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Il cammino da innamoramento ad affetto ad amore. L'autonomia, la routine del quotidiano, la crisi, il perdersi e il ritrovarsi, la fedeltà sostanziale, la fedeltà affettiva e sessuale, la fedeltà esistenziale, la scoperta dell'amore.
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il Sentiero contemplativo
www.contemplazione.it | dalsilenzio.blogspot.it
La coppia e la scoperta dell’amore
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Le ragioni di un incontro
Sospinti da che cosa i due si incontrano?
Certamente perchè si piacciono: che cosa significa? Che
hanno caratteristiche estetiche, temperamentali, culturali
compatibili. Sufficientemente compatibili.
L’elenco delle ragioni pratiche, fisiche, psicologiche per
cui i due si incontrano potrebbe essere lungo ma a noi
non interessa approfondire, la tesi che vogliamo sostene-
re è un’altra.
I due si incontrano perchè solo sperimentando assieme
possono conoscere se stessi e vivere le trasformazioni ne-
cessarie al loro sentire.
Nessuno si incontra per fortuna o sfortuna, nessuno in-
contra la persona non adatta: ciascuno incontra la perso-
na che in modo più efficace le sarà collaboratrice, pungo-
lo, motivo di svelamento e di trasformazione profonda in
quella stagione della propria vita.
Anche quando il rapporto che poi si svilupperà sarà fati-
coso e pieno di conflitti, da quella fatica potrà essere e-
stratto il necessario per il proprio cammino esistenziale.
So che non pochi rapporti sono non solo faticosi ma an-
che violenti, ed immagino che chi legge, a partire da que-
ste esperienze, muova un’obiezione alla tesi che sostengo.
Sarà un tema che affronteremo più avanti e di certo sarà
stimolato dagli interventi.
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Due persone, sospinte dalla forza dell’innamoramento, o
da una affinità esistenziale – ricordo che non tutti si met-
tono assieme perchè innamorati – decidono di aprire la
loro personale ed intima officina.
I mobili che acquistano, la casa, gli abiti, le mutande con
quelle particolari caratteristiche, le lampade, le tende alle
finestre, i biscotti della colazione, i programmi tv da
guardare assieme, l’odore delle lenzuola, le mille abitudi-
ni e i mille riti, gli scontri e gli avvicinamenti, il perdersi e
il ritrovarsi sono i componenti di questa officina.
I vestiti del giorno e il loro pigiami sono le loro tute:
quando i due operai aprono gli occhi al giorno che inizia,
aprono anche la porta a vetri della loro officina esisten-
ziale. Quando, a notte più o meno tarda, scivolano nel
sonno chiudono anche la porta della loro officina.
La vita di coppia è sviluppo e conoscenza di molteplici
processi esistenziali. Messa così può sembrare poco ro-
mantica, forse ci piace pensare che la vita assieme sia una
formidabile avventura eccitante, gratificante, profonda-
mente fusionale. E’ un sogno che contiene in sé un brusco
risveglio.
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Conoscersi
Fino a quando i due non condividono il quotidiano non
inizia il processo del conoscersi.
La prima fase del rapporto è condizionata dalla fenome-
nologia dell’innamoramento dove il racconto della mente,
delle emozioni e delle sensazioni condizionano in modo
prevalente l’esperienza.
La condivisione del quotidiano scardina il racconto della
mente e apre sulla possibilità di accedere ad elementi di
realtà.
Noi ci sveliamo, l’altro si svela: cos’è lo svelamento?
L’apparire del limite, e della consapevolezza di esso, nelle
sue mille declinazioni.
Che cosa mostra il limite? Il cammino esistenziale nostro
e dell’altro, il non compreso su cui siamo impegnati, la
sfida esistenziale che diventa pungolo quotidiano.
Il processo del conoscersi è il divenire lucidamente con-
sapevoli di dove stiamo andando singolarmente e come
coppia sul piano esistenziale:
- il limite personale mostra la direttrice della ricerca;
- il talento, gli aspetti del vivere che ci risultano facili mo-
strano il patrimonio di partenza, sottendono il già com-
preso, l’ambito in cui non dovremo faticare;
- le dinamiche del rapporto tra i due svelano non solo i
compiti personali ma l’ecologia più generale della coppia:
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il rapporto ha un valore in sé e va protetto e custodito
imparando a preservarne gli equilibri.
Conoscersi è innanzitutto imparare a rispettarsi.
Il limite dell’altro mi pesa, il giudizio mi oscura lo
sguardo, l’insofferenza mi scuote, poi mi ricordo: “Come
sono io agli occhi dell’altro?”
