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RES BENE GESTAE Ricerche di storia urbana su Roma antica in onore di Eva Margareta Steinby a cura di Anna Leone, Domenico Palombi e Susan Walker ESTRATTO Edizioni Quasar LEXICON T OPOGRAPHICUM URBIS ROMAE - SUPPLEMENTUM IV

FUR, fr. 18a [---]astoris: una lettura alternativa ?

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RES BENE GESTAERicerche di storia urbana su Roma antica

in onore di Eva Margareta Steinby

a cura diAnna Leone, Domenico Palombi e Susan Walker

E S T R A T T O

Edizioni Quasar

Lexicon Topographicum urbis romae - suppLemenTum iV

Tabula Gratulatoria V

Premessa VIII

F. Millar, Dedicated to Eva Margareta Steinby XI

Eva Margareta Steinby: nota introduttiva e bibliografica XV

C. Bruun, Aqueductium e statio aquarum. La sede della cura aquarum di Roma 1

L. Chioffi, Regio XIV: Hercules Campanus e dintorni. Per un ag gior namento delLexicon Topographicum Urbis Romae 15

F. Coarelli, Horrea Cornelia? 41

W. Eck, Procurator, nicht curator operum publicorum. Zu einem ritterlichenFunktionsträger in AE 1917/18, 111 47

F. Guidobaldi, Una domus tardoantica e la sua trasformazione in chiesa dei SS. Qui-rico e Giulitta 55

H. Hurst, The ‘Murus Romuli’ at the northern corner of the Palatine and the PortaRomanula: a progress report 79

V. Jolivet, La localisation des toponymes de la Rome antique à partir des Régionnaires.Une étude de cas 103

M. Kajava, Ex oraculo 127

L. C. Lancaster, The brick relieving arch and urban redevelopment in ancient Rome 133

E. La Rocca - P. Zanker, Il ritratto colossale di Costantino dal Foro di Traiano 145

P. Liverani, Osservazioni sui rostri del Foro Romano in età tardoantica 169

D. Manacorda, Il Laterano e la produzione ceramica a Roma: aspetti del paesaggiourbano 195

R. Meneghini, La cartografia antica e il catasto di Roma imperiale 205

M. P. Muzzioli, Sui portici raffigurati nella lastra di via Anicia 219

I. Nielsen, Cultic Theatres and Ritual Drama in ancient Rome 239

J. E. Packer, Drawing Pompey: Three Centuries of Documenting Pompey’s Theater(1833-2006) 257

D. Palombi, FUR, fr. 18a [---]astoris: una lettura alternativa? 279

S. Panciera, Domus Augustana 293

Sommario

C. Pavolini, L’“Agrippina-Orante” di Villa Casali e la politica religiosa degliimperatori sul Celio 309

P. Pensabene, Portici, sostruzioni, condotte idriche e quartieri di servizi del san tua- rio della Magna Mater sul Palatino 335

N. Purcell, The horti of Rome and the landscape of property 361

R. Santangeli Valenzani, Il vescovo, il drago e le vergini. Paesaggio urbano epaesaggio del mito nella leggenda di S. Silvestro e il drago 379

R. T. Scott, The later history of the “Domus delle Vestali” 397

P. L. Tucci, Imagining the temple of Castor and Pollux in Circo Flaminio 411

R. Volpe, Le Terme di Traiano e la xustichv suvnodo~ 427

A. Wilson, The castra of Frontinus 439

T. P. Wiseman, Three notes on the triumphal route 445

F. Zevi, Minucia frumentaria, crypta Balbi, circus Flaminius: note in margine 451

A. Ziolkowski, Prolegomena to any future methaphysics on Agrippa’s Pantheon 465

478 Sommario

In archeologia, l’acribia nell’analisi delle fonti antiche assume talvolta le forme del‑l’accanimento esegetico che nuoce al soggetto trattato e finisce per complicare inutilmente i termini della discussione. Questo breve contributo rischia di ricadere pienamente nella condizione evocata; esso, al contrario, ambirebbe ricercare un alternativo percorso interpre‑tativo intorno ad una fonte iconografica antica pericolosamente in bilico tra le eccezionali affinità con il contesto archeologico e topografico al quale si vorrebbe riferire e le insanabili contraddizioni che tra fonte e contesto emergono ad una analisi appena più dettagliata.

Le riflessioni che di seguito si propongono dovranno, comunque, considerarsi emi‑nentemente speculative mancando, al momento, qualunque verifica archeologica. Sono cer‑to che Margareta Steinby vorrà accoglierle benevolmente: conosco per esperienza personale la sensibilità umana e la generosità scientifica con le quali ha accolto e sostenuto, senza pregiudizi o diffidenze di scuola, giovani studiosi di diversa provenienza, non ricercandone l’ossequio ma incoraggiandoli all’autonomia di giudizio e alla elaborazione di originali per‑corsi di ricerca.

Il frammento 18a della Forma Urbis marmorea tornò in luce nel 1882 durante gli scavi condotti da Rodolfo Lanciani nel Foro Romano. Esso mostrava, al centro di una complessa serie di strutture molto diverse per tipologia ed orientamento, la parte finale dell’iscrizione [‑‑‑]astoris che lo stesso scopritore, forse anche suggestionato dal luogo del rinvenimento, non esitò a sciogliere in [aedes C]astoris1. Successive e non precisabili vicende portarono alla perdita di un segmento decisivo del frammento che nella preziosissima edizione della Forma del 1960 compariva già mutilo di una parte degli edifici e presentava l’iscrizione ridotta nella forma [‑‑‑]toris (figg. 1‑2). Ciononostante non sorsero dubbi circa l’interpretazione del‑l’iscrizione e l’identificazione della topografia raffigurata: il frammento della forma marmo‑rea avrebbe rappresentato il lato orientale del tempio dei Castori al Foro Romano, la fronte del grande edificio porticato posto alle sue spalle, la fonte di Giuturna, la rampa diretta al Palatino ed altri edifici circostanti; l’iscrizione doveva necessariamente sciogliersi in [aedes C]astoris2.

