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Massimo Petrini 20DANGELO06 Progetto1/A le segrete 26-11-2008 12:31 Pagina 1

Segrete di Bocca N. 23

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Nasce dall’esigenza sempre maggiore di promuovere la giovane Arte contemporanea Italiana, l’esigenza da parte della storica libreria Bocca di Milano di diffondere sempre più capillarmente il proprio notiziario informativo: Le Segrete di Bocca. Quadrimestrale d’attualità artistico e culturale nato nel duemila come inserto della rivista Arte incontro in Libreria, oggi si emancipa da inserto a Rivista indipendente. Forte della distribuzione gratuita ad oltre duemila nominativi di clienti fidelizzati alla Bocca, diffusi sul territorio italiano, specializzati o semplicemente interessati alle arti contemporanee italiane ed internazionali. La Rivista punta su collaborazioni mirate a migliorare i propri contenuti, attraverso l’avallo e il contributo delle Gallerie d’Arte, oltre che a stringere rapporti di collaborazione con strutture organizzative di prima linea presenti sul territorio nazionale. Forte dell’appoggio di oltre trenta collaboratori, tra cui giornalisti e critici d’arte, è oggi possibile far parte di questo nutrito entourage, formatosi in sette anni di attività editoriale. Insieme saremo in grado di dar voce alle più differenti ricerche nel campo dell’Arte Contemporanea Italiana. La Libreria Bocca sempre in prima linea nella promozione, attraverso il vostro contributo, potrà diventare un faro nella nebbia di questo complicato sistema che è l’Arte Contemporanea. Unisciti a questa nuova iniziativa editoriale e collabora con Le Segrete di Bocca, Artisti in Rivista. Per maggiori informazioni contatta Giorgio Lodetti: 338 2966557 oppure via e.mail: [email protected]

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Massimo Petrini

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numero

23

EditorialeNasce dalla volontà sempre maggio-re di promuovere la giovane Artecontemporanea Italiana, l’esigenza daparte della storica libreria Bocca diMilano di diffondere sempre piùcapillarmente il proprio notiziarioinformativo: Le Segrete di Bocca.La Rivista cerca collaborazioni miratea migliorare i propri contenuti, attra-verso l’avvallo e il contributo delleGallerie d’Arte, oltre che a stringererapporti di collaborazione con strut-ture organizzative di prima linea pre-senti sul territorio nazionale.Unisciti a questa nuova iniziativa edi-toriale e collabora con Le Segrete diBocca, Artisti in Rivista.

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ArticoliRubricheScritti d’artista

6° SESTO ART GALLERY - BarbaraTamburro VIA DEI MARONITI 13/15 - 00187 ROMA

[email protected]

DELLA PINA ARTE - Maria VittoriaP.ZZA DUOMO 11 - 55045 PIETRASANTA LU

[email protected]

GALLERIA CERIBELLI - Arialdo CeribelliVIA SAN TOMASO 86 - 24122 BERGAMO

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GALLERIA DANIELA RALLO - Daniela RalloP.ZZA SANT'ABBONDIO 1- 26100 CR

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GALLERIA D'ARTE L'INCONTROErminia Colossi

VIA XXVI APRILE 38 - 25032 CHIARI [email protected]

GALLERIA D'ARTE NINO SINDONINino Sindoni

CSO IV NOVEMBRE 117 - 36012 ASIAGO [email protected]

GALLERIA DELLO SCUDOVeronica Lao Poggi

VIA SCUDO DI FRANCIA 2 - 37121 [email protected]

Redattori:Giorgio Lodetti

Giovanni Serafini

Collaboratori:Aldo Benedetti

Donatella BertolettiAndrea BondaniniMaurizio Bottoni

Gabriella BrembatiGrazia Chiesa

Franco ColnaghiGianluca Corona

Sara FontanaAngela Govi

Emanuele LazzatiAlberto Mari

Cristina MuccioliMariacristina Pianta

Roberto PlevanoStefano Soddu

Testata di:Sergio Dangelo

Quarta di Copertina opera di:Andrea Cereda

In copertina:“Cronotopo” opera di Massimo Petrini

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GALLERIA FORNI - Silvia SchiavinaVIA FARINI 26 E - 40124 BOLOGNA

[email protected]

LIBRERIA GUIDA - Mario GuidaVIA PORT'ALBA 20/23 - 80134 NAPOLI

[email protected]

MdA TODAY - Beatrica Sibylle PocockPARK PALACE - 27,AVENUE DE LA COSTA98000 MONTE CARLO - P. DI MONACO

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MICAMERA FOTOGRAFIA DAL XX SECOLOGiulia Zorzi

VIA MEDARDO ROSSO 19 - 20159 [email protected]

NUOVO SPAZIO ARTE CONTEMPORANEALoretta Tagliaferri

VIA CALZOLAI 24 - 29100 [email protected]

SPAZIO FORNI - Elisa VIA SANT'ANNA 105 - 97100 RAGUSA

[email protected]

STUDIO FORNI - Barbara FrigerioVIA FATEBENEFRATELLI 13 - 20121MILANO

[email protected]

Andare oltre,nell’altro lato delle cose,

varcare quella sottile linea che separa idealmente,

ma anche unisce,ogni polo con il suo opposto,dal cui incontro/scontro nasce,

si rivitalizza e si perpetua l’energia.

Massimo Petrini

Dangeloproposte per il “nuovo Melzi di italica lingua”

Fotografia: tecnica e arte diriprodurre immagini da cuiverranno tratte positive oritratti magicamente elabo-rati. 1)Immagine: figura dei corpiesteriore o interiore percepi-ta mediante la vista o gli altrisensi, rappresentazione men-

tale di cosa vera o fittizzia rie-vocata dalla memoria, voltiinterpretati da Petrini.

Mantide: figura dal corposnello maniacalmente inter-pretata da Dangelo e attual-mente, non ritratta da Petrini.

1) = vedi Petrini

Ecce ovo, 2007Radici, 2008Le colonne, 2007

Mostra personaleLibreria Bocca Galleria Vittorio Emanuele II, 12Milano8/28 gennaio 2009

Siamo presenti presso

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Ingegner Prinetti, 2007

Traiana: è la “Debacle”, millegessi distesi su una superficie

di trenta metri quadratiche narrano di una stri-sciante umanità prigio-

niera della propria volut-tà, apoteosi disgregativadi una carne che si con-

torce implorante unasacralità annegata inuna ossessiva e folle

sensualità. Quei corpiaggrovigliati e deformati

ricordano una scenadell’Inferno dantesco,

come La portadell’Inferno di Rodin, manon trasmettono mes-saggi plastici di sofferta

moralità, bensì hanno ladisperata leggerezza de

Le foglie morte diPrévert lstruggente

volontà di dettarci leloro ultime volontà, didonarci un soffocato eliberatorio testamento,comunicarci come “le

foglie morte cadono amucchi, come i ricordi e i rim-

pianti” e “il mare cancella sulla sabbia ipassi degli amanti divisi”… Anche Greco,

come Arturo Martini, si è sottratto aogni retorica, facendo di ognuno di noi

un “Palinuro”, attento timoniere dei sen-timenti più urgenti e segreti …

Aldo Benedetti

Rosso che tendevaalla fluidificazionedella materia, afarne veicoloistantaneo, quasifotografico,di esterrefattostupore (non acaso Rosso dedi-cò gli ultimi annidi vita soltanto afotografare le sueopere). Greco èun moderno“Rodin Hood”,“ruba” alla “ricca”e abusata statuariacommemorativa perdonare alla scultura“povera”, che nonvuole coprirci di retori-ca, ma svelarci unmondo comune di pul-sioni e passioni: è unambizioso progetto dirivelazione della figuraumana, di “trasfigura-zione alla rovescia”, incui prende forma la tragicaimpotenza di un riscatto, di sottrar-si agli incontenibili e oscuri istinti dellacarne, alla condanna di un destino con-tradditorio, urlato con la stessa intensitàdel capolavoro di Munch. L’ultima gran-diosa opera del Nostro oscilla tra la sto-ria della Cristianità scolpita nel portaledella cattedrale di Reims e l’esaltazionetrionfale della paganità della Colonna

