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Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557 20DANGELO06 Fondatore Giacomo Lodetti / Direttore Giorgio Lodetti / Direttore Artistico Roberto Plevano / Progetto Grafico Franco Colnaghi Anno V, N. 19 • Ottobre-Dicembre 2006 • Galleria Vittorio Emanuele II, 12 - 20121 Milano • Tel. 02 86462321 02 860806 fax 02 876572 Morire a 28 anni, già celebre a un’età in cui non si è ancora uomini, divorato da un’e- pidemia di spagnola che gli aveva strappa- to dalle braccia pochi giorni prima la moglie incinta, per Egon Schiele era forse la conclusione di una sfida. Nello scenario dell’Impero austroungarico che si sgretola- va nella mattanza di una guerra mondiale (1918) e mentre la Secessione viennese organizzava una trionfale mostra retro- spettiva con una cinquantina di sue opere, Era parecchio che desideravo un incontro con Armodio per approfondire quel suo carattere ludico che in realtà rappresenta l’evoluzione estrema e sofisticata del liri- smo figurativo del suo ineguagliabile mae- stro Foppiani, rivisitazione dialettica in cui scompare la figura umana e protagonista è l’oggetto, unico ed emblematico deposita- rio di un’umanità che ormai avvistiamo come lontani segnali di fumo che si alzano da una distesa arida, decriptando i messag- gi di Armodio, scalandone irte simbologie che si ergono a paradossali monumenti alla vulnerabilità umana. Fu così che Armodio mi ricevette nel suo studio, ma purtroppo, proprio l’inizio del nostro incontro venne interrotto da uno squillo del suo telefono cellulare: un impor- tante critico d’arte, di grande levatura intel- lettuale e dai modi soavi, era appena arriva- to a Piacenza e lo attendeva in stazione. Armodio si precipitò a riceverlo per poi condurlo in studio, dove mi pregò di atten- derli entrambi. Così, mentre curiosavo nello studio, avver- to alcune voci : incredibile ! …. dal cumulo di tavole accatastate in bell’ordine esce il Giudice nutrito dalla Giustizia. “Sono stanco di fare il burattino ispirato da una mente suprema, mosso da un filo invi- sibile tirato da quella mano protesa come nella Creazione di Adamo, quella Giustizia che i miei occhi stentano a vedere, come immobilizzati in questa pelle avvizzita da fossile del quaternario! …E poi la toga, il colletto, la parrucca, sembrano bende di carta che si avviluppano a confezionare una mummia! …questo ridicolo uovo sulla testa poi, sarà pure simbolo di fertilità di idee, ma mi fa tanto unicorno”. “Su, non si giudichi proprio lei troppo seve- ramente, apprezzi la sua grazia maestosa” rispondo, ironizzando tra di me nel pensa- re come Armodio abbia magistralmente materializzato la sua idea, creando un esse- re imbalsamato da pregiudizi avvizziti, icona “ortopedica” della rigidezza mentale, ag- gregato di cartilagini sorrette da una impal- catura fossilizzata, ricoperta e protetta da inconsueti drappeggi mistificatori. “Vedrà che Armodio riuscirà a sistemarla in qualche famoso studio di avvocato (suona quasi come una raccomandazione!), qualcu- no che apprezzerà quel senso di autorità che riesce a infondere. Dopotutto lei non porta i segni di quella mutazione genetica che altri soggetti hanno subito, assumendo fisionomie in sintonia con l’attività che svol- gono, manifestando vere e proprie nevro- si somatiche, pensi a Il re delle viti, al Ritratto d’archivista. Metaforicamente imprigionato nella sua arti- ficiale costruzione, si rifugia tra le altre tavo- le, ma ecco spuntare Il libro dei consigli . “Non ce la faccio più a sopportare il mio peso, sono stracolmo di raccomandazioni inutili che cadono nel vuoto inascoltate!”. E in effetti è un enorme libro afflosciato su una mensola di marmo su cui giacciono accatastate lettere alfabetiche logorate dal tempo, frammenti di frasi e di vita troppo spesso ignorate: è un autentico miracolo di morbidezza e tristezza, consunto len- zuolo che avvolge un cadavere occultando cumuli di speranze e promesse deluse. A spezzare quella immobile atmosfera di disastro incombente intervengono due tavole delicate che sembrano farsi com- UN’INTERVISTA ARMODIO…MIO CADEL Egon Schiele, prodigio irripetibile, abban- donava la sua tormentata maschera a un pallido sudario di lenzuola. Erano passati solo dieci anni dal suo precoce debutto, per lui più che sufficienti per diventare un grande. Con lucidità appassionata e una tecnica inedita, amando ardentemente — il terribile impulso che lo bruciava e lo tor- mentava — e genialmente ritraendo essenziali nudità di corpi, dagli anticonfor- mistici autoritratti ai feroci volti di neonati, dalle irriverenti prospettive erotiche alle gotiche posture ischeletrite, egli aveva già patito la guerra, la messa al bando e addi- rittura il carcere, con l’accusa di diffusione di oscenità da parte degli immarcescibili benpensanti e di un giudice ipocrita, ridi- colo Torquemada che bruciò platealmente uno dei suoi intollerabili disegni! "Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artistica- mente rilevante. Diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco." scrive Egon nel suo amaro diario di Neuleng- bach. Il tempo, dopo una serie di censure, ha final- mente fatto giustizia della stupidità umana ricollocan- do l’opera di Schiele ai livel- li più alti dell’arte. Meno di un secolo dopo Cadel (Adelmo Chiapponi), un estroso e vulcanico autore di fotografie bergamasco, ribaltando la prassi che utilizzava la foto- grafia come supporto mnemonico per la pittura, decide di ispirarsi ai capolavori per ricreare un modello fotografico di gusto raffinato, a sua volta pregno di contenuto artistico. L’opera nasce quasi per caso — racconta Cadel — dall’innamoramento per Schiele, uno dei più interessanti e ori- ginali pittori del secolo scorso. All’inizio voleva essere una sperimentazione sull’ag- gressiva distorsione figurativa che Egon usava per rappresentare la fisicità dei corpi e sulla frontalità dei soggetti come emer- genti da un drammatico vuoto, senza rimandi di ombre o profondità prospetti- che, divenuta presto una scommessa con la dolce moglie Angela a riprodurre con altri mezzi la tensione emotiva che spri- gionano le opere di Schiele, sfruttando esperienza e passione maturate nel campo del ritratto glamour, del nudo, della moda e della pubblicistica. Da qui — con- tinua Cadel — la scelta di spostare la pen- nellata dell’artista direttamente sul corpo dei modelli e non sulla fotografia come ini- zialmente immaginato, riecheggiando modi da body art che pretende di utilizzare il corpo direttamente come “materia espressiva”.Trovato un ottimo body painter nell’estroverso e paziente Guido Daniele — sono necessarie varie ore per dipinge- re con appositi (e costosi) colori ad acqua interi corpi — si è presentata molto più ardua la ricerca del cosiddetto casting, che doveva corrispondere ai caratteri somatici dei soggetti originali e, ancor più difficile, 17 scovare e soprattutto convincere i ma- schi(!) a farsi dipingere ignudi ed a lasciarsi fotografare. Le modelle, più professionali e disinibite, venivano più agevolmente sele- zionate tramite agenzie specializzate. Se tuttavia le modelle non avevano remore a denudarsi per farsi pazientemente colora- re e poi riprendere, un problema era SI, si e si, 1998, tempera su tavola, cm 40 x 50 Gi D’A., 1998, tempera su tavola, cm 100 x 60 Self-portrait, 2005, fotografia-body painting, cm 70 x 50 Reclining nude with yellow towel, 2005, fotografia-body painting, cm 50 x 70 Nel cuore dell’albero fronzuto c’è un uccello, di colore smorto, si muove a malapena e non canta; migliaia di verdi si rispecchiano nei suoi occhi. Egon Schiele Continua a pagina 18 Continua a pagina 18

Segrete di Bocca N. 19

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Nasce dall’esigenza sempre maggiore di promuovere la giovane Arte contemporanea Italiana, l’esigenza da parte della storica libreria Bocca di Milano di diffondere sempre più capillarmente il proprio notiziario informativo: Le Segrete di Bocca. Quadrimestrale d’attualità artistico e culturale nato nel duemila come inserto della rivista Arte incontro in Libreria, oggi si emancipa da inserto a Rivista indipendente. Forte della distribuzione gratuita ad oltre duemila nominativi di clienti fidelizzati alla Bocca, diffusi sul territorio italiano, specializzati o semplicemente interessati alle arti contemporanee italiane ed internazionali. La Rivista punta su collaborazioni mirate a migliorare i propri contenuti, attraverso l’avallo e il contributo delle Gallerie d’Arte, oltre che a stringere rapporti di collaborazione con strutture organizzative di prima linea presenti sul territorio nazionale. Forte dell’appoggio di oltre trenta collaboratori, tra cui giornalisti e critici d’arte, è oggi possibile far parte di questo nutrito entourage, formatosi in sette anni di attività editoriale. Insieme saremo in grado di dar voce alle più differenti ricerche nel campo dell’Arte Contemporanea Italiana. La Libreria Bocca sempre in prima linea nella promozione, attraverso il vostro contributo, potrà diventare un faro nella nebbia di questo complicato sistema che è l’Arte Contemporanea. Unisciti a questa nuova iniziativa editoriale e collabora con Le Segrete di Bocca, Artisti in Rivista. Per maggiori informazioni contatta Giorgio Lodetti: 338 2966557 oppure via e.mail: [email protected]

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Per la tua pubblicità chiama Antonio D’Amico 338 2380 938 - Gabriele Lodetti 333 2869 128 - Giorgio Lodetti 338 2966 557

20D

AN

GEL

O06

Fondatore Giacomo Lodetti / Direttore Giorgio Lodetti / Direttore Artistico Roberto Plevano / Progetto Grafico Franco Colnaghi Anno V, N. 19 • Ottobre-Dicembre 2006 • Galleria Vittorio Emanuele II, 12 - 20121 Milano • Tel. 02 86462321 02 860806 fax 02 876572

Morire a 28 anni, già celebre a un’età in cuinon si è ancora uomini, divorato da un’e-pidemia di spagnola che gli aveva strappa-to dalle braccia pochi giorni prima lamoglie incinta, per Egon Schiele era forsela conclusione di una sfida. Nello scenariodell’Impero austroungarico che si sgretola-va nella mattanza di una guerra mondiale(1918) e mentre la Secessione vienneseorganizzava una trionfale mostra retro-spettiva con una cinquantina di sue opere,

Era parecchio che desideravo un incontrocon Armodio per approfondire quel suocarattere ludico che in realtà rappresental’evoluzione estrema e sofisticata del liri-smo figurativo del suo ineguagliabile mae-stro Foppiani, rivisitazione dialettica in cuiscompare la figura umana e protagonista èl’oggetto, unico ed emblematico deposita-rio di un’umanità che ormai avvistiamocome lontani segnali di fumo che si alzanoda una distesa arida, decriptando i messag-gi di Armodio, scalandone irte simbologieche si ergono a paradossali monumentialla vulnerabilità umana.

Fu così che Armodio mi ricevette nel suostudio, ma purtroppo, proprio l’inizio delnostro incontro venne interrotto da unosquillo del suo telefono cellulare: un impor-tante critico d’arte, di grande levatura intel-lettuale e dai modi soavi, era appena arriva-to a Piacenza e lo attendeva in stazione.Armodio si precipitò a riceverlo per poicondurlo in studio, dove mi pregò di atten-derli entrambi.Così, mentre curiosavo nello studio, avver-to alcune voci : incredibile ! …. dal cumulodi tavole accatastate in bell’ordine esce ilGiudice nutrito dalla Giustizia.“Sono stanco di fare il burattino ispirato dauna mente suprema, mosso da un filo invi-sibile tirato da quella mano protesa comenella Creazione di Adamo, quella Giustiziache i miei occhi stentano a vedere, comeimmobilizzati in questa pelle avvizzita dafossile del quaternario! …E poi la toga, ilcolletto, la parrucca, sembrano bende dicarta che si avviluppano a confezionareuna mummia! …questo ridicolo uovo sullatesta poi, sarà pure simbolo di fertilità diidee, ma mi fa tanto unicorno”.“Su, non si giudichi proprio lei troppo seve-ramente, apprezzi la sua grazia maestosa”rispondo, ironizzando tra di me nel pensa-re come Armodio abbia magistralmente

materializzato la sua idea, creando un esse-re imbalsamato da pregiudizi avvizziti, icona“ortopedica” della rigidezza mentale, ag-gregato di cartilagini sorrette da una impal-catura fossilizzata, ricoperta e protetta dainconsueti drappeggi mistificatori.“Vedrà che Armodio riuscirà a sistemarla inqualche famoso studio di avvocato (suonaquasi come una raccomandazione!), qualcu-no che apprezzerà quel senso di autoritàche riesce a infondere. Dopotutto lei nonporta i segni di quella mutazione geneticache altri soggetti hanno subito, assumendofisionomie in sintonia con l’attività che svol-gono, manifestando vere e proprie nevro-si somatiche, pensi a Il re delle viti, al Ritrattod’archivista.Metaforicamente imprigionato nella sua arti-ficiale costruzione, si rifugia tra le altre tavo-le, ma ecco spuntare Il libro dei consigli.“Non ce la faccio più a sopportare il miopeso, sono stracolmo di raccomandazioniinutili che cadono nel vuoto inascoltate!”.E in effetti è un enorme libro afflosciato suuna mensola di marmo su cui giaccionoaccatastate lettere alfabetiche logorate daltempo, frammenti di frasi e di vita troppospesso ignorate: è un autentico miracolodi morbidezza e tristezza, consunto len-zuolo che avvolge un cadavere occultandocumuli di speranze e promesse deluse.A spezzare quella immobile atmosfera didisastro incombente intervengono duetavole delicate che sembrano farsi com-