1 Lanciani 1882, part. 233 ss. “Del frammento della pianta di Roma” e tav. XIV: il frammento fu scoperto “disfa‑cendosi un muro dei tempi bassi, a m. 25 di distanza dalla edicola compitale [posta all’ingresso della Casa delle Vestali] ... Il muro dal quale l’abbiamo tratto, sembrava costruzione del secolo VIII al più tardi ...”; circa il luogo di rinvenimento vedi anche Marucchi 1902, 101: “En déblayant le terreplein qui divisait en deux parties le sol antique [si riferisce alla via di collegamento tra S. Lorenzo in Miranda e S. Maria Liberatrice che ancora divideva l’area ar‑cheologica del Foro romano], non loin des restes de ce qui fut jadis la Regia, on trouva, le 13 avril 1882, un fragment de marble du célèbre plan de Rome ...”. Su questa stagione di proficue scoperte e sull’interesse di Lanciani per la Forma marmorea rimando a Palombi 2006, 64‑69 e 282‑285. 2 Carettoni ‑ Colini ‑ Cozza ‑ Gatti 1960, 75‑76, tav. 21. La numerazione delle lastre della Forma Urbis marmo‑rea di seguito adottata è quella stabilita in Rodríguez Almeida 2002, tav. XII.

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Anche nella complessiva revisione della Forma Urbis marmorea edita nel 1980 da Emilio Rodríguez Almeida il frammento compariva nella forma “ridotta”; in quella sede, le evidenti incongruenze verificabili con gli altri frammenti contermini e con la topografia reale spingevano lo studioso a dubitare della interpretazione topografica tradizionale e della stessa lettura epigrafica3.

È merito di Margareta Steinby avere riscoperto l’aspetto originario del frammento in questione contribuendo in maniera decisiva al dibattito circa la sua interpretazione topogra‑fica e cronologica. La studiosa ha in più occasioni riflettuto intorno alla concreta possibilità che il frammento 18a della Forma Urbis marmorea rappresenti il complesso di edifici che occupa l’angolo meridionale del Foro Romano; anzi, come si potrà verificare nella biblio‑grafia in seguito citata, la collocazione del frammento nell’area del lacus Iuturnae è stata più volte positivamente considerata nella lettura e nell’interpretazione delle stesse strutture archeologiche4.

Significative, tuttavia, sono da tempo apparse le discordanze tra la rappresentazione planimetrica verificabile sul frammento 18a e quella visibile sui frammenti che gli si vorreb‑bero contigui; sostanziali, inoltre, sono state considerate le differenze rilevabili tra il disegno dello stesso frammento e la topografia reale in corrispondenza del lato orientale del tempio dei Dioscuri come oggi si verifica al termine di una lunghissima e discontinua stagione di scavi. Senza indugiare in una analisi di dettaglio occorrerà almeno richiamare5:

1. la totale asimmetria che si verifica tra i due lati lunghi della aedes Castoris (forma e disposizione del colonnato; resa del profilo del podio; muro della supposta cella) come rappresentati nei frammenti 18a e 18b‑c della FU marmorea6;

2. la scarsa o nulla corrispondenza della posizione, della forma e delle dimensioni del lacus Iuturnae e della disposizione dei suoi elementi interni (scale, piani, basi)7;

3. le notevoli divergenze circa la forma e la disposizione dalla rampa a segmenti gra‑donati e delle taberne ad essa addossate8;

3 Rodríguez Almeida 1981, 96‑98: “Confesso che non trovo un argomento per rifiutare l’identificazione [con il tempio dei Castori]; ma, allo stesso tempo, dall’osservazione del marmo non ho potuto ricavare la sicurezza che i resti epigrafici siano …STORIS e non …CTORIS, relativi ad altro luogo ed ad altro tempio diverso (Iuppiter, Herculis Victor?)”.4 Steinby 1985, 73‑92, part. 89 ss.; Steinby 1989 con dettagliata storia della scoperta e degli studi e puntuale analisi critica del frammento; Steinby 1994; E. M. Steinby, s.v. lacus Iuturnae, in LTUR III (1996), 168‑170.5 Tralascio le questioni relative al luogo di rinvenimento del frammento che, diverso dall’aula del Foro della Pace, era stato considerato in maniera problematica: ha fatto chiarezza su questo punto Rodríguez Almeida 1999, part. 4‑9; sul tema vedi ora, in una più ampia prospettiva, Santangeli Valenzani 2006.6 Cfr. Carettoni ‑ Colini ‑ Cozza ‑ Gatti 1960, 75‑76, tav. 31. Sull’architettura del tempio in età imperiale – corin‑zio ottastilo periptero con undici colonne sul lato, come vollero gli architetti augustei – vedi in sintesi: I. Nielsen, s.v. Castores, aedes, in LTUR I (1993), 242‑245.7 Molto semplicemente, già Ernest Nash (1959, part. 227‑231) aveva decretato che “Il rettangolo con i due qua‑dretti non può rappresentare il Lacus Iuturnae, perché non corrisponde all’ubicazione del bacino e perché il dise‑gno non corrisponde ai dati dello scavo”. Ciò premesso, lo Studioso suppose che la struttura visibile nella Forma fosse un piccolo edificio indipendente collocato subito a nord del lacus: un piccolo santuario contenente le statue dei Dioscuri scomparso sotto la pavimentazione che lo Studioso datava posteriormente al 328 d.C. anno della istituzione della statio Aquarum del quale, comunque, non esiste alcuna traccia archeologica. Sulle fasi edilizie del lacus Iuturnae, oltre ai lavori di M. Steinby citati a nota 4, vedi anche Alföldy 1992, 13‑16: “Un’iscrizione di Augusto nel Forum Romanum ed il restauro del Lacus Iuturnae” che da due frammenti epigrafici ricostruisce un intervento augusteo nel lacus, forse successivo agli incendi del 14 e 12 a.C.8 Sulle problematiche inerenti l’interpretazione architettonica, funzionale e cronologica della c.d. rampa palati‑na vedi Steinby 1993, part. 149: “La rampa presenta invece difficoltà maggiori, forse insormontabili: perfino la preziosa testimonianza del frammento 18a della pianta marmorea di Roma è indicativa piuttosto che puntuale, anche se bisogna riconoscere che già la certezza dell’interpretazione delle strutture come una scala è dovuta alla

