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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI P ALERMO F ACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE D. M. 270 Fonetica e fonologia dello spagnolo d'Andalusia Tesi di Laurea di Relatore Fabio Pellitteri matricola 0567803 Chiar.mo Prof. Eleonora Iacono _____________________________________ A. A. 2011/2012

Fonetica e fonologia dello spagnolo d'Andalusia

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE D. M. 270

Fonetica e fonologia dello spagnolo d'Andalusia

Tesi di Laurea di RelatoreFabio Pellitterimatricola 0567803

Chiar.mo Prof.Eleonora Iacono

_____________________________________A. A. 2011/2012

INDICE

Introduzione ............................................................................................................................. 3

CAPITOLO I . Storia dell'Andalusia e dell'Andaluso

1.1 Introduzione .................................................................................................................. 5

1.2 Storia dell'Andalusia ................................................................................................. 7

1.3 Storia dell'andaluso ................................................................................................... 9

CAPITOLO II . Fenomeni fonologici dello spagnolo d'Andalusia

2.1 Il seseo-ceceo ................................................................................................................. 17

2.2 Le aspirazioni ................................................................................................................29

2.2.1 La h- iniziale ......................................................................................................... 31

2.2.2 L'aspirazione di jota ......................................................................…................. 32

2.2.3 L'aspirazione di -s implosiva ...........................................................................34

2.3 Le vocali proiettate ..................................................................................................... 45

2.4 Alterazioni di consonanti implosive e intervocaliche ................................. 50

2.4.1 Liquide: -l ed -r implosive ................................................................................ 50

2.4.2 Dileguo di -d implosiva e -d- intervocalica .................................................. 55

2.4.3 Nasali: -n ed -m implosive ................................................................................ 57

2.5 Il yeísmo ...........................................................................................................................61

Conclusioni ............................................................................................................................... 66

Bibliografia ............................................................................................................................... 69

INTRODUZIONE

Nel meraviglioso sud della Spagna, descritta dal tortuoso percorso del Guadalquivir,

dalla Sierra Morena e dalle alte cime della Sierra Nevada, delimitata dal mar

Mediterraneo e dall'Oceano Atlantico, che la separano dalle coste del Maghreb, spicca

l'Andalusia, una delle più brillanti regioni della Spagna, crogiolo di arti, sapori e

costumi, da sempre culla dell'interculturalità e delle tradizioni folcloristiche ad essa

legate. Quando si parla di Andalusia, infatti, non si può non pensare ai bailaores di

flamenco, ai canti e ai balli popolari, alle numerose prelibatezze culinarie, così come

agli splendidi resti dell'architettura arabo-islamica, ultimi segni di una grande civilità,

che per tanto tempo ha reso ricca e florida questa terra. Eppure, la particolarità di questa

regione non risiede soltanto nell'ambito socioculturale delle tradizioni o in quello

artistico della sua architettura, ma investe anche il campo linguistico.

Effettivamente, non serve essere particolarmente esperti in questo settore per

accorgersi delle molteplici differenze, soprattutto fonetiche e lessicali, presenti nello

spagnolo parlato in Andalusia rispetto allo standard castigliano. Nel corso del tempo,

diverse cause sono state segnalate come responsabili della varietà andalusa:

l'eterogeneità di etnie che hanno popolato questa terra nei secoli, la particolare indole

dei suoi abitanti, il clima torrido e spossante o, più tecnicamente, le istanze evolutive

della lingua che, mossa da inarrestabili spinte di rinnovamento interne, vive in eterno

contrasto con la tendenza alla codificazione e alla standardizzazione.

L'obiettivo principale di questa trattazione è illustrare tale varietà (parlata) dello

spagnolo dal punto di vista della fonetica e della fonologia, ambito linguistico in cui

l'andaluso si distacca di più dalla norma.

Nel capitolo I si propone una breve introduzione sulla storia di questa regione, sugli

abitanti che l'hanno popolata e sui dominatori che l'hanno conquistata; quindi, vengono

3

riproposte le prime considerazioni fatte a proposito della lingua andalusa da parte di

studiosi antichi e moderni.

Nel capitolo II, invece, si passano in rassegna i fenomeni fonetici e fonologici più

importanti, illustrando via via:

• la definizione generale dei fenomeni, con una breve esposizione delle loro

caratteristiche;

• le loro possibili origini storiche, con il sussidio delle più antiche testimonianze

scritte, recuperate ed esaminate dai più eminenti filologi e linguisti: lavoro non facile

per coloro che si sono cimentati a rintracciare, attraverso possibili grafie erronee, i segni

di una possibile modificazione fonetica già avvenuta o in via di assestamento.

Ricordiamo, infatti, che la varietà scritta di ogni lingua differisce in modo sostanziale da

quella orale, sia perché riguarda i registri più formali (come nel caso di atti notarili,

scritti scientifici, ecc.) sia perché linguisticamente più controllata;

• la loro estensione geografica e sociolinguistica, poiché quasi mai un fenomeno è

omogeneamente diffuso: esistono sempre zone più influenzate dalla lingua standard e

zone più anarchiche, ove talvolta il fenomeno può giungere a soluzioni estreme. È anche

indispensabile considerare le variabili sociologiche (sesso, età, livello d'istruzione,

ruralità) nell'analisi della diffusione dei fenomeni esposti;

• le loro possibili cause, cioè le motivazioni di tipo prettamente linguistico che

possono avere influenzato o dato vita al cambiamento. Alla base di ogni fenomeno c'è

quasi sempre l'instabilità del sistema fonologico, con i suoi numerosi “punti deboli”: ad

esempio, la vicinanza articolatoria di due o più suoni o la ridondanza di alcune

distinzioni fonematiche, che non sempre sono strettamente necessarie all'efficacia

comunicativa.

Infine, vengono tratte le conclusioni della trattazione, nel tentativo di ritrovare un nesso

tra i diversi casi presi in esame e di ricondurre ad un unico filo logico le considerazioni

fatte per ogni singolo fenomeno.

4

CAPITOLO I

Storia dell'Andalusia e dell'andaluso

1.1 Introduzione

Chiunque, avendo delle discrete nozioni di spagnolo standard (castigliano), potrebbe

rendersi conto che lo spagnolo parlato dagli andalusi non rispecchia perfettamente

quello della norma. Questa osservazione è facilmente verificabile, perché la maggior

parte delle “innovazioni” avviene nell'ambito esteriore della lingua: la fonetica. Infatti, è

facile rendersi conto che, se ad esempio, alla richiesta di indicazioni stradali, un

andaluso risponderà “to' recto pa'ya” (todo recto para allá) o se lo stesso, al congedarsi,

dirà “'ta lueo” (hasta luego), la varietà di spagnolo utilizzata non sarà quella del

castigliano standard, né tantomeno quella colloquiale delle regioni settentrionali della

Spagna. Quello che oggi è un modo di parlare facilmente distinguibile, cominciò a

formarsi intorno alla fine del Medioevo, tra il XIII e il XV sec., a quasi due secoli di

distanza dalla conquista dell'Andalusia da parte dei regni cristiani e dal suo conseguente

ripopolamento con parlanti spagnoli provenienti da tutte le parti della penisola1.

In seguito alla normativizzazione del castigliano come lingua standard ufficiale (XVI

sec.), la varietà andalusa ha assunto sempre più connotazioni negative, divenendo segno

di “impurità” della lingua. Ad avvalorare il pregiudizio, ha giocato un ruolo importante

anche il livello medio d'istruzione pubblica degli abitanti, che fino alla metà del secolo

scorso si attestava a percentuali molto basse2; questo fattore è sempre stato decisivo, al 1 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, El español hablado

en Andalucía, Barcellona, Ariel, 1998, pag. 109.2 Ibidem, pag. 238. Nel testo si precisa che l'Andalusia, “pese al ingente esfuerzo realizado en los

5

momento di qualificare la cultura e l'istruzione di un individuo in base alla correttezza

della lingua parlata. In tempi più o meno recenti, si è giunti persino a menzionare un

certo “complesso d'inferiorità”3 dei parlanti andalusi, che, riconoscendo la differenza tra

la loro varietà linguistica e quella di altri parlanti spagnoli, giungerebbero a sottostimare

la propria, definendola essi stessi una “corruzione”4.

In realtà, altri studiosi di linguistica e dialettologia, come Antonio Narbona, Rafael

Cano, Ramón Morillo, nel trattare questo delicato argomento, attutiscono questa dicitura

un po' troppo drastica, affermando che “además de no ser exclusivo de los andaluces”,

non rappresenta un fatto meramente linguistico, e che “no hace más que reflejar la

actitud ante los usos idiomáticos propios de quienes pertenecen a los grupos

socioculturales o socioeconómicos inferiores”5, diventando così un fattore sociologico. I ultimos años, continúa siendo una de las Comunidades Autonómas con mayor porcentaje de analfabetos, tanto totales […] como funcionales”.

3 Si tratta, più che di un vero e proprio “complesso”, di un sentimento di inferiorità nei confronti dei parlanti di altre zone della Spagna, specialmente di quelle settentrionali. Per determinare l'origine di questo fenomeno, si possono chiamare in causa i numerosi interventi di vari studiosi, elaborati nel corso dei secoli, volti a screditare o a pregiudicare la pronuncia andalusa del castigliano. Forse il caso più eclatante è quello dello scrittore Juan Valera, il quale, al principio del XX sec. affermava che “en Andalucía, por fortuna, aunque la gente pronuncia mal el castellano, suele hablarle y escribirle bien” (“El regionalismo literario en Andalucía” [1900], Obras completas, vol. II, Madrid, Aguilar, 1949, pag. 1047). Da qui deriverebbe il presunto “complesso d'inferiorità”, preso successivamente in esame da numerosi linguisti nel tentativo di “sfatare il mito”. Tra questi vi è Manuel Alvar, che registra una doppia tendenza, contraddittoria, tra i parlanti andalusi: egli afferma, infatti, che “existe una clara conciencia de un uso dialectal frente a cierto ideal de lengua representado por el castellano y acompañado de un complejo ruralista”, nonostante “muchos andaluces sientan una gran identificación con su dialecto” (“Conferencia sobre conciencia lingüística y alienación social”, Hoja informativa de literatura y filología, n° 28, Fundación Juan March, Madrid, 1975, pag. 8). Dall'ultimo ventennio del secolo scorso ad oggi, anche alcuni enti amministrativi si sono prodigati per tutelare la parlata andalusa: nel 1980 la “Consejería de Cultura” della “Junta de Andalucía” ha istituito i Cuadernos del habla andaluza, con l'esplicito proposito di sradicare dalla coscienza collettiva le ragioni di questo complesso d'inferiorità (Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 22). Con toni più moderati, invece, l'Estatuto de Autonomía de Andalucía del 2007, all'art. 213, presenta un invito nei confronti del servizio di informazione pubblica televisivo al riconoscimento della parlata andalusa, intesa come modalidad lingüística: nel 2004, infatti, la rete televisiva andalusa Canal Sur ha pubblicato un Libro de Estilo, in cui, nel capitolo 12 della seconda parte, vengono enunciate le regole di pronuncia alle quali i giornalisti devono attenersi. Fra circa diciotto peculiarità della parlata andalusa, solo quattro sono ritenute pienamente plausibili, mentre altre due vengono accettate con riserva (José Maria Allas Llorente, Luís Carlos Díaz Salgado, Libro de Estilo – Canal Sur Televisión y Canal 2 Andalucía, Siviglia, Pinelo Talleres Gráficos, 2004, pags. 217-227). Tuttavia, la maggior parte degli studiosi che si sono soffermati sulla questione sembra attenersi a posizioni piuttosto moderate: come afferma Rafael Cano Aguilar, “la modalidad lingüística andaluza parece gozar de espléndida salud”, ma soprattutto “el andaluz no necesita 'protección' especial para sobrevivir” (“Algunas relfexiones sobre la lengua española en Andalucía”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, n°14-15, 1992, pags. 56-57).

4 Antonio Narbona Jiménez, “Sobre la conciencia lingüística de los andaluces”, Boletín de la Real Academia Sevillana de Buenas Letras: Minervae baeticae, Sevilla, 2003, pag. 90.

5 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 24.

6

parlanti, man mano che vanno raggiungendo una competenza comunicativa maggiore

per via dell'istruzione, si liberano, senza alcun trauma, di una buona parte delle

caratteristiche tipiche (non solo fonetiche) che non godono di grande accettazione;

quindi “tienden a liberarse, sin imposición externa alguna, de las realizaciones más

marcadas y extremas”6. La differenziazione dello spagnolo d'Andalusia da quello di

Castiglia nasce, come già specificato, dalle origini della diffusione della lingua

castigliana in questa regione.

Converrà, quindi, partire dall'inizio, dalle radici storiche dell'Andalusia, per disporre

di un quadro generale delle possibili cause evolutive di questi fenomeni lingusitici

peculiari, di cui tanti studiosi, nel corso della storia, hanno discusso. C'è chi li ha

elogiati, poiché renderebbero la lingua più leggera e musicale7, e chi li ha sempre

severamente condannati, perché corromperebbero e storpierebbero la prestigiosa lingua

castigliana; ma ciò che è certo è che tali fenomeni fanno ancora parlare di sé a distanza

di ottocento anni dalla loro nascita.

1.2 Storia dell'Andalusia

Quella che oggi chiamiamo Andalusia in realtà non ha sempre avuto gli stessi confini

geografici. Il territorio, al tempo dei Romani, era compreso nell'Hispania Baetica, ossia

nella provincia Betica, che aveva Cordova come capitale. Nel V sec., venne invasa dai

Vandali prima, dai Visigoti poi, i quali vi rimasero fino all'occupazione degli Arabi, a

inizio dell'VII sec.. Questi, a partire dal 716, riunirono tutti i territori conquistati (quasi

tutta la penisola, le Baleari, il sud della Francia) sotto il nome di Al-Andalus, dal quale

deriva oggi il nome Andalusia. Naturalmente, l'accezione attuale si riferisce a una zona

molto più ristretta rispetto ai territori musulmani di quel tempo: la corrispondenza tra

6 Ibidem, pag. 25.7 Tra i quali: Ambrosio de Salazar, Espexo general de la Gramática, Rouen, 1614 e Manuel Machado,

Estampas Sevillanas, Madrid, 1949, citati in Antonio Narbona Jiménez, Op. cit., pag. 89; José Mondéjar, Dialectología andaluza, Granada, Editorial Don Quijote, 1991.

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queste due zone, quella storica di dominazione araba e quella attuale, si ebbe non prima

del XIII sec., quando, oltretutto, cominciarono ad apparire le prime versioni romanze

del termine arabo Al-Andalus. Negli Annali Toledani del 1218, infatti, si cita il nome

Andaluz riferito ai territori musulmani (a quel tempo già circoscritti al centro-sud della

penisola), e andaluzes vengono definiti i loro abitanti.

Non abbiamo testimonianze certe sulle origini del nome: l'arcivescovo di Toledo,

Rodrigo Ximénez de Rada, definito El Toledano, nella sua Historia latina dei popoli

germanici che invasero la penisola, fa riferimento al regno costituito dai Vandali nella

provincia Betica, al quale dà il nome di Wandalia, mentre indica i suoi abitanti come

wandalus. Quando nel 429 d.C. queste popolazioni lasciarono i territori per imbarcarsi

alla volta dell'Africa, sempre secondo il Toledano, partirono tutti da un luogo che per

l'occasione fu ridenominato Portu Wandalusiu, riconosciuto da un'opera storiografica

araba come l'isola dei vandali; questo sarebbe stato lo stesso luogo attraverso il quale

gli arabi, a quasi tre secoli di distanza, approdarono in Spagna per conquistarla, ossia

l'attuale Tarifa. Il nome di Al-Andalus si sarebbe venuto a creare, così, in base a questa

coincidenza, che “debió de servir para que los nuevos invasores dieran a la tierra que

iban señoreando el nombre del lugar que fue su puerta de entrada8”. In realtà, questa

ricostruzione etimologica presenta parecchie incertezze, ma ha avuto fortuna per via

della mancanza di altre proposte più valide.

Al-Andalus era un termine così vago da poter intendere, a seconda del contesto, i

territori musulmani, la Spagna del sud o perfino l'intera penisola. I territori centrali

conquistati da Fernando III nel primo trentennio del XIII sec., nonostante rientrassero a

quel tempo sotto questa denominazione, non erano tuttavia considerati come veri e

propri territori dell'Andaluz, poiché per i castigliani, il “vero” Al-Andalus era la più

ristretta zona al di là della Sierra Morena, la valle del Guadalquivir, cuore della civiltà

musulmana. Le conquiste effettuate tra il 1225 e il 1265, iniziate da Fernando III e

concluse da Alfonso X, sono considerate quelle decisive, in seguito all'occupazione

delle città più importanti: Andújar, Baeza, Úbeda, Cordova, Jaén, Siviglia, Cadice, Jerez

e tante altre. In un quarantennio era stato tolto agli Arabi il loro centro politico e

culturale: furono isolati, per altri duecento anni, nelle regioni sud-orientali, che

8 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 32.

8

corrispondevano ai regni di Granada, Málaga e alla zona di Almería. Il nome Andalusia,

nell'accezione attuale, nasce allora da quella coscienza, da parte dei castigliani, di aver

davvero intaccato la civiltà araba, grazie alla conquista di quei territori, e designa, in

questa fase, l'Andalusia occidentale, che si estende da Cadice a Siviglia, a Cordova, a

Jaén.

Come già detto, i territori orientali rimarranno sotto la dominazione araba per altri

due secoli, fino alle conquiste del XV sec., da parte dei Re Cattolici (Fernando

d'Aragona e Isabella di Castiglia), che posero fine alla Reconquista nel 1492, con la

presa di Granada, ultima roccaforte araba. La distanza di tempo che separa la

cristianizzazione dei territori occidentali da quelli orientali ha determinato, per molto

tempo, la differenziazione delle due aree, Andalusia e Regno di Granada, considerate da

molti storiografi e cartografi come due entità distinte: così, in alcune carte geografiche

del XV sec., troviamo differenziate la “costa del Andaluzía” e la “costa de Granada”;

nella Lozana Andaluza di Francisco Delicado9, nell'elencare le varie provenienze di

alcune donne, compaiono separate “andaluzas” e “granadinas”; in altri autori, invece,

Granada compare come uno dei centri più importanti della regione, insieme a Siviglia e

Cordoba, e lo stesso Nebrija, nel 1495, definiva Málaga come “città dell'Andalusia”10.

Effettivamente, con il ripopolamento di Granada da parte di sivigliani, cordobesi,

jiennensi, già nel XVI sec. il termine Andalusia passò a designare tutta la realtà fisica e

umana che oggi corrisponde alla regione attuale. Tale denominazione, tuttavia, fu

ufficializzata solo nel 1833, successivamente alla divisione amministrativa delle regioni

spagnole. Questa diversità nell'unità tra Andalusia occidentale ed orientale avrà, come

vedremo in seguito, non poche ripercussioni linguistiche.

9 Francisco Delicado, La Lozana Andaluza, Venezia, 1528, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 35.

10 Elio Antonio de Nebrija, Vocabulario español-latín, Salamanca (?), 1495, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 35.

9

1.3 Storia dell'andaluso

Tracciato un brevissimo quadro storico, per capire la realtà linguistica di questa

regione sarà opportuno chiedersi quanti e quali parlanti abitarono queste terre prima

della Reconquista. È, infatti, legittimo domandarsi se questa “diversità” della parlata

andalusa rispetto alla castigliana sia dovuta alla mescolanza del castigliano con altre

lingue di sostrato, ossia se quei fenomeni fonetici, tipici dell'andaluso, siano appartenuti

alle lingue parlate dalle popolazioni conquistate. Cerchiamo, pertanto, di capire chi

abitava l'Andalusia del XIII secolo.