UN’INTERVISTA ARMODIO…MIO

CADEL Egon Schiele, prodigio irripetibile, abban-donava la sua tormentata maschera a unpallido sudario di lenzuola. Erano passatisolo dieci anni dal suo precoce debutto,per lui più che sufficienti per diventare ungrande. Con lucidità appassionata e unatecnica inedita, amando ardentemente —il terribile impulso che lo bruciava e lo tor-mentava — e genialmente ritraendoessenziali nudità di corpi, dagli anticonfor-mistici autoritratti ai feroci volti di neonati,dalle irriverenti prospettive erotiche allegotiche posture ischeletrite, egli aveva giàpatito la guerra, la messa al bando e addi-rittura il carcere, con l’accusa di diffusionedi oscenità da parte degli immarcescibilibenpensanti e di un giudice ipocrita, ridi-colo Torquemada che bruciò platealmenteuno dei suoi intollerabili disegni! "Nessuna

opera d’arte erotica è unaporcheria, quand’è artistica-mente rilevante. Diventauna porcheria solo tramitel’osservatore, se costui è unporco." scrive Egon nel suoamaro diario di Neuleng-bach. Il tempo, dopo unaserie di censure, ha final-mente fatto giustizia dellastupidità umana ricollocan-do l’opera di Schiele ai livel-li più alti dell’arte. Meno diun secolo dopo Cadel(Adelmo Chiapponi), unestroso e vulcanico autoredi fotografie bergamasco,

ribaltando la prassi che utilizzava la foto-grafia come supporto mnemonico per lapittura, decide di ispirarsi ai capolavori perricreare un modello fotografico di gustoraffinato, a sua volta pregno di contenutoartistico. L’opera nasce quasi per caso —racconta Cadel — dall’innamoramentoper Schiele, uno dei più interessanti e ori-ginali pittori del secolo scorso. All’iniziovoleva essere una sperimentazione sull’ag-gressiva distorsione figurativa che Egonusava per rappresentare la fisicità dei corpie sulla frontalità dei soggetti come emer-genti da un drammatico vuoto, senzarimandi di ombre o profondità prospetti-che, divenuta presto una scommessa conla dolce moglie Angela a riprodurre conaltri mezzi la tensione emotiva che spri-gionano le opere di Schiele, sfruttandoesperienza e passione maturate nelcampo del ritratto glamour, del nudo, dellamoda e della pubblicistica. Da qui — con-tinua Cadel — la scelta di spostare la pen-nellata dell’artista direttamente sul corpodei modelli e non sulla fotografia come ini-zialmente immaginato, riecheggiando modida body art che pretende di utilizzare ilcorpo direttamente come “materiaespressiva”.Trovato un ottimo body painternell’estroverso e paziente Guido Daniele— sono necessarie varie ore per dipinge-re con appositi (e costosi) colori ad acquainteri corpi — si è presentata molto piùardua la ricerca del cosiddetto casting, chedoveva corrispondere ai caratteri somaticidei soggetti originali e, ancor più difficile,

17

scovare e soprattutto convincere i ma-schi(!) a farsi dipingere ignudi ed a lasciarsifotografare. Le modelle, più professionali edisinibite, venivano più agevolmente sele-zionate tramite agenzie specializzate. Setuttavia le modelle non avevano remore adenudarsi per farsi pazientemente colora-re e poi riprendere, un problema era

SI, si e si, 1998, tempera su tavola, cm 40 x 50

Gi D’A., 1998, tempera su tavola, cm 100 x 60

Self-portrait, 2005, fotografia-body painting, cm 70 x 50

Reclining nude with yellow towel, 2005, fotografia-body painting, cm 50 x 70

Nel cuore dell’albero fronzuto c’è un uccello, di colore smorto,si muove a malapena e non canta;

migliaia di verdi si rispecchiano nei suoi occhi.

Egon Schiele

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pagnia. “Noi siamo felici di ciò che rappre-sentiamo, del senso di protezione che riu-sciamo a trasmettere”.Sono due magnifiche opere della serieCaffettiere: la prima Da Arianna, è una caf-fettiera rovesciata sul tavolo al cui interno

è visibile un labirinto (quello di Ariannnaappunto) di carta il cui filo trattiene ilcoperchio; l’illusoria immagine di dolcezzae di scherzosa ironia viene sopraffatta ,come accade in tutte le opere del Nostro,dal pensiero della estrema fragilità di quel-l’oggetto, da quella inaspettata caduta chesvela un labirinto entro cui è facile leggerel’estrema provvisorietà della vita, la tragicapossibilità di scoprire un angolo di infernoanche in paradiso, di imbattersi in unaimprevista, indecifrabile trama di eventi.Anche la carta con cui sono forgiati tuttigli oggetti, i libri, le caffettiere, i fiori, richia-ma questo motivo di manieristico gustoper la deformabilità, vana e sofferta lottaper plasmare un destino imprevedibile,desiderio di stabilità che ritroviamo nellaseconda tavola Sì, sì e sì, dove due caffet-tiere si stringono unite da tre anelli, quasiavvinghiate a pronunciare un triplice sì dieterno matrimonio.Con un clamore d’acciaio entra in scenaGi. D’A. (Giovanna d’Arco): “Io sono la piùforte, salda a terra senza pericolo di caduteaccidentali o di ridicoli rovesciamenti!”.“Sento odor di bruciato!” si azzardano amormorare sornione le altre tavole, allu-dendo al fatto che quegli imponenti stivalialtro non sono che i miseri resti di un’e-roina arsa viva, di una presenza umanaormai cancellata che ha lasciato traccia disé in quegli oggetti, umili e muti testimoni

di una storica avventura: vi è quasi unainterpretazione esoterica dell’oggetto, unlirismo evocativo che cattura l’essenza dichi li animava, magico transfer di persona-lità, quasi un vitale passaggio di consegne,una osmosi emotiva che ne fa un rassicu-rante mausoleo alla memoria.Mentre “Giovanna d’Arco” si ritira ancorauna volta sconfitta dal suo ardore, appareuna delicata composizione di fiori Fiori fuori;quasi con voce supplichevole accenna a untentativo di rappacificazione: “siamo tuttecreature dello stesso padre, cerchiamo difar fiorire un senso di fratellanza, prima opoi finiremo tutte appesea una parete e dovremosepararci!”.Guardo rapito questoautentico miracolo dellafantasia: è una divertenteprovocazione giocata sullaanalogia lessicale e foneti-ca delle due parole e suquel posizionamento ano-malo dei fiori (fuori dalvaso appunto) che nefanno un piccolo gioiellosurreale, inno trionfale eangosciato alla vita, dispe-rato tentativo di aggrap-parvisi nonostante tutto,esattamente come fannoquei fiori sorretti da un

esile filo di ferro che avvolge un improba-bile vaso di carta.Ma ecco rientrare Armodio, senza l’illustrecritico: “non si è potuto fermare, appena iltempo per un caffè in stazione ad illustrar-mi la sua ultima fatica letteraria”.“Anch’io ho bevuto un caffè in compagniadei tuoi quadri, un caffè… sulla carta, e tiassicuro che parlano di te!”Così si conclude la mia intervista, un verosogno… sempre sulla carta!

Aldo Benedetti

razione pittorica, rinculò istin-tivamente tirandosi un tre-mendo colpo sul naso con ilpoderoso battente e finendoall’ospedale con una ferita dacinque punti.L’incolpevole Magda, termina-ta la seduta, fece visita al mal-capitato che trovò qualcheconsolazione nella rinnovataventata di fascinosa femmini-lità. Ma il caso più delicato siera verificato quando un sosiadi Schiele, completamentedipinto a colori sgargianti,forse per freddo e stanchezzasi era accasciato per un malo-re, precipitando tutti in un’im-

barazzata apprensione, nessuno sentendo-si in grado di accompagnarlo al ProntoSoccorso non sapendo come giustificarequel variopinto spilungone svenuto.Fortunatamente per tutti il modello dopopoco si riprese. Per imprimere sulle figurel’intensità del segno di Schiele e le lineeingegnosamente deformanti sui soggettifotografati si è ricorsi alla tecnica del digi-tal art work tramite l’ottima PixelWay checon abilità ed entusiasmo ha preso partealla corale azione creativa. Una delle mag-giori difficoltà incontrate — ricorda Cadel— è consistita nell’“appiattire” le immaginiattraverso lo studio combinato delle luci

per riuscire ad annullare le ombre che ine-vitabilmente i modelli producevano sullosfondo, con ricerca quindi dei fondali adat-ti individuati alfine nella tela da strappo.Unico intenzionale trucco di scena — rac-conta ancora Cadel — vista l’impossibilitàdi ottenere dal modello la condizione ade-

guata, è stato il dipingergli un generosopene in erezione sulla giacca.Tra prepara-zione dei modelli, ricerca delle luci, con-quista di una postura spesso innaturale edifficile, si è riusciti ad eseguire in mediauno scatto al giorno. I lavori ispiratori diquesta operazione “Omaggio a Schiele”sono i disegni a matita e tempera o acque-rellati su carta. La somiglianza con gli origi-nali è sorprendente, tra cui spicca l’incredi-bile specificità del giovane prestato agliautoritratti che ad impressionanti affinitàsomatiche aggiunge una sbalorditiva inten-sità espressiva. Queste invenzioni di Cadel— godibili anche sul sito www.photoca-del.com — nate con dichiarato fine evo-cativo, finiscono per acquisire invece unaloro convincente e compiuta originalità deltutto svincolata dagli archetipi, effondendoil sortilegio di nuove seduzioni. Le attraen-ti creature di Cadel, ideatore di una nuovacategoria dell’arte, verranno finementestampate in esiguo numero di esemplariper una stretta cerchia di intenditori.Subjets vivants scaturiti da una delle piùbelle pagine della storia dell’arte che inve-ce di restare imprigionati nelle cristallizza-te ispirazioni dei capolavori si nutrono difantasiose linfe e sanguigne pulsioni perincantare le nostre complesse concupi-scenti passioni.

Giovanni Serafini

INTERVISTA ARMODIO...MIO

CADEL

Notturno, 1979, tempera su tavola, cm 100 x 70

Da Arianna, 1998, tempera su tavola, cm 40 x 50

Reclining Female nude with legs spread apart, 2005, fotografia-body painting, cm 50 x 70

Seated Women with bent knee, 2005fotografia-body painting, cm 70 x 50

improvvisamente sorto il giorno in cui unadi esse, colta in pieno body painting dalflusso mestruale, era stata costretta adindossare le mutandine, che si era provve-duto a dipingere con un bel color carnemimetizzante e sulle quali si erano dovutiartisticamente pitturare i peli del pube. Unaltro incidente era occorso il giorno in cuiun amico ignaro, aprendo la porta blinda-ta dello studio e trovandosi di fronte lastatuaria imponenza di Magda Gomezsplendidamente nuda in piedi su due se-die, a gambe spalancate durante la prepa-

Chi si “imbatte” casualmente nella persona di EnricoCazzaniga, anche per una sola volta, non lo dimenticapiù. La sua semplicità e purezza interiore, la sua raffina-tezza di modi, la sua delicatezza di spirito, colpisconol’interlocutore al fondo dell’anima. Chi si “imbatte” poinelle opere di Enrico, ancor di più ne rimane toccato estupefatto: la delicatezza, la poesia e la raffinatezzaemergono prepotentemente dalle tele al fondo dellequali si nota ad evidenza una profonda ricerca delmezzo espressivo. Enrico è quel che suol dirsi un arti-sta “puro” nel senso che, accanto alla purezza dell’ani-mo, vi è una purezza della ricerca in senso tecnico.Un artista che unisce nelle sue opere scavo intellettua-le e “scavo” metodologico; ricerca del mezzo tecnico insenso proprio e ricerca interiore senza riserve.Il concetto del “togliere” viene reso in senso pittoricoattraverso una eliminazione di materia e di colore sco-lorendo la stoffa di fustagno nera o blu con candegginae dosando il prodotto in modo da ottenere nuances diluce e di colore sempre nuove e diverse. Il nero delfondo delle sue tele si apre, si distende attraverso inon-dazioni di luce che vanno a formare la scena. Ma que-

sto concetto del “togliere” è unqualcosa che va oltre la pura sottra-zione di materia: è piuttosto unoscavo nella psicologia, nell’animo enello spirito dell’uomo senza orpel-li e senza sovrastrutture ideologi-che. L’uomo si pone nudo davanti ase stesso in una ricerca del sé e delproprio spirito non deformata dasovrapposizioni prese a prestitodalla cultura di massa.Una tensione all’eliminazione del “dipiù”, del superfluo culturale, della mas-sificazione ideologica, della unifor-mità di bisogni e certezze e del sentirecomune, per andare al fondo di se stessisenza riserve e senza paure.La ricerca artistica effettuata caparbiamenteda Cazzaniga da più di dieci anni esprimeproprio la volontà di non lasciarsi uniforma-re da mode e stilemi.Una operazione coraggiosa che vuole indi-care una strada di fuoriuscita dalle “tene-bre” del nero, dalla cecità spirituale, versouna esplosione del proprio spirito, versouna scoperta della luce interiore che altro

non è che una verità del sé senza riserve.Trattasi di un processo quasi psicoanaliticoespresso attraverso un mezzo tecnico-arti-stico e una ricerca pittorica.La non banalità del mezzo tecnico prescel-to si accompagna alla non banalità del mes-saggio espresso che è quello di una ricercadel proprio sentire libera da costrizioni epreconcetti, in pratica, liberata da chiusura ececità spirituale.

