i suoi numerosi “punti deboli”: ad
esempio, la vicinanza articolatoria di due o più suoni o la ridondanza di alcune
distinzioni fonematiche, che non sempre sono strettamente necessarie all'efficacia
comunicativa.
Infine, vengono tratte le conclusioni della trattazione, nel tentativo di ritrovare un nesso
tra i diversi casi presi in esame e di ricondurre ad un unico filo logico le considerazioni
fatte per ogni singolo fenomeno.
4
CAPITOLO I
Storia dell'Andalusia e dell'andaluso
1.1 Introduzione
Chiunque, avendo delle discrete nozioni di spagnolo standard (castigliano), potrebbe
rendersi conto che lo spagnolo parlato dagli andalusi non rispecchia perfettamente
quello della norma. Questa osservazione è facilmente verificabile, perché la maggior
parte delle “innovazioni” avviene nell'ambito esteriore della lingua: la fonetica. Infatti, è
facile rendersi conto che, se ad esempio, alla richiesta di indicazioni stradali, un
andaluso risponderà “to' recto pa'ya” (todo recto para allá) o se lo stesso, al congedarsi,
dirà “'ta lueo” (hasta luego), la varietà di spagnolo utilizzata non sarà quella del
castigliano standard, né tantomeno quella colloquiale delle regioni settentrionali della
Spagna. Quello che oggi è un modo di parlare facilmente distinguibile, cominciò a
formarsi intorno alla fine del Medioevo, tra il XIII e il XV sec., a quasi due secoli di
distanza dalla conquista dell'Andalusia da parte dei regni cristiani e dal suo conseguente
ripopolamento con parlanti spagnoli provenienti da tutte le parti della penisola1.
In seguito alla normativizzazione del castigliano come lingua standard ufficiale (XVI
sec.), la varietà andalusa ha assunto sempre più connotazioni negative, divenendo segno
di “impurità” della lingua. Ad avvalorare il pregiudizio, ha giocato un ruolo importante
anche il livello medio d'istruzione pubblica degli abitanti, che fino alla metà del secolo
scorso si attestava a percentuali molto basse2; questo fattore è sempre stato decisivo, al 1 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, El español hablado
en Andalucía, Barcellona, Ariel, 1998, pag. 109.2 Ibidem, pag. 238. Nel testo si precisa che l'Andalusia, “pese al ingente esfuerzo realizado en los
5
momento di qualificare la cultura e l'istruzione di un individuo in base alla correttezza
della lingua parlata. In tempi più o meno recenti, si è giunti persino a menzionare un
certo “complesso d'inferiorità”3 dei parlanti andalusi, che, riconoscendo la differenza tra
la loro varietà linguistica e quella di altri parlanti spagnoli, giungerebbero a sottostimare
la propria, definendola essi stessi una “corruzione”4.
In realtà, altri studiosi di linguistica e dialettologia, come Antonio Narbona, Rafael
Cano, Ramón Morillo, nel trattare questo delicato argomento, attutiscono questa dicitura
un po' troppo drastica, affermando che “además de no ser exclusivo de los andaluces”,
non rappresenta un fatto meramente linguistico, e che “no hace más que reflejar la
actitud ante los usos idiomáticos propios de quienes pertenecen a los grupos
socioculturales o socioeconómicos inferiores”5, diventando così un fattore sociologico. I ultimos años, continúa siendo una de las Comunidades Autonómas con mayor porcentaje de analfabetos, tanto totales […] como funcionales”.
3 Si tratta, più che di un vero e proprio “complesso”, di un sentimento di inferiorità nei confronti dei parlanti di altre zone della Spagna, specialmente di quelle settentrionali. Per determinare l'origine di questo fenomeno, si possono chiamare in causa i numerosi interventi di vari studiosi, elaborati nel corso dei secoli, volti a screditare o a pregiudicare la pronuncia andalusa del castigliano. Forse il caso più eclatante è quello dello scrittore Juan Valera, il quale, al principio del XX sec. affermava che “en Andalucía, por fortuna, aunque la gente pronuncia mal el castellano, suele hablarle y escribirle bien” (“El regionalismo literario en Andalucía” [1900], Obras completas, vol. II, Madrid, Aguilar, 1949, pag. 1047). Da qui deriverebbe il presunto “complesso d'inferiorità”, preso successivamente in esame da numerosi linguisti nel tentativo di “sfatare il mito”. Tra questi vi è Manuel Alvar, che registra una doppia tendenza, contraddittoria, tra i parlanti andalusi: egli afferma, infatti, che “existe una clara conciencia de un uso dialectal frente a cierto ideal de lengua representado por el castellano y acompañado de un complejo ruralista”, nonostante “muchos andaluces sientan una gran identificación con su dialecto” (“Conferencia sobre conciencia lingüística y alienación social”, Hoja informativa de literatura y filología, n° 28, Fundación Juan March, Madrid, 1975, pag. 8). Dall'ultimo ventennio del secolo scorso ad oggi, anche alcuni enti amministrativi si sono prodigati per tutelare la parlata andalusa: nel 1980 la “Consejería de Cultura” della “Junta de Andalucía” ha istituito i Cuadernos del habla andaluza, con l'esplicito proposito di sradicare dalla coscienza collettiva le ragioni di questo complesso d'inferiorità (Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 22). Con toni più moderati, invece, l'Estatuto de Autonomía de Andalucía del 2007, all'art. 213, presenta un invito nei confronti del servizio di informazione pubblica televisivo al riconoscimento della parlata andalusa, intesa come modalidad lingüística: nel 2004, infatti, la rete televisiva andalusa Canal Sur ha pubblicato un Libro de Estilo, in cui, nel capitolo 12 della seconda parte, vengono enunciate le regole di pronuncia alle quali i giornalisti devono attenersi. Fra circa diciotto peculiarità della parlata andalusa, solo quattro sono ritenute pienamente plausibili, mentre altre due vengono accettate con riserva (José Maria Allas Llorente, Luís Carlos Díaz Salgado, Libro de Estilo – Canal Sur Televisión y Canal 2 Andalucía, Siviglia, Pinelo Talleres Gráficos, 2004, pags. 217-227). Tuttavia, la maggior parte degli studiosi che si sono soffermati sulla questione sembra attenersi a posizioni piuttosto moderate: come afferma Rafael Cano Aguilar, “la modalidad lingüística andaluza parece gozar de espléndida salud”, ma soprattutto “el andaluz no necesita 'protección' especial para sobrevivir” (“Algunas relfexiones sobre la lengua española en Andalucía”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, n°14-15, 1992, pags. 56-57).
4 Antonio Narbona Jiménez, “Sobre la conciencia lingüística de los andaluces”, Boletín de la Real Academia Sevillana de Buenas Letras: Minervae baeticae, Sevilla, 2003, pag. 90.
5 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 24.
6
parlanti, man mano che vanno raggiungendo una competenza comunicativa maggiore
per via dell'istruzione, si liberano, senza alcun trauma, di una buona parte delle
caratteristiche tipiche (non solo fonetiche) che non godono di grande accettazione;
quindi “tienden a liberarse, sin imposición externa alguna, de las realizaciones más
marcadas y extremas”6. La differenziazione dello spagnolo d'Andalusia da quello di
Castiglia nasce, come già specificato, dalle origini della diffusione della lingua
castigliana in questa regione.
Converrà, quindi, partire dall'inizio, dalle radici storiche dell'Andalusia, per disporre
di un quadro generale delle possibili cause evolutive di questi fenomeni lingusitici
peculiari, di cui tanti studiosi, nel corso della storia, hanno discusso. C'è chi li ha
elogiati, poiché renderebbero la lingua più leggera e musicale7, e chi li ha sempre
severamente condannati, perché corromperebbero e storpierebbero la prestigiosa lingua
castigliana; ma ciò che è certo è che tali fenomeni fanno ancora parlare di sé a distanza
di ottocento anni dalla loro nascita.
1.2 Storia dell'Andalusia
Quella che oggi chiamiamo Andalusia in realtà non ha sempre avuto gli stessi confini
geografici. Il territorio, al tempo dei Romani, era compreso nell'Hispania Baetica, ossia
nella provincia Betica, che aveva Cordova come capitale. Nel V sec., venne invasa dai
Vandali prima, dai Visigoti poi, i quali vi rimasero fino all'occupazione degli Arabi, a
inizio dell'VII sec.. Questi, a partire dal 716, riunirono tutti i territori conquistati (quasi
tutta la penisola, le Baleari, il sud della Francia) sotto il nome di Al-Andalus, dal quale
deriva oggi il nome Andalusia. Naturalmente, l'accezione attuale si riferisce a una zona
molto più ristretta rispetto ai territori musulmani di quel tempo: la corrispondenza tra
6 Ibidem, pag. 25.7 Tra i quali: Ambrosio de Salazar, Espexo general de la Gramática, Rouen, 1614 e Manuel Machado,
Estampas Sevillanas, Madrid, 1949, citati in Antonio Narbona Jiménez, Op. cit., pag. 89; José Mondéjar, Dialectología andaluza, Granada, Editorial Don Quijote, 1991.
7
queste due zone, quella storica di dominazione araba e quella attuale, si ebbe non prima
del XIII sec., quando, oltretutto, cominciarono ad apparire le prime versioni romanze
del termine arabo Al-Andalus. Negli Annali Toledani del 1218, infatti, si cita il nome
Andaluz riferito ai territori musulmani (a quel tempo già circoscritti al centro-sud della
penisola), e andaluzes vengono definiti i loro abitanti.
Non abbiamo testimonianze certe sulle origini del nome: l'arcivescovo di Toledo,
Rodrigo Ximénez de Rada, definito El Toledano, nella sua Historia latina dei popoli
germanici che invasero la penisola, fa riferimento al regno costituito dai Vandali nella
provincia Betica, al quale dà il nome di Wandalia, mentre indica i suoi abitanti come
wandalus. Quando nel 429 d.C. queste popolazioni lasciarono i territori per imbarcarsi
alla volta dell'Africa, sempre secondo il Toledano, partirono tutti da un luogo che per
l'occasione fu ridenominato Portu Wandalusiu, riconosciuto da un'opera storiografica
araba come l'isola dei vandali; questo sarebbe stato lo stesso luogo attraverso il quale
gli arabi, a quasi tre secoli di distanza, approdarono in Spagna per conquistarla, ossia
l'attuale Tarifa. Il nome di Al-Andalus si sarebbe venuto a creare, così, in base a questa
coincidenza, che “debió de servir para que los nuevos invasores dieran a la tierra que
iban señoreando el nombre del lugar que fue su puerta de entrada8”. In realtà, questa
ricostruzione etimologica presenta parecchie incertezze, ma ha avuto fortuna per via
della mancanza di altre proposte più valide.
Al-Andalus era un termine così vago da poter intendere, a seconda del contesto, i
territori musulmani, la Spagna del sud o perfino l'intera penisola. I territori centrali
conquistati da Fernando III nel primo trentennio del XIII sec., nonostante rientrassero a
quel tempo sotto questa denominazione, non erano tuttavia considerati come veri e
propri territori dell'Andaluz, poiché per i castigliani, il “vero” Al-Andalus era la più
ristretta zona al di là della Sierra Morena, la valle del Guadalquivir, cuore della civiltà
musulmana. Le conquiste effettuate tra il 1225 e il 1265, iniziate da Fernando III e
concluse da Alfonso X, sono considerate quelle decisive, in seguito all'occupazione
delle città più importanti: Andújar, Baeza, Úbeda, Cordova, Jaén, Siviglia, Cadice, Jerez
e tante altre. In un quarantennio era stato tolto agli Arabi il loro centro politico e
culturale: furono isolati, per altri duecento anni, nelle regioni sud-orientali, che
8 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 32.
8
corrispondevano ai regni di Granada, Málaga e alla zona di Almería. Il nome Andalusia,
nell'accezione attuale, nasce allora da quella coscienza, da parte dei castigliani, di aver
davvero intaccato la civiltà araba, grazie alla conquista di quei territori, e designa, in
questa fase, l'Andalusia occidentale, che si estende da Cadice a Siviglia, a Cordova, a
Jaén.
Come già detto, i territori orientali rimarranno sotto la dominazione araba per altri
due secoli, fino alle conquiste del XV sec., da parte dei Re Cattolici (Fernando
d'Aragona e Isabella di Castiglia), che posero fine alla Reconquista nel 1492, con la
presa di Granada, ultima roccaforte araba. La distanza di tempo che separa la
cristianizzazione dei territori occidentali da quelli orientali ha determinato, per molto
tempo, la differenziazione delle due aree, Andalusia e Regno di Granada, considerate da
molti storiografi e cartografi come due entità distinte: così, in alcune carte geografiche
del XV sec., troviamo differenziate la “costa del Andaluzía” e la “costa de Granada”;
nella Lozana Andaluza di Francisco Delicado9, nell'elencare le varie provenienze di
alcune donne, compaiono separate “andaluzas” e “granadinas”; in altri autori, invece,
Granada compare come uno dei centri più importanti della regione, insieme a Siviglia e
Cordoba, e lo stesso Nebrija, nel 1495, definiva Málaga come “città dell'Andalusia”10.
Effettivamente, con il ripopolamento di Granada da parte di sivigliani, cordobesi,
jiennensi, già nel XVI sec. il termine Andalusia passò a designare tutta la realtà fisica e
umana che oggi corrisponde alla regione attuale. Tale denominazione, tuttavia, fu
ufficializzata solo nel 1833, successivamente alla divisione amministrativa delle regioni
spagnole. Questa diversità nell'unità tra Andalusia occidentale ed orientale avrà, come
vedremo in seguito, non poche ripercussioni linguistiche.
9 Francisco Delicado, La Lozana Andaluza, Venezia, 1528, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 35.
10 Elio Antonio de Nebrija, Vocabulario español-latín, Salamanca (?), 1495, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 35.
9
1.3 Storia dell'andaluso
Tracciato un brevissimo quadro storico, per capire la realtà linguistica di questa
regione sarà opportuno chiedersi quanti e quali parlanti abitarono queste terre prima
della Reconquista. È, infatti, legittimo domandarsi se questa “diversità” della parlata
andalusa rispetto alla castigliana sia dovuta alla mescolanza del castigliano con altre
lingue di sostrato, ossia se quei fenomeni fonetici, tipici dell'andaluso, siano appartenuti
alle lingue parlate dalle popolazioni conquistate. Cerchiamo, pertanto, di capire chi
abitava l'Andalusia del XIII secolo.
Possiamo, prima di tutto, fare riferimento agli Arabi, che costituivano la grande
maggioranza della popolazione: quando i castigliani arrivarono in queste terre, non si
trovarono di certo davanti ai deserti campi della Mancha o alla valle del Duero, bensì a
una regione ricca e florida, costituita da campagne altamente sfruttate e popolate e centri
urbani quasi sovraffollati. La politica attuata sui territori conquistati fu durissima: nelle
grandi città i musulmani vennero, nella maggior parte dei casi, letteralmente cacciati
fuori dalle loro case e costretti a rifugiarsi nelle terre allora dominate dalla loro gente,
ossia nel regno di Granada. Le città vennero ripopolate tra i conquistatori, secondo
minuziose ripartizioni; in seguito, vi furono importati alcuni mori, provenienti da altre
parti della Spagna, affinché svolgessero le attività più degradanti, ghettizzati in quartieri
chiamati morerías o aljamas. Nelle campagne, invece, la convivenza durò ben poco: in
una prima fase, gli stessi agricoltori musulmani iniziarono a lavorare per i signori
cristiani, ma, dopo una violenta rivolta contadina nel 1264, istigata dai mori del regno
granadino, la repressione dei castigliani si trasformò in rappresaglia, culminando con la
cacciata definitiva degli arabi anche dalle zone rurali. In sostanza, nel giro di un
quarantennio, quella che era una regione densamente arabizzata fu totalmente spopolata
e ripopolata da cristiani provenienti da tutte le parti della penisola. E poiché la varietà
linguistica andalusa ebbe origine proprio in questo periodo, va da sé che le presunte
ipotesi di una contaminazione della lingua castigliana per bocca degli arabi quale
possibile origine della varietà andalusa sono pressoché infondate. Infatti, come abbiamo
visto, la popolazione musulmana ancora rimasta ad abitare quelle terre era sprofondata
10
ai ranghi più bassi della società ed era stata rinchiusa nei ghetti: è difficile, quindi,
pensare che fenomeni fonetici di così larga diffusione siano provenuti da abitudini
linguistiche di popolazioni allora ormai minoritarie e di scarso prestigio sociale11.
Una considerazione a parte va fatta per quelle popolazioni cristiane che vivevano
nell'Al-Andalus musulmano, i cosiddetti mozarabi (da un'etimologia araba che significa
proprio “arabizzati”): quelle popolazioni, cioè, di origini iberoromane che abitavano la
penisola al tempo della conquista araba, le quali, grazie alla tolleranza dei conquistatori,
poterono continuare a vivere in quelle terre. La loro presenza fu registrata in quasi tutti i
territori conquistati, da Toledo a Saragozza, a Lisbona. Tuttavia, durante le prime fasi
della Reconquista, la minaccia cristiana, sempre incombente, generò un'intolleranza
verso la popolazione mozaraba, la quale, sospettata come potenziale complice del
nemico, dovette subire dure repressioni e persecuzioni: in alcuni casi, come quelli di
Granada o Malaga, la maggior parte di essi riuscì a fuggire, rifugiandosi in territori
cristianizzati della penisola; in altri, invece, vennero espulsi o sterminati. La lingua
parlata da queste popolazioni era di origine romanza: del latino manteneva la struttura
sintattica e relegava gli influssi arabi all'ambito lessicale. Tuttavia, non era una lingua
esclusiva dei cristiani, né tantomeno della totalità di essi: così come molti di questi
erano totalmente arabizzati, c'erano altrettanti arabi che parlavano il mozarabo. Oggi
possediamo non molte attestazioni di questa antica lingua, che con tutta probabilità si
estinse insieme ai suoi parlanti, in seguito alle persecuzioni del XII sec.: le uniche
testimonianze pervenuteci sono proprio quelle di poeti arabi, che inserivano strofe di
chiusura (dette khargiat) in lingua mozaraba nei loro componimenti. Si può dire che
costituiscano un vero e proprio genere indipendente: appaiono nel XI sec., ma non
durano più di due secoli, tanto che già agli inizi del XIII sec. non ne abbiamo più
traccia. Oltre ai fatti appena citati, la mancanza di ulteriori documenti scritti, che
testimonino la presenza viva di questa lingua, ci dimostra, con grande probabilità, come
non esistesse più un bilinguismo esteso arabo-romanzo nell'Andalusia riconquistata12.
Nel Regno di Granada, l'influsso romanzo fu molto evidente nella lingua araba parlata,
anche nelle sue varietà più colte; tuttavia, la varietà romanza responsabile della
contaminazione non sarebbe un mozarabo autoctono, bensì lo stesso castigliano, che le 11 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 39-42.12 Ibidem, pag. 40.
11
popolazioni granadine conoscevano molto bene per necessità pratiche, nonché per via
della vicinanza con i territori della Castiglia; esso fu arricchito anche da qualche
influsso aragonese13.
In ogni caso, come è già stato chiarito per la lingua araba, anche l'eventuale ipotesi di
una contaminazione mozaraba del castigliano, come possibile causa della formazione
della varietà andalusa, sarebbe infondata, per via dell'assenza fisica di parlanti mozarabi
nella zona all'arrivo dei castigliani: quand'anche si voglia considerare un'eventuale
prosecuzione di questa lingua da parte dei musulmani, questa non avrebbe potuto
comunque influire, come nel caso dell'arabo (decisamente più diffuso), sulla nuova
varietà andalusa creatasi dopo la Reconquista. Di conseguenza, esclusa qualsiasi
possibile contaminazione di sostrato, i fattori responsabili dei fenomeni fonetici
innovatori dell'andaluso sono da ricercare nella lingua dei parlanti che ripopolarono
l'Andalusia dopo la sua conquista14.
