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21 Per la tua pubblicità chiama Gabriele Lodetti allo 02860806 - Giorgio Lodetti allo 0258302093 ARTISTI IN RIVISTA Direttore Responsabile: Giorgio Lodetti / Direttore Artistico: Roberto Plevano / Progetto Grafico: Franco Colnaghi Via Molino delle Armi, 5 - 20123 Milano • Tel. 02 58302239 02 58302093 - Fax 0258435413 di B occa di B occa Anno III, N. 12 • Ottobre-Dicembre 2004 per le Segrete di Bocca in 3 a pagina Senza titolo, 2004 Tecnica mista si cartone, cm 29 x 42 È passato un secolo e gioiosamente abbiamo congeda- to un millennio, ma l’arte figurativa è sempre la stessa. Malgrado i moderni media e anche la cosiddetta “vi- deoarte”, i dipinti e la ricerca grafica sono le prime espressioni artistiche del mondo. È straordinario osser- vare come, pur applicando tecniche e raffigurazioni, considerate antiche, il risultato sia comunque nuovo. Il pittore Bodo W.Klös lavora vicino a Francoforte è un grafico e ha studiato i proce- dimenti della stampa d’arte, in 20 anni di ricerca ha accu- mulato un ricco bagaglio di esperienza tecnica e di idee. Il suo tema preferito è la sen- sualità. Come osservatore acuto Klös interpreta il teatro della commedia umana con la sua personale ispirazione. Trasforma le sue visioni in opere teatrali portando l’os- servatore dentro la scena. Le scene, sono miti e sogni pre- sentati in modo allegorico. Opere come il Portatore di bandiera, ispirata al Palio di Siena, uniscono la visione dell’artista a un buon lavoro artigianale. Nella scena l’arti- sta rimane fuori e osserva da lontano.A tal proposito Dr. Richard Hiepe così scrive: «La scena è un episodio con- temporaneo della colonna apocalittica di Brecht. Ogni nuova generazione ricorda gli orrori del passato che la memoria conserva.Avanti vanno sempre i buffoni e gli altri seguono nell’indifferenza. Bodo W. Klös è dentro la colonna. Malgrado tutto, lui non si nasconde, non vive in una “torre d’avorio”. Nessuna moda nessun “trend” ma vero sentimento. È dentro la storia della sua epoca». Lui è dentro la storia con la sua forza tecnica e la sua tradizione. Klös è padre di due figlie, sempre pre- senti nel suo lavoro.Il suo mondo sensuale e nuovo,di- pinto o disegnato è un’esperienza del reale. L’erotismo è un mezzo per esorcizzare la morte in una pulsione vitale. Cosa c’è di meglio per un artista se non cercare la bellezza e l’autenticità nell’erotismo? È qui che si in- contrano tutti i percorsi della vita, il punto dove i sen- timenti trovano lo stato più profondo.In una lettera del marzo 1996 Bodo W. Klös ha scritto: «Disegno sempre nudi, in sedute con modelle a pagamento e il risultato raggiunto è sempre vuoto di autenticità. La mattina dopo nello studio la macchia di colore rimasta pren- derà la forma di una nuova opera, la repentina visione del corpo è nella storia, vivida visione di un dettaglio». È l’amore per la vita, la gioia dell’essere, che trova qui la sua espressione. L’artista fa partecipare lo spettatore. Sempre nei suoi quadri l’erotismo è vivo. La stessa ricerca trasforma sia storie di corvi che di “na- ture morte”. Corpi divini, pieni di sensualità, sono con il corvo nello sfondo, racconti di storie piene di vitalità. Si può sorridere, si può rallegrarsi, queste opere lascia- no libero il pensiero e ampliano ispirazione e fantasia. L’artista ha la libertà di agire, di fumare, osservare la bu- fera di neve e pensare all’amore. Klös continua a lavo- rare come testimone del suo tempo. Al contrario dei suoi colleghi più giovani è un dise- gnatore vero,che realizza con acuta precisione la forma Il disegnatore e grafico Bodo W. Klös . .. e il suo mondo sensuale Jo Krahforst anatomica. Lui ama ancora sorprendere la natura con il disegno, fare un disegno dopo l’altro fino a raggiungere il massimo risultato. In tutto questo percorso il suo stile rimane riconoscibile tra una macchia di caffè e di vino rosso. Rotersch, 2004 Tecnica mista su carta Birgit, 1998 Tecnica mista su carta tazione che fa catena con il fatto storico, o l’opera d’arte dei maestri, eventi trasfigurati che altrimenti si dissolverebbe- ro per sempre come suggerisce il colore. Il tema della città di cui ho parlato all’inizio viene ripreso in anni più recenti, ma con alcune differenze. Le im- magini sono incomplete la- sciando ampi spazi vuoti e, qua e là, balenano accenni di colo- re. Non sono passati invano due decenni ed è subentrato un diverso grado di ricerca. Il vuoto è l’espediente che gioca potentemente in contrasto con l’immagine e, come la pausa di silenzio in una recita, provoca tensione. L’incompletezza e il vuoto diventano il tema di un terzo ciclo. I soggetti sono frammenti di statue antiche dalle orbite vuote.Tutto ciò che riguarda la vista deve essere completo, massi- mamente gli occhi, che sono gli organi della visione, per il rimando reciproco. Infatti, nessuna visione natu- rale ha delle parti vuote ma deve essere un continuo di forme e di colori. La parte incompleta è, quindi, una potente allegoria dell’assenza. Ma assenza di che? per- ché inquieta il vuoto? a che allude la figura deconte- stualizzata, all’anima? Frammento, 2000 Acrilico su tela, cm 40 x 40 Negli anni Settanta Mario Borgese dipinse una serie di opere rappresentando edifici dalle pareti di vetro e me- tallo, architetture rigidamente stereometriche e grigie, e sullo sfondo accenni di rosso e blu. Sono piazze, sedi direzionali ma anche lampioni e monumenti in un contesto in cui domina l’utilità e la regola. Forse è un giorno festivo o gli occupanti sono tutti rinserrati al- l’interno, ma i luoghi sono deserti, come abbandonati dopo la catastrofe. Scene bloccate e assenza di vita: ma non semplici paesaggi o nature morte (nel senso di Stilleben cioè nature silenti) bensì raffigurazioni dal preciso senso etico. I dipinti di Borgese nella cultura degli anni Settanta potevano essere interpretati come una denuncia sociale, infatti è evidente la denuncia del- la violenza, ma non solo quella. In queste opere è rap- presentato il dramma della contemporaneità nel suo fi- nale concreto e melanconico. Il sapere si è risolto nella tecnica ma tutto e diventato duro e inautentico.Dentro quegli edifici ci sono le procedure di produzione, i budget, gli studi di mercato, le strategie pubblicitarie. Non c’è posto per la spontaneità e l’immaginazione (salvo che sia utilitaria). Il leone di pietra che compare in un’opera è, quindi, un ossimoro, rappresenta l’impo- tenza. Sì, questi ambienti urbani sono i luoghi di esi- stenza inautentica e, contemporaneamente, dove si La regola e il mito Mario Borgese Umberto Gavinelli condensa il sapere umano sotto forma di tecnica. Le ri- gide forme utilitarie sono le stesse delle procedure di produzione dove sono bandite immaginazione e spon- taneità. In un secondo ciclo dello stesso periodo, inve- ce, sono raffigurati dei drammi già rappresentati in ce- lebri opere, dove è riconoscibile solo il profilo delle fi- gure. Il tema è reso nel contrasto del colore macerato sul fondo nero che emerge. C’è, quindi, la storia, il ri- chiamo alle opere degli antichi maestri e la loro decon- testualizzazione. Un evento è accaduto fin quando qualcuno, l’artista e noi spettatori, ne conserviamo la sua memoria. Si tratta, dunque, di una nuova interpre- segue a pagina seguente Adalberto Borioli

Segrete di Bocca N. 12

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Nasce dall’esigenza sempre maggiore di promuovere la giovane Arte contemporanea Italiana, l’esigenza da parte della storica libreria Bocca di Milano di diffondere sempre più capillarmente il proprio notiziario informativo: Le Segrete di Bocca. Quadrimestrale d’attualità artistico e culturale nato nel duemila come inserto della rivista Arte incontro in Libreria, oggi si emancipa da inserto a Rivista indipendente. Forte della distribuzione gratuita ad oltre duemila nominativi di clienti fidelizzati alla Bocca, diffusi sul territorio italiano, specializzati o semplicemente interessati alle arti contemporanee italiane ed internazionali. La Rivista punta su collaborazioni mirate a migliorare i propri contenuti, attraverso l’avallo e il contributo delle Gallerie d’Arte, oltre che a stringere rapporti di collaborazione con strutture organizzative di prima linea presenti sul territorio nazionale. Forte dell’appoggio di oltre trenta collaboratori, tra cui giornalisti e critici d’arte, è oggi possibile far parte di questo nutrito entourage, formatosi in sette anni di attività editoriale. Insieme saremo in grado di dar voce alle più differenti ricerche nel campo dell’Arte Contemporanea Italiana. La Libreria Bocca sempre in prima linea nella promozione, attraverso il vostro contributo, potrà diventare un faro nella nebbia di questo complicato sistema che è l’Arte Contemporanea. Unisciti a questa nuova iniziativa editoriale e collabora con Le Segrete di Bocca, Artisti in Rivista. Per maggiori informazioni contatta Giorgio Lodetti: 338 2966557 oppure via e.mail: [email protected]

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ARTISTI IN RIVISTA

Direttore Responsabile: Giorgio Lodetti / Direttore Artistico: Roberto Plevano / Progetto Grafico: Franco Colnaghi

Via Molino delle Armi, 5 - 20123 Milano • Tel. 02 58302239 02 58302093 - Fax 0258435413

di Boccadi BoccaAnno III, N. 12 • Ottobre-Dicembre 2004

per le Segrete di Boccain 3a pagina

Senza titolo, 2004Tecnica mista si cartone, cm 29 x 42

È passato un secolo e gioiosamente abbiamo congeda-to un millennio, ma l’arte figurativa è sempre la stessa.Malgrado i moderni media e anche la cosiddetta “vi-deoarte”, i dipinti e la ricerca grafica sono le primeespressioni artistiche del mondo. È straordinario osser-vare come, pur applicando tecniche e raffigurazioni,considerate antiche, il risultato sia comunque nuovo. Ilpittore Bodo W. Klös lavora vicino a Francoforte è un

grafico e ha studiato i proce-dimenti della stampa d’arte,in 20 anni di ricerca ha accu-mulato un ricco bagaglio diesperienza tecnica e di idee. Ilsuo tema preferito è la sen-sualità. Come osservatoreacuto Klös interpreta il teatrodella commedia umana conla sua personale ispirazione.Trasforma le sue visioni inopere teatrali portando l’os-servatore dentro la scena. Lescene, sono miti e sogni pre-sentati in modo allegorico.Opere come il Portatore dibandiera, ispirata al Palio diSiena, uniscono la visionedell’artista a un buon lavoroartigianale. Nella scena l’arti-sta rimane fuori e osserva dalontano. A tal proposito Dr.Richard Hiepe così scrive:«La scena è un episodio con-temporaneo della colonnaapocalittica di Brecht. Ogni

nuova generazione ricorda gli orrori del passato che lamemoria conserva.Avanti vanno sempre i buffoni e glialtri seguono nell’indifferenza. Bodo W. Klös è dentrola colonna. Malgrado tutto, lui non si nasconde, nonvive in una “torre d’avorio”. Nessuna moda nessun“trend” ma vero sentimento. È dentro la storia della suaepoca». Lui è dentro la storia con la sua forza tecnica ela sua tradizione. Klös è padre di due figlie, sempre pre-senti nel suo lavoro. Il suo mondo sensuale e nuovo, di-pinto o disegnato è un’esperienza del reale. L’erotismoè un mezzo per esorcizzare la morte in una pulsionevitale. Cosa c’è di meglio per un artista se non cercarela bellezza e l’autenticità nell’erotismo? È qui che si in-contrano tutti i percorsi della vita, il punto dove i sen-timenti trovano lo stato più profondo. In una lettera delmarzo 1996 Bodo W. Klös ha scritto: «Disegno semprenudi, in sedute con modelle a pagamento e il risultatoraggiunto è sempre vuoto di autenticità. La mattinadopo nello studio la macchia di colore rimasta pren-derà la forma di una nuova opera, la repentina visionedel corpo è nella storia, vivida visione di un dettaglio».È l’amore per la vita, la gioia dell’essere, che trova quila sua espressione. L’artista fa partecipare lo spettatore.Sempre nei suoi quadri l’erotismo è vivo.La stessa ricerca trasforma sia storie di corvi che di “na-ture morte”. Corpi divini, pieni di sensualità, sono conil corvo nello sfondo, racconti di storie piene di vitalità.Si può sorridere, si può rallegrarsi, queste opere lascia-no libero il pensiero e ampliano ispirazione e fantasia.L’artista ha la libertà di agire, di fumare, osservare la bu-fera di neve e pensare all’amore. Klös continua a lavo-rare come testimone del suo tempo.Al contrario dei suoi colleghi più giovani è un dise-gnatore vero, che realizza con acuta precisione la forma

Il disegnatore e grafico Bodo W. Klös. .. e il suo mondo sensuale

Jo Krahforst

anatomica. Lui ama ancora sorprendere la natura con ildisegno, fare un disegno dopo l’altro fino a raggiungereil massimo risultato. In tutto questo percorso il suo stilerimane riconoscibile tra una macchia di caffè e di vinorosso.

Rotersch, 2004Tecnica mista su carta

Birgit, 1998Tecnica mista su carta

tazione che fa catena con ilfatto storico, o l’opera d’artedei maestri, eventi trasfiguratiche altrimenti si dissolverebbe-ro per sempre come suggerisceil colore. Il tema della città dicui ho parlato all’inizio vieneripreso in anni più recenti, macon alcune differenze. Le im-magini sono incomplete la-sciando ampi spazi vuoti e, quae là, balenano accenni di colo-re. Non sono passati invanodue decenni ed è subentratoun diverso grado di ricerca. Ilvuoto è l’espediente che giocapotentemente in contrasto conl’immagine e, come la pausa disilenzio in una recita, provocatensione. L’incompletezza e ilvuoto diventano il tema di unterzo ciclo. I soggetti sonoframmenti di statue antiche dalle orbite vuote.Tuttociò che riguarda la vista deve essere completo, massi-mamente gli occhi, che sono gli organi della visione,per il rimando reciproco. Infatti, nessuna visione natu-rale ha delle parti vuote ma deve essere un continuo diforme e di colori. La parte incompleta è, quindi, unapotente allegoria dell’assenza. Ma assenza di che? per-ché inquieta il vuoto? a che allude la figura deconte-stualizzata, all’anima?