Possiamo, prima di tutto, fare riferimento agli Arabi, che costituivano la grande

maggioranza della popolazione: quando i castigliani arrivarono in queste terre, non si

trovarono di certo davanti ai deserti campi della Mancha o alla valle del Duero, bensì a

una regione ricca e florida, costituita da campagne altamente sfruttate e popolate e centri

urbani quasi sovraffollati. La politica attuata sui territori conquistati fu durissima: nelle

grandi città i musulmani vennero, nella maggior parte dei casi, letteralmente cacciati

fuori dalle loro case e costretti a rifugiarsi nelle terre allora dominate dalla loro gente,

ossia nel regno di Granada. Le città vennero ripopolate tra i conquistatori, secondo

minuziose ripartizioni; in seguito, vi furono importati alcuni mori, provenienti da altre

parti della Spagna, affinché svolgessero le attività più degradanti, ghettizzati in quartieri

chiamati morerías o aljamas. Nelle campagne, invece, la convivenza durò ben poco: in

una prima fase, gli stessi agricoltori musulmani iniziarono a lavorare per i signori

cristiani, ma, dopo una violenta rivolta contadina nel 1264, istigata dai mori del regno

granadino, la repressione dei castigliani si trasformò in rappresaglia, culminando con la

cacciata definitiva degli arabi anche dalle zone rurali. In sostanza, nel giro di un

quarantennio, quella che era una regione densamente arabizzata fu totalmente spopolata

e ripopolata da cristiani provenienti da tutte le parti della penisola. E poiché la varietà

linguistica andalusa ebbe origine proprio in questo periodo, va da sé che le presunte

ipotesi di una contaminazione della lingua castigliana per bocca degli arabi quale

possibile origine della varietà andalusa sono pressoché infondate. Infatti, come abbiamo

visto, la popolazione musulmana ancora rimasta ad abitare quelle terre era sprofondata

10

ai ranghi più bassi della società ed era stata rinchiusa nei ghetti: è difficile, quindi,

pensare che fenomeni fonetici di così larga diffusione siano provenuti da abitudini

linguistiche di popolazioni allora ormai minoritarie e di scarso prestigio sociale11.

Una considerazione a parte va fatta per quelle popolazioni cristiane che vivevano

nell'Al-Andalus musulmano, i cosiddetti mozarabi (da un'etimologia araba che significa

proprio “arabizzati”): quelle popolazioni, cioè, di origini iberoromane che abitavano la

penisola al tempo della conquista araba, le quali, grazie alla tolleranza dei conquistatori,

poterono continuare a vivere in quelle terre. La loro presenza fu registrata in quasi tutti i

territori conquistati, da Toledo a Saragozza, a Lisbona. Tuttavia, durante le prime fasi

della Reconquista, la minaccia cristiana, sempre incombente, generò un'intolleranza

verso la popolazione mozaraba, la quale, sospettata come potenziale complice del

nemico, dovette subire dure repressioni e persecuzioni: in alcuni casi, come quelli di

Granada o Malaga, la maggior parte di essi riuscì a fuggire, rifugiandosi in territori

cristianizzati della penisola; in altri, invece, vennero espulsi o sterminati. La lingua

parlata da queste popolazioni era di origine romanza: del latino manteneva la struttura

sintattica e relegava gli influssi arabi all'ambito lessicale. Tuttavia, non era una lingua

esclusiva dei cristiani, né tantomeno della totalità di essi: così come molti di questi

erano totalmente arabizzati, c'erano altrettanti arabi che parlavano il mozarabo. Oggi

possediamo non molte attestazioni di questa antica lingua, che con tutta probabilità si

estinse insieme ai suoi parlanti, in seguito alle persecuzioni del XII sec.: le uniche

testimonianze pervenuteci sono proprio quelle di poeti arabi, che inserivano strofe di

chiusura (dette khargiat) in lingua mozaraba nei loro componimenti. Si può dire che

costituiscano un vero e proprio genere indipendente: appaiono nel XI sec., ma non

durano più di due secoli, tanto che già agli inizi del XIII sec. non ne abbiamo più

traccia. Oltre ai fatti appena citati, la mancanza di ulteriori documenti scritti, che

testimonino la presenza viva di questa lingua, ci dimostra, con grande probabilità, come

non esistesse più un bilinguismo esteso arabo-romanzo nell'Andalusia riconquistata12.

Nel Regno di Granada, l'influsso romanzo fu molto evidente nella lingua araba parlata,

anche nelle sue varietà più colte; tuttavia, la varietà romanza responsabile della

contaminazione non sarebbe un mozarabo autoctono, bensì lo stesso castigliano, che le 11 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 39-42.12 Ibidem, pag. 40.

11

popolazioni granadine conoscevano molto bene per necessità pratiche, nonché per via

della vicinanza con i territori della Castiglia; esso fu arricchito anche da qualche

influsso aragonese13.

In ogni caso, come è già stato chiarito per la lingua araba, anche l'eventuale ipotesi di

una contaminazione mozaraba del castigliano, come possibile causa della formazione

della varietà andalusa, sarebbe infondata, per via dell'assenza fisica di parlanti mozarabi

nella zona all'arrivo dei castigliani: quand'anche si voglia considerare un'eventuale

prosecuzione di questa lingua da parte dei musulmani, questa non avrebbe potuto

comunque influire, come nel caso dell'arabo (decisamente più diffuso), sulla nuova

varietà andalusa creatasi dopo la Reconquista. Di conseguenza, esclusa qualsiasi

possibile contaminazione di sostrato, i fattori responsabili dei fenomeni fonetici

innovatori dell'andaluso sono da ricercare nella lingua dei parlanti che ripopolarono

l'Andalusia dopo la sua conquista14.

A questo punto, ci potremmo chiedere da dove provenivano quelle centinaia di

caballeros che si stabilirono sul territorio in questione. I dati di cui disponiamo ci

forniscono una visione parziale, ma determinante, ai fini della nostra ricerca: nella più

volte citata opera di A. Narbona, R. Morillo-Velarde e R. Cano, El español hablado en

Andalucía15, si fa riferimento a due fasce diverse di ripopolamento: la città di Jaén fu

conquistata partendo da Toledo, e questa dev'essere stata la provenienza della maggior

parte dei colonizzatori; invece, l'Andalusia più occidentale, ritenuta punto di partenza

delle nuove innovazioni linguistiche, presenta un prospetto del tutto diverso: i

colonizzatori erano per l'80% provenienti dalla Castiglia e dal Leòn, e, per il resto, dagli

altri regni iberici, tra i quali la Galizia e, in minor misura, le Asturie e l'Estremadura,

che, recentemente conquistata, aveva bisogno anch'essa di essere ripopolata. In

particolare, per la città di Siviglia, furono importanti gli apporti linguistici leonese e

castigliano, che possiamo considerare le due provenienze più importanti della zona,

seguite, solo in minor parte, da quelle aragonesi, in particolar modo catalane16. Per

quanto riguarda il regno di Granada, invece, il ripopolamento avvenne per la maggior

13 Ibidem, pag. 38.14 Ibidem, pag. 42.15 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit.16 Ibidem, pag. 44.

12

parte ad opera degli andalusi stessi: importante la presenza cordovese e jiennense, in

special modo nella città di Granada, e quella di sivigliani e gaditani a Màlaga. Da

segnalare anche la presenza, seppur minore, di altre provenienze iberiche, una fra tutte

quella dei murciani, e persino extraiberiche: la più rilevante colonia straniera fu quella

genovese, presenza dovuta agli intensi commerci tra le città costiere del Mediterraneo.

Tuttavia, sembra abbastanza chiaro che la stragrande maggioranza della popolazione

andalusa nel XIII sec. fosse proprio castigliana e che la lingua ivi parlata, al netto di

alcune semplificazioni e contaminazioni con altri dialetti della penisola, fosse il

castigliano dell'epoca: a difesa di quest'ipotesi, disponiamo dell'autorità di molti

studiosi, tra i quali i succitati Antonio Narbona Jiménez e Rafael Cano Aguilar, i quali

evidenziano che “todo parece indicar que desde el comienzo de su andadura histórica

Andalucía no tuvo otra lengua que el castellano de Castilla17”. Inoltre, R. Cano Aguilar

aggiunge:

El habla andaluza nació, según todo lo que hoy sabemos (y es bastante), como una

variación del castellano, como una solución semplificadora en unos casos pero no

en otros, de problemas estructurales del idioma, y en una sociedad fronteriza,

abierta e hiperbólica18.

Sarà dunque il castigliano del XIII sec. la nostra lingua di partenza, dalla quale

iniziare per analizzare l'evoluzione dei fenomeni fonetici che già al secolo successivo

cominciarono ad emergere come nettamente distinti dalle forme originarie19. Le prime

testimonianze di una varietà propriamente andalusa, citata parallelamente ad altre

parlate già in piena affermazione, risalgono pressappoco alla metà del XIV secolo. Le

prime caratteristiche evidenti riguardavano il vocabolario, in quanto ricco di arabismi, e

l'espressività, il modo di concepire la realtà, definiti sotto la luce dell'esagerazione,

dell'iperbole: Antonio Narbona cita alcuni versi del Libro de Buen Amor di Juan Ruiz,

Arciprete di Hita, che già nel 1340 scrive: “tomé senda por carrera / como faz el

17 Ibidem, pag. 46.18 Rafael Cano Aguilar, “Algunas reflexiones sobre la lengua española en Andalucía”, Cauce: Revista de

filología y su didáctica, 1992, n°14-15, pag. 56.19 Non è ancora possibile parlare di una “norma”, realizzatasi soltanto con l'ufficializzazione del

castigliano come unica lingua della Spagna, nel XVI sec.

13

andaluz20”, alludendo così alle attitudini iperboliche nell'espressione di certi concetti.

I primi giudizi sulla pronuncia, invece, risalgono al XV sec.: vengono distinti

“leoneses e sevillanos e gallegos21”, in quanto articolavano alcuni suoni in modo diverso

dai castigliani. Bisogna considerare che in questo secolo la città di Siviglia è già

diventata un centro urbano di riferimento per tutta la regione e che molto probabilmente

le abitudini linguistiche innovatrici si sono diffuse proprio a partire dalla parlata urbana

di questa città. Il fatto che i sivigliani vengano paragonati ai galiziani in quanto a

diversità linguistiche rispetto alla Castiglia non è da sottovalutare: la Galizia, nonostante

a quel tempo fosse già dominio castigliano, ha sempre posseduto una lingua propria, il

galego, diretto discendente del latino, che presenta, dunque, un'evoluzione fonetica e

morfologica nettamente distinta dal castigliano. Gli esempi e le citazioni che riguardano

attitudini linguistiche andaluse si susseguono intensamente nei secoli XV e XVI,

dividendosi tra giudizi positivi e giudizi negativi. Citiamo i due massimi esempi,

dell'una e dell'altra attitudine, del XVI sec.: Francisco Delicado22 e Juan de Valdés23. Il

primo, cordovese, grande intellettuale e letterato, in un'introduzione a un'opera da lui

rieditata24, afferma che la lingua degli abitanti originari dell'Andalusia, paragonata al

modello toledano, si conforma meglio al castigliano di Castilla la Alta, poiché quella

era la provenienza dei primi colonizzatori, con la sola differenza che il clima “delicato e

gentile” della regione ha reso la pronuncia degli andalusi più fine ed elegante. In

sostanza, Delicado non intende minimamente prendere le difese dello spagnolo

d'Andalusia come lingua diversa dal castigliano, anzi si affretta a garantirne la

correttezza e la purezza, a considerarlo come “buen castellano”25.

D'opinione del tutto differente è Juan de Valdés, castigliano puro, intellettuale colto

ed erasmista, iniziatore della questione della lingua in Spagna, che porterà all'elevazione

del volgare castigliano a lingua di prestigio. La sua opera più importante al riguardo, il

20 Juan Ruiz “Arcipreste de Hita”, Libro del Buen Amor, 1330, 13a ed., Madrid, Castalia, 1977.21 Nella Biblia de Alba, ossia una traduzione castigliana della Bibbia di Mosé Arragel de Guadalajara,

Maqueda, 1422-1430, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 48.

22 Francisco Delicado, prefazione al Primaleón, Venezia, 1534, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 49.

23 Juan de Valdés, “Diálogo de la lengua”, Napoli, 1535, in Eduard Boehmer, “Diálogo de la lengua und refranes”, Romanische Studien, Lipsia, ed. Eduard Weber, 1895, pags. 339-508.

24 Primaleón, romanzo cavalleresco spagnolo, pubbl. per la 1a volta a Salamanca, 1512.25 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 49.

14

Dialogo de la lengua26, è tutta incentrata sul castigliano quale nobile discendente del

latino e sulla correttezza di alcune sue forme, in base all'eleganza e al prestigio, nonchè

all'accettazione delle stesse da parte dei parlanti colti. Più di una volta l'autore, presente

all'interno del dialogo come personaggio, rifiuta con disprezzo i riferimenti e le allusioni

che i suoi interlocutori fanno alla più importante opera di grammatica castigliana27 fino

ad allora conosciuta, quella di Antonio de Nebrija (originario di Lebrija, andaluso),

nonché al suo vocabolario spagnolo-latino28. Si giustifica così:

VALDÉS.- ¿Por qué queréis que me contente? ¿Vos no veis que, aunque Librija era

muy docto en la lengua latina, que esto nadie se lo puede quitar, al fin no se puede

negar que era andaluz y no castellano, y que escribió aquel su Vocabulario con tan

poco cuidado que parece haberlo escrito por burla?29

Spiega, qualche riga più avanti, che “no alcanzaba la [verdadera significación] del

castellano, y esta podría ser, porque él era de Andalucía, donde la lengua no stá muy

pura30”. Più avanti, qualche altra sporadica citazione torna a ribadire lo stesso concetto:

“como aquel hombre no era castellano, sino andaluz, hablava y escrivía como en el

Andaluzía y no como en Castilla31”. Su queste critiche di Juan de Valdés al dotto autore

lebrijano ci sarebbe qualcosa da ridire: esse non si basano su molti dati linguistici, posto

che si riferiscono ad erronee traduzioni dal latino al castigliano, all'utilizzo del prefisso

en- invece di a- in alcune parole e, solo in casi eccezionali, a variazioni ortografiche.

Errori che possono sì essere attribuiti al Nebrija in quanto autore, ma non di certo al suo

essere andaluso, poiché nessuno di essi è riconducibile a fatti propri o esclusivi

dell'Andalusia. Oltretutto, se è vero che in Andalusia si parlava in modo distinto dalla

Castiglia, la lingua scritta non poteva che essere la medesima32. Manuel Álvarez García,

analizzando i succitati passi del Dialogo de la lengua, avanza qualche riserva sull'opera

del Nebrija, ammettendo che a volte poteva succedere che “ciertos usos de la lengua

26 Juan de Valdés, Op.cit.27 Si tratta della Gramática de la lengua castellana, Salamanca (?), 1492.28 Elio Antonio de Nebrija, Op. cit., 1495.29 Juan de Valdés, Op. cit., pag. 343.30 Ibidem, pag. 344.31 Ibidem, pag. 370.32 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 50.

15

hablada en esa región llegaban a la lengua escrita33”, motivando, quindi, quegli errori

ortografici come errori dovuti alla pronuncia; oltretutto, è necessario ricordare che

l'uomo contro cui Valdés rivolge le sue critiche era l'autore della prima Grammatica

Castigliana, e dunque l'elencazione degli errori ivi contenuti ha una valenza critica

maggiore, per via della quale egli consiglia vivamente di non considerarla più come

fonte autorevole34.

Passando alla situazione odierna, in base ad alcune analisi sociolinguistiche, tra i

parlanti andalusi che avvertono la propria pronuncia come differente da quella standard,

sarebbe abbastanza diffusa la tendenza a considerare la propria lingua come una

“corruzione” del castigliano, caratterizzata da un'errata pronuncia ormai radicata nelle

proprie abitudini linguistiche. Questa credenza sembra essere frutto di un pregiudizio

che, a partire dalle affermazioni di Valdés fino ad oggi, si è andato via via nutrendo di

considerazioni del tutto superficiali. Secondo alcuni, il culmine di questo processo si

sarebbe esplicitato in un certo “complesso d'inferiorità”35 avvertito dalla popolazione di

lingua andalusa. Da circa un trentennio, infatti, si sono verificate delle reazioni contrarie

da parte di studiosi e linguisti, ma anche di enti amministrativi, che hanno

profondamente influenzato l'opinione pubblica sulla questione andalusa. Si tratta di

proposte, talvolta anche di decreti amministrativi in cui si propizia la tutela linguistica

della parlata andalusa, sulla scia di altre Comunità Autonome spagnole36, che hanno

ottenuto il riconoscimento della loro lingua, a fianco del castigliano, come idioma

ufficiale della regione. Tuttavia, si potrebbe obiettare contro chi ha promosso queste

rivendicazioni linguistiche in Andalusia che l'unica “lingua” della regione è lo spagnolo.

La modalità linguistica andalusa non è altro che una varietà parlata, un differente modo

di pronunciare la lingua castigliana, e questo è ben presente nella coscienza collettiva

degli andalusi, poiché “tienen claro que hablan el español de Andalucía, si se prefiere,

el español andaluz37”. Aldilà dell'ambito fonetico sono presenti altre divergenze a livello

morfologico, sintattico, lessicale, ma sempre in netta minoranza rispetto alle prime.

33 Manuel Álvarez García: “Consideración de la modalidad lingüística andaluza en el 'Diálogo de la lengua' y en la actualidad”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, 2004 , n° 27, pag. 30.

34 Ibidem.35 Per una maggiore chiarezza sull'argomento si rimanda alla nota 3.36 La Catalogna, la Galizia e i Paesi Baschi.37 Antonio Narbona Jiménez, Op. cit., pag. 96.

16

CAPITOLO II

Fenomeni fonologici dello spagnolo d'Andalusia

Come già accennato, l'ambito linguistico in cui si riscontra il più alto numero di

innovazioni, la cui produzione non è mai cessata, è quello della fonetica. Sia per ordine

di importanza che per ordine cronologico, sarà bene occuparsi prima di tutto dei

fenomeni fonetici che hanno caratterizzato sin dai primi secoli di ricolonizzazione la

parlata andalusa.

2.1 Il seseo-ceceo

Il primo fenomeno riscontrato nell'Andalusia del XV secolo è quello del seseo-ceceo,

intendendo:

• con seseo, “el trueque de s por c, z”, ossia la pronuncia predorsodentale [s] della

fricativa interdentale sorda castigliana [θ]: per esempio, la parola cielo pronunciata

come ['sielo];

• con il termine ceceo, la tendenza opposta, ossia quella di pronunciare la s

castigliana come un'interdentale [θ]: per esempio, la parola siesta pronunciata

['θjeθta].

Occorre precisare che il fenomeno non è riscontrabile in tutta la regione e che il

17

seseo non è neppure esclusivo dell'Andalusia, poichè lo ritroviamo anche in altre regioni

della penisola, quali la Galizia, la Catalogna, la Comunità di Valencia, i Paesi Baschi e

nella maggior parte dei territori dell'America Latina, dov'è probabilmente arrivato per

bocca dei primi conquistatori. Per spiegare le ragioni di questo mutamento fonetico,

occorre ricostruire la storia dei due fonemi ripartirtendo dal sistema delle sibilanti

castigliane nel Medioevo, che erano in origine quattro:

• La s, in posizione intervocalica, rappresentata graficamente come -ss-, dalla

pronuncia presumibilmente analoga alla s castigliana attuale, ossia apicale [s�];

• La s, in posizione intervocalica, rappresentata graficamente come -s-, dalla

pronuncia sonora, anch'essa apicale [z�];

• La c, in posizione intervocalica rappresentata graficamente come ç, dalla pronuncia

affricata sorda [ts];

• La z, in posizione intervocalica, dalla pronuncia affricata sonora [dz]38.

La situazione può essere così schematizzata:

Grafia Pronuncia Esempis

-ss- [s�] pensar, saber, passo

-s- [z�] cosa, rosa

-ç-c [ts] plaça, açucar,

ciento

z [dz] dezir, amenaza

Questa impostazione medievale permane in tutte le parlate della penisola fino al XIII

secolo circa, proprio in piena fase di Reconquista dell'Andalusia. Il primo

riassestamento dei suoni riguarda l'indebolimento delle affricate c-ç e z, che si

evolvono, durante una breve fase intermedia, in due suoni fricativi sonori dentali [s] e

[z], distinti dagli altri due soltanto per la posizione della punta della lingua (apicale-

dentale). La pronuncia castigliana nel corso del XVI secolo tende ad anteriorizzare

38 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 56.

18

questa coppia di nuovi suoni, mentre, contemporaneamente, interviene un altro

mutamento: la perdita del tratto sonoro delle sibilanti, che comporta così

un'assimilazione dei fonemi sordi [s�] e [θ], dimezzando di fatto il sistema.