Paolo Schmidlin è stato recentemente alcentro di una movimentata e scandalosapolemica innescata da alcune opere pre-sentate a una mostra milanese, tra cui ilsuo irriverente Miss Kitty, censurate (!)appena dopo l’inaugurazione, con relativo(masochistico) annullamento della mostrastessa. Le sculture di Schmidlin non passa-no certo inosservate – pensiamo tra l’al-tro alla provocatoria e divertente PornoQueen, sicura bestemmia per gli integrali-sti della monarchia britannica – sia pervivacità espressiva e cromatica che per lascelta dei soggetti, sempre in grado di tur-bare le zone più oscure e contrastatedella nostra coscienza. Nello spirito diquesto giornale di dare voce ai veri pro-tagonisti dell’arte, inseriamo di seguito uninteressante scritto di Schmidlin stessoche spiega con grande chiarezza e onestài suoi punti di vista sulle sue creature difantasia ispirate a scomode realtà. Nessuncritico può essere migliore interpretedell’autore stesso, quando questo sia ingrado di fare egregiamente anche… ilmestiere di critico, come in questo caso.

G. Serafini

L’inevitabile solitudine dell’essere: è unadelle problematiche più evidenti nelmondo contemporaneo. Vorrei che que-sto disagio interiore venisse comunicato

dai personaggi delle mie sculture. I lorovolti sono presi dalla strada, dai locali not-turni, dai polverosi salotti di un’anacroni-stica nobiltà agonizzante. Oppure dagliambienti volgari i del cosiddetto “jet-set”,dai “foyer” dei teatri o dai locali equivocidel sesso a pagamento. Spesso sonoanche ombre riemerse dal cinema holly-woodiano con le sue dive dall’alone mor-tifero. Da questi volti imbellettati traspareil tormento che logora il fragile ego del-l’uomo moderno e la malinconia che locoglie quando avverte la propria debolez-za e la propria dannazione. Come dispe-rata reazione al terrore di vedersi scom-parire, c’è il tentativo di rinforzare un’indi-vidualità che rimane comunque vacua edeffimera; è così che la chirurgia plastica

che regala una grottesca illusione di gio-ventù, la moda ammiccante e banalmen-te seducente, l’oblio delle sostanze stupe-facenti, dell’alcool e del sesso compulsivo,diventano tutti palliativi per dimenticare il“grande vuoto” che ci attende. Fragiliargini al panico. Ma c’è sempre unmomento in cui la realtà si ripresenta intutta la sua raggelante verità. E’ in questomomento inatteso e destabilizzante di“presa di coscienza”, un istante che èquasi una vertigine, che amo raffigurare imiei personaggi. La scultura L’ingegnerPrinetti può essere un’opera emblematicaa tale proposito.Questo ingegnere di mezza età (simboloperaltro di una sorta di schizofrenia con-temporanea) cerca di riscattare un quoti-diano grigio e frustrante con scintillantinottate da Drag Queen, all’insegna di unatrasgressione a buon mercato. Ma vieneritratto proprio nell’ attimo di agghiac-ciante lucidità in cui l’euforia svanisce;crudeli luci al neon dissipano le inganne-voli penombre della discoteca, e si ritro-va solo con se stesso, con le sue paure eil trucco che comincia a disfarsi. Il suosguardo attonito è uno sguardo interiore,che prende atto dei propri limiti, dellapropria transitorietà; in un solo istanterealizza che il tempo è passato, le aspet-tative sono restate inappagate e i sogni difelicità definitivamente accantonati.Da protagonista spensierato divienespettatore della sua stessa esistenza e delsuo vano affannarsi. “Les jeux sont faits”.Quello che resta è solo una mascheragrottesca di infelicità.

Tempi moderni

Paolo Schmidlin

È stato entusiasmante osservare l’espres-sione di Ettore Greco di fronte alle statueequestri del Mochi in occasione della suavisita a Piacenza, apprezzarne l’acume concui distingueva la posa vibrante e baroccadi Alessandro dalla ingessata maestositàdi Ranuccio, interpreti di un democraticorevisionismo della funzione scultorea incui già si manifestano le inquietudini dellamodernità. Greco è figlio di Rodin, avver-te la stessa ansia di esprimere la contrad-ditoria grandezza dell’uomo, di scolpirnedannazione e riscatto nello sforzo miche-langiolesco di uscire dai profili del finito,divincolarsi dai limiti della materia, allaricerca di una spiritualità violentata dallacostrizione della carne.Contorsioni di corpi impegnati a liberarsidella pelle come serpenti che si adattanoalle stagioni della vita, prigionieri di un’os-sessione che ci rende avventurieri mutila-ti di un’apparizione breve e sacrilega,come l’uomo di Melbourne di Bacon,guerriero sconfitto avvolto da un urlosoffocato analogo a quello dei Papi diBacon.Greco sa davvero interpretare le sensua-li dissoluzioni baconiane raggiungendoesiti straordinari di un “espressionismoscultoreo” che è conseguenza evolutiva di quell’ “impressionismo” alla Medardo

Le ultime voluttà di

Ettore Grecoil….Rodin Hood patavino

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Tre teste n.1, 2008

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schermo inutile all’abbandono di un pian-to, carezza su di un corpo amato, signifi-cante reperto di disumane fatiche, insi-nuante strumento di piacere, forzamaschia prevaricante, venose abbandona-

te appendici nella remissiva decadenza deivecchi. La Monaco racconta la commediatragica della vita e non teme la morte, neaccetta l’idea con fatalistica razionalità puravvertendo in se stessa l’innata avversioneistintuale all’estremo passaggio, rifacendosia una Pachamama, Gea o Grande Madreche nutre il mondo di cui noi siamo forseun cancro che perniciosamente si ripro-duce. Elena Monaco ha una visione dellafine dell’esistenza ispirata al mistero delle«grandi teste di pietra dell’isola di Pasquache - dice - sorridono e guardano il nulla».Approderemo alla nostra isola di Pasqua?L’amore per l’arte è in fondo ricerca perritrovare se stessi nelle intuizioni dell’auto-re; è il tentativo seducente di consolare ilnostro spaesamento di spoglie vagantisenza risposte, incamminate verso l’oscu-rità, in attesa di un Dio che si accorga delnostro sgomento.