A questo punto, ci potremmo chiedere da dove provenivano quelle centinaia di
caballeros che si stabilirono sul territorio in questione. I dati di cui disponiamo ci
forniscono una visione parziale, ma determinante, ai fini della nostra ricerca: nella più
volte citata opera di A. Narbona, R. Morillo-Velarde e R. Cano, El español hablado en
Andalucía15, si fa riferimento a due fasce diverse di ripopolamento: la città di Jaén fu
conquistata partendo da Toledo, e questa dev'essere stata la provenienza della maggior
parte dei colonizzatori; invece, l'Andalusia più occidentale, ritenuta punto di partenza
delle nuove innovazioni linguistiche, presenta un prospetto del tutto diverso: i
colonizzatori erano per l'80% provenienti dalla Castiglia e dal Leòn, e, per il resto, dagli
altri regni iberici, tra i quali la Galizia e, in minor misura, le Asturie e l'Estremadura,
che, recentemente conquistata, aveva bisogno anch'essa di essere ripopolata. In
particolare, per la città di Siviglia, furono importanti gli apporti linguistici leonese e
castigliano, che possiamo considerare le due provenienze più importanti della zona,
seguite, solo in minor parte, da quelle aragonesi, in particolar modo catalane16. Per
quanto riguarda il regno di Granada, invece, il ripopolamento avvenne per la maggior
13 Ibidem, pag. 38.14 Ibidem, pag. 42.15 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit.16 Ibidem, pag. 44.
12
parte ad opera degli andalusi stessi: importante la presenza cordovese e jiennense, in
special modo nella città di Granada, e quella di sivigliani e gaditani a Màlaga. Da
segnalare anche la presenza, seppur minore, di altre provenienze iberiche, una fra tutte
quella dei murciani, e persino extraiberiche: la più rilevante colonia straniera fu quella
genovese, presenza dovuta agli intensi commerci tra le città costiere del Mediterraneo.
Tuttavia, sembra abbastanza chiaro che la stragrande maggioranza della popolazione
andalusa nel XIII sec. fosse proprio castigliana e che la lingua ivi parlata, al netto di
alcune semplificazioni e contaminazioni con altri dialetti della penisola, fosse il
castigliano dell'epoca: a difesa di quest'ipotesi, disponiamo dell'autorità di molti
studiosi, tra i quali i succitati Antonio Narbona Jiménez e Rafael Cano Aguilar, i quali
evidenziano che “todo parece indicar que desde el comienzo de su andadura histórica
Andalucía no tuvo otra lengua que el castellano de Castilla17”. Inoltre, R. Cano Aguilar
aggiunge:
El habla andaluza nació, según todo lo que hoy sabemos (y es bastante), como una
variación del castellano, como una solución semplificadora en unos casos pero no
en otros, de problemas estructurales del idioma, y en una sociedad fronteriza,
abierta e hiperbólica18.
Sarà dunque il castigliano del XIII sec. la nostra lingua di partenza, dalla quale
iniziare per analizzare l'evoluzione dei fenomeni fonetici che già al secolo successivo
cominciarono ad emergere come nettamente distinti dalle forme originarie19. Le prime
testimonianze di una varietà propriamente andalusa, citata parallelamente ad altre
parlate già in piena affermazione, risalgono pressappoco alla metà del XIV secolo. Le
prime caratteristiche evidenti riguardavano il vocabolario, in quanto ricco di arabismi, e
l'espressività, il modo di concepire la realtà, definiti sotto la luce dell'esagerazione,
dell'iperbole: Antonio Narbona cita alcuni versi del Libro de Buen Amor di Juan Ruiz,
Arciprete di Hita, che già nel 1340 scrive: “tomé senda por carrera / como faz el
17 Ibidem, pag. 46.18 Rafael Cano Aguilar, “Algunas reflexiones sobre la lengua española en Andalucía”, Cauce: Revista de
filología y su didáctica, 1992, n°14-15, pag. 56.19 Non è ancora possibile parlare di una “norma”, realizzatasi soltanto con l'ufficializzazione del
castigliano come unica lingua della Spagna, nel XVI sec.
13
andaluz20”, alludendo così alle attitudini iperboliche nell'espressione di certi concetti.
I primi giudizi sulla pronuncia, invece, risalgono al XV sec.: vengono distinti
“leoneses e sevillanos e gallegos21”, in quanto articolavano alcuni suoni in modo diverso
dai castigliani. Bisogna considerare che in questo secolo la città di Siviglia è già
diventata un centro urbano di riferimento per tutta la regione e che molto probabilmente
le abitudini linguistiche innovatrici si sono diffuse proprio a partire dalla parlata urbana
di questa città. Il fatto che i sivigliani vengano paragonati ai galiziani in quanto a
diversità linguistiche rispetto alla Castiglia non è da sottovalutare: la Galizia, nonostante
a quel tempo fosse già dominio castigliano, ha sempre posseduto una lingua propria, il
galego, diretto discendente del latino, che presenta, dunque, un'evoluzione fonetica e
morfologica nettamente distinta dal castigliano. Gli esempi e le citazioni che riguardano
attitudini linguistiche andaluse si susseguono intensamente nei secoli XV e XVI,
dividendosi tra giudizi positivi e giudizi negativi. Citiamo i due massimi esempi,
dell'una e dell'altra attitudine, del XVI sec.: Francisco Delicado22 e Juan de Valdés23. Il
primo, cordovese, grande intellettuale e letterato, in un'introduzione a un'opera da lui
rieditata24, afferma che la lingua degli abitanti originari dell'Andalusia, paragonata al
modello toledano, si conforma meglio al castigliano di Castilla la Alta, poiché quella
era la provenienza dei primi colonizzatori, con la sola differenza che il clima “delicato e
gentile” della regione ha reso la pronuncia degli andalusi più fine ed elegante. In
sostanza, Delicado non intende minimamente prendere le difese dello spagnolo
d'Andalusia come lingua diversa dal castigliano, anzi si affretta a garantirne la
correttezza e la purezza, a considerarlo come “buen castellano”25.
D'opinione del tutto differente è Juan de Valdés, castigliano puro, intellettuale colto
ed erasmista, iniziatore della questione della lingua in Spagna, che porterà all'elevazione
del volgare castigliano a lingua di prestigio. La sua opera più importante al riguardo, il
20 Juan Ruiz “Arcipreste de Hita”, Libro del Buen Amor, 1330, 13a ed., Madrid, Castalia, 1977.21 Nella Biblia de Alba, ossia una traduzione castigliana della Bibbia di Mosé Arragel de Guadalajara,
Maqueda, 1422-1430, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 48.
22 Francisco Delicado, prefazione al Primaleón, Venezia, 1534, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 49.
23 Juan de Valdés, “Diálogo de la lengua”, Napoli, 1535, in Eduard Boehmer, “Diálogo de la lengua und refranes”, Romanische Studien, Lipsia, ed. Eduard Weber, 1895, pags. 339-508.
24 Primaleón, romanzo cavalleresco spagnolo, pubbl. per la 1a volta a Salamanca, 1512.25 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 49.
14
Dialogo de la lengua26, è tutta incentrata sul castigliano quale nobile discendente del
latino e sulla correttezza di alcune sue forme, in base all'eleganza e al prestigio, nonchè
all'accettazione delle stesse da parte dei parlanti colti. Più di una volta l'autore, presente
all'interno del dialogo come personaggio, rifiuta con disprezzo i riferimenti e le allusioni
che i suoi interlocutori fanno alla più importante opera di grammatica castigliana27 fino
ad allora conosciuta, quella di Antonio de Nebrija (originario di Lebrija, andaluso),
nonché al suo vocabolario spagnolo-latino28. Si giustifica così:
VALDÉS.- ¿Por qué queréis que me contente? ¿Vos no veis que, aunque Librija era
muy docto en la lengua latina, que esto nadie se lo puede quitar, al fin no se puede
negar que era andaluz y no castellano, y que escribió aquel su Vocabulario con tan
poco cuidado que parece haberlo escrito por burla?29
Spiega, qualche riga più avanti, che “no alcanzaba la [verdadera significación] del
castellano, y esta podría ser, porque él era de Andalucía, donde la lengua no stá muy
pura30”. Più avanti, qualche altra sporadica citazione torna a ribadire lo stesso concetto:
“como aquel hombre no era castellano, sino andaluz, hablava y escrivía como en el
Andaluzía y no como en Castilla31”. Su queste critiche di Juan de Valdés al dotto autore
lebrijano ci sarebbe qualcosa da ridire: esse non si basano su molti dati linguistici, posto
che si riferiscono ad erronee traduzioni dal latino al castigliano, all'utilizzo del prefisso
en- invece di a- in alcune parole e, solo in casi eccezionali, a variazioni ortografiche.
Errori che possono sì essere attribuiti al Nebrija in quanto autore, ma non di certo al suo
essere andaluso, poiché nessuno di essi è riconducibile a fatti propri o esclusivi
dell'Andalusia. Oltretutto, se è vero che in Andalusia si parlava in modo distinto dalla
Castiglia, la lingua scritta non poteva che essere la medesima32. Manuel Álvarez García,
analizzando i succitati passi del Dialogo de la lengua, avanza qualche riserva sull'opera
del Nebrija, ammettendo che a volte poteva succedere che “ciertos usos de la lengua
26 Juan de Valdés, Op.cit.27 Si tratta della Gramática de la lengua castellana, Salamanca (?), 1492.28 Elio Antonio de Nebrija, Op. cit., 1495.29 Juan de Valdés, Op. cit., pag. 343.30 Ibidem, pag. 344.31 Ibidem, pag. 370.32 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 50.
15
hablada en esa región llegaban a la lengua escrita33”, motivando, quindi, quegli errori
ortografici come errori dovuti alla pronuncia; oltretutto, è necessario ricordare che
l'uomo contro cui Valdés rivolge le sue critiche era l'autore della prima Grammatica
Castigliana, e dunque l'elencazione degli errori ivi contenuti ha una valenza critica
maggiore, per via della quale egli consiglia vivamente di non considerarla più come
fonte autorevole34.
Passando alla situazione odierna, in base ad alcune analisi sociolinguistiche, tra i
parlanti andalusi che avvertono la propria pronuncia come differente da quella standard,
sarebbe abbastanza diffusa la tendenza a considerare la propria lingua come una
“corruzione” del castigliano, caratterizzata da un'errata pronuncia ormai radicata nelle
proprie abitudini linguistiche. Questa credenza sembra essere frutto di un pregiudizio
che, a partire dalle affermazioni di Valdés fino ad oggi, si è andato via via nutrendo di
considerazioni del tutto superficiali. Secondo alcuni, il culmine di questo processo si
sarebbe esplicitato in un certo “complesso d'inferiorità”35 avvertito dalla popolazione di
lingua andalusa. Da circa un trentennio, infatti, si sono verificate delle reazioni contrarie
da parte di studiosi e linguisti, ma anche di enti amministrativi, che hanno
profondamente influenzato l'opinione pubblica sulla questione andalusa. Si tratta di
proposte, talvolta anche di decreti amministrativi in cui si propizia la tutela linguistica
della parlata andalusa, sulla scia di altre Comunità Autonome spagnole36, che hanno
ottenuto il riconoscimento della loro lingua, a fianco del castigliano, come idioma
ufficiale della regione. Tuttavia, si potrebbe obiettare contro chi ha promosso queste
rivendicazioni linguistiche in Andalusia che l'unica “lingua” della regione è lo spagnolo.
La modalità linguistica andalusa non è altro che una varietà parlata, un differente modo
di pronunciare la lingua castigliana, e questo è ben presente nella coscienza collettiva
degli andalusi, poiché “tienen claro que hablan el español de Andalucía, si se prefiere,
el español andaluz37”. Aldilà dell'ambito fonetico sono presenti altre divergenze a livello
morfologico, sintattico, lessicale, ma sempre in netta minoranza rispetto alle prime.
33 Manuel Álvarez García: “Consideración de la modalidad lingüística andaluza en el 'Diálogo de la lengua' y en la actualidad”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, 2004 , n° 27, pag. 30.
34 Ibidem.35 Per una maggiore chiarezza sull'argomento si rimanda alla nota 3.36 La Catalogna, la Galizia e i Paesi Baschi.37 Antonio Narbona Jiménez, Op. cit., pag. 96.
16
CAPITOLO II
Fenomeni fonologici dello spagnolo d'Andalusia
Come già accennato, l'ambito linguistico in cui si riscontra il più alto numero di
innovazioni, la cui produzione non è mai cessata, è quello della fonetica. Sia per ordine
di importanza che per ordine cronologico, sarà bene occuparsi prima di tutto dei
fenomeni fonetici che hanno caratterizzato sin dai primi secoli di ricolonizzazione la
parlata andalusa.
2.1 Il seseo-ceceo
Il primo fenomeno riscontrato nell'Andalusia del XV secolo è quello del seseo-ceceo,
intendendo:
• con seseo, “el trueque de s por c, z”, ossia la pronuncia predorsodentale [s] della
fricativa interdentale sorda castigliana [θ]: per esempio, la parola cielo pronunciata
come ['sielo];
• con il termine ceceo, la tendenza opposta, ossia quella di pronunciare la s
castigliana come un'interdentale [θ]: per esempio, la parola siesta pronunciata
['θjeθta].
Occorre precisare che il fenomeno non è riscontrabile in tutta la regione e che il
17
seseo non è neppure esclusivo dell'Andalusia, poichè lo ritroviamo anche in altre regioni
della penisola, quali la Galizia, la Catalogna, la Comunità di Valencia, i Paesi Baschi e
nella maggior parte dei territori dell'America Latina, dov'è probabilmente arrivato per
bocca dei primi conquistatori. Per spiegare le ragioni di questo mutamento fonetico,
occorre ricostruire la storia dei due fonemi ripartirtendo dal sistema delle sibilanti
castigliane nel Medioevo, che erano in origine quattro:
• La s, in posizione intervocalica, rappresentata graficamente come -ss-, dalla
pronuncia presumibilmente analoga alla s castigliana attuale, ossia apicale [s�];
• La s, in posizione intervocalica, rappresentata graficamente come -s-, dalla
pronuncia sonora, anch'essa apicale [z�];
• La c, in posizione intervocalica rappresentata graficamente come ç, dalla pronuncia
affricata sorda [ts];
• La z, in posizione intervocalica, dalla pronuncia affricata sonora [dz]38.
La situazione può essere così schematizzata:
Grafia Pronuncia Esempis
-ss- [s�] pensar, saber, passo
-s- [z�] cosa, rosa
-ç-c [ts] plaça, açucar,
ciento
z [dz] dezir, amenaza
Questa impostazione medievale permane in tutte le parlate della penisola fino al XIII
secolo circa, proprio in piena fase di Reconquista dell'Andalusia. Il primo
riassestamento dei suoni riguarda l'indebolimento delle affricate c-ç e z, che si
evolvono, durante una breve fase intermedia, in due suoni fricativi sonori dentali [s] e
[z], distinti dagli altri due soltanto per la posizione della punta della lingua (apicale-
dentale). La pronuncia castigliana nel corso del XVI secolo tende ad anteriorizzare
38 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 56.
18
questa coppia di nuovi suoni, mentre, contemporaneamente, interviene un altro
mutamento: la perdita del tratto sonoro delle sibilanti, che comporta così
un'assimilazione dei fonemi sordi [s�] e [θ], dimezzando di fatto il sistema.
Castigliano Medievale
Processi di riassestamento fonetico nei secoli XIII-XVIICastigliano
OdiernoIndebolimento delle affricate Anteriorizzazione Perdita del tratto
sonoro
[s�] - [z�] Ø Ø [s�] [s�]
[ts] - [dz] [s] - [z] [θ] - [] [θ] [θ]
Questa tabella riassuntiva tiene conto di una fra le tante ricostruzioni del processo,
cioè quella che prevede l'anteriorizzazione precedente alla perdita del tratto sonoro39.
Altri studi, invece, ipotizzano l'anteriorizzazione come fenomeno successivo alla perdita
del tratto sonoro, per cui non si sarebbe mai arrivati ad avere un fonema sonoro
interdentale [], ma si sarebbe passati direttamente dalla fricativa sorda dentale [s] a
quella interdentale [θ]40. Sinteticamente, possiamo riassumere la questione considerando
che un processo fonetico di tale portata, durato un secolo, non può avere avuto delle
tappe così “nette”, come tendono a illustrare questi studiosi. È molto probabile che la
contemporaneità dei suddetti mutamenti fonetici abbia generato diverse realizzazioni
intermedie, che variano da zona a zona, prima di confluire nel riassestamento
conclusivo. Che il secolo XVI abbia conosciuto un certo livello di anarchia fonetica,
specialmente nelle varietà distanti dalla Castiglia, ce lo dimostra il celebre studio di
Amado Alonso, Historia del ceceo y del seseo españoles41, che colloca l'origine del
fenomeno seseante-ceceante proprio in queste imprecise tappe intermedie del processo
39 Marco Antônio de Oliveira, “Sobre a questão do seseo-ceceo andaluz”, Caligrama: Revista de Estudos Românicos, vol. 3, pag. 9.
40 Leticia Rebollo Couto, “Estudios de fonética experimental y variedad de acentos regionales en español”, Lengua y cultura en la enseñanza del español a extranjeros: actas del VII Congreso de ASELE, 1998, pags. 365-372.
41 Amado Alonso, “Historia del ceceo y del seseo españoles”, Thesaurus, tomo VII, 1951, pags. 111-200.
19
di riassestamento fonologico castigliano.
Amado Alonso illustra la sua particolare teoria, in cui viene spiegato in modo
dettagliato come il fenomeno seseante stia, in realtà, alla base di tutta la ristrutturazione
delle sibilanti castigliane. Il processo sarebbe avvenuto in tre tappe: spesso la prima
viene situata in epoca tardomedievale, sulla base del riscontro di scambi ortografici di -s
e -z finali, specialmente nei patronimici: Peres, Ferrandes, Martines, Dias e via di
seguito, secondo un'ampia cronologia di posteriori attestazioni. Considerato che “las
consonantes finales siempre han tenido en español menos rasgos diferenciales que en
comienzo de sílaba42”, il seseo della -z sarebbe dunque, secondo Alonso, la prima
frattura del sistema fonologico spagnolo. Rintracciare proprio in questo punto debole la
causa scatenante di tutti i mutamenti fonetici avvenuti tra i secoli XIII e XVII potrebbe
sembrare banale, nonostante trovi una ragguardevole conferma in un corpus di 89
documenti, sivigliani e cordovesi, che abbracciano l'arco temporale 1324-1500,
analizzati anche in tempi più recenti da Cynthia J. Kauffeld43; questi manoscritti
registrano numerosi errori ortografici, facilmente ricollegabili a fenomeni fonetici in
evoluzione. Tuttavia, non si può dire con precisione se si tratta effettivamente di
pronunce differenti o semplicemente di varianti grafiche; in moltissimi altri documenti
castigliani del tempo troviamo, infatti, scambi di s per z, quando quest'ultima aveva
ancora una veste grafica diversa, più simile a un 5, e quindi facilmente confondibile con
la s44. Volendo seguire il ragionamento di Alonso45, se è vero che un cambiamento
fonetico si produce a partire da un fatto isolato e avanza vincendo le resistenze in
ordine da minore a maggiore, la resistenza minore è sicuramente quella di s e z finali.
La seconda tappa del fenomeno investirebbe i due fonemi in posizione intervocalica.
