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1 MODULO DI: CARTOGRAFIA Appunti delle lezioni Prof. Ing. Antonio Leone Unisalento Ingegneria Civile, 2019-20

MODULO DI: CARTOGRAFIA Appunti delle lezioni Prof. Ing

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MODULO DI:

CARTOGRAFIA

Appunti delle lezioni Prof. Ing. Antonio Leone

Unisalento

Ingegneria Civile, 2019-20

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Lettura delle carte ed elementi di cartografia Aruta e Marescalchi (1992) riportano la seguente definizione, espressa dall’Associazione

Internazionale di Cartografia: “la Cartografia è l’insieme degli studi e delle operazioni scientifiche,

artistiche e tecniche che, a partire dai risultati delle levate originali o dall’esame e dallo studio dei

dati di una documentazione, vengono compiuti sia per l’elaborazione e l’allestimento di carte, di

piani e di altri sistemi di espressione e sia per la loro utilizzazione”.

Questa esigenza è notoriamente antichissima e strettamente connessa all’evoluzione della

civiltà. Tralasciando i cenni storici che tutti i testi sull’argomento riportano (Selvini, 1992 ecc.), si

segnala come la Cartografia moderna ha origine poco dopo l’anno 1000, riemersa, insieme a tante

altre scienze e arti, dal buio dei secoli dell’Alto Medioevo grazie agli Arabi, autentici “custodi” e

propulsori della civiltà occidentale, soprattutto la sua parte più “laica”. Uno dei maggiori artefici di

questa rinascita è stato, infatti, il cartografo nordafricano Edrisi, chiamato alla corte dei re normanni

di Sicilia per redigere carte del Mediterraneo che hanno conservato validità per secoli.

Non a caso ad Edrisi è stato dedicato uno dei sistemi informativi geografici più diffusi nel

mondo scientifico (*).

Metodi di rappresentazione cartografica

Il problema fondamentale della Cartografia consiste nel rappresentare “in piccolo”, ma in

maniera comoda, una porzione della superficie terrestre. E’ quindi indispensabile individuare la

giusta via di mezzo fra la leggibilità dei particolari, che spinge ad ingrandire la rappresentazione, e

la comodità di gestione che, invece, richiede supporti più ridotti. Un foglio di carta è più facilmente

consultabile se piccolo, ma è ovvio che, contemporaneamente, sarà poco leggibile o mancherà di

particolari.

Essendo frutto del compromesso fra due esigenze contrastanti, la scelta della suddetta “giusta

via di mezzo” dipenderà dall’abilità e dall’esperienza dell’utilizzatore, problema tipico di tutte le

applicazioni della scienza.

Per quello che riguarda la cartografia, alle suddette problematiche generali si aggiunge la

difficoltà di dover rappresentare sul piano una superficie curva e per di più irregolare, qual è la

Terra. La facilità di lettura delle carte, infatti, esige che queste siano piane e, quindi, si possano

(*) Il GIS IDRISI, Clark University, Massachusetts. Gli Americani, almeno in questo caso, forse perché più lontani da

certe rivalità religiose, mostrano maggiore sensibilità nel ricordare aspetti fondamentali della civiltà occidentale.

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disegnare su un foglio in forma tecnicamente accettabile. Le rappresentazioni cartografiche sono

perciò delle proiezioni sul piano di punti giacenti sulla Terra. Assimilando quest’ultima ad una sfera

(più avanti si vedrà entro quali limiti ciò è lecito) si ha il seguente gruppo di rappresentazioni (Aruta

e Marescalchi, 1992):

1) Prospettive piane. Proiezioni della superficie del globo o parte di questo da un punto di vista V

su un piano P. V e P variano secondo il tipo di prospettiva, in fig. 1 si riportano gli schemi delle

più ricorrenti: la prospettiva centrografica e quella stereografica, rispettivamente.

2) Proiezioni coniche. Il globo è inviluppato in una superficie conica su cui è, per intero o in parte,

proiettato (fig. 2). Lo sviluppo della superficie conica sul piano realizza la carta

Fig. 1: Tipi di prospettiva.

(A) centrografica (B) stereografica

3) Proiezione cilindrica. Il globo è inviluppato in una

superficie cilindrica su cui è, per intero o in parte, proiettato.

La posizione del cilindro rispetto al globo determina il tipo di

proiezione; le più immediate sono: la proiezione cilindrica

diretta, con il cilindro tangente all’equatore, la proiezione

cilindrica inversa, con il cilindro tangente ai poli (fig. 3).

Il vantaggio della proiezione consiste nella possibilità di

associare, univocamente, ad ogni punto della superficie curva

un punto su quella piana (fig. 4). Ma, qualunque sia la

proiezione, il problema della perfetta rappresentazione della superficie terrestre rimane irrisolto

perché, semplicemente, non è possibile mantenere tutte le caratteristiche geometriche nel passaggio

Fig. 2: Proiezioni coniche.

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da una superficie curva, fosse anche la semplice sfera, ad una piana. E’ quindi necessario introdurre

delle approssimazioni, scegliendo quali elementi mantenere inalterati e quali deformazioni

accettare. Ne consegue la seguente classificazione delle carte:

- Carta conforme (o isogona o autogonale), in cui si ha una corrispondenza biunivoca tra angoli

misurati sul terreno (Dt) reali e angoli misurati sulla carta (Dc). Si definisce modulo di

deformazione angolare la differenza MD tra i suddetti angoli, MD= Dc - Dt. Nella carta isogona

MD=0.