Frammento, 2000Acrilico su tela, cm 40 x 40

Negli anni Settanta Mario Borgese dipinse una serie diopere rappresentando edifici dalle pareti di vetro e me-tallo, architetture rigidamente stereometriche e grigie,e sullo sfondo accenni di rosso e blu. Sono piazze, sedidirezionali ma anche lampioni e monumenti in uncontesto in cui domina l’utilità e la regola. Forse è ungiorno festivo o gli occupanti sono tutti rinserrati al-l’interno, ma i luoghi sono deserti, come abbandonatidopo la catastrofe. Scene bloccate e assenza di vita: manon semplici paesaggi o nature morte (nel senso diStilleben cioè nature silenti) bensì raffigurazioni dalpreciso senso etico. I dipinti di Borgese nella culturadegli anni Settanta potevano essere interpretati comeuna denuncia sociale, infatti è evidente la denuncia del-la violenza, ma non solo quella. In queste opere è rap-presentato il dramma della contemporaneità nel suo fi-nale concreto e melanconico. Il sapere si è risolto nellatecnica ma tutto e diventato duro e inautentico. Dentroquegli edifici ci sono le procedure di produzione, ibudget, gli studi di mercato, le strategie pubblicitarie.Non c’è posto per la spontaneità e l’immaginazione(salvo che sia utilitaria). Il leone di pietra che comparein un’opera è, quindi, un ossimoro, rappresenta l’impo-tenza. Sì, questi ambienti urbani sono i luoghi di esi-stenza inautentica e, contemporaneamente, dove si

La regola e il mitoMario Borgese

Umberto Gavinelli

condensa il sapere umano sotto forma di tecnica. Le ri-gide forme utilitarie sono le stesse delle procedure diproduzione dove sono bandite immaginazione e spon-taneità. In un secondo ciclo dello stesso periodo, inve-ce, sono raffigurati dei drammi già rappresentati in ce-lebri opere, dove è riconoscibile solo il profilo delle fi-gure. Il tema è reso nel contrasto del colore maceratosul fondo nero che emerge. C’è, quindi, la storia, il ri-chiamo alle opere degli antichi maestri e la loro decon-testualizzazione. Un evento è accaduto fin quandoqualcuno, l’artista e noi spettatori, ne conserviamo lasua memoria. Si tratta, dunque, di una nuova interpre-

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Adalberto Borioli

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segue Mario Borgese

Siamo su una soglia inesplorata in cui la catena dei ri-mandi interpretativi si interrompe. In un’opera intito-lata Dialogo sul potere due frammenti della statuariaantica, Marte e Marco Aurelio su fondo vuoto, si con-frontano in un dialogo muto e ci trasportano in un’an-tichità favolosa. Essi simboleggiano il dialogo fra mito eragione motivo frequente della filosofia e della lettera-tura greca. Un processo lento, che alla fine lo scienti-smo risolverà condannando definitivamente il mitoperché estraneo alla verità. Donde, il mondo modernoe gli edifici brutta copia delle “macchine d’abitare” (LeCorbusier), ma pur sempre macchine. Partito dall’os-servazione della città moderna, Borgese è risalito ge-nealogicamente alle sue origini e matura l’idea che laseparazione dell’umanità del mito da quella della ragio-ne ha prodotto una sorta di dittatura. Con essa s’intro-duce nell’esistenza la storia, come interpretazione eprefigurazione, donde la coscienza della morte.Al contrario di chi vede come ruolo possibile per l’ar-tista solo una collocazione a latere e il depotenziamen-to della pittura, vuole dare un’interpretazione criticadel mondo attuale.

A-Zero Forma,A-Zero Struttura,A-Zero Tecnica,A-Zero Concetto,A-Zero Fruizione, A-Zero Superficie,A-Zero Linguaggio,A-Zero Estetica

“A-Zero”: (verbo o locuzione?) questala poetica nichilista che il maestro Gi-no Cilio ha espresso in una mostra alleSegrete di Bocca. Questa ha messo inevidenza la sua ricerca su spazio, tempoe luce che, scarnificati fino all’insignifi-canza, lo hanno indotto al gesto estre-mo di ri-quadrare uno spazio-luce-buio qualsivoglia con le quattro listeche costituiscono il supporto su cuiavrebbe dovuto estendersi il piano pittorico. In tal mo-do il solo supporto è investito del significato simbolicodel “fare” arte, laddove manca ogni attività conformati-va. Di tutte le splendide, grandi superfici esposte, in ve-troresina e smalti colorati e luminosi, o in vetroresina ecatrame declinate in tutte le nuance del monocromo, oin vetroresina e ustionature sfruttate in tutte le possibi-lità espressive che ha tale materiale di riflettere e filtrarela luce, il maestro Gino Cilio ha lasciato solo un Ri-Quadro (verbo o nuovo quadro?) senza alcuna superfi-cie appunto e senza firma! Esso contiene, come già lasuperficie, larghezza e lunghezza, ma la profondità,escamotage allorché si dispiega il segno dell’artista, oraè data dall’Infinito. Pertanto in questa O-Per-Azione,come il maestro la individua, confluiscono le due ten-denze proprie della cultura artistica dell’ultimo secolo:da una parte l’istanza scettica, dall’altra l’istanza metafi-sica. La prima può riferirsi, ab initio, ad un Rodcenkodelle “Tre tele monocrome”, per scendere via via finoa Duchamp che decontestualizza l’oggetto di uso quo-tidiano per esibirlo come opera in forza dell’investi-mento simbolico dell’artista, passando, poi, per un PieroManzoni che gli concede solo l’impronta del pollice,così sulle persone come sulle uova, per un AdReinhard delle superfici nere, per un Emilio Isgrò delleCancellature, per un Carlo Alfano delle Stanze dellenominazioni, per il Concettuale stesso, ecc…

La seconda, l’istanza metafisica, con l’introduzione nel-l’opera della massima spiritualità, prende le mosse daun Kandinskij de Lo Spirituale nell’arte, un Mondriandel Neoplasticismo, un Malevic di Quadrato bianco sufondo bianco per scendere ad un Yves Klein, un MarkRothko, un Clyfford Still ed altri, fino ad oggi, 2004,con uno Spalletti o un Anish Kapoor, che con i loromonocromi pensano l’arte proiettata verso il silenzio eil nulla. In tutti gli artisti citati permane, tuttavia, unasuperficie. Per vedere l’“oltre” della stessa è necessarioricordare Fontana:“Io buco, passa l’Infinito, passa la lu-ce da lì non c’è bisogno di dipingere”. Dunque, anda-re oltre Fontana significa lacerare la superficie, comemostra l’opera esposta di Gino Cilio Lacerato, per poitoglierla del tutto. La luce non passa, deflagra. Ma puòfarlo anche il nulla, il non-luogo che tutti i luoghicomprende indicato dal titolo del Ri-Quadro: 1+Uno,in cui l’Uno indica certamente la Totalità di cui l’artistapuò fare esperienza, ma non può esprimerla mancandodel linguaggio-nulla, per cui si ricade nell’istanza scetti-ca dell’1. La mostra di Gino Cilio voluta dalla sensibi-lità per l’arte del padrone di casa Giorgio Lodetti nelsuo spazio di via Molino delle Armi, ha dato la possibi-lità al maestro di riunire attorno a sé vecchi compagnidi Accademia ed amici di lunga data e nuovi amici, tradi essi anche Giancarlo Politi, insieme a molti altri illu-stri ospiti.

Gino Cilio: “A-Zero”Lidia Pizzo

L’amico Aldo Pancheri, nella veste di direttore artisti-co della ArteTadino6, a Milano, nell’omonima via, hapensato e organizzato una mostra dal tema Il Viaggiocon opere realizzate da tre artisti, attivi a Milano:Franco Colnaghi, Alessandro Martellotta e NicolettaVeronesi, mostra che inizia l’11 gennaio e dura finoal 19 febbraio.

Chi scrive è stato invitato a darne notizia e, pur nonessendo in possesso dei supposti necessari requisiti,ha accolto favorevolmente la richiesta per un dupli-ce motivo, due, dei tre protagonisti dell’evento, sonomiei buoni amici, uno in particolare da lunga data,Franco Colnaghi e l’esposizione, benché presenti di-somogeneità tra gli artisti per età e formazione, èun’iniziativa culturale lodevole. Lodevole e coraggio-sa perché rappresenta il tentativo di aprire una portasu una nuova scuola di produrre arte, che segna ilprincipio di una rivoluzione culturale capace disconvolgere i futuri equilibri, nel panorama della pit-tura, come è stato per l’invenzione della stampa acaratteri mobili. Infatti le opere esposte sono il risul-tato dell’uso di quello che è considero il pennellodel terzo millennio.Un pennello, il computer, che fornisce in un sol col-po forma e colore, rendendo superati e inutili l’usodei pigmenti, la matita, la gomma, la riga, la squadra,il compasso e il supporto. Delle opere in mostra diròsubito che quelle che più mi hanno colpito sonoquelle di Colnaghi. L’autore le definisce visioni dipaesaggi dal finestrino di un’auto in corsa. Io le sen-to come riflessi, anche inconsci, se vogliamo, deisuoi stati d’animo. Conoscendolo, mi fanno pensareai suoi frequenti dubbi, alle sue incertezze, ai suoimomenti di solitudine, alle sue aree spirituali indefi-nite, alla sua ricerca continua e instancabile. E leconsidero vere espressioni d’arte, svincolate da esi-genze di commercializzazione, uniche, intriganti, im-possibili da riprodurre, benché realizzate con unmezzo la cui peculiarità, al pari della macchina foto-grafica, anche meglio del torchio a stampa, sta pro-prio nella capacità di riprodurre all’infinito.Difficile è rappresentare un dipinto astratto con l’usodella parola, perché questa pittura è una manifesta-zione di emozioni, di stati d’animo.

Sembra di intravedere delle forme, di tanto in tanto,ma non è così e per di più se le ricerchi spesso nonle ritrovi. Gli accostamenti a due mostri sacri dell’ar-te europea dei primi del ’900 sono così scontati chenon voglio nemmeno farli, ma la qualità del risultatoè, in Colnaghi, per me, se non maggiore, pari.Vedi colori che corrono, dalla sinistra alla destra delfoglio, vedi macchie che sembrano nuvole o gocceche si infrangono in una pozza d’acqua, ti chiediperché quegli accostamenti di colore e perché un in-tervento che sembra cominciare bene, non finisce, oalmeno, non copre il bianco del foglio. Potresti stareore a discutere, ma alla fine ti sembrerebbe che tuttala discussione non serviva a niente, perché non c’eraniente da capire e niente da spiegare.Non è forse il senso stesso della vita?Le opere di Martellotta e della Veronesi sono al con-trario più facili da capire e da guardare, sono palazzidi una New York che ogni qual volta la vedi, anchesolo di scorcio, ti fa venir voglia di andarci. Una NewYork che ha digerito il fattaccio dell’11 settembre, u-na New York che paga un conto da mille miliardi didollari, tanto sono stati stimati i danni dell’attentatoalle Tween Towers, e continua ad andare al cinema,a teatro, a divertirsi, ma soprattutto a lavorare, comese nulla fosse accaduto. Una New York ricca, matanto ricca da non trovare eguali sul pianeta.Questo mi ha fatto venire in mente la visione delleloro opere, e nonostante il paesaggio rappresentatosia lo stesso, trovo che la differenza tra loro e il rico-noscimento dei rispettivi temperamenti, stia nell’usodelle luci, delle ombre e dei colori, rigorosamentedigitali. Molto giocosa e dinamica Nicoletta, due o-

Il topo da viaggioGiacomo Lodetti

pere in particolare hanno stimolato i miei ricordi, fa-cendomi sentire la sua cultura molto vicina alla mia,per i soggetti rappresentati e i toni usati, la prima: A-merican dream, la veduta del Central Park sotto unacaduta di fiori. Come flash sparati dal cervello, rive-do la Grande Mela dei Beatles del sottomarino giallo,l’influenza avuta su di loro dal viaggio in India, i figlidei fiori, le atmosfere degli anni ’60. La seconda: A-stor place dove, “il biglietto da visita”, così è cono-sciuto il grattacielo piatto, nei pressi di Union Squa-re, mi riporta alle antiche frequentazioni della quintaavenue, ai tempi del poeta Alfredo De Palchi, miocollega libraio, delle visite a casa sua, proprio a po-chi passi da quel grattacielo, a quelle, in sua compa-gnia, al Metropolitan, alla Frick, al Moma, ai postidella città meno conosciuti dai turisti e alle cene alPalace, nell’Oak Room, dove Washington aveva fir-mato la Costituzione americana.Raffinato e distaccato invece il lavoro di Alessandrodi cui non dirò altro perché sulle pagine di questostesso numero è pubblicato un bel testo di Aldo Pan-cheri, interamente dedicato a lui.

Nicoletta VeronesiAstor placeelaborazione a computer

Franco ColnaghiPaeviaggio 2rielaborazione al computer

ArteTadino6Il viaggio

11 gennaio, 19 febbraioVia Tadino, 6 - Milano

info: 02.26265541

Page 3: Segrete di Bocca N. 12

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A1 Natale Addamiano A2 Elio Mazzella

A3 Piersandro Coelli A4 Giorgio Vicentini A5 Ugo Nespolo A6 Ezio Alzani A7 Gianni Aricò

A8 Nico De Sanctis A9 Afro

A10 Bruna Aprea A11 Agostino Arrivabene

A12 G. Bartolomeoli A13 Adalberto Borioli

A17 Orazio Bacci A18 Franco Balduzzi A19 Carlo Ballerio A20 Franco Spazzi

A14 Fausta Dossi A15 Emili Armengol A16 Armodio

Spazio a cura di Ennio Bencini, dedicato al mercato degli Artisticontemporanei, soci della Libreria Bocca.

LA SPIRALE DEL GUSTOa cura di Ennio Bencini

“È Arte questa? Dove siamo arrivati, dunque? Deve essere tutto questo accettato, premiatoanzi, nelle grandi mostre? E noi dobbiamo tacere e passare anche per ignoranti? Com’èpossibile orientarsi in questa confusione?” Questo, a parere di Guido Ballo nel famoso e

ormai introvabile “Occhio Critico”, è l’atteggiamento del pubblico di fronte all’ArteContemporanea. Là dove l’occhio comune cade nel malinteso di valutare negativamente ciòche non conosce, quindi non comprende, questa rubrica, nata in collaborazione con EnnioBencini, intende costituire un duplice sostegno: ai Soci della Libreria Bocca o al lettore che

desideri accostarsi all’arte contemporanea, agevolato nel collezionare opere d’arte eall’Artista che desideri dare, alle sue opere, maggiore visibilità, oggi tanto importante.

