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Sulla spazialità del potere e delle pratiche di resistenza tra Michel Foucault e Michel De Certeau Riflessioni sulla normatizzazione degli spazi urbani tra i meccanismi di sicurezza, logiche di mercato e riappropriazione degli spazi attraverso tattiche di resitenza a cura di Giulia Bona Lorenzo Tosarelli

Spazialità e potere tra Foucault e De Certeau

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Sulla spazialità del potere e delle pratiche di resistenzatra Michel Foucault e Michel De Certeau

Riflessioni sulla normatizzazione degli spazi urbani tra i meccanismi di sicurezza, logiche di mercato e riappropriazione degli spazi attraverso tattiche di resitenza

a cura di

Giulia Bona

Lorenzo Tosarelli

1. Michel Foucault: Organizzazione spaziale e microfisica del potereLorenzo Tosarelli

1.1 Potere fra spazio e relazioni

Michel Foucault, attraverso i celebri scritti sul potere e la sua diffusione, come nel famoso saggio del 1975 Sorvegliare e punire, sviluppa fondamentali riflessioni sia sulle forme più esplicite e palesate di controllo sociale, sia sui meccanismi latenti e impliciti che determinano l'auto sostentamento di poteri e istituzioni.Oltre ad un' attenta analisi sul corpo e sulla sua collocazione all'interno dello spazio, l'autore indaga su come i processi culturali abbiano implicato la nascita della prigione come forma di controllo disciplinare per antonomasia.Anche al giorno d'oggi, attraverso lo sviluppo di una “tecnologia disciplinare”, le relazioni gerarchiche trovano collocazione e giustificazione in tutti i luoghi dell'agire umano che coinvolgono rapporti con l'autorità, più o meno istituzionalizzati, dalle scuole alle caserme, agli ospedali, ecc.Le riflessioni foucaultiane ci possono venire incontro per interpretare il disegno urbano moderno, coniugato ormai con le innumerevoli tecnologie dell'informazione e della comunicazione.Tutta la strumentazione per monitorare l'andamento di varie funzioni (sensori, sonde, radar, spie, microfoni, telecamere, ecc.) fornisce oggi la possibilità di eseguire controlli a distanza in tempo reale. Così le superfici e i volumi che possono essere controllati aumentano enormemente.In questo caso però (G. Osti, 2010) prevale il registro dell'ambivalenza piuttosto che la teoria del complotto ordito da qualche forza egemone. I moderni sensori sono (anche) strumenti di incremento della comunicazione umana e quindi di progresso. Peraltro, lo stesso Foucault non ha in mente una centrale di controllo quanto un potere diffuso che si estrinseca nei rapporti quotidiani, come fra medico e paziente, fra imprenditore e operaio, fra genitore e figlio, fra educatore e discente; quasi una struttura di potere che parte dal basso ma che poi cresce a tutte le scale territoriali fino a diventare globale. Egli parla di governamentalità, vale a dire il modo in cui si guida la condotta degli uomini. [Foucault, 2004; trad. it. 2005, 154], in G.Osti , (ibid.)L'uso della forma impersonale "si guida" sta a indicare la pervasività e la frammentazione delle forme di potere. Potremmo aggiungere, e specificheremo dopo, il termine biopolitica, a suggerire come la dinamica del potere passi sempre più spesso per questioni di base dell'esistenza umana. In ognuno di questi basilari ambiti di vita (cura di sè, mangiare, riprodursi) si fa un largo uso di tecnologie volte a creare un corpo docile "che può essere sottomesso, che può essere utilizzato, che può essere trasformato e perfezionato" [Foucault 1975; trad. it. 1976,148], in G.Osti, ivi.)Siamo interessati dunque, in questa prospettiva, a concentrarci sulla dimensione più spaziale della diffusione orizzontale di meccanismi pervasivi di “normatizzazione”, focalizzandoci quindi sulle dinamiche di costruzione della norma e della rappresentazione sociale della “realtà normatizzata”.L'architettura, ci suggerisce Osti, può essere una tecnologia politica che, come altre discipline, fornisce un insieme di procedure per unire conoscenza e potere. Nella storia della pianificazione urbana come anche nella progettazione degli edifici a uso collettivo notiamo espedienti architettonici che permettono un più facile e pervasivo controllo delle attività umane. Il controllo diventa, in particolare nella società moderna, più capillare e allo stesso tempo meno visibile e maggiormente interiorizzato. E’ più raro l'esercizio brutale della forza fisica da parte delle autorità e si affermano invece sottili meccanismi razionali che le persone fanno lentamente propri.Come osserveremo più avanti, gli ormai celebri viali progettati alla fine del 1800 da Von Hausmann per la

riqualificazione parigina ad espliciti fini di controllo sociale ci riportano per vie dirette al Panoptico Foucaultiano; l'esempio più noto di edificio (originariamente carcerario) che permette, grazie alla sua struttura radiale, un permanente controllo sui detenuti.Per sottolineare come lo spazio non è mai neutro e in-significante, e possa inoltre stimolare linguaggi alternativi e variegati sull’uomo che lo abita, ci vengono anche in aiuto i lavori di Henri Lefebvre, ricordandoci come [lo spazio] non può essere un semplice contenitore o una superficie su cui si dispiegano gli eventi. (La produzione dello spazio, Moizzi, Milano 1976). Al tempo stesso l’autore ci mostra la natura contingente del diagramma delle relazioni di potere e l’idea dello spazio come un “campo di lotte” in quanto campo di rapporti di forza. (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, Introduzione a Materiali Foucaultiani, 2012)Anche il potere, per farla breve, si serve dello spazio, e i dispositivi tecnologici che presiedono alla vita hanno una specifica dimensione spaziale: muri, viali, finestre, torri… Ancora in Foucault, infatti: l'architettura esiste per assicurare una certa collocazione della popolazione nello spazio, una canalizzazione della sua circolazione [...]. Egli sostiene in una intervista [...] che "lo spazio è fondamentale in ogni forma di vita comune; lo spazio è fondamentale in ogni esercizio del potere." [...] Insiste sull'esercizio di un potere sugli individui attraverso una canalizzazione spaziale della vita di tutti i giorni [Lawrence e Low, The built Environment and Spatial Form, 1990,485]