Cynthia Penna

ENRICO CAZZANIGA Scavo intellettuale

Togliere al palazzo Governativo - Belgrado, 2004candeggina su fustagno nero, cm 190 x 130

Togliere ai passanti - Berlino Est, 2005, candeggina su fustagno nero, cm 50 x 80

Page 3: Segrete di Bocca N. 19

Grande volto di uomo, 2005, tecnica mista su tavola, cm 180 x120

Segno e volume sono le chiavi per leggerel’arte di Pieralberto Filippi. Risale ai primianni Novanta il tentativo dell’artista mon-zese di definire un vocabolario di lineecontinue e di forme essenziali, potenzial-mente volumetriche, e di concertarle con

infinite varianti nella pittura e nella scul-tura, dando vita a strutture dinamiche

ed eleganti, arabeschi improntatia una spiccata sensualità.Queste masse morbide e curve,

che chiedono — come vorrebbel’artista — di essere accarezzate,

sono agitate da un vento futurista chefavorisce uno scambio continuo tra le

due e le tre dimensioni e accentua lascansione ritmica della materia.

Filippi si concentra su volumidensi ed espansi, valendosi e-sclusivamente di curve e roton-dità, e sempre aderendo, più omeno allusivamente, alla figura-

zione umana. Questa vienecontorta e compressa,oppure dilatata ed estro-flessa, individuandone icaratteri strutturali edevidenziandone le possi-

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Ha le stesse iniziali di Antonello daMessina e le sue opere recenti ne confer-mano una sorprendente analogia formalee di contenuti : questo momento dellaevoluzione artistica di Andrea Martinelli(Prato, 1965), il più geniale esponente eprovocatorio asceta della nuova Figura-zione internazionale, lo consacra comel’Antonello del XXI secolo. Come il gran-de maestro siciliano sembra dar voce airitratti dei propri personaggi, dotatoanch’esso di una rara capacità di introspe-zione psicologica che riesce a fissarne itratti somatici in pieghe dell’anima. Fortedi una eccezionale, raffinatissima tecnica didisegno, Martinelli ha superato la prece-dente esperienza delle “Senescenze”, rap-presentazioni di superbo impatto emotivo,visioni di anziani assunti a un limbo libera-torio, dignitosa anticamera della morte, dicui portano il colore venoso sulle carni , lerughe deformanti sulla pelle, la luce spen-ta negli occhi diafani che invocano atten-zione, implorano quasi perdono per unapresenza ingombrante e fastidiosa, mate-rializzazione inquietante di un incubo sco-modo e ossessivo, di una verità non volu-

ta. Sono i ritratti di persone vicine a Marti-nelli, i cari nonni Dino e Dora, e di serenecreature deformate dagli anni che popola-no un mondo parallelo, inaridito dal tem-po e immerso in un tragico silenzio accu-satorio: la figurazione psicologica di Marti-nelli sa ferirci direttamente, non forniscealibi accomodanti, riscopre quasi la denun-cia sociale di un Morbelli, impegnato aritrarre collettive visioni di anziani desola-tamente abbandonati, tenuti in vita da uncalvario di ricordi che ne accentuano lacondanna a una mortificante incomunica-biltà. Martinelli rifiuta però la passiva ras-segnazione a una corrosiva consunzionetemporale e invoca un orgoglioso riscattoda un’incombente dissoluzione che ci ren-de comunque oscuri protagonisti di uncammino di vita.I ritratti diventano sculture della memoria,di cui noi stessi ci sentiamo inconsapevolicommittenti: quei corpi piegati dal tempohanno una loro dignità statuaria, hannoscritto pagine della nostra esistenza, con-tribuito a garantirci un disperato diritto direplica. Confessioni di mera-vigliosa dolcezza sembranoavvicinarli a noi, alle nostrestesse crisi di identità, mentreci svelano maschere di piran-delliana caratterizzazione usci-te dal palcoscenico buio dellavita, creature della notte illu-minate e ascoltate per pochiistanti, quasi a spiegarci ilsenso della loro recita. Non èperò un “Memento mori”quello di Martinelli, è piutto-sto un “Ecce Homo”, presen-tazione della condizione uma-na di composta dignità, soffer-ta enunciazione di un teore-ma di sconvolgente lucidità:ognuno di noi, pur essendo unvinto in partenza, è un eroequotidiano, illuminato da unlaico bagliore di luce che nedefinisce i lineamenti, ne accen-de le illusioni e ne consegnala memoria.Ecco quindi le ultime operedi Martinelli, sublime e riusci-to tentativo di catturare lapsiche dei propri personaggi,con la stessa perfezione arti-stica, la stessa complice ambi-guità di un Lotto, arricchita

però da un’inquietudine moderna, conta-minata dalla esacerbante e tormentata con-flittualità esistenziale di uno Schiele, dallalacerante e impietosa esperienza figurativadi un Freud, dalla dilaniata e spietata spiri-tualità di un Bacon.“In … viso veritas” potremmo dire varian-do un noto detto popolare, l’attenzione diMartinelli si concentra sui visi, propagginiestreme di un’impronta divina che mette anudo il nostro io, forse il dio sofferenteche si agita in noi, tormentato dal dubbiodi un sacrificio incompreso, di un’inutilesofferenza a riscatto dell’uomo.Il Nostro non solo supera la superba epenetrante impostazione fisiognomicadell’“Ecce Homo” di Antonello, ma nerovescia l’assunto psicologico: non è Cristoche si immola per l’uomo, ma è l’uomostesso che si interroga sulla presenza in sédi Dio, su un destino che ne confonde leavide tracce, che nasconde sul nascere leorme di istanti già cancellati.Osservando le opere abbiamo la possibi-lità di assaporare questo carosello di com-battuta umanità, affollarsi di voci e bruli-cante crocevia di emozioni, dalla scintilla divita che si accende fiduciosa negli occhi deIl ragazzo che guardava lontano, trasmet-tendoci un assetato desiderio di esperien-

ANDREA MARTINELLI Eroi silenziosi

ze, all’inquietante sguardo del triplice ri-tratto Le tre ombre, che assurge a sintesiestrema dell’opera dell’artista, icona digni-tosa e composta di una sfida all’ignoto.Altri ritratti riprendono questo tema dellosdoppiamento, di una angosciante incer-tezza esistenziale che li rende eroi dubbio-si di un giorno, ombre materializzate agliangoli delle strade, evase da un’oscuritàspettrale per entrare nelle nostre coscien-ze con i loro primi piani invadenti, a sugge-rire un messaggio di pietà, a comporre iframmenti di un’umanità segreta e sconfit-ta, come quella descritta dal grande Testori(primo scopritore del talento di Martinelli),in perenne oscillazione tra una terrenadannazione di miseria e un mistico impulsodi ideale resurrezione, equilibristi incerti trasantità e dannazione, angeli incatenati aterra, prigionieri di un corpo che ne vio-lenta la purezza, umiliandoli a una disincan-tata crudezza o forse, come ne L’uomo conla mano sul volto, riscattandoli a comunicar-ci il presagio di un naufragio imminente, madi un approdo sereno.Incantevole il ritratto della madre, una delleultime opere, sublime testamento di toc-cante dolcezza e rarefatta introspezione,autentico miracolo di comunicatività emo-tiva, acceso da uno sguardo che ce nerende tutti figli, struggente annunciazione diun comune passaggio terreno che ci affra-tella e ci illumina con la velocità e il baglio-re di un lampo.

Aldo Benedetti

Volto-ombra IV (o il volto di mia madre), 2005 tecnica mista su tavola, cm 67x49

Il volto del grande nonno III, 2004, tecnica mista su tavola, cm 172 x 112

bili metamorfosi in ele-menti naturali.Infatti l’ingigantimen-to di alcuni dettagliconduce ad esitiradicalmente astrat-ti e inoltre suggeri-sce un’ambiguafusione di compo-nenti umane e vege-tali, un’evoluzionedella vita verso lanatura. Ecco allora la sequenza di pae-saggi morbidie materici, domi-nati da quella medesima matrice ovale cheha generato tutte le figure. Al dialogo ario-so ed equilibrato tra la forma e lo spazio,Filippi affianca, periodicamente, l’effetto dinetto contrasto tra una grezza fisicità e unalinea pura e ordinata. Fondamentale, nellapittura, è il ruolo del colore, con la domi-nanza iniziale di toni blu e bianchi e il gra-duale inserimento, entro campiture bendefinite, di toni squillanti e antinaturalistici:rosso, verde, giallo e arancione. Nella scul-tura, invece, il colore è quello dei materiali

scelti di volta in volta: pietra, marmo, legno,bronzo patinato e terracotta, oltre alpoliuretano dei modelli e alla lamiera deirecenti progetti.Ora l’opera di Filippi attraversa un’ulte-riore maturazione: la pittura tende alla

tridimensionalità e all’aggetto, mentre lascultura aspira alla monumentalità e a undialogo aperto con lo spazio. Non a caso

fra le possibili suggestioni verrebbe da cita-re, oltre ai padri europei della scultura orga-nica (Brancusi, Arp, Moore e il nostro Al-berto Viani con le sue Superfici curve conti-nue), l’astrazione lirica e surreale di GeorgiaO’Keeffe e le fantasie aeree e primordiali diCalder e di Mirò.

Sara Fontana

PIERALBERTO FILIPPI Segnoe volume

Personaggi

Donna seduta

Creature indefinibili, animate da baglioricolorati vibrano impalbabili in un mare ina-cessibile. Non prigioniere dell’abisso, ansio-se di luce, ma paghe della propria solitudi-ne sembrano illuminare di vita il silenzioche le avvolge, senza dominarle. Quella vitache si materializza nell’accurata ricerca delcolore che ora diventa vita, ora prendeforma come dal nulla, in uno straordinarioeffetto di sofficità, pur attraverso tonalitàintense e a volte contrastanti. Immagini cheparlino di un oblio cercato, e conquistato inuna dimensione surreale; e laddove l’anima,sottoforma di uccello, cerca di volare, sem-bra aprire le ali dalle viscere della terra.

Irene Torrisi

GIANCARLO DI SIMONE Oasi metafisichein un mare inviolato

19Senza titolo, 1999, olio su tavola, Ø cm 35

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Scrutare, osservare eimprimere sulla cartasingoli elementi d’iden-tità macrocosmiche;uomini, donne, sguardienigmatici che rifletto-no intenti a noi miste-riosi, movenze che ri-cordano gli attimi imper-

cettibili della riflessione precedente un’azione.Generali e soldati che osservano per agire,uomini virili pronti all’impresa titanica, fanciullenel pieno della loro consapevole bellezza checi lasciano intuire le armonie dell’animoumano. Un cosmo corredato da oggetti inani-mati che circondano la storia e la vivono conun’utilità funzionale alle umane creature.L’artista, in questo viatico di osservazioneacuta, si fa interprete di un mondo a lui lonta-no che lo tange, limitandosi a captare le silen-ti richieste e sigillarle indelebilmente coi colo-ri. Piccoli particolari posti in sequenza, scor-porati dal loro originale contesto, divengonoora un atlante della memoria. Si perpetuanonon più quelle emozioni ormai racchiuse neimeandri della storia, bensì i sentimenti chel’artista ha catturato nel suo acclimatarsi colluogo prescelto e che ci ha voluto trasmette-re per far sì che ogni singolo fotogrammadiventi un vivo ricordo.Tali sono gli intenti diChristophe Mourey che, attraverso 216 dise-gni, ha tessuto il cuore architettonico e strut-turale di Palazzo Cusani a Milano. Il suo è losguardo del contemporaneo orientato a cata-lizzare forme di vita, in questo caso inanimata,per renderli oggetti viventi grazie all’ausilio deldisegno e delle successive sensazioni chesuscitano nell’osservatore. Christophe è l’arti-sta bohemienne che si ferma ad eternare ognisingolo desiderio. Nelle sue performance la

Forme geometriche perfette in cerca di unospazio definito. Si posizionano immutabili eperpetue verso una pluridirezionità che apo-strofa intenti matematici. Il fascino mistericorimane intrappolato dai solchi che scandisco-no la composizone dando vita a un fluidogioco cromatico definito e senza incognitemorfologiche. Il disegno, madre delle arti, èalla radice del progetto, dove l’idea elabora innuce l’esecuzione che diviene operativitàapplicata ed estetizzante.È forse il desiderio di un equilibrio cercato esperato nella quotidianità del sociale? Piemonti,nella sua opera, consolida gli opposti, facendo-ci prendere coscienza che l’arte può sempre,attraverso i suoi linguaggi, proporre una realtàideale che nella quotidianità è solo utopia.