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4. l’evidente differenza di orientamento verificabile tra le taberne disegnate sul lato destro del frammento e quelle domizianee esistenti dietro il tempio dei Dioscuri9;

5. l’assenza dell’edicola di Giuturna che ora si vede in una ricostruzione del periodo traianeo (o di poco precedente) ma che, stando anche all’orientamento astrono‑mico, potrebbe aver sostituito un santuario assai più antico; meno grave, ma co‑munque da rilevare, anche la mancanza dell’adiacente puteale (con l’antistante ara) dedicato a Giuturna da M. Barbatius Pollio, edile curule fra Cesare e Augusto10;

6. l’assenza dell’aula (tardo domizianea o traianea) che in seguito avrebbe accolto l’oratorio dei Quaranta Martiri11;

7. l’oggettiva difficoltà di inserimento del fr. 18a nel contesto degli altri frammenti che gli sarebbero contigui e delle relative lastre di pertinenza che induce a forzature nella posizione e nell’orientamento degli edifici localizzati tra Campidoglio e Palatino12.

A fronte di tale complessa situazione – ma ferma restando l’identificazione con l’area circostante il lacus Iuturnae, identificazione evidentemente obbligata dallo scioglimento universalmente accolto per la scritta [aedes C]astoris – la soluzione che è parso necessario adottare si è mossa nella direzione dell’attribuzione del frammento ad una pianta marmorea differente da quella severiana, necessariamente precedente, eventualmente flavia. Il disegno del frammento, in definitiva, rappresenterebbe una situazione urbanistica e monumentale anteriore all’assetto documentato nell’area all’inizio del III secolo d.C., non riconducibile alla pianta redatta sotto Settimio Severo ed affissa sulla parete del templum Pacis restaurato dopo l’incendio del 192 d.C.; anzi, il frammento in questione diverrebbe la prova materiale dell’esistenza di una originaria pianta vespasianea affissa nel Foro della Pace13. Tuttavia, nep‑

conoscenza della sua rappresentazione antica (il cattivo stato di conservazione avrebbe potuto dare luogo anche a letture diverse)”. Sulla identificazione della stessa con le scalae Graecae: Coarelli 1983, 237 e E. M. Steinby, s.v. scalae Graecae, in LTUR IV (1999), 241‑242; per l’eventuale identificazione di queste con le scalae Anulariae: E. Papi, s.v. scalae Anulariae, in LTUR IV (1999), 238‑239. Novità sostanziali sulla struttura – sempre meno riconoscibile nella rampa disegnata nel fr. 18a – propone ora Hurst 2006. 9 Sul complesso domizianeo – già identificato con il tempio di Augusto – e le fasi precedenti riferite all’atrio del palazzo imperiale voluto da Caligola: Hurst 1986; Hurst 1988; H. Hurst, s.v. domus Gai, in LTUR II (1995), 106‑108.10 Sul sacello di Giuturna, dopo Nash 1968, 9‑17 con bibliografia precedente, vedi, Steinby 1985, part. 83‑85 e, in un contesto interpretativo molto ampio, Coarelli 1983, 237‑255. 11 Analisi della struttura: Steinby 1985, part. 85‑86; Brandt 2004, part. 141 ss. L’aula è stata variamente identifi‑cata con la curia Acculeia (F. Castagnoli) e con le curiae Veteres (F. Coarelli).12 Cfr. Steinby 1989, part. 28‑30 e fig. 5; contra Rodríguez Almeida 1999, part. 9‑10.13 In questa direzione, per primi, mossero Orazio Marucchi (1883, 62‑63) e Giacomo Boni (1901, part. 61‑62); della stessa opinione Coarelli 1983, 252‑255; Coarelli 1991, part. 70 ss. (come è noto, lo Studioso, attribuisce alla stessa ipotizzata pianta vespasianea anche il fr. 38 della Forma Urbis marmorea relativo alle terme di Agrippa); M. Steinby nei lavori citati alla nota precedente.L’ipotesi si fonda, ragionevolmente, sulla documentata misurazione della città promossa da Vespasiano (Plin. n.h. 3.66). Viene anche chiamata in causa CIL 6.935 che si ritiene riferibile alla pianta flavia rifatta dai Severi: nota da due trascrizioni (forse) riferibili alla stessa epigrafe – “duo fragmenta ut videtur unius tituli” come specificano gli editori – essa sarebbe stata vista reimpiegata in tempi e luoghi diversi, presso il tempio di Saturno (ante 1534) e in S. Maria Nova (1612). L’iscrizione – “un gran pezzo di marmo con lettere quasi cubitali” come la si descrisse all’inizio del XVII secolo – ricorderebbe la dedica di un imponente edificio da parte di Vespasiano nel 78 d.C. ed un restauro dello stesso sotto Settimio Severo e Caracalla negli anni 198‑211 d.C. L’edificio andrebbe ricercato, verosimilmente, tra quelli della ripianificazione flavia del centro cittadino eventualmente coinvolti nell’incendio del 192 d.C. che, divampato di notte in una casa privata al confine tra la Suburra e le pendici dell’Oppio, nel corso di parecchi giorni investì il templum Pacis, gli horrea Piperataria, la Via Sacra, il tempio di Vesta e raggiunse il Palatino; per la dinamica e i tempi dell’incendio variamente datato tra 189 e 192 d.C. cfr., con fonti e bibliografia, Sablayrolles 1996, 798; Daguet‑Gagey 1997, 43‑48, 54‑55 e 61‑63 che si esprime – oramai con i più – per una datazione dell’incendio alla prima metà del 192 d.C.