- Carta equidistante, in cui si ha una proporzionalità diretta tra distanze lineari misurate sulla

carta (dc) e sul terreno (dt). Si definisce modulo di deformazione lineare il rapporto Md tra le

suddette distanze, Md= dc/dt, ovviamente pari alla scala della carta. In una carta equidistante

Md=1.

- Carta equivalente, in cui si ha una proporzionalità diretta tra aree misurate sulla carta (sc) e sul

terreno (st). Si definisce modulo di deformazione superficiale il rapporto Ms tra le suddette

superfici, Ms= sc/st, in una carta equivalente Ms= sc/st =1.

Fig. 3: Proiezioni cilindriche.

Nella carta ideale MD= 0; Md= 1; Ms= 1 che, come già detto, sono condizioni impossibili da

soddisfare contemporaneamente. Nella pratica (vedi la tavoletta IGMI), si cerca il migliore

compromesso fra le tre condizioni ideali, nel qual caso la carta è detta afilattica.

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Un’altra classificazione delle carte, più legata alle esigenze dell’utente, è basata sulla scala,

ovvero, come è noto, è il rapporto tra lunghezze riportate sulla carta e lunghezze reali. La scala

1:10000, quindi, significa che l’unità di lunghezza della carta equivale a 10000 lunghezze del reale,

1 cm=10000 cm = 100 m e così via. Su questa base si distinguono:

- carte geografiche, di scala 1:1.000.000 in giù (1:2.500.000, 1:5.000.000 ecc.);

- carte corografiche, di scala da 1:1.000.000 in su, fino a 1:100.000;

- carte topografiche, distinte in carte topografiche di piccola (1:100.000, 1:50.000), media

(1:25.000, 1:10.000), grande (1:5000) e grandissima scala (1:2000, 1:1000).

Fig. 4: Sviluppo sul piano della superficie conica o cilindrica.

Altra classificazione consiste nel distinguere fra carte rilevate e carte derivate, essendo, le

prime, frutto di rilievi diretti del territorio (con le tecniche della Topografia) e, le seconde, frutto di

rielaborazioni di carte rilevate. Un esempio molto frequente di manipolazione è costituito dal

ridurre la scala di carte rilevate per rappresentare, più sinteticamente, porzioni più ampie di

territorio; un esempio è costituito dai fogli 1:100.000 della cartografia ufficiale italiana, derivati

dalle tavolette 1:25.000. Viceversa, l’operazione di ingrandimento della carta è generalmente non

corretta perché fuorviante per l’utente: l’accuratezza di una carta 1:25000 ricavata

dall’ingrandimento di 4 volte di una a scala 1:100000 rimane quella di quest’ultima. Eventuali

ingrandimenti vanno quindi debitamente giustificati con, ad esempio, la maggiore facilità di lettura

alla scala più grande.

Una classificazione a parte va riservata alle carte tematiche che sono realizzate per trattare uno

specifico tema, suscettibile di rappresentazione nello spazio. Naturalmente i temi sono infiniti: da

quelli di carattere ambientale, a quelli urbanistici, commerciali, archeologici ecc.; per questa

ragione si dedicherà all’argomento specifico capitolo. Una carta tematica è generalmente

classificabile come derivata in quanto, quasi sempre, nasce dalla sovrapposizione del tema (indicato

con opportuni tratteggi, resinature o colori) ad una carta topografica di base. In questo caso, per

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rendere più leggibile il tema, può essere lecita l’operazione di ingrandimento della scala,

naturalmente conferendo ai dettagli del tema trattato l’accuratezza adeguata e specificando la

provenienza della carta di base.

2.2 – La forma della Terra

Come è noto, la terra è un solido irregolare dal punto di vista geometrico e gli studiosi della sua

forma hanno convenuto che l’unica definizione rigorosamente scientifica del solido terrestre (detto

geoide, da cui geodesia, la scienza che studia la forma della terra) è quella basata sulla gravità: il

geoide, quindi, è la superficie dello spazio in cui il vettore gravità è normale in ogni suo punto (fig.

5). Ma anche il geoide non consente l’impostazione dei calcoli geometrico-matematici necessari per

realizzare la rigorosa corrispondenza fra superficie solida e piana e, quindi, risolvere il problema

della costruzione della carta.

Per questo motivo, si è ricorsi alla definizione di una superficie di rotazione, geometricamente

definita perciò, quale è l’ellissoide che meglio approssima il geoide (fig. 5). L’ellissoide che meglio

si adatta al geoide abbraccia interi continenti (fig. 6) e, naturalmente, è definito dalla lunghezza dei

semiassi. In Italia l’attuale cartografia si basa sull’ellissoide di Hayford, le cui dimensioni sono:

a = 6.378.388,000 m b = 6.356.911,946 e = 0,006722670 (e = 1 – b /a )

essendo a il semiasse maggiore e b quello minore. Fino al 1942, si usava quello di Bessel, le cui

dimensioni sono:

a = 6.377.397,160 m b = 6.356.078,960 e = 0,006719221

Riflettendo sulle definizioni sin qui fornite, si comprende come geoide ed ellissoide

coinciderebbero perfettamente se la terra fosse interamente coperta dai mari, in quanto il liquido si

predispone naturalmente sulla superficie normale alle linee di forza (fig. 5).