Giovanni Serafini

l’uomo sta sulla croce del suo corpola testa accasciata, trafitta dalle profonde

spine della sua corona di pensieri Paul Valéry

“Grafite. China. Gomma. Lametta.Bisturi.” Sembrano ordini di un chirurgoin sala operatoria più che didascalie delleraffinate opere di Elena Monaco. L’artistatorinese - liceo artistico e accademia ovenel disprezzo del figurativo non si insegnapiù a scolpire e a dipingere - viene inizia-ta all’astratto. Gusto innato e dedizioneappassionata la convertono a un prodi-gioso stile classicheggiante, consentendoledi realizzare opere eccellenti impostesi alpremio Cairo-Arte per la grafica e nellostesso anno all’altrettanto prestigiosoriconoscimento Faber-Castell, avvincendoper eleganza formale, originalità tematicae qualità dei suoi lavori, disegni, tecnichemiste, oli e incisioni da liberatorio grido diesultanza: l’arte è tutt’altro che morta! Lacredono tale solo i deboli di giudizio e gliostinati modaioli che, tentan-do invano di affossarla, si pre-sumono scaltri nell’inseguirele più bislacche facezie chenulla hanno a che vedere conl’autenticità della creazioneartistica. Centralità essenzialeed eccelsa dei lavori di ElenaMonaco è il corpo umano,pretesa somiglianza di Dio epotenzialità blasfema, prota-gonista di dannazione in assi-dua lotta con l’anima, tronco-ne di carne tormentato dacupi pensieri, enigmaticaespiazione di colpe di cuinon conserva memoria. «Hovoluto rappresentare - dice laMonaco - l’“irrapresentabile”attraverso la cosa più rappresentata neisecoli, il corpo, per trasmettere sensazionituttora oscure per la scienza: amore, rab-bia, violenza, crudeltà, sensazione del limi-te, terrore, pulsione a trasgredire.» E lascommessa era riuscire a farlo in formaclassica, la più difficile poiché con essa sisono misurati i più grandi. Il nostro rap-porto con il corpo, massa di carne sensi-bile, stupefacente contenitore di ossa ten-dini muscoli umori crudelmente predesti-nato allo sfacelo, non è mai sereno néquieto. Né lo è il corpus delle fascinoseimmagini di Elena Monaco che, a dispettodell’armonia delle forme e della lorosuprema quanto transitoria bellezza, raffi-gura personaggi in spasmodiche contor-sioni dentro invisibili camicie di forza (con-venzioni ipocrite, superstizioni, sopraffa-zioni violente) o costretti da cortine di filospinato, imprigionati in reticoli di cameredella morte, protesi in disperati tuffi preci-piti nel tentativo di sfuggirvi o serrati inavvinghianti amplessi in cui soffocare ilsenso acre del peccato. E insieme al lin-guaggio dei corpi, trionfo della creazione eraccapricciante promessa di putrefazione,il terribile linguaggio delle mani: dramma-tici viluppi di dita serrate in incarnazioni diangoscia, rapaci prese grifagne, artigli cheaffondano nella carne eccitata di amanti,

Elena Monaco

Nessun imperativo estetico aveva mosso lamente e la mano di Lucio Fontana, fuorchéla peculiare autonomia espressiva inarmonia con le mutazioni del-l’arte, della cultura e della fisi-ca del Ventesimo secolo. E’quanto emerge tra glispazi barocchi di PalazzoDucale, in una Genovarinnovellata che tributail suo plauso all’artistache tanto prediligeva laLiguria, con una rasse-gna a tutto campo,dalle involute cerami-che di Albisola delprimo periodo opera-tivo alle fenditure chel’anno reso celebre,mutando dal provocato-rio Dadaismo di TancrediParmeggiani e dalle ingenuetrasgressioni delle Tramuture

di Emilio Scanavino. Prima che il glaucomaintristisse la sua chiaroveggenza, il coeta-neo ancorché connazionale Borges definìquei tagli: morsi canini su velluto, lacerantiimplosioni delle tele, sottili verginali ime-nei. La mostra annovera ogni sorta di“ambiente spaziale”, nonché la ricostru-zione di elementi tecnici esposti aTriennali milanesi, le “nature” folgoranti

luce e colori nella cappella doganaledel Palazzo, e infine le sequenze

della “fine di Dio”, in ottempe-ranza alle sensazioni spaziali

oltre l’universo e determi-nante dalle evoluzionisupreme della fisica edell’astronautica.Quest’uomo rude evirile, nato alla sogliadell’infinita Pagatoniaandina – il limite delpianeta terra – andò amorire in un borgolacustre di Lombardia,un buco incastonatonella suggestione spazia-

le della catena delle Alpi.

Emanuele Lazzati

Lucio Fontanaa Genova

Concetto spaziale La fine di Dio, 1963

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La fotografia di interni è un genere ricor-rente nella fotografia contemporanea.Che sia il luogo del disagio o lo specchiodell’identità sociale o della vita individua-le, le stanze abitate veicolano il ritratto dichi le abita, anche – soprattutto - quandola persona stessa non è presente nelleimmagini.In questa presenza dell’assente risiedeuna particolare qualità dei lavori diBeatrice Minda, tedesca di origine rume-na, che con questo lavoro esprime laricerca delle proprie origini e della pro-pria identità.Il progetto tratta un tema estremamenteattuale quale l’identità del popolo rome-no e lo affronta presentandoci 30 imma-gini di interni scattate tra il 2003 e il 2006,quando l’artista ha visitato appartamentidi rumeni prima in patria e poi all’estero(in Francia e in Germania).Diviso in tre sezioni, Interni in Romania –Interni borghesi in Francia e Germania –Interni di abitazioni dei lavoratori migran-ti in Francia, è stato pubblicato da HatjeCantz nel 2007 e sarà in mostra daMiCamera da metà gennaio a fine febbra-io. Una serie di stanze in cui le personenon compaiono mai.Comune a tutte le immagini è la luce, chele pervade e le carica di un’atmosferaquasi soprannaturale che ne sottolinea ilcarattere feticistico, colorandole di un’au-ra di solitudine spettrale.Nelle stanze visitate, l’attenzione dell’arti-sta si concentra sui particolari che espri-mono e in qualche modo vogliono pre-servare la cultura di appartenenza.Nel caso delle abitazioni all’estero cerca-no di dare la sensazione di patria, anchese poi mancano di un preciso, concretoriferimento alle persone che le abitano,perché l’artista non è interessata a docu-mentare il destino individuale, una storiain particolare.“In questa stanza è racchiu-sa tutta la mia vita” sembra dire ciascunaimmagine.Le abitudini e lo stile di vita si condensa-no in questi interni.Guardando le immagini di Beatrice Mindasi ha l’impressione che si tratti di stanzeabbandonate, perché sono fortementeancorate al passato, nell’arredamento,nello stile, nell’atmosfera.Il mezzo fotografico, nella sua capacità diimmortalare e quindi in qualche modomummificare ciò che esiste, crea una con-dizione in cui passato e presente coesi-stono parimente congelati e colloca que-ste immagini in una dimensione fuori daltempo.Beatrice Minda ha parlato a lungo con lepersone che abitano in queste stanze.Anche se le camere tacciono, non sonomute. Ci danno dei segnali. Non possonoraccontare la propria storia, ma ci sfidanoa motivare la loro presenza.La nostalgia sembra essere il comunedenominatore di queste immagini; nostal-gia di un passato migliore, nostalgia degliaffetti lontani… mentre in quest’atmosfe-

licenziare le proprie opere solo dopo unalunga ponderazione. Non si pone dunqueun reale contrasto, se non nella direzionedi una sua possibile sintesi, intesa comeesaltazione di quelle soste che sono pre-senze indispensabili in un cammino con-dotto in perenne tensione. Non è unascoperta. Già Roberto Tassi aveva indivi-duato nell’ossimoro, un artificio letterarioche concilia termini opposti, l’essenzadello stile di Della Torre, fin dai suoi esor-di intorno al 1954. Anche Antonio Pinelli,in un testo dedicato all’artista nel qualecita molte frasi di quest’ultimo tratte daiTaccuini, evidenzia come la pittura diDella Torre viva “sul filo sottile di un equi-librio teso fra due polarità opposte [...]Ecco perché si accampa esattamente amezza strada tra visibile e invisibile, sognoe realtà, natura e astrazione, come hannoperfettamente intuito quei critici comeRoberto Tassi, Claudio Olivieri, VittorioSereni, Elena Pontiggia, Walter Guada-gnini, che hanno di volta in volta parlatodi “equidistanza tra naturalismo e astra-zione”, di “razionalità lirica”, di “figurativitàdell’invisibile”, di “geometria del senti-mento” di conciliazione tra “esprit degéometrie” ed “esprit de finesse”.Pervenire ad una sintesi degli opposti,fondere essere e divenire, razionalità esentimento, solarità diurne e incubo not-turno: questa è l’essenza della sfida cheDella Torre affronta ogni qual volta sipone di fronte alla tela o alla lastra [...]”».