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pure una soluzione tanto audace parrebbe risolvere tutti i problemi topografici già segnalati: la corrispondenza con i monumenti reali, pure della fase precedente le grandi trasformazioni domizianee che interessarono l’area, rimane, infatti, ampiamente lacunosa (particolarmente in relazione ai punti 1 e 2, ma anche 3 e 5, sopra indicati)14.

D’altra parte, come si sa, non è possibile per il momento proporre alcuna prova con‑creta della sopravvivenza di una pianta marmorea di Roma precedente quella severiana ma identica per materiale, forma, dimensioni, tecnica di realizzazione e montaggio, scala grafica, caratteri della rappresentazione, funzione e collocazione, affissa nel templum Pacis vespa‑sianeo15.

Non a caso Emilio Rodríguez Almeida, messe da parte le perplessità precedentemente espresse ed accolta la lettura [aedes C]astoris, si è sforzato di minimizzare le numerose ano‑malie già illustrate e di ricondurle nell’ambito delle problematiche interne alla rappresenta‑zione ed alla realizzazione della stessa Forma voluta da Settimio Severo: secondo lo Studio‑so, il fr. 18a, pure con tutte le sue difficoltà, dovrà considerarsi a pieno diritto parte della lastra 49 della FU severiana e non potrà che rappresentare l’area intorno al lacus Iuturnae, tra la rampa palatina e il tempio dei Castori16.

A questo punto, e posta in questi termini, la questione parrebbe senza via d’uscita: o si riconosce la sostanziale estraneità del disegno del frammento 18a alla topografia imperiale dell’area cui si vorrebbe riferire oppure si dovrà imputare alla Forma Urbis marmorea una serie imbarazzante di omissioni e semplificazioni.

Una soluzione, per quanto banale, a ben vedere esiste. Forse occorrerebbe comincia‑re a dubitare dell’assunto che ha guidato fino ad oggi ogni, pur dialettico, ragionamento: [‑‑‑]astoris = [aedes C]astoris; forse bisognerebbe cominciare a verificare la possibilità di una eventuale pertinenza della topografia rappresentata nel fr. 18a rispetto ad altri contesti urbani.

I dati tecnici deducibili dal frammento (dimensioni attuali cm 23.5 x 22.5; marmo proconnesio, come il resto della FU) rimangono per il momento isolati e non ne consentono l’attribuzione a nessuna delle lastre note. Si dovrà comunque considerare che17: lo spesso‑re del frammento è crescente da cm 6, sul lato ove è rappresentata la rampa, a cm 7.5, su quello dell’edificio a colonne o pilastri; è certa l’appartenenza del frammento ad una delle lastre a rovescio grezzo che, come ha rilevato Rodríguez Almeida, parrebbero “innervare”

14 “Dopo gli studi e gli scavi eseguiti sia attorno al lacus Iuturnae, sia nel c.d. tempio di Augusto si può affermare che la pianta del frammento 18a non si riferisce alla situazione post‑domizianea. Per la verità, essa non sembra corrispondere troppo fedelmente neanche alla situazione immediatamente precedente alle grandi trasformazioni domizianee. D’altronde ne sappiamo poco: sembra, infatti, che la ricostruzione dopo l’anno 64 sia quasi inte‑ramente attribuibile all’età domizianea. Viene perfino il dubbio che la pianta rappresenti una specie di piano regolatore mai realizzato”: Steinby 1994, 121.15 A prescindere da una eventuale sua sopravvivenza, l’esistenza di una originaria pianta flavia distrutta dal‑l’incendio del 192 e sostituita da quella severiana, è sempre parsa ipotesi necessaria: Carettoni ‑ Colini ‑ Cozza ‑ Gatti 1960, 218; Rodríguez Almeida 2002, 10‑11, 37, 71; Coarelli 2005 che si spinge alla ricerca di un originario prototipo augusteo; Lugli 1995, part. 22 e 29 ipotizza che la Forma Urbis marmorea a noi nota costituisca il par‑ziale aggiornamento di una pianta più antica.16 Rodríguez Almeida 1999: “È certo che non esistono, allo stato attuale delle nostre conoscenze, motivi solidi per sospettare (per il marmo 18a o per qualunque altro) un’origine diversa da quella severiana. Le difficoltà di interpretazione del rappresentato sono difficoltà «interne», da esaminare e possibilmente risolvere entro i limiti e con gli strumenti ermeneutici che derivano dal documento stesso. Altrimenti si rischia l’abbaglio...”. Nello stesso lavoro il grande esperto della Forma Urbis marmorea respinge decisamente l’attribuzione ad una diversa e precedente pianta sia del fr. 18a [‑‑‑]astoris che del fr. 38 (th)ermae (Agrip)pae come sostenuto da F. Coarelli (cfr. nota 13).17 Per i dati di seguito elencati si faccia riferimento alla bibliografia citata alle note 2, 4, 5.