Questo si ripete cento volte al giorno, pian piano i due
imparano a non levare le armi affilate del giudizio, a pie-
gare la testa nelle situazioni, a tacere.
I primi passi del rispetto.
Conoscersi è infine aprirsi al mistero: in una vita vissuta
assieme ciò che dell’altro avremo conosciuto sarà soltanto
un piccolo aspetto della sua superficie: ciò che invece, at-
traverso l’altro, avremo conosciuto di noi sarà il dono più
grande che avremmo potuto ricevere.
Il progetto
Non riesco ad immaginare una coppia senza un progetto,
una direttrice d’esistenza comune.
Se la coppia è l’officina in cui i due operai conoscono e la-
vorano il proprio limite accogliendolo, integrandolo, tra-
scendendolo, è anche il campo base dal quale i due parto-
no per la ricerca che sempre conduce al mondo e da esso
si fa fecondare.
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Se la coppia è autoreferenziale diventa asfittica; se non si
nutre di cultura, di arte, di politica, di spirituale costrui-
sce giorno dopo giorno le sbarre della propria prigione.
La coppia è il luogo della scoperta dell’altro da sé, chiun-
que questo altro sia: se essa non nutre questo interesse
per l’altro, se di esso non sa occuparsi e con esso coinvol-
gersi, se si illude di essere autosufficiente, è già morta.
Il progetto comune, qualunque esso sia, nasce dalla con-
sapevolezza che i due non si bastano: che dal campo base
si parte e si ritorna e se non c’è una forte interazione con
l’altro da sé, con il mondo, i viveri presto finiscono e
l’acqua pure.
Il progetto è un “essere protesi”, il coltivare uno slancio,
l’allevare in sé e nell’organismo costituito dai due il seme
della generosità.
Una coppia senza un progetto è come un paese privo della
capacità di immaginarsi diverso da quel che è: i suoi
componenti/cittadini se ne andranno.
I due non stanno insieme per il sesso, per il lavoro, per
pagare il mutuo, per andare a cena con gli amici, questo
non basta: stanno e rimangono assieme se hanno un col-
lante esistenziale, se sanno reciprocamente intessersi
d’esistenza.
Non ci si intesse da soli, né come individui, né come cop-
pia: chi abita di fronte a me, chi sopra? Come se la passa
il mio collega d’ufficio? Perchè il giornalaio stamattina
aveva gli occhi lucidi?
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Una coppia di persone è come una coppia di polmoni: a-
spirano assieme l’aria del mondo e così facendo nutrono
la linfa del loro procedere ciascuno conoscendo e tra-
sformando innanzitutto sé.
La routine del quotidiano
La grande piallatrice. La convivenza dopo settimane o
mesi conduce inevitabilmente all’esperienza della routi-
ne.
Per alcuni questa è rassicurante, per altri, i più, depri-
mente.
La mente/identità, per sua natura, ha bisogno di stimoli:
la routine rende ogni aspetto del quotidiano uguale a se
stesso.
L’altro che ci vive a fianco inizia a non essere visto più
come colui o colei su cui è incernierato il nostro progetto
d’esistenza, inizia ad apparire sbiadito nei suoi contorni,
parte integrata nell’ambiente domestico incapace di pro-
durre stimoli tali da porlo in rilievo.
Le sue manifestazioni ci appaiono come già note e mentre
affiorano le etichettiamo come conosciute, ripetute, insi-
stite, disturbanti.
Un caffè la prima volta è un’esperienza, alla trecentesima
un fatto ovvio e non degno di nota; il sesso diventa una
pappa riscaldata; la sclerata, una delle tante.
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Ogni aspetto del quotidiano si appiattisce e si svuota di
senso: noi, l’altro, gli accadimenti tutto sbiadisce e si ap-
piattisce nel mare calmo della non rilevanza.
La routine è una delle più grandi sfide nella vita della
coppia e, non di rado, porta a smarrire la consapevolezza
delle ragioni stesse dello stare assieme.
In sé, come esperienza, appartiene alla fisiologia
dell’identità e viene sperimentata in ogni ambito della vi-
ta, non solo nella coppia.
Da dove tre origine? Dal giudizio della mente sui fatti.
Ogni fatto del quotidiano è etichettato, parametrato, ar-
chiviato: quando quel fatto si ripresenta nelle sue caratte-
ristiche salienti non viene visto e vissuto in sé, ma viene
richiamata dall’archivio la sua esperienza e la mente dice:
“Lo conosco, già vissuto, non può produrre niente di rile-
vante!”
Quel giudizio toglie valore all’accadere, lo rende simile a
tutti gli altri e crea il film sbiadito della routine.