Sara Fontana

Dal catalogo della mostra Enrico Della Torre“Prove” 20 dipinti e 20 incisioni acquerellate

1980-2008, a cura di Sara Fontana Galleria Daniela Rallo, Cremona

ra risuona la domanda: chisono io?E ogni volta che abbiamo lasensazione di sentire questadomanda, segue inevitabil-mente anche “chi siamonoi?”. Perché il singolo senzala collettività non esiste e lestanze sono luoghi dell’ap-partenenza, dell’identità edella sua definizione a scapitodi tutto ciò che è fuori.

Giulia Zorzi

In esposizione all’Associazione Culturale

MiCameraVia Medardo Rosso, 19 - MI

[email protected]

Beatrice MindaInnenwelt // Inner world

«L’antitesi naturalismo-astrazione affioracome una costante nel percorso umanoe professionale di Enrico Della Torre.Questi due concetti in apparenza oppostisono stati il motore di una creatività ori-ginale, alimentata dall’energia e dalla sen-sibilità dell’artista e vivificante l’intera suaopera. Della Torre è pienamente consape-vole di tale contraddizione e mi è parso diritrovare questa consapevolezza in duesue frasi che ho estratto e accostato: dueaffermazioni perentorie e contrapposte,

in cui è possibile individuare una dellechiavi di lettura del lavoro dell’artista cre-monese e forse anche della sua persona-lità.“Io sono un pittore di tensioni” ci dicemolto del suo carattere e dell’impulsoinarrestabile e sperimentale della suaricerca. È lui stesso a svelare un desideriodi trasporre nelle incisioni e nelle telequelle sensazioni impercettibili di spazio,tempo e dinamicità che scatu-riscono dalla natura e con-traddistinguono il territoriodell’astrazione. Ma mi sonoannotata anche “Nella vitacontano le pause”, dove “nellavita” certamente sottintende“nella pittura e nell’incisione”.Questa affermazione, al con-trario della precedente, riflet-te la convinzione che l’artenasca dall’ozio e spiega forsel’abitudine di Della Torre a

Enrico Della Torre

Dall’interno all’esterno, 2008

Paesaggio, 1992

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Angela Govi colloquia intensamente conla sua pittura, nella quale riversa sensazio-ni visive, impressioni psicologiche, sogni esentimenti. Lo rivela la partizione in duet-ti, terzetti e quartetti, talvolta in assolo,delle sue tele. Nei quartetti – ovverosiaquattro tele accostate – è appunto ilrimando dei suoni cromatici e formali,l’intrecciarsi talvolta dei sensi e lo svilup-parsi sempre di un rimando reciproco fraesse, che rinvia al genere musicale. E nonc’è un inizio e una fine, né un ordine com-positivo delle tele, che possono essereaccostate fra loro sotto l’impulso di

momentanee impressioni, come un giocodi domino irrazionale e guidato da sugge-stioni, anziché dalla intangibile precisionedel numero. Negli assolo, risolti in unasola tela, il discorso si fa più serrato, enig-matico come un monologo interiore, nelquale l’autrice si interroga sul senso e sulvalore personale da assegnare a un colo-re, a un segno, a una forma riemerseall’improvviso dal deposito dell’inconscio.Per lei, insomma, la pittura si costruisce

A prima vista Perrone lavora con un pro-cedimento al contrario: prende libri veri, lispoglia di tutto il contenuto, li rende og-getti apparentemente anonimi.Per farlo usa una serie di nemici patologi-ci del libro: anime di metallo, colle, gesso,vernice bianca.Con questi strumenti, infierisce selvaggia-mente sulle sue povere parole, fino a can-cellarle in toto.È un lavoro ossessivo, un po’ angoscioso eun po’ furioso come tutte le ossessioni,dove quella che inizia come una sottra-zione diventa vera e propria scarnificazio-ne. Tanto che alla fine, dopo una lungasequenza di trattamenti ottiene un ogget-to totalmente disanimato: non c’è più untitolo, non un autore, non una parola. Mala forma primaria, inequivocabile dell’og-getto libro è rimasta intatta e nei LibriBianchi di Perrone si trova il senso ultimodella scrittura: la pagina bianca, tutta dacompletare, l’anima pura della creazionelibraria. Non a caso, adolescente, Perroneha frequentato la scuola del librodell’Umanitaria dove, sotto la guida diAlbe Steiner, si apprendeva a diveniretipografi, grafici, rilegatori come quei mae-stri artigiani che da Tallone a Maestri, aUpiglio, hanno fatto grande l’arte librariaitaliana del secondo novecento.Con la sua tecnica di scultore, Perroneriempie i libri di significati ulteriori: alcuniprofondi, in qualche caso angosciosicome l’Anna P. per il secondo anniversa-rio dell’assassinio della giornalista russaAnna Politkovskaia, oppure Olocausto, colsuo filo spinato che ci lascia senza fiato.Ma per fortuna ce ne sono di allegri,

come il simpatico Mousse o il lievissimoPapillon, con i suoi fogli in aria, leggericome un soffio; e poi quelli scherzosi: Lamer, con la sua barchetta da adolescenteo l’esilissimo Uomo che cammina, omaggioa Giacometti. Insomma, c’è la vita, in tuttele sue infinite sfaccettature.Alla fine, dopotutte queste vicissitudini, questi LibriBianchi hanno ripreso appieno la lorofunzione semantica. Meno male.

Andrea Kerbaker

per armonia di forme e di colori, ma tal-volta l’equilibrio è rotto dall’insertooggettuale, che come una nota dissonan-te si impone per fare rilevare il fortesegnale psicologico trasmesso dal fram-mento utilizzato, oppure per sottolinear-ne l’onirica capacità evocativa. Non rac-contano storie le sue tele, se non perallusioni, poiché l’impianto è informale,densamente materico anche nel coloredato a corpo e la scelta espressiva è con-gruente con la funzione di schermo pro-iettivo, che l’autrice dà al suo fare pittura.Ma per guidare l’osservatore verso lameta, come in una labirintica caccia altesoro, non rinuncia mai a lasciare un indi-zio più o meno evidente dell’oggettoevocato e sono fiori e forme animali, par-venze di esseri come emergenti dal caos

primigenio, che prendono lentamenteforma in una evoluzione che si prospettasenza tempo. Senza tempo è infatti la pit-tura di Angela Govi, nel senso che, nonnarrando storie, non ha bisogno di precisidati temporali. Il tempo della sua pittura èdel tutto interiore e consiste nella duratadello sguardo che serve all’osservatoreper entrare in sintonia con l’autrice.

Massimo Mussini

Angela GoviIl suono del colore

LorenzoPerrone

Proibito, 2008

Trilogia, 2008

Composizione 5, 2008 Composizione 3, 2008

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Eugenio Galli

Oltre l’immagineOspite delle “Segrete di Bocca” Eugenio Galli,

sbarca nuovamente a Milano con il suo mondo poetico, i suoi paesaggi e i suoi tramonti sognanti e sognati, la sua personale visione

dell’oggi che va al di là di lacerazioni, ferite, tradimenti e disarmonie per offrirci uno sguardo nuovo sull’essere umano,

tenacemente positivo e coinvolgente.Infaticabile ricercatore e sperimentatore di nuovi linguaggi, Galli è un esteta raffinato che dialoga con il proprio spirito

(e con la nostra anima) alla ricerca di nuove forme espressive. Nelle sue opere dai toni delicati, sfumati, la luce è l’interprete principale;

una luce esistenziale capace di trafiggere la tela (come i tagli di Fontana), che va oltre l’immagine, per catturare lo spirito di chi la osserva.Le opere dell’artista, indifferentemente dalle tecniche utilizzate,

(olio, acquerello, acrilico, su tela o su carta), ci trasmettono pacatezza e al contempo energia,

unite a una grande libertà di espressione nel segno e nel colore. Nella luce delle sue opere, piacevolmente, ci perdiamo.