La teoria di Alonso trova una certa conferma nell'evidente particolarità di seseo di
alcuni paesi vicino Zamora, al sud di Salamanca o al nord di Cáceres, tutti distanti
dall'Andalusia: in alcuni di questi si pratica il seseo solo per la -z finale, mentre in tutti
gli altri casi è praticata la distinzione dei due fonemi; altri due paesi (Hermisende e
42 Ibidem, pag. 162.43 Cynthia Kauffeld, “Electronic texts and concordances of Andalusian documents (1324-1500),
Madison: Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1999.44 Engracia Rubio Perea, “Rasgos lingüísticos en textos andaluces (1324-1500)”, Tinkuy: Boletín de
investigación y debate, Montréal, 2008, pag. 3.45 Amado Alonso, Op. cit..
20
Calabor) invece praticano il seseo per tutte le z, finali o intervocaliche, ma non per
quelle che erano le antiche c, ç; di conseguenza, pronunciano vesino, aseite, cruses con
s sonora, ma cabeza, praza, fouce con la z castigliana moderna [θ]46. Oltretutto, Juan de
Valdés, in merito alle varie disquisizioni sulle grafie e le pronunce del castigliano del
suo tempo, segnala la tendenza di alcuni a pronunciare la z come s (sonora), “y por
hazer dicen haser, y por razón, rasón, y por rezio, resio, etc.47”, non facendo riferimento
alcuno alle sorde ss e ç.
La terza tappa sarebbe quella decisiva, perché si innesta nel processo di
ristrutturazione fonologica. Se fino a questo punto il castigliano continuava a coincidere
con l'andaluso (casi di seseo di z sono oltretutto ampiamente attestati in documenti
toledani del XV secolo48), durante la fase di indebolimento delle affricate (di cui si è
discusso sopra) il fenomeno seseante andaluso investe anche la ç: ciò è facilmente
spiegabile partendo dal fatto che, in seguito alla perdita del tratto occlusivo delle
affricate, a distinguere s e ç restava soltanto il punto d'applicazione della lingua (apicale
per la s, predorsodentale per la ç). Alla fine del XV secolo cominciano dunque le grafie
equivoche, con scambi di s e ç, che dimostrano effettivamente come fosse già in atto
questa terza fase del processo. La Castiglia, che avrebbe poi risolto la precarietà del
sistema con l'anteriorizzazione della ç, denuncia quest'innovazione andalusa come
corruzione: alla metà del XVI secolo, gli scambi di s e ç erano diventati anarchici, senza
alcuna sistematicità.
A tal proposito citiamo, sempre seguendo l'analisi di Amado Alonso, la testimonianza
autorevole di Arias Montano, un erudito nativo di Badajoz, che nel 1588 così scrive,
riferendosi alla situazione del ventennio precedente:
A no ser por la diferencia de algunos vocablos, no distinguirías en nada a un
sevillano de un valenciano, ya que ambos truecan la s por la zz, y al revés la zz o ç
castellana por la s; [...] Pero esto no nacido de la naturaleza del aire andaluz, que es
46 Ibidem, pags. 161-162.47 Juan de Valdés, Op. cit., pag. 366.48 Ricordiamo che la lingua ufficiale di Toledo era, a quel tempo, considerata come modello ufficiale
dello spagnolo.
21
puro y saludable, sino de la negligencia e incuria o del vicio de la gente49.
Secondo questa testimonianza, nell'arco del ventennio 1546-1566 si sarebbe
verificata una rivoluzione fonetica, con centro di irradiazione la città di Siviglia, nel suo
periodo di auge, per via dei sempre più intensi viaggi commerciali verso il Nuovo
Mondo. In realtà, è evidente che il breve periodo a cui si riferisce Montano non è altro
che il culmine di un lento processo che, secondo questa teoria, ha inizio quasi due secoli
prima; tuttavia, è qui che si avrebbe la svolta decisiva, quando cioè un mero fatto di
parole si innalza a livello della langue50. È importante notare che in questa fase non si
può parlare propriamente di seseo, bensì di confusione anarchica delle due sibilanti: lo
scambio non è sistematico, ma avviene a volte in modo asimmetrico (una al posto
dell'altra), a volte in modo totale (una al posto dell'altra e viceversa, per cui si può
arrivare a pronunce invertite, ad es. *censillo per sencillo).
Se finora abbiamo parlato solo del fenomeno seseante, è legittimo chiedersi quando e
come si possa invece parlare di ceceo. Amado Alonso cita tantissime testimonianze, fra
cui il famoso a silentio dell'autorevole Nebrija51, il quale, nel 1507, definisce ceceosos
soltanto gli spagnoli che per un difetto fisico non riescono a pronunciare la s castigliana,
riproducendo il suono come una fricativa interdentale (simile alla z castigliana di oggi);
l'autore lebrijano, inoltre, si burla dei francesi, in quanto pronunciavano come s il suono
ç. Se al suo tempo la pronuncia dei sivigliani fosse stata ceceosa o seseosa per
caratteristica dialettale, difficilmente questi ne avrebbe taciuto l'esistenza52. Le prime
attestazioni di ceceo vero e proprio, illustra Alonso, cominciano ad apparire solo agli
albori del XVII secolo, con punto di partenza la città di Siviglia: nel 1611 Sebastián de
Covarrubias, toledano, nel Tesoro de la lengua castellana53 definisce “hablar ceço o
49 Arias Montano, De varia Republica sive Commentaria in Librum iudicum, Antuerpiae, 1592, pags. 494-495, trad. da R.J. Cuervo in Disquisiciones filológicas, Bogotà, Centro, 1939, pag. 39-40, citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 112.
50 Amado Alonso, Op. cit., pag. 199. L'autore qui utilizza la terminologia del linguista ginevrino Ferdinand De Saussure, illustrata nel Cours de lingüistique génerale (1916), intendendo con il termine parole l'atto linguistico individuale, con langue il sistema linguistico condiviso dalla comunità dei parlanti.
51 Antonio de Nebrija fu uno studioso originario di Lebrija, autore della prima Grammatica Castigliana, nonchè di un vocabolario Castigliano-Latino e di moltissime altre opere filologiche sulle origini della lingua spagnola.
52 Amado Alonso, Op. cit., pag. 123.53 Sebastián de Covarrubias, Tesoro de la lengua castellana o española, Madrid, editore Luís Sánchez,
22
cecear” la pronuncia di “ceñor por señor”. Tre anni dopo, Bartolomé de Ximénez Patón,
manchego, sembra avere già le idee più chiare al riguardo:
En Sevilla ordinariamente convierten la S en C, y pienso que de vicio, diciendo
Cevillano, ceñor, ci. En Valencia al contrario, [...] por c ponen s, como diciendo
Mersed, Sapato [...] y assí a lo sevillano llamamos zezear y a lo valenciano
sesear54.
Non crediamo per certo che agli inizi del '600 il fenomeno ceceante fosse già così
netto, ma è più probabile l'ipotesi che Ximénez Patón, dalla sua prospettiva di
castigliano della Mancha, abbia riunito nel termine zezear la tendenza anteriorizzante
delle sibilanti nella pronuncia sivigliana, distinta da quella delle altre città
dell'Andalusia55. È noto, infatti, che a Siviglia in quel periodo la s era divenuta
predorsale, quindi nettamente anteriorizzata rispetto all'apicale castigliana. Il particolare
seseo sivigliano, dunque, alle orecchie di un castigliano, era più assimilabile al ceceo,
mentre quello valenciano, che manteneva la s apicale castigliana, era riconosciuto come
seseo. Di conseguenza, se la testimonianza di Ximénez Patón ci dimostra come nel
XVII secolo Siviglia avesse già portato avanti un processo di anteriorizzazione delle
sibilanti, dando così origine al ceceo, non possiamo prendere per buona la
generalizzazione che estenderebbe il fenomeno alla totalità dei sivigliani.
Un'altra importante testimonianza è quella che prende in esame lo spiccato ceceo
delle dame sivigliane, che viene lodato come dolce e piacevole all'ascolto, entrato
successivamente in uso nella parlata delle dame di corte; gli stessi uomini, per apparire
più nobili e gentili, seguirono questa moda, quella del cecear por gracia, attaccata da
molti come vizio e ben presto designata come tipica degli effeminati. Così scrive
Gonzalo Correas:
1611, citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 129.54 Bartolomé de Ximénez Patón, Epítome de la ortografía latina y castellana, Baeza, 1614, fols. 18-19,
citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 130.55 Tale ipotesi è confermata da Antonio Narbona Jiménez, che ne tiene conto nella sua ricostruzione del
fenomeno: “Mas bien parece, [...] si aceptamos que cecear en aquel tiempo también significó 'sesear con s dental', que una y otra modalidades [...] nacieron más o menos al mismo tiempo” (Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 64).
23
[...] la suavidad del zezeo de las damas sevillanas, ke hasta los onbres le imitan por
dulze. [...]No fue natural el zezear en los primeros, sino afetazión, i en los
susezores mala kostunbre en ke se krían. Vése claro en ke lo pierden viniendo a
Kastilla, i en estos dos nonbres kasa en ke se bive y kaza de monte, ke los truekan
komo de industria i por la kasa dicen kaza, i por kaza dicen kasa, i ansí otros. [...] I
son por ellos rreídos [...], porke hablando kieren más parezer henbras o serpientes
ke onbres o ke palos56.
Alla metà del XVII secolo le tendenze sembrano essere già più nette e distinte, e il
fenomeno sembra essersi assestato, dato che si definiscono precise aree di ceceo, aree di
seseo e aree di distinzione, coincidenti più o meno con quelle odierne (tranne che per le
aree di ceceo, che oggi sono in netta diminuzione, come vedremo più avanti):
• Le aree di ceceo riguardano la “Costa del Andaluzía”, ossia quella atlantica,
partendo dal sud di Huelva passando per Cadice, Siviglia, Málaga fino ad arrivare
a sud-ovest di Granada.
• La zona di Cordova mantiene la fase di seseo, insieme alla zona nord di Siviglia.
• Jaén, Almería e le relative provincie praticano la distinzione castigliana dei due
suoni; Granada si divide quasi a metà fra distinzione e ceceo57.
Tuttavia, queste aree, che abbiamo descritto in modo estremamente semplificato
come unitarie, in realtà risultano parecchio frammentate al loro interno. Innanzitutto
perché non esiste un solo tipo di s in Andalusia: alcuni studiosi, come Ramón Morillo-
Velarde o Rafael Cano, distinguono nella regione sette varianti di s, a partire
dall'apicoalveolare concava, ossia la castigliana, e la sua variante apicocoronale piano-
concava, passando per la coronale piana, detta cordovese, la corono-predorsale piano-
convessa, la predorsale convessa, detta sivigliana, la predorsale convessa semisonora e
la predorsale convessa interdentalizzata58. Benché tutte e sette siano presenti in territorio
56 Gonzalo Correas, Ortografía Kastellana nueva i perfeta, Salamanca, Editore Jacinto Tabernier, 1630, pags. 11-12, citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 132.
57 Amado Alonso, Op. cit., pag. 178-181.58 Ramón Morillo-Velarde Pérez: “La s- prevocálica andaluza. Interpretación dialectal desde la
lingüística no discreta”, Archivo de filología aragonesa, Saragozza, vol. 59-60, tomo II, 2004, pags. 1541-1544.
24
andaluso, sono tre quelle distinguibili per i “non addetti ai lavori”, ossia, oltre a quella
castigliana, le succitate s cordobese ed s sivigliana, l'una più centralizzata, simile a
quella italiana o francese, l'altra più avanzata, simile al suono interdentale castigliano. Si
propone uno schema che le ordina dalla più posteriore alla più anteriore; come è
possibile notare, la differenza non risiede soltanto nel punto d'applicazione della lingua,
bensì anche nella posizione che assume (concava, piana, convessa ecc.):
Apicoalveolare concava
Apicocoronalepiano-concava
Coronale piana
Corono-predorsalepiano-convessasorda e sonora
Predorsaleconvessa
Predorsaleconvessa
semisonora
Predorsaleconvessa
interd.
Standard(Castigliana)
Nord-est di Huelva, nord di Siviglia, nord-est di
Cordova, nord di Jaén
Córdobae aree di
seseo
Punti isolati delle province di
Huelva, Jaén e nell' Andalusia
della E59,
Siviglia, Cadice, nord di Málaga
Sud-est di Siviglia
Registri popolari di
Siviglia, sud di Huelva,
Cadice, Málaga e
costa granadina
Considerando le ipotesi di alcuni studiosi60 che pretendono di assimilare la tipica s
predorsale sivigliana alla s dei Mori, Amado Alonso si affretta ad evidenziare la fallacia
di questa congettura, poiché, sin dai primi manoscritti, la pronuncia dei moriscos viene
definita come xexeo, ossia con suono fricativo palatalveolare, per via dell'assimilazione
con la ŝin di origine araba medievale61.
La seconda variante di frammentazione è dettata dal fatto sociale: non esistono nette
zone di seseo o ceceo, dove cioè ogni nucleo urbano pratica le stesse pronunce, nè
tantomeno all'interno di ogni nucleo esiste un'omogenea distribuzione delle tendenze. In
tutto il territorio andaluso sono stati registrati almeno otto modelli di tendenza
differenti:
59 La zona così denominata da Dámaso Alonso, al confine tra le province di Siviglia, Cordoba e Málaga. 60 Ad. es. Tomás Navarro Tomás, “La frontera del andaluz”, Revista de Filología Española, tomo XIX,
1933, pags. 271-273.61 Amado Alonso, Op.cit., pag. 173.
25
• Distinzione dei due fonemi, con s castigliana (modello standard);
• Distinzione dei due fonemi, con s cordovese;
• Distinzione dei due fonemi, con s sivigliana;
• Confusione seseante con s cordovese;
• Confusione seseante con s sivigliana;
• Confusione ceceante;
• Confusione con suono intermedio tra l'assibilazione e l'interdentalizzazione;
• Confusione anarchica di assibilata e dentointerdentale, fuori da criteri etimologici,
che oggi viene definita ceseo o seceo62.
Come si può vedere, esistono quasi tutte le varianti logiche, e si potrebbe sostenere che
sono tutte testimoni di fasi intermedie di sviluppo del fenomeno. Vale la pena notare,
oltretutto, che il suddetto fenomeno di ceseo-seceo corrisponde, a livello concettuale,
alla situazione anarchica della Siviglia di metà del XVI secolo, in cui entrambi i suoni
venivano pronunciati distintamente, ma sbagliando le corrispondenze etimologiche.
Per quanto riguarda la diffusione del seseo, sembra che non sia avvenuta esattamente
per espansione, a partire da un fuoco centrale. Come specifica Amado Alonso, “hoy
aparece como un continente lo que en un principio fue un archipélago63”, in quanto non
possiamo stabilire un centro principale di irradiazione dei mutamenti fonetici: la
tendenza di tipo seseante è nata indipendentemente in zone del tutto isolate fra loro,
come piccole scintille separate. La sua apparizione e la successiva propagazione,
dunque, non può essere spiegata con la vecchia "teoria delle onde": siamo di fronte ad
un'irradiazione capillare, che solo in parte ha avuto dei centri principali di diffusione,
come il Portogallo o la Catalogna o l'area di Valencia.
Di sicuro, in Andalusia il fenomeno ha conosciuto le sue estremizzazioni nella città
di Siviglia, con la variante ceceante, e nella costa occidentale dell'Andalusia, per
62 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 133-134.
63 Amado Alonso, Op. cit., pag. 178.
26
successiva espansione. Molto interessante, in questo caso, è l'analisi di Marco Antonio
de Oliveira64, che attribuisce la distinzione di queste aree di tendenza a cause di tipo
geografico: la presenza dei gruppi montuosi della Sierra Morena e della Sierra Nevada
avrebbero, infatti, costituito una barriera naturale per la larga diffusione dei fenomeni.
Pertanto, la giusta distinzione tra s e ç non sarebbe riuscita a valicare la Sierra Morena,
escludendo quasi tutto il territorio andaluso dalla pronuncia standard, in favore del
seseo; allo stesso modo, il ceceo, che lo studioso considera uno sviluppo totalmente
indipendente, cominciato a partire dalla città di Siviglia65, non sarebbe riuscito ad
espandersi verso sud-est a causa della presenza della Sierra Nevada (nonchè per la forte
influenza di Cordova, storicamente seseante), ma avrebbe avuto successo
nell'espansione verso la costa, non protetta da barriere naturali66.
Merita una menzione particolare il caso del seseo latinoamericano, che ha raggiunto
notevoli gradi di espansione. Dal momento che ai tempi di Arias Montano (1546-1566)
il fenomeno era appena comparso in Andalusia, e sembra che fosse ancora lungi
dall'assestarsi come tratto caratteristico del dialetto sivigliano, lo spagnolo trapiantato in
America non sarebbe stato ancora “andaluso”, bensì il castigliano del XV secolo, con
tutte le sue fratture e debolezze interne67. Dunque il seseo latinoamericano, secondo
questa teoria, potrebbe essere riconducibile a quello peninsulare, frutto d'una tendenza
innovatrice e livellatrice che non si spiega con ragioni geografiche, ma troverebbe le sue
motivazioni nell'intrinsecità della lingua stessa e nel suo riflesso sulla società. Tuttavia,
oggi, questa teoria è poco probabile, in seguito agli studi di eminenti filologi come
Ramón Menéndez Pidal68, Rafael Lapesa69 e altri, che hanno dimostrato una chiara
dipendenza dello spagnolo d'America dallo spagnolo d'Andalusia, non intendendo con
questo togliere legittima autonomia alla varietà d'oltreoceano, che in molti ambiti ha
sviluppato sue proprie caratteristiche. Il seseo sarebbe stato importato in America
proprio dai primi viaggiatori/colonizzatori, che nel primo trentennio del XVI secolo
64 Marco Antônio de Oliveira, Op. cit., pag. 9-15.65 Ibidem, pag. 14.66 Ibidem, pag. 15.67 Amado Alonso, Op. cit., pag. 184.68 Ramón Menéndez Pidal, “Sevilla frente a Madrid”, Estructuralismo e historia: homenaje a André
Martinet 3, La Laguna, 1962, pags 99-165. 69 Rafael Lapesa, “Sobre el seseo y el ceceo andaluces”, Estructuralismo e historia: homenaje a André
Martinet 1, La Laguna, 1957, pags. 67-94.
27
erano in gran parte andalusi. La discordanza delle due tesi risiede nella considerazione
delle origini del fenomeno: Amado Alonso ritiene che in quel periodo non fosse ancora
pienamente attestato, mentre gli studi successivi l'hanno fatto risalire già agli inizi del
XV secolo70. A suffragare questa seconda ipotesi ci sarebbero alcune prove: le analisi
delle diverse testimonianze del cosiddetto judeoespañol, ossia lo spagnolo parlato dagli
ebrei sefarditi, espulsi dal Regno di Spagna proprio nel 1492, hanno dimostrato che tale
varietà presenta soltanto sibilanti dentali71. In secondo luogo, anche lo spagnolo
d'America ha tutt'oggi una s di tipo dentale, caratteristica tipica solo dello spagnolo
d'Andalusia72. Ciò, tuttavia, non esclude, bensì completa, l'idea che la larga espansione
del seseo sia dovuta, oltre a fattori di conquista, anche alla naturale predisposizione
della lingua castigliana a questo tipo di mutamento.