E’ necessario vedere l’etichetta che la mente appone sui
fatti e non abilitare oltre l’operazione; è necessario dive-
nire consapevoli che la vita è fatta di piccoli fatti e se, ad
uno ad uno, questi non vengono vissuti, la vita stessa non
viene vissuta.
La routine ci svela uno dei meccanismi di fondo
dell’identità, il suo proiettarsi nel passato o nel futuro alla
ricerca di fattori eccitanti e significanti, rifuggendo
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dall’accadere del presente che, a priori, viene etichettato
come non rilevante, tranne alcune eccezioni.
Questo conduce ad una inquietudine di fondo, alla fru-
strazione ed alla alienazione dalla propria vita: inizia
l’inquieta ricerca dell’eccitante che porterà, il più delle
volte, a farsi male.
Se la persona non comprende che la vita accade ora e mai
più; che quel fatto è il primo e l’ultimo, l’unico che valga
la pena di vivere; che la realtà non è quella contenuta nel-
la mente ma quella che accade e che sollecita i sensi,
l’emozione, il pensiero, il sentire proprio adesso: se que-
sto non viene compreso la vita della coppia si immiserisce
perchè la vita del singolo diviene vuota, viene da se stesso
svuotata.
Non ci sono tecniche ed esercizietti, è necessario aprirsi
su un dato evidente quanto banale: la mente con le sue
aspettative e le sue pretese vela l’accadere della vita e la
rende invisibile al nostro esperire.
Se siamo capaci di vedere il racconto della mente e da es-
so disconnettiamo l’attenzione, subito affiorerà ciò che è
sempre stato lì: l’essere delle cose, dei fatti; il senso che
essi portano, la bellezza intrinseca a ciascuno di essi, la
pienezza del semplice gesto del respirare.
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L’autonomia
Il ritmo vicinanza/lontananza consolida i due nelle relati-
ve autonomie.
E’ vero che la coppia è un organismo con un suo respiro e
una sua direzione esistenziale, ma è anche vero che i due
sono cammini esistenziali differenti: dalle stesse scene e-
straggono insegnamenti differenti.
Se la coppia è il campo base, la vita di ciascuno dei due si
sviluppa lungo i sentieri che salgono e scendono dal mon-
te, ciascuno per il proprio sentiero, con i propri spazi a-
perti, le proprie boscaglie, le proprie fiere e le proprie
sorgenti.
I due camminano e sperimentano lungo i loro personali
sentieri e ritornano al campo base, il loro patto prevede il
ritorno alla tenda.
La vita comune, se è sana, sviluppa l’autonomia, la capa-
cità di esporsi e di osare dei suoi membri: l’una invita
l’altro, e viceversa, a non sedersi, a non appiattirsi, ad an-
dare incontro alle situazioni che nell’intimo vengono av-
vertite come importanti.
I due coltivano gli interessi comuni quanto quelli perso-
nali, sanno camminare insieme come allontanarsi per le
loro, personali, esperienze.
L’allontanamento dal campo base all’inizio produce il do-
lore della separazione, ma questo è necessario e vitale:
l’equilibrio non è una linea continua, è una sinusoide fat-
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ta di vicinanza e lontananza, di un venire e di un andare,
di un esserci e di un mancare.
Se l’altro c’è sempre come può crescere la propria capaci-
tà di affrontare i mille volti del reale? Se viene meno la
stampella, si cade?
L’altro non può, non deve esserci sempre: deve avere la
sua vita, il suo sentiero e deve, a volte, mancarci affinché
noi lo si possa scoprire nella funzione che svolge al nostro
fianco; un rapporto è composto di due vite che si incon-
trano, non è un’entità fusionale.
Nell’intimità del campo base i due sedimentano ed elabo-
rano i vissuti personali, si confermano e confortano a vi-
cenda, lasciano emergere gli angoli più scuri del loro es-
sere e iniziano a lavorarli.
La vita di una persona è una e non si può frammentare
tra il dentro e il fuori la coppia, tra casa e lavoro, tra par-
tner e amici: la vita è una perchè tutte le esperienze tra-
sformano il sentire che è la matrice di tutti i fatti vissuti; è
questa trasformazione continua che costituisce la perso-
na, le sue relazioni, le sue sfide, il suo esserci.
La persona sperimenta dentro e fuori la coppia, a volte in
modi che sembrano contraddittori e, a seconda degli am-
bienti in cui è collocata, affronta aspetti diversi di sé e del
proprio non compreso.
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Il conflitto
Non voglio analizzare le ragioni del conflitto, mi interessa
sottolinearne due aspetti:
- l’ineluttabilità;
- la funzione.
Ovunque esista identità, esiste conflitto: avendo l’identità
la necessità di definirsi e di sentirsi esistente, nella rela-
zione di coppia si confrontano due di queste necessità e
un certo grado di attrito è inevitabile.