Castigliano Medievale

Processi di riassestamento fonetico nei secoli XIII-XVIICastigliano

OdiernoIndebolimento delle affricate Anteriorizzazione Perdita del tratto

sonoro

[s�] - [z�] Ø Ø [s�] [s�]

[ts] - [dz] [s] - [z] [θ] - [] [θ] [θ]

Questa tabella riassuntiva tiene conto di una fra le tante ricostruzioni del processo,

cioè quella che prevede l'anteriorizzazione precedente alla perdita del tratto sonoro39.

Altri studi, invece, ipotizzano l'anteriorizzazione come fenomeno successivo alla perdita

del tratto sonoro, per cui non si sarebbe mai arrivati ad avere un fonema sonoro

interdentale [], ma si sarebbe passati direttamente dalla fricativa sorda dentale [s] a

quella interdentale [θ]40. Sinteticamente, possiamo riassumere la questione considerando

che un processo fonetico di tale portata, durato un secolo, non può avere avuto delle

tappe così “nette”, come tendono a illustrare questi studiosi. È molto probabile che la

contemporaneità dei suddetti mutamenti fonetici abbia generato diverse realizzazioni

intermedie, che variano da zona a zona, prima di confluire nel riassestamento

conclusivo. Che il secolo XVI abbia conosciuto un certo livello di anarchia fonetica,

specialmente nelle varietà distanti dalla Castiglia, ce lo dimostra il celebre studio di

Amado Alonso, Historia del ceceo y del seseo españoles41, che colloca l'origine del

fenomeno seseante-ceceante proprio in queste imprecise tappe intermedie del processo

39 Marco Antônio de Oliveira, “Sobre a questão do seseo-ceceo andaluz”, Caligrama: Revista de Estudos Românicos, vol. 3, pag. 9.

40 Leticia Rebollo Couto, “Estudios de fonética experimental y variedad de acentos regionales en español”, Lengua y cultura en la enseñanza del español a extranjeros: actas del VII Congreso de ASELE, 1998, pags. 365-372.

41 Amado Alonso, “Historia del ceceo y del seseo españoles”, Thesaurus, tomo VII, 1951, pags. 111-200.

19

di riassestamento fonologico castigliano.

Amado Alonso illustra la sua particolare teoria, in cui viene spiegato in modo

dettagliato come il fenomeno seseante stia, in realtà, alla base di tutta la ristrutturazione

delle sibilanti castigliane. Il processo sarebbe avvenuto in tre tappe: spesso la prima

viene situata in epoca tardomedievale, sulla base del riscontro di scambi ortografici di -s

e -z finali, specialmente nei patronimici: Peres, Ferrandes, Martines, Dias e via di

seguito, secondo un'ampia cronologia di posteriori attestazioni. Considerato che “las

consonantes finales siempre han tenido en español menos rasgos diferenciales que en

comienzo de sílaba42”, il seseo della -z sarebbe dunque, secondo Alonso, la prima

frattura del sistema fonologico spagnolo. Rintracciare proprio in questo punto debole la

causa scatenante di tutti i mutamenti fonetici avvenuti tra i secoli XIII e XVII potrebbe

sembrare banale, nonostante trovi una ragguardevole conferma in un corpus di 89

documenti, sivigliani e cordovesi, che abbracciano l'arco temporale 1324-1500,

analizzati anche in tempi più recenti da Cynthia J. Kauffeld43; questi manoscritti

registrano numerosi errori ortografici, facilmente ricollegabili a fenomeni fonetici in

evoluzione. Tuttavia, non si può dire con precisione se si tratta effettivamente di

pronunce differenti o semplicemente di varianti grafiche; in moltissimi altri documenti

castigliani del tempo troviamo, infatti, scambi di s per z, quando quest'ultima aveva

ancora una veste grafica diversa, più simile a un 5, e quindi facilmente confondibile con

la s44. Volendo seguire il ragionamento di Alonso45, se è vero che un cambiamento

fonetico si produce a partire da un fatto isolato e avanza vincendo le resistenze in

ordine da minore a maggiore, la resistenza minore è sicuramente quella di s e z finali.

La seconda tappa del fenomeno investirebbe i due fonemi in posizione intervocalica.

La teoria di Alonso trova una certa conferma nell'evidente particolarità di seseo di

alcuni paesi vicino Zamora, al sud di Salamanca o al nord di Cáceres, tutti distanti

dall'Andalusia: in alcuni di questi si pratica il seseo solo per la -z finale, mentre in tutti

gli altri casi è praticata la distinzione dei due fonemi; altri due paesi (Hermisende e

42 Ibidem, pag. 162.43 Cynthia Kauffeld, “Electronic texts and concordances of Andalusian documents (1324-1500),

Madison: Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1999.44 Engracia Rubio Perea, “Rasgos lingüísticos en textos andaluces (1324-1500)”, Tinkuy: Boletín de

investigación y debate, Montréal, 2008, pag. 3.45 Amado Alonso, Op. cit..

20

Calabor) invece praticano il seseo per tutte le z, finali o intervocaliche, ma non per

quelle che erano le antiche c, ç; di conseguenza, pronunciano vesino, aseite, cruses con

s sonora, ma cabeza, praza, fouce con la z castigliana moderna [θ]46. Oltretutto, Juan de

Valdés, in merito alle varie disquisizioni sulle grafie e le pronunce del castigliano del

suo tempo, segnala la tendenza di alcuni a pronunciare la z come s (sonora), “y por

hazer dicen haser, y por razón, rasón, y por rezio, resio, etc.47”, non facendo riferimento

alcuno alle sorde ss e ç.

La terza tappa sarebbe quella decisiva, perché si innesta nel processo di

ristrutturazione fonologica. Se fino a questo punto il castigliano continuava a coincidere

con l'andaluso (casi di seseo di z sono oltretutto ampiamente attestati in documenti

toledani del XV secolo48), durante la fase di indebolimento delle affricate (di cui si è

discusso sopra) il fenomeno seseante andaluso investe anche la ç: ciò è facilmente

spiegabile partendo dal fatto che, in seguito alla perdita del tratto occlusivo delle

affricate, a distinguere s e ç restava soltanto il punto d'applicazione della lingua (apicale

per la s, predorsodentale per la ç). Alla fine del XV secolo cominciano dunque le grafie

equivoche, con scambi di s e ç, che dimostrano effettivamente come fosse già in atto

questa terza fase del processo. La Castiglia, che avrebbe poi risolto la precarietà del

sistema con l'anteriorizzazione della ç, denuncia quest'innovazione andalusa come

corruzione: alla metà del XVI secolo, gli scambi di s e ç erano diventati anarchici, senza

alcuna sistematicità.

A tal proposito citiamo, sempre seguendo l'analisi di Amado Alonso, la testimonianza

autorevole di Arias Montano, un erudito nativo di Badajoz, che nel 1588 così scrive,

riferendosi alla situazione del ventennio precedente:

A no ser por la diferencia de algunos vocablos, no distinguirías en nada a un

sevillano de un valenciano, ya que ambos truecan la s por la zz, y al revés la zz o ç

castellana por la s; [...] Pero esto no nacido de la naturaleza del aire andaluz, que es

46 Ibidem, pags. 161-162.47 Juan de Valdés, Op. cit., pag. 366.48 Ricordiamo che la lingua ufficiale di Toledo era, a quel tempo, considerata come modello ufficiale

dello spagnolo.

21

puro y saludable, sino de la negligencia e incuria o del vicio de la gente49.

Secondo questa testimonianza, nell'arco del ventennio 1546-1566 si sarebbe

verificata una rivoluzione fonetica, con centro di irradiazione la città di Siviglia, nel suo

periodo di auge, per via dei sempre più intensi viaggi commerciali verso il Nuovo

Mondo. In realtà, è evidente che il breve periodo a cui si riferisce Montano non è altro

che il culmine di un lento processo che, secondo questa teoria, ha inizio quasi due secoli

prima; tuttavia, è qui che si avrebbe la svolta decisiva, quando cioè un mero fatto di

parole si innalza a livello della langue50. È importante notare che in questa fase non si

può parlare propriamente di seseo, bensì di confusione anarchica delle due sibilanti: lo

scambio non è sistematico, ma avviene a volte in modo asimmetrico (una al posto

dell'altra), a volte in modo totale (una al posto dell'altra e viceversa, per cui si può

arrivare a pronunce invertite, ad es. *censillo per sencillo).

Se finora abbiamo parlato solo del fenomeno seseante, è legittimo chiedersi quando e

come si possa invece parlare di ceceo. Amado Alonso cita tantissime testimonianze, fra

cui il famoso a silentio dell'autorevole Nebrija51, il quale, nel 1507, definisce ceceosos

soltanto gli spagnoli che per un difetto fisico non riescono a pronunciare la s castigliana,

riproducendo il suono come una fricativa interdentale (simile alla z castigliana di oggi);

l'autore lebrijano, inoltre, si burla dei francesi, in quanto pronunciavano come s il suono

ç. Se al suo tempo la pronuncia dei sivigliani fosse stata ceceosa o seseosa per

caratteristica dialettale, difficilmente questi ne avrebbe taciuto l'esistenza52. Le prime

attestazioni di ceceo vero e proprio, illustra Alonso, cominciano ad apparire solo agli

albori del XVII secolo, con punto di partenza la città di Siviglia: nel 1611 Sebastián de

Covarrubias, toledano, nel Tesoro de la lengua castellana53 definisce “hablar ceço o

49 Arias Montano, De varia Republica sive Commentaria in Librum iudicum, Antuerpiae, 1592, pags. 494-495, trad. da R.J. Cuervo in Disquisiciones filológicas, Bogotà, Centro, 1939, pag. 39-40, citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 112.

50 Amado Alonso, Op. cit., pag. 199. L'autore qui utilizza la terminologia del linguista ginevrino Ferdinand De Saussure, illustrata nel Cours de lingüistique génerale (1916), intendendo con il termine parole l'atto linguistico individuale, con langue il sistema linguistico condiviso dalla comunità dei parlanti.

51 Antonio de Nebrija fu uno studioso originario di Lebrija, autore della prima Grammatica Castigliana, nonchè di un vocabolario Castigliano-Latino e di moltissime altre opere filologiche sulle origini della lingua spagnola.

52 Amado Alonso, Op. cit., pag. 123.53 Sebastián de Covarrubias, Tesoro de la lengua castellana o española, Madrid, editore Luís Sánchez,

22

cecear” la pronuncia di “ceñor por señor”. Tre anni dopo, Bartolomé de Ximénez Patón,

manchego, sembra avere già le idee più chiare al riguardo:

En Sevilla ordinariamente convierten la S en C, y pienso que de vicio, diciendo

Cevillano, ceñor, ci. En Valencia al contrario, [...] por c ponen s, como diciendo

Mersed, Sapato [...] y assí a lo sevillano llamamos zezear y a lo valenciano

sesear54.

Non crediamo per certo che agli inizi del '600 il fenomeno ceceante fosse già così

netto, ma è più probabile l'ipotesi che Ximénez Patón, dalla sua prospettiva di

castigliano della Mancha, abbia riunito nel termine zezear la tendenza anteriorizzante

delle sibilanti nella pronuncia sivigliana, distinta da quella delle altre città

dell'Andalusia55. È noto, infatti, che a Siviglia in quel periodo la s era divenuta

predorsale, quindi nettamente anteriorizzata rispetto all'apicale castigliana. Il particolare

seseo sivigliano, dunque, alle orecchie di un castigliano, era più assimilabile al ceceo,

mentre quello valenciano, che manteneva la s apicale castigliana, era riconosciuto come

seseo. Di conseguenza, se la testimonianza di Ximénez Patón ci dimostra come nel

XVII secolo Siviglia avesse già portato avanti un processo di anteriorizzazione delle

sibilanti, dando così origine al ceceo, non possiamo prendere per buona la

generalizzazione che estenderebbe il fenomeno alla totalità dei sivigliani.

Un'altra importante testimonianza è quella che prende in esame lo spiccato ceceo

delle dame sivigliane, che viene lodato come dolce e piacevole all'ascolto, entrato

successivamente in uso nella parlata delle dame di corte; gli stessi uomini, per apparire

più nobili e gentili, seguirono questa moda, quella del cecear por gracia, attaccata da

molti come vizio e ben presto designata come tipica degli effeminati. Così scrive

Gonzalo Correas:

1611, citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 129.54 Bartolomé de Ximénez Patón, Epítome de la ortografía latina y castellana, Baeza, 1614, fols. 18-19,

citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 130.55 Tale ipotesi è confermata da Antonio Narbona Jiménez, che ne tiene conto nella sua ricostruzione del

fenomeno: “Mas bien parece, [...] si aceptamos que cecear en aquel tiempo también significó 'sesear con s dental', que una y otra modalidades [...] nacieron más o menos al mismo tiempo” (Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 64).

23

[...] la suavidad del zezeo de las damas sevillanas, ke hasta los onbres le imitan por

dulze. [...]No fue natural el zezear en los primeros, sino afetazión, i en los

susezores mala kostunbre en ke se krían. Vése claro en ke lo pierden viniendo a

Kastilla, i en estos dos nonbres kasa en ke se bive y kaza de monte, ke los truekan

komo de industria i por la kasa dicen kaza, i por kaza dicen kasa, i ansí otros. [...] I

son por ellos rreídos [...], porke hablando kieren más parezer henbras o serpientes

ke onbres o ke palos56.

Alla metà del XVII secolo le tendenze sembrano essere già più nette e distinte, e il

fenomeno sembra essersi assestato, dato che si definiscono precise aree di ceceo, aree di

seseo e aree di distinzione, coincidenti più o meno con quelle odierne (tranne che per le

aree di ceceo, che oggi sono in netta diminuzione, come vedremo più avanti):

• Le aree di ceceo riguardano la “Costa del Andaluzía”, ossia quella atlantica,

partendo dal sud di Huelva passando per Cadice, Siviglia, Málaga fino ad arrivare

a sud-ovest di Granada.

• La zona di Cordova mantiene la fase di seseo, insieme alla zona nord di Siviglia.

• Jaén, Almería e le relative provincie praticano la distinzione castigliana dei due

suoni; Granada si divide quasi a metà fra distinzione e ceceo57.

Tuttavia, queste aree, che abbiamo descritto in modo estremamente semplificato

come unitarie, in realtà risultano parecchio frammentate al loro interno. Innanzitutto

perché non esiste un solo tipo di s in Andalusia: alcuni studiosi, come Ramón Morillo-

Velarde o Rafael Cano, distinguono nella regione sette varianti di s, a partire

dall'apicoalveolare concava, ossia la castigliana, e la sua variante apicocoronale piano-

concava, passando per la coronale piana, detta cordovese, la corono-predorsale piano-

convessa, la predorsale convessa, detta sivigliana, la predorsale convessa semisonora e

la predorsale convessa interdentalizzata58. Benché tutte e sette siano presenti in territorio

56 Gonzalo Correas, Ortografía Kastellana nueva i perfeta, Salamanca, Editore Jacinto Tabernier, 1630, pags. 11-12, citato in Amado Alonso, Op. cit., pag. 132.

57 Amado Alonso, Op. cit., pag. 178-181.58 Ramón Morillo-Velarde Pérez: “La s- prevocálica andaluza. Interpretación dialectal desde la

lingüística no discreta”, Archivo de filología aragonesa, Saragozza, vol. 59-60, tomo II, 2004, pags. 1541-1544.

24

andaluso, sono tre quelle distinguibili per i “non addetti ai lavori”, ossia, oltre a quella

castigliana, le succitate s cordobese ed s sivigliana, l'una più centralizzata, simile a

quella italiana o francese, l'altra più avanzata, simile al suono interdentale castigliano. Si

propone uno schema che le ordina dalla più posteriore alla più anteriore; come è

possibile notare, la differenza non risiede soltanto nel punto d'applicazione della lingua,

bensì anche nella posizione che assume (concava, piana, convessa ecc.):

Apicoalveolare concava

Apicocoronalepiano-concava

Coronale piana

Corono-predorsalepiano-convessasorda e sonora

Predorsaleconvessa

Predorsaleconvessa

semisonora

Predorsaleconvessa

interd.

Standard(Castigliana)

Nord-est di Huelva, nord di Siviglia, nord-est di

Cordova, nord di Jaén

Córdobae aree di

seseo

Punti isolati delle province di

Huelva, Jaén e nell' Andalusia

della E59,

Siviglia, Cadice, nord di Málaga

Sud-est di Siviglia

Registri popolari di

Siviglia, sud di Huelva,

Cadice, Málaga e

costa granadina

Considerando le ipotesi di alcuni studiosi60 che pretendono di assimilare la tipica s

predorsale sivigliana alla s dei Mori, Amado Alonso si affretta ad evidenziare la fallacia

di questa congettura, poiché, sin dai primi manoscritti, la pronuncia dei moriscos viene

definita come xexeo, ossia con suono fricativo palatalveolare, per via dell'assimilazione

con la ŝin di origine araba medievale61.

La seconda variante di frammentazione è dettata dal fatto sociale: non esistono nette

zone di seseo o ceceo, dove cioè ogni nucleo urbano pratica le stesse pronunce, nè

tantomeno all'interno di ogni nucleo esiste un'omogenea distribuzione delle tendenze. In

tutto il territorio andaluso sono stati registrati almeno otto modelli di tendenza

differenti:

59 La zona così denominata da Dámaso Alonso, al confine tra le province di Siviglia, Cordoba e Málaga. 60 Ad. es. Tomás Navarro Tomás, “La frontera del andaluz”, Revista de Filología Española, tomo XIX,

1933, pags. 271-273.61 Amado Alonso, Op.cit., pag. 173.

25

• Distinzione dei due fonemi, con s castigliana (modello standard);

• Distinzione dei due fonemi, con s cordovese;

• Distinzione dei due fonemi, con s sivigliana;

• Confusione seseante con s cordovese;

• Confusione seseante con s sivigliana;

• Confusione ceceante;

• Confusione con suono intermedio tra l'assibilazione e l'interdentalizzazione;

• Confusione anarchica di assibilata e dentointerdentale, fuori da criteri etimologici,

che oggi viene definita ceseo o seceo62.

Come si può vedere, esistono quasi tutte le varianti logiche, e si potrebbe sostenere che

sono tutte testimoni di fasi intermedie di sviluppo del fenomeno. Vale la pena notare,

oltretutto, che il suddetto fenomeno di ceseo-seceo corrisponde, a livello concettuale,

alla situazione anarchica della Siviglia di metà del XVI secolo, in cui entrambi i suoni

venivano pronunciati distintamente, ma sbagliando le corrispondenze etimologiche.

Per quanto riguarda la diffusione del seseo, sembra che non sia avvenuta esattamente

per espansione, a partire da un fuoco centrale. Come specifica Amado Alonso, “hoy

aparece como un continente lo que en un principio fue un archipélago63”, in quanto non

possiamo stabilire un centro principale di irradiazione dei mutamenti fonetici: la

tendenza di tipo seseante è nata indipendentemente in zone del tutto isolate fra loro,

come piccole scintille separate. La sua apparizione e la successiva propagazione,

dunque, non può essere spiegata con la vecchia "teoria delle onde": siamo di fronte ad

un'irradiazione capillare, che solo in parte ha avuto dei centri principali di diffusione,

come il Portogallo o la Catalogna o l'area di Valencia.

Di sicuro, in Andalusia il fenomeno ha conosciuto le sue estremizzazioni nella città

di Siviglia, con la variante ceceante, e nella costa occidentale dell'Andalusia, per

62 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 133-134.

63 Amado Alonso, Op. cit., pag. 178.

26

successiva espansione. Molto interessante, in questo caso, è l'analisi di Marco Antonio

de Oliveira64, che attribuisce la distinzione di queste aree di tendenza a cause di tipo

geografico: la presenza dei gruppi montuosi della Sierra Morena e della Sierra Nevada

avrebbero, infatti, costituito una barriera naturale per la larga diffusione dei fenomeni.

Pertanto, la giusta distinzione tra s e ç non sarebbe riuscita a valicare la Sierra Morena,

escludendo quasi tutto il territorio andaluso dalla pronuncia standard, in favore del

seseo; allo stesso modo, il ceceo, che lo studioso considera uno sviluppo totalmente

indipendente, cominciato a partire dalla città di Siviglia65, non sarebbe riuscito ad

espandersi verso sud-est a causa della presenza della Sierra Nevada (nonchè per la forte

influenza di Cordova, storicamente seseante), ma avrebbe avuto successo

nell'espansione verso la costa, non protetta da barriere naturali66.