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A 6 Rocce, 1998, olio su telacm 120x80 € 3000

A 7 Il bacio,1980, bronzo e vetro, cm 32x18x10 € 4000

A 8 La Porta del sole, 1994, chinae acquerello su carta, cm 64x94 € 2500

A 9 Isola di giglio, 1962, Litografiaa col. ritoccata a mano, cm 50x60 € 6500

A10 La tinozza, 1999, olio su tela, cm 100x120 € 6000

A11 La nuvola di Zeus, 1997, olio etempera su quercia, cm 24x27 € 2500

A12 Vers Amiens, 1986, legnodi larice, cm 128x77x17 € 12000

A13 L’arte nascosta, 2002, temperasu carta, cm 13,5x8,5 € 150

A14 Bocca, 2003, Tecnica mistasu cartoncino, cm 28,2x21,5 € 250

A15 Boix, 1996, bronzo e ferro cm 30x6x3,5 € 1500

A16 Esercizio, 1993, temperasu carta, cm 24x17 € 1500

A17 Baccigrafia, 2000, foto esemplareunico, cm 13x10 € 150

A18 Nudo, 2003, Tempera grassae pastello, cm 24,5x19,5 € 900

A19 Ferite, 2002, olio su carta, cm 42x29 € 750

A20 Catasto magico, 2000, acquerellocm 15,7x8,4 € 120

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Le opere di Maurizio Luerti erano esposte in una Galleriad’arte accanto alle Segrete di Bocca in Via Molino delle Armi.Sono entrato, colpito dai suoi segni arcaici e dai nuclei dei qua-dri che misteriosamente emettevano una luce viva, pulsante ecangiante per intensità e colore. Ho visitato il suo studio, verafucina alchemico-tecnologica, abbiamo parlato a lungo e soprat-tutto ho ascoltato; Luerti è un artista innovatore che lascerà unatraccia nuova e imprevedibile. L’interazione dello spettatore conl’opera apre prospettive inimmaginabili, la sensibilità e l’intelli-genza umana si confrontano con l’intelligenza e sensibilità arti-ficiale. Una nuova era si apre con prospettive affascinanti nellaloro complessità e con tutti gli sviluppi che l’uomo, ancora lui,saprà dare, come ci spiega in un suo scritto.“A distanza di più di venti anni sono ancora emozio-nanti quei segni e simboli che vidi per la prima volta aduna mostra di arte precolombiana.Da allora, nella mia mente, hannosubito l’inesorabile erosione deglianni e si presentano adesso quasi ir-riconoscibili, ripuliti da tutto ciòche ho ritenuto superfluo, rivisitatie modificati nella forma e nel colo-re, ma straordinariamente essenziali.Prima di allora dipingevo soltantopaesaggi misteriosi ed apocalittici, omeglio, sperimentavo con colorisgargianti la possibilità di trasmette-re forti emozioni attraverso la tela.Desideravo intensamente scuotereme stesso e gli altri dal torpore del-la quotidianità, nell’intento di pro-muovere valori più nobili della mera attenzione edoni-stica e consumistica. Ben presto mi resi conto che il mioassillo non era solo etico e morale bensì ontologico. Pri-ma di indagare sui comportamenti era importante capi-re il significato dell’essere, lo stato delle cose. Giovanissi-mo, non sapevo ancora di filosofia ma ne percepivo l’es-senza.Accovacciato, con pantaloncini corti, le ginocchiasbucciate, incidevo nella terra con un legnetto segnistrani, misteriosi, depositari di verità fantastiche. Mi di-vertivo a scavare buche profonde, come un archeologo,alla ricerca di testimonianze antiche. Giocavo. In seguitoho letto di filosofia, di matematica, di fisica e di buddhi-smo e sono andato a vedere una mostra sulle civiltàMaya e Azteca a Milano. La nuova ricerca artistica è ini-ziata nel 1992 con l’opera “Primo reperto” dove i segni,d’ispirazione precolombiana, sono diventati pretesto perun’analisi profonda della psiche. Incidere nella terra oscavare nella creta è metafora di una ricerca interiore, fi-nalizzata al recupero di simboli dall’inconscio. Questeforme non sono altro che le tracce, gli effetti di un tra-sferimento energetico, ovvero manifestazioni degli ar-

chetipi provenienti dall’inconsciocollettivo. I segni esaudiscono ildesiderio di un linguaggio pri-mordiale ecumenico che descrivacon immediatezza lo stato dellecose. La realtà va colta nelle sue

strutture essenziali, congelando il mondo empirico econcentrandosi sull’io per poi trascenderlo. È il mo-mento dell’epochè di husserliana memoria, filosofo tan-to caro agli artisti cinetici, in attesa che l’indagine intui-tiva conduca all’esegesi dei segni. Dall’Arte Cinetica alRelazionismo dopo aver realizzato alcune opere-repertocon evidente simbologia arcaica, ed aver schizzato mi-gliaia di fogli con misteriose forme, all’insegna di unamia personale Gestalt, mi sono arenato. Attraverso lostudio della fisica moderna ho scoperto le filosofieorientali. Le straordinarie analogie tra le teorie quanti-stiche e relativistiche di inizio secolo, con gli assuntibuddhisti e taoisti, mi hanno affascinato.Alternando leletture di Feynman a quelle di Lao Tze, ho praticato leArti orientali, ho tirato con l’arco e ho cercato persino

di risolvere i Koan.Terminati glistudi di elettronica ho ripreso l’at-tività artistica. Al fianco della giàiniziata indagine introspettiva hapreso piede la concezione proget-tuale dell’opera d’arte e, il deside-rio di sperimentare nuove tecni-che, mi ha indotto all’utilizzo del-l’elettronica. Dall’idea, balenata al-l’affiorare di un simbolo nuovo, se-gue una serie di studi illuminotec-nici, disegni d’insieme, flow chartdi processo. La luce, lungi dall’esse-re elemento decorativo, diventastrumento per interagire con l’os-

servatore. Si prospetta, già in “Con-taminazione” del 2002, un’apertura dell’opera al mon-do. La contaminazione avviene attraverso la vibrazioneluminosa repentina e casuale, che percorre le asperitàbuie della superficie scultorea. La materia immobile sitemporalizza e lo spettatore, attraverso il meccanismo ci-netico, non può che esserne coinvolto. Il movimentoimprovviso della luce riporta all’attenzione la simbolo-gia onirica rappresentata, dove il segno arcaico si attivanuovamente. L’opera-reperto diviene così strumentopercettivo, ma le ragioni oggettive del guardare subisco-no inevitabilmente gli influssi psicologici individuali.Considero la psiche come mediatore dell’esperienza.Sostengo la filosofia della relazione ed intendo la realtàcome rapporto tra più elementi, dove non esiste sostan-za ma solo eventi irreversibili. Da Dewey a Paci, da Ein-stein ad Heisenberg, dall’ipotesi del bootstrap della fisicamoderna alla compenetrazione tra le parti del buddhi-smo Mahayano: non esistono leggi assolute ma solo sta-tistiche; nessun idealismo, nessun realismo; non esistel’Osservatore assoluto che guarda l’Oggetto natura, mail ricercatore è nella natura così come la natura è nel ri-

cercatore e, nell’atto di conoscere, avviene latrasformazione, conseguenza della relazioneche si stabilisce. I tagli di luce, nell’oscurità delcemento nero come il manto dei lupi, nonsono, come potrebbe apparire, una redenzio-ne bensì una possibilità di convivenza. Scon-figgere i propri demoni significa conoscernela natura. C’e sempre stato nel mio pensiero iltema della globalità, sviluppatosi dall’idea diun insieme di segni ricorrenti. Inoltre la for-ma delle prime sculture suggeriva la prove-nienza da un unico scavo archeologico im-maginario, fonte inesauribile di simboli signifi-cativi. La teoria della relazione ha suggellato il convinci-mento che le opere debbano essere partecipi di un’esi-stenza collettiva. La tecnica elettronica mi è stata d’aiuto:ho realizzato una collezione di sculture capaci di scam-biarsi una serie d’informazioni acquisite sensorialmente,comunicando tra loro e manifestando il proprio appren-dimento, attraverso mutamenti nelle manifestazioni lu-minose. Il palinsesto evolutivo relazionante è completo.Il dittico “Ai margini del mondo” è un’installazione co-stituita dalle prime due sculture intercomunicanti dellacollezione. È realizzata in cemento nero, ferro ed insertidi plexiglas retroilluminato. La luce ripercorre lenta-mente lo spettro, e manifesta tutti i colori acquisiti nel-l’interazione con l’osservatore che si è avvicinato con lamano. Il nuovo colore appartiene alla memoria e nonpuò essere rimosso neppure togliendo l’alimentazioneelettrica, mentre i più vecchi vengono naturalmente di-menticati, fino al raggiungimento della condizione pre-natale, ovvero plexiglas bianco. L’opera comunica contutte le altre, scambiando informazioni relative allaquantità di contatti con i fruitori, al numero di colori, altempo trascorso, ed evolve secondo il proprio stato e lerelazioni.Appare sempre differente nel tempo. L’insiemedelle tematiche che faccio rientrare nell’ambito di que-sta installazione (e delle successive) è assai eterogeneo. Sipossono individuare chiavi di lettura dai risvolti sia eti-co-sociali che gnoseologici. “Ai margini delmondo” è comunque un’esortazione alcambiamento, mutando l’angolo di osserva-zione della realtà, facendo attenzione ai con-torni delle cose, laddove c’è forte interazionetra l’Uno e l’Altro, dove paradossalmentel’Uno si confonde nell’Altro. Non c’è veroprogresso quando si perdono di vista le im-plicazioni marginali di un processo: dallescorie inquinanti alle mutazioni genetiche,dagli slanci d’intolleranza alle povertà sociali.Non c’è vera conoscenza quando l’analisi diun evento esclude i fenomeni correlati.“Aimargini del mondo” vuole essere un invito adestendere l’indagine fin oltre la periferia dell’Osservato.Leggere oltre i margini significa non accontentarsi maidi una sommaria impressione del reale. Non assentirecon leggerezza, non giudicare né deridere ma capire. LaVerità esige attenzione.

Contaminazione2002, cemento

plexiglas su vetro effetti luminosi

cm 50 x 50

Ai margini del mondo2004, cemento, ferro,

plexiglas, sensoried effetti luminosi

cm 50 x 50

Ai margini del mondo2004, cemento, ferro,

plexiglas, sensoried effetti luminosi

cm 50 x 50

Anche quest’anno le sale di Villa Confalonieri a Meratesono invase da opere di fronte alle quali qualcuno po-trebbe ancora chiedersi che ne è stato delle rassicurantitecniche della pittura e della scultura e, soprattutto, chene è stato dell’idea classica di paesaggio. E’ ormai tradi-zione del premio Donato Frisia accettare le più diverseinterpretazioni del tema del paesaggio, a patto che netraspaiano originalità di intenti e qualità dell’opera, edare “particolare risalto alle proposte emergenti”.Con l’eccezione di Mario Benedetti, il più anziano, la

Premio biennnale d'arte Donato FrisiaIVa edizione

Sara Fontana

schiera degli artisti copre tre decadi di età, tra i 20 e i50 anni. Quindi il concorso, alla sua quarta edizione,diviene un campo di confronto e di scambio fra gene-razioni e fra artisti con curricula ed esperienze distanti.Frutto di una selezione di 340 partecipanti, la “rasse-gna” ha preso forma con lavori di provenienza dispara-ta, all’interno di un sensato equilibrio fra pittura, foto-grafia, scultura e installazione. Molti degli artisti sele-zionati operano utilizzando contemporaneamente di-versi mezzi espressivi, scegliendo di volta in volta quel-lo più adatto al lorolavoro. Altrettantofrequente e stru-mentale è la conta-minazione dei lin-guaggi, in particola-re di pittura, foto-grafia e digitale.Tuttavia - dovendosemplificare - si puòaffermare che dalleopere selezionateemergano almenodue filoni comuni:il gioco e il sogno.Vi si possono poicogliere percorsitrasversali e curioseanalogie.

Da sinistra a destraopere di:

Giovanni Ferrario

Paolo Gonzato

Pietro Capogrosso

Ad esempio il forte a-spetto pittorico di mol-te opere non dipinte:Simonetta Fadda, Gio-vanni Ferrario, GraziaGabbini, Paolo Gonza-to, Maria Martinelli, Fe-lice Martinelli, Paola Sa-batti Bassini, Lidia San-vito e Giovanna Villani.Oppure certa fisiono-mia artigianale dei la-vori di Claudio Destito,Sara Giannatempo,Chiara Lampugnani, Sara Munari e Davide Ragazzi, pro-dotta da una riflessione sugli elementi del fare arte

piuttosto che dal bisogno impulsi-vo di fare.O ancora il registro onirico e sur-reale di Capogrosso, Luca Conca,Silvio Giordano, Dubravka Vidovic,Isabella Pers, Laura Santamaria eAlberto Zamboni, scaturito da si-tuazioni vissute e da esperienzedirette. Il laborioso processo dicostruzione della rappresentazio-ne che si cela dietro le opere mi-nimaliste di Sergio Lovati, MariaMorganti, Antonio MarchettiLamera. E infine il piacere di ma-nipolare i materiali che accomu-na gli scultori Andrea Cereda, Ro-sa Maria Arau e Daniela Nenciule-scu ai pittori Mario Benedetti, Mas-simo Bollani e Roberto Merani.