Come prende forma, si sviluppa e cosa produce il conflit-
to?
1- la levata di scudi, l’inalberamento, esperienza ben nota
a tutti: di fronte ad una affermazione o ad un comporta-
mento dell’altro si accende uno stimolo ad erger-
si/manifestarsi/contrapporsi.
2- l’arroccamento: la costruzione del fortino e la dife-
sa/attacco.
3- il riposizionamento: la rappresentazione delle rispetti-
ve istanze identitarie può condurre ad un ridimensiona-
mento delle stesse.
Questo ultimo punto mi interessa: i due, dopo la prova
muscolare si ammansiscono e si aprono ciascuno
all’istanza dell’altro. Se non si aprono non c’è evoluzione
e il conflitto permane divenendo risentimento od altro.
“Si aprono ciascuno all’istanza dell’altro”: vorrei farvi no-
tare che per aprirci all’altro, alle sue ragioni, al suo punto
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di vista molto spesso dobbiamo passare per il pavoneg-
giamento della nostra singolare posizione.
Come evitare questo?
- Semplicemente vedendo la prova muscolare che si ap-
presta;
- riconoscendola come manifestazione della propria per-
cezione identitaria;
- dubitandola;
- disconnettendola, lasciandola andare.
Naturalmente questo ha valore all’interno di un rapporto,
o di una dinamica identitaria, sani, non distorti patologi-
camente.
Se i due sanno che il conflitto appartiene alle cose, se so-
no dotati di un solido legame e di una buona dose di iro-
nia, questa sarà la chiave determinante per detendersi
quando gli scudi si alzano: sorridere di sé è la chia-
ve. Quasi sempre.
Per non sviluppare conflitto persistente nelle relazioni è
necessaria la consapevolezza piena delle proprie dinami-
che egoiche: se si vede in tempo reale ciò che la propria
mente aggiunge sul reale, il conflitto non sorge.
Per sviluppare questa consapevolezza è necessario che
l’adesione alla propria spinta identitaria sia molto blanda.
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La crisi
La crisi è la manifestazione tangibile della non sostenibi-
lità ulteriore di una lettura della realtà personale e di
coppia.
Quello che va in crisi è la nostra interpretazione, la nostra
lettura dei fatti e dell’altro: se non ci è chiaro questo pro-
durremo solo dolore.
La crisi della coppia è la mia crisi, anche se è innescata
dall’altro:
- come mi interpreto,
- come ti interpreto,
- come interpreto il nostro rapporto,
qui va cercata la causa, la dinamica, la soluzione.
C’è qualcosa che non vedo di me, di te, del nostro stare
assieme o, se lo vedo, è distorto dalla mia comprensione
egocentrica.
La crisi nella coppia rimette dunque in discussione, in
modo più o meno profondo, la disposizione interiore dei
due e li costringe ad un mutamento e a ricollocarsi su un
altro piano e con un’altra modalità.
Vi chiedo: c’è qualcosa di più importante, di più trasfor-
mante di una crisi?
Il sentirsi messi in discussione, il doversi analizzare, il
dover riflettere sul proprio limite, sulla propria limitata
visione non è una delle cose più importanti e produttive
interiormente che ci possa accadere?
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Perchè abbiamo paura delle crisi? Perchè ci tolgono delle
certezze? Quali, quelle di vivere da sepolcri imbiancati fa-
cendo finta che sia normale?
La crisi scoperchia il sepolcro e mette a nudo l’ipocrisia:
ogni crisi ci rende più autentici, le persone cambiano e
migliorano perchè vanno in crisi.
Ogni volta che una nostra certezza, una nostra consolida-
ta e soporifera abitudine viene messa in discussione, una
distorsione viene svelata, un limite mostrato dobbiamo
imparare a provare gratitudine verso chi l’ha prodotta,
verso la situazione che l’ha generata.
La coppia è una grande officina di trasformazione
dell’interiore e la crisi dei suoi componenti e delle loro
dinamiche è l’elemento che ciclicamente provvede alla
pulizia, al rinnovamento, alla rigenerazione, al morire e al
rinascere.
La crisi ci ricorda la necessità di abbandonare parti di noi
affinché altro emerga, ci mostra il nostro volto cangiante
e ci stimola a perseverare nel processo del rinnovarci sen-
za sosta, mai considerando l’acquisito come permanente:
come tutto nella vita, la crisi ci insegna l’impermanenza,
la responsabilità, il lasciar andare, la disposizione ad ab-
bandonare ogni attaccamento.