Nella società moderna l'architettura riproduce le asimmetrie nelle relazioni, ma senza quell' evidenza e brutalità che potremmo ritrovare in un campo militare o in una capitale dell' ancien régime. Le gerarchie sono il prodotto di dispositivi nascosti, infinitesimi, quasi addolciti da parvenze estetiche. Pensiamo a come potevano essere in Italia i manicomi fino agli anni '80 e come siano oggi le cliniche per la salute mentale. Certamente, quella è l'architettura che più si presta a essere interpretata con i canoni foucaultiani. (G. Osti, op. cit.) Ma è l’unica? Come Foucault lascia intendere, la violazione palese e radicale della libertà nei contesti più visibilmente egemonici e repressivi non deve tentarci a concludere la nostra analisi senza sviscerare i processi di normalizzazione e sorveglianza dove essi sono meno espliciti.Una frase molto interessante, ricorrente nei suoi testi è: “Nella teoria politica non si è ancora stati capaci di fare ciò che invece si è fatto nella storia: tagliare la testa del Re.”Foucault vuole mostrarci come sia ancora facile immaginare il potere legato a vecchi modelli: quello del Sovrano (il comando dall’alto, attraverso la legge) e quello della Proprietà (il potere che si possiede, di alcuni soli, che si cede o acquisisce).Nell’era moderna, per “tagliare la testa al re” bisogna eliminare questi presupposti. Come? Forse, suggerisce, attraverso l’analisi del potere come un nuovo modello, reticolare, come insieme di azioni su azioni. Si esercita dunque potere non quando si trasmette un’ energia su un polo passivo, ma quando un azione influenza il campo di altre azioni possibili di altri soggetti. Questo, per Foucault, è potere reale, dominante, influente e pervasivo; il resto è forza, violenza, al più comunicazione.Ogni potere risponde a un urgenza storica. Stando allo studioso francese, nell'età moderna le urgenze sono essenzialmente due: come gestire un numero ristretto di individui in uno spazio chiuso e come gestire grandi masse di popolazione. Al primo caso risponde il potere disciplinare, tecnica che permette ad esempio la produzione, la disciplina nella fabbrica come nella società. Riguardo la gestione di grandi masse Foucault conia invece il termine Biopotere. Esso è il potere che si occupa della vita degli individui; non tanto del loro comportamento quanto del loro Bios, degli aspetti immediatamente vitali della loro vita (salute, igiene, fertilità, mortalità…).L’importanza e la delicatezza di questi aspetti emerge però prepotentemente quando osserviamo i casi in cui

l’esercizio del Biopotere può richiedere l'eliminazione di un pericolo o una minaccia rappresentati da una parte della popolazione stessa o da un’altra popolazione. Così esprime la propria-auto tutela, la giustificazione alla propria esistenza, così sancisce il lecito e la normalità, il concesso e il “nemmeno non ipotizzabile” sul tavolo delle possibilità.Il potere, non essendo più spettacolare, arbitrario e sanguinario, e quindi circostanziato, è il più delle volte minimo e con l'unica necessità di mantenersi. Deve produrre e riprodurre individui normali. La norma messa in opera da un tale potere non ha dunque per riferimento il divieto, ma un modello (ideale) cui conformare il reale.Questo potere “disciplinare” e il suo congiunto “biopotere” funzionano? Sono efficaci? Siamo stati precisi nel definire così frettolosamente i loro margini e la loro autonomia?Ci aiuta l’autore, sottolineando come la discriminante per l'analisi dell'esercizio del potere è prima di tutto il linguaggio, il discorso, la rappresentazione, quindi solo successivamente, lo spazio. In questo senso potremmo dire che "l'architettura non è fondamentale", ovvero assume ruoli differenti data la medesima intenzione.La sola cosa che possa garantire la libertà non è né la distribuzione spaziale, né una qualsiasi cosa che sia per natura liberatrice, ma è l’esercizio stesso della libertà. L’architettura produce libertà solo quando le sue intenzioni coincidono con “la pratica reale delle persone nell’esercizio della loro libertà”. (Spazio, sapere e potere, in Biopolitica e liberalismo. Detti e scritti su potere ed etica (1975-1984), a cura di O. Marzocca, Medusa, Milano 2001, pp. 169-192., In G.Brausch, Logiche del potere e logiche spaziali in Michel Foucault, Materiali Foucaultiani, 2012)Se non cadendo nell’arbitrario, non è dunque possibile pensare le distribuzioni spaziali come autonome dalla “pratica effettiva della libertà, dalla pratica dei rapporti sociali” (Ibid.)Se si separano queste cose, “esse diventano incomprensibili”. Sarebbe dunque assurdo attribuire virtù (sociali, politiche, etc.) allo spazio, se questo spazio è pensato in se stesso, disconnesso dall’insieme relazionale, mobile e complesso, in cui si iscrive. (G. Barusch, ivi.)L’individuo e la sua azione “libera e liberatrice” hanno sempre un potere sul luogo. E’ prima di tutto il discorso che siamo interessati a individuare, per capire come poi si articola su un’architettura inclusiva o esclusiva, pubblica o privata, orizzontale o gerarchizzata…