Chiara Cinelli

SEGRETE DI BOCCALunedì 2 febbraio ore 18,30, 2009Via Molino delle Armi 5 - Milano

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Siamo giunti alla terza edizionedel premio, movimento nelle Segretedi Bocca, e se è vero che il tempoinesorabilmente passa, è anche veroche nonostante siano passati sei annidalla chiusura della prima edizione,l’entusiasmo non si affievolisce anzi sirinvigorisce nella speranza di trovaregiovani e futuri talenti. I numeri di cre-scita sono impressionati nel corsodelle tre edizioni sono triplicati, è undato che fa ben sperare sulla situazio-ne artistica del nostro paese; nonmanca materia prima! Un problemasta, forse, nelle forme di espressione,quindi nel fare non nell’essere o cre-dere di! Con il tempo ho notato unpeggioramento, un livellamento del-l’espressività e della creatività verso ilbasso. Non c’è più nulla da dire?Strano? Senza voler fare autocritica,era assolutamente prevedibile ciò cheè successo in questa edizione. In man-canza di una spiccata originalità ecreatività è stata, giustamente, premia-ta la tecnica e la maniera, dosatesapientemente con eleganza d’effetto.Sono tra l’altro molto soddisfatto dalrisultato, che premiando un giovanissi-mo e non solo artisticamente, maanche anagraficamente, può sicura-mente spingerlo ad un impegno mag-giore e più responsabile nel prosegui-re un cammino, apparentementesemplice. Emanuele, la vittoria di que-sto premio non è un arrivo ma soloun punto di partenza! Un doveroso esentito ringraziamento a tutti coloroche contribuiscono, nel tempo, adaumentare il prestigio e la partecipa-zione a questa manifestazione.

Giorgio Lodetti

premio

Movimento nelle Segrete di Bocca

2008

Nuovo programma artistico culturale a cura di Barbara Frigerio e Giorgio Lodetti,inaugurato il 6 ottobre 2008 presso Le Segrete di Bocca

in Via Molino delle Armi 5, a Milano

IN PROGRAMMALunedì 12 gennaio 2009

Natura risorta - Mostra fotografica di Gabriele Marsile a cura di Barbara FrigerioGiovedì 15 gennaio

2 x 1, due libri a confronto - Relatori: Roberto Denti e Michele FerriIl Cacciatore di Nino De Vita - Il Narratore di Saki, editi da Orecchio Acerbo

Saranno esposte alcune tavole di Michele Ferri che illustrano i volumiLunedì 19 gennaio

Metropoli. La città ne sarà il soggetto, la sua assurdità e le sue contraddizioniRelatore: Maria Luisa Caffarelli. Attori: Clara Bartolini e Luca Ligato recitano poesie

dalla raccolta di C. BartoliniGiovedì 22 gennaio

Ivo Mosele - Presentazione catalogo monografico, Bocca EditoreRelatori: Giovanni Serafini e Ivo Mosele. Saranno esposte opere dell’artista

Lunedì 26 gennaioL’Idea del muro in Arte e Letteratura - Relatori: Silvia Agliotti, Camilla Bertolino, Robert

Carpani, Antonio D’Amico. Saranno esposte opere di Fred CharapGiovedì 29 gennaio

Diventare il presente. Incontri a dialogo con autori, artisti, scienziati, e…Relatori: Patrizia Gioia e Pietro Sergio Mauri

DASCANIO

RIGA

DIOTALLEVI

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PERRONE

BURATTINEGRETTI

RÜTSCHE

PRESTI SERENARI MONACO

ODDENINO

DE ANGELIS

MANENTI

ZUCCHELLI

MUKA

[email protected]

Tutti i lunedì, ore 18,30da febbraio a giugno 2009

STIAMO PREPARANDO I NUOVI INCONTRI

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ti, sono tratti di colore distesi come unitàdi misura a creare una mappatura dellefigure, quasi un reticolo alla Chuck Closeche proietta una radiografia umana esociale.Minotto vuole suggerirci la fragilità pre-ziosa della vita e la sua irripetibile sacrali-tà, scuotendoci dall’apparente situazionedi inerti spettatori costretti all’immobilitàdi un misterioso e incerto equilibrio.Questo senso di silenziosa rivalsa lo ritro-viamo nelle radici venete di Minotto, nel

richiamo suggestivo alla delicata ansia spi-rituale del grande poeta veneto AndreaZanzotto: il tema del passaggio, del ciclodella vita e del distacco assumono nelNostro veste figurativa.Non è tuttavia il ricordo di fantasmiormai cancellati, strappati ai luoghi segna-ti dalla loro presenza: “Onde eli?”, “dovesono...?” è l’invocazione di Zanzotto, chene è della Pina dei giornali, dell’Aurora edei suoi dolcini, della Teresa?È la cancellazione di una generazione

Un Divisionismo proustiano, uno scavarenella materia per ricostruire un ricordo eregistrare un’emozione: un mosaico dipiccole tessere colorate che si addensanoin un magico sogno caleidoscopico chelacera gli schemi visivi tradizionali e si

compone quasi improvvisamente a svela-re un’annunciazione, un miraggio di se-greta e delicata compostezza.È questa l’impressione che suscitano letele di Minotto, un brulichio di pennellateche ci sottopongono quasi ad un esamedella vista, mettendo alla prova la nostracapacità di “leggere” le figure, di ricom-porne i contorni e recuperarne la memo-ria, un quotidiano miracolo di vita che simaterializza in quelle “fiammelle” di colo-re amorevolmente accostate sull’altarevotivo di una sopravvivenza invocatacon accorata spiritualità, accarezzatacon la delicata consapevolezza di unainarrestabile decomposizione.È un “tonalismo alla distanza” quello diMinotto, le figure si delineano soloallontanandosi dalla tela, un prodigio diprospettiva che risale alla tradizioneveneta della pittura tonale, felice tenta-tivo di scavare la complessità psicologi-ca attraverso una stesura di colori rapi-da e istintiva, realizzata con piccoli trat-ti, particelle di luce di cui fu insuperabi-le demiurgo il geniale Tiziano, audace einquieto antesignano di tachisme epointillisme.“Impressionismo materico” che coniu-ga la densità coloristica di un Cavaglierialla delicatezza raffinata e intimista degliinterni e delle figure di un Bonnard, finoagli arabeschi onirici di Matisse o aibagliori del delirio cromatico della“Lampada ad arco” del Balla più futuri-sta: le opere di Minotto, più che ritrat-

senza eredi, la desertificazione di unmondo che evoca il vuoto polverosodelle stanze di Ferroni, le ombre diClaudio Parmigiani, i letti sfatti e abbando-nati, orfani dell’impronta umana, i segnilasciati sulle pareti dalle sagome di mobilispariti nell’umiliante oblio di una discarica.Minotto reagisce a questa sorta dimoderna “pulizia etica”, alla rassegnazionedi una vita senza continuità, di un mondosenza testamento: le sue opere diventanoun proclama di commemorazione umana

e sociale di personaggiche avanzano insiemea noi come il popolodel Quarto Stato diPellizza da Volpedo,con l’orgoglio di unasfida collettiva.Geniale e poetica dun-que l’idea di Minotto dirappresentare i perso-naggi di una via dellacittà impegnati nelleproprie attività, La si-gnora Ivana della polle-ria, Il macellaio Giusep-pe, Guerrino il fruttiven-dolo, Il barista France-sco, umanità protesaverso un approdo disolidale convivenza, a-malgama di esistenzeche si innestano su unacomune e fulminea av-ventura di vita, compli-ci di una stessa inarre-stabile mutazione ge-netica, quasi una salda-tura a caldo di affetti esituazioni.Come la Liverpool deiBeatles, scopriamo una

magica Penny Lane, microcosmo variegatodi personaggi che in-crociano i propridestini in una simbolica e rivisitata “via” enrose, come quella interpretata dalla subli-me Edith Piaf, sostenuta da un’incrollabi-le fede in una ecumenica solidarietà eaccesa dalle ver tiginose tonalità diMinotto, autentico cantore di un riscattocollettivo...