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Roberto Plevanoincontra Maurizio Luerti

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Graziella BertanteAlberto Agazzani

Il monitor come tela, il mouse come pennello: unparallelismo che permette di accostare l’attrezzatura deimoderni artisti digitali ai più tradizionali strumenti del-l’arte e che si è recentemente arricchito di nuovi mezzitecnici e di conseguenti possibilità espressive.Cyberealismo, rendering, modellazione 3d: tutti termi-ni, ancora abbastanza sconosciuti al grande pubblico,che rappresentano una forma nuova di concepire l’ar-te, di realizzarla e di rappresentarla: modellazione tridi-mensionale come mix tra pittura, scultura e fotografia,realizazione di immagini bidimensionali come un qua-dro o una foto, partendo dalla realtà stessa, ma rappre-sentandola attraverso una severa indagine, una precisa,minuziosa ricostruzione della forma e del colore.Prima di essere portata su carta la realtà di queste operedeve essere costruita pezzo per pezzo, in tutti i suoi det-tagli, le sue proporzioni e le sue sfumature. Dalla mon-tagna più mastodontica, all’insenatura più sfuggente, leforme devono essere modellate e dipinte, la luce gover-nata, le forze della natura istruite al volere dell’artista.Altermine di tale processo di creazione l’artista può fer-marsi ad osservare la propria realtà ed a “fotografarla”per farne dono agli altri.Questi sono gli strumenti ado-perati da Alessandro Martellotta: trent’anni d’età, ventidei quali dedicati all’informatica in ogni sua forma,spesi a sviluppare il rapporto uomo-macchina, spingen-do quest’ultima al massimo, nel suo ruolo di estensionedelle capacità della mente, inclusa quella artistica. Icomputer, le stampanti, gli strumenti di lavoro, che daanni supportano le attività produttive negli ambiti piùdiversi, oggi sono al servizio della ricerca artistica. Ipixel, freddi mattoni del terzo millennio, vengono oraplasmati dagli artisti accettando docilmente di prende-re le forme reali e surreali dei nostri mondi interiori.Attraverso gli strumenti utilizzati, il concetto, il pensie-ro, la ricerca restano comunque patrimonio dell’artista,che si serve di questa apparentemente sconvolgentemutazione negli stili e nelle tecniche, per donare unapropria nuova visione di mondi reali e virtuali. Questogiovane artista si accosta all’arte in punta di piedi,restando subito affascinato dall’estensione comunicati-va con la quale l’arte arricchisce l’uomo. Pochi anni dihobby appassionato e nel 2000 un brillante secondoposto nel concorso Ricas, organizzato dal Rotary club,lo mette in contatto con alcune gallerie di Milano. Daquesto momento inizia un’attività di mostre personali ecollettive che lo rendono partecipe del mondo artisti-co contemporaneo, consentendogli di allacciare rap-porti di stima e di amicizia con molti artisti ed opera-tori culturali, maturando esperienze di nuove forme diispirazione e di sviluppo tecnico. Ogni opera di questoartista è pervasa da una sorta di simbolismo psicologi-co: il mare che avvolge la maggior parte dei suoi sog-getti unisce e divide allo stesso tempo, rappresentandoinizialmente una strada che in breve si dimostra un per-corso selettivo. Protagonista di ogni opera sono la quie-te ed il silenzio assordante che invitano alla riflessione,ma non consentono la medesima. Mattoni di questeambientazioni e sensazioni sono forniti dalla natura,con le sue montagne, il suo cielo imponente ed immo-bile spettatore, i suoi impulsi reattivi di fronte alla pro-fanazione che spesso subisce, le sue creature in eternabalia delle proprie ed altrui pulsioni. Le ambientazioninaturali si trovano spesso ad accogliere ospiti indeside-rati a sottolineare l’arida modernità prendendo formadal vetro, dal ferro e dal cemento. Questi scenari utiliz-zano la propria fisicità per ribellarsi ai propri creatoriimprigionandoli in vuote prigioni di lusso. Il mondo

espresso è popolato di protagonisti e soprattutto di pro-tagoniste la cui maggiore evidenza è la bellezza delcorpo. Questa bellezza però evidenzia anche una soffe-renza per la quale le rotondità e le sinuosità delle figu-re sono imprigionate dalle textures che evidenziano ilvero elemento funzionale al significato delle opere,ovvero la privazione della libertà come prezzo dellabellezza. Il personaggio che vive più intensamente que-sta situazione di prigionia è l’artista stesso, trovandosiintrappolato nella sua stessa creazione e nell’impossibi-lità di violare le fondamenta che ha inizialmentecostruito, e cioè la personale inesprimibile visione delmondo reale. Questo artista vive nella convinzione dicostruire una situazione, di plasmarla a proprio piaci-mento, rendendosi conto solo a lavoro compiuto, spes-so attraverso una violenta presa di coscienza, di come lasua opera rifletta una visione nascosta che, quasi dotatadi una propria volontà, emerge e si presenta innanzi alui con tutta la sua crudezza. Lo spettatore è un gradi-to ospite, come un vecchio amico che viene a visitaredi tanto in tanto, uno dei suoi micro-mondi. I senti-menti coi quali viene a contatto sono molteplici: da unfondo di egoismo, trasmesso dalla totale solitudine nellaquale si trovano i personaggi inpalese necessità di aiuto, alla solitu-dine stessa, frutto degli archetipiprecedentemente descritti quali ilmare, il cielo ed il silenzio. Amore,ossessione per lavori in ambientiumanamente aridi, paura dellamorte, desiderio di maggior con-trollo sul proprio destino, necessitàinteriore di poter dedicare piùenergie alla propria ricerca artistica:questi sembrano i fili conduttoridelle serie di opere che fornisconola materia per una infinita ricerca.La vita di questo giovane è pervasada momenti nei quali uno o più diquesti elementi prevalgono sull’a-spetto razionale della personalità,consentendo al flusso artistico diemergere in assoluta libertà.Contemporaneamente a questa at-tività artistica il giovane Martellottapartecipa alla stesura di un “Mani-festo per un movimento di artedigitale” che si propone di rivaluta-re i valori artistici dell’espressività

Alessandro MartellottaAldo Pancheri

Alessandro MartellottaIl tempo, 2004Arte digitale

Alessandro MartellottaIl Viaggio (1), 2004, Arte digitale

Nelle sculture della Bertante l’opulenza dei corpi e larotondità delle forme è leggerezza. Nulla vi è di pe-sante perché qui il corpo diventa ve-ramente solo e solamente lo stru-mento per manifestare un’emozione,un turbamento, uno stupore.Quello che la Bertante vuole comu-nicare è il segreto di un sogno, l'es-senza di moti intimi e serenamenteinquieti, impossibili da narrare in al-tro modo. Non è vero che per esserecontemporanei occorra sempre ne-cessariamente essere crudi.Quella del considerare opere nonstrettamente legate, e non solo a livel-lo iconografico, a modi marcatamen-te veristi o espressionisti come pura

decorazione è un'aberrazione tanto insensata quantofaziosa. Così come fermarsi alla superficie di questepiacevoli sculture può portare a considerazioni tantoimmediate quanto fuorvianti.Ed in questo rovesciamento sta uno dei punti di forzadi questa scultura: l’aver ammantato di leggera grade-volezza contenuti pesantemente inquieti ed aver sosti-

tuito la rappresentazione con un’effi-cace evocazione immediatamentecomprensibile da chi come il PiccoloPrincipe di Saint Exupéry, sa guardareprima col cuore che con gli occhi.(Reggio Emilia, 1998).

digitale, attraverso una istruzione sulle nuove chiavi dilettura che i molteplici stili hanno creato. L’assenza diqueste conoscenze ha comportato spesso una sopravva-lutazione di opere dalle scarse virtù estetiche e formalied in generale una confusione sulle interpretazione evalutazione del lavoro al computer. Punto fondamenta-le di tale "chiarimento collettivo" è la rivalutazione delprocesso di stampa, della scelta dei materiali e dell’im-postazione tecnica come fase fondamentale della pro-duzione artistica digitale, spesso sottovalutata a favoredel contenuto concettuale delle opere, ma a gravedanno della valenza estetica e tecnologica. AlessandroMartellotta, oltre a realizzare opere d’arte digitali, scri-ve brevi racconti horror e thriller.Arte figurativa e nar-rativa, forme espressive apparentemente così lontane fradi loro, si fondono invece nel suo immaginario, costi-tuendo le due colonne portanti della sua ricerca. Lascrittura viene usata infatti nel tentativo di descrivereun mondo peggiore di quello reale, l’opera digitalemira invece a rappresentarne uno migliore, nel quale iproblemi di ogni giorno vengono evidenziati, alle volteanche con ironia, ma sempre con un traguardo finalecostruttivo e di speranza.

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Le MaschereTerracotta policroma, 2003 cm 30x26x13

28 novembre - 13 dicembre 2004

catalogo con testi diErmanno A. Arslan - Rossana Bossaglia

Giovanni Canuopere in ceramica

SpazioBoccainGalleria

Spazio Rosso Tizianodal 4 dicembre al 3 gennaio

Via Taverna, 41 - PiacenzaInfo: 0523.334215

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SALA GARZANTI, via della Spiga, Milano

FULVIO RINALDInovembre, 2004

Biffi, il Caffè degli Artisti e Bocca, la Libreriadegli Artisti, Locali Storici della Galleria VittorioEmanuele II, hanno dato vita ad un programmadi proposte artistiche, a partire da settembre 2004fino ad ottobre 2005, allo scopo di offrire al pub-blico la visione gratuita, per la durata di un mese,di capolavori di alcuni tra i più prestigiosi artistinazionali.La prima esposizione è stata inaugurata il 30 set-tembre, con tre lavori di Max Kuatty:“Prime Visioni”, Omaggio a Piero della Francesca“Prime Visioni”, Omaggio a Rodin“Premi Nobel”,Yasser Arafat

MAX KUATTY nato a Mantova nel 1930, è l’artista che nell’am-bito della post-figurazione ha concluso un secolodi avanguardie linguistiche. Si afferma con successo lasua pittura in perenne evoluzione con quadri chiamatiinizialmente “Polaretablo” realizzati in parte con pola-roid e in parte con retablo, opere che sono porzioni diaffresco, volti e figure enucleati dai più famosi dipinti diPiero della Francesca, di Masaccio, di Michelangelo.Kuatty ha realizzato opere per spazi pubblici, presenta-to personali e partecipato a collettive in tutto il mondo.Ha recentemente tenuto una personale al Centre Cul-turel Georges Pompidou prossimi appuntamenti ve-dranno la partecipazione di Filippo Panseca, WalterValentini, Giancarlo Ossola e Adalberto Borioli.

Nel febbraio del 2003 Garoglio ha pubblicato il volu-me dal titolo “Neuf pierres”, con nove poesie, di cuiquattro inedite, di Yves Bonnefoy e nove sue incisioniall’acquatinta, tirate in 55 esemplari, di cui venti nume-rate con cifre romane e trentacinque, arabe. Il volume éstato presentato da Giovanni Romano al CentreCulturel Français di Torino e dal poeta in persona,Bonnefoy, all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Ora,domenica 28 novembre 2004, viene presentato allaLibreria Bocca in Galleria da Francesco Poli.

Angelo Garoglio e le sue 9 pietre

Al Caffè degli ArtistiGiacomo Lodetti

GIRASOLI pubblicatiGiuseppe BeccaMario BenedettiFernanda Borio

Giorgio BulziDavide Casari

Chiara CodecàGiuliano Crivelli

Isa Di BattistaFausta Dossi

Fernanda FediMaria Grazia FilettoRuggero Gamberini

Giacomo GhezziGino Gini

Daniela GiovannettiFranz Jenull

Ho KanLicia Mantovani

Massimo MarchesottiSylvia Mair

Maurizio MazzoleniRiccarda Montenero

Ettore MoschettiMarco Mucha

Margareta NielGiacomo Nuzzo

Serena OlivariAntonella Orlandini

Gianni OttavianiClemen Parrocchetti

Mario PicciLuciano Ragozzino

Roberto RampinelliKarl-Heinz Reister

Ugo RivaMaddalena Rocco

Gian RusconiRaffaele Sicignano

Valdi SpagnuloPippo Spinoccia

Anna SutorFranco TarantinoErnesto TavernariVincenzo Tiboni

Davide TirelliLuca Vernizzi

Koji Yamamoto

Due nuovi GIRASOLIMassimo Marchesotti, olio su cartaper una Rima di Michelangelo.Vito Sersale, acrilici su cartaper un pensiero di Leonardo.

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A Pieve di Cento, zona di confine tra la provincia diBologna e quella di Ferrara, in anni recenti è stato fon-dato e realizzato un imponente vasto museo d’artemoderna e contemporanea così intitolato: Museo d’ar-te delle Generazioni italiane del ’900 “G. Bargellini”.Già il titolo testimonia chiaramente la volontà e leintenzioni indicative e progettuali del suo fondatore:valorizzare gli artisti e l’arte italiana del secolo appenatrascorso. Giulio Bargellini, industriale da sempreappassionato d’arte, grande “amico dell’arte e degli arti-sti” come egli stesso afferma, ha voluto onorare Pievedi Cento, suo luogo natio, realizzando un museo riser-

vato all’arte figurativa italiana, presentando opere dipittura e scultura in tutte le loro correnti o tendenzeche dir si voglia. Iniziativa lodevole e appropriata la suache, tra l’altro, è accompagnata da esaustivi cataloghi(Edizioni Bora) in proposito. Ora, diciamo pure chel’arte italiana - tutta l'arte italiana- di queste iniziativene ha primaria necessità vivendo, non da oggi, com-plessi di inferiorità e dipendenza per tutto ciò cheviene “da fuori” anche quando, a me pare, ci vengonoproposti “prodotti artistici” come fossero novità (istalla-zioni, video, ecc.) mentre son cose già precocementeinvecchiate altrove e qui riproposte sperando di “farnotizia”, di scandalizzare, di stupire. Dunque, bene hafatto Bargellini con la sua scelta di proporre un museoapposito per la conoscenza, divulgazione e tutela del-l'arte nostra intesa come pittura e scultura. Per tornarealla parte iniziale del discorso, il museo è dotato di unaimportante collezione suddivisa in apposite sale presen-

tate per cicli generazionali.Alcuni nomi tra i protago-nisti del secolo appena passato, presenti nella esposizio-ne permanente: Balla, Boccioni, Campigli, Carrà,Casorati, de Chirico, Guidi, Magnelli, Martini,Modigliani, Reggiani, Rosai, Savinio, Severini, Sironi,Soldati,Tozzi e tanti altri per giungere, in tempi a noipiù vicini, a Birolli, Cagli, Guttuso, Morlotti, Minguzzi,Vedova e così via dicendo con tant’altre “firme” chequi sarebbe troppo lungo elencare. Il museo, già estesoin grande spazio, a tutt’oggi è ancora in fase di amplia-mento e diverrà, in tempi brevi, tra i più grandi esistentiin campo nazionale e internazionale.Oltre alle già cita-te sale, dove vengono esposte in prevalenza opere pit-toriche, bisogna sottolineare e porre in evidenza ilparco, dove sono esposte le sculture all’aperto in bellacollocazione, atta a valorizzare le opere stesse che, postein piena luce, vivono in una loro particolare e vibrantenaturale atmosfera. Interessante istituzione museale,quella di Pieve di Cento, che, nell’insieme del contesto,presenta anche mostre temporanee di maestri d’oggi,protagonisti della nostra contemporaneità. GiulioBargellini ha realizzato il suo sogno tramite un’intelli-gente proposta iniziale da parte di Edoardo Brandanidella bolognese Edizioni Bora, anch’egli appassionatouomo d’arte. Il museo, diretto dal noto critico e stori-co dell’arte Giorgio di Genova, rappresenta una vicen-da storico-critico-editoriale importante ed unica nelsuo genere, fondamentalmente utile per conoscere l’ar-te figurativa italiana dell’ultimo secolo. Bargellini miricorda, sotto certi aspetti, altri suoi due conterranei: ipiacentini Giuseppe Ricci Oddi, fondatore, nel 1931,della Civica Galleria d’Arte di Piacenza e, in tempi a noipiù attuali, (anni Novanta) Franco Spaggiari che, acqui-stato e ristrutturato il castello di San Pietro in Cerrosituato nella pianura piacentina, ne ha fatto un museod’arte prevalentemente contemporanea pur senza esclu-dere una parentesi storica riguardante i maestri emilianidel passato. Ricci Oddi, Spaggiari e Bargellini sono riu-sciti, in pochi anni, a realizzare i loro musei. L’hannofatto pagando di tasca propria,preferendo spendere soldiper difendere l’arte e gli artisti invece di investirli intant’altre cose ritenute, ieri come oggi, assai più “reddi-tizie”. Onore, perciò, a questi tre grandi e generosi per-sonaggı. Belle ed altamente significative le parole diGiulio Bargellini per ciò che concerne la sua imponen-te realizzazione, la sua “impresa”. Eccole:“Essere indu-striale credo voglia dire saper prevedere, intraprendere erischiare. Con questo spirito, infine, ho voluto dotarePieve di Cento di una struttura, uno strumento, unpunto di incontro aperto al mondo dell’arte e della cul-tura che possa essere volano di sviluppo culturale edeconomico, nonché di rapporto col più ampio territo-rio nazionale ed internazionale in cui viviamo e dob-biamo/possiamo svilupparci, contribuendo a determi-nare per la mia terra lavoro e benessere”. Così pensa, edagisce, Giulio Bargellini imprenditore illuminato: aparer mio magnificamente rinascimentale.