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La relatività del rapporto
Nel tempo il rapporto si trasforma da assoluto in relativo;
tutto, con il trascorrere delle esperienze, si trasforma da
assoluto in relativo:
Il sacro fuoco diviene semplicemente un fuoco; l’altro, su
cui avevamo confidato tanto, diviene semplicemente
l’altro.
Certo, non un altro qualsiasi, non sto parlando di questo,
ma non è più colei o colui che conferisce senso alla nostra
vita: nell’innamoramento così ci era sembrato che fosse.
L’altro viene vissuto e percepito nella sua complessità e
nel suo limite; noi impariamo a viverci nella nostra com-
plessità e nel nostro limite: una quantità quasi infinita di
cose cambiano diventando grandi, quando in noi matura
uno sguardo adulto.
Il rapporto non è più il totem, diviene un fatto importan-
te, fondante, ma un fatto.
Nel perdersi e ritrovarsi ciclico, nella fascinazione e nel
rifiuto, nell’avvicinarsi e nel bisogno di distanza prende
forma un rapporto non fondato sull’attaccamento e sulla
dipendenza: come è evidente, attaccamento e dipendenza
procedono assieme ma le molte sberle, quando non la
comprensione spontanea, ci inducono al superamento di
entrambe.
Per un po’ ci sembra di scollarci, di allontanarci e di per-
derci irrimediabilmente, poi cominciamo a comprendere
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che sta nascendo altro, qualcosa di molto importante; il
rapporto sta germogliando in ciò che è, nella sua natura
più profonda: le emozioni, gli affetti, il pensiero di noi
sono relativi, limitati, transitori, in continua mutazione;
ciò che dura, e pian piano si svela, è ciò che precede que-
sti, l’esperienza esistenziale, la trasformazione del sentire,
il cambiamento in profondità.
Il rapporto viene percepito allora come relativo dalla
mente/identità, officina insostituibile dalla coscienza: se
appoggiamo lo sguardo sulle valutazioni e sulle conside-
razioni della mente ci perderemo; se ascoltiamo il sentire
che in noi svela il livello più profondo, entreremo nella
vera natura dello stare insieme.
La fedeltà sostanziale
I due hanno preso degli impegni, quello della fedeltà re-
ciproca è uno dei più importanti, in gran parte dei rap-
porti è la condizione di base perchè si sviluppi quel clima
di fiducia che permette di procedere assieme.
Noi parliamo di almeno tre livelli di fedeltà: la fedeltà so-
stanziale, la fedeltà sessuale ed affettiva, la fedeltà esi-
stenziale.
Ognuno di questi tre livelli è un processo, qualcosa che
prende forma nel tempo e attraverso le esperienze:
all’inizio di un rapporto la fedeltà è facile, con l’avvento
della routine può divenire più complicata.
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Ci sono persone che mai nella loro vita valicheranno il
confine dato; ce ne sono altre che invece lo valicano spin-
te da una inquietudine, da una necessità, da una curiosi-
tà.
Quando la mattina si esce di casa e si lascia alle spalle la
rappresentazione che chiamiamo “coppia”, si entra in
un’altra rappresentazione che chiamiamo “lavoro”: ogni
teatro tende ad avere le sue regole e i suoi confini, non è
detto che sul lavoro la persona abbia gli stessi atteggia-
menti che ha a casa.
Quante “persone” coesistono in noi? Una? Quale ingenui-
tà.
Nella molteplicità delle spinte e dei bisogni, delle paure e
degli slanci che caratterizzano quella persona che chia-
miamo con il nostro nome, che crediamo unitaria e che
tutto è tranne che unitaria, vengono generate scene diver-
se a seconda dei diversi teatri in cui opera.
La persona si trova ad affrontare nel quotidiano molti a-
spetti del suo non compreso e lo fa grazie alla presenza
dei suoi colleghi di lavoro: quel collega, quella collega che
si presentano e suscitano in me un mondo di emozioni, di
fascinazione o di fastidio, di attrazione o di repulsione, di
seduzione e di coinvolgimento o di indifferenza e lonta-
nanza.
A seconda di ciò che in me non è risolto e compreso, gra-
zie alla presenza di coloro che dividono con me tanto
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tempo e tanta relazione, posso conoscere le mie spinte,
lavorarle, comprenderne la natura.
Vi rammento che la persona comprende attraverso le e-
sperienze: prevalentemente attraverso le esperienze. Se
non sperimentiamo non comprendiamo.
Grazie a coloro che mi stanno attorno posso vedere e la-
vorare ciò che nell’ecologia della coppia non viene alla lu-
ce: la frequentazione di un’altro da me che non è la mia
compagna o il mio compagno, svela aspetti del mio inte-
riore altrimenti sopiti, inconsci, conosciuti solo come
spinta non definita.