Ancora sulla rappresentazione del reale, Foucault individua nel “dispositivo di sicurezza” la terza logica di potere, dopo il potere giuridico-discorsivo e quello disciplinare.La sicurezza è “democratica” e applicata tutti, non solo ai “devianti”. Intervenire direttamente sul reale (in questo caso, per sopprimere ogni “cattiva circolazione”) potrebbe avere l’effetto inverso a quello previsto. La città moderna, flessibile e articolata, liquida e in mobilità, ma soprattutto libera, deve essere concepita come in evoluzione, in sviluppo, come se dovesse essere aperta a quel che può accadere, elastica, pronta ad accoglierlo. “In ciò consiste un’organizzazione saggia della città: nel tener conto di ciò che potrà accadere” (M. Foucault, Sécurité, territoire, population, in G. Barusch, op.cit).Essere in grado di accogliere l’evento esige un margine potenziale al soggetto (di non-controllo) che non significa un abbandono o una negligenza. Le cose non possono accadere in qualsiasi modo: stando alla definizione adottata di potere devono assolutamente prodursi in modo accettabile/regolato. C’è infatti una norma in opera: le cose devono accadere in modo che corrispondano a quel che la norma afferma. Questa norma, ed è per noi cruciale, non è più un divieto o un modello, ma un tasso, una media, una statistica (estratta quindi dal reale), e dunque di conseguenza un’oscillazione intorno a un tasso. Non si tratta quindi di incarnare la norma, ma di bilanciarsi intorno ad essa, allontanandosene il meno possibile. Una norma di questo genere non è “esterna al reale”, né in conflitto con esso; al contrario, è tratta dal reale stesso, ne è il riflesso, la curva. Governare non è nient’altro che seguire il reale, “laisser-faire”, lasciar accadere.Il dispositivo di sicurezza gestisce il reale conformemente a quel che il reale suggerisce (il reale è, attraverso la norma che fornisce, l’istanza che detta l’azione). Il dispositivo di sicurezza lavora sulle potenzialità contenute nel reale. (G. Brausch, op.cit.)Abbiamo detto però che è il corpo che definisce la propria libertà. Esso non è riducibile a una porzione di spazio, e non solo per ragioni metafisiche, ma perché di fatto disobbedisce all’ordine spaziale, all’ordine delle cose. È capace di non piegarsi alla condotta dettata dalla disposizione spaziale.Foucault nega i legami diretti fra disposizioni spaziali e condotta dei corpi. Il corpo non è una porzione meccanica dello spazio che risponde alla sua disposizione. Tale concatenazione è non solo arbitraria, ma fallimentare. Foucault individua quindi il modo utilizzato dal potere per superare questa impasse, delimita una razionalità che funziona come se avesse preso atto di questi fallimenti e della necessità di giocare con la libertà. Questa razionalità abbandona la scala del corpo e dello spazio architettonico e urbano a vantaggio di un’altra scala, quella della “popolazione” (per riportarci all’oscillazione sul tasso statistico di normalità).Il nostro diventa quindi un potere che calcola la libertà individuale del corpo ma, cambiando obbiettivo, la appanna, in una moltitudine di avvicinamenti alla norma condivisa dalla popolazione, tornando quindi alla macro-normalità, che beneficia di numeri e statistica. Il corpo singolo è indiscutibilmente libero, ma la popolazione è fortemente normatizzata.Considerando che il modello di potere reticolare è un’insieme di azioni su azioni, e si esercita nella possibilità di avere influenza su altre azioni di altri individui, ne deriva un’importante conclusione: il potere deve lasciare margini di libertà, ed in certi casi deve addirittura crearli.Per riassumere, "la produzione dello spazio esce allora dal regime di sovrainvestimento e di pianificazione assoluta, per entrare in un’economia generale, il cui solo scopo sarebbe quello di sostenere il corso delle cose (ad esempio il corso del mercato).”Da queste riflessioni possiamo dunque ipotizzare un principio di analisi di resistenza spaziale e interazione con la norma, che affronteremo meglio nel seguente paragrafo.