Come detto, la necessità di lavorare con l’ellissoide deriva dal fatto che esso consente di

impostare i calcoli che portano alla proiezione del solido sul piano. Ma questi richiederebbero l’uso

della trigonometria ellissoidica, assai complessa. La necessaria semplificazione richiede che,

almeno localmente, all’ellissoide si sostituisca la sfera, cosa che consente di effettuare i calcoli con

gli strumenti della più semplice trigonometria sferica. Se si considera una sfera di opportuno raggio

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R (*), (fig. 7), tangente al generico punto P dell’ellissoide, si può dimostrare che le coordinate

geodetiche locali consentono di sostituire all’ellissoide la suddetta sfera

Fig. 5: Geoide ed ellissoide.

Fig. 6: Ellissoidi adottati nel mondo.

(*) Per maggiori dettagli si rimanda ad un testo specialistico di Cartografia.

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In tal modo è possibile ricavare delle semplici formule che legano fra loro i parametri della sfera

locale e le coordinate cartesiane geodetiche. Si nota, però, che, entro 10-15 km dall’origine degli

assi, le stesse formule si possono ridurre a semplici relazioni della trigonometria piana in quanto

l’errore che si commette, detto errore sferico, è dello stesso ordine di grandezza dell’incertezza

delle misure. Come riferimento si adotta il piano tangente alla sfera locale e l’ambito spaziale di 10-

15 km è detto campo topografico.

2.3 – I sistemi di coordinate

I “Datum”

Le carte topografiche sono realizzate in base a

regole ben precise di georeferenziazione, ovvero di

inquadramento in un sistema di riferimento

geografico del territorio rappresentato, che consenta

l’univoca individuazione di ogni punto della carta.

Per i ben noti problemi (per i quali si rimanda ad un

qualunque testo di cartografia) legati al riportare sul

piano il geoide che rappresenta la terra, esistono

varie regole, che man mano si sono evolute, che

definiscono il sistema di coordinate. Ogni insieme

di tali regole è denominato “Datum” cui si

aggiunge una ben precisa denominazione. Ad esempio, la cartografia ufficiale italiana è impostata

sul cosiddetto European Datum 1950 (ED50), scaturito dall’omologazione della cartografia europea

avvenuta in quell’anno; precedentemente, si usava il Datum Roma 40, il cui meridiano di

riferimento (0° di longitudine) passa per l’Osservatorio di Roma Monte Mario.

Il sistema GPS è basato sul Datum WGS-84, che per la globalità del rilievo GPS, approssima il

geoide con un’ellissoide particolare, appositamente studiato nel 1984. Poiché ogni zona della Terra

(una o più nazioni) usa un Datum diverso, i ricevitori GPS in commercio (anche i meno sofisticati)

forniscono automaticamente le coordinate planimetriche in base al WGS-84, ma, con l’opportuno

menù, possono eseguire misure nell’ambito dei numerosissimi Datum alternativi.

Fig. 7: La sfera locale.

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Coordinate geografiche

Uno dei problemi essenziali della cartografia consiste nella determinazione univoca di un punto

sulla superficie terrestre. Una carta che sia corredata di un sistema di coordinate di tal genere è detta

georeferenziata.

Il problema è immediatamente risolto dal sistema geografico, che consiste nell’assimilare la

superficie terrestre ad un ellissoide e definire due angoli:

- quello verticale, compreso fra il piano dell’equatore e la normale all’ellissoide nel punto, detto

latitudine M (fig. 8);

- quello orizzontale, compreso fra il meridiano di riferimento (passante per Greenwich, sobborgo

di Londra) ed il meridiano passante per il punto, detto longitudine O (fig. 8).

Se concettualmente questo approccio è molto semplice, dal punto di vista pratico può andare

bene solo se si lavora su grandi aree (ad esempio nella navigazione), ma non va altrettanto bene per

i piccoli territori considerati dalle applicazioni tecniche. Per questi non è pratico gestire coordinate e

distanze in termini di gradi, primi e secondi, ma è preferibile un sistema di coordinate cartesiane

piane.

Coordinate UTM

Con questo scopo è stato internazionalmente

adottato il sistema di coordinate UTM (Universal

Transverse Mercator proiection), che si basa sulla

proiezione cilindrica inversa di Mercatore (.*). In

realtà la proiezione è policilindrica perché, per

evitare eccessive distorsioni, si divide la superficie

terrestre in 60 fusi, di 6° ciascuno (fig. 9).

Come in tutti i sistemi di coordinate cartesiane,

si definisce un asse delle ascisse (in cartografia

detto E anziché il solito x), coincidente con

l’equatore ed un asse delle ordinate (detto N anziché

il solito y), coincidente con il meridiano centrale del

fuso (fig. 10).

(*) Mercator è il nome latinizzato, come usava al tempo del fiammingo Gerard Kremer (1512-1594) che approntò la

carta conforme fondamentale “ad usum navigantium” (Selvini, 1992). .

Fig. 8: Coordinate geografiche.

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Poiché l’asse delle ordinate è centrale rispetto al fuso, i punti alla sua sinistra (ovest), avrebbero

ascissa negativa e, per evitare questa eventualità, l’origine degli assi non ha coordinate (0, 0), come

abituale nei diagrammi cartesiani, ma (500, 0). Infatti, la larghezza massima di un fuso è all’incirca

pari a 800 km e, quindi, la massima ascissa negativa potrebbe essere al più sui 400 km; attribuire

+500 all’origine, quindi, assicura che le ascisse sono comunque positive.