Antonio D’Amico

Pensare che Donatella Ri-bezzo sia solo una pittrice,sia solo una brava illustra-trice, una “dotata”, sareb-be come dire che un cielostellato è solo notte e leluci o il mare è solo acqua,o che la primavera è solostagione. Chi la conosceun po’ e vede i suoi quadri,capisce quanto l’amore ela sua proporzione artisti-ca, siano un’intenzione, unoslancio, un sentimento chediventa freccia mentre l’a-nima è l’arco che lo scoc-ca. Donatella disegna neglianimali il gesto e l’anima, losguardo della leonessa in

caccia, con tutta la sua mistica magia, tuttala sensualita’ di un istinto che diventa rito,sacrificio, magia ancestrale, dramma , poe-sia… Questa tecnica di pittura su piastredi ceramica, molto complessa, della qualebisogna tenere conto per la variazionecromatica ad ogni passaggio tramite la cot-tura, permette di ottenere profondita’ eluminosita’, una particolarita’ che da’ all’ani-male una sensazione di vita.La Ribezzo, non è solo un testimone pas-sivo, una fotografa di animalita’, Lei con lasua pittura cattura l’anima attraverso losguardo dell’animale coi colori te la inchio-da addosso e se non la senti o non riescia vederla è solo perche’ non ci metti ilcuore. Donatella, interiorizza in un pro-

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DONATELLA RIBEZZO L’anima... attraversolo sguardo CHIARA CERATI

cesso empatico profondo il sentimentoanimale per poterlo sentire dentro primae dipingere poi: come un atto d’amo-re…come un amplesso di anime qualco-sa che passa dentro attraverso la sensua-lita’, intesa come comunicazione, comeaccoglienza del messaggio con la natura,come atto d’amore catartico che celebrala vita nella vita, attraverso una profondafisicita’ fatta di ombre e tenerezze dicolori e seduzione…

Maurizio Vignozzi Chiara Cerati oggi offre al pubblico milane-se le sue opere. Milano vanta una tradizionegloriosa e accoglierà quest’artista di delicateforme. I fiori di Chiara Cerati sono il “fiore”perché dei fiori, colgono il profumo, la tra-sparenza e il senso consolante: una specie dipromessa, di augurio di partecipazione allafelicità. Abbiamo bisogno di ottimismo e, inquesti momenti di grandi incertezze, dob-biamo ringraziare chi, come Chiara, lavoranel segno della fiducia. per quanto riguarda iritratti, utilizzando l’impressione cioè la foto-grafia, Chiara Cerati traduce la realtà in valo-re atemporale e non solo istantaneo. Laqualità pittorica è inoltre di primo livello.Complimenti e auguri.

Mario Donizzetti

La prima impressione che si ricava dai pa-stelli di Chiara Cerati è quella di una sbalor-ditiva esattezza nella restituzione dell’imma-gine, che non teme i più impegnativi con-fronti con celebrate fattispecie di un passa-to prossimo remoto.Tanto è catturante e imponente la presenzadel ritratto da voler per sé l’attenzione tuttadel riguardante, nello spazio e nel tempo,grazie ad un virtuosistico conguaglio dell’ac-corto ingrandimento dell’immagine con l’i-stantaneità fotografica della posa (dissimula-tamente colta) che coglie il movimento edunque la vita, riscattandola dalla meccanicaimmortale fissità fotografica grazie a unsapiente capillaregoverno del colo-re, dosato conuna sottigliezza ditrapassi tale dainverare l’osserva-zione leopardianache «il sommo del-l’arte è la natura-lezza e il nasconde-re l’arte».Naturalezza che,come sempre scri-veva il grande poetadell'innocenza per-duta: «Appena sipuò chiamare qua-lità o maniera, nonessendo qualità omaniera estraneaalle cose, ma la maniera di trattare le cose natu-ralmente, o come elle sono». Come dolcemen-te parla in questi volti di un’infanzia ancoraintatta.

Franco GavazzeniIstinto della paura, 2006, piastra su ceramica, cm 33 x 45Attrazione fatale, 2006, piastra su ceramica, cm 25 x 50

Rose, 2005, olio siu tela, cm 30 x 40Ritratto giovane avvocato, 2004, pastello, cm 50 x 70

SpazioBoccainGalleriamercoledì 6 dicembre 2006 - ore 18,00

LORENZO PIEMONTI Cromoplastico904

Cromoplastico 904, 2005, acrilici, cm 50 x 50

CHRISTOPHE MOUREY Imprimerela vita!

gente è protagonista assoluta così come i lorodesideri. Sedersi al suo cospetto formulandouna richiesta precisa significa tornare a casacol disegno originale; a lui rimane una stampaa colori quale puzzle per formare un nuovoatlante. Stimolare la memoria è il suo obietti-vo e coniugare i ricordi che divengono semprepiù personali è l’intento che nell’arte mantieneviva la storia dell’uomo.Così come Mnemosine per Warburg, perChristophe l’immagine diviene protagonistaassoluta della vita nelle sue multiformi sfaccet-ture. Anche l’oggetto più banale, ma in quelpreciso istante significativo per la persona che siè fermata dinanzi a lui, diviene ready-made nellanuova dimensione della memoria. D’ora in poi,qualsiasi cosa esso sia, vivrà nel cosmo dell’arte.

Antonio D’Amico

Palazzo Cusani - Sentinella dell’arteCircolo Ufficiali di Milano - via Brera, 15 - MIdal 6 al 27 novembre vernissage martedì 7 novembre

Galleria Brambati Arte - Antologia via Natale Perego - Vaprio d’Addadal 12 novembre al 10 dicembre vernissagedomenica 12 novembre

Le Trottoir Performancep.zza XXIV Maggio, 1 - Milanodal 13 al 18 novembre vernissage - finissagesabato 18 novembre

Libreria Boccapresentazione catalogo eventi6 novembre 2006 ore 18,00

DANIELE CAZZATO Sospensionid’Arte

L’incanto nello sguardo dei bimbi è sorpren-dente ogni volta che si fermano a contemplareun mistero fatato. Stupore e bellezza proven-gono da occhi sensibili e non superficiali. Certo,mi direte, intenti scontati, questi, ma non deltutto se si proviene da un quotidiano frenetico.La Libreria Bocca, scrigno di sogni che attraggo-no i passanti, invita allo stupore e alla meraviglia.Se l’arte, coi suoi multiformi linguaggi, è veicolo

di fortuna o semplicemente le sue forme noncontengono sterili concettualismi, bensì celanosegrete sorprese, non rimane che soffermarcicon stupore e un pizzico di gratitudine dinanzial suo cospetto. In inghilterra vedere volare unao più gazze ladre ha un significato preciso, tantoche nella tradizione popolare esiste una fila-strocca, che da oggi verrà associata all’arte e al-l’espressione creativa dei voli di Daniele Cazza-to. Sul soffitto della libreria, infatti, potranno ve-dersi volare:«One for sorrow,Two for joy,Three for a girl,Four for a boy,Five for silver,Six for gold and Seven for a secret never to be told»A quel punto non ci rimarrà che esclamare:Good Morning Pica Pica!

Antonio D’Amico

Good Morning Pica Pica!SpazioBoccainGalleria

dal 9 novembre al 30 gennaio 2007

BIANUCCI CINELLI studiocomunicazioneorganizzazione eventiufficio stampa

via Lambro, 7 - 20129 Milano - Italiatel. +39 0229414955 - fax +39 0220401644

La Libreria Bocca è lieta diannunciare la collaborazionecon l’ufficio stampa diretto daFrancesca e Chiara BianucciCinelli, per una maggioree migliore diffusione delleiniziative culturali promosse.

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Ci sono artisti che prendono d’assalto latela, o meglio nel caso di Giannantonio DeMaldè le tele, con un affanno, un’ingordigiadegna di un affamato, quasi che il temponon bastasse, quasi che possa esistere unmomento in cui si dovrà per forza smette-re, che l’evento creativo, quell’evento, sial’ultimo, che l’arresto, inevitabile, sia definiti-vo. Vita e morte insieme, quindi, in unametafora la cui arte è sentita come intrec-cio complesso di fasi creative, fatte di mol-teplici punti di partenza ricchi di slancio madi cui l’artista già percepisce, quasi con stu-pore, l’inarrestabile fine. In realtà soloconoscendo questa splendida frenesia sipuò seguire e comprendere il percorsodella sua ricerca; assistendo, come mi ècapitato, alla “crescita dell’albero dalla partedelle radici”, al dipanarsi dall’interno di que-sto processo, di cui i singoli quadri sono

soltanto le tappe. Il traggitto, al momentoignoto, si vedrà dopo ma subito si coglieche le opere non ci sono date come pezziunici in sé conclusi o “soltanto come imma-gini a sé stanti” ma come segmenti di undivenire pieno di stadi invitanti ad esplora-re sentieri con ostinazione o con fragilitàma in tutta sincerità. Ciò si coglie ancheosservando soltanto il dinamismo, l’instabi-le vitalità delle immagini le cui figure sem-brano, in molti casi, volersi sottrarre alleaggressive campiture monocrome in rosso,ocra, azzurro che ne costituiscono lo sfon-do. Così questa creatività si è formalizzatasotto ai miei occhi secondo tre modalità: leserie tematiche, che appaiono “compatte”e al loro interno coerenti, quasi dei rac-conti, che ci parlano di emozioni fuggevoli,di mappe mentali, di paesaggi ancestralirivissuti nella memoria, di esseri mitici cheesistono per essere subito bruciati e vanifi-cati al nascere di un nuovo ciclo. L’idea, omeglio, la messa in luce, di un processocreativo che non ha punti fermi ma soloapici, al punto che si può affermare che unaparte cospiqua dellafruizione, della com-prensione di ogni ope-ra è affidata agli empa-tici legami che la uni-scono, al di là dei tito-li e dei soggetti, al signi-ficato dell’intera serie.Opere ricche di va-lenza, quindi, ma solose si è disposti, a se-guire e ripercorrere ilflusso dello spazio edel tempo fino alla

nascita del gesto e del concetto nel qualesono state generate. Questa modalità,quella di vivere l’arte nel suo farsi senzarigidezze “strategiche” o progettuali, permolti versi avvicinabili ai ritmi interni dell’e-sperienza informale, ha qui invece (impre-vedibilmente?) degli esiti espressionisti chederivano da un’esplicita volontà di risalire aritroso nel tempo alle origini del fenomenoche ha determinato l’action painting e leespressioni a lei collegate. Ciò ci conduce alterzo punto: la ricerca, i suoi obbiettivi, isuoi approdi. Forse si potrebbe pensareche dato il linguaggio fortemente espres-sionista presente in varie opere essa, sirisolverebbe nel puro esito formale implici-to in ogni singolo atto creativo. Ma è vera-mente così? I guerrieri, Casa Sandri, Le nuvo-le etc... dai colori violenti o delicati, cupi osolari sono forme che “chiedono” la salda-tura, l’accordo con stutture e contenutifondanti. Questo essere in bilico tra incom-pletezza e definizione (è il fascino dell’am-biguità) motivo per il quale si presentano anoi in forme reiterate, seriali, l’una diversa

dall’altra ma apparte-nenti alla medesima“personalità”. Il sogget-to rappresenta l’ele-mento poetico dell’ar-te di Giannantonio DeMaldè, insieme di soli-dità e evanescenza va-riabilità del tema econtinuità dello stesso.Ma quali sono i conte-nuti fondanti ai qualiaccennavamo? È indubbio, in molte

opere, un forte riferimento all’arcaicità,all’etnicità, punto di partenza, questo, dimolte ricerche artistiche del XX secolo,che qui è risolto al di là dell’evidenza deiriferimenti formali, con un tentativo, sipotrebbe affermare, di intuizione delle ori-gini che va oltre il puro richiamo atavico ola pura rivisitazione delle forme artistichenon occidentali.