1.2 Spazi eterotopici e panoptici virtuali

Il Panoptico Foucaultiano è un architettura di controllo che, nella modernità “virtualizzata”, supera le sue stesse funzioni: abbiamo già accennato a come l’obiettivo del potere di controllo non è più quello del potere disciplinare che imponeva una stabilità, ma quello di assicurare una tracciabilità dell’individuo.Da qui, l’effetto principale del “Nuovo Panopticon”: indurre nel detenuto uno stato cosciente (e permanente) di visibilità che assicuri il funzionamento automatico del potere. (O. Razac, La sorveglianza elettronica: l’utopia panoptica rinnovata, 2012) Il potere normativo smette dunque di palesarsi, e assume forme quasi “auto-normative”, dove “i detenuti sono presi in una situazione di potere di cui sono essi stessi i portatori” (ibid.). Esso rimane sullo sfondo delle relazioni a suggerire un linguaggio e una forma di interazione privilegiata e a sanzionare linguaggi e forme indesiderate.Al massimo grado, la nozione di virtualizzazione della reclusione è la possibilità di recludere degli individui senza far uso della materia, impiegando cioè mezzi impalpabili.Pertanto, nella nostra analisi è necessario passare da un approccio descrittivo a un approccio tattico. Non si tratta di chiedersi a cosa assomigli la virtualizzazione, ma a cosa serva.Non è necessariamente una forma di repressione e separazione esplicita e fisica a creare luoghi regolamentati.Anzi, “il controllo disciplinare dello spazio può risultare tanto più efficace quanto più le separazioni, le compartimentazioni, i quadrillages imposti allo spazio si rivelano suscettibili di un’ evoluzione in funzione di bisogni tattici, cosa impossibile senza delimitazioni più leggere ed elastiche” (Ad esempio, le nuove tecnologie di sorveglianza), (ivi.). Dal momento che lo spazio è organizzato per rendere inevitabile la reazione fisica del potere, perchè il suo esercizio è “de-materializzato”? Su un piano tattico, è più conveniente una “virtualizzazione della reclusione”, che intensifica l’esercizio spaziale del potere. Essa infatti “consente una dissuasione psichica assolutamente efficace” (O.Razac, ibid.).La finalità del Panopticon non è essenzialmente repressiva. Non si tratta di combattere e nemmeno di impedire l’azione di un individuo, ma di far sì che un certo tipo di azione non abbia luogo perché ne risulta impossibile la progettazione. Questo effetto preventivo è ottenuto grazie a un gioco sul calcolo degli interessi effettuato dall’individuo in quanto soggetto razionale. Qual è l’interesse del detenuto/utente? Quello di trovarsi, a fronte di una infrazione, dinnanzi a una inevitabile repressione fisica del dispositivo, oppure quello di approfittare della “mitezza” del suo normale funzionamento? Il dispositivo panoptico ha la funzione di catturare questo intreccio di interessi attraverso il gioco dell’ispezione. Non si può nemmeno dire che ci sia dialettica o opposizione tra il sorvegliato e il sorvegliante poiché, in quanto essere razionale, il sorvegliato non può che accettare il funzionamento del dispositivo.A un primo livello, si tratta di una semplice conformità alla norma indotta dalla certezza della reazione repressiva;a un secondo livello, rappresentante la vera finalità panoptica, si tratta di ottenere un’adesione all’esistenza stessa del dispositivo di ispezione. (O. Razac, ivi.)

progetto di panopticon,1791

Cosa significa che il Panopticon è interiorizzato?I princìpi sottesi al Panopticon, che è una macchina architettonica (e nel nostro caso, virtuale), animano direttamente gli individui. Organizzare uno spazio di osservazione e di sorveglianza significherebbe organizzare dei corpi che vengono osservati e sorvegliati. “Strutturare lo spazio per rendere possibile uno sguardo (onnipresente e non circostanziato, ubiquo e non ridotto al punto di vista reale) implica che i corpi si sottomettano effettivamente a questo sguardo." (G. Brausch, op. cit.)Sia da un punto di vista di interiorizzazione della norma, sia di vera e propria geometricità dello spazio in relazione al corpo, alla gerarchizzazione delle istituzioni e delle relazioni corrisponde una spazialità.Il deviante deve essere sempre perlomeno visibile: "bisogna dunque poter massimizzare la circolazione “positiva” (quella dell’”aria pura”, dei medici, degli istitutori, etc.) e sopprimere la circolazione “negativa” (quella dei miasmi e dei malati, dei delinquenti, dei cattivi studenti, etc.). Bisogna poter rendere visibili tutti i pazienti ed ogni paziente, tutti i delinquenti ed ogni delinquente, impedendo loro di vedere in modo panottico. (M. Foucault, L’oeil du pouvoir, p. 190)“Lo spazio si vede dotato di obiettivi ambiziosi che non dipendono in alcun modo dalla repressione o dalla soppressione, ma dalla produzione (di individui docili e utili – di corpi non malati, non delinquenti, non cattivi studenti)." (Brausch, op. cit.)Come ci ricordano Berger e Luckmann (La realtà come costruzione sociale, 1966), anche il dissenso e l’incoerenza vanno significati e concepiti nella normalità. In psicologia sociale il processo di comprensione del reale viene descritto spesso per semplificazioni, attraverso euristiche e tentativi di attenuare le possibili dissonanze cognitive. I fattori devianti, diversi, alterati, estranei, devono essere inclusi nel discorso dominante per ridurre così l’indeterminatezza, l’inspiegabilità del reale."Finchè continuano senza interruzione, le routines della vita quotidiana sono percepite come non problematiche. Ma anche il settore non problematico della realtà quotidiana è tale solo fino a nuovo avviso, cioè fino a che la sua continuità non viene interrotta dalla comparsa di un problema. Quando questo avviene, la realtà della vita quotidiana cerca di integrare il settore problematico in ciò che è già non problematico.” (Berger e Luckmann, ivi.)

Il punto di vista può variare, ma in relazione alla tipizzazione, diciamo al "coefficiente normalizzante" che gli corrisponde. Nella relazione per la costruzione del significato entra in gioco il negoziato, quindi il potere.In questi spazi si giocano infatti gerarchie e significativi rapporti di forza.