Aldo Benedetti

Raffaele Minotto

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Le cornici di Armando, 2008Il macellaio Giuseppe, 2008

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Si sta per pubblicare con la SilvanaEditoriale un nuovo libro sulla Public Arta seguito dei numerosi eventi svolti l’annoscorso a Trieste in quest’ambito.Per gentile concessione di Maria Campitelliestrapoliamo dalla sua introduzione questaparte: l’operazione “Public Art a Trieste” edintorni, svoltasi nell’arco del 2007 e pro-trattasi con certi episodi (workshop edeventi nell’ambito urbano) fino al 2008, èstata soprattutto un tentativo di informa-zione su un aspetto dell’espressivita con-temporanea - la Public Art appunto -quanto mai dilatata, articolata e soggetta asvariate interpretazioni. È stato il primogrande evento ideato con sistematicità,per offrire la varietà di proposte che laPublic Art comporta, in un territorio –Trieste e dintorni – poco addestrato allaricezione di progetti innovativi nel campodell’arte. Nel 2001 c’è stato un preceden-te importante, “Transform” (documentatocon video nella mostra annessa), promos-so dal Conai, a cura di Emanuela DeCecco e Roberto Pinto per l’organizza-zione dell’Associazione Arte Continua eComunicarte, incentrato però unicamen-te sul “site-specific”, con svariate installa-zioni urbane di artisti internazionali.Questo progetto invece è nato dal deside-rio di proporre la varietà di interventi cherispondono oggi all’assunto, in senso fisicoe concettuale, di “pubblico” per compor-re, per quanto possibile, un quadro dellepotenzialità creative connesse a situazionipubbliche, caratterizzate da intenti diriqualificazione, di trasformazione, dimiglioramento sia in senso ambientaleche sociale. E “pubblico” è un terminequanto mai labile, onnicomprensivo equindi generico, in continua oscillazione disignificati, a seconda dell’evoluzione nellosviluppo diacronico della Public Art stessa.L’evento plurimo di Trieste è stato un po’l’esaltazione dell’arte fuori dai suoi terri-tori consacrati, musei e gallerie (d’altron-de questa è l’origine della Public Art (1), apartire dagli anni ’60 del secolo scorso)ribadendo un processo di democratizza-zione, di apertura e coinvolgimento che èproprio del suo percorso. Esso va senz’al-tro ricercato, come origine, in tutto l’arcodi posizioni critiche delle avanguardie delsecolo scorso nei confronti di posizionistabilizzanti - da quelle storiche degli inizidel secolo a quelle del secondo dopo-guerra - inglobando, Fluxus, Minimalismo,Land-Art, Performance e Body-Art, Situazio-nismo internazionale.Questi movimenti rispondevano siaall’impulso di rapportarsi all’altro, sia allavolontà di configurare espressioni al difuori dei recinti consacrati, in dimensionie con materiali mai prima sperimentati.E alla base ci sono delle idee di fondo,come l’identificazione di arte e vita, lafusione delle arti in un bisogno illimitatodi libertà (superando la divisione nei varigeneri, pittura, scultura…), in sostanzauna spinta della prassi artistica e della suafruizione in direzione antiborghese.

Maria Campitelli

ecclesiastica ha poi certamente contribui-to alla creazione di quei grandi capolavoriartistici che sono ormai parte del patri-monio culturale odierno.Ma aldilà della richiesta della committenzae dei dettami iconografici imposti dallachiesa stessa, ogni artista ha sempre rive-lato se stesso ed il proprio credo all’inter-no della sua opera.Sono innumerevoli i casi di artisti che conil passare degli anni hanno trasformato ilmodo di dipingere in base ai propri cam-biamenti interiori, ad un intensificarsi delsenso del sacro all’interno della loro vita;da Tiziano a Michelangelo, a Botticelli, perfare solo qualche nome, gli artisti del pas-sato hanno saputo immettere la loroanima spirituale all’interno delle loroopere.E con l’avvento dell’era moderna? Slegati dalle grandi committenze, e dallapresenza, se vogliamo ingombrante della

chiesa, gli artisti hanno continua-to a parlare di religione o spiri-tualità? La dimensione più intimistica edindividuale in cui si è trovato e sitrova l’uomo “moderno” ha certocambiato lo scenario; gli stilemi ele immagini iconografiche, tradi-zionalmente legate alla religionecattolica si sono affiancati a sim-boli meno facilmente riconducibi-li ad una verità rivelata, ma nonper questo meno intrise di sacra-lità, per lo meno negli intenti.Dalla teosofia di Madame Blava-tsky, che ha sensibilmente influen-zato i suoi scritti, Kandinsky, all’ini-zio del novecento, continua asostenere il ruolo di un’arte “alservizio del divino”; definendol’espressione artistica un “ponte”tra l’uomo e Dio.Tra astrazioni e realismi l’artecontinua ancora oggi ad essereespressione della spiritualità e delsenso del divino umano, ed èquello che cercherò di racconta-re in questa piccola rubrica.

Barbara Frigerio

Il rapporto tra le credenze spirituali ereligiose di un popolo e l’espressione arti-stica prodotta è sempre stato moltoforte in tutta la storia dell’arte e della cul-tura. Anche nei primi manufatti artistici,risalenti all’epoca della preistoria, siriscontra un senso più profondo rispettoal semplice desiderio di rappresentare larealtà circostante.Con l’avvento del cattolicesimo questorapporto si è fatto ancora più stretto, lapittura viene usata anche come strumen-to di diffusione e narrazione della dottri-na cristiana. La grande committenza

Public Arta Trieste e dintorni

La spiritualità nell’arte

Osservatorio in opera (OINO, Piero Almeoni, Paola Sabatti Bassini, Roberta Sisti),“ASSIcurATI”, installazione - performance in p.zza Goldoni - Trieste. Foto: Carlo Andreasi