Giovanni Marconi

A differenza di quella di Boccioni, quella diTrecchi è una “Città che as…sale”, ungerme che si sviluppa autonomamente,distruggendo la presenza ingombrantedell’uomo: restano tracce di un passaggio,colori rugginosi che tradiscono un ripen-samento, una pausa di riflessione o, forse,una coraggiosa ammissione di impotenza.E’ stupendo riconoscere nelle opere diTrecchi le forme del Razionalismo italianodel rivoluzionario e geniale Giuseppe Ter-ragni, ma è ancor più sorprendente leg-gervi la delicata denuncia di un sogno spez-zato e il contemporaneo recupero di un’a-scesa interrotta. E’ la secchezza essenzialee ruvida di Montale applicata alla pittura,un intrecciarsi di impalcature e tubolariche disegnano una gabbia esistenziale, sug-geriscono, parafrasando l’illustre ligure,“assi di seppia”, gusci vuoti e abbandonatisu cui affilare la durezza dei destini fragili ebanali che li abiteranno. In Trecchi non c’ègaddiana cognizione del dolore o ferronia-na disgregazione della figura umana, comeconsunta da un male urbano corrosivo einarrestabile, c’è invece l’dentico dignitosoriscatto morale di Montale, un tecnicismopittorico altrettanto poetico e simbolico,

lo stesso desiderio di appaltare un ingan-no, di opporsi a un crollo impietoso, edifi-cando agglomerati di speranza: ciò che ap-pariva soffocante “costrizione” dell’animanei recinti di rigide geometrie architettoni-che è ora meditata costruzione di un con-sapevole progetto di vita, di uno scenariourbano che riflette un preciso disegno spi-rituale. E’ così che seguiamo il dettaglio e lascabra raffinatezza delle costruzioni, gliimpasti densi di malta e colla che ricopro-no con ingegneristica precisione una carieesistenziale e sembrano ripetere la descri-zione degli umili e aspri muri di sassi diMontale, oltre cui spazia lo sguardo e siimmagina il mare, simbolo salvifico di eva-sione. La meticolosa capacità descrittiva eil tagliante impianto scenografico, la pen-nellata distesa come calce e satura di colo-re livido e corposo su tele composte diframmenti uniti da cuciture che sembranosuturare un taglio, quasi piaghe ormai cica-tricizzate, delineano un profilo urbano

affollato di cantieri, irto di torri e tettoieche ci immergono in una staticità metafisi-ca, cancellando l’incubo delle periferieangoscianti di Vespignani, sgretolando laschiacciante monumentalità urbanistica diSironi, trasferendoci piuttosto nel magicomondo di un miraggio metropolitano checi consegna a un “cemento amato”,mutandolo in elemento durevole disopravvivenza, quasi scialuppa di salvatag-gio, affrancamento dal disagio di un nau-fragio annunciato.Ripercorriamo così il percorso artistico diTrecchi, in cui si avverte un messaggio dicostruttiva rivalsa, un’evoluzione che pren-de avvio dai primi interni di capannoniabbandonati, popolati soltanto dal silenziodella memoria, opachi fantasmi di epochee attività dismesse che implorano un ricor-do, alle immagini di gru che richiamano lasacralità di svettanti cattedrali gotiche, lostesso dinamismo di una società in affan-nosa ricerca di nuovi orizzonti, fino a giun-gere agli stupendi cantieri del riscatto, alleimpalcature che sostengono una soluzionedi vita, ai teloni che, come bende, avvolgo-no e alleviano le ferite di un’umanità chetrova rifugio in quelle costruzioni, autenti-co progetto di speranza che è fiducia nellecapacità creative dell’uomo, nel suo dispe-rato tentativo di trovare un ordine.Si passa così dalle prime “delocazioni”,dalla poetica dell’assenza, l’evocazione diuna presenza al negativo, gli attrezzi orfanidi fabbriche deserte, come sagome anco-ra impresse su di un letto vuoto e scom-posto, all’entusiasmo allusivo, in positivo,delle “allocazioni” degli oggetti, testimoni diun’attività in essere, del desiderio di affer-mare una continuità, ricevendo quasi unprezioso mandato testamentario da tra-smettere: forse realizziamo solo disperatepalafitte su un terreno pronto ad inghiot-tirci, forse siamo soltanto ossi di seppiache il mare porta a riva, ma l’importante ècostruire, vivere con trasporto e intensa-mente quel breve tratto di costa che cidivide dal bagnasciuga, riempendo di affet-

ti ed emozioni quella piccola intercapedineche ci separa dal nulla, che ci consegna achi accoglierà il nostro esempio di corag-gio. E’ un assorto sguardo morandiano chesi ripete con la stessa ostinata e delicatainsistenza, fino a convincerci di un’animacondivisa, di costruzioni che hanno l’iden-tica muta spiritualità delle bottiglie dell’e-soterico maestro bolognese, immobilispettatrici di una surreale inversione diruoli, in cui siamo noi le vere comparse,sospesi nel tentativo di trovare una giusti-ficazione, di “mettere in cantiere” la ragio-ne di vivere...

Aldo Benedetti

WALTER TRECCHI Costruzioni incemento... armato

Serie: La Dea e la Croce, 2006, tecnica mista su tela

Cantiere VII, 2005, tecnica mista su tela, cm 150 x 110

Città sospesa, 2005, tecnica mista su tela, cm 150 x 110

Cantiere IV, 2005, tecnica mista su tela, cm 75 x 100

GIANNANTONIO DE MALDÈa cura di

Franco Tarantino

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I modelli che Maria Chiara Zarabiniplasma in rete metallica non trova-no una facile definizione, anche seappare subito evidente la loro ca-pacità di coinvolgere lo spazio cir-costante, trascinandolo in un movi-mento che evoca la gravitazionecosmica. Questi nodi, o pezzi, o go-mitoli, o altre cose ancora, secondole titolazioni dell’autrice, mostranochiaramente la loro indole sociale,tendendo a far gruppo e ad assumere unsignificato collettivo. Eppure ognuno diloro, pur somigliando ai vicini, non ne ripetemai le movenze e sembra anzi non guar-darli nemmeno, intento ad attorcigliarsiintorno alle proprie evoluzioni. L’insiemesi presenta come un’anarchica tribù ericorda i grumi di nuvole portati dal ventoo i pezzi di materia scaraventati in aria daun’esplosione raggelata.Ma ogni singolo componente del gruppo,visto da vicino, assume la complessità diun ulteriore aggregato di forme e fa pen-sare alle circonvoluzioni di organi vitali odi effiorescenze. Pur rifuggendo da qual-siasi precisa riconoscibilità geometrica,ogni forma muove in maniera precisa lospazio intorno a sé, come la scultura hasempre saputo fare. Da lontano gli ele-menti possono apparire come scontrosisassi, dotati di una volumetria ameboidema solidamente determinati dai taglimetallici e quindi assimilabili al mondominerale. Gli intrecci e le trasparenzedelle reti moltiplicano però i contorni e lirendono mutevoli al variare della luce,conferendo alle forme la magica consi-stenza di liquidi o di veli tessuti. Infine, seci si accosta molto agli intrecci, ognisuperficie sembra fluire e confondersinella successiva, tanto da annullare ogni

confine, che svapora in una gassosa inde-terminazione. La serie di figure si presentadanzando ai nostri occhi per svelarsi sem-pre diversa, in continua fuga da precisericonoscibilità e diretta verso indefinitemete di significato. L’operazione si limite-rebbe a trasmetterci una negativa sfiducianella comprensibilità del mondo, se a sor-reggerla non ci fosse una grande fede nellepossibilità di plasmare i corpi. In fondo l’o-biettivo di riunire insieme, in un solooggetto, allusioni al mondo solido, liquido egassoso equivale all’ambizioso progetto discolpire un’immagine del mondo, che per-tanto è visto come rappresentabile. Forseallora è la vastità dell’orizzonte intravisto arendere l’autrice diffidente verso le sem-plificazioni razionali.Del resto la sua preferenza per le formeorganiche esprime una partecipazioneemotiva alla mutevolezza della vita, doveappunto non è possibile separare gli statidella materia se non nell’astrazione dellaboratorio. I corpi ambigui non sono dun-que espressioni di scettico riserbo, ma anzidi un’adesione tutta femminile per la veritàdi ciò che vive e muta.

Guglielmo MontiSoprintendente Museo Nazionale Villa Pisani

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L’artista albanese Aghim Muka, attraversol’utilizzo di diversi linguaggi, ripercorre ilsentiero che unisce simbolicamente le ori-gini dell’essere umano, l’Anima mundi.Iniziando questo percorso dalle sue originialbanesi, Muka tesse una ragnatela cheintrappola nelle sue maglie visioni di altreciviltà, e narra la sacralità e inviolabilità del-l’esistenza dell’uomo. La tematica delleOrigini e dell’Anima mundi, poetica che dasempre contraddistingue la ricerca diAghim Muka, ancor più ha preso spuntodall’incontro con Anna Oxa, di origine alba-nese, per cui ha realizzato l’immagine per lacopertina del suo ultimo cd musicale, “Lamusica è niente se tu non hai vissuto”. Nelquadro Origini che ha realizzato per la Oxa,l’artista si è ispirato alla ricerca di una radi-ce di comune appartenenza a tutti gli esse-ri umani e il divenire della bellezza e della

essenza umana nella sua tragicità. Le tele in mostra, evocative, struggenti, fanciullesche,pulsanti di emozioni, ricordi, richiami, creano un percorso simbolico di un viaggio tra spa-zio, tempo, culture. Sono tele di un artista che ragiona in modo diverso come dice di luiPhilippe Daverio, curatore della LVII Edizione del PremioMichetti, “Laboratorio Italia 2006”, a cui ha invitato Mukanella sezione Bizantini. Scrive appunto Daverio:“ragionano inaltro modo quelli della riva opposta alla nostra sull’Adriaticoperché in mezzo a quel mare che sembra un golfo o forse ilprolungamento fluviale dell’estuario del Po, in mezzo a quelmare passa una linea virtuale di demarcazione che separa ilMediterraneo fra oriente e occidente, fra latini e tutta unaaltra serie di segnali. Sono segnali di Bisanzio, del MedioOriente o tolemaici, ma sono segnali più lontani ancora.Perché chi guarda il mare dalle coste dell’Albania vede comegli etruschi antichi il sole che cala nell’acqua e lo sente sor-gere molto lontano dietro alle spalle, laddove è sorta quellastirpe alla quale apparteniamo tutti noi indoeuropei.” E perMuka le origini sono importanti, ma non si ferma a quelle,tramite le sue origini scruta, osserva, ricerca quella comunea tutti gli esseri viventi. A tal proposito scrive GianlucaMarziani: “densità narrativa, aperture misteriose, cicatriciindelebili, memorie stratificate, bellezza crudele… sono alcu-ne delle principali scoperte che le opere di Aghim Muka

propongono allo sguardo recettivo. L’artista, albanese diFieri, vive da diversi anni a Milano. Appena lo incontricapisci l’importanza delle sue origini, la necessità delleradici forti, la grazia rabbiosa delle attitudini naturali. Oggirappresenta al meglio la cultura albanese senza che nulladichiari il legame in modo ideologico. La sua arte ha unadimensione che non si limita a richiami localistici o auto-referenziali, ne ad un falso internazionalismo privo di one-stà culturale.Al contrario, incarna la libertà del diario pri-vato che si disvela con generosità e controllo, secondo lenecessità etiche che chiedono spazio estetico. Viene dadire, finalmente un artista che non gioca con la retoricadel disagio balcanico, che non abusa del degrado socialeper farne una bandiera da biennali e collezionismo snob.Di fatto, Muka distilla il mondo dentro percorsi evocativied alchemici, istintivi ma sotto auscultabile controllo. Illavoro si porta dentro l’accrescimento del viaggio, la sco-perta coraggiosa, il moto precario degli spiriti nobilmente nomadi. Opere come paginedi un diario non più “di bordo” ma “sul bordo” delle cose, del vissuto quotidiano, deisogni speranzosi, della visione morale. Un appuntarsi la vita mentre si cammina tra realtàe geografia mentale, sul confine pericoloso del disvelamento, oltre il limite valicabile dellapura bellezza.” Nel suo viaggio poetico, Muka ci propone oltre alle tele, un video e unainstallazione. Il video, dal titolo Pane, vede come protagonista lo scultore Eugenio Zanon,scomparso la scorsa primavera, a cui Muka dedica l’opera stessa. Nel video, attraversouna narrazione allusiva, si sottolinea l’importanza della semplicità del Pane quotidianospesso dato per scontato nel corso del ritmo frenetico dei tempi moderni, ma proprioperché quotidiano, forte di una valenza insostituibile, simbolo dell’esistenza stessa, sim-

bolo religioso di riscatto ed elevazione spirituale.L’installazione, Anima Mundi, rappresenta un Pavone, espres-sione di bellezza, di libertà, di eleganza della natura, animalefiero e nobile che diviene metafora dell’origine primordialedel mondo. Filo di ferro, rigido, teso, aggrumato e piume diseta bianca, morbide, impalpabili, sono i materiali che si con-trappongono e intersecano indissolubilmente nell’installazio-ne. Ferro come le difficoltà del vivere, seta come l’animabianca del mondo che abbraccia uomini, creature animali evegetali, fino ai fili d’erba di un prato.