Merita una menzione particolare il caso del seseo latinoamericano, che ha raggiunto

notevoli gradi di espansione. Dal momento che ai tempi di Arias Montano (1546-1566)

il fenomeno era appena comparso in Andalusia, e sembra che fosse ancora lungi

dall'assestarsi come tratto caratteristico del dialetto sivigliano, lo spagnolo trapiantato in

America non sarebbe stato ancora “andaluso”, bensì il castigliano del XV secolo, con

tutte le sue fratture e debolezze interne67. Dunque il seseo latinoamericano, secondo

questa teoria, potrebbe essere riconducibile a quello peninsulare, frutto d'una tendenza

innovatrice e livellatrice che non si spiega con ragioni geografiche, ma troverebbe le sue

motivazioni nell'intrinsecità della lingua stessa e nel suo riflesso sulla società. Tuttavia,

oggi, questa teoria è poco probabile, in seguito agli studi di eminenti filologi come

Ramón Menéndez Pidal68, Rafael Lapesa69 e altri, che hanno dimostrato una chiara

dipendenza dello spagnolo d'America dallo spagnolo d'Andalusia, non intendendo con

questo togliere legittima autonomia alla varietà d'oltreoceano, che in molti ambiti ha

sviluppato sue proprie caratteristiche. Il seseo sarebbe stato importato in America

proprio dai primi viaggiatori/colonizzatori, che nel primo trentennio del XVI secolo

64 Marco Antônio de Oliveira, Op. cit., pag. 9-15.65 Ibidem, pag. 14.66 Ibidem, pag. 15.67 Amado Alonso, Op. cit., pag. 184.68 Ramón Menéndez Pidal, “Sevilla frente a Madrid”, Estructuralismo e historia: homenaje a André

Martinet 3, La Laguna, 1962, pags 99-165. 69 Rafael Lapesa, “Sobre el seseo y el ceceo andaluces”, Estructuralismo e historia: homenaje a André

Martinet 1, La Laguna, 1957, pags. 67-94.

27

erano in gran parte andalusi. La discordanza delle due tesi risiede nella considerazione

delle origini del fenomeno: Amado Alonso ritiene che in quel periodo non fosse ancora

pienamente attestato, mentre gli studi successivi l'hanno fatto risalire già agli inizi del

XV secolo70. A suffragare questa seconda ipotesi ci sarebbero alcune prove: le analisi

delle diverse testimonianze del cosiddetto judeoespañol, ossia lo spagnolo parlato dagli

ebrei sefarditi, espulsi dal Regno di Spagna proprio nel 1492, hanno dimostrato che tale

varietà presenta soltanto sibilanti dentali71. In secondo luogo, anche lo spagnolo

d'America ha tutt'oggi una s di tipo dentale, caratteristica tipica solo dello spagnolo

d'Andalusia72. Ciò, tuttavia, non esclude, bensì completa, l'idea che la larga espansione

del seseo sia dovuta, oltre a fattori di conquista, anche alla naturale predisposizione

della lingua castigliana a questo tipo di mutamento.

A tal proposito, sarebbe legittimo chiedersi quali fattori abbiano favorito, in alcune

zone, la ristrutturazione del sistema fonologico, quando in altre zone la resistenza al

cambiamento ha, invece, avuto la meglio, ovvero, per quale motivo l'innovazione parte

proprio dall'Andalusia, e successivamente dall'America conquistata, dove ha maggiore

riscontro rispetto ad altre zone peninsulari. Il fattore sociolinguistico, in questi casi,

sembra avere un ruolo fondamentale nelle dinamiche del cambiamento linguistico. Sia

l'Andalusia che l'America Latina sono state terre di conquista, che hanno ricevuto una

lingua importata dai colonizzatori, provenienti da regni diversi e con pronunce tutt'altro

che omogenee: come abbiamo visto nel capitolo introduttivo sulla storia d'Andalusia,

nel XIII sec. in questi territori arrivano caballeros soprattutto dalla Castiglia, dal León e

dalla Catalogna, per cui la società che s'era venuta a formare era composta

dall'eterogeneità di tutte queste componenti. Quando ci si trova in situazioni linguistiche

simili, si è costretti a una semplificazione della lingua; pur di facilitare la reciproca

comprensione, si arriva a formare quella che Amado Alonso definisce una “nivelación

lingüistica73”: la semplificazione delle norme meno necessarie, l'epurazione delle

ridondanze e, di conseguenza, la neutralizzazione di tratti distintivi poco efficaci. Una

società aperta al compromesso linguistico è, dunque, più esposta al cambiamento e poco

70 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 63.71 Ibidem.72 Ibidem, pag. 118.73 Amado Alonso, Op. cit., pag. 200.

28

propensa al mantenimento di una norma specifica. Pertanto, mentre in Castiglia venne

imposta la distinzione netta dei suoni s e ç, in Andalusia si sentì la necessità di

riassestare il sistema fonologico, fino a portarlo alle estreme polarizzazioni di seseo e

ceceo. Analogamente, anche l'America Latina sviluppa le sue varianti, distinte e distanti

dalla norma castigliana d'origine, lontana anche geograficamente.

Riguardo alla situazione odierna, con la crescita dell'istruzione pubblica (ricordiamo

che fino alla metà del secolo scorso, il 70% della popolazione andalusa non sapeva né

leggere né scrivere74), quindi con l'insegnamento della norma castigliana a scuola,

nonché con la diffusione dello spagnolo standard nei mezzi di comunicazione radio-

televisivi, i fenomeni più estremi sono stati avvertiti dalla comunità dei parlanti come

eccessivamente corrotti o addirittura cacofonici. Tra questi, il ceceo, nonostante la sua

validità storica in qualità di tratto peculiare sivigliano, oggi è in netta retrocessione:

nelle parlate urbane si è preferito adottare come variante fonetica o quella del seseo,

come a Siviglia, o più correttamente la distinzione castigliana, come nell'Andalusia

orientale. Nelle parlate rurali, e in modo leggermente più diffuso nella provincia di

Cadice, il ceceo sembra ancora permanere nell'abitudine linguistica dei parlanti, ma

anche qui la tendenza è in calo, sulla scia delle varianti più prestigiose e meglio

accettate dalle comunità di lingua spagnola75.

2.2 Le aspirazioni

Con il termine “aspirazione” i linguisti tendono a designare le articolazioni fonetiche

fricative gutturali, ossia con frizione a livello della faringe o della laringe, generalmente

sorde. Nell'ambito della storia fonetica e fonologica del castigliano, il processo di

aspirazione dei suoni ha coinvolto principalmente le consonanti sibilanti, in particolar

modo nelle loro posizioni più “deboli” (in finale di sillaba e di parola). Nel nostro 74 Antonio Narbona Jiménez, Op. cit., pag. 122. 75 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 136-

137.

29

percorso di ricostruzione della fonetica andalusa a partire da quella castigliana, dunque,

terremo in considerazione uno dei fattori forse più rilevanti della caratterizzazione

andalusa: quello dei suoni aspirati. Generalmente possiamo individuare tre tipi di

aspirazione, cronologicamente distinti, ma collegati tra loro nel processo evolutivo:

1. L'aspirazione di h iniziale etimologica, vale a dire di tutte quelle parole castigliane

che cominciano per h derivate da parole latine con f iniziale (hembra > FEMINA,

higo > FICUS);

2. L'aspirazione del suono velare di jota [χ] castigliana;

3. L'aspirazione di “s implosiva”, cioè in posizione finale di sillaba e di parola, che

può giungere fino alle estremizzazioni di assimilazione o dileguo.

Prima di cominciare a trattare singolarmente i tre fenomeni, occorre specificare la

problematicità del termine “aspirazione”: per definizione, infatti, il suono dovrebbe

avere una certa intensità di frizione e dovrebbe sempre prodursi all'altezza della

faringe/laringe. Tuttavia, secondo alcuni studi effettuati recentemente presso l'Univeristà

di Barcellona76, è stato dimostrato che nel terzo caso, ossia quello di s implosiva,

l'aspirazione prodotta spesso non soddisfa nessuna di queste caratteristiche. Il fonema

[h] con cui generalmente i linguisti indicano il suono aspirato riferendosi a quello

andaluso, infatti, dovrebbe essere scientificamente identico a quello inglese, presente in

parole come happy, house, ecc.; ma, come si può ben notare, sentendo parlare un

andaluso dell'ovest, per esempio un sivigliano, ci si accorge di come questa fricativa

glottidale possa divenire in certi contesti sempre meno intensa e a volte quasi

scomparire77. I suddetti studi, a fronte di alcuni esperimenti, hanno dimostrato che non

esiste una vera e propria “aspirazione”, intesa come suono consonantico fricativo, ma

piuttosto un progressivo rilassamento delle corde vocali, che produce suoni

gradualmente deboli, uscendo dunque fuori dall'ambito della modal voice per passare a

quello della breathy voice, ossia voce sussurrata78. Nonostante questa modalità di

76 Paul O’Neill, “Utterance final /S/ in Andalusian Spanish. The phonetic neutralization of a phonological contrast”, Language design: journal of theoretical and experimental linguistics, 2005, vol. 7, p. 151-166.

77 Ibidem, pag. 151.78 Ibidem, pag. 165.

30

fonazione costituisca un'entità fonematica in alcune lingue orientali, va da sé che nel

nostro caso stiamo semplicemente parlando di una variante allofonica del suono

sibilante di s, riconosciuta tale dai parlanti stessi; pertanto, nello spagnolo parlato in

Andalusia, non esiste un vero e proprio fonema [h] in questa posizione.

Tuttavia, per convenzione e per rispetto dei numerosi studi effettuati in precedenza

da autorevoli ricercatori e linguisti, ci limitiamo a riproporre la definizione di questo

suono con il termine standard di “aspirazione”, codificato nel simbolo [h], anche nel

caso di s implosiva. Passeremo, quindi, in rassegna ogni singolo caso di aspirazione,

cercando di illustrarne le modalità e spiegarne le motivazioni.

2.2.1. La h- iniziale

Il primo di questi suoni aspirati, come accennato in precedenza, è quello etimologico

corrispondente all'antica f- latina. Nel castigliano del Medioevo, quest'aspirazione

costituiva un tratto innovativo rispetto ad altre parlate regionali, in cui ancora si

conservava il suono originario, e veniva usata anche per pronunciare certe parole

mutuate da lingue straniere, come per esempio heraldo dal francese, o hasta, ahorrar

dall'arabo79. Nella prima metà del XVI secolo, aspirare la h iniziale era persino divenuto

segno di cultura ed eleganza, tanto che molti poeti ed intellettuali di corte avevano

adottato quest'abitudine. Tuttavia, nel corso del secolo, il suono aspirato ha

precipitosamente perso il suo prestigio, e già alla corte madrilena80 veniva associato ai

ranghi più bassi della società; nelle caratterizzazioni teatrali seicentesche, infine, veniva

integrato nelle parlate rurali e in particolar modo in quelle del sud della Spagna

(Estremadura, Andalusia). In queste zone, infatti, il suono di h aspirata si è mantenuto,

in contrasto con l'innovazione del castigliano, che l'aveva dileguato81. Non è facile

spiegare i motivi di questo fenomeno: è possibile rintracciare una tendenza leonese,

79 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 65. 80 Ricordiamo che la corte venne spostata a Madrid solo con l'inizio dell'impero di Filippo II, dunque dal

1561 in poi.81 Ibidem, pag. 66.

31

regione in cui questo suono era molto diffuso, e dalla quale, come ben sappiamo,

provenivano molti dei ripopolatori del meridione spagnolo. Sta di fatto che

nell'Andalusia occidentale godeva e gode tuttora (anche se in declino) di un certo

successo, mentre nell'Andalusia orientale, ripopolata a partire da Toledo e da Murcia,

quest'abitudine è venuta meno. Tuttavia, già a partire dalla seconda metà del XVII sec. è

possibile riscontrare anche nell'Andalusia occidentale la tendenza a non praticare più

l'aspirazione, per via di alcune grafie in cui scompare la h iniziale, segno che ormai non

veniva più pronunciata82.

Oggi le analisi sociolinguistiche ci permettono di riscontrare ancora questa tendenza

nelle classi culturalmente inferiori, specialmente fra i parlanti di maggiore età. I giovani,

infatti, per via della più diffusa istruzione, hanno perso questo tratto “arcaico” della

lingua locale. Nonostante ciò, lo stesso tipo di aspirazione è riscontrabile in alcuni

cultismi con f iniziale, tra i quali fumar, che viene pronunciato come *humar, secondo lo

stesso processo avvenuto nel castigliano medievale83.

2.2.2. L'aspirazione di jota

Il mantenimento della suddetta h iniziale etimologica può considerarsi responsabile

del secondo tipo di aspirazione presente nell'andaluso, quello del suono di jota [χ]

castigliano. Per capire come, è necessario ripartire dalla situazione fonetica castigliana

tra i secoli XIII e XVII. Nel sistema fonetico medievale castigliano esistevano due suoni

fricativi palatali, uno sordo [ʃ] e uno sonoro [Ʒ], corrispondenti alle grafie x e j, g.

Durante il periodo di riassestamento delle sibilanti84 questi due suoni sono confluiti nel

fonema sordo [ʃ], che si è poi posteriorizzato fino al velo palatino, trasformandosi così

in una fricativa velare [χ]. Tale mutamento è relativamente recente, tanto che gli

82 Ibidem, pag. 67.83 Ibidem, pag. 174.84 Si veda a tal proposito il paragrafo 2.1, riguardante il fenomeno del seseo-ceceo.

32

studiosi lo datano all'incirca tra la fine del XVI sec. e la prima metà del XVII 85:

l'esempio più significativo è il caso del Quijote, nella grafia dell'epoca Quixote, le cui

traduzioni in italiano e francese86 dimostrano chiaramente come ancora nei primi anni

del '600 la pronuncia standard fosse quella palatale [ʃ]. Solo nel XIX sec. vennero, poi,

normalizzate le grafie, con l'abolizione della lettera x in favore dell'alternanza j - g.

Castigliano antico XIII-XVI sec. XVI-XVII sec. XIX sec.Grafia Pronuncia Grafia Pronuncia Grafia Pronuncia Grafia Pronuncia

x [ʃ] x j - g [ʃ] x

j - g [χ] j - g [χ]j - g [Ʒ]

Tuttavia, il nuovo suono fricativo velare, venutosi a formare nella lingua castigliana,

si è ben presto scontrato con il suono di h aspirata nelle zone dove questa si era

mantenuta: la somiglianza e la netta vicinanza dei punti d'articolazione dei due fonemi

hanno contribuito, infatti, alla progressiva confusione, nonché fusione dei due suoni.

Nelle zone di h aspirata più controllate dalla pressione castigliana, entrambi i suoni sono

confluiti nella fricativa velare [χ], dando origine a pronunce come *jaba, *jolgar, *jacer

per haba, holgar, hacer. Invece, nelle zone di h aspirata lontane dal controllo

castigliano, come l'Andalusia occidentale o l'Estremadura, entrambi i suoni sono

confluiti nell'aspirazione [h], dando luogo a pronunce come *habón, *hota, *hente,

*mehor al posto di jabón, jota, gente, mejor87.

Zone di h aspirata

Vicine alla Castiglia Lontane dalla Castiglia

[χ][χ]

[χ][h]

[h] [h]

*jaba, jota haba, *hota

85 Ibidem, pag.67.86 In italiano Don Chisciotte; in francese Don Quichotte.87 Ibidem, pag. 68.

33

Non è per niente facile rintracciare i motivi e le origini di questi scambi: come è

noto, i mutamenti fonetici avvenivano spesso lasciando invariata la grafia. Bisogna

quindi recuperare le prime avvisaglie di certe trasformazioni tramite errori ortografici in

testi di bassa cultura. Le prime testimonianze andaluse risalgono alla fine del XVI sec. e

mostrano scambi di h per j o g (Hulián, mehor, hentil); ma già in Góngora troviamo, fra

le tante, páharo per páxaro e golgar per holgar, che ci dimostrano come nel XVII

secolo i due suoni si pronunciassero allo stesso modo anche nelle classi medio-alte della

società. Tuttavia, non mancano le critiche e le caratterizzazioni burlesche di questi

fenomeni, come quelle di Juan de Robles88 o di Francisco de Quevedo89, che censurano

o ridicolizzano le pronunce “errate” rispetto alla norma castigliana ormai affermatasi90.

Bisognerà aspettare il XIX sec. perché si estingua definitivamente la percezione

negativa rispetto all'aspirazione di jota e si giunga, dunque, alla sua progressiva

accettazione nella pronuncia standard, riconosciuta però sempre come tratto distintivo

delle parlate meridionali della Spagna.

2.2.3. L'aspirazione di -s implosiva

La terza e più importante aspirazione andalusa è quella che riguarda la -s implosiva,

che si verifica, cioé, questo fonema costituisce coda sillabica. Si tratta di una peculiarità

fonetica, facilmente distinguibile, che si produce in pronuncie come *etto, *lohtoroh,

*cahco o *atta per parole come esto, los toros, casco e hasta. Il fonema s, che, come già

visto in posizione prevocalica, ha subito svariate modificazioni e sconvolgimenti nel

corso della storia fonetica spagnola, ha raggiunto le sue trasformazioni più sostanziali

proprio nel contesto più debole, ossia in finale di sillaba. Il processo di aspirazione di -s

88 Juan de Robles, Primera parte del Culto Sevillano. Diálogo quinto: trata de la Ortografía, 1631, 1a

ed., Siviglia, Sociedad de Bibliófilos Andaluces, 1883, pag. 309, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 68.

89 Francisco de Quevedo, Historia de la vida del Buscón (1626), ed. Lázaro Carreter, Salamanca, 1965, pag. 275, citato in Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 68.

90 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 68.

34

implosiva, infatti, si è protratto fino al dileguo della stessa, nonché all'assimilazione con

il fonema consonantico successivo.

Molti studiosi si sono cimentati in ricerche filologiche che spiegassero le origini di

questo ormai diffusissimo fenomeno, che oltrepassa i limiti dell'Andalusia e che si

attesta in buona parte dei territori iberici e dell'America Latina. Tuttavia, nonostante i

preziosissimi contributi di filologi, tra i quali anche Menéndez Pidal91, non si è riusciti a

trovare attestazioni valide per il fenomeno che risalissero all'epoca della colonizzazione,

ossia al XVI secolo. Máximo Torreblanca, in uno dei suoi saggi92, spiega

dettagliatamente come tutte le presunte testimonianze recuperate dai testi dell'epoca, o

anche da precedenti manoscritti, fossero in realtà deboli congetture. Il caso più eclatante

è quello di Sofonifa, portato avanti da Menéndez Pidal: l'illustre filologo ritrovò, tra le

annotazioni di Hernando Colón93, figlio di Cristoforo Colombo, questa particolare

trascrizione del nome dell'eroina classica SOPHONISBA; secondo Menéndez Pidal si

tratterebbe della prima testimonianza, inequivoca e assoluta, della presenza del

fenomeno di aspirazione di -s implosiva agli inizi del XVI secolo94. La pronuncia

aspirata di -s, infatti, comporta un'assimilazione con la consonante successiva (b-), che

perde quindi il suo tratto di sonorità e arriva ad essere pronunciata come una f. Il fatto

che ciò accada tuttora in diverse zone dell'Andalusia, dove resbalar viene pronunciato

*refalar e desbaratar si rende con (e)faratar95, potrebbe avvalorare l'ipotesi di una

presunta assimilazione già ai tempi di Colombo; tuttavia, secondo l'opinione di

Torreblanca e di studiosi successivi, questa congettura lascia molti dubbi: se fosse vera,

si dovrebbe ammettere, oltre all'effettiva presenza del fenomeno in quell'epoca, che

questo fosse già arrivato alle classi più colte; e, soprattutto, si dovrebbe considerare

certo che il nome dell'eroina greca fosse stato talmente diffuso nella lingua parlata da

subire questa variazione, ipotesi piuttosto inverosimile. Nomi e termini di origine

letteraria, arrivati sicuramente per iscritto e probabilmente mai detti o pronunciati,

91 Ramón Menéndez Pidal, Op. cit., pags. 135-143.92 Máximo Torreblanca, “La /s/ implosiva en español: sobre las fechas de su aspiración”, Thesaurus,

1989, tomo XLIV, n. 2, pags. 281-303.93 Hernando Colón, Descripción y cosmografía de España, codici 10-1-2 e 10-1d-3 della Biblioteca

Colombina di Siviglia, citato in Ramón Menéndez Pidal, Op. cit., pag. 136.94 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 289.95 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 71.