Fig. 9: Il sistema UTM.

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I fusi sono indicati con numeri interi (fig. 11), a

partire dall’antimeridiano di Greenwich e procedendo

in senso orario; il territorio italiano è compreso nei

fusi 32, 33 e 34. Per individuare meglio l’area cui si

riferiscono le coordinate si definiscono poi anche le

fasce, territori compresi fra due paralleli distanti 8° di

latitudine. Ciò fino ad 80° di latitudine nord e sud, in

quanto, per le calotte polari, si avrebbe una distorsione

eccessiva; per queste ultime si adotta una proiezione

diversa dalla UTM. Le fasce vengono individuate con

lettere maiuscole dell’alfabeto e l’Italia è compresa

nella S e T. L’intersezione tra un fuso ed una fascia è

detta zona (ad esempio 32S, 33T ecc.). Essendo le zone territori ancora molto ampi, vengono divise

in quadrati di 100 km di lato (reticolato centi-chilometrico), individuati da due lettere maiuscole; in

fig. 12 se ne ha un esempio per l’Italia mentre in fig. 13 si riporta lo schema degli assi UTM.

Fig. 10: Il sistema cartesiano nell’UTM.

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Fig. 11: I fusi e le fasce del sistema UTM (retinati quelli che riguardano l’Italia).

Il sistema Gauss-Boaga

Il sistema UTM è stato adottato in Italia nel 1950 per uniformarsi a quello europeo, per cui si

parla di ED1950 (European Datum del 1950) ma nella cartografia regionale si preferisce il

precedente sistema cartesiano di Gauss-Boaga, adottato nel 1942, e scaturito dall’adattamento al

territorio italiano della proiezione cilindrica inversa di Gauss, effettuato dal topografo Boaga. Il

sistema Gauss-Boaga è simile all’UTM, ma, ovviamente, si limita al territorio italiano.

Vengono adottati due fusi, uno ovest e l’altro

est, (fig. 14) (*). Anche in questo caso

l’ascissa dell’origine è 500 km, ma, per il

fuso est, la necessità di comprendere

l’estremo più orientale dell’Italia (la penisola

salentina) porta ad aggiungere ulteriori 20

km e, perciò, si ha un fuso di circa 6°30’.

Inoltre, per individuare immediatamente il

fuso, si aggiunge il numero 1 per il fuso

occidentale ed il 2 per quello orientale; ne

consegue che le coordinate dell’origine dei

due fusi, sono, rispettivamente:

FUSO OVEST (1500, 0);

(*) Anche in questo caso l’ampiezza ideale sarebbe di 6°, ma si aggiungono i 30’ per poter comprendere tutto il

territorio italiano in due fusi, senza la necessità di un terzo.

Fig. 12: Reticolato centi-chilometrico e zone UTM per l’Italia.

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FUSO EST (2520, 0)

Di conseguenza, se nella coppia di coordinate Gauss-Boaga di un punto, l’ascissa ha 1 come

prima cifra, si comprende immediatamente di essere nel fuso ovest e, analogamente, se la prima

cifra dell’ascissa è 2 si sarà nel fuso est (fig. 14).

2.4 La cartografia ufficiale italiana

2.4.1 – I prodotti cartografici

La cartografia moderna italiana ha avuto

inizio sistematico con l’Unità d’Italia grazie al

buon livello raggiunto nel settore dallo stato

sabaudo. L’ente preposto era l’Istituto Geografico

Militare, oggi Istituto Geografico Militare Italiano

(IGMI), che, nel 1875, ha dato inizio alla

costruzione della carta topografica fondamentale

d’Italia, completata nel 1900. I suoi elementi sono

il foglio, il quadrante, la tavoletta e la sezione.

Fig. 13: Schema dei fusi e degli assi delle ordinate (N) per il sistema UTM.

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Fig. 14: Schema dei fusi e degli assi delle ordinate (N) per il sistema Gauss-Boaga.

Il Foglio

L’Italia è suddivisa in 277 fogli (fig. 15), identificati dalla località più importante e dal numero

d’ordine: da nord-ovest (“Passo del Brennero”, foglio n.1) a sud-est (“Noto”, foglio n. 277). La

scala è 1:100000 ed il taglio di ogni foglio è effettuato secondo un’ampiezza di 30’ di longitudine e

20’ di latitudine, ovvero secondo meridiani e paralleli e, quindi, man mano che si procede verso

nord, per la convergenza dei meridiani (che, notoriamente, si intersecano al polo), i 30’ di

longitudine corrispondono a lunghezze via via inferiori ed il territorio coperto da un foglio è più

piccolo: si passa dai circa 1600 km del sud a 1400 km del nord.

Il Quadrante

Nasce dalla divisione in quattro parti del foglio (da cui il nome) e, quindi, ha taglio di 10’ di

latitudine, 15’ di longitudine e scala 1:50000. All’interno di un foglio, i quattro quadranti sono

segnati da un numero romano, a partire da quello nord-est e procedendo in senso orario (fig. 16).

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15

Fig. 15: Quadro di unione dei fogli IGMI.

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Fig. 16: Suddivisione di un foglio della carta d’Italia.