Quando siamo esposti al mondo, lontano dalla protezione
della coppia, della casa – di quella rappresentazione do-
mestica – veniamo svelati dall’altro che si presenta e sol-
leva in noi un mondo ancora non ben conosciuto, com-
preso ed integrato.
La fedeltà sostanziale è l’attraversare questo percorso del
quotidiano in un equilibrio instabile, nella fragilità evi-
dente, nel dubbio su di se e sul rapporto consolidato sen-
za superare il confine.
La fedeltà sostanziale è tornare la sera a casa, fatto non
scontato; è guardare il proprio partner e dire si, va bene,
con te.
La fedeltà sostanziale è quella che ogni giorno trova la
possibilità di conferma, che tutti i giorni si rinnova: que-
sto rinnovamento non è un dato a priori, è qualcosa che ci
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sfida e ci interroga ogni volta che andiamo nel mondo e
da esso torniamo.
La fedeltà affettiva e sessuale
Premessa
Chi scrive ha in mente una gerarchia (immaginate un tri-
angolo) della fedeltà che vede alla base la fedeltà affettiva
e sessuale; nell’area della mediana rilevanza la fedeltà so-
stanziale; in quella apicale la fedeltà esistenziale.
Man mano che si sale la fedeltà diviene più coerente:
nell’area di base e in quella mediana è soggetta a molte
contraddizioni.
Ciò che per sua natura è mutevole e volubile, come le e-
mozioni, gli affetti, i pensieri è soggetto ad una sperimen-
tazione molto vasta, per un lungo tratto di strada esisten-
ziale.
Come sperimenta la coscienza, come comprende? Attra-
verso le esperienze. Come acquisisce dati? Utilizzando i
suoi corpi: la mente, le emozioni, le sensazioni, l’azione
per realizzare scene dalle quali estrae le informazioni che
le necessitano.
La coscienza non sa tutto, l’Assoluto sa tutto; la coscienza
genera le scene del film che chiamiamo vita perchè ha bi-
sogno di comprendere, perchè sente in sé la non com-
prensione e la spinta a superarla, a completarla.
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E’ la coscienza che crea la realtà a seconda delle sue ne-
cessità, non l’identità il cui libero arbitrio è un dettaglio.
E’ fondamentale comprendere questo se si vuole smettere
di andare in giro giudicando sé e tutti quelli che ci stanno
attorno: ciascuno vive ed opera a seconda delle necessità
del proprio sentire.
Se questo ci è chiaro allora possiamo guardare alla realtà
con gli occhi della compassione e non con quelli del giu-
dizio.
Quando una coscienza ha completato attraverso le espe-
rienze lo spettro del proprio sentire, smette di generare il
film, esce dalla necessità di esperire nel tempo e nello
spazio, vive il suo cammino incontro alla comprensione
della sostanziale unitarietà del tutto senza la necessità di
una identità e dei suoi veicoli.
Fino a quando veste una identità è soggetta
all’apprendimento e non si apprende con le mani legate
dalla morale. Si apprende sperimentando, osando, sba-
gliando.
In realtà, una coscienza che sperimenta quando non sa,
non sbaglia, semplicemente prova. Quand’è che sbaglia?
Quando ha già molti dati a disposizione e potrebbe gene-
rare scelte differenti ma, essendo soggetta alle necessità
che l’identità rivendica, non è in grado di discernere con
avvedutezza.
Quindi anche nell’errore c’è un deficit di comprensione di
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una coscienza. L’identità mette in atto delle spinte ma la
gestione di queste competono il sentire.
Tesi
Questa lunga premessa per dire delle cose molto sempli-
ci:
- la fedeltà affettiva è relativa;
- la fedeltà sessuale è relativa.
La persona, che è unità di coscienza ed identità, speri-
menta, conosce, comprende.
Le spinte e le esperienze affettive e sessuali, nella concre-
tezza della vita del quotidiano, prendono forma e accado-
no nella coppia e fuori di essa.
Questo è un dato di realtà, a poco serve combattere la re-
altà. E’ giusto che sia così? Non è né giusto, né sbagliato,
è così.
Quando la fedeltà di un partner viene meno inevitabil-
mente sorge un problema: se i due hanno un po’ di sale in
zucca evitano di farsi a pezzi e incominciano a interrogar-
si sulle rispettive responsabilità, sulla natura di quella e-
sperienza, sul perchè l’altro ha sentito la necessità di vi-
verla.
Se la ferita all’identità, il tradimento della fiducia subito,
non prendono il sopravvento ed oscurano la visone della
realtà esistenziale che si cela dietro all’accaduto, i due
possono imparare molto, possono conoscersi molto.