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la struttura della mappa marmorea lungo l’asse trasversale che unisce il Foro Romano al‑l’Anfiteatro e alla valle tra Oppio e Celio (lastre 3, 6 13, 17?, 18); il tassello quadrangolare individuato sul retro del frammento, circa in corrispondenza delle lettere ST, ne orienta la collocazione in prossimità (tra 10 e 20 cm) di uno dei margini (più probabilmente corti) della lastra di appartenenza; considerate le regole che nella Forma presiedono alla disposizione e all’andamento delle iscrizioni, anche la scritta [‑‑‑]astoris non poteva apparire rovesciata e, di conseguenza, l’orientamento originario del frammento dovrà ricercarsi nel raggio dei 90° che ne consentano la lettura (in sostanza, dalla scritta disposta in verticale verso il basso alla scritta in verticale verso l’alto)18.

Anche le informazioni di carattere topografico deducibili dal frammento risultano modeste e troppo generiche per tentare una qualsiasi attribuzione a contesti urbani noti.

La presenza della rampa indica, con certezza, la localizzazione del settore topogra‑fico rappresentato sul fr. 18a in corrispondenza di un pendio che la scalea asseconda con andamento obliquo rispetto agli edifici circostanti; la rampa viene rappresentata con una alternanza di scale e piani inclinati secondo quanto si verifica in diversi frammenti della FU marmorea: tale tipologia di percorsi, talvolta anche doppi e con andamento a zig‑zag, par‑rebbe avere costituito un tratto caratteristico del paesaggio collinare di Roma19.

Il grande portico a pilastri o colonne è visibile sul frammento per quasi 10 metri di lun‑ghezza: esso parrebbe chiuso sul fondo da un muro continuo mentre la linea che ne segna la fron‑te potrebbe indicare la presenza di un semplice gradino o una sua posizione elevata su podio20.

Lo spazio intorno al grande edificio a colonne o pilastri si presenta come uno slargo dalle dimensioni variabili: sul lato destro una via larga oltre m 2.5 è fiancheggiata da un por‑tico che maschera la fronte di un edificio a taberne con orientamento differente ed obliquo; sulla fronte lo stesso porticato parrebbe piegare ad angolo retto armonizzando una serie di strutture scarsamente qualificate (spazi rettangolari chiusi e spazi porticati?) e risparmiando un’area profonda circa m 6 di fronte all’edificio a colonne o pilastri; più oltre, lo spazio libe‑ro si trasforma in una sorta di adito profondo fino a m 15 e largo intorno a m 4 che giunge a ridosso della rampa; di seguito, lo spazio antistante il grande edificio a colonne o pilastri (qui profondo al massimo m 10 circa) è occupato da una struttura rettangolare (m 4 x 2.5 circa) – un podio sopraelevato o un bacino incassato nel terreno? – con al centro due elementi qua‑drangolari minori (circa m 1 di lato) e due rampe di scale di accesso; la struttura si riconnette, tramite un corridoio, alla serie di taberne adiacenti ed addossate alla rampa rispetto alla quale potrebbero costituire il livello inferiore in funzione sostruttiva.

A fronte di una rappresentazione complessa ma non certo identificativa, l’elemento guida per la ricerca di una alternativa interpretazione topografica del frammento rimane, tuttavia, l’iscrizione. In tal senso, si potrebbe ricercare un sostantivo o un nome imparisil‑labo della terza declinazione terminante in ‑astor compatibile con le forme, le funzioni e le consuetudini della toponomastica cittadina21. Le possibilità, in effetti, sono ridottissime: es‑

18 Sulla importanza degli elementi evidenziati rimando a Rodríguez Almeida 1981, 25, 36‑38, 57 fig. 13; Rodrí‑guez Almeida 1999, part. 12‑13.19 Su questo particolare tipo di viabilità urbana – gradus o scalae nella terminologia antica? – si vedano le nume‑rose attestazioni nella stessa FU marmorea: frr. 31a‑b‑c, 55, 159, 277, 390, 403, 409, 418, 499.20 Rodríguez Almeida 1999, part. 10‑12, al fine di attribuire il frammento alla serie raffigurante il tempio dei Dioscuri al Foro Romano (dove la peristasi templare imporrebbe l’interruzione della linea di fondo in corrispon‑denza dell’ultimo intercolumnio), ha negato l’esistenza della linea continua alle spalle del colonnato: secondo lo Studioso si tratterebbe di una illusione provocata dalla screpolatura superficiale della originaria venatura del marmo venuta, del tutto casualmente, a coincidere con il tratto inciso.21 Sulla consistenza e il significato della toponomastica urbana vedi, con ulteriori riferimenti bibliografici, Fallou ‑ Guilhembet 2004; una rassegna ragionata sul tema ha offerto Chevallier 1992.