Maria Cristina Vicamini

AGHIM MUKA Origini: Anima Mundi

Pavone, 2006, tecnica mista su tela, cm 100 x 100

Persia, 2006, tecnica mista su tela, cm 200 X 200

Origini Anna Oxa, 2006 tecnica mista su tela, cm 181.5 x 121

Miniaci Art GalleryVia Brera, 3 - Milano

Origini:Anima Mundia cura di Alessandro Riva - 12 ottobre 2006

Albanian FeelingGiornata del Contemporaneo - 14 ottobre 2006

Là dove s’incontranoversi e colore, regnasovrana la creatività el’ingegno e il rinnova-to mistero dell’ut pic-tura poësis rivive nel-l’incontro dell’oniricomondo poetico diSalvatore Quasimodocon il lirismo cromati-co di Lorenzo MariaBottari. L’artista siculo,ormai da anni a Mi-lano, ha «letto e resti-tuito a noi per immagi-ni e invenzioni coloristi-

che e moti di fantasia onirica, vite vegetali eacque e sorti umane rifluite nelle tele», alcunepoesie del poeta siciliano, così come benafferma Umile Francesco Peluso nel suotesto del catalogo pubblicato nel 2001 (L.M.Bottari, Quasimodo quasi sognato, casa editri-ce Editma). Bottari sogna Quasimodo, nono-stante per il poeta «la vita non è sogno», e iversi divengono colore «lasciando trasparirela freschezza, che è espressione di eternità»,secondo Alessandro Quasimodo e, inoltre,riferendosi alla trasposizione cromatica di Edè subito sera, una delle poesie più significativedella produzione quasimodiana, «dove ci col-pisce il dolore universale, il senso della vita cheè breve»,Bottari riesce a scalfire la tristezza edimprimere «una gioia universale». Gli sguardiriflessivi che Bottari indaga, per Quasimodoaperti alla ‘solitudine’, attraverso un corposocolore denso di vitalità, travalicano la chiavepessimista che vive nelle poesie di Qua-simodo, dove «sarà vano il tempo della gioia»e dove i versi individuano colori dai «vaporidi nebbia» e «qui nero il fumo degli incendi» ela quiete è raggiunta per mezzo di un «gelo-so silenzio». Quel silenzio generatore di rifles-

QUASIMODO e BOTTARI Un incontrosognato

Segrete di Boccagiovedì 30 novembre ore 18,00

via Molino delle Armi, 5 - Milano

E la tua veste è bianca, 2006, olio su tela, cm 50 x 40

Ed è subito sera, 2001, olio su tela, cm 70 x 50

sione a cui invitano le arti sorelle. Simile tripu-dio d’intenti è all’apice dell’evento che si terràalle SegretediBocca dove protagoniste assolu-te diverranno l’arte pittorica di L.M. Bottariche, coi suoi caldi colori, interpreta pittorica-mente i testi quasimodiani e la dolce e melo-dica lettura poetica di Alessandro Quasimodocon la partecipazione di Maria Cristina Piantaed altri amici. Rivive l’eterno, quando parola earmonia s’intrecciano per dare vita al misterodella beltà e della grazia. In una società cosìdistratta che ha «smarrita ogni forma» e «rima-ne appena aperta l’indolenza, il ricordo d’ungesto, d’una sillaba, una come d’un volo lentod’uccelli… ci resta, forse il cuore…»

Antonio D’Amico

Labirinto, 2006, Museo Nazionale Villa Pisani a Stra - VE

MARIA CHIARA ZARABINI Corpiambigui

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Strati di tempo sottratti al passato, elevati a presente nel valore ditraccia. Grazia Gabbini intesse memoria e suggestione, metaforeantiche e intuizioni vibranti. La superficie contratta nelle rughe diforza dichiara un’esistenza profonda. Allude, richiama, accentrasenza racconto. Non esiste narrazione. Non esiste una afferma-zione assoluta. La carta inoffensiva divienemateria di forte concretezza, quasi for-giata o plasmata come terra ardita,scolpita nei segni e nei risvolti, vissutanella prospettiva del volume in rap-porto allo spazio. E tutto intorno sipermea di suggestione. È superfi-cie ma si accredita di solidità cor-

posa e si muta, nella concezione contemporanea, in essenzascultura. Fili di un reticolato aperto, tracciato inesistente osimbolo superstite di legami e strutture convenzionali, disar-cionate dal tempo, erose dalla stessa consuetudine che legenerò e infine approdate alla libertà per saggezza deldestino. Forse intuendo l’altrui desiderio di appartenenzaal corpo materia del suo lavoro, Gabbini ha dato vita ai“nidi”, naturale confluenza delle superfici e consequen-za spontanea della tessitura a intreccio di volumi e vuoti,luce e ombra, percepibile e sottinteso. Nidi nella metafo-ra di linguaggio, cellule vitali o agglomerati di convivenzanella leggibilità di traduzione. Nidi per riparare in solitudineo decollare liberi all’orizzonte dell’ignoto, solcare spazio etempo, risolvere emozioni in luce.

Claudio Rizzi

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GRAZIA GABBINI PossibiliLuoghi

Nido, 2006, collage di carta e pigmentifilo di ferro, cm 19 x 19 x 19

Nido, 2006, collage di carta e pigmentifilo di ferro, cm 28,5 x 23,5 x 23,5

Il mistero può colpire ancora nel mondoimmaginario che la pittura plasma.Cos’è in realtà che può giustificare l’atten-zione d’un saggio ammiratore delle mac-chie paleolitiche di Joseph Beuys quand’e-gli tradisce la normativa del gusto stabilitocome buono per lasciarsi attrarre da unagrammatica opposta. Il mistero, che vaben oltre il linguaggio. Secondo i parame-tri che avevano determinato gli itineraridella mente visiva circa una trentina d’an-ni fa il mondo si trovava ad essere, perquanto incomprensibile, sostanzialmentesemplice.Tutto s’era evoluto come per unrotolamento inarrestabile in una direzioneunivoca che prevedeva una corsia per chiera capace di capire. Conveniva essere dallato giusto; l’altro forse neppure esisteva. Epoi, inatteso nella sua decomposizione,crollò il muro delle certezze. Quel valloberlinese costruito con modesti manufat-ti fu distribuito ai turisti. All’ansia da luiaccertata si sostituì un’ ansia altra, sospesa.Gli esperti di storia della politica parlaro-no di ritorno allo status quo e i fatti sem-brarono dar loro ragione poiché neiBalcani tornò densa e preoccupante latensione anteriore al primo attentato diSarajevo. Il tepore del pensiero debole, lecertezze cortesi delle avanguardie, ilconforto delle appartenenze ideologiche,l’edificio costruito con impegno e fatica sisfaldarono senza rumore. I cattivi rimane-vano cattivi mentre i buoni diventavanomeno buoni. Sicché i linguaggi tutti si tro-varono nella posizione poco comoda didoversi verificare. Anche le arti furonocostrette dal capriccio della storia a tor-nare allo status quo. Si ripartiva dal 1914.E ci si ritrovò d’un tratto nel turbinio degliismi passati, cubisti e futuristi, dada e pre-surreali, metafisici e simbolisti tutti insie-me, non nella medesima padella ma cadu-ti nella stessa brace, che per giunta minac-ciava di spengersi. Se i ragazzacci dellaTransavanguardia avevano ritrovato il

diritto a riallacciarsi al Picassodegli anni più colorati o al Kubindegli anni più grigi, gli altri ragaz-zacci di Roma, i Balzati o iFrongia, si trovarono legittimati aguardare al manierismo e allasua materia, a Mafai o aScipione. Da alcuni anni già, poi-ché la superiorità dell’arte con-sta nella sua capacità di anticipa-re la politica, la cultura visiva, equella musicale pure, s’era senti-ta postmoderna ma non avevainteso ancora che cosa il termi-ne volesse significare effettiva-mente. Si voleva credere nellapurezza della propria formaritrovata. Non s’era accorta chel’atmosfera s’era riempita d’ognitipo di contagio, che il concettostesso di contemporaneità s’eradilatato al punto da comprende-re il passato più lontano assieme

al mattino appena trascorso.Tornò legitti-mo tutto purché potesse essere portato-re di poesia, che potesse sorprendere unafantasia che richiedeva l’abbattimento deltasso di torpore. Fu riscoperta come cosautile la voglia di dipingere nei modi piùclassici possibili, non per essere retrò ocitazionisti, per essere invece atavici e radi-cati. Fare i propri colori macinando lematerie divenne un gesto di concentrazio-ne e di meditazione. Questo è il mondocontraddittorio nel quale si è sviluppatoAgostino Arrivabene e del quale egli èdiventato negli anni testimone convinto eutile. Ecco il motivo ultimo del suo pere-grinare fra le memorie di domani come in

un racconto di fantascienza, sposando alcontempo i tremori simbolisti di GustaveMoreau. Ecco la spiegazione della sua tra-sformazione fisica in una figura d’artistaconscio e sbalordito dal proprio percorso,dalla scoperta della luce come strumentoe non solo come visione.La mania per l’oggetto piccolo va benoltre il collezionismo da camera incantata,non è egli un maniaco rodolfiano ma unanalista della poetica dei confronti minimi,delle stranezze totali racchiuse nei movi-menti impercettibili.Oggetti improbabili costretti dal lorodestino e dalla sua crudeltà sperimentale acoabitare, a sopportarsi, a supportarsi. Pesie materie diverse che solo l’alchimia dellapittura riesce a portare dal mondo quoti-diano e forse pure banale in una dimen-sione epica, in un tempo delle trascenden-ze. E’ la natura fra la vita e la morte, nonaffatto quindi la natura morta, il teatrodegli avvenimenti. E il rospo seduto sul-l’uovo, mentre si guarda allo specchio, èl’immagine di un po’ noi tutti, stupito egongolante, non del tutto infelice perchéattorno a lui il mondo della fantasia statornando a celebrare la possibile suaarmonia, preziosa.

Philippe DaverioDal catalogo edito nel 2005 - Mirabilia Naturae

www.agostinoarrivabene.it

AGOSTINO ARRIVABENE La cameraincantata

Il male di vivere II°, 2006, olio su tavola, cm 60 x 50,5

Vanitas con zolla di viole, 2006, olio su tela, cm 57,5 x 74

Il cinghiale di Pitagora, 2006, olio su tavola, cm 60 x 70

Il punto focaledella ricerca diClaudia Bianchi èe rimane il dub-bio ingeneratodall’idea di bel-lezza stessa, quelcontinuo inter-rogarsi ostinata-mente e appas-sionatamente sulsenso di ciò chevediamo. Per lapittrice la bellez-za (ed in parti-colare la bellez-

za femminile) non è solo e semplicemen-te il frutto di armonia o perfezione delleforme, ma è primariamente lo stimolo fon-damentale a scoprire il segreto, il misteroin cui essa stessa si cela: per lei la bellezzanon è la fine di un processo (creativo), ilrisultato di una ricerca, ma bensì l’inizio diun’esperienza cognitiva, di un nuovo viag-gio basato sul dubbio.L’immagine dipinta, spesso desunta dall’ir-reale o dal mondo patinato della moda, sicarica, esaltandoli ed esaltandosi, di evane-scenza, di transitorietà, di un effimeroideale privo di significati reali, che l’artistacontrappone alla verità, all’autenticità, alladurata del “fare pittura” in quanto tale. Loscar to che la pittura inevitabilmente(in)genera le consente di creare un mec-canismo concettuale tutto giocato sull’im-plicita contraddittorietà dell’immagine,croce e delizia dell’intera modernità: la

solida verità rive-lata dalla pitturaunita e contrap-posta alla finzio-ne. La sua pitturaè certamente fi-glia dei media, del-la fotografia e del-la televisione inprimis, ma altresìprofondamentelegata ad un’ideadi pittura che dalrealismo “sociale”caravaggesco arri-va alla metafisicaideale ventronia-na, al mistero visi-bile ed alle “verità

nascoste” di Torrens, all’immaginario sen-suale e irreale del reggiano Carlo Ferrari,“maestro” di vedere e sentire, non solo dipennelli. Alla volgarità spettacolare di unacerta “cultura dell’immagine” l’artista con-trappone l’inquietudine di un divenire incostante evoluzione: le sue figure nonsono mai credibili, mai intaccate da quellacorruzione che segna i volti e deturpa icorpi. L’immaterialità dell’immagine sirende concreta: tassello, anzi fotogrammaimmobile di un film mentale e ideale in

continua variazione e sempre pronto anegare se stesso, al pari di un’idea dipinta“come se” fosse realtà.Claudia Bianchi corre abilmente (e vertigi-nosamente) sul filo di una figurazione dal-l’equilibrio inventivo delicatissimo; unafigurazione che tuttavia non sconfina mainella serialità fotografica né nell’illustra-zione patinata, tale e tanta è l’attenzioneal “fare pittura”, ad accentuare, cioè, quel-lo scarto tra immagine reale (fotografia)e immagine dipinta che solo la pitturapuò creare.

Alberto Agazzani

CLAUDIA BIANCHI Idea dibellezza

SpazioBoccainGalleriamercoledì 25 ottobre, ore 18,00

Bocca di rosa, 2005, olio su tela, cm 50 x 40

Black woman, 2005, olio su tela, cm 70 x 50

Printemp, 2005, olio su tela, cm 70 x 50

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from the manners of corrupting the foun-dations or the compromises with the stateinstitutions; the transformation of art intopure business; the dissolution of new spa-ces and learning to accept the existing ofa group of vicious people who can make‘The deals’… However, these phenomenawere not ‘born’ in Albania, the same as theproject TiranaPrishtina.What can spring upis the understanding and the coexistencein a system, where indeed the art isnothing else but a game. (don’t immerse itwith the kids game!)