Foto diGiancarlo Pagliara

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Qual’è il minimo comun denominatoretra un’opera astratta o informale, concet-tuale o transavanguardistica, naive, sur-realista o impressionista? Occorre davvero fermarsi al minimo, pertrovarlo: sono tutte figure.Tra il breve elenco appena citato, mancalo stile figurativo perché al di là della tas-sonomia critica, delle nostrebussole per scaffali (purnecessarie ma non esausti-ve), ogni opera d’arte è unafigura. Figuriamoci! Sappiamotutti che cos’è una figura,paroletta che si innesta nellinguaggio comune ancheper designare situazioni rela-zionali, comportamentali: ilparlare figurato con vividerievocazioni, il fare una brut-ta o una bella figura davanti aqualcuno per esempio, nonrichiede che il soggetto siamunito di cavalletto, tela ecolori. Figurarsi qualcosa,significa immaginare, a volteper assurdo.Questione nebulosamentechiara, quella della figura, per

modare, adattare (se fingere ex forma reipublicae, conformarsi secondo la formapolitica dello Stato), e: educare. Cantareper esempio è fingere vocem. C’è ancheammaestrare (magister equum fingit.. ilmaestro ammaestra il cavallo). Infine c’èfingere, simulare. Infine.“Fingono” e figurano insomma gli attori, icantanti, i militari che contraffanno ilvolto, i filosofi che terminano un discorsoin un certo modo o definiscono lasapienza (fingunt sapientiam), gli scrittorie i poeti che nova verba fingunt, foggianonuove parole.Fingono gli scienziati in laboratorio, nelcreare assenza di gravità, piani perfetta-

mente lisci per annullare gliattriti, nelle simulazioni divolo, nel fare ipotesi dette“per assurdo”, utili alla for-mulazione di tesi funzionali.Fingono i geografi nel met-tere una cintura al mondo,chiamata equatore.E figurano gli artisti nel rap-presentare, che è presenta-re una seconda volta unarealtà, perché la prima nonbasta. Vedere non basta araffigurare.Occorre immaginare quelche si è visto.

Cristina Muccioli

Fred Charap nasce a New York nel 1940da genitori ebrei russi, si specializza infacoltà giuridico amministrative facendocarriera come consulente sindacale ma lasua vera vocazione è' l'arte e negli anni'80 si trasferisce in Toscana, dove attual-mente vive, per dedicarsi interamente allapittura. Attivo a Milano e in Piemonte,Fred ha esposto in varie gallerie italianeed europee (da Firenze, a Parigi, allaSvizzera), una sua opera è esposta alMuseo dei Lumi di Casale Monferratodove a settembre si terra' una sua perso-nale di dipinti e disegni.Nel Febbraio del 2008 ha esposto aMilano alla Libreria Bocca dove è previstaun'altra mostra di opere di grande forma-to incentrate sul tema dei muri. I muri diFred, The Palimpsests, nascono appuntodall'idea di palinsesto, termine che indicauna superficie, una pagina manoscritta, unrotolo di pergamena o una tavoletta cheanticamente (a causa della carenza dimateriale cartaceo) veniva scritta, cancel-lata e nuovamente riscritta.Progressivamente, con il passare deltempo, i labili resti delle scritture sotto-stanti riaffiorano sulla superficie che divie-ne così un testo costituito dalla stratifica-zione storica di più linguaggi.Da sempre l'uomo scrive o rappresentala propria storia su muri e pietre che

York, San Francisco e della Toscana mahanno anche il valore di una più compo-sita e articolata narrazione, sono i muridella storia ebraica oppure i muri checelano a ogniuno domande irrisolte, muricome ostacoli da valicare, muri che rac-chiudono il significato recondito dellanostra storia.

Camilla Bertolino

diventano documenti del passa-to, il loro valore cronografico e ilnesso profondo tra storia e scrit-tura è al centro della ricerca pit-torica di Fred Charap i cui murisono la stratificazione metaforicadi tracce simboliche attinte davari campi semantici tra loro cor-relati e comunicanti. Forma econtenuto, significante e significa-to trovano una piena corrispon-denza nella tecnica usata daCharap che procede per sovrap-posizione di pezzi di iuta irrego-lari incollati sulla tela che vienesuccessivamente graffiata, strap-pata, scavata e ritracciata da altrisimboli, colori e segni. Sui murielabora un nuovo codice seman-tico e narrativo che recupera ladimensione storica del simbolo ela riconiuga in un linguaggio pit-torico fatto di sovrascritturecontinuamente mutevoli e ditracce riemerse.Il valore cronografico del murosta proprio nella sua mutevolez-za, la simbologia stessa del muro cambianel tempo e nella storia, esso è lettocome elemento dinamico in rapportoanche con la natura, le stagioni, le luci delgiorno. Il palinsesto diventa così uno spa-zio speculativo, un percorso concettuale,gestuale e filosofico che sta tra le parolee la pittura.I muri nascono da una dimensione sog-gettiva come diario in cui l'artista raccon-ta e tratteggia i suoi muri, quelli di New

Fred Charap

ArimoChe figura!

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la quale facciamo Arimo, ci fermiamo: giu-sto il tempo di consultare un dizionario.Figura, dice il mio, deriva da fingo: fingere.Collegato all’arte, riaffiora nella figura l’ar-tificio necessario, purtroppo a volte suffi-ciente, affinché essa sia riconosciuta cometale. Ma significa anche apparizione, fanta-sma, modo carattere, genere, qualità, alle-goria, effigie, statua d’argilla (da modella-re).Torniamo al fingere.Oggi per noi questa parola, ha soltanto unsignificato negativo, ma come primo,andando umilmente per ordine, leggoinvece sul dizionario: formare, plasmare,sognare, inventare, meditare, escogitare,creare, fare, fabbricare, accarezzare, acco-

Muro, particolare 2008

Hilla RamTake my hearth, its yours, 2008

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Che cos’è insomma la schiuma? È una spuma informe e biancastra chefermenta sui liquidi scaldati o agitati,oppure agli angoli della bocca contortadell’epilettico, del cavallo stremato, delleacque mosse allo scontro dalle correnti,che le fanno sollevare arcuarsi, acceleraree infrangersi contro uno scoglio, è deicani che ci si imbrattano il muso, incapaci

di trattenere calore, è degli uomini checome i cani hanno l’acquolina alla boccaal solo sentire l’odore di un cibo, è dellascrofa che si fa scivolare via dalla mandi-bola l’obbedienza istintiva alla legge diprocreazione, e stilla gocce di godimento.La schiuma è la materia più spregevole,più informe che mischia le carte in tavolatra animalità e umanità, tra giovane e vec-chio, è la materia per eccellenza più trau-matizzante, come ha ben mostratoCaravaggio ne La Medusa.La nascita di Afrodite, della Bellezza stes-sa, viene tramandata dall’antichità comeuna tragedia metamorfica della materiapiù abbietta: la schiuma, che inaspettata-mente assume varie forme. Il figlio di Gea,volle proteggere la madre dal dilaganteUrano, che giungeva bramoso di lei por-tando la notte.Afferrò un falcetto dentato, falciò i geni-tali del padre e li gettò all’indietro. Gea nericevette però schizzi e stille di sangue, econ il volgere del tempo partorì le Erinnie i Giganti splendenti nelle armi, e leNinfe Melie.Come ebbe tranciato i genitali, li scagliònel mare; così furono portati per moltotempo, e attorno una bianca schiuma sor-geva sull’immortale membro: in esso unafanciulla crebbe.