La Tavoletta

Le tavolette sono ricavate dalla divisione in quattro parti del quadrante, il taglio è quindi di

7’30” di longitudine e 5’ di latitudine mentre la scala è 1:25000 (fig. 16). Ogni tavoletta è indicata

da un nome, lo stesso della località o toponimo più importante che vi ricade, o dalla seguente serie

di informazioni (fig. 13):

1) numero del Foglio di appartenenza;

2) numero (romano) del Quadrante;

3) posizione geografica rispetto al Quadrante: NE-SE-SO-NO.

La Sezione

Copre un quarto della tavoletta ed è contrassegnata dalle lettere A-B-C-D, come riportato in fig.

16. La scala è 1:10000, ma non tutto il territorio italiano è ricoperto da sezioni e le necessità in tale

ambito sono supportate dalle carte regionali, note come Carta Tecnica Regionale (CTR).

La Carta Tecnica Regionale

Le regioni si sono dotate di proprie carte topografiche, a scala 1:10000 (ad esempio il Lazio) o

1:5000 (ad esempio la Puglia). Esse seguono tutte le convenzioni dell’IGMI: nella logica del taglio,

nella legenda ecc.

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2.4.2 – Modalità di accesso alla cartografia

Ovviamente, ogni regione avrà proprie modalità di cessione delle CTR; in generale si può fare

riferimento ad un Ufficio Cartografico, di cui tutte sono, in qualche modo, dotate. Per quanto

riguarda la cartografia italiana, l’IGMI ha sede a Firenze (www.nettuno.it/fiera/igmi) e fornisce un

catalogo dei propri prodotti con le relative modalità di vendita diretta. Nelle grandi città esistono poi

negozi specializzati che, in convenzione con l’IGMI, offrono il servizio di vendita.

2.4.3 – La lettura delle coordinate nella cartografia italiana

Si farà riferimento alla tavoletta, la più frequentemente utilizzata dall’agronomo e dal forestale,

ma quanto detto ed i contenuti (simboli, leggende ecc.) sono identici per gli altri prodotti

cartografici, comprese le CTR. In fig. 17 e 18 si hanno due porzioni di tavoletta e di CTR,

rispettivamente, dal loro confronto si comprende il criterio di valutazione delle coordinate.

Le coordinate geografiche

Il riquadro della tavoletta è costituito proprio da meridiani e paralleli, suddivisi dal cartografo

in segmenti di 1’, alternati bianchi e rigati (fig. 17), per un totale, come detto, di 5’ in latitudine e

7’30” in longitudine. Ai quattro vertici vengono riportate le coordinate geografiche rispetto al

meridiano di Roma Monte Mario, mentre nella parte superiore della carta è riportata la longitudine

di quest’ultimo rispetto a Greenwich (O = 12°27’08’’,40), cosa che consente di calcolare la

longitudine del punto anche nel sistema internazionale. Nella tavolette aggiornate, quest’ultimo

valore è direttamente riportato, in viola, ai quattro vertici.

Per stimare le coordinate di un punto P, si procede nella seguente maniera (fig. 19):

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Fig. 17: Porzione di tavoletta (spigolo di nord-ovest). Vi si distinguono:

(1) L’indicazione della carta.

(2) Il taglio, secondo meridiani e paralleli, con le relative coordinate del vertice M=42°20’00’’

e O=0°22’30’’ (rispetto a Roma Monte Mario, nel caso specifico.

(3) Il reticolato chilometrico UTM nel fuso 33.

(4) Le tracce de l reticolato chilometrico UTM nel fuso 32.

(5) Le tracce del reticolato chilometrico Gauss-Boaga nel fuso est.

(6) Le tracce del reticolato chilometrico Gauss-Boaga nel fuso ovest.

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Fig. 18: Porzione di Carta Tecnica Regionale.

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Fig. 19: Schema di calcolo delle coordinate geografiche ed UTM di un punto P nella tavoletta.

Latitudine

1) Si legge il valore in gradi e primi nel vertice in basso della carta;

2) si aggiunge il numero intero di primi, contando i segmenti bianchi e rigati, fino a P;

3) si stimano secondi e decimi con le seguenti operazioni:

- si misura, con un righello, la lunghezza ", in cm, di 1’ di latitudine intero (ovvero 60”);

- si misura, con il righello, la distanza d fra il primo intero più a sud ed il punto P;

- si imposta la proporzione 60 : " = x : d � x = �*d/", essendo x i secondi da

aggiungere alla precedente somma.

Longitudine

1) Si legge il valore in gradi e primi nel vertice di sinistra (ovest) della carta;

2) si aggiunge il numero intero di primi, contando i segmenti bianchi e rigati, fino a P;

3) si stimano secondi e decimi con le seguenti operazioni:

- si misura, con un righello, la lunghezza ", in cm, di 1’ di longitudine intero (ovvero 60”);

- si misura, con il righello, la distanza d fra il primo intero più a ovest ed il punto P;

- si imposta la proporzione 60 : " = x : d � x = �*d/", essendo x i secondi da

aggiungere alla precedente somma.

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Nel caso si stia lavorando con una CTR, si procede analogamente, ma è prima necessario

ricostruire il reticolato geografico, a partire dalle tacche segnate sulla carta (fig. 18) o dalle

coordinate dei vertici della stessa (vedi il riquadro di fig. 20).

Fig. 20: Indicazioni sulle coordinate contenute nella CTR.

Fig. 21: Il coordinatometro ed il suo uso.

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Le coordinate UTM

Ascissa

1) Si legge il valore del meridiano rete immediatamente a sinistra (ovest) del punto P, ricordando

che questo è espresso in km, ma va considerato il numero più piccolo, di solito riportato solo sul

primo ed ultimo meridiano della carta (fig. 17, fig. 19).