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Le ferite conseguenti ad un deficit di fedeltà sono ferite
identitarie: tutto ciò che avvertiamo sia venuto meno è
all’interno della lettura, della interpretazione personale
della realtà del rapporto, è ferita a noi, alla nostra integri-
tà identitaria,
Ma un rapporto viene vissuto per costruire integrità iden-
titarie o è un processo esistenziale?
Un rapporto è l’officina delle coscienze di cui le identità
sono manifestazione, o è il mercato del “Mi riconosci/non
mi riconosci”?
La non fedeltà è endemica al rapporto, questo non signi-
fica che sempre e in tutti i rapporti venga sperimentata,
significa che non è un accidente ma un’esperienza che ac-
cade, da inserire nell’ampio spettro delle molte esperien-
ze necessarie sulla via della comprensione dell’amore.
I due, nella coppia, proveranno ad essere fedeli l’un
l’altra: proveranno e, augurabilmente, ci riusciranno.
Proveranno e potrebbero non riuscirci: allora avranno
una nuova occasione di confronto, di investigazione, di
consapevolezza, di comprensione.
Se non cadranno in balia delle loro rispettive ferite identi-
tarie, potranno imparare molto e il loro rapporto potrà
rinnovarsi ed entrambi scoprirsi diversi e cambiati
dall’accaduto.
24
La fedeltà esistenziale
Come abbiamo più volte detto, la coppia è un’officina esi-
stenziale: i due lavorano il non compreso in sé grazie alla
presenza dell’altro e allo svelamento che questo produce
senza sosta.
La fedeltà esistenziale è il fattore che tiene aperta
l’officina: qualunque sia il limite dei due, oltre le proprie
cadute e i propri ragli l’officina rimane aperta finchè essi
riconoscono il processo esistenziale che li lega.
I rapporti di lunga data sono tenuti assieme da questo,
non certamente dal mutuo, dal sesso e non soltanto
dall’affetto: quest’ultimo, se non è il frutto
dell’attaccamento e della mancanza di autonomia, è
l’aspetto visibile del legame esistenziale.
Qualsiasi siano le dinamiche della fedeltà esistenziale e di
quella affettiva e sessuale, i due tornano a casa, magari
affaticati, magari appesantiti ma tornano a casa, reitera-
no l’impegno, rinnovano l’officina comune; quando non ci
sono più le condizioni per tenerla aperta, e molto spesso è
l’identità a stabilire che le condizioni sono venute meno,
non la coscienza, allora i due si lasciano e l’officina viene
chiusa, il legame esistenziale transitoriamente sospeso.
Il processo interiore dei due, il lavoro sul non compreso,
continuerà con altri partners o nella solitudine.
Il rapporto di coppia è un rapporto esistenziale.
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Il rapporto con i genitori e i figli è un rapporto esistenzia-
le.
Il rapporto parallelo con un terzo/a è un rapporto esi-
stenziale.
Tutto ciò che un uomo e una donna vivono ha valenza e-
sistenziale perchè tutto trasforma il sentire, tutto ci rende
persone diverse, tutto ci aiuta a comprendere.
Il tradire e l’essere traditi ci trasforma, come il conflitto e
la quiete, la sincerità e la bugia.
Il vendere il nostro corpo e il comprare il corpo di
un’altro/a ci trasforma; l’ipocrisia e l’ignoranza ci tra-
sformano.
Non c’è scampo: là dove la mente vede solo letame noi
vediamo possibilità. Solo i bambini dell’interiore possono
vivere nell’illusione del giusto e dello sbagliato, la realtà
delle persone non è in bianco e nero, estrema è la creati-
vità e la molteplicità delle vie che il sentire genera per
comprendere ciò che gli è necessario.
Se i due, nella coppia, hanno compreso la natura esisten-
ziale e trasformativa del loro stare assieme, molto po-
tranno integrare, accogliere, perdonare.
Vi prego di riflettere sull’esperienza e sulla natura del
perdonare: questo termine, violato ed abusato, ha un va-
lore molto alto perchè esprime l’esperienza della com-
prensione avvenuta, la fine di un processo doloroso che
non conduce al fiele o all’annichilimento, ma all’inchino
al cammino dell’altro.
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Concludendo questa serie di tre post sulla fedeltà sono
consapevole che le menti di alcuni lettori piegheranno le
mie parole ai loro bisogni di comodo alla ricerca di giusti-
ficazioni per il proprio operato: ciascuno faccia come cre-
de e si narri la realtà come vuole ma, se può, provi a non
nascondersi a se stesso e al processo esistenziale che lo
attende.