Il Museo Bargellini, a Pieve di CentoGiancarlo Cerri

tista savonese recuperano la memoria. Il li-bro è stato presentato a Cortina d’Ampezzo,durante l’inaugurazione della sua personale,“Mare e Dolomiti”, agosto 1998, a SpazioCultura, diretto da Milena Milani. Per lostesso editore, sempre nel 1998, ha eseguitodisegni per “Vento onde mare”, poesie diCamilla Costa. Nel 2001, a Cortina d’Am-pezzo nello Spazio Cultura, ha riportato

grande successo la sua per-sonale “Alchimie”, cellulosae tecniche miste, nella qua-le , come ha scritto MilenaMilani, “con un occhio alpassato, e un altro all’avve-nire”, ha esposto le sue fa-mose Lamiere, con i segnidel tempo che le ha corro-se. Sulla rivista “Porti” sonousciti servizi e fotografiedell’avvenimento.

Ennio Bencini Carlo Facchinetti

Walter Morando

Ennio Bencini, Dualismo, 2003

«Con che bravura di voce eroica ogni cibèca domandacavalli e fanti» (Aretino). Questo detto potrebbe assumere,nei confronti dei solitiinventori, un’appropriataetichetta. Ma per Ben-cini, dopo mie lunghe e-sitanzioni e perplessità,devo ammettere che lafrase aretiniana decade,senza ombra di dubbio.Caparbiamente, coscien-te della validità della suacreazione,ha combattutocontro censori superfi-ciali; la fede nella ricercal’ha sostenuto sino all’e-sauriente assecondamen-to delle esigenze artisti-che. Disegnatore sicuronon ha mai abbandonatoquel senso di armoniaformale anche quando,tralasciata la fascia de-scrittiva, ha cominciato acreare forme nuove difigurazione.Raccogliendo materialipoveri, come sabbia epietre e reperti d’antiquariato, come tabernacoli, reliquari,frammenti di mobili di ogni stile, con fantasia e creativitàdà vita a composizioni pittomateriche decisamente origi-nali ed interessanti. In Bencini emerge sempre il dato posi-tivo della fantasia e dell’equilibrio compositivo.Anche perBencini ci saranno gli Anito, i Meleti e i Liconi, ma lasomma delle sue indagini (Conosci te stesso) lo salverannoda ogni attacco ironico odenigratorio. È solo que-stione di tempo. Diròche, per Bencini, l’artevisiva ha avuto la miglio-re decantazione per ri-trarre il suo personale spi-rito, la sua quotidiana sto-ria. Che può essere lastoria di ogni suo simile,con le caratteristiche in-dividuali della propria a-nima e che, in Bencini,acquista il significato delsuo mondo lucente chetenta di circumnavigarearmoniosamente con glialtri mondi, ma con lasua inconfondibile tra-iettoria. Il segreto diBencini sta qua?

Morando è nato a Savona nel 1938. La suaprima mostra è del 1967, a Palazzo Acna, neipressi di Savona. Da allora ha esposto in per-sonali e collettive in Italia e all’estero. I mag-giori critici si sono interessati del suo lavoro.Nel 1982 è uscita la cartella “Per la Sarde-gna”, con una poesia di Milena Milani equattro sue incisioni,Edizioni Brixia Milano,Premio Sa Ferula, Cagliari 1982 per la poe-sia. Nel 1983 Morando harealizzato, come sceneggia-tore, un programma sul Por-to di Savona, regia di Mim-mo Lombezzi, per la Rai-Tv3.Nel 1998 è uscito il vo-lume di Marcello Venturoli“Walter Morando e gli og-getti del mare” (Centro In-ternazionale della Grafica diVenezia) in cui il critico af-ferma che le sculture dell’ar-

Bencini - TedescoVento caldo di un’estateadimensionale, 2004

Catalogo mostra testo di Dangeloalla Libreria Bocca, 2004

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Ultimamente Franco Pizzi svolge dipreferenza il tema della figura umana,allineandosi così a una interminabileschiera di artisti che hanno eletto i cor-pi e i volti a protagonisti indiscussi dellaloro opera. Il fatto che, nel suo caso, ledonne e gli uomini presentino allunga-menti innaturali e modificazioni, perquanto moderate, rispetto all’immaginenaturale della figura umana, al tempostesso manifesta la cultura e la particola-re sensibilità di Pizzi e indica uno stret-to rapporto con le idee e i punti di vistadella contemporaneità. Uno scultorepotrebbe infatti essere attratto dall’idealeclassico per cui il corpo umano divienesinonimo di un’universale armonia,esempio sublime di una perfezione a

cui l’umanità dovrebbe tendere, nel fisico e nello spiri-to; oppure potrebbe provare un tale disgusto per quan-

La tensione dello spazioFranco Pizzi

Stefano Fugazza

to di corrotto e di malvagio c’è nell’uomo da rifiutar-ne qualsiasi idealizzazione, attestandone invece la fini-tezza, la miseria, l’imminente degrado. Niente di tuttoquesto in Pizzi, il quale si muove in un terreno spiri-tuale che rifiuta gli estremismi e che continua a crede-re nei valori di un‘umanità alla quale non mancano ri-serve innumerevoli di valori, di tensioni ideali, di spe-ranze. Ciò nonostante, l’uomo rimane ben ancorato al-la terra, e dunque alle terrene miserie e agli inevitabilicontraccolpi derivanti dal fatto di vivere in un mondo“in cui l’azione non è sorella del sogno”.Il nostro scultore riesce a rendere appieno questa du-plicità dell’uomo, questo suo dipendere da nature affat-to differenti. Non è un caso se le figure da lui scolpitevolgono talora lo sguardo verso l’alto, o sollevano lebraccia in un gesto di aspirazione che vorrebbe stabilireun collegamento con la parte superiore, il cielo, ilmondo più puro che ci piace immaginare possa esistereal di sopra di noi. Non che il mondo di Pizzi appaia atutti gli effetti ottimista, perché poi i corpi delle sue fi-

gure denunciano a tratti significative privazioni, chepossono coinvolgere gli arti o la stessa testa, alla qualeaccade di presentarsi lacerata e come divisa, a significa-re un’incompiutezza che appartiene al genere umano, atutti noi. Si rilevano anche schiacciamenti e torsioniche alleggeriscono sì ma che alla fine contribuiscono arendere più inquieto il mondo espressivo di questo ar-tista.Tutto questo pensiero, ed è la cosa più importante,viene manifestato con l’immediatezza di un linguaggioeloquente ma non retorico, attraverso i mezzi propri diuna scultura che, prima di tutto, affronta e risolve de-terminati problemi tecnici, trovando nella materia stes-sa, nei suoi sbalzi e nelle sue anfrattuosità, occasioni disignificato. Pizzi modella con grande abilità, dimostran-do vigore espressivo quando tornisce le sue figure atutto tondo, ma anche concedendosi sottigliezze e resepiù analitiche, esaltate dalla luce, da osservare con at-tenzione. Su tutto prevalgono il gusto per la bella ma-teria e il movimento che viene attribuito alle forme, lequali si presentano secondo prospettive diverse, in unabella varietà di situazioni, e con delle estensioni, attra-verso una sorta di voluta increspata o attraverso altrimezzi plastici, da cui dipende una tensione spaziale checostituisce — si direbbe — lo specifico di questa scul-tura modernissima e al tempo stesso così capace diconfrontarsi con la tradizione.

La grande apirazione1998, Bronzocm 16 x 23 x 45 h

“Sognare significa vivere e io lo faccio a occhi aperti equalche volta a occhi chiusi. Una volta sognavo chestavo per svegliarmi e sentivo che i cavalli, quelli cheerano in casa, parlavano tra di loro mentre tutti gli altristavano rientrando dalla finestra e all’aprirsi dei mieiocchi si stavano sistemando tutti al loro posto. Questomi comunica che loro sono vivi anche quando io nonme ne accorgo. Però io non sono così matto da pensareche loro sono vivi, ma sono così normale nel pensareche loro sono stati talmente tanto amati, posseduti,strattonati e talvolta anche feriti che hanno una lorovita. Per tale ragione ognuno ha un nome, in ricordodel bambino che glielo ha dato. Il nome è legato aquello che mi suggeriscono le loro facce, le loro ferite,la loro possanza o eleganza e poi tutto ha un nome,tutto quello che prendi e raccogli”.Benvenuti in un mondo magico, affascinante e domi-nato dall’amore per la fantasia e la creatività: la casamuseo di Lorenzo Pianotti. Ogni centimetro è abbelli-to da splendidi cavalli giocattolo che regnano nellospazio destando nel visitatore curiosità, mistero e unaardita voglia di tornare bambini per cavalcarne uno evolare nei meandri fatati. Il desiderio irrefrenabile èquello di esplorare tutta la casa per capire quale altrocavallo si nasconde nelle altre stanze: tanti, dipinti e dimille colori, di legno e antichi, di ferro e al galoppo, dicartapesta e con le ali. Se il vero protagonista di questaoasi al centro di Milano è il cavallo e la voglia di sogna-re inevitabilmente, il regista di questa fiaba è un uomopoliedrico e dalla personalità avvincente: Lorenzo Pia-notti. Lui non ama definirsi un artista né tanto menoun collezionista che raccoglie e tiene per sé, ma un cu-rioso che cerca e poi mette a disposizione di tutti, tan-to che la sua casa è aperta a chiunque abbia voglia diimmergersi nell’emozione e nell’ingenuità che il caval-lo giocattolo trasmette.Lorenzo nasce a Messina negli anni ‘50 e in Sicilia in

quegli anni regna la miseria.“Mi ricordo che mangia-vamo tutti a scuola e mi sembrava di mangiare malissi-mo ma pensavo che quello era il mangiare e bisognavastar zitti.Vedevo tanti bambini senza scarpe ma mi sem-brava normale.Vedevo le donne lavare nei fiumi o nellefontane e mi sembrava normale; invece da qualche altraparte esisteva anche un altro mondo, qualcuno che ave-va non solo gli aquiloni, che ci costruivamo, o le fion-de. Da qualche altra parte alcuni bambini giocavanocon cavalli meravigliosi o bambole incredibili che poiho visto nel tempo. Nonostante tutto, non credo diaver perso una parte della mia infanzia, anche se mi erastata nascosta una parte possibile dell’infanzia. Però in-tanto una cosa che facevo e che mi dava tanta gioia erasalire sulla sedia, inginocchiarmi e con una matita mal-concia disegnavo sempre. Io in effetti disegnavo quelloche disegno adesso, cioè quello che non ho. Per quellofaccio spesso cose surreali, perché cerco di mettere sucarta ciò che non vedo nella realtà, magari sarà poi an-che una bugia, ma è tutto una bugia!”. Attraverso leparole di Lorenzo si scorge l’uomo libero e l’animoprofondo, proprio dell’artista. Dai suoi occhi riluce l’a-more per la vita e la propensione a tuffarsi verso nuoveesperienze rigeneranti. Per Lorenzo l’incubo di sve-gliarsi e non trovare più i suoi cavalli significa, senza ti-tubanza, «trovare meraviglioso non avere niente intor-no. Il massimo adesso sarebbe fare un trasloco e avereuno spazio bianco, pulito, dove risistemare tutto.Ventianni fa avrei voluto i mobili con le ruote perché perme l’arredo è come l’abbigliamento» …Fra cent’anni, ituoi cavalli dove saranno? «500 sono già al museo dellaChicco. Gli altri 500 e quelli che comprerò e costruiròio mi auguro diventino oggetti che continuino a emo-zionare». Cosicché il cavallo che costruirai domani…«avrà solo due ali», quelle stesse ali che l’osservatore,desideroso di sognare, indosserà per volare lontano ver-so orizzonti che solo la magia dell’arte può offrirci.

Lorenzo Pianotti: una giostra di cavalliAntonio D’Amico

dal 30 Novembre al 6 Gennaio 2005Via Molino delle Armi, 5 (int.) - Milano

tel. 0258302093 - www.libreriabocca.com

di Boccadi Bocca

C’è qualcosa di nuovo nella già variegata produzionedi Armanda Verdirame, qualcosa che, se mantieneinalterata la sua tecnica, rinnova fortemente il mes-saggio che l’artista rivolge al mondo. La nuova for-ma è il “mostro”, uno strano “animalide” (come lochiama la scultrice) che evoca protagonisti di unafantascienza anni Settanta e che, nella sua imper-

turbabile compostezza, ci comunica una rasse-gnata minaccia. Mostrum, prodigio, portento.Così l’etimologia della parola ci conduce asvelare il significato della nuova tematica ac-colta dall’artista. Mostrum, prodigio, porten-to e anche segno degli dei e volontà divina:qualcosa che, nello spavento che procura, lan-cia un messaggio forte. Qualsiasi società, inogni spazio e tempo, ha avuto e ha i suoi“mostri” e, se una civiltà si definisce nellacapacità di elaborare culturalmente i suoi

mostri, l’assenza di tale percorso genera caos e violenza.Mostrum, nel suo percorso etimologico, si riallaccia an-che al verbo monere, ammonire. Quello di Armanda,anche se non è un vero e proprio ammonimento, è uninvito forte a guardare in faccia alle mostruosità del vive-re attuale, è uno stimolo a intraprendere la strada dell’e-laborazione. Nel parlare comune, si definisce “mostro”un uomo che non conosce pietà, capace di ogni sorta diviolenza, quell’uomo non più uomo, che, rinnegandoculture, religioni, civiltà e storie, rinnega la propria stessanatura. Di un uomo, quindi, che necessita un ri-conosci-mento di se stesso. Ed è sicuramente anche questa un’al-tra lettura dell’opera della Verdirame. Continuando a se-guire i percorsi etimologici della parola, la troviamo im-parentata con il verbo “mostrare”. Sono “mostri” mo-strati quelli di Armanda, esposti alla “Galerie FrancisVan Hoof” (info: +32.3.8992808 - www.galerie-vanhoof.be). Esposti, abbiamo detto, e quando il partici-pio passato assume forma aggettivale rivela tutta la fragi-lità di quest’uomo trasfigurato. Li possiamo vedere espo-sti al vento, al sole, alla pioggia, a ogni sorta di intempe-rie, questi mostri, pensati dall’artista come opere da in-stallare in spazi aperti. I mostri di Armanda rivelano, infi-

Armanda VerdirameLucia Mazzilli

ne, anche un’altra tematica sulla quale l’artista da alcunianni riflette, quella degli organismi geneticamente modi-ficati (OGM) e della manipolazione genetica: ci parlanodel turbamento di una natura mal-trattata, ci parlano diun progressivo e accanito allontanamento dalla natura.Dicevamo all’inizio che la tecnica dell’artista rimane im-mutata anche in queste opere. Semi di graminacee inci-dono e affondano, creando solchi e rilievi, nella terracot-ta.Cosa dobbiamo pensare? Sono questi semi di altri potenziali mostri in embrione,oppure possiamo sperare che la natura riesca a germo-gliare anche nel caos, a farsi forza e prevalere sul collasso.Probabilmente sono entram-be i significati raccolti dal-l’artista nell’ideazionedi queste opere e ap-partengono al mes-saggio severo chela fragilità diqueste formeriesce adesprimere conforza ed eleganza.