35

difficilmente possono essere coinvolti in mutazioni fonetiche, che interessano

principalmente le parole della lingua parlata: la trascrizione Sofonifa, dunque, non è

altro che un errore di scrittura, dovuto a una lapsus calami, o semplicemente un errore

dell'autore, che, non rammentando bene il nome corretto dell'eroina, ripeté

meccanicamente la consonante f96.

Le altre testimonianze citate da Torreblanca sono raccolte da studiosi come P. Boyd-

Bowman97, R. Lapesa98 e J.A. Frago García99, che rintracciano diverse grafìe equivoche,

carenti di -s implosiva o con s ultracorretta, scritta cioè in finale di sillaba o parola dove

non ha alcun motivo di esservi (es.: este derechos100, dove la s non può che indicare un

errore grammaticale). Gli esempi riportati vorrebbero dimostrare che la s, trovandosi in

questa e molti altri contesti “implosivi” dove non era richiesta, avrebbe perso in quella

posizione ogni tipo di valenza fonetica, tanto che la sua presenza o assenza era

indifferente ai fini della pronuncia. Boyd-Bowman101 ha analizzato alcune lettere scritte

da coloni americani nei primi tempi della colonizzazione (inizio XVI sec.); a queste,

Lapesa102 ha aggiunto alcuni documenti toledani della fine del secolo; infine Frago

García103 ha raccolto alcune testimonianze di documenti andalusi, risalenti alla fine del

XIV secolo. Tutte testimonianze che, seppur autorevoli, non convincono sull'effettiva

datazione del fenomeno. Secondo Torreblanca, i casi più sicuri di aspirazione di -s

implosiva pervenutici risalgono al XVIII sec. e appartengono a un'opera drammatica

scritta da un ecclesiastico, Gaspar Fernández y Ávila, intitolata La Infancia de Jesu-

Christo104: in questo scritto è possibile rintracciare forme come los jojos, las jorejas, mis

jorejas. È necessario, anzitutto, precisare che l'autore utilizza la lettera j per indicare il

suddetto suono aspirato [h], com'è possibile constatare nelle varie grafie: jecho, jijo,

96 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 294.97 Peter Boyd-Bowman, “A sample of Sixteenth Century 'Caribbean' Spanish Phonology”, Colloquium

on Spanish and Portuguese Linguistics, Washington D.C., 1975, pags. 1-11.98 Rafael Lapesa, Histora de la lengua española, Madrid, Gredos, 1980, 8a ed, pags. 387-389. 99 Juan Antonio Frago García, “Materiales para la historia de la aspiración de la /-s/ implosiva en las

hablas andaluzas”, Lingüística Española Actual, tomo V, 1983, pags 153-171.100 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 292.101 Peter Boyd-Bowman, Op. cit.102 Rafael Lapesa, Op. cit.103 Juan Antonio Frago García, Op. cit.104 Gaspar Fernandez y Ávila, “La infancia de Jesu-Christo”, ed. a cura di Max Leopold Wagner,

Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, tomo 72, Halle, 1922, pags. 1-188.

36

jace, quejarme, parejos, viejo105. Queste forme, secondo la ricostruzione di Torreblanca,

costituiscono la prima chiara prova dell'aspirazione di -s implosiva davanti vocale,

registrata con la grafia j, in cui il suono aspirato viene assimilato alla vocale iniziale

della parola seguente. L'articolo, tuttavia, viene comunque corredato di una <s> grafica,

che l'autore scrisse per indicare che si trattava della sua forma plurale, ma che

effettivamente non veniva pronunciata, giacché “las formas los jojos correspondían,

seguramente, a la pronunciación [lohóhoh]106”.

A questo punto, ci si potrebbe chiedere come mai Gaspar Fernández registri soltanto

le -s implosive prevocaliche, quando verosimilmente il suono era già aspirato anche in

altre posizioni. Ciò è spiegabile con un'importante teoria di Lapesa, secondo cui “la [h]

resultante (de la aspiración de /s/) nunca se escribía como tal, sin duda porque en la

conciencia lingüistica de los hablantes se sentía como simple variedad articulatoria de la

/-s/107”. In poche parole, in finale di parola o di sillaba davanti a consonante,

l'aspirazione, nonostante fosse praticata, non veniva registrata graficamente, perché

nella coscienza dei parlanti quel suono aspirato era comunque una variante di s; quando

questa si verificava davanti a una vocale, invece, era più facile rendersi conto della

mutazione fonetica avvenuta, e di conseguenza risultava più facile registrarne la

presenza.

Secondo questa teoria, si potrebbe riaprire la questione sulla datazione del fenomeno,

in quanto, alla luce di ciò che è stato affermato, “un andaluz en el siglo XV, o un

español llegado a América en el XVI, podría pronunciar [éhto] y escribir esto108”.

Torreblanca sembra dare una netta risoluzione alla questione, citando in causa il

succitato judeoespañol: come già illustrato in precedenza, questa lingua, di cui

disponiamo parecchie testimonianze, risulta per noi come un' “istantanea” del

castigliano parlato nel 1492, anno in cui partirono le prime spedizioni verso il nuovo

continente. Gli studiosi che se ne sono occupati109 non hanno rintracciato nessun indizio

105 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 292.106 Ibidem, pag. 298.107 R. Lapesa, Op. cit., pag. 387.108 Máximo Torreblanca, Op. cit., pag. 299.109 Per citarne alcuni: Israel Salvator Révah, “Formation et évolution des parlers judeo-espagnoles des

Balkans”, Ibérica, tomo VI, 1961, pags. 173-196; Marius Sala, Phonétique et phonologie du judeo-espagnol de Bucarest, The Hague, Mouton, 1971, pags. 67-71; Max Luria, A Study of the Monastir Dialect of Judeo-Spanish, New York, Instituto de las Españas, 1930, pags. 115-116.

37

di aspirazione di -s implosiva fra tutti i documenti analizzati. Questa considerazione,

unita al fatto che non tutti i dialetti dell'America Latina praticano tale aspirazione,

sembra confermare una volta per tutte che il fenomeno sia abbastanza “recente”.

Esaurita la possibilità di precisare il “quando”, converrà invece soffermarsi sul

“come” e ipotizzare un “perché” del fenomeno. L' “aspirazione di -s implosiva” non

comprende soltanto la sibilante s, ma anche il suono c, z [θ], che, naturalmente, subisce

lo stesso trattamento nelle zone di seseo o ceceo. Sarà opportuno distinguere tre grandi

casi diversi di aspirazione:

• Implosiva davanti a consonante;

• Implosiva davanti a vocale;

• Implosiva assoluta (in finale di parola).

Per quanto riguarda il primo caso, il processo di aspirazione risulta piuttosto

variegato a seconda del tipo di consonante che segue il fonema sibilante, come si può

constatare dal seguente schema riassuntivo110:

Tipo di consonante Processi Esempi

Occlusive sorde[p] - [t] - [k]

1. Aspirazione;

2. Assimilazione con la consonante seguente.

1. Los t oros [lohtoro(h)]; as c o [ahko].

2. Cas p a [kappa]; los t res [lottre(h)].

Fricative sorde[f] - [θ] - [χ]

1. Aspirazione;

2. Assimilazione con la consonante seguente;

3. Dileguo.

1. Res f riado [rehfriao]; des c ender [dehθender].

2. Las f altas [laffalta(h)];las j aras [laχχara(h)] - [lahharah].

3. Res f riado [refriao];des c ender [deθender].

110 Tutti gli esempi dei processi, nonchè la loro schematizzazione, sono tratti da: Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 156-157; José Antonio González Montero, “La aspiración: fenómeno expansivo en español. Su importancia en andaluz. Nuevos casos”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, 1993, n°16, pags. 31-48.

38

Occlusive sonore[b] - [d] - [g]

1. Aspirazione;

2. Assimilazione con la consonante seguente;

3. Sordizzazione della consonante seguente(e relativa fricatizzazione).

1. Des v án [dehban].

2. Des d eñar [deddeɲar];dis g usto [digguhto].

3. Res b alar [refalar];des d eñar [deθeɲar];dis g usto [diχuhto] - [dihuhto].

Palatali111

[ʧ] - [ʎ] - [y]

1. Aspirazione;

2. Fricatizzazione della consonante seguente.

1. Las ll aves [lahyaβe(h)];

2. Las ll aves [lahʒaβe(h)];Los ch avales [lohʃaβale(h)].

Liquide[l] - [r]

1. Assimilazione con la consonante seguente.

1. Los l unes [lollune(h)];Is r ael [irrael].

Nasali[m] - [n]

1. Aspirazione

2. Assimilazione con la consonante seguente.

1. As m a [ahma];as n o [ahno].

2. Los n iños [lonniɲo(h)];as n o [anno].

A ben vedere, due sono le maggiori tendenze articolatorie del suono sibilante

implosivo: l'aspirazione e, in una seconda fase, un'ulteriore riduzione di intensità del

suono aspirato in favore di un rafforzamento della consonante successiva

(assimilazione). Occorre precisare che spesso questi mutamenti mettono a rischio

l'unico tratto distintivo di marca plurale di nomi e articoli, che si registra quando

l'aspirazione giunge ai livelli estremi del dileguo: per esempio, in alcune sequenze come

las casas o los buenos, il dileguo totale di -s finale neutralizza l'opposizione con le

rispettive forme al singolare e al neutro (raggiungendo pronunce del tutto simili a la

casa, lo bueno), ove solo il contesto semantico dell'enunciato può determinare la

distinzione.

La schematizzazione fatta precedentemente riassume solo sommariamente i

numerosi stadi intermedi che intercorrono tra l'aspirazione e l'assimilazione, e tra questa

e il dileguo totale. Tuttavia, ci è utile definire, almeno in parte, le tendenze principali,

111 Nel presente schema il trattamento delle palatali [ʎ] e [ʝ] è identico, in quanto le zone di aspirazione di -s implosiva coincidono, in linea di massima, a quelle di yeísmo (si veda, a tal proposito, il par. 2.5).

39

per potere effettuare un'analisi sociolinguistica. Dal punto di vista geografico, il

fenomeno oltrepassa abbondantemente i confini dell'Andalusia, per estendersi alle

località di Murcia, Albacete, al sud di Alicante, al sud della Castiglia-La Mancha e in

Estremadura, fino ad arrivare al registro volgare di Madrid. Il processo di aspirazione

non conosce diversità diastratiche, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi

viene praticato a qualsiasi livello sociale112. Ciò che lo rende instabile è invece la

variante diafasica, ossia quella del registro e del contesto comunicativo: nelle situazioni

di medio-alta formalità, infatti, lontani dall'uso colloquiale del linguaggio, può essere

recuperata l'aspirazione o direttamente il suono sibilante originario.

Le tendenze registrate da Antonio Narbona, Rafael Cano e Ramón Morillo113 sono:

• Nel caso di occlusive sorde, le realizzazioni con aspirazione e con rafforzamento

consonantico sono egualmente diffuse, a meno di situazioni comunicative di

discreta formalità, dove, come detto prima, si preferisce l'aspirazione o viene

recuperato il suono originario.

• Per le fricative sorde è netta la preponderanza dell'assimilazione alla consonante

successiva; l'aspirazione viene recuperata, oltre che nei contesti formali, anche in

alcuni casi dove è necessario disambiguare l'omofonia con la forma al singolare,

per cui in sequenze come las fresas è necessario intensificare il suono di f o

recuperare l'aspirazione per marcarne il tratto di pluralità. Eventualità che non

avviene, invece, quando l'implosiva si trova in corpo di parola, come nel caso di

resfriado, la cui realizzazione risulta quasi sempre come *refriao.

• Per le occlusive sonore non è così facile definire quale sia la tendenza

maggioritaria, dal momento che tra il mantenimento dell'aspirata e la sordizzazione

totale della consonante seguente esistono numerosi livelli intermedi. Sono,

comunque, proprio questi ultimi ad essere preferiti, per cui le pronunce

estremizzanti risultano in netta inferiorità. Tra queste, la trasformazione del gruppo

-sb- in [f]114 soffre di scarso prestigio culturale, motivo per cui tra i parlanti delle

classi medio-alte viene rigettata, nonostante siano accolte le altre due

112 José Antonio González Montero, Op. cit., pag. 43.113 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit..114 Si veda, al riguardo, il famoso caso di Sofonifa, di cui si è discusso a pag. 35.

40

trasformazioni (-sd- in [θ] e -sg- in [χ] o [h]).

• Per le palatali che seguono -s implosiva, la tendenza generale è quella

dell'assimilazione, a meno di contesti comunicativi controllati.

• Per le nasali e le liquide che seguono -s implosiva, invece, si tende generalmente

all'aspirazione, e solo in contesti molto trascurati si arriva all'assimilazione. In

alcuni casi, tuttavia, davanti a -m o -n, la risonanza dell'aspirata nelle coane nasali

provoca un'assimilazione quasi completa con le consonanti stesse, a tal punto da

dar vita a dileguo. Ad esempio, la parola fresno viene quasi sempre pronunciata

come freno, specialmente nell'Andalusia occidentale.115

Se, dunque, davanti a consonante l'aspirazione può assumere varie intensità e mutare

il punto d'articolazione della consonante stessa, per quanto riguarda l'aspirazione di -s

implosiva davanti a vocale si può constatare un indebolimento ancora più intenso

dell'aspirazione, in cui il suono [h] passa a costituire attacco sillabico della parola

successiva (es. los árboles : [lo-har-βo-le(h)] ). È questo il caso delle grafie los jojos e

las jorejas, di cui sopra: il fonema viene inteso come iniziale del vocabolo seguente. In

questo contesto le varianti geografica e sociale sono decisive: è stato registrato che nelle

situazioni formali i parlanti della classe medio-alta di qualsiasi zona tendono a

recuperare il suono originario, mentre nelle situazioni più colloquiali, tra i parlanti di

basso livello culturale, l'Andalusia si divide in due parti: nella parte occidentale si tende

a recuperare la sibilante, mentre nella parte orientale si tende più nettamente

all'aspirazione, o ad un semplice colpo di glottide che permette di distaccare i due

termini, impedendo così lo iato (es. los árboles : [loʔarβole(h)] )116. A tal proposito è

doveroso citare un interessante studio di José Antonio Gonzáles Montero117, che

analizza la particolare situazione dell'aspirazione di -s implosiva davanti a vocale.

Com'è facilmente constatabile, la -s divenuta prevocalica per fonetica sintattica (ossia,

come nei casi precedentemente analizzati, quando si trova in finale di parola e precede

un'altra parola con iniziale vocalica), nella catena del parlato diventa una vera e propria

115 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 157-160.

116 Ibidem, pag. 155.117 José Antonio González Montero, Op. cit., pags. 31-48.

41

s “esplosiva”, cioè passa a costituire l'attacco della sillaba successiva. Volendo citare il

medesimo esempio, secondo la pronuncia castigliana corretta, quella che nella singola

parola los è una -s finale, nella catena los arboles costituisce un'unica sillaba con la

vocale successiva, secondo la scansione lo-sar-bo-les. Pertanto, la sua situazione

fonetica è esattamente identica a quella di una -s- intervocalica in corpo di parola (ad.es.

ca-sa). A rigor di logica, dunque, se nel primo caso la s viene aspirata, anche in corpo di

parola dovrebbe subire lo stesso trattamento. Tuttavia, il nostro autore registra tendenze

divergenti fra i parlanti di livello culturale medio e alto nell'aspirare questo suono: se si

trova in finale di parola, divenuto intervocalico nella catena del parlato, viene aspirato;

in corpo di parola, invece, molto raramente ciò succede, e solo nei registri più bassi118. A

conferma di questa tesi, González Montero analizza alcune frasi in cui viene

apparentemente ricreata la medesima catena fonica: nel primo caso si tratta di parole

intere, nel secondo caso si tratta di parti finali e iniziali di parole consecutive; quindi fa

notare come la -s viene aspirata solamente quando costituisce finale di parola, mai in

corpo di parola. Cito qualche esempio:

1. A: Mesilla [mesíya];

B: Co{mes y ya}te vas [-méh_i_yá-].

2. A: Racimo [rasímo];

B: Repararemos el suelo [...] con agua{rrás y mo}queta nueva [-ráh_i_mo-]119.

Non è il semplice contesto fonetico a determinare l'aspirazione: la morfosintassi,

infatti, è ben presente nella mente del parlante, che sistematicamente aspira solo la -s

implosiva (divenuta esplosiva per ragioni sintattiche); questo succede perché gli accenti

e le pause, nella catena del parlato, hanno l'importante funzione di differenziare le

parole, con le loro marche morfologiche, da mere sequenze foniche che solo per

combinazione ricreano parole, non riconosciute tali dal parlante120.

118 Ibidem, pag. 45.119 Ibidem, pag. 46.120 Ibidem.

42

Pertanto, lo studio di González Montero dimostra che, fra i parlanti di livelli medio-

alti di cultura, la s- esplosiva viene aspirata solo nel caso in cui si tratti di una -s

implosiva divenuta intervocalica nella catena del parlato; lo stesso, tuttavia, non si può

dire per la classi di basso livello culturale, in cui l'aspirazione di -s- intervocalica è

praticata sistematicamente anche in corpo di parola, e addirittura a inizio di parola (in

sequenze come *hi heñó per si señor).

In ultima analisi, il caso dell'implosiva assoluta (in finale di parola e di enunciato) è

quello più generalizzato: l'aspirazione si verifica in qualsiasi caso, tanto che è veramente

raro sentire un andaluso che pronunci il suono originario in questa posizione. Tuttavia,

qui la variante diatopica gioca un ruolo fondamentale: su tale fenomeno si distinguono

nettamente l'Andalusia occidentale da quella orientale, in quanto nella prima si riduce

alla semplice aspirazione di -s finale, e solo raramente all'allungamento della vocale

precedente; nell'Andalusia orientale, invece, si assiste al noto fenomeno delle vocali

proiettate, che consiste nell'apertura della vocale precedente la -s finale, in special

modo nei nomi al plurale121.

Rimane da ipotizzare la possibile causa di questo particolare fenomeno. Gli studiosi

non sembrano aver attribuito al quesito risposte certe, tuttavia ci hanno fornito una serie

di riflessioni al riguardo: prima di tutto, è stata notata la tendenza quasi ancestrale del

castigliano a disfarsi delle sillabe chiuse. Fin dalla sua evoluzione dal latino, molti nessi

consonantici sono stati sciolti, le consonanti geminate sono diventate quasi tutte

scempie (tranne la r) e di conseguenza le sillabe chiuse sono divenute quasi tutte aperte

(ad. es. dal latino NOC-TE si è arrivati a no-che; dal latino PAS-SUM a pa-so). Alla radice di

tutto questo ci sarebbe un problema di asimmetria. La sillaba, il cui nucleo è costituito

necessariamente da vocale, ha come margini l'attacco e la coda, che possono ospitare

fonemi consonantici o semiconsonantici, ma non in egual misura: alcune consonanti,

infatti, non risultano mai in posizione di coda sillabica (per esempio ch, ll, y); in numero

maggiore sono quelle che non si possono riscontrare in finale di parola (in castigliano

risultano in questa posizione soltanto -d, -l, -s, -r, -z e -n). Oltretutto, proprio in finale di

sillaba subiscono spesso una perdita di tratti distintivi, che porta a neutralizzare alcune

opposizioni: le occlusive perdono il tratto di sonorità, tanto che risulta identico 121 Ibidem, pag. 47. Di questo fenomeno si parlerà più dettagliatamente nel paragrafo 2.3.

43

pronunciare parole come apto, atleta o acto rispettivamente con -b, -d, -g; le nasali

cambiano punto d'articolazione a seconda del fonema che li segue, per cui davanti a p e

b troveremo sempre -m (empezar, ambos), così come davanti a ch troveremo una nasale

palatale come ñ (ancho); infine, r e rr, nettamente distinte in posizione prevocalica

(caro - carro), perdono quest'opposizione in finale di sillaba. Le uniche due consonanti

a rimanere stabili in questa posizione rimangono s ed l. A ciò si può aggiungere il fatto

che, spesso, nelle parlate più familiari e trascurate, si tende a pronunciare in modo molto

rilassato le sillabe finali, poiché quasi sempre tutte le peculiarità che distinguono una

parola da un'altra sono contenute nella parte iniziale; solo la -s e, in minor misura, -l ed

-r sono capaci di distinguere nettamente una serie piuttosto rilevante di parole (si pensi,

per es., a coppie come gato-gasto, peco-pesco, alma-arma, alto-harto). Pertanto, la

posizione di coda sillabica risulta essere l'anello debole della struttura, poiché,

neutralizzando i tratti distintivi consonantici, diventa poco funzionale o poco

produttiva122. Ed è proprio in termini di produttività che González Montero prova a

spiegare l'effettivo diffondersi del fenomeno dell'aspirazione, in quanto egli sostiene che

“el andaluz ha reducido el sistema consonántico por razones de rentabilidad. Se

cumplen las mismas funciones con menos elementos123”. Lo stesso fenomeno è

avvenuto nel passaggio dal francese medievale a quello moderno, dove tutte le -s finali

di sillaba si sono dileguate (permanendo solo nella grafia e venendo recuperate nella

pronuncia nei casi di liaison), nonostante costituissero marche morfologiche, lasciando

come modificazione un semplice allungamento o apertura della vocale precedente (si

pensi, ad es., all'opposizione tra l'articolo maschile singolare le [lə] e il plurale les

[le] )124.