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sendo del tutto assenti gli aggettivi, rimane, tra i nomi umani o divini eventualmente riferibili a templi, edifici commerciali o funzionali (horrea, balnea, ecc.), il già citato Castor mentre, tra i sostantivi eventualmente identificativi di strade, piazze e strutture di differente funzione e natura, si ravvisa soltanto pastor22.

Si dovrà osservare che, curiosamente, proprio questo sostantivo – a prima vista del tutto secondario nel vocabolario urbano dei luoghi – ricorre ben due volte nella toponoma‑stica cittadina di età imperiale, nell’ambito della quale, fonti diverse per genere e cronologia, ricordano due differenti località in distinte regioni di Roma.

Quale matrice toponomastica, Pastor potrebbe legittimamente considerarsi un cogno‑me23 e forse (ma del tutto ipoteticamente) in questa accezione potrebbe aver dato il nome ad un vicus di Roma citato nella c.d. Base Capitolina, dedicata ad Adriano nel 136 d.C. dai magistri vicorum Urbis regionum XIIII24. Nel documento, il vicus Compiti Pastoris risulta compreso nella XII regione Piscina Publica, tra il vicus Fortunae Mammosae (orientativamente localiz‑zato tra la Porta Capena e le terme di Caracalla) e il vicus portae Raudusculanae (odierno Viale Aventino, in prossimità della omonima porta delle mura serviane, circa in corrispondenza della attuale Piazza Scanderbeg). Pure in assenza di qualsiasi riscontro archeologico e conside‑rate le incertezze che permangono intorno ad uno dei contesti topografici meno noti di Roma, tali indicazioni hanno orientato, ragionevolmente, la localizzazione del quartiere e dell’eponi‑mo compitum sul versante settentrionale del Piccolo Aventino25. Se dovesse riferirsi al [vicus Compiti P]astoris il fr. 18a esso andrebbe a collocarsi nell’ambito delle file più alte della FU marmorea, circa in corrispondenza dell’angolo superiore destro della grande pianta, quello occupato dalle lastre 7, 8, 16, 17, 26 e 27 (fig. 3). Tuttavia, il rovescio grezzo del fr. 18a parrebbe difficilmente compatibile con le lastre a rovescio liscio che fino ad oggi sono state riconosciute in questo settore della Forma: liscio è, infatti, il retro della lastra 26 alla quale appartengono i frammenti relativi allo sfendone del Circo Massimo e al complesso sistema stradale che in que‑sto punto origina 26; liscio risulterebbe anche il retro della lastra 16 se dovesse trovare conferma la collocazione del gruppo dei frammenti 45 relativi agli horti Ceioniae Fabiae 27; liscia, infine, sembrerebbe anche la lastra 17 se nel suo ambito ricadesse il frammento della FU severiana di recente rinvenuto e relativo al complesso cultuale dedicato a Bona Dea Subsaxsana da localiz‑zare, sicuramente, sullo stesso versante del Piccolo Aventino (area FAO)28.

22 Dalla semplice consultazione di Gradenwitz 1904, 458 si verifica soltanto l’esistenza delle interiezioni gram‑maticali, tipiche del libero linguaggio della commedia, ecastor ‑ mecastor (“per Castore!”) e dei due costrutti di pastor, compastor e pseudopastor.23 Kajanto 1982, 323. Il cognome distingue personaggi di rango sia senatorio che equestre tra i quali spiccano membri delle gentes Iunia e Papiria: PIR2 VI (1998), p. 53.24 CIL VI. 975 = 31218 add. pp. 3777 e 4312 = ILS 6073. Cfr. Gregori ‑ Mattei 1999, 112‑115. Sulla storia e l’ar‑ticolazione topografica delle XIV regioni urbane mi è particolarmente caro il rinvio a A. Fraschetti ‑ D. Palombi, s.v. Regiones quattuordecim, in LTUR IV (1999), 197‑204.25 Per i luoghi citati vedi, rispettivamente, G. Pisani Sartorio, s.v. vicus Compiti Pastoris, in LTUR V (1999), 159, C. Lega, s.v. vicus Fortunae Mammosae, in LTUR V (1999), 165, F. Coarelli, s.v. murus Servii Tullii: porta Rau-dusculana, in LTUR III (1996), 331. Sulla topografia storica del Piccolo Aventino conto di tornare al più presto; tenta una valutazione dei caratteri insediativi dell’area, a partire dai soli dati (topografici e statistici) desumibili dai Cataloghi Regionari, Storey 2002, part. 421‑429.Altri compita urbani che presero nome da gentes, evidentemente insediate nel quartiere, sono ben noti (compitum Acilium, compitum Fabricium: cfr. LTUR II (1993), ad voces) mentre, al momento, non si conoscono quartieri di Roma nominati a partire da cognomina (al contrario, largamente utilizzati nella denominazione di aree extraur‑bane: vedi i casi presentati da Champlin 1993).26 Sui frammenti – vecchi e nuovi – della forma severiana relativi al Circo Massimo vedi ora Ciancio Rossetto 2006.27 La proposta di collocazione dei frammenti si deve a Rodríguez Almeida 1981, 57‑62 ma vedi F. Guidobaldi, s.v. horti Celoniae (Ceioniae) Fabiae, in LTUR III (1996), 56‑57.28 Cfr. S. Fogagnolo in AA.VV. 2006, 25‑26. Per la localizzazione del santuario: Di Manzano ‑ Quinto 1984; L. Chioffi, s.v. Bona Dea Subsaxana, in LTUR I (1993), 200‑201.