I nuovi panoptici, o i luoghi caratteristici dell’interazione urbana moderna, dove si intersecano molteplici dimensioni dell’agire umano, sono fortemente normatizzati.Essi che assumono in sè stessi densi significati umani vengono, spesse volte, e con una certa flessibilità, definiti attraverso la celebre forma Foucaultiana di Eterotopia. Un luogo-momento, dove lo spazio assume un significato esplicito e dove con maggior facilità possiamo assistere all’espressione del discorso di chi lo abita. Dall’altro lato, la riflessione di Foucault sulle eterotopie ha ispirato molti lavori (di filosofi, geografi ed urbanisti) che sono giunti a leggere alcuni nuovi spazi come “utopie effettivamente realizzate”, luoghi al di fuori di ogni luogo e tuttavia localizzati.L'eterotopia è un ordine fra il linguaggio e lo spazio: “permette di restaurare l’incrocio dello spazio e del linguaggio, di far tenere insieme le parole e le cose.” (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, Introduzione ai Materiali Foucaultiani)Nella curiosa distinzione utopia/ eterotopia, Il luogo dell'utopia è irraggiungibile e per definizione, solamente immaginabile. E' linguaggio libero, disordinato, in evoluzione. Consente il discorso, il suo luogo è il linguaggio stesso.L'eterotopia invece forza il linguaggio all'interno di uno spazio, riordina, vieta, regolamenta, mina il linguaggio; in altre parole, sottrae a esso il suo spazio; perchè lo spazio si autonomizza rispetto al linguaggio.L'eterotopia per antonomasia, la prigione, è l'espressione lampante di discorsi istituzionalizzati, calcificati e concretizzati in un luogo. La reclusione e il confinamento sono linguaggi repressivi concretati. I rapporti di forza e la normatività diffusa in una società viene tangibilmente rappresentata in un luogo eterotopico come il carcere.Le eterotopie designano quindi proprio dei “contro-spazi”. (M. Foucault, Les Heterotopies, radio talk, 1966)Il discorso che, per definizione, è “solo dicibile”, si concretizza; il linguaggio diventa spazio. “L’eterotopia ha come regola quella di giustapporre in un luogo reale più spazi che normalmente sarebbero, dovrebbero essere, incompatibili. Le utopie, infatti, rinviano a luoghi senza luogo che doppiano nell’immaginario lo spazio reale della società, per convertirlo in spazio ideale, mitico. L’eterotopia invece designa lo spazio dell’utopia nel reale, l’utopia

si concretizza.” (Ibidem.)Le eterotopie sono radicate nel reale, nello spazio sociale: sono dunque piuttosto “dei luoghi reali, dei luoghi effettivi, dei luoghi che sono predisposti nell’istituzione stessa della società delle specie di utopie effettivamente realizzate in cui gli spazi reali, tutti gli altri spazi reali che possiamo trovare all’interno della cultura sono, al contempo, rappresentati, contestati e rovesciati”.

1.3 Conclusioni

“il modello della polis incentrato essenzialmente sulla dimensione pubblica e politica” sta progressivamente tramontando, e quella che si staglia all’orizzonte è “una zona di assoluta indifferenza fra privato e pubblico”.(Cremonesini, V., Città e potere: lo spazio urbano come organizzazione biopolitica)Come Foucault ampiamente porta alla luce nella sua genealogia del liberismo, territorio, sicurezza e popolazione costituiscono i centri nodali della razionalità di governo incentrata sul nesso economico-politico. Foucault aveva definito il nuovo ordine disciplinare del potere politico moderno come il risultato di una convergenza e sovrapposizione di due paradigmi, quello dell’esclusione e della divisione e quello del controllo e della sorveglianza. (V. Cremonesini, Ibid.)Sono sempre più intensi nei nuovi paesaggi urbani, i processi di Gentrification e segregazione.Il processo articolato della Gentrification contiene anche in sé un duplice meccanismo: quello del riorientamento al consumo della città e quello del controllo sociale della devianza urbana. Esso, infatti, produce una costante riorganizzazione concettuale di ciò che ricade nella centralità urbana e di ciò che ne è escluso.“La dislocazione entro due forme di spazialità irriducibili (centralità e non) risponde alla più generale funzione di riproduzione simbolica della disuguaglianza, che è costitutiva dell’organizzazione biopolitica. Il rapporto centro-periferia non costituisce quindi solo la cartina di tornasole delle disuguaglianze sociali, ma è agentespaziale e simbolico della loro riproduzione, diviene funzione propria della logica securitaria. Riproduce silentemente uno dei paradigmi della razionalità di governo: l’individuazione e la differenziazione dislocativa.” (V. Cremonesini, ivi.)Già Zygmunt Bauman, nel suo celebre Modernità Liquida (Laterza, 2002, pag. 32), osservava che il processo attuale di individualizzazione sta producendo uno scarto antropologico ed etico che si gioca tra individuo e cittadino, e che proprio questa trasformazione starebbe producendo una “contrazione inesorabile dello spazio pubblico” e l’emergere di una sorta di panico morale (Bauman, Z., ibid). Le dinamiche di individualizzazione stanno producendo una sorta di occultamento del senso dello “spazio comune”. Lo spazio pubblico riorganizza il suo senso e i suoi significati nella sfera privata del mercato. Esso diviene spazio commerciale e del consumo, spazio individuale e privato del desiderio, tutt’al più tribalistico, cioè spazio privato di individualità omogenee, reali o virtuali. In tal modo, lo spazio pubblico va sempre più svuotandosi di questioni pubbliche e “gli individui vengono gradualmente, ma incessantemente spogliati della loro corazza protettiva della cittadinanza ed espropriati delle loro capacità e interessi di cittadini.” (Ivi. pag. 34, in V. Cremonesini, op.cit.)Lo spazio pubblico urbano, però, oltre ad essere lo specchio utopico ed eterotopico del potere, costituisce anche un campo di battaglia, e non solo quella tra il cittadino e l’individuo. La battaglia che vi si combatte è quella della sicurezza urbana. È all’opera quella separazione tra società civile e Stato che il neoliberismo portain sé fin dal suo emergere. La battaglia si declina nella logica del mercato e nel probabilistico incontro tra una domanda di sicurezza e un’efficace politica di prevenzione della devianza. Il problema securitario chiama in causa i nuovi dispositivi della penalità, ma non solo. Esso si articola sull’intera popolazione urbanatrasformando, come suggerisce Agamben, gli spazi pubblici delle città “in interni di un’immensa prigione” (La