L'andaluso, in conclusione, non fa altro che riproporre le tendenze, già presenti nel

castigliano e nel francese medievale, che sono tipiche delle lingue romanze più

innovatrici, e le attua nel segno di una maggiore semplificazione della lingua in termini

di produttività. Non bisogna mai dimenticare, infatti, le istanze storiche e sociali di

multiculturalità e plurilinguismo sulle quali si basa questa varietà parlata nella Spagna

122 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pags. 152-154.

123 José Antonio González Montero, Op. cit., pag. 39.124 Ibidem.

44

meridionale, che hanno spesso portato all'eliminazione delle ridondanze del sistema per

facilitare la reciproca comprensione.

2.3 Le vocali "proiettate"

Nel paragrafo precedente abbiamo accennato alle cosiddette vocali “proiettate”, uno

di quei pochi fenomeni che dividono nettamente in due l'Andalusia: la sua diffusione,

infatti, è predominante nella parte orientale, ovvero nelle tre province di Granada, Jaén e

Almería, ma penetra anche nelle zone centrali di Málaga e Cordova, fino a qualche

località sporadica dell'est sivigliano125. Si tratta principalmente di una modificazione

interna al sistema vocalico standard: in seguito all'aspirazione di -s in finale di parola e

di enunciato, ossia davanti ad una pausa, il picco d'intensità della consonante dileguata

viene trasferito alla vocale precedente, sotto forma di apertura o allungamento della

stessa. Per essere più precisi, occorre ripartire dal sistema vocalico del castigliano

attuale; come ben sappiamo, esso si compone di cinque elementi vocalici, in tre gradi di

apertura, secondo il seguente schema:

Anteriori Posteriorii u

e oa

È un sistema triangolare, in quanto prevede, alle sue estremità, un fonema centrale

basso [a], due fonemi alti, di cui uno anteriore [i] e uno posteriore [u], e due livelli medi

d'apertura [e], [o]. A partire dalle osservazioni di Navarro Tomás126, fino ad arrivare alle

indagini sociolinguistiche di fine secolo scorso, nell'andaluso orientale sono stati rilevati

125 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 142.126 Navarro Tomás Tomás, “Desdoblamiento de fonemas vocálicos”, Revista de Filología Hispánica,

vol.1, 1939, pags. 165-167.

45

altri 5 fonemi vocalici, distinti dai precedenti per una maggiore apertura, che si

realizzano proprio in situazione di -s finale aspirata o dileguata. Tutto ciò richiama, in

modo analogo, il fenomeno precedentemente analizzato di aspirazione di -s implosiva

davanti a consonante; tuttavia, mentre in quel caso l'intensità dell'aspirazione agiva sulla

consonante successiva, modificandola nel suo punto d'articolazione o nella sua durata,

in finale di parola agisce sulla vocale precedente, aprendola e/o allungandola. Il punto

della questione su cui molti filologi127 si sono confrontati riguarda la natura di questi

nuovi fonemi: ci si chiede se essi hanno davvero validità distintiva o se sono semplici

varianti combinatorie (allofoniche) dei fonemi vocalici standard.

Analizzando la differenza di pronuncia tra le sequenze la casa [la'kasa] e las casas

[lah'kasA]128, sembrerebbe che nel secondo caso l'apertura della vocale finale sostituisca

quella che morfologicamente era la marca del plurale del nome, ossia la -s finale. Da

questo punto di vista, la vocale proiettata [A] sarebbe un fonema vero e proprio, in

opposizione alla vocale standard [a] per la distinzione plurale/singolare. In tal modo,

dunque, si ammetterebbe che lo spagnolo andaluso, almeno nella sua varietà orientale,

sia costituito da dieci fonemi vocalici. Secondo Emilio Alarcos Llorach129, questa è

un'ipotesi piuttosto imprecisa ed affrettata. Se ci soffermiamo sull'esempio

precedentemente esposto, infatti, possiamo già notare una certa ridondanza in questo

sistema: nella pronuncia [lah'kasA], in cui abbiamo ipotizzato un'aspirazione di -s

implosiva per quanto riguarda l'articolo los, ma che potrebbe comunque essere

riformulato con un'ipotetica assimilazione [lak'kasA], abbiamo la compresenza di due

fenomeni, ossia aspirazione/assimilazione di -s implosiva e vocale proiettata finale.

Come posto in evidenza da Alarcos130, è improbabile che la distinzione singolare/plurale

sia affidata alla presenza di entrambi i fenomeni, poiché risulterebbe ridondante. È

molto più convincente, invece, ipotizzare una terza possibilità: quella di un elemento

funzionale “x” le cui ripercussioni fonetiche riguardino sia la geminazione della

consonante successiva che l'apertura/allungamento della vocale precedente davanti

127 Dámaso Alonso, Alonso Zamora Vicente, Maria Josefa Canellada, “Vocales andaluzas”, Nueva Revista de Filología Hispánica, 1950, pags. 209-230.

128 Dove con [A] si intende la variante “aperta” del fonema vocalico.129 Emilio Alarcos Llorach, “Fonología y fonética. A propósito de las vocales andaluzas”, Archivum:

Revista de la Facultad de Filología, tomo 8, 1958, pags. 193-205.130 Ibidem, pag. 198.

46

pausa. Questo elemento “x”, responsabile di tutti i mutamenti fonetici nelle suddette

posizioni, altro non sarebbe che la stessa aspirata [h], che con il suo punto

d'articolazione glottidale funge da apertura vocalica e, in quanto sorda, modifica la

sonorità della consonante seguente131. Spesso, oltretutto, si assiste a casi di metafonia,

ossia di armonizzazione timbrica di una o più vocali per via di un'altra vocale; in parole

che contengono vocali proiettate finali, le vocali centrali vengono pronunciate anch'esse

col medesimo grado d'apertura: ad. es. patata [patata] - patatas [pAtAtA]. Anche questo

processo è dovuto alla forza intensiva dell'aspirazione, che attrae a sé non solo le vocali

deboli, ma anche quelle toniche; naturalmente, si tratta sempre di varianti combinatorie,

che non hanno nessuna valenza distintiva e che si manifestano in modo non

sistematico132.

Possiamo chiarire, a questo punto, che il fenomeno delle vocali proiettate non

consiste nella realizzazione di altri cinque fonemi vocalici distinti, ma piuttosto è una

modificazione che investe l'intero sistema vocalico: produce, per così dire, uno

“sdoppiamento”, in cui le cinque vocali standard, o chiuse, e le cinque vocali aperte, o

proiettate, non si distinguono a livello fonologico, bensì a livello soprasegmentale (per

tratti come l'apertura vocalica o la durata). La a finale di ['kasa] (casa) e quella di

[kasA] (casas), variando solamente nel grado di apertura, risultano come due

realizzazioni distinte, a livello soprasegmentale, del medesimo fonema; volendo fare un

paragone, tra di esse sussiste lo stesso rapporto che c'è tra vocali atone e toniche133.

Questa chiave di lettura del fenomeno, proposta da Alarcos ed accettata da molti, tra

cui i nostri A. Narbona, R. Cano e R. Morillo, risolve alcune problematiche che l'ipotesi

precedente presentava, tra cui quella dell'improbabilità di un sistema a cinque o sei

diversi gradi d'apertura, “poco frecuentes y de una rareza excepcional134”, in netto

contrasto con la tendenza semplificatrice dell'andaluso. È, infatti, anche in base al

principio di economia linguistica che si sono mosse le prime smentite da parte di questi

autori, giacché “las lenguas, en efecto, son sistemas económicos en el sentido de que

131 Ibidem, pag. 203.132 Ibidem, pag. 199.133 Anche il latino ha conosciuto un sistema vocalico analogo, composto da 5 vocali brevi e 5 lunghe: Ī,

Ĭ, Ě, Ē, Ă, Ā, Ŏ, Ō, Ŭ, Ū.134 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 140.

47

tienden a conseguir el máximo rendimiento [...] con el minimo coste, es decir, el menor

esfuerzo articulatorio y de memoria135”. Ogni parlante di ogni lingua, dunque, almeno in

situazioni comunicative familiari, tende inconsciamente a ridurre le ridondanze. In

andaluso, queste semplificazioni idiolettiche si generalizzano, oltrepassando le norme

grammaticali standard e rendendo la comunicazione più snella, pur mantenendo la

stessa efficacia. Nel caso della -s finale, ad esempio, le marche morfologiche di plurale

dei nomi (casa-casas) e seconda persona nei verbi (hablas - habla) potrebbero essere

omesse, poiché la presenza di altri determinanti nel resto della frase impedisce

l'ambiguità: nel caso dei nomi, la concordanza con articoli, aggettivi qualificativi,

dimostrativi, possessivi rende superflua la -s finale (grazie alle opposizioni el/lo-,

este/esto-), così come nel caso dei verbi, in cui la presenza del pronome personale tú

fuga ogni possibile confusione136.

Per porre fine alla questione sarà sufficiente analizzare il fenomeno dal punto di vista

geografico: la comparsa delle vocali proiettate, come detto sopra, si accompagna spesso

ad altri fenomeni analoghi, quali metafonia, allungamento della vocale, aspirazione, che

si manifestano in alcune zone in modo sistematico, in altre solo sporadicamente, e non

sempre tutti insieme. I nostri autori hanno ritrovato circa undici modelli di realizzazione

differenti, a seconda di come questi fenomeni si combinino tra loro e in base alla loro

comparsa sistematica o sporadica. Non sembra esserci, pertanto, una regola che

permetta di attribuire a queste realizzazioni valenze morfologiche precise. Oltretutto, se

si considera la situazione dell'Andalusia occidentale, in seguito all'aspirazione di -s

finale è possibile riscontrare il mantenimento del grado standard di apertura della vocale

precedente, che crea una situazione di perfetta omofonia tra nomi singolari/plurali e tra

seconda/terza persona del verbo (casa-casas ['kasa], comes-come ['kome]). Escludendo

l'ipotesi, assurda, che in Andalusia occidentale non si senta l'urgenza di distinguere fra

un singolare e un plurale, o fra una seconda e una terza persona, pare invece ormai

135 Ibidem.136 Ibidem, pag. 141. Una situazione analoga, se non ancora più estrema, è quella del francese, che nella

sua evoluzione fonetica ha eliso tutte le desinenze nominali e verbali nella pronuncia (recuperandole solo nei casi di liaison), lasciando il ruolo di differenziazione morfologica alla pronominalizzazione obbligatoria: infatti, non si possono mai omettere né il determinante di un nome (Les amis, ces amis) né il soggetto di un verbo (Je parle, tu parles), neanche nel caso di verbi impersonali come quelli climatici (Il pleut).

48

abbastanza chiaro che “la proyección de las vocales es una marca superflua en la

mayoría de los casos, como lo es la -s final para el castellano”, e che “no hay que

considerarla nada más que como un resto mecánico, producto de la redistribución de la

energía articulatoria [...] subsiguiente a la pérdida de la aspiración de la -s castellana,

carente, por tanto, de valor funcional137”.

Un'ultima considerazione va fatta per la particolare proiezione vocalica del fonema

basso centrale [a]. Questo, trovandosi proprio al vertice inferiore del triangolo vocalico,

non può raggiungere un'apertura vocalica maggiore di quella che già possiede. La sua

proiezione, infatti, si verifica in due modi distinti: la sua posteriorizzazione, verso un

suono più simile alla [Ɔ], o la sua anteriorizzazione, verso un suono più simile alla [Ɛ].

Ebbene, in andaluso è stata registrata, come tendenza predominante, quella

dell'anteriorizzazione138; verosimilmente, in alcune zone sparse dell'Andalusia, questa

-a finale si confonde con una e molto aperta, dando luogo a pronunce come *berenjenE,

*patatE per parole quali berenjenas, patatas e via dicendo. In particolare, c'è una zona

situata al confine fra le tre province di Siviglia, Málaga e Córdoba, ribattezzata da

Dámaso Alonso come Andalusia della E139, dove l'anteriorizzazione di a, oltre ai casi in

cui è seguita da -s finale aspirata, viene praticata, in modo del tutto anomalo, anche nel

caso in cui la vocale sia seguita da -l ed -r finali, in parole come Aguilar, Cristóbal,

hospital, che suonano come *AguilÉ, *CristobE, *hospitÉ. Due sono le ipotesi che

spiegherebbero questo particolare fenomeno140: la prima prenderebbe in considerazione

l'analogia, secondo cui l'anteriorizzazione di a davanti a -s finale avrebbe attratto,

nell'uso, anche quelle precedenti alle altre due consonanti, rese più deboli dalla loro

posizione implosiva, in finale di parola. Così si spiegherebbe anche l'aspirazione, spesso

frequente, di -r implosiva anche in corpo di parola, come nel caso della pronuncia

['kahne] per carne. L'altra teoria, invece, non prevede alcun nesso con la vocale

proiettata: l'anteriorizzazione davanti a -l ed -r, infatti, sarebbe dovuta ad una particolare

pronuncia di l, quella cacuminale, nella quale confluiscono entrambi i fonemi in

137 Ibidem, pag. 145.138 Emilio Alarcos Llorach, Op.cit., pag. 194.139 Dámaso Alonso, En la Andalucia de la E. (Dialectología pintoresca), Madrid, Graf. Clavileño, 1956,

1a ed., pags. 1-34.140 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 146.

49

posizione finale di parola. Quest'articolazione prevede che l'apice della lingua si

indirizzi verso il palato duro, in modo tale da restringere la cavità orale. Il riflesso

anticipatorio di quest'articolazione condizionerebbe l'apertura della a precedente,

anteriorizzandola. Tuttavia, il fenomeno non gode di una grande rilevanza, essendo

circoscritto ad una zona piuttosto ristretta, nella quale non è nemmeno praticato in

modo generalizzato: esso è presente in maggioranza soltanto tra le donne di mezza età,

e, più sporadicamente, fra gli uomini anziani e i bambini, chiaro segno che si tratta di un

fenomeno in retrocessione141.

2.4 Alterazioni di consonanti implosive e intervocaliche

Una delle tendenze più riscontrate nello spagnolo d'Andalusia è quella che viene

soprannominata fonofagia andalusa142: come anticipa la definizione stessa, i parlanti

andalusi tendono letteralmente a “mangiare”, o più tecnicamente a dileguare, i suoni in

finale di sillaba o parola. L'esempio più noto è quello dell'aspirazione di -s implosiva, di

cui abbiamo già trattato sopra; analizzeremo, adesso, tutti gli altri fonemi che sono

investiti in processi di alterazione nella suddetta posizione sillabica, nonché in posizioni

intervocaliche in finale di parola.

2.4.1. Liquide: -l ed -r implosive

Lo scrittore Juan Valera, in uno dei suoi celebri aneddoti143, racconta di un maestro

141 Ibidem.142 Ibidem, pag. 75.143 Non è stato possibile, coi mezzi di cui si è disposto, risalire alla fonte originale.

50

andaluso che ai suoi alunni così spiegava: “Niños: sordao, barcón y mardita sea tu

arma se escriben to(d)as con ele”. Frutto dell'ironia, il detto ripropone uno dei tratti più

caratterizzanti dell'andaluso: l'alterazione di -l ed -r in finale di sillaba. I due fonemi, il

primo laterale alveolare [l] e il secondo vibrante alveolare [r], si distinguono per il tipo

di articolazione della lingua: nel primo caso è immobile, con l'apice totalmente aderente

agli alveoli, così che l'aria passi attraverso le cavità laterali; nel secondo caso, invece, è

a stretto contatto con gli alveoli, ma con l'apice in vibrazione, che, a seconda

dell'intensità del suono emesso, può dar vita ad una monovibrante o a una polivibrante.

La coincidenza del punto d'articolazione e la somiglianza di impostazione della lingua

hanno dato luogo, nel corso dei secoli, alla confusione tra questi due fonemi, in modo

anarchico o sistematico, totale o parziale, a partire dai loro contesti più deboli, ossia in

finale di sillaba o di parola, fino ad arrivare a quelli intervocalici.

Il contrasto fra -l ed -r non è così recente nella storia fonologica del castigliano: a

cominciare dall'evoluzione dal latino, termini come MARMOR o CARCER hanno subito

processi di dissimilazione proprio in -l finale, divenendo mármol e cárcel; sporadici

scambi avvengono anche nel castigliano medievale, fra i parlanti mozarabi, ma anche

negli scritti più colti. Tra i documenti sivigliani dei secoli XV, XVI e XVII, gli scambi si

fanno più frequenti, cosicché leggiamo *solver per sorber, *comel per comer, *gorgar

per holgar e via dicendo; tali grafie (e dunque pronunce) erronee oltrepassano ben

presto i confini peninsulari, approdando in America Latina, dove tuttora il fenomeno è

presente e ben assestato144. Se, tuttavia, fino al XVI secolo poteva essere considerato

come fenomeno generale del castigliano, a partire dal XIX sec. esso diventerà

caratterizzante della parlata andalusa, specialmente nelle sue realizzazioni più estreme:

quella del rotacismo (di cui si parlerà più avanti) e quella del dileguo, che già dal XV

sec. compare in grafie come “haze” e “muje” (per hacer e mujer). Vale la pena notare,

oltre ai casi appena illustrati, anche quello della particolare aspirazione di -r implosiva

davanti a l ed n: dalle trascrizioni di fine XIX sec. ritroviamo *pejla o *pehla al posto di

perla e, forse per analogia con l'aspirazione di -s implosiva, anche grafie quali *habeslo

(haberlo), *casne (carne) e *piesna (pierna). Mentre per questi ultimi due casi non

conosciamo antecedenti, per i casi di -r implosiva davanti a l possiamo citare il

144 Ibidem, pags. 76-77.

51

fenomeno di assimilazione che investì le forme di infinito pronominale nel castigliano

medievale fino al XVII sec.: “tenello”, “habello”, “mirallo” (per tenerlo, haberlo,

mirarlo), con pronuncia [ʎ], potrebbero essere le prime testimonianze dell'aspirazione di

-r implosiva, anche se parziali, poichè questa non è attestata in altri contesti

morfologici145.

Il rapporto critico tra -r ed -l non si esaurisce qui: i loro interscambi sono attestati

anche nella realizzazione di nessi consonantici, seguiti da p-, b-, g-, f-, c-: documenti

andalusi dal XIII al XVII sec. attestano grafie come *plado, *escravo, *plofeta,

*groria, *branco (per prado, esclavo, profeta, gloria, blanco), fino a qualche

apparizione postuma nel XVIII secolo. Anche qui, l'ipotesi di una possibile ascendenza

nordoccidentale del fenomeno, in base alle evoluzioni leonesi e galego-portoghesi dei

nessi PL-, FL-, BL-, GL- e CL- in pr-, fr-, br-, gr- e cr-, è parziale, in quanto spiega solo

il passaggio da -l a -r e non viceversa146.

Passiamo ora in rassegna i diversi esiti del contrasto fra questi due fonemi. Come già

anticipato, in situazione implosiva si assiste ai seguenti mutamenti:

1. Rotacismo: consiste nella pronuncia della consonante laterale [l] come una

vibrante [r]; spesso, l'indebolimento di intensità riduce la polivibrante ad una

monovibrante [ɿ] o a un'approssimante [ɹ]. Esempi ne sono: ['kaɿma] calma,

[delan'taɹ] delantal, o l'espressione, tipica dell'andaluso, [to:r'mundo] *to(d)o 'l

mundo. Questo fenomeno è diffuso maggiormente nell'Andalusia occidentale147 e,

per quanto riguarda l'America Latina, nelle zone costiere di Colombia, Venezuela,

Perù, Ecuador, Paraguay e Antille148.