I mostriTerrecotte

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Questa mostra darà il via ad una serie di incontri aperti aldialogo per chi sente l’esigenza di approfondire un tema chesta serpeggiando nelle coscienze di chi vive d’arte o di chi ne èsemplice appassionato. Dal 25 novembre una selezione diopere in bronzo di piccole e medie dimensioni dello scultoreNicoli saranno esposte alla libreria Bocca. Lo scultore bologne-se, che da sempre rielabora tematiche mitologiche in chiave po-st-moderna, sente il bisogno di riaprire il dialogo interrotto tragli artisti stessi e tutti coloro che in qualche modo appartengo-no o si interessano al mondo dell’arte. Proprio nel momentoin cui sembrano trionfare l’indifferenza e la banalità, prepo-tentemente sale l’esigenza di riflettere sul senso che ha oggi il“fare arte”. La libreria Bocca organizzerà, in date ancora dastabilirsi, alcune serate a tema partendo proprio dalle conside-razioni dell’artista.Tra guerrieri, cavalli e figure mitologichetroveremo, nel corso dell’inaugurazione dellamostra, un fascicolo scritto dallo stesso sculto-re. Di seguito ne riportiamo un estratto:

L’arte terra di nessuno.L’artista è scomparso.Quello che ci resta di lui è unaserie di luoghi comuni edi confuse idee a riguar-do. Nell’immaginar iocollettivo pittori e scul-tori ancora devono cor-r ispondere all’idea diuomini stravaganti,di-versi, incuranti delle re-gole, inaffidabili, geniali ecosì via. Nella realtà l’artista èpiù che mai uno stereotipo, unfantasma, un vuoto di identità, unpersonaggio dai contorni confusi, daquando a lui la società ha negato unqualsiasi ruolo utile e credibile. In un pas-sato non tanto lontano il suo lavoro servi-va ad istruire, a celebrare, a narrare le im-prese che dovevano passare alla storia, adabbellire le case e gli spazi urbani, ad ac-crescere il prestigio dei committenti. Oranon più. Chi scrive è uno scultore, un ar-tista del nuovo millennio che, alzando latesta per guardarsi attorno, si è reso conto della realtà dimacerie che abbiamo ereditato da un passato moltoprossimo, quello degli ultimi cinquant’anni, tanto perintenderci, da quando l’arte con tutti i suoi prodotti econ tutti i suoi protagonisti ha fatto il “big bang”, il sal-to nel vuoto dello spazio, perdendo l’ultima qualità chene teneva incollati i pezzi: la riconoscibilità dell’opera.Questo significa che oggi, fatto assolutamente inedito,un oggetto qualsiasi può prendere il posto di un qua-dro o di una scultura sulle pareti di un museo, di unagalleria, di una fiera d’arte.Allo stato attuale delle cosegli artisti non devono più rendere conto delle proprie

scelte, così come le opere d’arte non devono più ren-dere conto a chi le pretendeva utili o necessarie o bel-le. L’artista contemporaneo, svincolato da ogni forma didovere nei confronti della società, ha potuto imboccareuna strada qualsiasi, anche quella della banalità del lin-guaggio e della insignificanza dei contenuti, ed ha rapi-damente bruciato l’anello di collegamento, il rapportodialettico con il suo pubblico. Il cruciale problema chedeve affrontare chi vuole vivere della propria arte sem-bra essere quello di quale strategia adottare per arrivarepiù facilmente al successo e a questo proposito il criti-co, legato al mercato, gioca un ruolo fondamentale. Èlui che crea di suo pugno il pittore ed il movimento econ il suo supporto di conoscenza gli dà anima e vita-

lità conferendogli il necessario valoreintellettuale e professionale. Questovalore viene poi tradotto dal mercan-te in valore economico, e così iltriangolo composto dal produtto-re, dal pubblicitario e dal distribu-tore si chiude in perfetto osse-quio alle leggi dell’economiaovvero costi di produzione, co-sti di gestione e profitti. Il si-stema “ufficiale” dell’artesembra non dare altri spazi o

alternative a chi non rientrain questa logica mercantile.Il risultato che ora abbiamosotto gli occhi è una terra di

nessuno dove chiunque puòavventurarsi e scorrazzare in

lungo e in largo proclamandosi ar-tista — il risultato sono le opere pri-

ve di senso di forza e di qualità che pul-lulano nelle fiere d’arte di mezzo mondo — il ri-

sultato è il proliferare di artisti che, lusingati dalle si-rene del denaro e del successo, continuano a batterela strada del “brutto imperante” e della provocazio-ne distruttiva e rinunciano alla funzione propositivae progettuale che è l’unica arma vincente nellemani di chi ha il potere dell’immaginazione dallasua parte e così facendo perdono ogni giorno dipiù in credibilità e dignità, contribuendo al pro-

prio suicidio. Da questa eredità di macerie, tuttavia,qualcosa di buono l’abbiamo ricevuto. L’artista ha go-duto in questi ultimi decenni di una libertà inedita,spingendosi dove mai gli era stato concesso prima e su-perando di colpo tutti i pregiudizi sul possibile impie-go di linguaggi e materiali. Si è drogato di libertà, in-frangendo ogni limite, come in un gioco estremo d’a-more. Il terreno “sacro” si è prima allargato, poi anchel’ultima barriera è caduta, facendo di questo campoterra di tutti e di nessuno. Noi, artisti e uomini delnuovo millennio, vorremmo ritrovare la strada checonduce a questo sacro terreno, ma essa non c’è perché

è stata distrutta. La dovremo ricostrui-re, se vorremo ridare al nostro lavorosenso e speranza. Dovremo imparare agestire l’insegnamento di libertà di cuisiamo stati testimoni nell’ultimo scor-cio del secolo passato trovando la forzadi imporci dei limiti inviolabili, nel-l’arte come nella vita, e ridisegnare lalinea di demarcazione tra il bene ed ilmale, tra il brutto ed il bello, tra chi faarte e chi arte non la fa. Perché qual-cosa si sta muovendo. Ce ne rendiamoconto buttandoci in pasto alla gentecomune, vivendo la nostra arte sullastrada, respirando gli umori che co-gliamo nell’aria e che rafforzano unadelle nostre convinzioni, quella chel’uomo ha oggi più che mai un biso-gno estremo di appagare il propriospirito attraverso i sensi. Ha bisognodello stupore che si prova di fronte allamagia di un’opera grande, quello stu-pore, antidoto formidabile contro l’in-differenza, che è privilegio degli annidell’infanzia quando lo spirito è ancora puro e spregiu-dicato. È un bisogno essenziale che può dormire a lun-go, soffocato dalle esigenze materiali più urgenti, daicasi della vita, dagli eventi o anche dall’eccesso di biso-gni secondari, come quelli che rischiano di addormen-tarci le coscienze nel nostro Occidente, sazio e tristissi-mo, ma che ritorna inevitabilmente a galla ogni qualvolta si rifletta sul senso da dare all’esistenza. Una operad’arte ci deve stupire e appagare, commuovere e sedur-re, ci deve indicare una possibile strada da percorrere, cideve offrire una chiave di lettura del mondo e deveavere in sé stessa le armi per difendersi. Noi oggi abbia-mo bisogno di artisti in grado di produrre arte così,che sia utile, bella e universale. Chi ha imboccato lastrada della distruzione dell’arte con l’arte ha imbocca-to un vicolo cieco. Chi ricalca nel suo operato artisticole imperanti regole del brutto, chi si autocompiace, chicolpisce allo stomaco e riflette nel suo fare la realtà delsociale che ci circonda rinuncia alla parte più vivace disé. Rinuncia cioè alla grande arma dell’immaginazione.Noi oggi abbiamo bisogno di artisti in grado di darerisposte convincenti ai nostri quesiti. Noi abbiamo bi-sogno di artisti, di uomini, che sappiano immaginareun futuro diverso da quello che ci circonda, un futuromigliore, che dobbiamo pretendere di avere.

Volontà e coscienza nell’evocazione del mito post-moderno Claudio Nicoli

Gabriele Buratti (Buga), nato a Milano nel 1964, si laurea al Politecnico di Milanoin Architettura del Paesaggio. Il suo interesse per una sentita analisi dei fattori fisi-ci, antropici, storici e strutturali del territorio acuiscono la sua sensibilità di archi-tetto-pittore. Dalle fredde analisi sugli sviluppi geologici, etnografici e strutturaliuno scatto poetico lo induce a tradurre in tavole pittoriche i valori spaziali, plasticie cromatici del paesaggio naturale e antropico. Lo spirito dell’uomo, legato allaterra, si manifesta in composizioni pittoriche in cui sono presenti i valori lirici delNovecento italiano. Ma l’artista che alterna la vita in città, in quartieri di casermo-ni dormitorio, con quella nella sua villa a Perego in Brianza, è sollecitato a riporta-re nello squallido paesaggio urbano delle periferie, dei quartieri popolari, l’armo-nica configurazione della campagna brianzola. Ed ecco allora che la brutalità deigruppi di case dei quartieri monofunzionali residenziali viene investita da un biso-gno trascendente di movimento cosmico. Buratti fa propri i simboli sciamanicidelle incisioni della Val Camonica, riproponendoli per permetterci di riflettere suquale era il rapporto originale dell’uomo con la natura: temuta come potente di-vinità in grado di donare la vita, la morte, la prosperità e la carestia. La pittura ru-pestre dell’uomo cavernicolo di trentamila anni fa esalta l’artista e lo porta a con-cepire una città formata da branchi di case cervo-antilope (animale sciamanico chenella pittura rupestre rappresenta il mistico linguaggio del trapasso dell’uomo dallaterra al cielo), archetipo vivente di una possibile liberazione dell’uomo, prigionieronella città dormitorio.Tali simboli magico-rituali sono accostati con “simboli”

moderni come i codici a barre. Dal linguaggio rupestre a quello freddo e inumano che solo le macchine sanno leggere, la semiologiaha fatto un salto che allontana sempre più l’uomo da mistero del sacro.A differenza del passato ai giorni nostri è l’uomo a dominare, avolte a deturpare la natura. Questo è ciò che i dipinti di Buratti ci comunicano: un monito a volte serio a volte ironico, sul rischio chestiamo correndo, sulla strada che l’umanità ha iniziato a percorrere. L’artista scende quindi nel profondo, evocando immagini apparte-nenti a tutti, attraverso la sua accurata tecnica pittorica fatta di leggere velature dalle atmosfere fatate e rarefatte, che accostate per con-trasto assumono significati nuovi e particolarmente interessanti.

Gabriele BurattiPino Sguera

Cavallo e cavalierecon lancia

bronzo, h cm 44

Ulissebronzo, h cm 58

SpazioBoccainGalleriagiovedì 25 Novembre ore 18,30

Senza titolo, 2003, tecnica mista su tavola, cm 68 x 85

30

Senza titolo, 2003, tecnica mista su tavola, cm 90 x 100

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31Per la tua pubblicità chiama Gabriele Lodetti allo 02860806 - Giorgio Lodetti allo 0258302093

(…) Le prime prove di De Stefani, ancora fortementeorientate in senso pittorico, sono così diventate, nel girodi pochi anni, concatenazioni ritmiche di motivi for-mali che si dispongono in sequenza e che, nella lorotormentata astrattezza, mimano la forma stessa della vi-ta, forme e concrezioni materiche che si sviluppanonello spazio e solo in esso dispiegano pienamente la lo-ro struttura e la loro forza espressiva disegnandovi musi-cali e lacerate vibrazioni, tutte giocate sulla dialettica delpieno e del vuoto. Chiuse entro cornici-contenitoribianchi o neri, questi scultorei ritmi formali di DeStefani entrano non solo in immediata tensione conlo spazio che le circonda, ma, soprattutto, in sequen-ziale rapporto strutturale fra loro. L’occhio cogliel’immediata serialità con cui i singoli pannelli si com-pletano in opere coerenti che incidono un forte se-gno strutturale nello spazio. In questa logica estetico-spaziale anche il vuoto che racchiude e avvolge leforme, diventa esso stesso forma. Anche gli spazi fra ipannelli di una stessa sequenza vengono catturati en-tro il ritmo della composizione. Non sempre ciò èdovuto alla forza del segno. In alcuni delicatissimi di-segni a matita o a pastelli a olio, anzi, il processo è ta-lora inverso, ma il risultato è identico. A De Stefani inquesti disegni bastano pochi, tenui segni per dividere ilpieno dal vuoto, per mostrare, anzi, come lo spazio vuo-to diventi subito pieno, si organizzi cioè da sé stesso informa, non appena compare in esso un segno che lodelimita come vuoto e che fa del vuoto l’oggetto stessodella rappresentazione artistica, irrompendo in esso co-me la parola nel silenzio primigenio del mondo. Il vuo-

La forma del vuotoRitmi della materia in Paolo De Stefani

Franco Monteforte

Una splendida e sfavillantemenzogna… l’arte e le suemultiformi espressioni!E se ci avessero preso in gi-ro? …rispetto al terrorismoe alla fatica degli equilibriinternazionali … e comeper magia, con gli inter-venti misteriosi di strava-ganti reazioni chimiche, labolla di sapone entro laquale hanno montato que-sto orrido spettacolo si sfal-da e torna il sereno e la vitareale, magari la stessa chenel romanticismo campeg-gia nell’atmosfera incantatadei paesaggi di Turner: sepreferibile pensarlo, la do-manda è d’obbligo, eradavvero reale o ancora una

Spelta: il dispetto dell’arteAntonio D’Amico

to è pieno per effetto del segno, ma ilsegno non è nulla in sé stesso, senza ilvuoto da cui nasce e da cui ricevetutto il suo significativo alone di mi-stero. Il segno dunque, come formasignificante, è solo una possibilità delvuoto. Il vuoto, infatti, per De Stefa-ni, è pieno di possibilità, è forma gra-vida di tutte le forme possibili e unpiccolo segno basta a scatenare in essotutte le rappresentazioni immaginabi-li. L’essenza della rappresentazione ar-tistica, tuttavia, non sta né nel segnoche genera il vuoto, né nel vuoto chedà significato al segno, ma nella ten-sione dinamica fra il segno e il vuoto,nel loro reciproco crearsi e alimentar-si, nel loro non poter esistere l’unosenza l’altro. Questa dialettica di pie-no e di vuoto, questa idea di unostretto legame fra opposti, questa sortadi coincidentia oppositorum, è ricor-rente nell’opera di De Stefani, fin daalcune delle sue prime composizioniin cui un grande spazio nero inghiot-tiva non solo le tenui accensioni di bianco che lo con-trastavano, ma anche lo spazio esterno al quadro, lo spa-zio in cui si muoveva l’osservatore quasi risucchiato en-tro la composizione, come la materia dal gorgo vortico-so dei buchi neri nello spazio, gorgo vuoto nel vuotodello spazio siderale. Malgrado tutto ciò conferisca al-

l’opera di De Stefani una densità quasi filosofica, essa,tuttavia, non scivola mai nel concettuale, non mira cioèa sostituire l’oggetto con il concetto, non tende allasmaterializzazione, ma si mantiene, anzi, sempre forte-mente ancorata all’intensa matericità delle sue formeastratte (…).