A tal proposito, sarebbe legittimo chiedersi quali fattori abbiano favorito, in alcune
zone, la ristrutturazione del sistema fonologico, quando in altre zone la resistenza al
cambiamento ha, invece, avuto la meglio, ovvero, per quale motivo l'innovazione parte
proprio dall'Andalusia, e successivamente dall'America conquistata, dove ha maggiore
riscontro rispetto ad altre zone peninsulari. Il fattore sociolinguistico, in questi casi,
sembra avere un ruolo fondamentale nelle dinamiche del cambiamento linguistico. Sia
l'Andalusia che l'America Latina sono state terre di conquista, che hanno ricevuto una
lingua importata dai colonizzatori, provenienti da regni diversi e con pronunce tutt'altro
che omogenee: come abbiamo visto nel capitolo introduttivo sulla storia d'Andalusia,
nel XIII sec. in questi territori arrivano caballeros soprattutto dalla Castiglia, dal León e
dalla Catalogna, per cui la società che s'era venuta a formare era composta
dall'eterogeneità di tutte queste componenti. Quando ci si trova in situazioni linguistiche
simili, si è costretti a una semplificazione della lingua; pur di facilitare la reciproca
comprensione, si arriva a formare quella che Amado Alonso definisce una “nivelación
lingüistica73”: la semplificazione delle norme meno necessarie, l'epurazione delle
ridondanze e, di conseguenza, la neutralizzazione di tratti distintivi poco efficaci. Una
società aperta al compromesso linguistico è, dunque, più esposta al cambiamento e poco
70 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 63.71 Ibidem.72 Ibidem, pag. 118.73 Amado Alonso, Op. cit., pag. 200.
28
propensa al mantenimento di una norma specifica. Pertanto, mentre in Castiglia venne
imposta la distinzione netta dei suoni s e ç, in Andalusia si sentì la necessità di
riassestare il sistema fonologico, fino a portarlo alle estreme polarizzazioni di seseo e
ceceo. Analogamente, anche l'America Latina sviluppa le sue varianti, distinte e distanti
dalla norma castigliana d'origine, lontana anche geograficamente.
Riguardo alla situazione odierna, con la crescita dell'istruzione pubblica (ricordiamo
che fino alla metà del secolo scorso, il 70% della popolazione andalusa non sapeva né
leggere né scrivere74), quindi con l'insegnamento della norma castigliana a scuola,
nonché con la diffusione dello spagnolo standard nei mezzi di comunicazione radio-
televisivi, i fenomeni più estremi sono stati avvertiti dalla comunità dei parlanti come
eccessivamente corrotti o addirittura cacofonici. Tra questi, il ceceo, nonostante la sua
validità storica in qualità di tratto peculiare sivigliano, oggi è in netta retrocessione:
nelle parlate urbane si è preferito adottare come variante fonetica o quella del seseo,
come a Siviglia, o più correttamente la distinzione castigliana, come nell'Andalusia
orientale. Nelle parlate rurali, e in modo leggermente più diffuso nella provincia di
Cadice, il ceceo sembra ancora permanere nell'abitudine linguistica dei parlanti, ma
anche qui la tendenza è in calo, sulla scia delle varianti più prestigiose e meglio
accettate dalle comunità di lingua spagnola75.
2.2 Le aspirazioni
Con il termine “aspirazione” i linguisti tendono a designare le articolazioni fonetiche
fricative gutturali, ossia con frizione a livello della faringe o della laringe, generalmente
sorde. Nell'ambito della storia fonetica e fonologica del castigliano, il processo di
aspirazione dei suoni ha coinvolto principalmente le consonanti sibilanti, in particolar
modo nelle loro posizioni più “deboli” (in finale di sillaba e di parola). Nel nostro 74 Antonio Narbona Jiménez, Op. cit., pag. 122. 75 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 136-
137.
29
percorso di ricostruzione della fonetica andalusa a partire da quella castigliana, dunque,
terremo in considerazione uno dei fattori forse più rilevanti della caratterizzazione
andalusa: quello dei suoni aspirati. Generalmente possiamo individuare tre tipi di
aspirazione, cronologicamente distinti, ma collegati tra loro nel processo evolutivo:
1. L'aspirazione di h iniziale etimologica, vale a dire di tutte quelle parole castigliane
che cominciano per h derivate da parole latine con f iniziale (hembra > FEMINA,
higo > FICUS);
2. L'aspirazione del suono velare di jota [χ] castigliana;
3. L'aspirazione di “s implosiva”, cioè in posizione finale di sillaba e di parola, che
può giungere fino alle estremizzazioni di assimilazione o dileguo.
Prima di cominciare a trattare singolarmente i tre fenomeni, occorre specificare la
problematicità del termine “aspirazione”: per definizione, infatti, il suono dovrebbe
avere una certa intensità di frizione e dovrebbe sempre prodursi all'altezza della
faringe/laringe. Tuttavia, secondo alcuni studi effettuati recentemente presso l'Univeristà
di Barcellona76, è stato dimostrato che nel terzo caso, ossia quello di s implosiva,
l'aspirazione prodotta spesso non soddisfa nessuna di queste caratteristiche. Il fonema
[h] con cui generalmente i linguisti indicano il suono aspirato riferendosi a quello
andaluso, infatti, dovrebbe essere scientificamente identico a quello inglese, presente in
parole come happy, house, ecc.; ma, come si può ben notare, sentendo parlare un
andaluso dell'ovest, per esempio un sivigliano, ci si accorge di come questa fricativa
glottidale possa divenire in certi contesti sempre meno intensa e a volte quasi
scomparire77. I suddetti studi, a fronte di alcuni esperimenti, hanno dimostrato che non
esiste una vera e propria “aspirazione”, intesa come suono consonantico fricativo, ma
piuttosto un progressivo rilassamento delle corde vocali, che produce suoni
gradualmente deboli, uscendo dunque fuori dall'ambito della modal voice per passare a
quello della breathy voice, ossia voce sussurrata78. Nonostante questa modalità di
76 Paul O’Neill, “Utterance final /S/ in Andalusian Spanish. The phonetic neutralization of a phonological contrast”, Language design: journal of theoretical and experimental linguistics, 2005, vol. 7, p. 151-166.
77 Ibidem, pag. 151.78 Ibidem, pag. 165.
30
fonazione costituisca un'entità fonematica in alcune lingue orientali, va da sé che nel
nostro caso stiamo semplicemente parlando di una variante allofonica del suono
sibilante di s, riconosciuta tale dai parlanti stessi; pertanto, nello spagnolo parlato in
Andalusia, non esiste un vero e proprio fonema [h] in questa posizione.
Tuttavia, per convenzione e per rispetto dei numerosi studi effettuati in precedenza
da autorevoli ricercatori e linguisti, ci limitiamo a riproporre la definizione di questo
suono con il termine standard di “aspirazione”, codificato nel simbolo [h], anche nel
caso di s implosiva. Passeremo, quindi, in rassegna ogni singolo caso di aspirazione,
cercando di illustrarne le modalità e spiegarne le motivazioni.
2.2.1. La h- iniziale
Il primo di questi suoni aspirati, come accennato in precedenza, è quello etimologico
corrispondente all'antica f- latina. Nel castigliano del Medioevo, quest'aspirazione
costituiva un tratto innovativo rispetto ad altre parlate regionali, in cui ancora si
conservava il suono originario, e veniva usata anche per pronunciare certe parole
mutuate da lingue straniere, come per esempio heraldo dal francese, o hasta, ahorrar
dall'arabo79. Nella prima metà del XVI secolo, aspirare la h iniziale era persino divenuto
segno di cultura ed eleganza, tanto che molti poeti ed intellettuali di corte avevano
adottato quest'abitudine. Tuttavia, nel corso del secolo, il suono aspirato ha
precipitosamente perso il suo prestigio, e già alla corte madrilena80 veniva associato ai
ranghi più bassi della società; nelle caratterizzazioni teatrali seicentesche, infine, veniva
integrato nelle parlate rurali e in particolar modo in quelle del sud della Spagna
(Estremadura, Andalusia). In queste zone, infatti, il suono di h aspirata si è mantenuto,
in contrasto con l'innovazione del castigliano, che l'aveva dileguato81. Non è facile
spiegare i motivi di questo fenomeno: è possibile rintracciare una tendenza leonese,
79 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 65. 80 Ricordiamo che la corte venne spostata a Madrid solo con l'inizio dell'impero di Filippo II, dunque dal
1561 in poi.81 Ibidem, pag. 66.
31
regione in cui questo suono era molto diffuso, e dalla quale, come ben sappiamo,
provenivano molti dei ripopolatori del meridione spagnolo. Sta di fatto che
nell'Andalusia occidentale godeva e gode tuttora (anche se in declino) di un certo
successo, mentre nell'Andalusia orientale, ripopolata a partire da Toledo e da Murcia,
quest'abitudine è venuta meno. Tuttavia, già a partire dalla seconda metà del XVII sec. è
possibile riscontrare anche nell'Andalusia occidentale la tendenza a non praticare più
l'aspirazione, per via di alcune grafie in cui scompare la h iniziale, segno che ormai non
veniva più pronunciata82.
Oggi le analisi sociolinguistiche ci permettono di riscontrare ancora questa tendenza
nelle classi culturalmente inferiori, specialmente fra i parlanti di maggiore età. I giovani,
infatti, per via della più diffusa istruzione, hanno perso questo tratto “arcaico” della
lingua locale. Nonostante ciò, lo stesso tipo di aspirazione è riscontrabile in alcuni
cultismi con f iniziale, tra i quali fumar, che viene pronunciato come *humar, secondo lo
stesso processo avvenuto nel castigliano medievale83.
2.2.2. L'aspirazione di jota
Il mantenimento della suddetta h iniziale etimologica può considerarsi responsabile
del secondo tipo di aspirazione presente nell'andaluso, quello del suono di jota [χ]
castigliano. Per capire come, è necessario ripartire dalla situazione fonetica castigliana
tra i secoli XIII e XVII. Nel sistema fonetico medievale castigliano esistevano due suoni
fricativi palatali, uno sordo [ʃ] e uno sonoro [Ʒ], corrispondenti alle grafie x e j, g.
Durante il periodo di riassestamento delle sibilanti84 questi due suoni sono confluiti nel
fonema sordo [ʃ], che si è poi posteriorizzato fino al velo palatino, trasformandosi così
in una fricativa velare [χ]. Tale mutamento è relativamente recente, tanto che gli
82 Ibidem, pag. 67.83 Ibidem, pag. 174.84 Si veda a tal proposito il paragrafo 2.1, riguardante il fenomeno del seseo-ceceo.
32
studiosi lo datano all'incirca tra la fine del XVI sec. e la prima metà del XVII 85:
l'esempio più significativo è il caso del Quijote, nella grafia dell'epoca Quixote, le cui
traduzioni in italiano e francese86 dimostrano chiaramente come ancora nei primi anni
del '600 la pronuncia standard fosse quella palatale [ʃ]. Solo nel XIX sec. vennero, poi,
normalizzate le grafie, con l'abolizione della lettera x in favore dell'alternanza j - g.
Castigliano antico XIII-XVI sec. XVI-XVII sec. XIX sec.Grafia Pronuncia Grafia Pronuncia Grafia Pronuncia Grafia Pronuncia
x [ʃ] x j - g [ʃ] x
j - g [χ] j - g [χ]j - g [Ʒ]
Tuttavia, il nuovo suono fricativo velare, venutosi a formare nella lingua castigliana,
si è ben presto scontrato con il suono di h aspirata nelle zone dove questa si era
mantenuta: la somiglianza e la netta vicinanza dei punti d'articolazione dei due fonemi
hanno contribuito, infatti, alla progressiva confusione, nonché fusione dei due suoni.
Nelle zone di h aspirata più controllate dalla pressione castigliana, entrambi i suoni sono
confluiti nella fricativa velare [χ], dando origine a pronunce come *jaba, *jolgar, *jacer
per haba, holgar, hacer. Invece, nelle zone di h aspirata lontane dal controllo
castigliano, come l'Andalusia occidentale o l'Estremadura, entrambi i suoni sono
confluiti nell'aspirazione [h], dando luogo a pronunce come *habón, *hota, *hente,
*mehor al posto di jabón, jota, gente, mejor87.
Zone di h aspirata
Vicine alla Castiglia Lontane dalla Castiglia
[χ][χ]
[χ][h]
[h] [h]
*jaba, jota haba, *hota
85 Ibidem, pag.67.86 In italiano Don Chisciotte; in francese Don Quichotte.87 Ibidem, pag. 68.
33
Non è per niente facile rintracciare i motivi e le origini di questi scambi: come è
noto, i mutamenti fonetici avvenivano spesso lasciando invariata la grafia. Bisogna
quindi recuperare le prime avvisaglie di certe trasformazioni tramite errori ortografici in
testi di bassa cultura. Le prime testimonianze andaluse risalgono alla fine del XVI sec. e
mostrano scambi di h per j o g (Hulián, mehor, hentil); ma già in Góngora troviamo, fra
le tante, páharo per páxaro e golgar per holgar, che ci dimostrano come nel XVII
secolo i due suoni si pronunciassero allo stesso modo anche nelle classi medio-alte della
società. Tuttavia, non mancano le critiche e le caratterizzazioni burlesche di questi
fenomeni, come quelle di Juan de Robles88 o di Francisco de Quevedo89, che censurano
o ridicolizzano le pronunce “errate” rispetto alla norma castigliana ormai affermatasi90.
Bisognerà aspettare il XIX sec. perché si estingua definitivamente la percezione
negativa rispetto all'aspirazione di jota e si giunga, dunque, alla sua progressiva
accettazione nella pronuncia standard, riconosciuta però sempre come tratto distintivo
delle parlate meridionali della Spagna.
2.2.3. L'aspirazione di -s implosiva
La terza e più importante aspirazione andalusa è quella che riguarda la -s implosiva,
che si verifica, cioé, questo fonema costituisce coda sillabica. Si tratta di una peculiarità
fonetica, facilmente distinguibile, che si produce in pronuncie come *etto, *lohtoroh,
*cahco o *atta per parole come esto, los toros, casco e hasta. Il fonema s, che, come già
visto in posizione prevocalica, ha subito svariate modificazioni e sconvolgimenti nel
corso della storia fonetica spagnola, ha raggiunto le sue trasformazioni più sostanziali
proprio nel contesto più debole, ossia in finale di sillaba. Il processo di aspirazione di -s
88 Juan de Robles, Primera parte del Culto Sevillano. Diálogo quinto: trata de la Ortografía, 1631, 1a
ed., Siviglia, Sociedad de Bibliófilos Andaluces, 1883, pag. 309, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 68.
89 Francisco de Quevedo, Historia de la vida del Buscón (1626), ed. Lázaro Carreter, Salamanca, 1965, pag. 275, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 68.
90 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 68.
34
implosiva, infatti, si è protratto fino al dileguo della stessa, nonché all'assimilazione con
il fonema consonantico successivo.
Molti studiosi si sono cimentati in ricerche filologiche che spiegassero le origini di
questo ormai diffusissimo fenomeno, che oltrepassa i limiti dell'Andalusia e che si
attesta in buona parte dei territori iberici e dell'America Latina. Tuttavia, nonostante i
preziosissimi contributi di filologi, tra i quali anche Menéndez Pidal91, non si è riusciti a
trovare attestazioni valide per il fenomeno che risalissero all'epoca della colonizzazione,
ossia al XVI secolo. Máximo Torreblanca, in uno dei suoi saggi92, spiega
dettagliatamente come tutte le presunte testimonianze recuperate dai testi dell'epoca, o
anche da precedenti manoscritti, fossero in realtà deboli congetture. Il caso più eclatante
è quello di Sofonifa, portato avanti da Menéndez Pidal: l'illustre filologo ritrovò, tra le
annotazioni di Hernando Colón93, figlio di Cristoforo Colombo, questa particolare
trascrizione del nome dell'eroina classica SOPHONISBA; secondo Menéndez Pidal si
tratterebbe della prima testimonianza, inequivoca e assoluta, della presenza del
fenomeno di aspirazione di -s implosiva agli inizi del XVI secolo94. La pronuncia
aspirata di -s, infatti, comporta un'assimilazione con la consonante successiva (b-), che
perde quindi il suo tratto di sonorità e arriva ad essere pronunciata come una f. Il fatto
che ciò accada tuttora in diverse zone dell'Andalusia, dove resbalar viene pronunciato
*refalar e desbaratar si rende con (e)faratar95, potrebbe avvalorare l'ipotesi di una
presunta assimilazione già ai tempi di Colombo; tuttavia, secondo l'opinione di
Torreblanca e di studiosi successivi, questa congettura lascia molti dubbi: se fosse vera,
si dovrebbe ammettere, oltre all'effettiva presenza del fenomeno in quell'epoca, che
questo fosse già arrivato alle classi più colte; e, soprattutto, si dovrebbe considerare
certo che il nome dell'eroina greca fosse stato talmente diffuso nella lingua parlata da
subire questa variazione, ipotesi piuttosto inverosimile. Nomi e termini di origine
letteraria, arrivati sicuramente per iscritto e probabilmente mai detti o pronunciati,
91 Ramón Menéndez Pidal, Op. cit., pags. 135-143.92 Máximo Torreblanca, “La /s/ implosiva en español: sobre las fechas de su aspiración”, Thesaurus,
1989, tomo XLIV, n. 2, pags. 281-303.93 Hernando Colón, Descripción y cosmografía de España, codici 10-1-2 e 10-1d-3 della Biblioteca
Colombina di Siviglia, citato in Ramón Menéndez Pidal, Op. cit., pag. 136.94 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 289.95 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 71.
35
difficilmente possono essere coinvolti in mutazioni fonetiche, che interessano
principalmente le parole della lingua parlata: la trascrizione Sofonifa, dunque, non è
altro che un errore di scrittura, dovuto a una lapsus calami, o semplicemente un errore
dell'autore, che, non rammentando bene il nome corretto dell'eroina, ripeté
meccanicamente la consonante f96.
Le altre testimonianze citate da Torreblanca sono raccolte da studiosi come P. Boyd-
Bowman97, R. Lapesa98 e J.A. Frago García99, che rintracciano diverse grafìe equivoche,
carenti di -s implosiva o con s ultracorretta, scritta cioè in finale di sillaba o parola dove
non ha alcun motivo di esservi (es.: este derechos100, dove la s non può che indicare un
errore grammaticale). Gli esempi riportati vorrebbero dimostrare che la s, trovandosi in
questa e molti altri contesti “implosivi” dove non era richiesta, avrebbe perso in quella
posizione ogni tipo di valenza fonetica, tanto che la sua presenza o assenza era
indifferente ai fini della pronuncia. Boyd-Bowman101 ha analizzato alcune lettere scritte
da coloni americani nei primi tempi della colonizzazione (inizio XVI sec.); a queste,
Lapesa102 ha aggiunto alcuni documenti toledani della fine del secolo; infine Frago
García103 ha raccolto alcune testimonianze di documenti andalusi, risalenti alla fine del
XIV secolo. Tutte testimonianze che, seppur autorevoli, non convincono sull'effettiva
datazione del fenomeno. Secondo Torreblanca, i casi più sicuri di aspirazione di -s
implosiva pervenutici risalgono al XVIII sec. e appartengono a un'opera drammatica
scritta da un ecclesiastico, Gaspar Fernández y Ávila, intitolata La Infancia de Jesu-
Christo104: in questo scritto è possibile rintracciare forme come los jojos, las jorejas, mis
jorejas. È necessario, anzitutto, precisare che l'autore utilizza la lettera j per indicare il
suddetto suono aspirato [h], com'è possibile constatare nelle varie grafie: jecho, jijo,
96 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 294.97 Peter Boyd-Bowman, “A sample of Sixteenth Century 'Caribbean' Spanish Phonology”, Colloquium
on Spanish and Portuguese Linguistics, Washington D.C., 1975, pags. 1-11.98 Rafael Lapesa, Histora de la lengua española, Madrid, Gredos, 1980, 8a ed, pags. 387-389. 99 Juan Antonio Frago García, “Materiales para la historia de la aspiración de la /-s/ implosiva en las
hablas andaluzas”, Lingüística Española Actual, tomo V, 1983, pags 153-171.100 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 292.101 Peter Boyd-Bowman, Op. cit.102 Rafael Lapesa, Op. cit.103 Juan Antonio Frago García, Op. cit.104 Gaspar Fernandez y Ávila, “La infancia de Jesu-Christo”, ed. a cura di Max Leopold Wagner,
Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, tomo 72, Halle, 1922, pags. 1-188.