Il prendersi cura. L’esperienza dell’amore
Il cammino comune dei due giunge, può giungere, ad una
maturità: liberato da tutto ciò che le menti dei protagoni-
sti hanno aggiunto sulla natura di esso, su sé, sull’altro
può finalmente emergere il tessuto di comprensioni cui il
rapporto ha dato luogo.
Quando è divenuto ai due evidente che la loro unione è
un processo, ed un fatto, esistenziale, questa consapevo-
lezza che è maturata attraverso le esperienze mostra ora i
propri frutti: l’accoglienza, l’accettazione, il non giudizio,
la compassione.
Nomi diversi dell’amore.
Diviene chiaro ora, e solo ora, che quello che i due chia-
mavano amore, era solo innamoramento; quello che
chiamavano amore era solo affetto; quello che chiamava-
no amore era solo sesso.
Ora i due comprendono che c’è qualcosa di molto più va-
sto che è fiorito in loro e che contiene innamoramento,
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affetto e sesso e, nel contempo, non sa che farsene di que-
sti perchè, contenendoli, li supera ed è altro da essi.
Come una persona è più del suo corpo, delle sue emozioni
e del suo pensiero, così l’amore è più, e radicalmente di-
verso, da innamoramento, affetto e sesso.
Ora ai due appare chiaro che tutto ciò che avevano in pre-
cedenza sperimentato era condizionato dai loro bisogni e
dalla necessità di essere confermati come individui e co-
me esistenti.
L’amore non si cura di esistere, è la natura di tutte le co-
se.
L’amore non è provato da un soggetto: è la natura della
realtà che attraversa un soggetto. Non si può affermare:
“Io amo”, è un’espressione che contraddice la natura
dell’amore. Si può affermare: “C’è amore”.
L’amore non solo non ha un soggetto, ma non ha nem-
meno un oggetto; non si può affermare: “Ti amo”, si può
invece affermare: “C’è amore”.
L’amore non è un sentimento, non un’emozione, non un
pensiero: tutto questo non centra niente con la natura re-
ale dell’amore, semplicemente lo rappresenta, e non
sempre, non comunque.
L’amore è uno stato di coscienza, una condizione
dell’essere, una comprensione operante.
Certo, nel suo essere esperienza si veste di pensiero e di
emozione ma la sua natura non è quella, non bisogna
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scambiare la forma per la sostanza, la forma è l’abito del-
la sostanza, della comprensione.
L’amore non è rivolto a qualcuno e non è di qualcuno: là
dove c’è amore, non c’è possesso.
L’amore conduce alla scomparsa dell’amante e dell’amato
e lascia che affiori soltanto l’esserci unitario della realtà.
L’amore, nell’umano, diviene compassione: pieno inchi-
narsi di fronte alla natura delle persone e dei fatti; piena
accoglienza, piena comprensione; piena vicinanza.
Infine, l’amore diviene esperienza così semplice e feriale
da divenire non riconoscibile: diviene il semplice “pren-
dersi cura”, piccoli gesti che nulla di eclatante hanno, che
nulla chiedono, che nulla si attendono.
L’amore diviene semplice servire.
Post scriptum: cadute ed opportunismi
Gli ultimi 12 giorni ho scritto un post al giorno sul tema
della coppia: tre di questi post sono dedicati al tema della
fedeltà. Può sembrare al lettore che io relativizzi la que-
stione e nella sostanza affermi: “Dal momento che siamo
limitati e in continuo apprendimento, se ci permettiamo
di venire meno al patto di fedeltà non è un grave proble-
ma!”
Non dico questo ma qualcosa di molto diverso: i due pro-
cedono assieme e tra loro stabiliscono delle condizioni di
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base, una piattaforma di onestà cui fanno riferimento e a
cui, anche quando possono cadere, fanno ritorno”.
L’espressione “anche quando possono cadere” non signi-
fica che si autorizzano a cadere, significa che conoscono
sufficientemente la natura umana e sanno che gli assoluti
non si confanno ad essa.
Non essere prigionieri della morale, che in sé tende a sta-
bilire un assoluto, non significa autorizzarsi a tutti gli op-
portunismi, a quello che ci fa comodo nella ricerca delle
molte gratificazioni, dimenticando il patto di onestà con
l’altro.
Naturalmente dipende qual’è questo patto e cosa preve-
de: i due possono anche avere contemplato il pascolo su
diversi prati e, se questo è l’accordo, chi può dire qualco-
sa?
Se, invece i due si sono promessi coerenza e vicinanza
mantenendo stretti i paletti del cammino comune, allora
a quella condizione di base si sforzeranno di tornare e di
rimanere coerenti.
In copertina: Foto di Robert Doisneau
tratta da: http://www.fotonotiziario.eu/index.php/robert-doisneau/
2 marzo 2014