2) Si misura con un righello, tendendo conto della scala della carta, la distanza tra P ed il

meridiano immediatamente ad ovest, aggiungendo il valore ottenuto a quello attribuito a

quest’ultimo meridiano. La misura si esprime di solito in metri ed è indicata con E.

Ordinata

1) Si legge il valore del parallelo rete immediatamente a sud di P, ricordando che questo è espresso

in km, ma va considerato il numero più piccolo, di solito riportato solo sul primo ed ultimo

parallelo della carta (fig. 17).

2) Si misura con un righello, tendendo conto della scala della carta, la distanza tra P ed il parallelo

immediatamente a sud, aggiungendo il valore ottenuto a quello attribuito a quest’ultimo

parallelo. La misura si esprime di solito in metri ed è indicata con N.

Determinate le coordinate E ed N del punto, occorre ricordare che, essendo 60 i fusi del sistema

UTM, ci saranno 60 coppie di identiche coordinate (E, N) e, quindi, il punto è univocamente

determinato solo se si indica la zona o il numero del fuso e l’emisfero (nord o sud).

Un metodo forse più spedito può consistere nell’appoggiare al reticolato chilometrico il

coordinatometro fornito dalla stessa tavoletta (ovviamente una sua copia su foglio trasparente),

come è illustrato in fig. 21. L’accuratezza della stima delle coordinate dipende dalle possibilità che

l’operatore ha di distinguere le frazioni fra una tacca e l’altra, sia che si usi il righello, sia il

coordinatometro. Si dice che l’occhio umano riesca a stimare 1/5 di mm (5 m in scala 1:25000).

Nel caso si disponga di una CTR, le operazioni sono analoghe, salvo prima la necessità di

ricostruire il reticolato UTM, a partire dalle indicazioni riportate nel relativo riquadro della carta

(vedi fig. 20), tenendo cioè conto dei valori di 'E e 'N fra UTM e Gauss-Boaga.

Le coordinate Gauss-Boaga

Se si avesse la necessità di usare le coordinate Gauss-Boaga (GB) nella tavoletta, è prima

necessario ricostruirvi il relativo reticolato, cosa che può essere fatta a partire dalle coordinate dei

vertici (riportate nel riquadro in basso a destra della tavoletta, vedi fig. 22). Quasi sempre, sul bordo

Page 23: MODULO DI: CARTOGRAFIA Appunti delle lezioni Prof. Ing

23

della carta sono segnate delle tacche (vedi fig. 17) che agevolano la costruzione del suddetto

reticolo.

Quello che nella tavoletta è il reticolato chilometrico UTM, nella CTR è il reticolato Gauss-

Boaga e, quindi, in quest’ultima, il metodo per determinare dette coordinate è identico a quello già

descritto per l’UTM nella tavoletta, salvo, ovviamente, le differenze nel sistema di coordinate.

5.4.5 – La zona di sovrapposizione

Si nota nella porzione di tavoletta

di fig. 17 che, sia le coordinate

geografiche che quelle UTM, hanno un

doppio sistema di numerazione, così

come sono due le tacche che indicano

il reticolato GB. Questa non è la

norma, accade solo nelle cosiddette

zone di sovrapposizione, dove si è

vicini al passaggio da un fuso all’altro;

qui può accadere che l’utilizzatore della carta lavori su un territorio a cavallo tra i fusi e, quindi, con

assi cartesiani diversi. La doppia numerazione consente di evitare i problemi che ne deriverebbero,

in quanto il lettore della carta trova, anche nel nuovo fuso, i segni del vecchio e, perciò, non perde il

sistema di riferimento di partenza. Il cartografo, in altri termini, gli consente di mantenere lo stesso

sistema di coordinate.

Per non appesantire la carta con troppe linee, la logica adottata dal cartografo per fornire la

doppia informazione consiste nel segnare solo delle tacche per l’informazione suppletiva; se egli si

riferisce al fuso di appartenenza della carta, le linee del reticolato sono interamente disegnate

mentre, per indicare il fuso accanto, c’è solo un segno sul riquadro (vedi fig. 17).

2.4.6 – Altimetria

Le quote del terreno rappresentano la terza dimensione, ovviamente non rappresentabile

direttamente sulla carta. Si adotta allora un artificio, che consiste nel disegnare delle linee, dette

Fig. 22: Coordinate Gauss-Boaga dei vertici della tavoletta IGMI.

Page 24: MODULO DI: CARTOGRAFIA Appunti delle lezioni Prof. Ing

24

curve di livello o isoipse, luogo di punti di uguale quota sul livello medio del mare, considerato

avente quota zero. Il riferimento è il mareografo di Genova.

Le isoipse vengono disegnate con intervallo di quota regolare, detto equidistanza, a partire

dallo 0 del mare. Convenzione vuole che l’equidistanza sia pari a 1/1000 del denominatore della

scala. Queste curve, dette intermedie, sono disegnate con un tratto sottile intero (rosso granata nella

tavoletta) che, ogni 50 m nelle CRT a scala 1:10000 e ogni 100 m nelle tavolette, sono disegnate più

spesse e vengono dette direttrici. In zone particolari, ad orografia complessa, può essere necessario

infittire le curve di livello attraverso le cosiddette isoipse ausiliarie, disegnate con linea tratteggiata

sottile.