36
jace, quejarme, parejos, viejo105. Queste forme, secondo la ricostruzione di Torreblanca,
costituiscono la prima chiara prova dell'aspirazione di -s implosiva davanti vocale,
registrata con la grafia j, in cui il suono aspirato viene assimilato alla vocale iniziale
della parola seguente. L'articolo, tuttavia, viene comunque corredato di una <s> grafica,
che l'autore scrisse per indicare che si trattava della sua forma plurale, ma che
effettivamente non veniva pronunciata, giacché “las formas los jojos correspondían,
seguramente, a la pronunciación [lohóhoh]106”.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere come mai Gaspar Fernández registri soltanto
le -s implosive prevocaliche, quando verosimilmente il suono era già aspirato anche in
altre posizioni. Ciò è spiegabile con un'importante teoria di Lapesa, secondo cui “la [h]
resultante (de la aspiración de /s/) nunca se escribía como tal, sin duda porque en la
conciencia lingüistica de los hablantes se sentía como simple variedad articulatoria de la
/-s/107”. In poche parole, in finale di parola o di sillaba davanti a consonante,
l'aspirazione, nonostante fosse praticata, non veniva registrata graficamente, perché
nella coscienza dei parlanti quel suono aspirato era comunque una variante di s; quando
questa si verificava davanti a una vocale, invece, era più facile rendersi conto della
mutazione fonetica avvenuta, e di conseguenza risultava più facile registrarne la
presenza.
Secondo questa teoria, si potrebbe riaprire la questione sulla datazione del fenomeno,
in quanto, alla luce di ciò che è stato affermato, “un andaluz en el siglo XV, o un
español llegado a América en el XVI, podría pronunciar [éhto] y escribir esto108”.
Torreblanca sembra dare una netta risoluzione alla questione, citando in causa il
succitato judeoespañol: come già illustrato in precedenza, questa lingua, di cui
disponiamo parecchie testimonianze, risulta per noi come un' “istantanea” del
castigliano parlato nel 1492, anno in cui partirono le prime spedizioni verso il nuovo
continente. Gli studiosi che se ne sono occupati109 non hanno rintracciato nessun indizio
105 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 292.106 Ibidem, pag. 298.107 R. Lapesa, Op. cit., pag. 387.108 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 299.109 Per citarne alcuni: Israel Salvator Révah, “Formation et évolution des parlers judeo-espagnoles des
Balkans”, Ibérica, tomo VI, 1961, pags. 173-196; Marius Sala, Phonétique et phonologie du judeo-espagnol de Bucarest, The Hague, Mouton, 1971, pags. 67-71; Max Luria, A Study of the Monastir Dialect of Judeo-Spanish, New York, Instituto de las Españas, 1930, pags. 115-116.
37
di aspirazione di -s implosiva fra tutti i documenti analizzati. Questa considerazione,
unita al fatto che non tutti i dialetti dell'America Latina praticano tale aspirazione,
sembra confermare una volta per tutte che il fenomeno sia abbastanza “recente”.
Esaurita la possibilità di precisare il “quando”, converrà invece soffermarsi sul
“come” e ipotizzare un “perché” del fenomeno. L' “aspirazione di -s implosiva” non
comprende soltanto la sibilante s, ma anche il suono c, z [θ], che, naturalmente, subisce
lo stesso trattamento nelle zone di seseo o ceceo. Sarà opportuno distinguere tre grandi
casi diversi di aspirazione:
• Implosiva davanti a consonante;
• Implosiva davanti a vocale;
• Implosiva assoluta (in finale di parola).
Per quanto riguarda il primo caso, il processo di aspirazione risulta piuttosto
variegato a seconda del tipo di consonante che segue il fonema sibilante, come si può
constatare dal seguente schema riassuntivo110:
Tipo di consonante Processi Esempi
Occlusive sorde[p] - [t] - [k]
1. Aspirazione;
2. Assimilazione con la consonante seguente.
1. Los t oros [lohtoro(h)]; as c o [ahko].
2. Cas p a [kappa]; los t res [lottre(h)].
Fricative sorde[f] - [θ] - [χ]
1. Aspirazione;
2. Assimilazione con la consonante seguente;
3. Dileguo.
1. Res f riado [rehfriao]; des c ender [dehθender].
2. Las f altas [laffalta(h)];las j aras [laχχara(h)] - [lahharah].
3. Res f riado [refriao];des c ender [deθender].
110 Tutti gli esempi dei processi, nonchè la loro schematizzazione, sono tratti da: Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 156-157; José Antonio González Montero, “La aspiración: fenómeno expansivo en español. Su importancia en andaluz. Nuevos casos”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, 1993, n°16, pags. 31-48.
38
Occlusive sonore[b] - [d] - [g]
1. Aspirazione;
2. Assimilazione con la consonante seguente;
3. Sordizzazione della consonante seguente(e relativa fricatizzazione).
1. Des v án [dehban].
2. Des d eñar [deddeɲar];dis g usto [digguhto].
3. Res b alar [refalar];des d eñar [deθeɲar];dis g usto [diχuhto] - [dihuhto].
Palatali111
[ʧ] - [ʎ] - [y]
1. Aspirazione;
2. Fricatizzazione della consonante seguente.
1. Las ll aves [lahyaβe(h)];
2. Las ll aves [lahʒaβe(h)];Los ch avales [lohʃaβale(h)].
Liquide[l] - [r]
1. Assimilazione con la consonante seguente.
1. Los l unes [lollune(h)];Is r ael [irrael].
Nasali[m] - [n]
1. Aspirazione
2. Assimilazione con la consonante seguente.
1. As m a [ahma];as n o [ahno].
2. Los n iños [lonniɲo(h)];as n o [anno].
A ben vedere, due sono le maggiori tendenze articolatorie del suono sibilante
implosivo: l'aspirazione e, in una seconda fase, un'ulteriore riduzione di intensità del
suono aspirato in favore di un rafforzamento della consonante successiva
(assimilazione). Occorre precisare che spesso questi mutamenti mettono a rischio
l'unico tratto distintivo di marca plurale di nomi e articoli, che si registra quando
l'aspirazione giunge ai livelli estremi del dileguo: per esempio, in alcune sequenze come
las casas o los buenos, il dileguo totale di -s finale neutralizza l'opposizione con le
rispettive forme al singolare e al neutro (raggiungendo pronunce del tutto simili a la
casa, lo bueno), ove solo il contesto semantico dell'enunciato può determinare la
distinzione.
La schematizzazione fatta precedentemente riassume solo sommariamente i
numerosi stadi intermedi che intercorrono tra l'aspirazione e l'assimilazione, e tra questa
e il dileguo totale. Tuttavia, ci è utile definire, almeno in parte, le tendenze principali,
111 Nel presente schema il trattamento delle palatali [ʎ] e [ʝ] è identico, in quanto le zone di aspirazione di -s implosiva coincidono, in linea di massima, a quelle di yeísmo (si veda, a tal proposito, il par. 2.5).
39
per potere effettuare un'analisi sociolinguistica. Dal punto di vista geografico, il
fenomeno oltrepassa abbondantemente i confini dell'Andalusia, per estendersi alle
località di Murcia, Albacete, al sud di Alicante, al sud della Castiglia-La Mancha e in
Estremadura, fino ad arrivare al registro volgare di Madrid. Il processo di aspirazione
non conosce diversità diastratiche, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi
viene praticato a qualsiasi livello sociale112. Ciò che lo rende instabile è invece la
variante diafasica, ossia quella del registro e del contesto comunicativo: nelle situazioni
di medio-alta formalità, infatti, lontani dall'uso colloquiale del linguaggio, può essere
recuperata l'aspirazione o direttamente il suono sibilante originario.
Le tendenze registrate da Antonio Narbona, Rafael Cano e Ramón Morillo113 sono:
• Nel caso di occlusive sorde, le realizzazioni con aspirazione e con rafforzamento
consonantico sono egualmente diffuse, a meno di situazioni comunicative di
discreta formalità, dove, come detto prima, si preferisce l'aspirazione o viene
recuperato il suono originario.
• Per le fricative sorde è netta la preponderanza dell'assimilazione alla consonante
successiva; l'aspirazione viene recuperata, oltre che nei contesti formali, anche in
alcuni casi dove è necessario disambiguare l'omofonia con la forma al singolare,
per cui in sequenze come las fresas è necessario intensificare il suono di f o
recuperare l'aspirazione per marcarne il tratto di pluralità. Eventualità che non
avviene, invece, quando l'implosiva si trova in corpo di parola, come nel caso di
resfriado, la cui realizzazione risulta quasi sempre come *refriao.
• Per le occlusive sonore non è così facile definire quale sia la tendenza
maggioritaria, dal momento che tra il mantenimento dell'aspirata e la sordizzazione
totale della consonante seguente esistono numerosi livelli intermedi. Sono,
comunque, proprio questi ultimi ad essere preferiti, per cui le pronunce
estremizzanti risultano in netta inferiorità. Tra queste, la trasformazione del gruppo
-sb- in [f]114 soffre di scarso prestigio culturale, motivo per cui tra i parlanti delle
classi medio-alte viene rigettata, nonostante siano accolte le altre due
112 José Antonio González Montero, Op. cit., pag. 43.113 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit..114 Si veda, al riguardo, il famoso caso di Sofonifa, di cui si è discusso a pag. 35.
40
trasformazioni (-sd- in [θ] e -sg- in [χ] o [h]).
• Per le palatali che seguono -s implosiva, la tendenza generale è quella
dell'assimilazione, a meno di contesti comunicativi controllati.
• Per le nasali e le liquide che seguono -s implosiva, invece, si tende generalmente
all'aspirazione, e solo in contesti molto trascurati si arriva all'assimilazione. In
alcuni casi, tuttavia, davanti a -m o -n, la risonanza dell'aspirata nelle coane nasali
provoca un'assimilazione quasi completa con le consonanti stesse, a tal punto da
dar vita a dileguo. Ad esempio, la parola fresno viene quasi sempre pronunciata
come freno, specialmente nell'Andalusia occidentale.115
Se, dunque, davanti a consonante l'aspirazione può assumere varie intensità e mutare
il punto d'articolazione della consonante stessa, per quanto riguarda l'aspirazione di -s
implosiva davanti a vocale si può constatare un indebolimento ancora più intenso
dell'aspirazione, in cui il suono [h] passa a costituire attacco sillabico della parola
successiva (es. los árboles : [lo-har-βo-le(h)] ). È questo il caso delle grafie los jojos e
las jorejas, di cui sopra: il fonema viene inteso come iniziale del vocabolo seguente. In
questo contesto le varianti geografica e sociale sono decisive: è stato registrato che nelle
situazioni formali i parlanti della classe medio-alta di qualsiasi zona tendono a
recuperare il suono originario, mentre nelle situazioni più colloquiali, tra i parlanti di
basso livello culturale, l'Andalusia si divide in due parti: nella parte occidentale si tende
a recuperare la sibilante, mentre nella parte orientale si tende più nettamente
all'aspirazione, o ad un semplice colpo di glottide che permette di distaccare i due
termini, impedendo così lo iato (es. los árboles : [loʔarβole(h)] )116. A tal proposito è
doveroso citare un interessante studio di José Antonio Gonzáles Montero117, che
analizza la particolare situazione dell'aspirazione di -s implosiva davanti a vocale.
Com'è facilmente constatabile, la -s divenuta prevocalica per fonetica sintattica (ossia,
come nei casi precedentemente analizzati, quando si trova in finale di parola e precede
un'altra parola con iniziale vocalica), nella catena del parlato diventa una vera e propria
115 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 157-160.
116 Ibidem, pag. 155.117 José Antonio González Montero, Op. cit., pags. 31-48.
41
s “esplosiva”, cioè passa a costituire l'attacco della sillaba successiva. Volendo citare il
medesimo esempio, secondo la pronuncia castigliana corretta, quella che nella singola
parola los è una -s finale, nella catena los arboles costituisce un'unica sillaba con la
vocale successiva, secondo la scansione lo-sar-bo-les. Pertanto, la sua situazione
fonetica è esattamente identica a quella di una -s- intervocalica in corpo di parola (ad.es.
ca-sa). A rigor di logica, dunque, se nel primo caso la s viene aspirata, anche in corpo di
parola dovrebbe subire lo stesso trattamento. Tuttavia, il nostro autore registra tendenze
divergenti fra i parlanti di livello culturale medio e alto nell'aspirare questo suono: se si
trova in finale di parola, divenuto intervocalico nella catena del parlato, viene aspirato;
in corpo di parola, invece, molto raramente ciò succede, e solo nei registri più bassi118. A
conferma di questa tesi, González Montero analizza alcune frasi in cui viene
apparentemente ricreata la medesima catena fonica: nel primo caso si tratta di parole
intere, nel secondo caso si tratta di parti finali e iniziali di parole consecutive; quindi fa
notare come la -s viene aspirata solamente quando costituisce finale di parola, mai in
corpo di parola. Cito qualche esempio:
1. A: Mesilla [mesíya];
B: Co{mes y ya}te vas [-méh_i_yá-].
2. A: Racimo [rasímo];
B: Repararemos el suelo [...] con agua{rrás y mo}queta nueva [-ráh_i_mo-]119.
Non è il semplice contesto fonetico a determinare l'aspirazione: la morfosintassi,
infatti, è ben presente nella mente del parlante, che sistematicamente aspira solo la -s
implosiva (divenuta esplosiva per ragioni sintattiche); questo succede perché gli accenti
e le pause, nella catena del parlato, hanno l'importante funzione di differenziare le
parole, con le loro marche morfologiche, da mere sequenze foniche che solo per
combinazione ricreano parole, non riconosciute tali dal parlante120.
118 Ibidem, pag. 45.119 Ibidem, pag. 46.120 Ibidem.
42
Pertanto, lo studio di González Montero dimostra che, fra i parlanti di livelli medio-
alti di cultura, la s- esplosiva viene aspirata solo nel caso in cui si tratti di una -s
implosiva divenuta intervocalica nella catena del parlato; lo stesso, tuttavia, non si può
dire per la classi di basso livello culturale, in cui l'aspirazione di -s- intervocalica è
praticata sistematicamente anche in corpo di parola, e addirittura a inizio di parola (in
sequenze come *hi heñó per si señor).
In ultima analisi, il caso dell'implosiva assoluta (in finale di parola e di enunciato) è
quello più generalizzato: l'aspirazione si verifica in qualsiasi caso, tanto che è veramente
raro sentire un andaluso che pronunci il suono originario in questa posizione. Tuttavia,
qui la variante diatopica gioca un ruolo fondamentale: su tale fenomeno si distinguono
nettamente l'Andalusia occidentale da quella orientale, in quanto nella prima si riduce
alla semplice aspirazione di -s finale, e solo raramente all'allungamento della vocale
precedente; nell'Andalusia orientale, invece, si assiste al noto fenomeno delle vocali
proiettate, che consiste nell'apertura della vocale precedente la -s finale, in special
modo nei nomi al plurale121.
Rimane da ipotizzare la possibile causa di questo particolare fenomeno. Gli studiosi
non sembrano aver attribuito al quesito risposte certe, tuttavia ci hanno fornito una serie
di riflessioni al riguardo: prima di tutto, è stata notata la tendenza quasi ancestrale del
castigliano a disfarsi delle sillabe chiuse. Fin dalla sua evoluzione dal latino, molti nessi
consonantici sono stati sciolti, le consonanti geminate sono diventate quasi tutte
scempie (tranne la r) e di conseguenza le sillabe chiuse sono divenute quasi tutte aperte
(ad. es. dal latino NOC-TE si è arrivati a no-che; dal latino PAS-SUM a pa-so). Alla radice di
tutto questo ci sarebbe un problema di asimmetria. La sillaba, il cui nucleo è costituito
necessariamente da vocale, ha come margini l'attacco e la coda, che possono ospitare
fonemi consonantici o semiconsonantici, ma non in egual misura: alcune consonanti,
infatti, non risultano mai in posizione di coda sillabica (per esempio ch, ll, y); in numero
maggiore sono quelle che non si possono riscontrare in finale di parola (in castigliano
risultano in questa posizione soltanto -d, -l, -s, -r, -z e -n). Oltretutto, proprio in finale di
sillaba subiscono spesso una perdita di tratti distintivi, che porta a neutralizzare alcune
opposizioni: le occlusive perdono il tratto di sonorità, tanto che risulta identico 121 Ibidem, pag. 47. Di questo fenomeno si parlerà più dettagliatamente nel paragrafo 2.3.
43
pronunciare parole come apto, atleta o acto rispettivamente con -b, -d, -g; le nasali
cambiano punto d'articolazione a seconda del fonema che li segue, per cui davanti a p e
b troveremo sempre -m (empezar, ambos), così come davanti a ch troveremo una nasale
palatale come ñ (ancho); infine, r e rr, nettamente distinte in posizione prevocalica
(caro - carro), perdono quest'opposizione in finale di sillaba. Le uniche due consonanti
a rimanere stabili in questa posizione rimangono s ed l. A ciò si può aggiungere il fatto
che, spesso, nelle parlate più familiari e trascurate, si tende a pronunciare in modo molto
rilassato le sillabe finali, poiché quasi sempre tutte le peculiarità che distinguono una
parola da un'altra sono contenute nella parte iniziale; solo la -s e, in minor misura, -l ed
-r sono capaci di distinguere nettamente una serie piuttosto rilevante di parole (si pensi,
per es., a coppie come gato-gasto, peco-pesco, alma-arma, alto-harto). Pertanto, la
posizione di coda sillabica risulta essere l'anello debole della struttura, poiché,
neutralizzando i tratti distintivi consonantici, diventa poco funzionale o poco
produttiva122. Ed è proprio in termini di produttività che González Montero prova a
spiegare l'effettivo diffondersi del fenomeno dell'aspirazione, in quanto egli sostiene che
“el andaluz ha reducido el sistema consonántico por razones de rentabilidad. Se
cumplen las mismas funciones con menos elementos123”. Lo stesso fenomeno è
avvenuto nel passaggio dal francese medievale a quello moderno, dove tutte le -s finali
di sillaba si sono dileguate (permanendo solo nella grafia e venendo recuperate nella
pronuncia nei casi di liaison), nonostante costituissero marche morfologiche, lasciando
come modificazione un semplice allungamento o apertura della vocale precedente (si
pensi, ad es., all'opposizione tra l'articolo maschile singolare le [lə] e il plurale les
[le] )124.
L'andaluso, in conclusione, non fa altro che riproporre le tendenze, già presenti nel
castigliano e nel francese medievale, che sono tipiche delle lingue romanze più
innovatrici, e le attua nel segno di una maggiore semplificazione della lingua in termini
di produttività. Non bisogna mai dimenticare, infatti, le istanze storiche e sociali di
multiculturalità e plurilinguismo sulle quali si basa questa varietà parlata nella Spagna
122 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 152-154.
123 José Antonio González Montero, Op. cit., pag. 39.124 Ibidem.
44
meridionale, che hanno spesso portato all'eliminazione delle ridondanze del sistema per
facilitare la reciproca comprensione.