145 Ibidem, pag. 78. Non sono state riscontrate, infatti, analoghe alterazioni oltre a quelle degli infititi pronominali: in parole come burla, per. es., il nesso -rl- era pronunciato e scritto come tale.

146 Ibidem, pag. 77.147 Julio Fernández-Sevilla, “Los fonemas implosivos en español”, Thesaurus, vol. XXXV, 1980, pag.

477.148 Miguel Ángel Quesada Pacheco, “La fonética del español americano en pugna: dialectos radicales y

conservadores en lucha por la supremacía”, Actas del II Congreso Internacional de la Lengua Española – El español en la sociedad de la información, Valladolid, 2001, par. 3.4.

52

2. Lambdacismo: consiste nella tendenza a pronunciare come [l] il fonema vibrante

[r]. Benché sia in opposizione al rotacismo, è tuttavia presente nelle medesime

zone dell'America Latina149 e, inoltre, trova una certa diffusione nell'Andalusia

orientale, soprattutto per quei casi in cui la consonante si trova in finale di

parola150(es.: [ko'mel] comer, ['palte] parte).

3. Aspirazione o dileguo: si tratta, come nell'analogo caso di -s implosiva, di due fasi

dello stesso processo, in cui sia -r che -l implosiva possono essere pronunciate

come un'aspirata [h] (ad es.: ['pjehna] pierna) o scomparire del tutto [Ø]. Il dileguo

può accompagnarsi a un aumento d'intensità della consonante successiva o della

vocale precedente (es.: [ko'me] comer, ['a:to] alto, ['kat:a] carta151). In Andalusia

occidentale c'è una netta prevalenza per il dileguo quando la consonante si trova in

finale di parola; l'aspirazione, invece, è presente soltanto in alcune zone isolate

della penisola e, in modo poco frequente, nelle zone costiere dell'America Latina.

Un rilevante spunto di riflessione ci è fornito dall'analisi di questi due fonemi in

posizione finale di parola. In Andalusia occidentale, infatti, tendono al dileguo, mentre

nella parte orientale, se non confluiscono in una -l, mantengono un certo livello di

aspirazione o di r fricativa: questa netta distinzione sembra analoga a quella che si viene

a formare, nei casi di -s implosiva, tra aree di dileguo e aree con vocali proiettate152.

Sarebbe opportuno, a questo punto, chiedersi il perché di questa confusione

fonematica. La neutralizzazione dell'opposizione tra i due fonemi, infatti, genera alcune

omofonie equivoche, come ad es. alma/arma, suelte/suerte ecc., mettendo dunque a

rischio l'efficacia comunicativa. Tuttavia, come abbiamo già potuto notare nel paragrafo

relativo alle aspirazioni di -s implosiva, la tendenza articolatoria “rilassata”, tra i

parlanti andalusi, sembra vincere qualsiasi resistenza di tipo semantico. Che sia vera o

149 Ibidem.150 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 166.151 Miguel Ángel Quesada Pacheco, Op. cit.152 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 166. Le

due aree prese in esame non sono perfettamente equivalenti a quelle citate: nel caso di -l o -r implosiva, la linea di demarcazione risulta leggermente più spostata verso oriente.

53

meno l'ipotesi che attribuisce a questo rilassamento articolatorio motivazioni climatiche,

l'indebolimento di tratti fonematici distintivi, causato da riduzione d'intensità fonatoria,

risulta essere un dato di fatto. Se volessimo, infatti, spiegare le modalità con cui i due

fonemi [l] ed [r] siano venuti a confluire in realizzazioni fonetiche intermedie,

potremmo solo farlo ipotizzando in entrambi i casi un rilassamento articolatorio: la [r],

perdendo la vibrazione dell'apice della lingua, ha dato luogo alla sua variante fricativa;

allo stesso tempo, la [l], indebolendo lo sforzo muscolare che costringe la lingua ad

aderire al palato, ha perso la sua lateralizzazione, trasformandosi anch'essa in una

fricativa alveolare153. In questo suono intermedio, privo di tutti i tratti distintivi dei

fonemi di partenza, si è realizzata la neutralizzazione. L'arcifonema venutosi a formare,

simboleggiato da [lɹ], può avere ora un'articolazione laterale [l], ora polivibrante [r], ora

intermedia [ɹ] – [ɿ]154.

Detta neutralizzazione avviene anche nelle Isole Canarie e, come già specificato, in

buona parte dell'America Latina; ci sarebbe da chiedersi se il fenomeno vi è stato

importato dai parlanti andalusi o se si è generato indipendentemente. Della prima ipotesi

sono fautori studiosi come A. Alonso155 e D.L. Canfield156, che vedono in questa

diffusione responsabilità andaluse; a sostegno della seconda ipotesi, invece, sembrano

esserci maggiori indizi: il fenomeno non è sistematico né stabile, in quanto si presenta

solo in alcuni contesti e con realizzazioni diverse e, oltretutto, non delinea aree

compatte di diffusione, ma soltanto zone isolate e discontinue, sia al di qua che al di là

dell'Atlantico157.

Ultimo fenomeno da segnalare, per quanto riguarda l'opposizione fra r ed l, è quello

della loro neutralizzazione anche in contesto intervocalico: studi linguistici hanno

evidenziato pronunce equivoche di coppie di parole come palo/paro, vara/vala ecc.158,

nonchè esempi di totale dileguo di -r- in finale di parola, come nel diffusissimo caso

153 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 162.154 Julio Fernández-Sevilla, Op. cit., pag. 478.155 Amado Alonso, “'R' y 'L' en España y América”, Estudios Lingüísticos. Temas hispanoamericanos,

2aed., Madrid, 1961, pag. 263.156 Delos Lincoln Canfield, La pronunciación del español en América, Bogotà, 1962, pags. 72-73.157 Julio Fernández-Sevilla, Op. cit., pag. 480.158 Antonio Llorente Maldonado, “Fonética y fonología andaluzas”, Revista de Filología Española,

1962, n° 45, pag. 240.

54

dell'avverbio para, realizzato in registri colloquiali come pa' 159 (forma che esiste anche

a livello scritto, in registri del tutto informali o trascurati).

2.4.2. Dileguo di -d implosiva e -d- intervocalica

Dei sei fonemi consonantici (-d, -l, -z, -s, -r, -n) presenti in coda sillabica nel

castigliano, -d è quello che certamente mostra segni più evidenti di debolezza: è l'unico

suono il cui dileguo, stando alle testimonianze di cui disponiamo, non ha lasciato né

tracce di aspirazione, né di proiezione vocalica; inoltre, esso si verifica in modo

largamente diffuso non soltanto in contesti implosivi, bensì anche intervocalici.

La sua elisione risale anch'essa alle radici dell'evoluzione castigliana dal latino: i

corrispettivi di parole come feo, limpio o ver presentavano proprio una -d- intervocalica

(FOEDUS, LIMPIDUS, VIDERE)160. In epoca tardomedievale era già decaduta in finale di parola,

a giudicare dalle grafie *navidá o *maldá di alcuni testi poetici del XVI sec., nonché

dalla forma dell'imperativo di seconda persona plurale: *mirá, *tené, tipiche del XVII

sec., sulle quali si svilupperanno, poi, le forme dell'imperativo pronominale (miraos,

teneos). Quando, agli inizi del XVIII secolo, la pronuncia *-ao per il suffisso -ado del

participio passato divenne una moda alla corte madrilena, il processo di dileguo era già

arrivato al culmine, poiché iniziato in Andalusia almeno due secoli prima. Come già

sottolineato per altri fenomeni161, una caratteristica tipica delle parlate rurali e degli

strati più bassi della società urbana di tutta la Spagna troverebbe in Andalusia il suo

centro principale d'evoluzione e d'irradiazione. Da qui deriva, dunque, l'attribuzione

“andalusa” del fenomeno da parte di folcloristi e costumbristi162 del XIX secolo163.

159 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 181.160 Ibidem, pag. 75. Anche in francese assistiamo a evoluzioni fonologiche simili: si pensi, per esempio,

a parole come SPATA, che dopo numerosi processi (aggiunzione di e- prostetica, anteriorizzazione delle vocali, lenizione di -t-), è arrivata alla forma odierna épée, in cui del suono occlusivo di -t- (divenuto successivamente -d- per lenizione) non rimane alcuna traccia.

161 Come ad es. il seseo o l'aspirazione di -s implosiva. 162 Studiosi della costumbre, ossia degli usi e costumi tradizionali di un popolo o di una regione. Le

caratterizzazioni di cui sono ricche le prose della seconda metà del XIX sec. derivano proprio dalla tendenza costumbrista, dagli studi sociologici (e linguistici) basati sulle tradizioni popolari.

163 Ibidem, pag. 76.

55

Effettivamente, i dati sociolinguistici ottenuti da studi sul fenomeno non lasciano

spazio a nessun dubbio. Per quanto riguarda la -d in finale di parola, A. Narbona, R.

Cano, R. Morillo-Velarde sostengono:

[...] desaparece sin dejar ningún tipo de rastro [...] en Andalucía, donde, al menos

en el habla espontánea e incluso en registros algo cuidados, ni siquiera los

hablantes más cultos la mantienen. Sólo como resultado de un esfuerzo plenamente

consciente por acercarse al modelo idiomático normativo se llega a restituir la

consonante perdida164.

Dunque, nella pronuncia andalusa standard, parole come pared, voluntad, verdad

vengono sistematicamente pronunciate come *paré, *voluntá, *verdá. Secondo i

suddetti autori, quelli che in tutti gli altri territori della Spagna sono

rasgos lingüísticos [...] propios de los hablantes de menor cultura […], en

Andalucía ofrecen un comportamento diferenciado del resto del español vulgar, lo

que se traduce bien en una superior altura social, bien en un proceso de

“intensificación” que los lleva a alcanzar contextos a los que no llegan en otros

ámbitos hispánicos165.

Non si tratta di un vero e proprio “andalusismo” della lingua castigliana, bensì di una

caratteristica tipica della parlata rurale o popolare, che in Andalusia ha raggiunto alti

livelli d'uso e diffusione. Per esempio, il dileguo di -d- intervocalica ha avuto

un'espansione globale per quanto riguarda il suffisso *-ao del participio passato, ma, se

consideriamo tutti gli altri contesti morfologici, è rimasto confinato ai limiti della

regione e si verifica in misura molto minore.

Sembrerebbe, infatti, che tra parlanti andalusi si tenda a realizzare distinzioni

morfologiche ben precise per quanto riguarda il comportamento di -d- intervocalica. Il

suo dileguo in terminazioni come -ado, -ada del participio passato si verifica in grosse

percentuali, come, ad es., nel 90% dei casi per la parlata urbana di Cordova e quasi nel

164 Ibidem, pag. 163.165 Ibidem, pag. 176.

56

100% per le parlate rurali. Tuttavia, quando si tratta di nomi che contengono la stessa

terminazione (cuidado, enfado, lado, nublado), le tendenze quasi si invertono, venendo

di fatto a essere in minoranza i casi di dileguo. Stessa situazione, con percentuali

piuttosto inferiori, si verifica per i suffissi in -ada e ancora meno per quelli in -ido e

-ida166. Da ciò è deducibile che nella coscienza del parlante la natura morfologica è

decisiva: la caduta di -d- intervocalica si verifica maggiormente nei suffissi e tra di essi,

in particolar modo, in quelli che hanno la a come vocale tematica: così si ritrova in

-ado, -ada, ma anche in -ador, -adero, -adura (bailaor, *trocaero, *asaúra). Anche in

altri due casi la perdita della consonante si fa estensiva: negli avverbi todo e nada,

molto frequenti nelle forme *tó e *ná, o nei loro diminutivi *toíto e *naíta. Tra i suffissi

con altre vocali tematiche e fra i sostantivi, invece, il fenomeno si verifica in minore

misura.

2.4.3. Nasali: -n ed -m implosive

Gli ultimi fonemi che rimangono da trattare sono quelli nasali in posizione implosiva

e in finale di parola. In castigliano esistono tre fonemi consonantici nasali:

1. [n] - alveolare

2. [m] - bilabiale

3. [ɲ] - palatale

Le nasali sono consonanti molto particolari, poiché mantenengono i propri tratti

distintivi soltanto in posizione prevocalica: la loro distinzione è produttiva, cioè, in

coppie di parole come amo/año, mono/nono, saña/sana, ecc... In finale di sillaba,

invece, la loro articolazione non è libera, ma condizionata dalla consonante seguente:

davanti a consonanti dento-alveolari troveremo la nasale alveolare (entero [en'tero],

cansar [kan'sar]); davanti a consonanti bilabiali compare soltanto la nasale bilabiale

166 Ibidem, pags. 177-180

57

(embutido [embu'tiδo], con Beatriz [kombea'triθ]); davanti a consonanti labiodentali e

velari, invece, si formano le rispettive varianti articolatorie [ɱ] e [ŋ]; in finale di parola,

invece, secondo la norma standard, “las posibilidades de aparición quedan limitadas al

fonema /n/167” (alveolare). In altre parole, quando le nasali si trovano in posizione

implosiva, viene meno la loro distinzione fonematica, poiché vengono a confluire in un

unico arcifonema che varia la sua articolazione a seconda del contesto. Questa

neutralizzazione di base, propria del castigliano standard, come di moltissime altre

lingue, non è che il punto di partenza dell'evoluzione della varietà andalusa.

Volgendo uno sguardo ai fonemi implosivi precedentemente analizzati, abbiamo

notato come la tendenza al rilassamento articolatorio di alcuni di questi ha, di volta in

volta, causato alcune modifiche nel sistema fonologico; nel caso delle nasali, come

appena illustrato, in corpo di parola le varianti sono condizionate e rimangono tali anche

in andaluso. È in finale di parola, invece, che viene realizzata un'articolazione rilassata;

questa può prodursi in diverse fasi:

• in un primo momento, l'apice della lingua può perdere il contatto con gli alveoli,

facendo arretrare il dorso fino al velo palatino e dando luogo ad una nasale velare

[ŋ]. Così hablan > ['aβlaŋ];

• lo stadio più avanzato di rilassamento, invece, prevede l'assoribimento della

consonante nella vocale precedente: la lingua rimane pressoché immobile,

lasciando l'apertura delle coane168 come unico tratto di nasalizzazione, rendendo,

quindi, nasale la vocale precedente: ad es. [ã]. Così pan > ['pã];

• al culmine del processo è contemplato il caso di dileguo totale della consonante.

Quest'evenutalità è tuttavia molto rara e può verificarsi solo in sillaba atona169.

Così virgen > ['virχe].

La distinzione tra sillaba tonica ed atona è rilevante per l'analisi delle principali

167 Julio Fernández-Sevilla, Op. cit., pag. 488.168 Termine tecnico usato per indicare le fosse nasali, ossia le cavità superiori a quella orale. Aperte

mediante l'abbassamento del velo palatino, permettono di far risuonare al loro interno la vibrazione prodotta dalle corde vocali. Le consonanti nasali, infatti, sono sonore per definizione.

169 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 167.

58

tendenze. Se la -n si trova in sillaba tonica, in quasi tutto il territorio andaluso si assiste

alla velarizzazione della consonante, seguita in minore misura dalla nasalizzazione della

vocale precedente e, infine, dall'occasionale recupero di n alveolare in sporadiche zone

della parte orientale. Se si trova in sillaba atona, invece, le tendenze maggioritarie

diventano due: nella parte orientale, fatta eccezione per buona parte della provincia di

Jaén, si mantiene la velarizzazione della -n; nel resto della regione, è preponderante la

nasalizzazione della vocale precedente. Non si tratta, tuttavia, di distinzioni nette, bensì

di semplici generalizzazioni schematiche170.

Analogamente a quanto succede con la caduta di -s finale nel plurale dei nomi e nella

terza persona singolare dei verbi, con la caduta di -n finale viene meno l'opposizione

morfologica tra la terza persona singolare e quella plurale (habla/hablan, come/comen).

Anche in questo caso, allora, sarà opportuno chiedersi come venga recuperata la

distinzione fra le due forme verbali. La forte nasalizzazione delle vocali che precedono

la -n dileguata potrebbe indurci a formulare l'ipotesi di una fonologizzazione, ossia della

creazione di nuovi fonemi: questi sarebbero le vocali nasali, distinte da quelle standard

per il tratto di nasalità, che si opporrebbero a queste ultime proprio nelle terminazioni

verbali di terza persona plurale. L'ipotesi, tuttavia, è ben presto smentita, per le stesse

motivazioni che abbiamo illustrato nel caso delle vocali proiettate: l'improbabilità di

una complicazione del sistema vocalico, all'interno di una varietà che tende, invece, alla

semplificazione; l'instabilità del nuovo sistema ipotizzato, data la non-sistematicità di

questi nuovi fonemi vocalici; infine, la parzialità di questa teoria, poiché non applicabile

in quelle zone, precedentemente contemplate, in cui il dileguo di -n finale non lascia

alcuna traccia di sé. In poche parole, “no debe pensarse que tal resonancia [nasale] sea

un fonema, sino una variante discrecional de la -n en posición final absoluta171”.

Volendo tirare le fila del discorso sulle alterazioni consonantiche in finale di sillaba e

in posizione intervocalica, possiamo ormai dare per certo il fenomeno, piuttosto

ricorrente, della supposta “fonofagia andalusa”172. Al di là dell'ipotesi, comunque

suggestiva, di una possibile influenza climatica sui parlanti (il torpore, dovuto alle afose

170 Ibidem.171 Manuel Alvar, Sevilla macrocosmos lingüístico, Caracas, Instituto Pedagógico, 1974, pag. 30.172 Di cui si rimanda all'inizio del paragrafo.

59

temperature, li spingerebbe ad una pronuncia sempre più rilassata e meno articolata173),

abbiamo registrato, nella varietà parlata in Andalusia, il confluire di svariate tendenze:

alcune di queste, radicate all'interno del castigliano stesso, fin dalle sue origini174; altre,

venutesi a formare con l'uso pratico della lingua, che hanno messo a nudo le sue

ridondanze175. Oltretutto, abbiamo potuto anche notare alcune discrepanze fra la parlata

occidentale e quella orientale: la prima, coerentemente con la storia e l'evoluzione

dell'andaluso, sembrerebbe aver portato tali mutamenti fonetici a livelli più avanzati

(basti pensare al dileguo totale di -s, -d e, in alcune zone, anche di -r ed -n) rispetto alla

seconda (in cui ancora permangono tracce di aspirazione o proiezione vocalica). Tutte

queste semplificazioni, come abbiamo dimostrato, non hanno intaccato in modo

rilevante l'efficacia comunicativa: risolvendo alcune opposizioni ed articolazioni non

necessarie, l'andaluso continua a muoversi verso il maggior rendimento della lingua,

raccogliendo le instabilità del sistema normativo e portando avanti le sue molteplici

possibilità di rinnovamento.

173 Si tratta della teoria climatologica, un'ipotesi scientificamente mai verificata, basata sull'idea che le condizioni climatiche influiscano, oltre che sul carattere delle popolazioni, sui loro usi e costumi, sulle loro forme di governo, persino sulle abitudini linguistiche. Sulla questione si sono soffermati, in ambito ispanista, Don Pedro Henríquez Ureña e Max Leopold Wagner, nel corso di una polemica negli anni '20 del Novecento, relativamente ad altri studi, orientati alla dimostrazione o alla confutazione del presunto “andalusismo” dello spagnolo d'America. Nel 1925, Don Pedro parla di cinque zone linguistiche differenti in America Latina, ove per ognuna di queste esistono due tipi di pronuncia, “la de las tierras altas y la de las tierras bajas”, e solo in queste ultime si può parlare di andalusismo. Da qui formula, dunque, la seguente ipotesi: “¿Influyen en ello causas climatéricas? Nada podrá afirmarse mientras no se defina mejor la influencia climática sobre los fenómenos fonéticos” (“El supuesto andalucismo de América”, Cuadernos del Instituto de filología de la Universidad de Buenos Aires, tomo I, n° 2, Buenos Aires, 1925, pags. 114-122). In poche parole, lo studioso trova le abitudini linguistiche andaluse molto simili a quelle delle zone costiere dell'America Latina e suppone che tale corrispondenza sia dovuta al tipo di clima, notevolmente simile. Due anni dopo, Wagner smentisce le teorie di Ureña, aprendo così la questione; egli, infatti, non trova in questa analogia di pronunce una possibile motivazione climatologica in senso stretto, piuttosto la spiega in termini di ripopolamento: gli andalusi sarebbero andati ad abitare le zone che più si confacevano al clima della loro terra d'origine, quindi “las tierras bajas” (“El supuesto andalucismo de América y la teoria climatológica”, Revista de Filología Española, XIV, 1927, pags 20-30). Tre anni dopo, Don Pedro chiarisce che quella della teoria climatologica, che Wagner gli aveva attribuito, era solo un'ipotesi marginale, un semplice punto di vista. Non aveva mai espresso un giudizio positivo, bensì aveva preso in considerazione anche questa possibile spiegazione (“Observaciones sobre el Español de América”, Revista de Filología Española, XVII, 1930, pags. 277-284). La suddetta teoria, dunque, non ha mai goduto di particolare affidabilità tra gli studiosi, poiché sempre considerata fallace. A tal proposito, molti anni dopo, Julio Fernández Sevilla afferma: “está ya suficientemente demonstrado que fenómenos como el debilitamiento y pérdida de implosivas son ajenos al calor y al frío” (“La polémica andalucista: estado de la cuestión”, Actas del I Congreso Internacional sobre el Español de América, 1987).