A completare l’informazione altimetrica, sulla carta sono riportate le quote di alcuni punti

singoli ben individuabili, quali incroci stradali, vette di alture, vertici trigonometrici ecc. che

aiutano il lettore a comprendere l’orografia del terreno e ad attribuire le giuste quote alle isoipse.

Dovendo stimare la quota di un generico punto P

della carta, si considerano, come in fig. 23, le isoipse

immediatamente a monte ed immediatamente a valle

del punto e si ipotizza che la variazione altimetrica fra

queste curve sia lineare. Tracciato il segmento AB (fig.

23), di minima distanza fra le isoipse (*), nota

l’equidistanza e, misurati i segmenti AB (D) e PB (d), il

dislivello x fra la quota di B e quella di P (incognita)

scaturisce immediatamente dalla seguente proporzione:

e : x = D : d

Naturalmente questo calcolo consente solo misure

approssimate, per quelle di precisione sono necessari

rilievi ad hoc eseguiti con i metodi della Topografia;

l’IGMI fornisce, su apposite schede, le quote esatte (al

decimo di mm) dei capisaldi della propria rete di

livellazione, che costituiscono i punti noti di partenza.

Quando la pendenza è molto accentuata (è il caso di

scarpate molto ripide, di pareti degli alvei fluviali ecc.) i dislivelli si sovrappongono e rendono

fisicamente impossibile disegnare curve di livello distinte. Si ipotizzi, infatti, di avere una parete

verticale alta 100 m; in una tavoletta le isoipse 0, 25, 50, 75 e 100 si sovrappongono perfettamente (*) Dal punto di vista geometrico questa condizione non sarebbe indispensabile, tutte le linee passanti per il punto e

congiungenti le isoipse andrebbero bene, ma la minima distanza garantisce maggiore aderenza all’ipotesi di variazione lineare, indispensabile per risolvere il problema.

Fig. 23: Valutazione della quota di un punto generico sulla carta.

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25

e, quindi, non si possono disegnare. Il cartografo, in questi casi, disegna un tratteggio (una

“barbetta”), dove si “perdono” le varie isoipse; esempi di tal genere sono visibili nelle fig. 17 e 18.

Attraverso la lettura delle curve di livello si ricostruiscono le principali caratteristiche

morfologiche del paesaggio:

- profilo del terreno;

- compluvi e displuvi, sulla base delle curvature delle isoipse;

- rilievi (con vetta ben definita o con spianata sommitale);

- pendii uniformi o rotture del pendio;

- incisioni, doline, dossi, speroni, creste ecc.

Occorre infine ricordare che le distanze sulla carta non sono quelle reali (il segmento AB di fig.

23), ma la distanza fra le proiezioni sul piano, detta distanza topografica (la D di fig. 23).

2.5 – Il modello digitale del terreno Le curve di livello sono, in sostanza, un artificio per rappresentare la terza dimensione (le quote

s.l.m.m.) sul piano del foglio.

L’applicazione delle tecnologie informatiche a questo settore ha fatto sì che sia sorta la necessità

di rappresentare nell’opportuno sistema automatico la superficie terrestre. Tale operazione prende il

nome di digitalizzazione della carta ed il relativo prodotto è detto modello digitale del terreno,

indicato con gli acronimi anglosassoni DEM (Digital Elevation Model) o DTM (Digital Terrain

Model).

Realizzare un DEM significa ricostruire l’andamento altimetrico del terreno attraverso dati

numerici (digit) che rappresentano un insieme di elementi areali unitari, detti raster, ognuno dei

quali è costituito da una celletta (rettangolare o più spesso quadrata) orizzontale, ovvero di quota

costante. Di conseguenza, se la superficie reale del terreno è costituita da una pendice inclinata

(ovviamente continua), la sua digitalizzazione consisterà nell’approssimare le varie quote con una

serie di “gradini” orizzonali, ognuno di quota costante cui è attribuito un numero pari alla quota,

secondo il seguente schema:

Q1= quota, costante, media delle quote fra A e B

Q2= quota, costante, media delle quote fra B e C

Page 26: MODULO DI: CARTOGRAFIA Appunti delle lezioni Prof. Ing

26

Da questo schema si può anche notare come il raster possa costituire l’unità informativa

elementare: al di sotto della sua entità non si dispone di informazione in quanto il terreno è

“appiattito” nella celletta orizzontale.

Di conseguenza, più piccola è la dimensione del raster, meglio sarà approssimata l’altimetria

reale da parte del modello. Poiché, però, la morfologia del territorio non è regolare, è chiaro che i

DEM avranno sempre raster relativamente “piccoli”, ma, per ovvi motivi, questo aumenta

notevolmente la laboriosità, i tempi ed i costi di costruzione del modello. Ad esempio, se N è il

lavoro necessario per la costruzione di un DEM basato su un raster di 100 m, lo stesso DEM, basato

su un raster di 50 m, richiede un lavoro non doppio (2N), ma quadratico (NxN=N²), dato che il

raster ha due dimensioni.

E’ perciò necessario sapere individuare il giusto compromesso fra importanza del lavoro che si

sta eseguendo, precisione richiesta, leggibilità della carta topografica di base, tempi e risorse

finanziarie a disposizione.

Scelta la dimensione del raster, si passa alla costruzione del DEM, per la quale le metodologie

generalmente consistono nella costruzione manuale e in quella automatica.