2.3 Le vocali "proiettate"
Nel paragrafo precedente abbiamo accennato alle cosiddette vocali “proiettate”, uno
di quei pochi fenomeni che dividono nettamente in due l'Andalusia: la sua diffusione,
infatti, è predominante nella parte orientale, ovvero nelle tre province di Granada, Jaén e
Almería, ma penetra anche nelle zone centrali di Málaga e Cordova, fino a qualche
località sporadica dell'est sivigliano125. Si tratta principalmente di una modificazione
interna al sistema vocalico standard: in seguito all'aspirazione di -s in finale di parola e
di enunciato, ossia davanti ad una pausa, il picco d'intensità della consonante dileguata
viene trasferito alla vocale precedente, sotto forma di apertura o allungamento della
stessa. Per essere più precisi, occorre ripartire dal sistema vocalico del castigliano
attuale; come ben sappiamo, esso si compone di cinque elementi vocalici, in tre gradi di
apertura, secondo il seguente schema:
Anteriori Posteriorii u
e oa
È un sistema triangolare, in quanto prevede, alle sue estremità, un fonema centrale
basso [a], due fonemi alti, di cui uno anteriore [i] e uno posteriore [u], e due livelli medi
d'apertura [e], [o]. A partire dalle osservazioni di Navarro Tomás126, fino ad arrivare alle
indagini sociolinguistiche di fine secolo scorso, nell'andaluso orientale sono stati rilevati
125 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 142.126 Navarro Tomás Tomás, “Desdoblamiento de fonemas vocálicos”, Revista de Filología Hispánica,
vol.1, 1939, pags. 165-167.
45
altri 5 fonemi vocalici, distinti dai precedenti per una maggiore apertura, che si
realizzano proprio in situazione di -s finale aspirata o dileguata. Tutto ciò richiama, in
modo analogo, il fenomeno precedentemente analizzato di aspirazione di -s implosiva
davanti a consonante; tuttavia, mentre in quel caso l'intensità dell'aspirazione agiva sulla
consonante successiva, modificandola nel suo punto d'articolazione o nella sua durata,
in finale di parola agisce sulla vocale precedente, aprendola e/o allungandola. Il punto
della questione su cui molti filologi127 si sono confrontati riguarda la natura di questi
nuovi fonemi: ci si chiede se essi hanno davvero validità distintiva o se sono semplici
varianti combinatorie (allofoniche) dei fonemi vocalici standard.
Analizzando la differenza di pronuncia tra le sequenze la casa [la'kasa] e las casas
[lah'kasA]128, sembrerebbe che nel secondo caso l'apertura della vocale finale sostituisca
quella che morfologicamente era la marca del plurale del nome, ossia la -s finale. Da
questo punto di vista, la vocale proiettata [A] sarebbe un fonema vero e proprio, in
opposizione alla vocale standard [a] per la distinzione plurale/singolare. In tal modo,
dunque, si ammetterebbe che lo spagnolo andaluso, almeno nella sua varietà orientale,
sia costituito da dieci fonemi vocalici. Secondo Emilio Alarcos Llorach129, questa è
un'ipotesi piuttosto imprecisa ed affrettata. Se ci soffermiamo sull'esempio
precedentemente esposto, infatti, possiamo già notare una certa ridondanza in questo
sistema: nella pronuncia [lah'kasA], in cui abbiamo ipotizzato un'aspirazione di -s
implosiva per quanto riguarda l'articolo los, ma che potrebbe comunque essere
riformulato con un'ipotetica assimilazione [lak'kasA], abbiamo la compresenza di due
fenomeni, ossia aspirazione/assimilazione di -s implosiva e vocale proiettata finale.
Come posto in evidenza da Alarcos130, è improbabile che la distinzione singolare/plurale
sia affidata alla presenza di entrambi i fenomeni, poiché risulterebbe ridondante. È
molto più convincente, invece, ipotizzare una terza possibilità: quella di un elemento
funzionale “x” le cui ripercussioni fonetiche riguardino sia la geminazione della
consonante successiva che l'apertura/allungamento della vocale precedente davanti
127 Dámaso Alonso, Alonso Zamora Vicente, Maria Josefa Canellada, “Vocales andaluzas”, Nueva Revista de Filología Hispánica, 1950, pags. 209-230.
128 Dove con [A] si intende la variante “aperta” del fonema vocalico.129 Emilio Alarcos Llorach, “Fonología y fonética. A propósito de las vocales andaluzas”, Archivum:
Revista de la Facultad de Filología, tomo 8, 1958, pags. 193-205.130 Ibidem, pag. 198.
46
pausa. Questo elemento “x”, responsabile di tutti i mutamenti fonetici nelle suddette
posizioni, altro non sarebbe che la stessa aspirata [h], che con il suo punto
d'articolazione glottidale funge da apertura vocalica e, in quanto sorda, modifica la
sonorità della consonante seguente131. Spesso, oltretutto, si assiste a casi di metafonia,
ossia di armonizzazione timbrica di una o più vocali per via di un'altra vocale; in parole
che contengono vocali proiettate finali, le vocali centrali vengono pronunciate anch'esse
col medesimo grado d'apertura: ad. es. patata [patata] - patatas [pAtAtA]. Anche questo
processo è dovuto alla forza intensiva dell'aspirazione, che attrae a sé non solo le vocali
deboli, ma anche quelle toniche; naturalmente, si tratta sempre di varianti combinatorie,
che non hanno nessuna valenza distintiva e che si manifestano in modo non
sistematico132.
Possiamo chiarire, a questo punto, che il fenomeno delle vocali proiettate non
consiste nella realizzazione di altri cinque fonemi vocalici distinti, ma piuttosto è una
modificazione che investe l'intero sistema vocalico: produce, per così dire, uno
“sdoppiamento”, in cui le cinque vocali standard, o chiuse, e le cinque vocali aperte, o
proiettate, non si distinguono a livello fonologico, bensì a livello soprasegmentale (per
tratti come l'apertura vocalica o la durata). La a finale di ['kasa] (casa) e quella di
[kasA] (casas), variando solamente nel grado di apertura, risultano come due
realizzazioni distinte, a livello soprasegmentale, del medesimo fonema; volendo fare un
paragone, tra di esse sussiste lo stesso rapporto che c'è tra vocali atone e toniche133.
Questa chiave di lettura del fenomeno, proposta da Alarcos ed accettata da molti, tra
cui i nostri A. Narbona, R. Cano e R. Morillo, risolve alcune problematiche che l'ipotesi
precedente presentava, tra cui quella dell'improbabilità di un sistema a cinque o sei
diversi gradi d'apertura, “poco frecuentes y de una rareza excepcional134”, in netto
contrasto con la tendenza semplificatrice dell'andaluso. È, infatti, anche in base al
principio di economia linguistica che si sono mosse le prime smentite da parte di questi
autori, giacché “las lenguas, en efecto, son sistemas económicos en el sentido de que
131 Ibidem, pag. 203.132 Ibidem, pag. 199.133 Anche il latino ha conosciuto un sistema vocalico analogo, composto da 5 vocali brevi e 5 lunghe: Ī,
Ĭ, Ě, Ē, Ă, Ā, Ŏ, Ō, Ŭ, Ū.134 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 140.
47
tienden a conseguir el máximo rendimiento [...] con el minimo coste, es decir, el menor
esfuerzo articulatorio y de memoria135”. Ogni parlante di ogni lingua, dunque, almeno in
situazioni comunicative familiari, tende inconsciamente a ridurre le ridondanze. In
andaluso, queste semplificazioni idiolettiche si generalizzano, oltrepassando le norme
grammaticali standard e rendendo la comunicazione più snella, pur mantenendo la
stessa efficacia. Nel caso della -s finale, ad esempio, le marche morfologiche di plurale
dei nomi (casa-casas) e seconda persona nei verbi (hablas - habla) potrebbero essere
omesse, poiché la presenza di altri determinanti nel resto della frase impedisce
l'ambiguità: nel caso dei nomi, la concordanza con articoli, aggettivi qualificativi,
dimostrativi, possessivi rende superflua la -s finale (grazie alle opposizioni el/lo-,
este/esto-), così come nel caso dei verbi, in cui la presenza del pronome personale tú
fuga ogni possibile confusione136.
Per porre fine alla questione sarà sufficiente analizzare il fenomeno dal punto di vista
geografico: la comparsa delle vocali proiettate, come detto sopra, si accompagna spesso
ad altri fenomeni analoghi, quali metafonia, allungamento della vocale, aspirazione, che
si manifestano in alcune zone in modo sistematico, in altre solo sporadicamente, e non
sempre tutti insieme. I nostri autori hanno ritrovato circa undici modelli di realizzazione
differenti, a seconda di come questi fenomeni si combinino tra loro e in base alla loro
comparsa sistematica o sporadica. Non sembra esserci, pertanto, una regola che
permetta di attribuire a queste realizzazioni valenze morfologiche precise. Oltretutto, se
si considera la situazione dell'Andalusia occidentale, in seguito all'aspirazione di -s
finale è possibile riscontrare il mantenimento del grado standard di apertura della vocale
precedente, che crea una situazione di perfetta omofonia tra nomi singolari/plurali e tra
seconda/terza persona del verbo (casa-casas ['kasa], comes-come ['kome]). Escludendo
l'ipotesi, assurda, che in Andalusia occidentale non si senta l'urgenza di distinguere fra
un singolare e un plurale, o fra una seconda e una terza persona, pare invece ormai
135 Ibidem.136 Ibidem, pag. 141. Una situazione analoga, se non ancora più estrema, è quella del francese, che nella
sua evoluzione fonetica ha eliso tutte le desinenze nominali e verbali nella pronuncia (recuperandole solo nei casi di liaison), lasciando il ruolo di differenziazione morfologica alla pronominalizzazione obbligatoria: infatti, non si possono mai omettere né il determinante di un nome (Les amis, ces amis) né il soggetto di un verbo (Je parle, tu parles), neanche nel caso di verbi impersonali come quelli climatici (Il pleut).
48
abbastanza chiaro che “la proyección de las vocales es una marca superflua en la
mayoría de los casos, como lo es la -s final para el castellano”, e che “no hay que
considerarla nada más que como un resto mecánico, producto de la redistribución de la
energía articulatoria [...] subsiguiente a la pérdida de la aspiración de la -s castellana,
carente, por tanto, de valor funcional137”.
Un'ultima considerazione va fatta per la particolare proiezione vocalica del fonema
basso centrale [a]. Questo, trovandosi proprio al vertice inferiore del triangolo vocalico,
non può raggiungere un'apertura vocalica maggiore di quella che già possiede. La sua
proiezione, infatti, si verifica in due modi distinti: la sua posteriorizzazione, verso un
suono più simile alla [Ɔ], o la sua anteriorizzazione, verso un suono più simile alla [Ɛ].
Ebbene, in andaluso è stata registrata, come tendenza predominante, quella
dell'anteriorizzazione138; verosimilmente, in alcune zone sparse dell'Andalusia, questa
-a finale si confonde con una e molto aperta, dando luogo a pronunce come *berenjenE,
*patatE per parole quali berenjenas, patatas e via dicendo. In particolare, c'è una zona
situata al confine fra le tre province di Siviglia, Málaga e Córdoba, ribattezzata da
Dámaso Alonso come Andalusia della E139, dove l'anteriorizzazione di a, oltre ai casi in
cui è seguita da -s finale aspirata, viene praticata, in modo del tutto anomalo, anche nel
caso in cui la vocale sia seguita da -l ed -r finali, in parole come Aguilar, Cristóbal,
hospital, che suonano come *AguilÉ, *CristobE, *hospitÉ. Due sono le ipotesi che
spiegherebbero questo particolare fenomeno140: la prima prenderebbe in considerazione
l'analogia, secondo cui l'anteriorizzazione di a davanti a -s finale avrebbe attratto,
nell'uso, anche quelle precedenti alle altre due consonanti, rese più deboli dalla loro
posizione implosiva, in finale di parola. Così si spiegherebbe anche l'aspirazione, spesso
frequente, di -r implosiva anche in corpo di parola, come nel caso della pronuncia
['kahne] per carne. L'altra teoria, invece, non prevede alcun nesso con la vocale
proiettata: l'anteriorizzazione davanti a -l ed -r, infatti, sarebbe dovuta ad una particolare
pronuncia di l, quella cacuminale, nella quale confluiscono entrambi i fonemi in
137 Ibidem, pag. 145.138 Emilio Alarcos Llorach, Op.cit., pag. 194.139 Dámaso Alonso, En la Andalucia de la E. (Dialectología pintoresca), Madrid, Graf. Clavileño, 1956,
1a ed., pags. 1-34.140 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 146.
49
posizione finale di parola. Quest'articolazione prevede che l'apice della lingua si
indirizzi verso il palato duro, in modo tale da restringere la cavità orale. Il riflesso
anticipatorio di quest'articolazione condizionerebbe l'apertura della a precedente,
anteriorizzandola. Tuttavia, il fenomeno non gode di una grande rilevanza, essendo
circoscritto ad una zona piuttosto ristretta, nella quale non è nemmeno praticato in
modo generalizzato: esso è presente in maggioranza soltanto tra le donne di mezza età,
e, più sporadicamente, fra gli uomini anziani e i bambini, chiaro segno che si tratta di un
fenomeno in retrocessione141.
2.4 Alterazioni di consonanti implosive e intervocaliche
Una delle tendenze più riscontrate nello spagnolo d'Andalusia è quella che viene
soprannominata fonofagia andalusa142: come anticipa la definizione stessa, i parlanti
andalusi tendono letteralmente a “mangiare”, o più tecnicamente a dileguare, i suoni in
finale di sillaba o parola. L'esempio più noto è quello dell'aspirazione di -s implosiva, di
cui abbiamo già trattato sopra; analizzeremo, adesso, tutti gli altri fonemi che sono
investiti in processi di alterazione nella suddetta posizione sillabica, nonché in posizioni
intervocaliche in finale di parola.
2.4.1. Liquide: -l ed -r implosive
Lo scrittore Juan Valera, in uno dei suoi celebri aneddoti143, racconta di un maestro
141 Ibidem.142 Ibidem, pag. 75.143 Non è stato possibile, coi mezzi di cui si è disposto, risalire alla fonte originale.
50
andaluso che ai suoi alunni così spiegava: “Niños: sordao, barcón y mardita sea tu
arma se escriben to(d)as con ele”. Frutto dell'ironia, il detto ripropone uno dei tratti più
caratterizzanti dell'andaluso: l'alterazione di -l ed -r in finale di sillaba. I due fonemi, il
primo laterale alveolare [l] e il secondo vibrante alveolare [r], si distinguono per il tipo
di articolazione della lingua: nel primo caso è immobile, con l'apice totalmente aderente
agli alveoli, così che l'aria passi attraverso le cavità laterali; nel secondo caso, invece, è
a stretto contatto con gli alveoli, ma con l'apice in vibrazione, che, a seconda
dell'intensità del suono emesso, può dar vita ad una monovibrante o a una polivibrante.
La coincidenza del punto d'articolazione e la somiglianza di impostazione della lingua
hanno dato luogo, nel corso dei secoli, alla confusione tra questi due fonemi, in modo
anarchico o sistematico, totale o parziale, a partire dai loro contesti più deboli, ossia in
finale di sillaba o di parola, fino ad arrivare a quelli intervocalici.
Il contrasto fra -l ed -r non è così recente nella storia fonologica del castigliano: a
cominciare dall'evoluzione dal latino, termini come MARMOR o CARCER hanno subito
processi di dissimilazione proprio in -l finale, divenendo mármol e cárcel; sporadici
scambi avvengono anche nel castigliano medievale, fra i parlanti mozarabi, ma anche
negli scritti più colti. Tra i documenti sivigliani dei secoli XV, XVI e XVII, gli scambi si
fanno più frequenti, cosicché leggiamo *solver per sorber, *comel per comer, *gorgar
per holgar e via dicendo; tali grafie (e dunque pronunce) erronee oltrepassano ben
presto i confini peninsulari, approdando in America Latina, dove tuttora il fenomeno è
presente e ben assestato144. Se, tuttavia, fino al XVI secolo poteva essere considerato
come fenomeno generale del castigliano, a partire dal XIX sec. esso diventerà
caratterizzante della parlata andalusa, specialmente nelle sue realizzazioni più estreme:
quella del rotacismo (di cui si parlerà più avanti) e quella del dileguo, che già dal XV
sec. compare in grafie come “haze” e “muje” (per hacer e mujer). Vale la pena notare,
oltre ai casi appena illustrati, anche quello della particolare aspirazione di -r implosiva
davanti a l ed n: dalle trascrizioni di fine XIX sec. ritroviamo *pejla o *pehla al posto di
perla e, forse per analogia con l'aspirazione di -s implosiva, anche grafie quali *habeslo
(haberlo), *casne (carne) e *piesna (pierna). Mentre per questi ultimi due casi non
conosciamo antecedenti, per i casi di -r implosiva davanti a l possiamo citare il
144 Ibidem, pags. 76-77.
51
fenomeno di assimilazione che investì le forme di infinito pronominale nel castigliano
medievale fino al XVII sec.: “tenello”, “habello”, “mirallo” (per tenerlo, haberlo,
mirarlo), con pronuncia [ʎ], potrebbero essere le prime testimonianze dell'aspirazione di
-r implosiva, anche se parziali, poichè questa non è attestata in altri contesti
morfologici145.
Il rapporto critico tra -r ed -l non si esaurisce qui: i loro interscambi sono attestati
anche nella realizzazione di nessi consonantici, seguiti da p-, b-, g-, f-, c-: documenti
andalusi dal XIII al XVII sec. attestano grafie come *plado, *escravo, *plofeta,
*groria, *branco (per prado, esclavo, profeta, gloria, blanco), fino a qualche
apparizione postuma nel XVIII secolo. Anche qui, l'ipotesi di una possibile ascendenza
nordoccidentale del fenomeno, in base alle evoluzioni leonesi e galego-portoghesi dei
nessi PL-, FL-, BL-, GL- e CL- in pr-, fr-, br-, gr- e cr-, è parziale, in quanto spiega solo
il passaggio da -l a -r e non viceversa146.
Passiamo ora in rassegna i diversi esiti del contrasto fra questi due fonemi. Come già
anticipato, in situazione implosiva si assiste ai seguenti mutamenti:
1. Rotacismo: consiste nella pronuncia della consonante laterale [l] come una
vibrante [r]; spesso, l'indebolimento di intensità riduce la polivibrante ad una
monovibrante [ɿ] o a un'approssimante [ɹ]. Esempi ne sono: ['kaɿma] calma,
[delan'taɹ] delantal, o l'espressione, tipica dell'andaluso, [to:r'mundo] *to(d)o 'l
mundo. Questo fenomeno è diffuso maggiormente nell'Andalusia occidentale147 e,
per quanto riguarda l'America Latina, nelle zone costiere di Colombia, Venezuela,
Perù, Ecuador, Paraguay e Antille148.
145 Ibidem, pag. 78. Non sono state riscontrate, infatti, analoghe alterazioni oltre a quelle degli infititi pronominali: in parole come burla, per. es., il nesso -rl- era pronunciato e scritto come tale.
146 Ibidem, pag. 77.147 Julio Fernández-Sevilla, “Los fonemas implosivos en español”, Thesaurus, vol. XXXV, 1980, pag.
477.148 Miguel Ángel Quesada Pacheco, “La fonética del español americano en pugna: dialectos radicales y
conservadores en lucha por la supremacía”, Actas del II Congreso Internacional de la Lengua Española – El español en la sociedad de la información, Valladolid, 2001, par. 3.4.
52
2. Lambdacismo: consiste nella tendenza a pronunciare come [l] il fonema vibrante
[r]. Benché sia in opposizione al rotacismo, è tuttavia presente nelle medesime
zone dell'America Latina149 e, inoltre, trova una certa diffusione nell'Andalusia
orientale, soprattutto per quei casi in cui la consonante si trova in finale di
parola150(es.: [ko'mel] comer, ['palte] parte).