Fani Zguro

The willingness to react in a country likeAlbania, where an artist is supposed tostay for a year, is unavoidable. Ex. Whiletraveling to Prishtina for participating in anexhibition, reflects on the fact that byplane it takes just 25 minutes. In this way,one averts the 2000 hooks of Kukës“highway” and a not so nice to experien-ce human landscape. Getting back to ourexample, the artist finds the inspirationand presents a project in between the twocountries.This is the idea of Florian Agalliu,coordinator and organizer of art events.He decides to realize it through a cycle ofvideo-reports, which seems to me quite agood idea.At this point, I decide in parallel to realizea project with the same title with no con-nection to the video-report, but availingmy self of the participation of severalAlbanian and foreign artists.Therefore, theproject TiranaPrishtina (the one of mine)

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aimed to create a retrospective on thework of the Albanian artists from the mid90s, a time when Edi Rama (today Mayorof Tirana) started, for the first time, tocreate a structure in which the students ofthe Academy of Arts in Tirana could getfamiliar with the visual art. This approachwas of a great importance for young arti-sts such as Anri Sala, Adrian Paci, AlbanHajdinaj, Gentian Shkurti etc.Simultaneously, the project TiranaPrishtinawanted to build up collaboration betweenvery young and yet unknown in Albania,monitoring of the art exhibitions throughthe Albanian media and different work-shops, conferences, round-tables etc. Thisproject became a tool of information tohelp the audience of a city like Tirana,which still suffers the so-called hermeticsystem of communication.In the 11 presented projects, I aimed topresent the work of the Albanian artistsbut not only.At the same time, I wanted torealize other projects such as “The weeksof Education” where the students of theAcademy of Arts in Tirana had the chanceto attend conferences and colloquies withpersonalities of the art world like IsmailKadare, Angjelin Prelocaj. The Kino-Forumin Sazan Island where the soldiers had thechance to see documentaries and partici-pate in conferences about the legends ofthe contemporary art such as RobertCrumb, Mike Patton,Terry Zwigoff etc.The project TiranaPrishtina was first pre-sented on-line in march at www.tiranapri-shtina.com, in order, for all those who

could not get in direct contact with it, toget informed about its activities throughthe web. The whole project ended inSeptember 2005 and it with this catalo-gue, which was planned as part of theproject, since the very beginning of it.Thestructure of the catalogue is formless anddisordered in presenting of the artists andtheir works.This means that the date andthe place of birth rarely coincide with thegiven artist. Some works are placed nextto the name of another artist.This is orderto create a single image of the object, thecatalogue, and get the absolute concentra-tion on the artist’s work. In this way, gene-rates a unique network of research and afull presentation of what this projectaimed to express.For the project, TiranaPrishtina severalartists contributed, journalists, critics, stu-dents, donors, assistants etc.Without theirhelp, this project would not been realized.Even with the difficulties one can face inAlbania when realizing such initiatives,which are often determined as lack ofdemureness and hooliganism, this projectmanaged to finalize and energetically affectthe cultural life, quite paralyzed, of a coun-try like Albania, where the market culture(fundamental and abusive) is getting capi-tal forms.All of us endeavoured to offer, through it,another product; to play with a provincialand incriminated mentality; to bring to theAlbanian audience an alternative andurban version of art and facing of the dif-ferent reactions of media and the public itself.The project TiranaPrishtina was one ofthe toughest but at the same time one ofthe nicest experience from which one canarrive at different conclusions. Starting

TIRANAPRISHTINA PROJECT 2005

Anri Sala, No Baraga No Cry, Photo, 2003

Armand Lulaj, C.I.A PowerShift, Performance, 2002

Heldi Pema, Open Space 1, Photo, 2005

Incastonata fra il golfo di Juan e le collinedella Costa Azzurra, si trova Vallauris,ridente cittadina passata alla ribalta inter-nazionale grazie alla presenza di Picassodal 1947 alla fine degli anni ’60. In questoluogo, ricco di argilla rossa e terra bianca,

(esordiente all’Atelier Madoura nel 1949),di Roger Capron (noto per le decorazioniin ceramica e gres nello storico HotelByblos a Saint Tropez e le grandi scultureraku), di André Villers che nel 1953, a soli23 anni, diventa il fotografo ufficiale diPablo Picasso e lo immortalerà in tantiritratti famosi. Molti altri artisti comeCocteau, Giacometti, Le Corbusier, Arabale Mirò, saranno colti dal suo obiettivo, nelsuo stile inconfondibile, capace di svelarele espressioni più intime che stanno dietro

all’immagine. Monsieur Iperti ha introdottomio padre nella sua cerchia di amici artistie si è creato un ottimo rapporto con tuttala nostra famiglia. Nel suo frequentatissimoAtelier papà si è messo all’opera produ-cendo in poco più di un anno numeroseceramiche con i materiali locali, dapprimauna serie in terra bianca, successivamentein terre rosse o refrattarie con la tecnicaraku che prevede l’estrazione dal fornodei pezzi ancora incandescenti per modifi-carli e dargli la forma. In questi ultimi mesisi è cimentato con il modellato a bassori-lievo e forme astratte tridimensionali. Perla decorazione pittorica usa ossidi metalli-ci, smalti e ingobbio con una tecnica origi-nale che alterna il sopra e sottosmalto.Mimmo Sormani ha trovato nella CostaAzzurra una seconda patria, e da instancabi-le creatore, esprime nelle sue ultime operesia il retaggio della passata esperienza matu-rata a Faenza e in Brianza, sia la nuova realtàdi cui si è intriso facendo suoi il retaggiocubista, i colori accesi e le materie più cor-pose. Ormai cittadino d’elezione a Vallauris,André Villers decide di dedicargli una seriedi bellissime fotografie che lo ritraggono nelmaggio 2005, e testimoniano di questanuova tappa nella vita di mio padre.

Marco SormaniParigi 5 settembre 2006

esisteva già da decenni unafiorente industria ceramica.Picasso insieme a sapientiartigiani e altri artisti chefrequentavano l’Atelier Ma-doura dei coniugi Ramié,apprende l’arte del tornio eutilizza le terre come stru-mento della sua arte produ-cendo numerose opere ce-ramiche conservate nel mu-seo cittadino, al Museo Picas-so della vicina Antibes e indiverse collezioni private.Da questo momento Vallaurisdiventa un centro fiorentedove il bel mondo del tempo(Alì Khan e Rita Hayworth sisposano qui nel 1959) si me-

scola con i vir tuosi di penna (Gide,Malraux, Cocteau…) e gli artisti di tornio(Balthus, ammirato da Gide e da Picasso).Che cosa resta oggi di quegli anni ruggen-ti? Un vivace centro artistico con laBiennale Internazionale d’Arte Ceramica,numerosi laboratori e botteghe, artistioggi rinomati, ma alle prime armi nelperiodo d’oro e giovani leve. Il 13 aprile2005 mio padre Mimmo, che era in villeg-giatura nella vicina Juan les Pins, decide diconoscere Gilbert Portainer, noto cerami-sta, vincitore di numerosi premi (Faenza,Bruxelles e Monaco) e fondatore delgruppo Le Tryptique con Albert Diato eFrancine Delpierre. Davanti all’Atelierchiuso, ha la fortuna di incontrare AndréIperti (anche lui lì per incontrare l’artista)che, dopo aver telefonato all’interessato,informa mio padre sulla sua assenza perun viaggio in Inghilterra. Iperti però ècurioso e chiede le ragioni della visita ecosì Mimmo gli presenta il suo lavoro e levarie pubblicazioni, da quel momentonascono improvvisamente un’amicizia e unfecondo periodo creativo. André, infatti, èl’ideatore e l’animatore della FondazioneSicard-Iperti, intorno a lui orbitano amici,artisti e ceramisti del calibro di Jean Derval

Autoscatto di André Villers nel suo giardino-studio di Mougins, maggio 2005

24Vaso a fiore, raku

Il gomitolo, vaso faïence + ossidi metallici

Profondo rosso, gres d’arte e smalti

MIMMO SORMANI Ceramistaa Vallauris

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Recentemente allaLibreria Bocca èstato possibile am-mirare deliziosi ecuriosi oggetti-scul-tura che destavanol’attenzione di tutti.Piccole forme bron-

zee, apparentemente indefinite, che suscita-vano il desiderio di carpirne gli aspetti noda-li, per questo motivo ho voluto incontramicon Giacomo Benevelli.A.D.: Nelle sue opere c’è sempre unacostante soluzione di continuità formale cheemerge, o almeno così sembra, da un unicomotivo ispiratore. Mi può dire qual è la suafonte d’ispirazione?G.B.: «Più che di ispirazione parlerei di ricerca.Nel senso che ogni mia forma è collegata allaprecedente e condiziona a sua volta quella chesegue. L’ispirazione viene alimentata continua-mente dal fare. In questo processo creativo misforzo di perfezionare la forma della sculturache ogni volta eseguo. Lo faccio cercando ilsuo inserimento nello spazio in modo cheda qualunque parte la si osservi risulticonclusa. Come dire risolta. piccola ogrande che sia il problema noncambia. Quello che cambia è ilpunto di osservazione.Certamente tutto ciò ha unasua “matrice iniziale”. Un qual-cosa di indefinibile che risiedenell’insieme delle acquisizioniricavate dall’osservazione dellecose. Infatti, definire le mieforme “astratte” è improprio, ledefinirei, piuttosto, come una“ulteriore” visione della realtà».A.D.: Le sue sculture-oggetto con-tengono in nuce il fine ultimo dientrare nelle abitazioni di chi le colle-ziona e le apprezza. Qual è il loromessaggio?G.B.: «La loro piccola dimensione induce aconsiderarle “oggetti”. In realtà sono soltantosculture.Vale a dire delle forme con una prete-sa espressiva autonoma. Possiamo tutt’al piùconsiderarle come dei minuscoli progetti plasti-

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Ho conosciuto Giacomo nel 1999, nella sualibreria in Galleria Vittorio Emanuele aMilano. Ero in compagnia dei pittori GiulioSantabarbara e Sergio Dangelo che eranovenuti all’inaugurazione di una mia persona-le con concerto jazz di Guido Manusardiamico di Sergio, questo per spiegare come ilfilo dei contatti artistici sia misterioso eprovvidenziale. Giacomo è un uomo che tifa sentire subito a tuo agio, alla pari, la suadisponibilità è autentica come il suo deside-rio di comunicare, infatti mi ha dato subito ilsuo biglietto da visita dicendomi di chiamar-lo quando volevo. Da questo primo incon-tro è nata la mia amicizia con la famigliaLodetti. Dopo alcuni giorni Giacomo èvenuto nel mio studio, ha visto le grandiopere astratte, ma si è soffermato su unaserie di Donne allo specchio, che richiamava-no le rocce della Gallura in Sardegna, e subi-to mi ha proposto una mostra nella sualibreria e la pubblicazione di un catalogo,prima che se ne andasse gli ho regalato unvideo con un’intervista fattami dalla TV sviz-zera, in cui parlavo, a ruota libera e senzacensure dell’arte, del mercato, del successo,di una mega truffa ai miei danni, insommadella tragicommedia umana. Il giorno dopoalle 8 di mattina mi chiama sul cellulare perdirmi che sie era divertito come un mattonell’ascoltare le mie elucubrazioni e mi chie-de se voglio fare il direttore artistico dellarivista Arte incontro in libreria da lui edita. Glidico che non ho mai scritto un articolo, nonme ne intendo, ma lui insiste: “sei libero difare quello che vuoi, io ti presento nel pros-

simo numero con un testo di RiccardoScognamiglio, psicologo dell’arte del DAMSdi Bologna. E qui mi invento un ruolo che miavrebbe potuto stimolare e rendere utilealla testata: dare voce, far parlare gli artisti inprima persona del loro fare, delle motiva-zioni, delle loro problematiche senza media-zioni e censure di sorta e soprattutto senzaalcun costo. E così inizia la stupenda avven-tura di visitare gli studi degli artisti che mitrasmettono emozioni e poesia. Questo è ildono immenso che Giacomo mi ha fattodandomi la possibilità di incontrare grandimaestri, parlare con loro, scambiare idee,opinioni, stimolandoci a vicenda sulle cosedell’arte. E così in questi sei anni ne sonosuccesse di cose, di mostre in libreria o nelleSegrete di Bocca, di presentazioni di libri,cataloghi, e tutto con l’inesauribile motoreche è la famiglia Lodetti, grazie alla moglieDonatella e ai figli Monica, Giorgio eGabriele. Basti pensare alla mostra di GiorgioGaber nella Loggia dei Mercanti con centi-naia di artisti e il bel catalogo o le diversemostre sul Nuovo Costruttivismo. A volte michiedo come una famiglia riesca a promuo-vere una simile macchina culturale in unaGalleria Vittorio Emanuele ormai svuotatadal suo compito storico e ridotta a una seriedi negozi banalmente commerciali, in unacittà lasciata al suo destino di inquinamentoe rumore, di ansiogena velocità nevroticache ci attanaglia tutti. E che dire dell’impo-nente pubblicazione voluta da Giacomo: IlCèzanne degli scrittori dei poeti e dei filosofi acura di A. Negri, E. Franzini e G. Cianci, frut-

to di un anno di seminari all’UniversitàStatale di Milano, sull’interpretazione filosofi-ca, letteraria e poetica del grande artista daparte di autori come: Rilke, Wolf, Stein,Hemingway, Lawrence, Bonnefoy, Heidegger,Ponty, Lyotard, Deleuze. Un corso che avevofrequentato con grande interesse data l’im-mensa portata del suo messaggio per l’artemoderna. E come dimenticare le fanstasti-che serate quando Giacomo arrivava trafe-lato, stanco, persino sotto Natale con lalibreria ancora piena di clienti, pur dipresentare una mia mostra con jazzisti epoeti! Un giorno mi disse: «Dietro tuttaquesta attività, c’è un’idea, un progetto equando lo spiego, l’interlocutore rimaneaffascinato.».Uomo dall’intelligenza multiforme, gene-roso, imprevedibile e bizzarro, sensibile acaptare le novità artistiche del momen-to, un moderno imprenditore culturalearmato di coraggio ed entusiasmo chefa accadere le cose, le crea con una suapersonalissima convinzione. Le sueenergie ultimamente le impiega a salva-guardare le librerie storiche d’Italia, diquesta povera Italia senza memoria, inbalia di volgarità e mostruosità dilaganti.Ecco dunque la Libreria Bocca nel cen-tro di Milano, con i Lodetti in prima lineaa farci intendere che la poesia, la bellez-za, l’arte, l’amicizia, la comunicazione,sono ancora possibili, dove la vita di tuttii giorni non è solo consumo, rumore,inquinamento, in questo circo insulso efalso. Si respira aria pura di montagnaentrando alla Libreria Bocca, l’occhio sidilata attento sulle opere alle pareti, sulsoffitto, sul pavimento, sui libri d’arteappoggiati un po’ ovunque, e si intuisce

che la vita è un dono e bisogna fermarsi pergoderne l’immensa bellezza che ci offre.Ma dimmi, caro Giacomo, ora che hai com-piuto i sessant’anni qual è il tuo segreto?«Forse quattro femmine. La prima mi hadato la vita, mia madre, la seconda l’amore,mia moglie, la terza il successo, la libreria, laquarta, una figlia o una nipotina, la vecchiaiaserena, ma di certo il segreto è stato inve-stire sempre nella cultura.