174 Come, ad esempio, la tendenza ancestrale del castigliano verso la sillaba aperta.175 Come, ad esempio, il dileguo di -s ed -n implosiva nelle terminazioni verbali e di -s nei nomi plurali.

60

2.5 Il yeísmo

Col termine yeísmo si intende, nello studio linguistico dei fenomeni fonologici

moderni dello spagnolo, “la articulación como y de toda ll176”, ossia la pronuncia

delateralizzata della palatale [ʎ]. È un fenomeno molto complesso, poiché, come nel

caso del seseo-ceceo, non si tratta solamente della sostituzione di un fonema con un

altro, bensì di una pluralità di articolazioni intermedie, in cui confluiscono due o più

fonemi vicini. Per comprendere meglio le modalità e le cause di questo fenomeno,

occorrerà, come sempre, ripartire dal sistema fonologico standard del castigliano e

dall'evoluzione delle sue unità fonematiche.

In spagnolo, le consonanti palatali sono cinque: oltre alla nasale [ɲ], all'affricata [tʃ]

e alla semivocale [j], abbiamo la laterale [ʎ] e la fricativa [ʝ]. Sono proprio questi ultimi

due fonemi, dalla pronuncia molto simile, ad entrare in conflitto: si articolano

avvicinando il dorso della lingua al palato duro, in modo da tenerli a stretto contatto, ma

senza otturazione del flusso espiratorio. L'unica differenza tra le due realizzazioni sta

nella forma assunta dalla lingua: nel caso del suono [ʎ] è tesa al centro e rilassata ai

bordi, in modo da far uscire l'aria lateralmente; nel caso di [ʝ], invece, è tesa ai bordi,

lasciando passare l'aria attraverso il centro, ove viene prodotta la frizione177. Al primo

suono corrisponde la grafia ll, infatti lo troviamo, ad.es., nella parola caballo [ka'βaʎo];

al secondo, invece, corrisponde la grafia y e lo troviamo in rayo ['raʝo].

La confusione tra questi suoni non è recente, tanto che è stato possibile definire due

fasi del fenomeno, una con il nome di yeísmo antico e l'altra con il nome di yeísmo

moderno178. L'etimologia dei due suoni, nonostante la loro somiglianza, è nettamente

distinta: la ll [ʎ] deriva dalla palatalizzazione del gruppo [-lj-] latino, nonché dalla LL,

176 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 150.177 Ibidem.178 Maria Luisa Calero Vaquera, Miguel Calvillo Jurado, “Consideraciones sobre el yeísmo en la

enseñanza del español”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, n° 14-15, 1992, pag. 39.

61

geminata intervocalica, e dallo scioglimento dei nessi PL-, FL- e CL-179, mentre la y [ʝ]

deriva dai gruppi [bj], [gj] e [dj] e dalla i consonantica [j]180. La prima fase di yeísmo ha

investito tutti quei termini in cui la ll proveniva da [lj] latino: quello che Manuel Ariza

definisce come “yeísmo leonés181”, analizzato sulla base di documenti provenienti da

quella regione, mette in luce alcune anomalie grafiche medievali, che lasciano

ipotizzare per quell'epoca (XIII-XIV sec.) una già avvenuta delateralizzazione del

fonema nella parlata asturo-leonese. È difficile stabilire con esattezza quale fosse l'esatta

pronuncia di quel suono, tuttavia sappiamo con certezza che confluì, di lì a poco, nella

fricativa sonora j [Ʒ] del castigliano, la quale, nei secoli successivi, subì una lunga serie

di mutamenti, che la portarono a divenire l'attuale fricativa velare [χ] (per cui si arriva,

alla fine del processo, da MULIER a mujer, da FILIUS a hijo, da CONSILIUM a consejo ecc...).

La seconda fase di yeísmo, detta appunto moderna, viene registrata dal XVI sec. in

poi in diversi testi andalusi, ma anche in lettere scritte da spagnoli in America, tra cui

anche castigliani, per mezzo di grafie erronee. A partire dal XVIII secolo il fenomeno si

attesterà nella coscienza collettiva dei letterati spagnoli come peculiarità tipicamente

andalusa e verrà spesso utilizzato per le caratterizzazioni teatrali182 (ad esempio, lo

troviamo fra i sainetes di Ramón de la Cruz183 o tra le favole di Tomás de Iriarte184).

Un'altra testimonianza ci giunge dall'illustre Benito Pérez Galdós, che nella sua opera

Fortunata y Jacinta, pubblicata nel 1886, segnala la presenza di tendenze yeíste fra i

parlanti madrileni di classe bassa; così descrive uno dei suoi personaggi: “Daba a la elle

el tono arrastrado que la gente baja da a la y consonante185” e più avanti parla

dell'influenza linguistica del "deje andaluz" tra i parlanti dei bassifondi della capitale,

presenza dovuta alla forte immigrazione verso le grandi città che era già in atto a

179 Si considerano i seguenti esempi: FILIUS > fillo (ant.sp.), PLENUS > lleno, FLAMMA > llama, CLAVEM > llave.

180 Si considerano i seguenti esempi: RADIUS > rayo, MAIOR > mayor.181 Manuel Ariza, Sobre fonética histórica del español, Madrid, Arco Libros, 1994, pag. 143.182 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 74.183 Ramón de la Cruz, “Las provincias Españolas unidas por el placer (1789)”, Sainetes, Madrid,

Cátedra, 1990, pags. 433-464.184 Tomás de Iriarte, “Romance en que se describe un baile casero”, in “Poetas Líricos del siglo XVIII”,

tomo II, a cura di Leopoldo Augusto de Cueto, Biblioteca de Autores Españoles, vol. LXIII, pag. 61. 185 Benito Pérez Galdós, Fortunata y Jacinta (dos historias de casadas), Imprenta de la Guirnalda,

Madrid, 1886, pag. 36, citato in Isabel Molina, “Innovación y difusión del cambio lingüístico en Madrid”, Revista de Filología Española, tomo LXXXVI, vol. 1, 2006, pags. 133.

62

quell'epoca. A partire dalla fine del XIX sec., dunque, il fenomeno acquista sempre più

popolarità e prestigio, fino a raggiungere, già negli anni '60 del secolo scorso, tutti i

livelli della società madrilena186.

Dalle analisi svolte da Navarro Tomás187 sulle elaborazioni dell'ALPI (Atlas

Lingüistico de la Península Ibérica188), la situazione geolinguistica del fenomeno

vedeva ancora una netta maggioranza delle zone in cui veniva praticata la distinzione tra

i due fonemi; ad esse si alternavano zone di yeísmo parziale (la Mancha, Estremadura, la

zona di Murcia e l'Andalusia nord-occidentale) e zone di yeísmo totale (l' Andalusia sud-

orientale). Tuttavia, riproporre tale ricostruzione ai giorni nostri pare quanto mai

obsoleto, vista la parzialità degli studi: relegati principalmente alla parlata rurale, non

tengono conto dell'estensione demografica dei parlanti e, oltretutto, rispecchiano la

situazione della metà del secolo scorso, molto differente da quella odierna189.

Infatti, da quando il fenomeno si è assestato, nel corso del XX sec., nella parlata

madrilena in tutti i suoi registri, è partito proprio dalla capitale un secondo fuoco di

irradiazione che ha investito gran parte delle regioni settentrionali della penisola,

accrescendo così il prestigio sociale delle pronunce yeíste, tanto che oggi è possibile

riscontrarle fra parlanti colti o incolti, istruiti o analfabeti, giovani o meno giovani.

Questa tendenza è in costante aumento, specialmente nelle parlate urbane e nel

linguaggio dei giovani, tra i quali si sta diffondendo con enorme rapidità190.

Alla luce di queste considerazioni, oggi il yeismo è lungi dal poter essere definito un

fatto linguistico tipicamente andaluso, in quanto, come ormai noto, non è né assoluto né

esclusivo della regione; la sua estensione geografica e demografica, infatti, ha

raggiunto, già a partire dal XVII sec., gran parte dei territori d'oltreoceano, dove la

distinzione viene ormai mantenuta solo in alcune aree della Colombia, in Paraguay, in

186 Isabel Molina, Op. cit., pags. 133-134.187 Tomás Navarro Tomás, “Nuevos datos sobre el yeísmo”, Thesaurus, tomo XIX, n°1, 1964, pags. 1-

17.188 Tomás Navarro Tomás, Atlas Lingüístico de la Península Ibérica, I: Fonética, Madrid, CSIC, 1962.

Il progetto nasce nel 1914 per opera di Menéndez Pidal, ma verrà affidato a Navarro Tomás, suo allievo. I sondaggi furono svolti in 527 centri della penisola, generalmente piccoli paesi; furono escluse le zone di lingua basca. I lavori di ricerca vengono svolti negli anni 1931-35 e 1947-54 e la prima pubblicazione avviene nel 1962, col primo volume; gli altri nove previsti, però, non furono più pubblicati.

189 Maria Luisa Calero Vaquera, Miguel Calvillo Jurado, Op. cit., pag. 40.190 Bienvenido Palomo Olmos, “Palabras homófonas y homógrafas en español como consecuencia del

yeísmo”, Cauce: Revista de filología y su didáctica, n° 13, 1990, pag. 10.

63

Bolivia e in zone sparse del Perú, dell'Ecuador e del Cile191. All'interno della stessa

Andalusia, invece, la pronuncia distinta dei due suoni (quasi mai praticata nel rispetto

delle corrispondenze etimologiche) prevale solo nella parte occidentale (ad eccezione

della provincia di Cadice) e in modo piuttosto discontinuo, fra i parlanti di maggiore età

e di sesso femminile192. In poche parole, dal punto di vista sociolinguistico, il fenomeno

potrebbe quasi definirsi una norma fonetica più che un dialettalismo.

Un'altra variabile da tenere in conto, nell'analisi del fenomeno, è la mutevole

articolazione della y, che già da prima dell'affermazione del yeísmo aveva mostrato

segni di instabilità: alla realizzazione fricativa palatale si erano aggiunte una pronuncia

affricata [ɟʝ] e una rilassata, molto simile all'approssimante [j]. Queste varianti

allofoniche sono naturalmente entrate in gioco nella confusione yeísta, risultando

anch'esse come realizzazioni alternative di ll, in particolar modo nell'Andalusia

orientale193. In America Latina, invece, la pronuncia rilassata di y si è spinta oltre,

arrivando ad articolazioni più anteriori: [ʒ] e, in alcune zone, [ʃ]194, riproponendo così

la stessa evoluzione raggiunta nella fase più antica del fenomeno195. Oltretutto,

specialmente nelle zone di yeísmo parziale o totale, in registri più controllati, è da

segnalare la tendenza al recupero della ll non etimologica, che genera grafie e pronunce

erronee (*no te vallas): fa parte del cosiddetto lleísmo, fenomeno con cui viene definita

la sostituzione di y con ll, che deriva quasi sempre da pratiche di ipercorrettismo196.

Giunti a questo punto, potrebbe sembrare ormai superfluo chiedersi il motivo di

questa pronuncia rilassata della ll, almeno per quanto riguarda la parlata andalusa, viste

le numerose tendenze analoghe registrate finora in altri contesti consonantici; tuttavia, il

yeísmo differisce da queste per la sua più ampia diffusione. Sarebbe allora più

opportuno chiedersi il perché di questo “trionfo”: come il seseo o l'aspirazione di -s

191 Ibidem.192 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 151.193 Tomás Navarro Tomás, Op. cit., 1964, pags. 3-4.194 Bienvenido Palomo Olmos, Op. cit., pag. 9.195 Si tratta della già citata fase di yeísmo antico, che riguarda l'evoluzione dal nesso latino [-lj-] al

castigliano x, j (con pronuncia [ʃ] – [ʒ]), di cui si è già discusso. A tal proposito, è importante considerare la ciclicità involontaria di tali mutazioni fonetiche, che si ripropongono a distanza di secoli e in luoghi distanti fra loro. Un altro esempio è stato dato, nel paragrafo 2.3, nell'analogia fra i processi fonologici del francese medievale e quelli dell'andaluso moderno.

196 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 150.

64

implosiva, infatti, è un fenomeno che parte dal basso, dalle parlate volgari, solo che

questi ultimi non hanno mai raggiunto un così elevato grado di accettazione sociale,

(tanto che tutt'oggi vengono ancora segnalati come dialettalismi, come pronunce del

tutto scorrette), mentre il yeísmo sembra essere sempre più vicino alla

normativizzazione.

Potremmo spiegare questa discrepanza sulla base delle conseguenze morfosintattiche

che tale tendenza procura: sicuramente, queste sono molto meno rilevanti di quelle

causate dagli altri due fenomeni precedentemente citati. La neutralizzazione della

distinzione tra [ʎ] ed [ʝ], infatti, non ha generato molte omofonie all'interno del lessico

di base: per citare qualche esempio, calló e cayó, pollo e poyo, valla e vaya (cong.

verbo ir), rallar e rayar, ecc..; tutte distinzioni recuperate nel contesto o per via di

sostituzioni lessicali197.

Anche nel caso appena analizzato, dunque, il rischio di ambiguità di alcune pronunce

è stato ben volentieri accettato dai parlanti in cambio di un maggiore rendimento della

lingua, ottenuto mediante quest'ulteriore riduzione nel sistema fonologico.

197 Per. es. halla, per via dell'omofonia con haya, è stato sostituito con encuentra; allo stesso modo la parola hoya, per differire da olla, viene ormai utilizzata nella sua forma maschile hoyo (Maria Luisa Calero Vaquera, Miguel Calvillo Jurado, Op. cit., pag. 44).

65

CONCLUSIONI

Giunti al termine di questo lavoro, è necessario tirare le somme di tutte le

considerazioni fatte ed elaborare un'ultima analisi sull'argomento trattato. Si è partiti dal

presupposto che lo spagnolo d'Andalusia non possiede tutte le caratteristiche per essere

considerato un dialetto e che sarebbe meglio, piuttosto, definirlo come un'habla, ossia

una “parlata”, poichè è quasi esclusivamente nella varietà orale che presenta le maggiori

differenze dal castigliano. Quindi sono stati passati in rassegna i fenomeni fonetici e

fonologici che più di tutti incidono sulla caratterizzazione della varietà andalusa: come

abbiamo visto, si tratta quasi sempre di varianti articolatorie dei suoni o di confusioni

fonematiche.

Vale la pena ricordare che fra tutti i fenomeni riscontrati, soltanto alcuni di essi

possono essere considerati esclusivamente andalusi (le vocali proiettate, l'aspirazione di

h- iniziale e pochi altri), mentre i restanti, nonostante abbiano avuto origine proprio fra i

parlanti di questa regione, hanno raggiunto livelli di diffusione talmente vasti da poter

essere considerati come fenomeni panispanici, proprio perché non sono rimasti

circoscritti ai confini dell'Andalusia, bensì hanno raggiunto le più svariate regioni del

mondo ispanofono. Per essere più precisi, si è giunti a parlare un vero e proprio

“spagnolo meridionale” o “spagnolo atlantico”, intendendo con questo termine l'insieme

delle varietà parlate tra la Spagna meridionale e l'America Latina, accomunate da alcuni

fenomeni fonologici ben precisi, tra cui il seseo, il yeísmo, le alterazioni di consonanti

implosive e la pronuncia aspirata di jota198.

Tutti questi fenomeni, come noto, hanno avuto origine proprio dalla parlata andalusa.

Analizzandoli tecnicamente, caso per caso, è stato possibile riscontrare una tendenza

generalizzata alla base di tali modificazioni, ossia quella della semplificazione, intesa

198 Antonio Narbona Jiménez, Rafael Cano Aguilar, Ramón Morillo-Velarde Pérez, Op. cit., pag. 149.

66

come epurazione della lingua dalle sue ridondanze, al fine di poterne aumentare il

rendimento: maggiore efficacia comunicativa con il minimo sforzo articolatorio. Spesso

si è voluto attribuire a questa tendenza motivazioni climatiche: le calde e afose

temperature delle regioni del sud della Spagna, provocando spesso torpore e

spossatezza, avrebbero portato la gente di questi luoghi a pronunciare i suoni più

articolati in modo più rilassato. Si tratta di un'ipotesi piuttosto suggestiva, che oltretutto

troverebbe alcuni riscontri nelle altre parlate mediterranee, per esempio in quella

siciliana, in cui è facile riscontrare l'analoga tendenza a “mangiarsi le parole” o le lettere

finali, proprio perché ritenute superflue: bisogna ammettere, infatti, che effettivamente

l'informazione necessaria all'efficacia comunicativa risiede quasi sempre all'inizio di

ogni parola o di ogni frase. Tuttavia, le supposte motivazioni climatiche non sembrano

essere molto convincenti: la loro parzialità non ci permette di spiegare le analoghe

modificazioni linguistiche avvenute in diverse zone geografiche199.

È possibile, a tal proposito, tracciare un ulteriore parallelismo fra l'andaluso ed altre

lingue romanze, per esempio il francese. Durante la sua evoluzione dal latino, questa

lingua ha operato molte semplificazioni consonantiche in finale di sillaba e, nonostante

le numerose normatizzazioni grafiche succedutesi nei secoli, la sua situazione odierna

presenta, nella sua forma scritta, moltissime consonanti etimologiche, che non

corrispondono più ad alcun suono200. Tra i suoni dileguati in finale di parola è da notare

la presenza di desinenze morfologiche, atte a distinguere la persona di un verbo o il

numero di un nome, proprio come nel caso dell'aspirazione/dileguo di -s implosiva in

andaluso. Sebbene in francese questi fenomeni si siano verificati qualche secolo prima,

le ragioni di fondo sono le medesime: dunque, non un'ipotetica influenza climatica

(temperature calde e clima afoso non sono tipici della Francia), bensì motivazioni di

tipo prettamente linguistico.

Ogni lingua è mutevole, in costante evoluzione, poiché l'uso ne modifica le strutture

secondo i criteri di funzionalità ed efficacia comunicativa. Da questo punto di vista, sia

francese che andaluso possono essere definiti come innovativi: hanno modificato il

sistema linguistico di partenza (il latino da un lato, il castigliano dall'altro) in base ai

199 Per ulteriori chiarimenti sulla teoria climatologica, si rimanda alla nota 172.200 Per citare qualche esempio, nella parola doigt ['dwa] le consonanti g e t non vengono mai

pronunciate, ma vengono ugualmente scritte per ricordare l'etimologia (DIGITUM).

67

suddetti criteri, spingendolo talvolta ad estremizzazioni fonologiche o morfologiche che

hanno poi necessitato di riassestamenti201, ma operando importanti e produttivi processi

di semplificazione.

Alla luce di queste considerazioni, dunque, difficilmente si possono comprendere le

posizioni di coloro che propugnano un irrigidimento della norma linguistica castigliana

nel severo rispetto delle sue regole.

Per concludere, vale la pena ricordare che l'eccessiva normatività in una lingua può

risultare deleteria, in quanto porta soltanto alla sua fossilizzazione: sono, invece, proprio

quei mutamenti che partono “dal basso” e che, se apportano effettivamente una

miglioria nel sistema comunicativo, possono anche raggiungere nel corso dei secoli alti

livelli di accettazione, a mantenere “in vita” un sistema linguistico.

201 Come il già citato caso della pronominalizzazione obbligatoria del francese, dovuta al dileguo delle desinenze morfologiche.

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