3. Aspirazione o dileguo: si tratta, come nell'analogo caso di -s implosiva, di due fasi
dello stesso processo, in cui sia -r che -l implosiva possono essere pronunciate
come un'aspirata [h] (ad es.: ['pjehna] pierna) o scomparire del tutto [Ø]. Il dileguo
può accompagnarsi a un aumento d'intensità della consonante successiva o della
vocale precedente (es.: [ko'me] comer, ['a:to] alto, ['kat:a] carta151). In Andalusia
occidentale c'è una netta prevalenza per il dileguo quando la consonante si trova in
finale di parola; l'aspirazione, invece, è presente soltanto in alcune zone isolate
della penisola e, in modo poco frequente, nelle zone costiere dell'America Latina.
Un rilevante spunto di riflessione ci è fornito dall'analisi di questi due fonemi in
posizione finale di parola. In Andalusia occidentale, infatti, tendono al dileguo, mentre
nella parte orientale, se non confluiscono in una -l, mantengono un certo livello di
aspirazione o di r fricativa: questa netta distinzione sembra analoga a quella che si viene
a formare, nei casi di -s implosiva, tra aree di dileguo e aree con vocali proiettate152.
Sarebbe opportuno, a questo punto, chiedersi il perché di questa confusione
fonematica. La neutralizzazione dell'opposizione tra i due fonemi, infatti, genera alcune
omofonie equivoche, come ad es. alma/arma, suelte/suerte ecc., mettendo dunque a
rischio l'efficacia comunicativa. Tuttavia, come abbiamo già potuto notare nel paragrafo
relativo alle aspirazioni di -s implosiva, la tendenza articolatoria “rilassata”, tra i
parlanti andalusi, sembra vincere qualsiasi resistenza di tipo semantico. Che sia vera o
149 Ibidem.150 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 166.151 Miguel Ángel Quesada Pacheco, Op. cit.152 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 166. Le
due aree prese in esame non sono perfettamente equivalenti a quelle citate: nel caso di -l o -r implosiva, la linea di demarcazione risulta leggermente più spostata verso oriente.
53
meno l'ipotesi che attribuisce a questo rilassamento articolatorio motivazioni climatiche,
l'indebolimento di tratti fonematici distintivi, causato da riduzione d'intensità fonatoria,
risulta essere un dato di fatto. Se volessimo, infatti, spiegare le modalità con cui i due
fonemi [l] ed [r] siano venuti a confluire in realizzazioni fonetiche intermedie,
potremmo solo farlo ipotizzando in entrambi i casi un rilassamento articolatorio: la [r],
perdendo la vibrazione dell'apice della lingua, ha dato luogo alla sua variante fricativa;
allo stesso tempo, la [l], indebolendo lo sforzo muscolare che costringe la lingua ad
aderire al palato, ha perso la sua lateralizzazione, trasformandosi anch'essa in una
fricativa alveolare153. In questo suono intermedio, privo di tutti i tratti distintivi dei
fonemi di partenza, si è realizzata la neutralizzazione. L'arcifonema venutosi a formare,
simboleggiato da [lɹ], può avere ora un'articolazione laterale [l], ora polivibrante [r], ora
intermedia [ɹ] – [ɿ]154.
Detta neutralizzazione avviene anche nelle Isole Canarie e, come già specificato, in
buona parte dell'America Latina; ci sarebbe da chiedersi se il fenomeno vi è stato
importato dai parlanti andalusi o se si è generato indipendentemente. Della prima ipotesi
sono fautori studiosi come A. Alonso155 e D.L. Canfield156, che vedono in questa
diffusione responsabilità andaluse; a sostegno della seconda ipotesi, invece, sembrano
esserci maggiori indizi: il fenomeno non è sistematico né stabile, in quanto si presenta
solo in alcuni contesti e con realizzazioni diverse e, oltretutto, non delinea aree
compatte di diffusione, ma soltanto zone isolate e discontinue, sia al di qua che al di là
dell'Atlantico157.
Ultimo fenomeno da segnalare, per quanto riguarda l'opposizione fra r ed l, è quello
della loro neutralizzazione anche in contesto intervocalico: studi linguistici hanno
evidenziato pronunce equivoche di coppie di parole come palo/paro, vara/vala ecc.158,
nonchè esempi di totale dileguo di -r- in finale di parola, come nel diffusissimo caso
153 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 162.154 Julio Fernández-Sevilla, Op. cit., pag. 478.155 Amado Alonso, “'R' y 'L' en España y América”, Estudios Lingüísticos. Temas hispanoamericanos,
2aed., Madrid, 1961, pag. 263.156 Delos Lincoln Canfield, La pronunciación del español en América, Bogotà, 1962, pags. 72-73.157 Julio Fernández-Sevilla, Op. cit., pag. 480.158 Antonio Llorente Maldonado, “Fonética y fonología andaluzas”, Revista de Filología Española,
1962, n° 45, pag. 240.
54
dell'avverbio para, realizzato in registri colloquiali come pa' 159 (forma che esiste anche
a livello scritto, in registri del tutto informali o trascurati).
2.4.2. Dileguo di -d implosiva e -d- intervocalica
Dei sei fonemi consonantici (-d, -l, -z, -s, -r, -n) presenti in coda sillabica nel
castigliano, -d è quello che certamente mostra segni più evidenti di debolezza: è l'unico
suono il cui dileguo, stando alle testimonianze di cui disponiamo, non ha lasciato né
tracce di aspirazione, né di proiezione vocalica; inoltre, esso si verifica in modo
largamente diffuso non soltanto in contesti implosivi, bensì anche intervocalici.
La sua elisione risale anch'essa alle radici dell'evoluzione castigliana dal latino: i
corrispettivi di parole come feo, limpio o ver presentavano proprio una -d- intervocalica
(FOEDUS, LIMPIDUS, VIDERE)160. In epoca tardomedievale era già decaduta in finale di parola,
a giudicare dalle grafie *navidá o *maldá di alcuni testi poetici del XVI sec., nonché
dalla forma dell'imperativo di seconda persona plurale: *mirá, *tené, tipiche del XVII
sec., sulle quali si svilupperanno, poi, le forme dell'imperativo pronominale (miraos,
teneos). Quando, agli inizi del XVIII secolo, la pronuncia *-ao per il suffisso -ado del
participio passato divenne una moda alla corte madrilena, il processo di dileguo era già
arrivato al culmine, poiché iniziato in Andalusia almeno due secoli prima. Come già
sottolineato per altri fenomeni161, una caratteristica tipica delle parlate rurali e degli
strati più bassi della società urbana di tutta la Spagna troverebbe in Andalusia il suo
centro principale d'evoluzione e d'irradiazione. Da qui deriva, dunque, l'attribuzione
“andalusa” del fenomeno da parte di folcloristi e costumbristi162 del XIX secolo163.
159 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 181.160 Ibidem, pag. 75. Anche in francese assistiamo a evoluzioni fonologiche simili: si pensi, per esempio,
a parole come SPATA, che dopo numerosi processi (aggiunzione di e- prostetica, anteriorizzazione delle vocali, lenizione di -t-), è arrivata alla forma odierna épée, in cui del suono occlusivo di -t- (divenuto successivamente -d- per lenizione) non rimane alcuna traccia.
161 Come ad es. il seseo o l'aspirazione di -s implosiva. 162 Studiosi della costumbre, ossia degli usi e costumi tradizionali di un popolo o di una regione. Le
caratterizzazioni di cui sono ricche le prose della seconda metà del XIX sec. derivano proprio dalla tendenza costumbrista, dagli studi sociologici (e linguistici) basati sulle tradizioni popolari.
163 Ibidem, pag. 76.
55
Effettivamente, i dati sociolinguistici ottenuti da studi sul fenomeno non lasciano
spazio a nessun dubbio. Per quanto riguarda la -d in finale di parola, A. Narbona, R.
Cano, R. Morillo-Velarde sostengono:
[...] desaparece sin dejar ningún tipo de rastro [...] en Andalucía, donde, al menos
en el habla espontánea e incluso en registros algo cuidados, ni siquiera los
hablantes más cultos la mantienen. Sólo como resultado de un esfuerzo plenamente
consciente por acercarse al modelo idiomático normativo se llega a restituir la
consonante perdida164.
Dunque, nella pronuncia andalusa standard, parole come pared, voluntad, verdad
vengono sistematicamente pronunciate come *paré, *voluntá, *verdá. Secondo i
suddetti autori, quelli che in tutti gli altri territori della Spagna sono
rasgos lingüísticos [...] propios de los hablantes de menor cultura […], en
Andalucía ofrecen un comportamento diferenciado del resto del español vulgar, lo
que se traduce bien en una superior altura social, bien en un proceso de
“intensificación” que los lleva a alcanzar contextos a los que no llegan en otros
ámbitos hispánicos165.
Non si tratta di un vero e proprio “andalusismo” della lingua castigliana, bensì di una
caratteristica tipica della parlata rurale o popolare, che in Andalusia ha raggiunto alti
livelli d'uso e diffusione. Per esempio, il dileguo di -d- intervocalica ha avuto
un'espansione globale per quanto riguarda il suffisso *-ao del participio passato, ma, se
consideriamo tutti gli altri contesti morfologici, è rimasto confinato ai limiti della
regione e si verifica in misura molto minore.
Sembrerebbe, infatti, che tra parlanti andalusi si tenda a realizzare distinzioni
morfologiche ben precise per quanto riguarda il comportamento di -d- intervocalica. Il
suo dileguo in terminazioni come -ado, -ada del participio passato si verifica in grosse
percentuali, come, ad es., nel 90% dei casi per la parlata urbana di Cordova e quasi nel
164 Ibidem, pag. 163.165 Ibidem, pag. 176.
56
100% per le parlate rurali. Tuttavia, quando si tratta di nomi che contengono la stessa
terminazione (cuidado, enfado, lado, nublado), le tendenze quasi si invertono, venendo
di fatto a essere in minoranza i casi di dileguo. Stessa situazione, con percentuali
piuttosto inferiori, si verifica per i suffissi in -ada e ancora meno per quelli in -ido e
-ida166. Da ciò è deducibile che nella coscienza del parlante la natura morfologica è
decisiva: la caduta di -d- intervocalica si verifica maggiormente nei suffissi e tra di essi,
in particolar modo, in quelli che hanno la a come vocale tematica: così si ritrova in
-ado, -ada, ma anche in -ador, -adero, -adura (bailaor, *trocaero, *asaúra). Anche in
altri due casi la perdita della consonante si fa estensiva: negli avverbi todo e nada,
molto frequenti nelle forme *tó e *ná, o nei loro diminutivi *toíto e *naíta. Tra i suffissi
con altre vocali tematiche e fra i sostantivi, invece, il fenomeno si verifica in minore
misura.
2.4.3. Nasali: -n ed -m implosive
Gli ultimi fonemi che rimangono da trattare sono quelli nasali in posizione implosiva
e in finale di parola. In castigliano esistono tre fonemi consonantici nasali:
1. [n] - alveolare
2. [m] - bilabiale
3. [ɲ] - palatale
Le nasali sono consonanti molto particolari, poiché mantenengono i propri tratti
distintivi soltanto in posizione prevocalica: la loro distinzione è produttiva, cioè, in
coppie di parole come amo/año, mono/nono, saña/sana, ecc... In finale di sillaba,
invece, la loro articolazione non è libera, ma condizionata dalla consonante seguente:
davanti a consonanti dento-alveolari troveremo la nasale alveolare (entero [en'tero],
cansar [kan'sar]); davanti a consonanti bilabiali compare soltanto la nasale bilabiale
166 Ibidem, pags. 177-180
57
(embutido [embu'tiδo], con Beatriz [kombea'triθ]); davanti a consonanti labiodentali e
velari, invece, si formano le rispettive varianti articolatorie [ɱ] e [ŋ]; in finale di parola,
invece, secondo la norma standard, “las posibilidades de aparición quedan limitadas al
fonema /n/167” (alveolare). In altre parole, quando le nasali si trovano in posizione
implosiva, viene meno la loro distinzione fonematica, poiché vengono a confluire in un
unico arcifonema che varia la sua articolazione a seconda del contesto. Questa
neutralizzazione di base, propria del castigliano standard, come di moltissime altre
lingue, non è che il punto di partenza dell'evoluzione della varietà andalusa.
Volgendo uno sguardo ai fonemi implosivi precedentemente analizzati, abbiamo
notato come la tendenza al rilassamento articolatorio di alcuni di questi ha, di volta in
volta, causato alcune modifiche nel sistema fonologico; nel caso delle nasali, come
appena illustrato, in corpo di parola le varianti sono condizionate e rimangono tali anche
in andaluso. È in finale di parola, invece, che viene realizzata un'articolazione rilassata;
questa può prodursi in diverse fasi:
• in un primo momento, l'apice della lingua può perdere il contatto con gli alveoli,
facendo arretrare il dorso fino al velo palatino e dando luogo ad una nasale velare
[ŋ]. Così hablan > ['aβlaŋ];
• lo stadio più avanzato di rilassamento, invece, prevede l'assoribimento della
consonante nella vocale precedente: la lingua rimane pressoché immobile,
lasciando l'apertura delle coane168 come unico tratto di nasalizzazione, rendendo,
quindi, nasale la vocale precedente: ad es. [ã]. Così pan > ['pã];
• al culmine del processo è contemplato il caso di dileguo totale della consonante.
Quest'evenutalità è tuttavia molto rara e può verificarsi solo in sillaba atona169.
Così virgen > ['virχe].
La distinzione tra sillaba tonica ed atona è rilevante per l'analisi delle principali
167 Julio Fernández-Sevilla, Op. cit., pag. 488.168 Termine tecnico usato per indicare le fosse nasali, ossia le cavità superiori a quella orale. Aperte
mediante l'abbassamento del velo palatino, permettono di far risuonare al loro interno la vibrazione prodotta dalle corde vocali. Le consonanti nasali, infatti, sono sonore per definizione.
169 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 167.
58
tendenze. Se la -n si trova in sillaba tonica, in quasi tutto il territorio andaluso si assiste
alla velarizzazione della consonante, seguita in minore misura dalla nasalizzazione della
vocale precedente e, infine, dall'occasionale recupero di n alveolare in sporadiche zone
della parte orientale. Se si trova in sillaba atona, invece, le tendenze maggioritarie
diventano due: nella parte orientale, fatta eccezione per buona parte della provincia di
Jaén, si mantiene la velarizzazione della -n; nel resto della regione, è preponderante la
nasalizzazione della vocale precedente. Non si tratta, tuttavia, di distinzioni nette, bensì
di semplici generalizzazioni schematiche170.
Analogamente a quanto succede con la caduta di -s finale nel plurale dei nomi e nella
terza persona singolare dei verbi, con la caduta di -n finale viene meno l'opposizione
morfologica tra la terza persona singolare e quella plurale (habla/hablan, come/comen).
Anche in questo caso, allora, sarà opportuno chiedersi come venga recuperata la
distinzione fra le due forme verbali. La forte nasalizzazione delle vocali che precedono
la -n dileguata potrebbe indurci a formulare l'ipotesi di una fonologizzazione, ossia della
creazione di nuovi fonemi: questi sarebbero le vocali nasali, distinte da quelle standard
per il tratto di nasalità, che si opporrebbero a queste ultime proprio nelle terminazioni
verbali di terza persona plurale. L'ipotesi, tuttavia, è ben presto smentita, per le stesse
motivazioni che abbiamo illustrato nel caso delle vocali proiettate: l'improbabilità di
una complicazione del sistema vocalico, all'interno di una varietà che tende, invece, alla
semplificazione; l'instabilità del nuovo sistema ipotizzato, data la non-sistematicità di
questi nuovi fonemi vocalici; infine, la parzialità di questa teoria, poiché non applicabile
in quelle zone, precedentemente contemplate, in cui il dileguo di -n finale non lascia
alcuna traccia di sé. In poche parole, “no debe pensarse que tal resonancia [nasale] sea
un fonema, sino una variante discrecional de la -n en posición final absoluta171”.
Volendo tirare le fila del discorso sulle alterazioni consonantiche in finale di sillaba e
in posizione intervocalica, possiamo ormai dare per certo il fenomeno, piuttosto
ricorrente, della supposta “fonofagia andalusa”172. Al di là dell'ipotesi, comunque
suggestiva, di una possibile influenza climatica sui parlanti (il torpore, dovuto alle afose
170 Ibidem.171 Manuel Alvar, Sevilla macrocosmos lingüístico, Caracas, Instituto Pedagógico, 1974, pag. 30.172 Di cui si rimanda all'inizio del paragrafo.
59
temperature, li spingerebbe ad una pronuncia sempre più rilassata e meno articolata173),
abbiamo registrato, nella varietà parlata in Andalusia, il confluire di svariate tendenze:
alcune di queste, radicate all'interno del castigliano stesso, fin dalle sue origini174; altre,
venutesi a formare con l'uso pratico della lingua, che hanno messo a nudo le sue
ridondanze175. Oltretutto, abbiamo potuto anche notare alcune discrepanze fra la parlata
occidentale e quella orientale: la prima, coerentemente con la storia e l'evoluzione
dell'andaluso, sembrerebbe aver portato tali mutamenti fonetici a livelli più avanzati
(basti pensare al dileguo totale di -s, -d e, in alcune zone, anche di -r ed -n) rispetto alla
seconda (in cui ancora permangono tracce di aspirazione o proiezione vocalica). Tutte
queste semplificazioni, come abbiamo dimostrato, non hanno intaccato in modo
rilevante l'efficacia comunicativa: risolvendo alcune opposizioni ed articolazioni non
necessarie, l'andaluso continua a muoversi verso il maggior rendimento della lingua,
raccogliendo le instabilità del sistema normativo e portando avanti le sue molteplici
possibilità di rinnovamento.
173 Si tratta della teoria climatologica, un'ipotesi scientificamente mai verificata, basata sull'idea che le condizioni climatiche influiscano, oltre che sul carattere delle popolazioni, sui loro usi e costumi, sulle loro forme di governo, persino sulle abitudini linguistiche. Sulla questione si sono soffermati, in ambito ispanista, Don Pedro Henríquez Ureña e Max Leopold Wagner, nel corso di una polemica negli anni '20 del Novecento, relativamente ad altri studi, orientati alla dimostrazione o alla confutazione del presunto “andalusismo” dello spagnolo d'America. Nel 1925, Don Pedro parla di cinque zone linguistiche differenti in America Latina, ove per ognuna di queste esistono due tipi di pronuncia, “la de las tierras altas y la de las tierras bajas”, e solo in queste ultime si può parlare di andalusismo. Da qui formula, dunque, la seguente ipotesi: “¿Influyen en ello causas climatéricas? Nada podrá afirmarse mientras no se defina mejor la influencia climática sobre los fenómenos fonéticos” (“El supuesto andalucismo de América”, Cuadernos del Instituto de filología de la Universidad de Buenos Aires, tomo I, n° 2, Buenos Aires, 1925, pags. 114-122). In poche parole, lo studioso trova le abitudini linguistiche andaluse molto simili a quelle delle zone costiere dell'America Latina e suppone che tale corrispondenza sia dovuta al tipo di clima, notevolmente simile. Due anni dopo, Wagner smentisce le teorie di Ureña, aprendo così la questione; egli, infatti, non trova in questa analogia di pronunce una possibile motivazione climatologica in senso stretto, piuttosto la spiega in termini di ripopolamento: gli andalusi sarebbero andati ad abitare le zone che più si confacevano al clima della loro terra d'origine, quindi “las tierras bajas” (“El supuesto andalucismo de América y la teoria climatológica”, Revista de Filología Española, XIV, 1927, pags 20-30). Tre anni dopo, Don Pedro chiarisce che quella della teoria climatologica, che Wagner gli aveva attribuito, era solo un'ipotesi marginale, un semplice punto di vista. Non aveva mai espresso un giudizio positivo, bensì aveva preso in considerazione anche questa possibile spiegazione (“Observaciones sobre el Español de América”, Revista de Filología Española, XVII, 1930, pags. 277-284). La suddetta teoria, dunque, non ha mai goduto di particolare affidabilità tra gli studiosi, poiché sempre considerata fallace. A tal proposito, molti anni dopo, Julio Fernández Sevilla afferma: “está ya suficientemente demonstrado que fenómenos como el debilitamiento y pérdida de implosivas son ajenos al calor y al frío” (“La polémica andalucista: estado de la cuestión”, Actas del I Congreso Internacional sobre el Español de América, 1987).