Momento Musicale III2001, Pitto-scultura su tavolacm 156 x 134 x 612 elementi

Quadro scultura

volta menzogna fatata? Sembrerebbe quasi che il registageniale che dispone, propone, colloca e inverte è unbambino dispettoso ma divertito a scorgere gli sguardidella gente per captarne le reazioni di cotanto misfat-to… incomprensibile! Per i bimbi montare e smontare,nascondere o velare la verità, gettare dal cesto tutti igiochi appena ordinati dai grandi per vedere il tuttonuovamente sparso sul pavimento è una goduria irri-petibile. Ma l’artista è forse un bambino? Ulteriore do-manda d’obbligo! …ma Spelta è forse un’artista-bam-bina che attraverso le sue opere scultoree si diverte aprenderci in giro? …una palla col pelo, o meglio anco-ra, una palla sgonfia e una splendida schiena di donnacon la parvenza di seni, gli stessi che in un invertitocontrasto di forme ritrovano spazio nella maternità an-cora in nuce ma pronta a raccontare una nuova fila-strocca fatata …ancora una volta un mondo, quello diCelina e le sue sculture, di sensazioni contrapposte eapparentemente dispettose. Un linguaggio in codiceche suscita nello spettatore una sempre rinnovata cu-riosità, … cosa avrà pensato di comunicarci con queste

strane forme? Una virilità mancata, la stanchezza di so-luzioni irrisolte e sempre in agguato, relazioni “pelose”o “barbose”? Alcune sculture trovano nell’arredo inti-mo di casa una collocazione funzionale, come i suoivasi, forme doppie e composite, celanti un’intimità pu-dica quasi fosse un bacio appassionato di due amanti.Tra l’altro, se l’utilizzo fisico del vaso-opera d’arte con-siste nel ravvivare il contesto con la bellezza dei fiori,sinonimo di passione e amore, il linguaggio figuratonell’intreccio delle forme si apre a contrapposte risolu-zioni. Ancora una volta, pertanto, potrebbe non essereuna sola la esplicitazione del pensiero espresso …Speltacos’altro avrà pensato di comunicarci? La fantasia sisbizzarrisce lasciando materia da plasmare su cui scolpi-re e modellare impressioni nuove e diverse, così comediversi sono gli animi di ogni singolo che si ferma aguardare. La vita è una magia come lo è l’arte! e il fattostesso di vivere è un grande dono e la morte potrebbeessere, stando alla frenesia del lavoro, tutto quel sonnoarretrato di notti bianche; ed è allora che l’arte inter-viene lasciandoci godere lo spettacolo incantato degliinnumerevoli voli dell’anima nel suo impercettibile ri-manere ancorata alla terra. Le sculture di Spelta rac-chiudono un’anima sempre nuova e pronta ad ascoltarela voce di ogni passante disposto a lasciarsi condurreper mano verso l’orizzonte della magia.

Vacanze organizzate con pacchetto tutto compreso co-me da depliant o reportage di guerra; evasione dalle no-stre battaglie quaotidiane o ansia indotta da immi-grazione clandestina.Tali artificiose percezioni di unmondo musulmano lontanissimo e al contempo vi-cinissimo trovano equilibro e autentico piacere nelleveritiere quanto poetiche opere di Vittorio Pescato-ri. Senza alcuna retorica, ma con quella acuta e pun-gente ironia che contraddistingue l’artista e lo scrit-tore — chiave per entrare nell’anima più profondadella vita —,Vittorio cattura attraverso la sua ele-mentare macchina fotografica fazzoletti di realtà ca-paci di narrarci in pieno l’essenza autentica del Me-dio Oriente. Chi lo conosce e ha la ventura di en-trare con lui in confidenza sa bene con quale sottileattenzione egli riesca a stanare il particolare apparen-temente nascosto e secondario delle persone comedelle cose (entità che spesso si legano profondamen-te) e attraverso di esso rivelarne lo spirito. L’approc-cio creativo risulta il medesimo adottato per le sue cele-berrime scatole-ritratto (dove chiunque ha contempora-neamente il desiderio e la paura di entrare), all’internodelle quali Vittorio imprigiona insieme al proprio em-

blematico “simbolo” l’immagine riflessa in un piccolospecchio del fortunato protagonista: ma se in queste ulti-me è la tridimensionalità che rende la foto oggetto d’ar-te, in queste visioni di “Nuovo Orientalismo”, origina-riamente in bianco e nero, il “salto” viene ottenuto dallesuccessive colorazioni eseguite dall’autore. L’incontro dicasuali quanto perfette geometrie, nelle cui griglie palpi-

tano appena sfumati natura, oggetti e vite, vengono ani-mate da tinte che ci fanno avvertire il calore, la tattilità eperfino gli aromi di un Sud del mondo dove convivonoin precario equilibrio la tradizione e l’ormai digerita in-

vasione del consumismo occidentale. Le immagini diPescatori (non solo foto colorate ma anche rari aquerelliche ne possiedono le medesime qualità cromatiche equasi ne appaiono dei frammenti ampliati), alle quali èstata di recente dedicata una prestigiosa esposizione inPalazzo Reale di Milano, sembrano brani scielti dei suoipreziosi romanzi, che già dai titoli annunciano la weltan-

shaung dell’artista: La maschia, L’odalisco e L’ani-malo. Di fronte ad esse si stupisce, si riflette, si sorri-de, ma soprattutto si avverte l’inspiegabile desideriodi farne parte, perché un angolo di noi — piccoloo grande che sia — vi trova comunque una perfet-ta corrispondenza: forse un ancestrale profondo ri-cordo di una nostra vita passata nella culla delmondo della quale stiamo cercando di recuperarela memoria. Nello Sguardo dal glass-boat di Aka-ba, ad esempio, due anonime gambe penzolano dalginocchio in giù in equilibrio perfetto con tutta lacomposizione dal bordo di un piccolo battello im-merso in un’atmosfera dorata, sulla cui prua si spa-lancano due ingenue pupille dipinte che, grazie agliarti umani ad essi affiancati, divengono gli occhi diuna misteriosa sfinge che ci sta interrogando e cichiede delle risposte che avvertiamo dover essere

semplici, che si trovano nel nostro io d’Oriente, ma checomunque non riusciamo a darci. Forse, rinunciando arisolvere l’arcano, non ci resta che lasciarci vincere e se-durre dalla poesia dell’Oriente di Vittorio.

Vittorio PescatoriRoberto De Feo

Lo sguardo di AkabaDedicato a Lei - C.so Magenta, 10

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Da sinistra a destra

7Cadaquès, 1964

Marcel Duchampsink drain

8New York, 1967

Marcel Duchamp“Bouche-évier“ sink

plug or ”Gruyère plombé

pour dentitionsdéfectueuses”

Signed and dated on the object:

Marcel Duchamp 1964

9Jerusalem, 1991

Roland Van den Berghebearer: Le Monde

2 octobre 2001Found announcement (1)

signed: MUTU M‘

10Toulouse, 1994

Roland Van den Bergheurinal strainer

Signed and dated:VVV 1994

11Amsterdam, 2002

Roland Van den BergheAcquired from

The House of Hajenius, 21 December 2000

Signed on the object:a hieroglyphic drawing

of a vulture 2002 (2)

12Milano, 2004

Roland Van den Bergheenvelope for the

plain issues of Arte Incontro in Libreria

Aprile-Guigno nr. 45,Signed and dated on the

object:VVV 2004

… dove eravamo rimasti?…A proposito del dialogo fra l’opera di Roland Van denBerghe e quella di Marcel Duchamp, esse ci appaionodue mondi comunicanti che rivelano al nostro comunesentire svariate sensazioni, non sempre univoche; per-tanto contrastanti ma che ambiscono dimensioni nuo-ve. L’opera di Van den Berghe, L’abbraccio, si muove en-tro stadi che lasciano percepire leggerezza e una debolee quasi trasparente sensazione di dissolvimento atmo-sferico. Eguale impressione suscita il Grande Vetro diDuchamp che reca la tensione fra il mondo dell’indivi-duo solitario contrapposto al mondo dell’unione spon-sale. Quest’ultimo vive in un’alta dimensione simbolicaconcretata nell’utilizzo dell’argento. Dal punto di vistaalchemico, poi, la forma del vaso di vetro richiamaquella dell’alambicco; paragonata al principio della na-scita di un mondo nuovo concepito dall’incontro tramaschio e femmina. L’abbraccio di Roland simboleggial’incontro tra due opere e due artisti, Pessoa e Du-champ, ma in particolar modo il rovesciamento del ne-gativo in positivo nelle impronte delle “lacrime” chediventano mongolfiere: è un insieme unico in continuatrasformazione. Questi principi di sostituzione, rove-sciamento e trasformazione, intervengono a diversi li-velli, sia nell’immagine, sia nel linguaggio. Duchamp,per esempio, non sopportava che il soggetto di una fra-se dovesse essere seguito da un verbo rivelatore, pertan-to, lasciarlo inespresso apre l’interrogativo personale diun significato taciuto, proprio come avviene nell’ulti-mo suo quadro, del 1918: Tu m’. Nessuno, tranne l’arti-sta, conosce il significato del titolo che potrebbe essere:tu m’ènerves, tradotto in “lasciami in pace”, ma anche tum’aimes! In Duchamp questo non è l’unico esempio,infatti, durante il suo soggiorno in Inghilterra, fece unapiccola opera, nonostante non sapesse parlare bene l’in-glese, cosa che lo innervosiva. Prese uno scritto dal ti-tolo The termine che sostituì nel testo con un asteriscoa forma di stella. Così facendo, tutte le frasi rimanevanoaperte, perché mancanti di qualcosa. Pertanto, grazie al-l’assenza e alla non scrittura si percepisce l’aria e la li-bera interpretazione, così da alleggerire la riga conqualcosa che gli dà fastidio: anche perché imparareun’altra lingua è un lavoro pesante. L’asterisco a formadi stella immette, inevitabilmente, nella nostra menteinnumerevoli interpretazioni e piccole idee che si af-facciano spontaneamente quando ci apprestiamo aguardare un’opera di Duchamp e di Van den Berghe,paragonabile ai tanti semi gettati da un contadino in uncampo arato. Roland, intervenendo su un foglio delgiornale Le Monde ha sostituito i nomi degli aeronautiBertrand Picard e Brian Jones con quelli di Eduardo ePeppino De Filippo e ha poi rovesciato la parola Mutposta all’inizio della colonna sinistra. Dinanzi a tale ca-

Pavimento LibreriaBocca

Una riflessionesull’intervento di Ulf

Lindedel 1963, VVV, Milano

2004

povolgimento, lo spettatore si chiede il significato diquel termine che possiede una serie di significati. Infat-ti, la mongolfiera dei due aeronauti è atterrata in Egittoin una località del deserto che si chiama Mut, nomeanche di una dea, rappresentata da un geroglifico o dal-l’avvoltoio, come lo vediamo anche sull’opera MUTUM’ di Van den Berghe. Inoltre, il termine è una chiaraallusione alla firma di R. Mutt posta sulla Fontain diDuchamp, pertanto, Roland mette in relazione dueopere di Duchamp, Tu m’ e la Fontain, compiendoun’azione poetica.Ulter iore poesia sievince nell’opera-in-contro dall’interventoapportato sul giornaleGrand Hotel del 10giugno 1979 n. 23,esposto durante lamostra alle Segrete diBocca, dove ha sosti-tuito il viso di Eduar-do de Filippo conquello di Duchamp equi entr iamo nel-l’ambito dell’arte-ter-ritorio che invade unambiente. A tal pro-posito, ricorderò cheRoland nel maggiodel 1968, anno sim-bolo della liberazionedell’arte, fece unamostra a Bruxelles daltitolo Teatro mobile eplastico. L’intento eradi fornire un ambien-te per giocare, ma inBelgio non fu capitoe la critica scrisse: «cisentimmo subito de-fraudati, ancor primadi iniziare lo spetta-colo, quando una gra-ziosa signorina francofona… [i fiamminghi diffidanosempre dei francofoni]… ci chiese se volevamo il pro-gramma. Sì, lo volevamo, le pagammo i 20 franchi ri-chiesti e ci consegnò un grosso pacco di carta da gior-nale grigiastra e priva di stampa». L’assenza di stampa as-sociata a una richiesta di pagamento, creò un grandescandalo. Ciò nonostante Teatro mobile e plastico fu consi-derato come un vero e proprio happening che ebbe co-munque successo. L’ambiente che era divenuto scenadell’evento artistico, la sala rotonda del Palazzo delle