città e le metropoli, 2007). Il dispositivo della sicurezza proprio della razionalità di governo neoliberista si produce e riproduce nell’indeterminatezza della soglia tra spazio pubblico e spazio privato. È il meccanismo della videosorveglianza, ma anche della creazione di spazi pubblici ad accesso limitato e controllato, e della miriade di piccoli dispositivi che servono a spingere al di fuori della comunità cittadina e dei suoi spazi coloro che, in quanto non consumatori, sono privati di ogni diritto di cittadinanza (migranti, senzatetto, mendicanti, vagabondi.) (V. Cremonesini, ivi.)“La guerra che si combatte è quella per la sicurezza urbana, che rimbomba da ogni dove nella retorica politica, sociale e comunicativa della città; il campo di battaglia è lo spazio pubblico, il suo controllo minuzioso, capillare, la possibilità di esercitare attraverso di esso un’operazione simbolica, non più volta alla costituzione della comunità cittadina, ma alla sottrazione, per ragioni di pubblica sicurezza, dei diritti stessi di cittadinanza.” (V. Cremonesini, Ibid.)

“Space is political. Space is not a scientific object removed from ideology or politics; it has always been political and strategic”, ammonisce Henri Lefebvre.

A questa definizione però, Foucault aggiungerebbe una coloritura importante: dove c'è potere c'è anche resistenza. E se lo spazio è politico, non è solo perchè è ciò attraverso cui si esercita il potere, ma anche perchè è ciò attraverso cui si esercita la resistenza.Per Foucault, su un piano per l’appunto spaziale, la definizione della resistenza oscilla tra l’effetto imprevisto di un dispositivo architettonico (tra le intenzioni, le messe in opera e le conseguenze effettive di una disposizione spaziale, lo scarto può essere tale che l’effetto sia contrario all’intenzione iniziale del dispositivo) e “l’esercizio stesso della libertà”, esercizio che deciderà in ultima istanza della finalità effettiva di uno spazio. Che ogni dispositivo spaziale sia abitato da un principio di indeterminazione, è quello che infine il filosofo ci ricorda e che ci resta da pensare. (G. Brausch, op. cit..)Molti studi critici sono partiti da queste riflessioni nei confronti delle politiche di confinamento e di selezione che “imbrigliano” le pratiche di mobilità. In quest’ottica, le resistenze sono pensate sin dall’inizio come “strategie di esistenza” e pratiche di soggettivazione che, nonostante agiscano spesso per sottrazione rispetto a un potere che cerca di catturarle, sono anche immediatamente produttive, sia perché costringono le politiche di governo della mobilità a ridefinirsi, sia perché mettono in atto nuovi modi di praticare lo spazio, trasformando spazi esistenti o “agendo la vicinanza degli spazi.” (Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, op.cit.)

Come ultima espressione di questa forza dislocatrice, possiamo concludere ricordando che "lo sguardo foucaultiano sugli spazi urbani non si concentra unicamente sulle pratiche di gestione e di governo dei fenomeni di mobilità, ma tenta di ricostruire il loro funzionamento anche a partire dai loro “margini”, ossia da quella dimensione di pratiche, lotte e discorsi sempre sottesa a ogni spazio e a ogni regime di governo. Molteplicità delle tecniche di governo, dunque, ma anche rumore costante delle lotte che fanno sempre di uno spazio uno spazio “abitato”, attraversato da processi di soggettivazione e conflitti, movimenti e catture."(Cremosini, Irrera, Lorenzini, Tazzioli, Ibid.)

2. Michel De Certeau : “ Le quotidien s'invente avec mille manières de braconner”. Giulia Bona

2.1 Bourdieu: struttura, habitus, hexis

L'habitus1, nella definizione che Bourdieu ne dà all'interno della sua concezione di teoria dell'azione pratica, è l'interiorizzazione delle strutture simboliche dominanti da parte del soggetto che, esteriorizzandole poi attraverso l'hexis2, le rende durature e trasmissibili. Il potere del sistema sociale egemonico si fa immanente e pervasivo, ovvero una dominazione simbolica che non viene riconosciuta dal soggetto come tale bensì semplicemente come il naturale (e senza origine) svolgersi delle cose: la struttura genera habitus che vengono naturalizzati attraverso l'hexis. Così, quella che Bourdieu chiama “violenza simbolica”, s'avvicina molto come funzionamento alla microfisica del potere di Foucault: se Foucault sostiene che il potere è più forte laddove non ha bisogno di esplicitarsi, Bourdieu mostra come il soggetto non lo riconosca come dominazione e anzi se ne faccia tramite. E un tramite necessario, dato che la struttura esiste solo in quanto assunta e trasmessa: le disposizioni culturali diventano materiali e si mostrano attraverso il corpo stesso (come l'individuo mangia, si muove, parla, etc.)

“In altri termini, gli agenti sociali determinano attivamente, attraverso categorie di percezione e di valutazione socialmente e storicamente determinate, la situazione che li determina. Si può anche dire che gli agenti sociali sono determinati, solo nella misura in cui si determinano” (P. Bourdieu, “Risposte. Per una antropologia riflessiva”, Bollati Boringhieri, 1992)

Nel sistema teorico dell’autore, viene introdotta anche l’idea dell’acquisizione, ovvero il processo mediante il quale la struttura si fa habitus per poi esplicitarsi nell’hexis.In questo processo di interiorizzazione-esteriorizzazione la struttura si modifica, assume caratteristiche e funzionalità nuove, non alterandone però la dicotomia fondamentale dominante-dominato nella quale, e per la quale, era stata prodotta.