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Diverso deve probabilmente considerarsi il caso di un altro sito urbano della cui po‑polarità nel corso del IV secolo testimoniano le descrizioni di Roma dei Cataloghi Regio‑nari: il lacus Pastoris (Notitia) o lacus Pastorum (Curiosum) viene citato nell’ambito della descrizione della Regio III Isis et Serapis tra gli edifici compresi tra l’Anfiteatro, le terme di Tito e quelle di Traiano29.

Lo stesso lacus Pastoris ricorre nella topografia martiriale di Roma insieme alla petra scelerata iuxta amphitheatrum, come luogo di tortura ed esecuzione capitale dei primi mar‑tiri cristiani, evidentemente in relazione ai processi che si svolgevano nella vicina praefec-tura urbana localizzata in Tellure, nel quartiere delle Carinae30. Nello stesso senso il lacus Pastoris viene citato in altre numerose testimonianze circa i luoghi di martirio durante le persecuzioni di Decio (249‑251), Diocleziano (303‑306) e Giuliano (362) che localizzano il sito alla estrema pendice meridionale del Colle Oppio, ad est dell’Anfiteatro, probabilmente lungo l’asse della Via Labicana31.

Per la determinazione topografica del monumento romano, qualche valore è stato anche riconosciuto alla ubicazione della scomparsa chiesa di S. Pastore, eventualmente in‑fluenzata dalla toponomastica antica. L’identificazione della chiesa dipende da rare notizie che sopravvivono in documenti del XII e XIII secolo inerenti i confini delle proprietà di S. Giovanni a Porta Latina e di S. Clemente: la chiesa di S. Pastore doveva trovarsi proprio alle spalle di quest’ultima, tra le vie Labicana e Maggiore (= via di S. Giovanni in Laterano), ai piedi del versante del Celio che all’epoca ancora si denominava Caput Africae32.

Il lacus Pastoris aveva certamente preso nome dall’apparato scultoreo che lo decora‑va – una scena agreste con figure umane e animali ? – secondo un uso frequente nelle fontane a partire dall’età tardoellenistica e che a Roma aveva lasciato traccia in altri celebri monu‑menti simili33. Tra questi, i lacus Promethei, Orphei, Ganymedis, a vario titolo noti dalle fonti antiche, costituirono mostre d’acqua dalla complessa scenografia evidentemente ispi‑

29 Valentini ‑ Zucchetti I (1940), 97, 167, 211. Il poco che si conosce sul monumento ho riassunto in D. Palombi, s.v. Lacus Pastoris/Pastorum, in LTUR III (1996), 171‑172. dove si troveranno riferimenti alla scarsa – e talvolta imprecisa – bibliografia precedente. 30 Passio ss. Eusebi, Marcelli et soc., XII (Act. Sanct., Nov. IV (1925), 97; inizio del VII secolo): Iussit Eusebium et Marcellum capitis subire sententia. Qui vero ducti ad petram sceleratam iuxta amphitheatrum ad lacum pastoris, ibidem decollati sunt. Sulla sede della prefettura Urbana (tra S. Pietro in Vicoli e le attuali vie della Polveriera, del Colosseo e dei Frangipane) e la coerente distribuzione dei luoghi del martirio intorno al Colosseo – statua Solis, petra scelerata, lacus pastoris – negli Acta Martyrum (metà V‑VII secolo) in relazione alle prime persecuzioni cristiane vedi Palombi 1997, 149‑153, part. 151 ss.31 Nel contesto di una valutazione assai prudente di queste fonti agiografiche: Delehaye 1897, spec. 230. Sulla tradizione e i toponimi connessi alle petrae sceleratae di Roma vedi G. De Spirito, s.v. petra scelerata, in LTUR IV (1999), 80‑81.32 I materiali archivistici relativi alla medievale chiesa di S. Pastore furono collazionati e commentati da Gatti 1882, part. 203 ss., tav. X; qui l’A. riporta un documento del 1462 relativo alle condizioni della chiesa (catasto dell’ospedale dei SS. Sanctorum): “ecclesia s. Pastoris prope S. Clementem, de qua non restat nisi pars tribunae”. Per altre menzioni della chiesa: Armellini 1887, 501; Hülsen 1927, 412‑413; Valentini ‑ Zucchetti III (1946), 287 e IV (1953), 183. La localizzazione topografica della chiesa come ricostruita da Giuseppe Gatti venne accolta da R. Lanciani nella Forma Urbis Romae (1893‑1901), tav. 29 ed, in seguito, universalmente seguita: cfr. Pavolini 1993, 58‑72, fig. 17. Nulla, naturalmente, conferma una qualche dipendenza del nome della chiesa dal toponimo romano e tanto meno una puntuale coincidenza topografica tra i due edifici.33 Sui lacus urbani vedi ora, con fonti e bibliografia precedente, Del Chicca 1997: la struttura generalmente preve‑de una vasca a cielo aperto (il lacus vero e proprio) con uno o più sbocchi d’acqua (salientes) posizionati a creare più o meno complessi giochi d’acqua.Sui lacus di Roma nel complesso della rete idrica urbana: Bruun 1991, 101‑114: 700 realizzati da Agrippa stando a Plin. n.h. 36.121; 591 secondo Front. aq. 78.3 (tra i quali i numerosissimi alimentati dai due acquedotti completati da Claudio, Aqua Claudia e Anio Novus, e riccamente decorati dalla stesso imperatore: Suet. Claud. 20.2); 1352 nel IV secolo come attestano i Cataloghi Regionari.