Belle Arti di Bruxelles, venne tra-sformato: il pavimento interamentericoperto di terra e al centro unaragazzina reggeva un ombrellone.Due elementi con due considera-zioni simboliche; la terra sinonimodi pesantezza e l’ombrellone sorret-to da un corpo come simbolo dileggerezza. Ancora una volta unacontrapposizione, uno scontro chenell’insieme diviene incontro. Ri-cordo, inoltre, che in quell’occasio-ne un famoso critico belga si rifiutòdi farsi coinvolgere nel gioco di-cendo che non era molto convintodel significato dell’evento e scrisse:«l’elemento più intimo era la cartadel programma, fogli di giornale,privi di stampa, come schizzo psi-cologico dell’ambiente». In realtà,un messaggio importante era stato

recepito, che quell’ambiente, così trasformato, divenivauno spazio fisico ideale e unico, un’opera d’arte in séstesso insomma, così come lo sono state le Segrete diBocca per la mostra di Roland Van den Berghe.A pro-posito di quest’ultimo intervento espositivo desideromenzionare quanto è emerso e in particolar modo la ri-sposta che Roland rende al quesito: «che cosa si aspettal’artista dagli spettatori dopo aver visto la sua mostra?».Egli afferma che: «il punto di partenza di un artista, te-nuto conto del bagaglio culturale e psicologico, è sapere

che un’opera così co-me l’ha pensata e rea-lizzata non può rag-giungere la piena ap-provazione da partedello spettatore, per-ché questo, conscia-mente o inconscia-mente, si pone alcuniinterrogativi nonsempre risolvibili chesi muovono nello spa-zio libero della mentedi ciascuno.Infatti, l’artista, perso-na sensibile, è consa-pevole che chi guardaun’opera “pura”, co-me la mia, può rifiu-tare di accoglierla egradirla. In ogni casomolti sono i think-tanks che lavorano mapreferiscono l’anoni-mato per non rischia-re l’impatto direttocon lo spettatore, io hoscelto di non chiuder-mi nell’anonimato madi emergere allo sco-perto con il mio ope-rato interagendo conchi si accosta all’opera

d’arte». In realtà è bene aggiungere che lo spazio intimoin cui l’opera trova il suo nascere deve rimanere anoni-mo, come se l’artista fosse un massone o un eremita…mantenendo una sorta di protezione esoterica. «Per meè importante — afferma Roland — partire dall’intimodi ogni individuo chiunque esso sia e qualunque sia ilsuo ruolo nella società, non importa. È fondamentaleguardare alla “potenza” individuale che è posta nell’ani-mo di ciascuno, così come ha fatto Duchamp; per ilquale l’esoterico o il sentimento religioso è insito inogni persona (Duchamp parla dell’infra-mince).Va detto, però, che questa energia o “potenza” viene an-nientata o “educata” con la cultura: l’educazione fami-liare, la chiesa, lo stato.Pertanto io cerco sempre di parlare a quella potenza checomunque è ancora in ciascuno… sia pure nei sogni!».E se i sogni diventeranno realtà, speriamo che l’opera diRoland Van den Berghe ci aiuti a interpretare una sfac-cettatura dell’arte poco comprensibile, ma di raffinataeleganza e di estremo interesse.

(1) a) R. Van den Berghe, “Readymade/AangetroffenBekendmaking 1917/1978” in: Te elfder Ure, 26 Nijmegen 1978 pp. 553- 581b) R. Van den Berghe, “Found Announcement” in: “New Beginnings”. The Pentonville Gallery. London, 1983

(2) B. Westerweel, “What’s in a name? The Tetragrammaton atthe Crossroads of Language, Thought and Visual Expression”in: M. van Vaeck ed al. (ed.) “The Stone of Alciato”. PeetersLeuven 2003, pp. 23 – 54

Verso l’incontroL’abbraccio di Roland Van den Berghe

Annie Reniers

IMMIXTUREReadymade rettificato,

2000Le Monde, Paris 23

March 1999Signed:

a hieroglyphic drawingof a vulture

32

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Enrico Cattaneo Stefano Soddu

Ritratti di studioSignum Edizioni d’Arte

33Per la tua pubblicità chiama Gabriele Lodetti allo 02860806 - Giorgio Lodetti allo 0258302093

Sul filo dell’artea cura di Stefano Soddu

a r t e c o n t e m p o r a n e a

V. le Col di Lana, 8 - MI0258317556 - 3485630381

Via Scoglio di Quarto, 4 - MITel. 0258317556 - 3485630381

Visita allo studio diLucia Pescador

Ho conosciuto Lucia tramite Evelina Shatz alla finedegli anni novanta. Ci ha raggiunto in un bar di Por-ta Ticinese portando con sé una serie di piccoli e bel-lissimi disegni destinati a una mostra collettiva. Ha gliocchi di un colore verde intenso e un intercalare mi-lanese che fa subito simpatia. I capelli corti e natura-li, il passo elastico e sicuro da donna che pratica losport e che ama la montagna. Fissiamo l’appunta-mento per il mese di gennaio, dopo le feste. Sono cir-ca le undici del mattino quando mi presento da lei.Abita da sola al primo piano di un palazzo modernodi un quartiere residenziale in una zona di Milanosud. Così, non dovendo rendere conto ad altri, il suoappartamento funge anche da studio. Mi fa subitoaccomodare in cucina per offrirmi caffè, pane e uva,biscotti e frutta. Anche la cucina fa parte dello studio:il frigorifero con applicati suoi quadretti, cataloghi sulbanco, fotografie in piccole cornici raffiguranti diver-si personaggi, tra cui un cagnolino, vecchie fotografiein bianco e nero, fogli per disegno sparsi un po’ do-vunque. Mi racconta di essere figlia di un fotografo edi aver per questo motivo respirato fin da piccola l’a-ria dell’arte. E l’arte si respira eccome in quell’appar-tamento! Oltre la cucina, l’appartamento ha quattrolocali. Il primo, ampio, con luminose finestre, dà sul-la strada. Metà del locale è ricoperto da una pedanain legno; per il freddo, mi dice. Le pareti sono pienedi disegni appesi con le puntine: piccoli, rettangolari,a strisce. I disegni non sono messi a caso, ma dispo-sti con il senso del racconto, della composizione, del-la compatibilità reciproca. Tavoli e ripiani e piccoliscaffali un po’ ovunque, ricoperti di cataste di dise-gni: maschere, vasi, lettere d’alfabeto latino e greco,paesaggi, cartine topografiche, costumi, seggiole, fi-gure d’uomo o femminili, pinocchi, puri segni astrat-ti, foglie, automobili, interni d’arredo, ritratti d’africasi susseguono in una poetica galleria di semplici og-getti d’uso o immagini di vita trasfigurate dalla me-moria: ”inventario di fine secolo con la mano sini-stra”, come è scritto nel sottotitolo di una sua recentemostra. La maggior parte delle figure sono colorate apastello su supporti di carta di recupero, carte strap-pate da vecchi registri contabili con copertina nera,carte d’organetto con i buchi per la musica, carte sot-tili e ingiallite e rese fragili dal tempo. Va spesso aimercatini dell’usato dove compra gli oggetti più di-sparati che colleziona e che le serviranno da modelli.Intorno alla base delle pareti sgabelli quali piedestallisoprattutto di vasi (ne possiede una vastissima colle-zione), oggetti africani, marionette di legno. Su un ri-

piano un asino con cavaliere proveniente dalla Vald’Aosta: l’asino di buona mano, il cavaliere di manopiù inesperta; vicino, sempre di legno una piccolamarmotta ci osserva con il muso divertito, più in làun modellino di nave da guerra spiana i suoi canno-ni di plastica in una minaccia improbabile. Alcunecomode poltrone per il relax sono disposte sopra lapedana. Non vedo televisori. Il secondo locale è nel-lo stile del primo: invaso di lavoro. Sulla parete sini-stra un armadio con le ante aperte viene adibito ateatrino e a tempietto delle stagioni. Pieno di piccolioggetti, i più disparati, viene da Lucia, e di stagionein stagione, riallestito. A Natale amorevolmente inse-risce piccole figure di presepe e addobbi natalizi, inprimavera vasi di fiori e primule e uova pasquali ecosì via in un susseguirsi di invenzioni e di tenerecomposizioni. Il terzo locale, collegato e speculare alsecondo, è adibito a deposito: i disegni sono arroto-lati a centinaia. I quadri accatastati, senza apparentecatalogazione, sugli scaffali. Mi confida con rassegna-zione quanto sia difficile anche per lei ritrovare quelche va a cercare in tutta quella massa di lavori. Laquarta camera che mi mostra non fa direttamenteparte dello studio, almeno per il momento… È il suorifugio notturno, la sua camera con letto di ferro abaldacchino a tre piedi costruito su progetto di unsuo amico architetto. In questa camera da spazio,conservati e appesi alle pareti, ai lavori regalo deisuoi amici artisti, che mi mostra citandone i nomi. Nel

domanda surreale

“Si vive di arteo con arte?”

risponde

Marcello DiotalleviDal momento che di arte perlopiù si sopravvive, lascelta mi pare obbligata: non resta che vivere ad arte, o,tutt’al più ad Orte

Lucia PescadorPerù 8° Crucivia

particolarevaso-disegno

cm 20 x 35

Mostra: Ritratti di studio, 25 fotografie di Enrico Cattaneo e 25 disegni degli Artisti1-21 dicembre - ore 17-19,30 - Galleria Scoglio di Quarto, via Scoglio di Quarto, 4 - tel. 0258317556 - 3485630381

Potete richiedere il volume “Ritratti di studio” alla Libreria Bocca in Galleria Vittorio Emanuele II, 12 - Milano

bagno adiacente è collocata unavetrina con i vasi in ceramica dalei dipinti. Il suo studio mi appa-re come la materializzazione diun sogno.Così come nei sogni i pensieri egli oggetti si sovrappongono inun susseguirsi di sensazioni e distimoli dove ogni visione spessorichiama un’esperienza vissuta,così ogni oggetto raccolto e ognidisegno effettuato fanno parte diun unico linguaggio poetico e diun sogno che Lucia Pescador fil-ma e propone in un racconto afotogrammi senza che se ne in-traveda la fine. Una prossimapuntata possibile, ed è ancoraun sogno e un progetto di Lucia,racconterà di un’artista che sirinchiude in una stanza, piena divasi di varie forme e colori emateriale, per due settimanesenza mai uscirne. E per duesettimane disegnerà e coloreràvasi e poi ancora vasi per rac-chiudere e conservare, forse, ilsenso del mistero della sua edella nostra umana vita.

Venticique studi di artisti fotografati da Enrico Cattaneo e descritti da Stefano Soddu. Il libro“Ritratti di Studio”, con prefazione di Carlo Castellaneta e testo critico di Alberto Veca, ha ori-gine dagli articoli “Visite allo Studio di…” pubblicati da alcuni anni su questa rubrica. Un grazieparticolare va a Giacomo e Donatella Lodetti per l’ospitalità data in “Arte Incontro” che mi haconsentito l’avvio del lavoro e motivato il suo procedere.

Galleria di specchi di Alberto Veca

Due strumenti per “ricordare” — l’appunto diaristico, dal tono familiare, e lo scatto fotografico - istantanea oin posa non importa — da valutare in parallelo: questa è la struttura della pubblicazione.Stefano Soddu, scultore e promotore culturale, ha “messo insieme” alcuni incontri “in trasferta” in casa di alcu-ni artisti; Enrico Cattaneo, fotografo, che fra la fine degli anni cinquanta e gli anni sessanta del secolo scorso èstato impegnato in un lavoro affine documentato in altre occasioni, è diventato il complice, la seconda vocedell’avventura. E sono registrazioni realizzate in particolare sintonia: come la scrittura del narratore si soffermasul comportamento, i gesti del “contatto” — un termine brutale ma spero affine alla vicenda — così il foto-grafo coglie un gesto dell’intervistato e una fisionomia dell’arredo che gli somiglia. Entrambi sono occhi “di-screti”, senza la pretesa di invadere, di rendere noto il segreto: si tratta - credo - di un ulteriore elemento di so-miglianza fra le due “scritture” perché il luogo scelto per registrare parole, comportamenti e gesti ha necessitàdi un rispetto non sempre osservato. La posa pubblicitaria dell’“artista nello studio” è figura inesistente nell’oc-casione, come la notizia appariscente. In principio, comunque, i protagonisti dell’avventura: gli artisti e il loroluogo di lavoro prima di tutto, in un curioso cortocircuito di soggetto/oggetto che la parola e l’immagine di-versamente registrano; dare a essi il primo posto mi sembra in linea con lo spirito dell’impresa. E sono artistiscelti non in base a graduatorie di merito, legittime ma non funzionanti in questa occasione.Appunto l’incon-tro, anche casuale, sembra essere la logica che ha spinto in questi ultimi anni Soddu a collezionare “dialoghi”con l’artista e con lo studio, un’occasione qualche decennio orsono pratica comune, quando era facile incappa-re in discussioni animate con tanti personaggi, da completare eventualmente nel più gradevole ambiente delbar o della latteria: oggi la pratica è meno frequente, per un cambiamento dei comportamenti fra esseri umaniche in questo momento non è argomento in discussione. Soddu, accompagnato sovente dalla gallerista Ga-briella Brembati, ha trovato importante registrare le proprie impressioni del luogo, delle cose che lo occupano,della persona che ne gestisce la regia, paradossalmente introversa e non rivolta al pubblico, quindi involontaria,nell’occasione di una sua replica, per parola o per immagine non importa, perché frutto della sedimentazionedi opere già compiute o in corso di realizzazione, fra ciò che non è mai uscito dalla porta dello studio, quelloche vi è ritornato dopo migrazioni temporanee in altri ambienti, e quello infine che è in procinto di partire.Poi vi sono gli strumenti, gli attrezzi, gli arredi, funzionali o magari anche legati a un assolutamente personalegusto del décor, alle soglie dell’amuleto: ma questo soprattutto è compito di chi inquadra la scena, non di quel-lo che la descrive a parole. Ma questa è una classificazione possibile se si è all’interno dell’ambiente di lavoro:per noi che ne siamo all’esterno e osserviamo i risultati, si tratta di una “affettuosa” violazione di uno spazioprivato, dove esistono ritualità e etichette, proprio perché non scritte, di forte valore prescrittivo, a volte capacedi provocare conflitti fra persone altrimenti pacifiche. Un ambiente di lavoro è un laboratorio, dove strumenti,oggetti “accessori”, tempi e modi di comportarsi costituiscono i protagonisti capaci di realizzare uno specchiodi chi lo abita, non esauriente tanto per chi ne è protagonista quanto per chi ne è osservatore, comunque unriflesso del proprio agire, un effetto rispetto alla causa che intreccia l’autore e l’opera.Come la fotografia è un ulteriore specchio, capace di modificare il reale per il punto di vista, la distanza, l’otticaadottata, i trucchi della stampa; come ancora la scrittura, la narrazione è altro specchio, altrettanto infedele per-ché in un tempo successivo seleziona e registra luoghi, avvenimenti, umori di una particolare e irripetibile cir-costanza.Vi è poi un ulteriore strumento che “riflette”, quello di chi scrive queste righe, identico a chi le leg-ge, e si accinge a confrontare i “testi” di parole e immagini, senza la preoccupazione di doverne in qualche mo-do giustificarne la legittimità a esistere, incuriosito dalla provvisoria, da incrementare, collezione di ritratti.

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Page 15: Segrete di Bocca N. 12

PER L’ARTEwww.mirexspa.itemail: [email protected]

Téte noire, 1995, marmo nero del Belgio, cm 35 x 50 x 46

IGOR MITORAJ