1“Sistema di disposizioni durature e trasmissibili, strutture strutturate predisposte a funzionare come strutturestrutturanti,cioè in quanto principi organizzatori e generatori di pratiche e rappresentazioni che possono essereoggettivamente adatte al loro scopo senza presupporre la posizione cosciente di fini e la padronanza esplicitadelle operazioni necessarie per raggiungerli, oggettivamente “regolate” e “regolari” senza essere affatto prodottedall’obbedienza a regole e, essendo tutto questo, collettivamente orchestrate senza essere prodotte dall’azioneorganizzatrice di un direttore di orchestra” (P. Bourdieu, 1980 - cit. in P. Magnoler, “Tracce di habitus?”)“Organizzazione invariante della condotta per una classe di situazioni date” (Vergnaud, 1990 - cit. Ibidem )

2“Bodily hexis is political mythology realised, embodied, turned into a permanent disposition, a durable mannerof standing, speaking and thereby of feeling and thinking.” (P. Bourdieu, “Outline of a Theory of Practice”,Cambridge University Press, 1977)

2.2 La polémologie: “polemos panton mèn pater”3

De Certeau, come Lefebvre, adotta un approccio polemologico all'azione umana, ponendo la contraddizione, generatrice di conflitto, al cuore dell’evoluzione: nell’azione vi sono infatti entrambi gli aspetti del polemos e del logos; mentre polemos significa unicamente “conflitto”, logos è una parola ambigua, che può significare sia “discorso” (discorsi sul conflitto come costruttori di senso ma anche creatori di un campo simbolico in cui rimettere in discussione la cultura dominante), sia “logica” (logica nel conflitto e non solo del conflitto). L’azione è dunque un polemos, una contraddizione investita da un logos, un discorso... che crea un proprio logos, un'intelligenza all'opera.

2.3 Penser et agirDe Certeau riprende l'idea di struttura-acquisizione-habitus-hexis da Bourdieu e, pur non rifiutando l'apparato teorico della microfisica del potere foucaltiano, si chiede come sia possibile che la società non si riduca tuttavia ai rituali, ai discorsi e alle rappresentazioni egemoni, che vengono anzi utilizzati "in funzione di riferimenti estranei al sistema al quale [gli individui utilizzatori ma non creatori della pratica] non potevano sottrarsi". L'azione in De Certeau assume rilievo in quanto “usage”, utilizzo delle strutture esistenti per fini altri da quelli per cui eran state concepite. Così, De Certeau mostra una scollatura tra il teorico e il pratico, una possibilità di resistenza che si gioca negli interstizi del potere: l'agire umano può sottrarsi all'onnipresenza della macchina panoptica. De Certeau riprende da Foucault l'aspetto “minuscolo” dell'azione, ma lo ribalta, dall'esercizio del potere alla resistenza pratica

Il campo economico viene spesso scelto come esempio di “perfetta asimmetria”, in cui il potere egemonico detentore del capitale culturale, simbolico e materiale, s’impone sui soggetti dominati rendendoli “consumatori” di ciò che produce, sia esso un valore simbolico o un bene materiale. L’aspetto che viene trascurato in quest’approccio razionalista è però l’uso che viene fatto dei prodotti imposti dall’ordine dominante: De Certeau sposta l’attenzione sull’usager, l’utilizzatore, rifiutando la definizione di “consumatore”, passivo e inerme.Lo stesso Bourdieu mette in evidenza come “anche in quest’ambito, nel quale i mezzi e i fini dell’azione e il loro rapporto sono portati a un grado molto elevato di esplicitazione” gli individui mettano in atto delle strategie “pratiche”, nel duplice senso di “adeguate al fine, ragionevoli” ma anche di “non teoriche”: intelligenze pratiche che nel pensiero di De Certeau vengono chiamate “tattiche”.

2.3.1 Strategia e tatticaLa definizione di uno spazio e il controllo esercitabile su di esso da parte di un sistema sociale è il risultato di una "strategia", cioè un'azione compiuta in uno spazio definibile come "proprio", e dunque utilizzabile come base per la creazione di un potere capace di articolare un insieme di luoghi fisici e teorici: è il presupposto per la realizzazione di un Panopticon. Un luogo “proprio” infatti consente di capitalizzare i vantaggi acquisiti, di preparare future espansioni e di acquisire così facendo un’indipendenza in rapporto alla variabilità delle circostanze: è una forma di controllo del tempo attraverso l’istituzione di uno spazio autonomo.Al contrario, si definisce "tattica" un calcolo che non può contare su una base propria, un'azione che ha come luogo solo quello dell'altro, in cui "si insinua in modo frammentario, senza coglierlo nella sua interezza e senza poterlo tenere a distanza": è un'azione sovversiva, di resistenza al discorso dominante, un modo per "sfuggirgli senza sottrarvisi". La tattica, al contrario della strategia, non ha basi su cui poter far previsioni, nè possiede una conoscenza o una padronanza sufficiente del luogo e delle sue caratteristiche: la circostanza fortuita è il suo

3 “Il conflitto è padre di tutte le cose” (Eraclito)

campo d’azione, la casualità del tempo che può vincere sulla certezza di uno spazio. E’ insomma astuzia (mètis, l’intelligenza pratica dell’antica Grecia), l’arte del più debole.