PLEVANO INCONTRA GiacomoLodetti

ci per forme più grandi. La loro forma, perpe-tua un equilibrio classico e tende a dimostrare,a chi le osserva, alcuni rapporti spaziali equili-brati. La fluidità del loro volume rafforza talesensazione. Nella mia intenzione la loro formanon dovrebbe sollecitare soltanto una sensa-zione estetica, ma la mia visione di bellezza edi equità formale come simbolo di una misuraumana. Perciò rifuggo dal contingentale, dalladescrizione dei particolari, dagli effetti decora-tivi, cercando di adeguare la loro forma allaqualità della materia con cui sono realizzate».A.D.: Sociologicamente in quale ‘ambito’ sicolloca la sua ricerca e quale ‘forma’ innova-tiva apporta nel panorama della sculturaconteporanea?G.B.: «L’arte applicata è essenzialmente orna-mentale. Il valore intrinseco delle mie formenon si pone come complementare di qualco-s’altro, semmai può convivere con qualcos’altro.Grandi o piccole che siano, la loro realizzazio-

ne avviene attravero l’applica-zione delle regole operativeche da sempre hanno con-traddistinto la scultura.Sono modellate con lacreta, plastificate col gesso,fuse in bronzo o scolpitenel marmo. La loro formarisulta definita dal contor-no del loro volume cosìcome le staute d’ognitempo. La loro parte con-

cettuale non è esplicitamen-te dichiarata ma tutta da

intuire. Ossia, non vincolo ilfruitore ad un teorema preco-stituito e inapellabile. Confido

sulla sua immaginazione enelle sue capacità interpre-

tative. Non so dire cosaporta o ha portato di

nuovo la mia opera nelpanorama della scultura contemporanea; tral’altro non considero indispensabile l’aspirazio-ne alla novità. Mi preme invece che, in quantocomunque inediti, i valori espressi risultino, a chili osserva, autentici».A.D.: Nella sua posizione, ponendosi quale

erma bifronte, quali sono stati i suoi modellifra gli artisti? E quali giovani artisti la guardano?G.B.: «Dagli idoli paleolitici a Brancusi, abbia-mo alle spalle circa 35000 anni di attività scul-torea. Tutti noi siamo in qualche modo figli diquesto immenso patrimonio prodotto dall’uo-mo e operiamo con gli occhi colmi di formeartefatte che col tempo si sono accavallate aquelle naturali. Chi come me aspira ad aggiun-gerne altre si mette in un grosso guaio, adesempio, può capitargli, come dice lei, di appa-rire come un’erma bifronte solo perché nellasua evoluzione affronta opposte direzioni. Percontro, c’è chi esaurisce le sue energie creativereplicando fino alla fine dei suoi giorni la solitaforma e non si capisce bene se è per povertàespressiva o scelta strategica. I giovani scultori?

Non so quanti di loro mi guardino, magari qual-cuno c’è. Ma il problema per loro è un altro, ingenerale sono ormai disabituati a cercare aposteriori le ragioni di una forma, per loro larisoluzione sta nell’idea e nella sua enunciazio-ne teorica prima ancora della sua realizzazio-ne. Occorre tuttavia precisare che il rapportotra lo scultore e la società è cambiato, untempo le opere venivano richieste con un temaspecifico perché gli istituti religiosi e quelli laiciusavano l’arte per celebrare il loro potere e gliartefici creavano su commissione. Oggi creanosopratutto per se stessi, nel migliore dei casi lofanno sostenuti da un mercante che si incaricadi trovare gli acquirenti».

Antonio D’Amico

GIACOMO BENEVELLI L’altra storiadella realtà

Multiplo split, 1975, bronzo

Liaison 208, 1992, bronzo

SALVATORE LANZAFAME Suggestionidalla salina

Il paesaggio della Salina di Margherita diSavoia, le sfumature cromatiche d’intrigantesuggestione mistica, sono le radici sulle qualiSalvatore Lanzafame, giovane artista sicilia-no, fonda lo studio scientifico delle luci,rapito da un fascino che diviene turbinioemozionale. Turbinio mirabilmente espres-so nei dipinti in cui, se il paesaggio è fonted’ispirazione, tuttavia rimane sempre unpretesto per dare libero sfogo al colore, aquelle vibrazioni materiche che sono il cen-tro indiscusso dell’opera dell’artista siciliano.Essa è costituita infatti, da diversi stratisovrapposti a definire simbolicamente ifogli della memoria, codici del tempoimpressi nei luoghi ritratti, sintesi di unasensazione vissuta, esperienza emotiva-mente motivata nell’opera d’arte, nella sualimpida manifestazione. Protagonista, ilcolore è luce abbagliante o buio inquietan-te: i rossi e i blu sono tempesta e quiete,fuoco e acqua, terra e aria.Nella pittura di Salvatore Lanzafame, d’indi-scutibile eco mediterranea, si rivela dirom-pente l’ambivalenza esterno-interno: il pae-saggio è luogo esterno che si offre liberoallo sguardo dei passanti, come si offrì aFederico II di Svevia quando giunse pressola salina in terra di Puglia («Se il Signoreavesse conosciuto questa piana di Puglia, luce

dei miei occhi, si sarebbe fermato a viverequi»), eppure innumerevoli e nascosti,monadi sono gli sguardi che su di essoincantati si posano. Il colore è sintesi, croce-via: custodisce i due elementi che nelle sueinfinite pieghe si snodano, si sovrappongo-no, si allontanano.

Tiziana Rasà

Salina, 2006, olio su tela, cm 70 x 70

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Giacomo ritratto da Wolfgang Alexander Kossuth

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Giuria

Adriano Altamira - Sergio Angeletti - Aldo Benedetti Philippe Daverio - Victoria FernandezAlessandro Papetti - Luca Tommasi

Comitato Promotore

Raphaelle Blanga - Antonio D’Amico - Victoria FernandezSara Fontana - Giorgio Lodetti

SpazioBoccainGalleria mercoledì 4 ottobre 2006 ore 18,00 serata di premiazione

Massimo BollaniBruno Cerboni Bajardi

Claudio Magrassi

Fabio Presti

Antonietta Corsini

Cristiano Tassinari

Octavia Monaco

Maddalena Rossetti

Laura Chiara Colombo

Gabriele Buratti

Olson Lamaj

Marco Cerutti

Alessandro Stucchi

Antonio Dell’Isola

Jeannette Rütsche

Tiziana Vanetti

Sonia Ceccotti

Silvia Abbiezzi

MOVIMENTO NELLE SEGRETE DI BOCCAArtisti selezionati edizione 2006 Libreria BoccaGalleria Movimento

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www.francotarantino.com

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Scoglio di Quarto, via Ascanio Sforza, 3 - Bazart arte contemporanea, V.le Col di Lana, 8 - Milano, tel. 0258317556 - 3485630381 - e-mail: [email protected] - www.bazart-scogliodiquarto.com

presso la Biblioteca dell'Accademia diBrera (2001) con un intervento pianisti-co di Giorgio Gaslini.In quell’occasione Franceschini ha susci-tato emozioni musicali attraverso unaserie di partiture dipinte con l’istinto dichi affida alle improvvisazioni del colorele oscillazioni imponderabili del suono.In precedenza, nel 1988, in uno scritto aproposito di Ravel, Roberto Sanesi avevagiustamente avvertito che Franceschini nondipinge la musica ma fa una serie di eser-cizi, organizza i ritmi del segno e del colo-re in una costruzione parallela.A questa identità di comportamento siricollegano le emozioni cromatiche cheemergono soprattutto dal repertoriodelle sue car te, esse testimoniano lagestualità istintiva con cui Franceschiniha fissato appunti veloci per i suoi viag-gi musicali, infiniti pensieri dentro ilcolore, essendo la pittura la vera musicadella sua vita.

Claudio Cerritelli(Milano, luglio 2006)

EDOARDO FRANCESCHINI Sonorità cromaticheIn ricordo di Edoardo Franceschini

La rubricadi questo numero

è dedicataall’amico e grande artista

Edoardo Franceschinirecentemente

scomparso

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“Tutto è ancora in gioco per quelli dellamia generazione, ma soprattutto per igiovani impegnati sul cammino futuro,per i pittori liberi di credere che non v’èmiglior cosa della sottile ver tigine chepervade il senso dell’opera, dal primoall’ultimo gesto.La tradizione è tutto ciò che non abbia-mo dimenticato, è la speranza di poterguardare al futuro attraverso i coloriche passano vibrando tra le dita, comemateria misteriosa e fatale che accom-pagna il desiderio di raccontare i segre-ti della mente attraverso il flusso istan-taneo delle immagini.La pittura è come la vita, non ha biso-gno di molto per esserci, per fare quel-lo che bisogna fare, il colore è un respi-ro nel respiro di tutti, un filo che correfino all’estremo spasimo del suo deside-rio di lasciare tracce durature”.Questi ultimi pensieri di Edoardo Fran-ceschini possono essere considerati iltestamento poetico di un ar tista che havissuto dipingendo intrighi del colore escorrimenti del segno con stile incon-fondibile, con quella liber tà d’azione delgesto che fissa sulla superficie tracce dipercorsi interiori, brevi esplosioni difantasia a caccia di orizzonti impossibili.Franceschini ha sempre creduto nellapittura come scintilla quotidiana dell’ar-te, origine e destino di una scelta soste-nuta fino in fondo come unica possibilitàdi dar voce a folgoranti apparizioni, vociprofonde del paesaggio immaginario,traiettorie del fantastico percorse d’unfiato, come si percorrono le scie di visio-ni non ancora visibili.Se la pittura è un cammino verso l’in-conscio il colore ha la capacità di scava-re nel profondo, mettendo a fuoco l’e-mozione dello spazio, il senso dell’inco-gnito, la forma sfuggente dell’immagineche nasce in un modo che è difficileimmaginare al di fuori del pensiero pit-torico. Si tratta di un fervore cromaticoche anima l’evento del dipingere, qua-lunque sia lo stato d’animo che assalel’ar tista davanti alla superficie vuota: laluce trema d’azzurro, le macchie sonodominate dal rosso, le linee fremono diverde sotto l’azione del nero che scivo-la sempre sicuro del suo tragitto.Gli intrighi dello sguardo divorano lospazio tra fili vaganti, segni oscillanti egorghi di colore dove l’occhio s’immer-ge e si eccita, di volta in volta, per ritro-

vare la sua primigenia tensione. La lungastoria di immagini dipinte da France-schini, dalle prove degli anni Cinquantaad oggi, è un territorio di forme cheripropongono in modo diverso gli impul-si e i dinamismi del colore vissuto comeenergia incontrollabile.Se si confrontano le differenti fasi dellasua ricerca si avver te una straordinariapersistenza di forme impulsive legateall’ansia di fissare i labirinti interiori delpaesaggio, percepito in modo circolaree sfuggente, costruzione astratta dei tra-gitti conflittuali della memoria.Eppure nulla è mai dato per acquisito,tutto è rimesso sempre in azione, dipin-

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gere è infatti per Franceschini un attopoetico che vola altrove ma anchecoscienza critica di uno spazio in diveni-re che disgrega le false cer tezze, piace-re di sconfinare oltre il visibile, versonuove visioni.È quanto accade nelle opere degli anniNovanta dove più for te è l’impatto cro-matico rispetto al clima lirico ed evoca-tivo dei lavori precedenti, più aspra è laconfigurazione nei confronti del ritmofatto di slanci e di misure, bilanciate trazone sature di segni e vuoti luminosiche coincidono con il bianco.Franceschini inventa equilibri tra moven-ze diversificate del colore, controlla lasuperficie con gesti veloci e impulsivi,come se volesse far partecipe il lettoredei suoi spasmi immaginativi, di quelletensioni che non hanno altra giustificazio-ne che quella del proprio affioramento.Orientarsi negli eventi di questa pitturaè come saltare rapidamente da unpunto all’altro e seguire le acrobazie delpennello che scatta, si ferma, riprende agraffiare la superficie giocando libera-mente con i reperti del vissuto, coinvol-to nel fermento indescrivibile della fan-tasia. Appassionato di musica e interessa-to a cogliere i sottili rapporti tra coloree suono, Franceschini ha dipinto emozio-ni sonore, note cromatiche che trasmet-tono l’immediata sensazione delle formein divenire.Con sensibilità e raffinata competenza hacolto infinite corrispondenze tra vibra-zioni cromatiche e ritmi segnici. La musi-ca sorella della pittura, recita infatti il tito-lo di una indimenticabile mostra di carte

Sul filo dell’artea cura di Stefano Soddu

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