174 Come, ad esempio, la tendenza ancestrale del castigliano verso la sillaba aperta.175 Come, ad esempio, il dileguo di -s ed -n implosiva nelle terminazioni verbali e di -s nei nomi plurali.
60
2.5 Il yeísmo
Col termine yeísmo si intende, nello studio linguistico dei fenomeni fonologici
moderni dello spagnolo, “la articulación como y de toda ll176”, ossia la pronuncia
delateralizzata della palatale [ʎ]. È un fenomeno molto complesso, poiché, come nel
caso del seseo-ceceo, non si tratta solamente della sostituzione di un fonema con un
altro, bensì di una pluralità di articolazioni intermedie, in cui confluiscono due o più
fonemi vicini. Per comprendere meglio le modalità e le cause di questo fenomeno,
occorrerà, come sempre, ripartire dal sistema fonologico standard del castigliano e
dall'evoluzione delle sue unità fonematiche.
In spagnolo, le consonanti palatali sono cinque: oltre alla nasale [ɲ], all'affricata [tʃ]
e alla semivocale [j], abbiamo la laterale [ʎ] e la fricativa [ʝ]. Sono proprio questi ultimi
due fonemi, dalla pronuncia molto simile, ad entrare in conflitto: si articolano
avvicinando il dorso della lingua al palato duro, in modo da tenerli a stretto contatto, ma
senza otturazione del flusso espiratorio. L'unica differenza tra le due realizzazioni sta
nella forma assunta dalla lingua: nel caso del suono [ʎ] è tesa al centro e rilassata ai
bordi, in modo da far uscire l'aria lateralmente; nel caso di [ʝ], invece, è tesa ai bordi,
lasciando passare l'aria attraverso il centro, ove viene prodotta la frizione177. Al primo
suono corrisponde la grafia ll, infatti lo troviamo, ad.es., nella parola caballo [ka'βaʎo];
al secondo, invece, corrisponde la grafia y e lo troviamo in rayo ['raʝo].
La confusione tra questi suoni non è recente, tanto che è stato possibile definire due
fasi del fenomeno, una con il nome di yeísmo antico e l'altra con il nome di yeísmo
moderno178. L'etimologia dei due suoni, nonostante la loro somiglianza, è nettamente
distinta: la ll [ʎ] deriva dalla palatalizzazione del gruppo [-lj-] latino, nonché dalla LL,
176 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 150.177 Ibidem.178 Maria Luisa Calero Vaquera, Miguel Calvillo Jurado, “Consideraciones sobre el yeísmo en la
enseñanza del español”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, n° 14-15, 1992, pag. 39.
61
geminata intervocalica, e dallo scioglimento dei nessi PL-, FL- e CL-179, mentre la y [ʝ]
deriva dai gruppi [bj], [gj] e [dj] e dalla i consonantica [j]180. La prima fase di yeísmo ha
investito tutti quei termini in cui la ll proveniva da [lj] latino: quello che Manuel Ariza
definisce come “yeísmo leonés181”, analizzato sulla base di documenti provenienti da
quella regione, mette in luce alcune anomalie grafiche medievali, che lasciano
ipotizzare per quell'epoca (XIII-XIV sec.) una già avvenuta delateralizzazione del
fonema nella parlata asturo-leonese. È difficile stabilire con esattezza quale fosse l'esatta
pronuncia di quel suono, tuttavia sappiamo con certezza che confluì, di lì a poco, nella
fricativa sonora j [Ʒ] del castigliano, la quale, nei secoli successivi, subì una lunga serie
di mutamenti, che la portarono a divenire l'attuale fricativa velare [χ] (per cui si arriva,
alla fine del processo, da MULIER a mujer, da FILIUS a hijo, da CONSILIUM a consejo ecc...).
La seconda fase di yeísmo, detta appunto moderna, viene registrata dal XVI sec. in
poi in diversi testi andalusi, ma anche in lettere scritte da spagnoli in America, tra cui
anche castigliani, per mezzo di grafie erronee. A partire dal XVIII secolo il fenomeno si
attesterà nella coscienza collettiva dei letterati spagnoli come peculiarità tipicamente
andalusa e verrà spesso utilizzato per le caratterizzazioni teatrali182 (ad esempio, lo
troviamo fra i sainetes di Ramón de la Cruz183 o tra le favole di Tomás de Iriarte184).
Un'altra testimonianza ci giunge dall'illustre Benito Pérez Galdós, che nella sua opera
Fortunata y Jacinta, pubblicata nel 1886, segnala la presenza di tendenze yeíste fra i
parlanti madrileni di classe bassa; così descrive uno dei suoi personaggi: “Daba a la elle
el tono arrastrado que la gente baja da a la y consonante185” e più avanti parla
dell'influenza linguistica del "deje andaluz" tra i parlanti dei bassifondi della capitale,
presenza dovuta alla forte immigrazione verso le grandi città che era già in atto a
179 Si considerano i seguenti esempi: FILIUS > fillo (ant.sp.), PLENUS > lleno, FLAMMA > llama, CLAVEM > llave.
180 Si considerano i seguenti esempi: RADIUS > rayo, MAIOR > mayor.181 Manuel Ariza, Sobre fonética histórica del español, Madrid, Arco Libros, 1994, pag. 143.182 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 74.183 Ramón de la Cruz, “Las provincias Españolas unidas por el placer (1789)”, Sainetes, Madrid,
Cátedra, 1990, pags. 433-464.184 Tomás de Iriarte, “Romance en que se describe un baile casero”, in “Poetas Líricos del siglo XVIII”,
tomo II, a cura di Leopoldo Augusto de Cueto, Biblioteca de Autores Españoles, vol. LXIII, pag. 61. 185 Benito Pérez Galdós, Fortunata y Jacinta (dos historias de casadas), Imprenta de la Guirnalda,
Madrid, 1886, pag. 36, citato in Isabel Molina, “Innovación y difusión del cambio lingüístico en Madrid”, Revista de Filología Española, tomo LXXXVI, vol. 1, 2006, pags. 133.
62
quell'epoca. A partire dalla fine del XIX sec., dunque, il fenomeno acquista sempre più
popolarità e prestigio, fino a raggiungere, già negli anni '60 del secolo scorso, tutti i
livelli della società madrilena186.
Dalle analisi svolte da Navarro Tomás187 sulle elaborazioni dell'ALPI (Atlas
Lingüistico de la Península Ibérica188), la situazione geolinguistica del fenomeno
vedeva ancora una netta maggioranza delle zone in cui veniva praticata la distinzione tra
i due fonemi; ad esse si alternavano zone di yeísmo parziale (la Mancha, Estremadura, la
zona di Murcia e l'Andalusia nord-occidentale) e zone di yeísmo totale (l' Andalusia sud-
orientale). Tuttavia, riproporre tale ricostruzione ai giorni nostri pare quanto mai
obsoleto, vista la parzialità degli studi: relegati principalmente alla parlata rurale, non
tengono conto dell'estensione demografica dei parlanti e, oltretutto, rispecchiano la
situazione della metà del secolo scorso, molto differente da quella odierna189.
Infatti, da quando il fenomeno si è assestato, nel corso del XX sec., nella parlata
madrilena in tutti i suoi registri, è partito proprio dalla capitale un secondo fuoco di
irradiazione che ha investito gran parte delle regioni settentrionali della penisola,
accrescendo così il prestigio sociale delle pronunce yeíste, tanto che oggi è possibile
riscontrarle fra parlanti colti o incolti, istruiti o analfabeti, giovani o meno giovani.
Questa tendenza è in costante aumento, specialmente nelle parlate urbane e nel
linguaggio dei giovani, tra i quali si sta diffondendo con enorme rapidità190.
Alla luce di queste considerazioni, oggi il yeismo è lungi dal poter essere definito un
fatto linguistico tipicamente andaluso, in quanto, come ormai noto, non è né assoluto né
esclusivo della regione; la sua estensione geografica e demografica, infatti, ha
raggiunto, già a partire dal XVII sec., gran parte dei territori d'oltreoceano, dove la
distinzione viene ormai mantenuta solo in alcune aree della Colombia, in Paraguay, in
186 Isabel Molina, Op. cit., pags. 133-134.187 Tomás Navarro Tomás, “Nuevos datos sobre el yeísmo”, Thesaurus, tomo XIX, n°1, 1964, pags. 1-
17.188 Tomás Navarro Tomás, Atlas Lingüístico de la Península Ibérica, I: Fonética, Madrid, CSIC, 1962.
Il progetto nasce nel 1914 per opera di Menéndez Pidal, ma verrà affidato a Navarro Tomás, suo allievo. I sondaggi furono svolti in 527 centri della penisola, generalmente piccoli paesi; furono escluse le zone di lingua basca. I lavori di ricerca vengono svolti negli anni 1931-35 e 1947-54 e la prima pubblicazione avviene nel 1962, col primo volume; gli altri nove previsti, però, non furono più pubblicati.
189 Maria Luisa Calero Vaquera, Miguel Calvillo Jurado, Op. cit., pag. 40.190 Bienvenido Palomo Olmos, “Palabras homófonas y homógrafas en español como consecuencia del
yeísmo”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, n° 13, 1990, pag. 10.
63
Bolivia e in zone sparse del Perú, dell'Ecuador e del Cile191. All'interno della stessa
Andalusia, invece, la pronuncia distinta dei due suoni (quasi mai praticata nel rispetto
delle corrispondenze etimologiche) prevale solo nella parte occidentale (ad eccezione
della provincia di Cadice) e in modo piuttosto discontinuo, fra i parlanti di maggiore età
e di sesso femminile192. In poche parole, dal punto di vista sociolinguistico, il fenomeno
potrebbe quasi definirsi una norma fonetica più che un dialettalismo.
Un'altra variabile da tenere in conto, nell'analisi del fenomeno, è la mutevole
articolazione della y, che già da prima dell'affermazione del yeísmo aveva mostrato
segni di instabilità: alla realizzazione fricativa palatale si erano aggiunte una pronuncia
affricata [ɟʝ] e una rilassata, molto simile all'approssimante [j]. Queste varianti
allofoniche sono naturalmente entrate in gioco nella confusione yeísta, risultando
anch'esse come realizzazioni alternative di ll, in particolar modo nell'Andalusia
orientale193. In America Latina, invece, la pronuncia rilassata di y si è spinta oltre,
arrivando ad articolazioni più anteriori: [ʒ] e, in alcune zone, [ʃ]194, riproponendo così
la stessa evoluzione raggiunta nella fase più antica del fenomeno195. Oltretutto,
specialmente nelle zone di yeísmo parziale o totale, in registri più controllati, è da
segnalare la tendenza al recupero della ll non etimologica, che genera grafie e pronunce
erronee (*no te vallas): fa parte del cosiddetto lleísmo, fenomeno con cui viene definita
la sostituzione di y con ll, che deriva quasi sempre da pratiche di ipercorrettismo196.
Giunti a questo punto, potrebbe sembrare ormai superfluo chiedersi il motivo di
questa pronuncia rilassata della ll, almeno per quanto riguarda la parlata andalusa, viste
le numerose tendenze analoghe registrate finora in altri contesti consonantici; tuttavia, il
yeísmo differisce da queste per la sua più ampia diffusione. Sarebbe allora più
opportuno chiedersi il perché di questo “trionfo”: come il seseo o l'aspirazione di -s
191 Ibidem.192 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 151.193 Tomás Navarro Tomás, Op. cit., 1964, pags. 3-4.194 Bienvenido Palomo Olmos, Op. cit., pag. 9.195 Si tratta della già citata fase di yeísmo antico, che riguarda l'evoluzione dal nesso latino [-lj-] al
castigliano x, j (con pronuncia [ʃ] – [ʒ]), di cui si è già discusso. A tal proposito, è importante considerare la ciclicità involontaria di tali mutazioni fonetiche, che si ripropongono a distanza di secoli e in luoghi distanti fra loro. Un altro esempio è stato dato, nel paragrafo 2.3, nell'analogia fra i processi fonologici del francese medievale e quelli dell'andaluso moderno.
196 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 150.
64
implosiva, infatti, è un fenomeno che parte dal basso, dalle parlate volgari, solo che
questi ultimi non hanno mai raggiunto un così elevato grado di accettazione sociale,
(tanto che tutt'oggi vengono ancora segnalati come dialettalismi, come pronunce del
tutto scorrette), mentre il yeísmo sembra essere sempre più vicino alla
normativizzazione.
Potremmo spiegare questa discrepanza sulla base delle conseguenze morfosintattiche
che tale tendenza procura: sicuramente, queste sono molto meno rilevanti di quelle
causate dagli altri due fenomeni precedentemente citati. La neutralizzazione della
distinzione tra [ʎ] ed [ʝ], infatti, non ha generato molte omofonie all'interno del lessico
di base: per citare qualche esempio, calló e cayó, pollo e poyo, valla e vaya (cong.
verbo ir), rallar e rayar, ecc..; tutte distinzioni recuperate nel contesto o per via di
sostituzioni lessicali197.
Anche nel caso appena analizzato, dunque, il rischio di ambiguità di alcune pronunce
è stato ben volentieri accettato dai parlanti in cambio di un maggiore rendimento della
lingua, ottenuto mediante quest'ulteriore riduzione nel sistema fonologico.
197 Per. es. halla, per via dell'omofonia con haya, è stato sostituito con encuentra; allo stesso modo la parola hoya, per differire da olla, viene ormai utilizzata nella sua forma maschile hoyo (Maria Luisa Calero Vaquera, Miguel Calvillo Jurado, Op. cit., pag. 44).
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CONCLUSIONI
Giunti al termine di questo lavoro, è necessario tirare le somme di tutte le
considerazioni fatte ed elaborare un'ultima analisi sull'argomento trattato. Si è partiti dal
presupposto che lo spagnolo d'Andalusia non possiede tutte le caratteristiche per essere
considerato un dialetto e che sarebbe meglio, piuttosto, definirlo come un'habla, ossia
una “parlata”, poichè è quasi esclusivamente nella varietà orale che presenta le maggiori
differenze dal castigliano. Quindi sono stati passati in rassegna i fenomeni fonetici e
fonologici che più di tutti incidono sulla caratterizzazione della varietà andalusa: come
abbiamo visto, si tratta quasi sempre di varianti articolatorie dei suoni o di confusioni
fonematiche.
Vale la pena ricordare che fra tutti i fenomeni riscontrati, soltanto alcuni di essi
possono essere considerati esclusivamente andalusi (le vocali proiettate, l'aspirazione di
h- iniziale e pochi altri), mentre i restanti, nonostante abbiano avuto origine proprio fra i
parlanti di questa regione, hanno raggiunto livelli di diffusione talmente vasti da poter
essere considerati come fenomeni panispanici, proprio perché non sono rimasti
circoscritti ai confini dell'Andalusia, bensì hanno raggiunto le più svariate regioni del
mondo ispanofono. Per essere più precisi, si è giunti a parlare un vero e proprio
“spagnolo meridionale” o “spagnolo atlantico”, intendendo con questo termine l'insieme
delle varietà parlate tra la Spagna meridionale e l'America Latina, accomunate da alcuni
fenomeni fonologici ben precisi, tra cui il seseo, il yeísmo, le alterazioni di consonanti
implosive e la pronuncia aspirata di jota198.
Tutti questi fenomeni, come noto, hanno avuto origine proprio dalla parlata andalusa.
Analizzandoli tecnicamente, caso per caso, è stato possibile riscontrare una tendenza
generalizzata alla base di tali modificazioni, ossia quella della semplificazione, intesa
198 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 149.
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come epurazione della lingua dalle sue ridondanze, al fine di poterne aumentare il
rendimento: maggiore efficacia comunicativa con il minimo sforzo articolatorio. Spesso
si è voluto attribuire a questa tendenza motivazioni climatiche: le calde e afose
temperature delle regioni del sud della Spagna, provocando spesso torpore e
spossatezza, avrebbero portato la gente di questi luoghi a pronunciare i suoni più
articolati in modo più rilassato. Si tratta di un'ipotesi piuttosto suggestiva, che oltretutto
troverebbe alcuni riscontri nelle altre parlate mediterranee, per esempio in quella
siciliana, in cui è facile riscontrare l'analoga tendenza a “mangiarsi le parole” o le lettere
finali, proprio perché ritenute superflue: bisogna ammettere, infatti, che effettivamente
l'informazione necessaria all'efficacia comunicativa risiede quasi sempre all'inizio di
ogni parola o di ogni frase. Tuttavia, le supposte motivazioni climatiche non sembrano
essere molto convincenti: la loro parzialità non ci permette di spiegare le analoghe
modificazioni linguistiche avvenute in diverse zone geografiche199.
È possibile, a tal proposito, tracciare un ulteriore parallelismo fra l'andaluso ed altre
lingue romanze, per esempio il francese. Durante la sua evoluzione dal latino, questa
lingua ha operato molte semplificazioni consonantiche in finale di sillaba e, nonostante
le numerose normatizzazioni grafiche succedutesi nei secoli, la sua situazione odierna
presenta, nella sua forma scritta, moltissime consonanti etimologiche, che non
corrispondono più ad alcun suono200. Tra i suoni dileguati in finale di parola è da notare
la presenza di desinenze morfologiche, atte a distinguere la persona di un verbo o il
numero di un nome, proprio come nel caso dell'aspirazione/dileguo di -s implosiva in
andaluso. Sebbene in francese questi fenomeni si siano verificati qualche secolo prima,
le ragioni di fondo sono le medesime: dunque, non un'ipotetica influenza climatica
(temperature calde e clima afoso non sono tipici della Francia), bensì motivazioni di
tipo prettamente linguistico.
Ogni lingua è mutevole, in costante evoluzione, poiché l'uso ne modifica le strutture
secondo i criteri di funzionalità ed efficacia comunicativa. Da questo punto di vista, sia
francese che andaluso possono essere definiti come innovativi: hanno modificato il
sistema linguistico di partenza (il latino da un lato, il castigliano dall'altro) in base ai
199 Per ulteriori chiarimenti sulla teoria climatologica, si rimanda alla nota 172.200 Per citare qualche esempio, nella parola doigt ['dwa] le consonanti g e t non vengono mai
pronunciate, ma vengono ugualmente scritte per ricordare l'etimologia (DIGITUM).
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suddetti criteri, spingendolo talvolta ad estremizzazioni fonologiche o morfologiche che
hanno poi necessitato di riassestamenti201, ma operando importanti e produttivi processi
di semplificazione.
Alla luce di queste considerazioni, dunque, difficilmente si possono comprendere le
posizioni di coloro che propugnano un irrigidimento della norma linguistica castigliana
nel severo rispetto delle sue regole.
Per concludere, vale la pena ricordare che l'eccessiva normatività in una lingua può
risultare deleteria, in quanto porta soltanto alla sua fossilizzazione: sono, invece, proprio
quei mutamenti che partono “dal basso” e che, se apportano effettivamente una
miglioria nel sistema comunicativo, possono anche raggiungere nel corso dei secoli alti
livelli di accettazione, a mantenere “in vita” un sistema linguistico.
201 Come il già citato caso della pronominalizzazione obbligatoria del francese, dovuta al dileguo delle desinenze morfologiche.
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