La mètis può esser vista come forma di razionalità strumentale: definisce un’azione che ottiene il maggior effetto con il minor sforzo possibile.Nello schema qui sotto, si può leggere come il processo di mètis sia un movimento che si sviluppa in quattro fasi:

- (I), (II): laddove non si disponga di una forma solida di potere, c’è bisogno del potere liquido dell’intelligenza pratica, resa istintiva dalla memoria;- (II), (III): più è istintiva, meno ha bisogno di tempo per agire - l’occasione, il momento opportuno (kairos), diventa determinante;- (III), (IV): più è rapida, più grandi saranno i suoi effetti.

“Ces pratiques mettent en jeu une ratio populaire, une manière de penser investie dans une manière d'agir, un art de combiner indissociable d'un art d'utiliser.” [M. De Certeau, “L’invention du quotidien”, Gallimard, 1990]

L’occasione non si crea, la si riconosce: è dettata dalle circostanze, da congiunture favorevoli che mostrino delle crepe nelle fondamenta del sistema egemonico.

Ulisse, l’uomo dal multiforme ingegno, è un eroe della mètis; nell’episodio di Polifemo ad esempio, Ulisse e suoi compagni si ritrovano nella grotta del terribile ciclope, senza possibilità d’uscita poichè la porta è bloccata da un immenso masso; l’eroe omerico però escogita un complesso piano di fuga, basato sull’inganno e sull’astuzia: dopo aver offuscato i sensi di Polifemo offrendogli del vino in dono, gli si presenta con il nome di Nessuno, per poi accecarlo con un bastone ardente. Alle grida di Polifemo, i ciclopi suoi fratelli domanderanno chi gli ha fatto del male e la famosissima risposta sarà “Nessuno”. Ma l’astuzia di Ulisse non si ferma qui, e quando il mattino seguente Polifemo sposterà il masso dall’apertura della grotta per far uscire il suo gregge, Ulisse e i suoi compagni conquisteranno la fuga nascondendosi sotto le pecore, così che le mani del ciclope non abbiano da tastare che il vello delle pecore.

Le gesta di Ulisse mostrano molto bene il potere della mètis, di quelle azioni particolari e camaleontiche che, cogliendo il kairos, riescono a sfruttare le potenzialità del contesto per contrastare un potere troppo forte per esser affrontato direttamente.

2.4 ConclusioniDe Certeau parla quindi di micro-resistenze, forme di riappropriazione dello spazio attraverso un uso non previsto (e spesso non desiderato) di quegli stessi sistemi simbolici, rappresentazioni e norme create dal sistema egemonico per controllare e gestire l’azione degli individui: attraverso delle tattiche contrapposte a delle strategie, è possibile muoversi tra le maglie del potere, reinventando luoghi e significati.

"È qui che si manifesta probabilmente l’opacità della cultura popolare – la roccia nera che si oppone all’assimilazione […] Mille modi di fare o disfare il gioco dell’altro, ovvero lo spazio istituito da altri, caratterizzano l’attività, sottile, tenace, resistente, di gruppi che, non avendo un luogo proprio, devono districarsi in una rete di forze e di rappresentazioni stabilite.” [M. De Certeau, “L’invenzione del quotidiano”, Edizioni Lavoro, 2001]

La polemologia di De Certeau, l’idea del conflitto come terreno fertile per la creazione di nuovi significati, e la creazione stessa - la reinvenzione - come base dell’esistenza umana, si ritrovano nel pensiero di De Certeau anche in scritti più politici; nell’opera “La prise de parole”, l’autore commenta i fatti del 1968, l’occupazione della Sorbona (l’Università di Parigi), scrivendo: “Le manifestazioni hanno creato una rete di simboli appropriandosi dei segni di una società per invertirne il senso.” [M. De Certeau, “La presa della parola e gli altri scritti politici”, Maltemi Editore, 2007]Le tattiche del più debole son ciò che consente il cambiamento, l’evoluzione della società, sono il fermento delle azioni di tutti coloro che non potendo semplicemente allontanare le strutture del potere, non possono tuttavia accettarle.

“Vi è un fatto che è più importante delle rivendicazioni o della contestazione stessa, che non facevano che esprimerlo nei termini pre-evento: un fatto positivo, uno stile d’esperienza. Un’esperienza creatrice, cioè poetica. «Il poeta ha schiodato la parola», annunciava un volantino alla Sorbona. […] [Ciò] apriva a ciascuno discussioni che oltrepassavano, al contempo, la barriera degli specialismi e quella degli ambienti sociali, e che trasformavano gli spettatori in attori, il faccia a faccia in dialogo, l’informazione o l’apprendimento di ‘conoscenze’ in discussioni appassionate su opzioni che rigurdavano direttamente l’esistenza. Questa esperienza è accaduta. È inafferrabile.” [ibid.]

Ciò che è cruciale, nel pensiero di De Certeau, è il passaggio “da spettatori in attori”, vale a dire da individui passivi che non possono che assimilare la struttura, interiorizzarla nell’habitus e esplicitarla nell’hexis, a soggetti agenti (con diversi gradi di consapevolezza) capaci di riappropriarsi del linguaggio della struttura stessa e, talvolta, di cambiarla radicalmente.

“Oggi [3 maggio 1968] è la parola ad essere stata liberata. In tal modo si afferma, feroce, irreprimibile, un nuovo diritto, venuto a coincidere con il diritto di essere uomo e non più un cliente destinato al consumo o uno strumento utile all’organizzazione anonima della società” [ibid.]

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