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rata a temi mitici specifici34. Tra essi, solo per il lacus Orphei, enfaticamente eretto al sommo del Clivo Suburano, le fonti antiche forniscono una descrizione dell’apparato decorativo; la complessa struttura, inoltre, è stata ragionevolmente riconosciuta nella stessa FU marmorea dove verrebbe rappresentata come un insieme di tre bacini circolari affiancati di cui quello centrale maggiore35.

L’eventuale pertinenza della topografia raffigurata nel fr. 18a della FU marmorea al‑l’area del [lacus P]astoris rimane, naturalmente, pura congettura; ma se, come è parso lecito sostenere fino ad oggi in relazione alla sua identificazione tradizionale, la piccola struttura quadrangolare raffigurata sul frammento fosse realmente un lacus – nello specifico un bacino incassato nel terreno, dotato di due scale simmetriche per la discesa e di due pedane idonee a sorreggere gli elementi decorativi della fontana dai quali, eventualmente, originavano i getti d’acqua – l’ipotesi potrebbe farsi, se non più concreta, almeno più accattivante36. Il fram‑mento dovrebbe di necessità appartenere alle lastre che interessano la pendice dell’Oppio verso la valle compresa tra lo stesso colle e il Celio: in questo settore, si osserverà, che tutte le lastre della FU (14, 24, 33) sono a rovescio grezzo proprio come il fr. 18a. Del resto, la rampa gradonata si adatterebbe perfettamente alla pendice del Colle Oppio lungo la Via La‑bicana, mentre la presenza di un portico colonnato potrebbe non contrastare con il contesto monumentale dell’area caratterizzata, come si sa, dal grandioso santuario di Iside che diede nome alla terza regione urbana37.

34 Per i monumenti citati vedi, ad voces, in LTUR III (1996), 165‑173 dove talvolta, ma senza concreti motivi, si riconducono alla tipologia edilizia del ninfeo.35 Mart. 10.20: ... brevis est labor peractae / altum vincere tramitem Suburae. / illic Orphea protinus videbis / udi vertice lubricum theatri / mirantisque feras avemque regis, / raptum quae Phryga pertulit Tonanti ... dove theatrum non deve riferirsi alla forma semicircolare della vasca ma alla complessa scenografia che ne decorava lo sfondo: Rodríguez Almeida 1987, con ulteriore bibliografia dello stesso Autore.36 Le strutture che nella FU marmorea si identificano ragionevolmente con vasche di fontane mostrano forme e dimensioni assai variabili: a parte i piccoli bacini delle fontane pubbliche poste lungo le vie (Carettoni ‑ Colini ‑ Cozza ‑ Gatti 1960, 202‑203) e gli apprestamenti idrici inseriti nei maggiori complessi monumentali (ibid., 69 per la struttura al centro della porticus Liviae?; 73 per gli euripi nel Foro della Pace; ibid., 99 per le vasche nel Serapeo del Campo Marzio; ivi, 114 per gli apprestamenti degli Adonea), nella topografia non identificata si interpretano come vasche di fontana strutture di forma quadrata (ibid., 132, fr. 300ab), ellittica (ibid., 139, fr. 412) e mistilinea (ibid., 156, fr. 674). Per il lacus Orphei vedi nota precedente. Per una rassegna delle fontane antiche (anche del‑l’area romana) rimando a Neuerburg 1965 e Letzner 1999. 37 Il complesso degli edifici riconducibili all’area dell’Iseo dell’Oppio (che si tratti o meno dell’isium Metellinum da alcuni ricercato altrove: discussione in Pavolini 2006, 15‑18) è ora riconsiderato, anche sulla base della docu‑mentazione archivistica, da de Vos 1997, 99‑154 (nella preziosa carta archeologica finale si osserverà: la presenza di rampe di scale in salita dalla valle ove corre la via Labicana verso l’Oppio in corrispondenza di Via P. Villari (fig. 207, n. 1; fig. 208) e quella marmorea con andamento a gomito di via Bonghi (fig. 207, n. 7: per entrambe p. 115). Non mi spingo a suggerire una eventuale collocazione del fr. 18a nel contesto topografico considerato ma osservo che il conflitto di orientamenti che parrebbe verificarsi tra i diversi blocchi di edifici raffigurati sullo stesso frammento della Forma Urbis Marmorea non sarebbe fuori luogo nell’area compresa tra il complesso isiaco (nell’insieme non troppo discordante da quello del padiglione della domus Aurea) e il nuovo orientamento imposto dalle terme di Traiano (il punto di divergenza tra i due orientamenti si fa più sensibile lungo l’asse di Via Mecenate: vedi fig. 207, n. 17 nel lavoro di M. de Vos sopra citato).

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Fig. 1. FUR, fr. 18a, stato attuale (da Steinby 1989, 25, fig. 2).

Fig. 2. FUR, fr. 18a integrato sulla base della fotografia pubblicata al momento della scoperta in Lan‑ciani 1882 (da Steinby 1989, 24, fig. 1; disegno di G. Foglia).

A pagina seguente:Fig. 3. FUR, stato generale della ricostruzione secondo Rodríguez Almeida 2002, tav. XII: il fr. 18a attribuito alla aedes Castoris en‑tro la lastra 49. In alto a destra, le lastre 7, 8, 16, 17, 26 e 27 entro le quali cadrebbe, verosimilmente, il vicus Compiti Pastoris sul ver‑sante settentrionale del Piccolo Aventino. Al centro in alto, le la‑stre 14 e 24 entro le quali sarebbe da ricercare il lacus Pastoris alla pendice meridionale del Colle Oppio.

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