Cristina Muccioli

La carne frolla, morbida e fantasmaticaper lucentezza della Venere di Botticelli –e delle sue Primavere - in posa sensualesu una carrozza di con-chiglia per compiacereil pennello del maestro,è qui asciugata e com-posta da Moi a favoredi un gesto, di unaidentità rapita da unaistantanea fotograficache dichiara due cose:il suo volere esserenuda qui e ora, e la suaorigine. Moi l’ha ascol-tata, e quella testa diesattezza ovale, resti-tuita a un corpo che inpassato l’aveva (an)ne-gata con scenografichealghe dorate, è qui rin-venuta come un reper-to, appoggiata sul colloin posizione in-stabile,provvisoria, come fos-se lasciato a lei, a quel-la donna statuaria edenigmatica, di sistemar-sela come vuole.Non c’è il profumo deifiori, non l’odore ine-briante di iodio di unmare che è evaporatotutto alle sue spalle, maun drappo campestrecon pino marittimo,ironico richiamo all’an-tico esemplare di chia-ra fama. Questa Venereha i piedi per terra, ora,sembra poggiare su una roccia antropo-morfica; è approdata, non c’è nessunointorno ad accoglierla e ad ammirarla,non è un giorno di festa: anche l’ambien-te sembra essere distratto, non si confàtrionfalmente alla presenza centrale di uncorpo femminile summa di proporzioni,bianco lattiginoso, fiero di essere resistitoa tante decollazioni, che porta la sua testacome un monile.Sotto la testa, è legata una bavaglia, dicolore stridentemente allegro.Una dislocazione infantile, una citazione inuna lingua straniera e lontana che inter-rompe bruscamente, con la prepotenza el’immediatezza dei gesti dei bambini chevogliono qualcosa e basta, non per favoree grazie, il fluire di un discorso già sentitotante, troppe volte.Tace allora tutto quello che l’attornia,come cercando di farsi una ragione diquesta intrusione... una bavaglia?? Sì, un tovagliolo con lacci che è destinatoa raccogliere l’avanzo, spesso solo saliva-re, per gli infanti, i paraplegici e per i vec-chi, che si ritrovano spersi nell’anarchiamuscolare, in gran parte involontaria.Moi inventa la bavaglia per la schiuma diAfrodite, non solo scoria, ma la materiastessa che le diede origine, fisicamente.Così dice il suo nome, dal greco aphròs,schiuma.E chi sbava, chi schiuma?

Il caffè proviene da l’Arabia Felix. Non sisa quando fu veramente “inventato”. Unalegenda vuole che un capraio vide le suebestie in preda ad un euforia simileall’ubriacatura dopo aver mangiato miste-riose bacche rosse. Quel che è sicuro èche i due processi – fatto unico nel suogenere - furono intentati al caffè delCairo e alla Mecca. Se la nuova bevandafu considerata allora come nociva e sivide per due volte condannata, il suo suc-cesso si era già sparso nell’intero mondoislamico. Sappiamo che uomini saggi,poeti e musicisti hanno frequentato luo-ghi dove proponevano di consumarlo edegustarlo. Il primo Caffè Letterario dellastoria vide il giorno nel 1555 a Istanbul.Il Caffè ha conquistato l’Europa alla finedel XVII secolo. Molto presto gli uominidi lettere lo elessero a luogo come puntod’incontro. Le Procope a Parigi fu l’antena-to di tutti i caffè della letteratura.Gli artisti hanno cominciato a frequenta-re i caffè soltanto dopo la rivoluzione: fuil Caffè Greco a Roma, il Caffè Michlan-giolo a Firenze, il Cafè Momus, la BrasserieAndler Keller, feudo di Courbet, il CafèGuerbois, dove Manet riuniva i suoi amicipittori e scrittori, La Nouvelle Athènes, LeRat Mort. Furono i prestigiosi luoghi e cir-coli artistici della cultura innovatrice.Dai preraffaeliti tedeschi ai macchiaioli,dai romantici ai surrealisti e agli impres-sionisti. Molti altri Caffè hanno segnatol’avventura delle avanguardie nelle grandicittà d’Europa e in America latina.Il Caffè delle Palme, è un caffé immagina-rio che esiste solamente qui, alle Segretedi Bocca a Milano ed è decorato da LuceDelhove, come il Caffè Inglese fu decora-to da Piranesi a Roma, come il modestoBistrot Zut fu dipinto da Picasso sullabutte Montmartre.È in questo luogo fantasmagorico doveho parlato dei Caffè e dell’arte modernaimmerso nelle pitture e nei disegni diLuce Delhove.

Gérard-Georges Lemaire

Follia nell’ArteEugenio Moi

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Il caffèdelle palme

Venere in bavaglia, 2008

Luce Delhove - Palme, 2008

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inesplorati, tutto si ferma dinanzi al sapo-re dell’ermetico decantato nell’immedia-to e reso immortale, come fosse un innod’incanto semplice.Le opere di Nicola Brindicci sono traccedi meditazioni o pensieri d’inganno, forsesono l’uno e l’altra cosa messi insiemequeste fotografie scattate con la macchi-na fotografica meccanica (non conosce leregole del digitale), anche se un elemen-to è certo: l’artista sa di voler stimolare lariflessione sulla dimensione della vita diciascuno e quindi sulla collettività! Non rimane altro che lasciarsi coinvolge-re per stimolare pensieri e propositi crea-tivi! …d’altronde, uno dei compiti dell’ar-te, non è forse quello di renderci migliori?

Antonio D’Amico

zione meditato evoluto, cercato e di-panato su un teatri-no dinamico ma po-sto al chiarore dellaluce del sole, quan-do ancora alto nonè, per abbagliare laterra.Questa è la poeticadi Nicola Brindicci,semplice, sulle spired e l l ’ e s s e n z i a l e ,ottemperata con glistrumenti dell’im-maginifico ma co-struita con l’animodell’io bambino, in-nocente e puro,predisposto a ricer-care l’essenza delle cose e attraverso esse

raccontare una di-mensione spiritualedella natura o forsegiocosa. Due antipodiche sono propri diNicola, che si evinco-no anche nelle opereesposte alla LibreriaBocca, un pot-pourrìdella sua produzionefotografica.Dalle lacunose landesolitarie dei rossi mi-lanesi, alle aggraziateforme vetrose di sug-gestiva trasparenza,agli aghi sulla neveche giocano forman-do paesi e sentieri

ErnestoAchilli

Ernesto Achilli è pittore oltrepadano diforte e significativa personalità artistica,che ha alle spalle un valido itinerarioespositivo in Italia ed all'estero.Scrivendo di lui, in passato, ho accennatoal convincente e stimolante “realismo esi-stenziale” di questo cantore della suaterra. Ed in effetti, la sua poetica si carat-terizza per il forte legame, contenuto neidipinti, fra arte, natura e territorio.In essi, oltre la progettualità ed il rigorecompositivo, si avverte l’esigenza di ricol-legarsi con le proprie radici, basandosisulla capacità di osservare attentamentele cose come sono in sè stesse, e poi didescriverle fedelmente, maneggiando conmaestria le risorse intellettuali e tecnichedella pittura.In Achilli si riscontra l’attenta osservazio-ne degli ambienti e delle realtà in essipresenti, osservazione compiuta conscrupolo quasi amoroso, e poi portatasulle tele con “intelletto d’amore”: così glioggetti perdono la loro originaria funzio-nalità, e ad essi, come nota lo stesso arti-sta, si restituisce la dignità perduta, e alcontempo si mantiene vivo e palpitante ilricordo di coloro che un tempo con que-

sti stessi oggetti erano in dimestichezza edi essi si servivano. Ernesto Achilli ciripropone così con un raffinato tagliointerpretativo, sensazioni acquisite nell’in-fanzia e nella prima giovinezza della suavita: richiami di un mondo espressi conl’arte, che sa comunicarci l’atmosfera cari-

ca di energie ma serena che era propriadi quegli anni. Come nota con sincerapassione l’artista, immedesimandosi nellaragionata vicenda del suo laboriosoimpegno creativo.

Siro Brondoni

Più o meno fini, 2008

Posare lo sguardo su un dettaglio eimmaginarlo ingigantito, mostruosamentee palesemente grande dinanzi ai nostriocchi, pensando che esso possa precipita-re o che per una strana legge fisica possarestare eternamente bloccato per con-trapporre il suo perpetuo e silenteimmobilismo al dinamismo della vita quo-tidiana. Scorgere, poi, un cielo mutevole,dai colori tersi, cangianti, pronti a rivelarela verità delle cose e a comunicare chel’immagine che abbiamo dinanzi è solofrutto di un silente processo d’osserva-

Nicola BrindicciInni

d’incanto semplice

18Androidi, 2008

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