2.5.1 – Costruzione manuale del DEM

Si realizza una quadrettatura, preferibilmente quadrata, su carta lucida inestensibile e si sceglie

il sistema di assi cartesiani più comodo (“esterno” all’area oggetto del modello, per avere

coordinate sempre positive). Appoggiando a questi ultimi il reticolato, la posizione planimetrica di

ogni raster è univocamente nota ed il DEM sarà completo nel momento in cui si abbia la quota di

ogni raster. Questa si ottiene leggendo, attraverso il foglio trasparente, le curve di livello della carta

di base; di solito si attribuisce al raster la quota media fra i quattro vertici.

Procedendo in tal modo, ad ogni raster corrisponderà una terna di numeri costituiti dalle

coordinate planimetriche E ed N (preferibilmente chilometriche) e la quota Z. Ma, poiché il raster

ha dimensioni costanti, si può realizzare una semplice tabella (vedi il tipico foglio elettronico

Excell) in cui in ogni casella sono riportate le quote Z, mentre le coordinate planimetriche sono

ricostruibili dalla semplice conoscenza della riga e della colonna che competono a Z.

Se, ad esempio, si ha il seguente foglio, corrispondente ad un raster quadrato di lato 100 m.

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27

A B C D E F G H I 1 50, 850 150, 850 Ecc.

2 50, 750 150, 750

3 50, 650 150, 650

4 50, 550 150, 550

5 50, 450 150, 450

6 50, 350 150, 350

7 50, 250 150, 250

8 50, 150 150, 150 I raster B3 ed E5 hanno, rispettivamente, le seguenti coordinate:

B3: E = 150 m; N = 650 m

E5: E = 450 m; N = 450 m

la quota Z sarà il numero riportato in B3 ed in E5, così per tutti gli altri (*).

Il DEM sarà completo quando sarà completa la tabella.

2.5.2 – Costruzione automatica

Con l’ausilio della tavoletta digitalizzatrice

La tavoletta digitalizzatrice è una periferica del computer su cui può essere appoggiata una carta.

Il suo contenuto, ripassato con lo speciale mouse della tavoletta, viene acquisito come un file,

automaticamente georeferenziato, ovvero inserito in un sistema di riferimento. Tale operazione è

detta digitalizzazione.

Per quanto riguarda l’altimetria, si ripassa ogni curva di livello che, tramite opportuno software

(ad esempio il CAD = Computer Aided Design), viene attribuita allo strato (layer) corrispondente

alla sua quota. L’insieme dei layer costituisce l’altimetria in forma vettoriale, ovvero attraverso un

“arco” (vedi più avanti), lo stesso software è poi in grado di trasformare le linee in raster, attraverso

gli opportuni algoritmi di interpolazione. Il prodotto finale è, quindi, in tutto analogo al precedente:

una tabella di numeri corrispondenti alla quota di ogni raster. In questo caso, essendo la

realizzazione del raster automatica, non ci sono le limitazioni della laboriosità della procedura del

caso precedente e, quindi, si può scegliere una dimensione del raster molto piccola. Ma, attenzione,

ciò non significa che si sia migliorata l’accuratezza del modello in quanto questa dipende dalla scala

della carta di base e dall’equidistanza delle sue isoipse. Di conseguenza, in questo caso, per (*) Per soli motivi didattici, nella tabella non sono riportate le quote, come dovrebbe essere, ma le coordinate E, N di

ogni casella che, in realtà, sono automaticamente note al software allorquando sia fissata l’origine degli assi cartesiani e la dimensione del raster.

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28

aumentare la precisione si devono scegliere grandi scale, con isoipse disegnate equidistanze più

piccole, quindi più fitte, che porteranno ugualmente ad una notevole laboriosità della costruzione

del DEM.

Con l’ausilio dello scanner

In questo caso si usa un’altra periferica del computer: lo scanner, apparecchio in grado di

acquisire una qualunque immagine (nel caso specifico i disegni sulla carta di base), trasformandola

in un file di tipo raster.

In questo caso è ovviamente molto ridotto il lavoro di acquisizione, ma sarà poi necessario

“pulire” il file di tutte le altre informazioni presenti sulla carta (strade, corsi d’acqua, simboli vari)

con uno speciale software di elaborazione delle immagini. Dopo questa operazione, già piuttosto

laboriosa, bisogna attribuire ogni isoipsa ad un layer perché il software possa riconoscere le diverse

quote.

In alternativa, si può digitalizzare direttamente dal monitor, con il mouse del computer, le curve

di livello scansionate. Tale operazione è analoga a quella fatta con la tavoletta digitalizzatrice. A

questo punto si passa al DEM vero e proprio con una nuova rasterizzazione, come nel caso

precedente ($).

Come si nota da queste sintetiche illustrazioni del lavoro, i metodi automatici non sono

particolarmente evoluti e richiedono una laboriosità paragonabile al metodo manuale. L’evoluzione

oggi prevedibile in questo ambito consiste nella realizzazione di cartografia digitale da parte delle

Istituzioni del settore: l’Istituto Geografico Militare Italiano o le Regioni.

Un DEM completo per il territorio italiano è gestito dal Servizio Geologico Nazionale ed è stato

realizzato, negli anni ’80, dall’Università di Lecce per conto dell’Agip (Carrozzo et al., 1980). La

procedura utilizzata è molto simile a quella manuale, con carta base la tavoletta IGMI e raster di

circa 230 m.

2.6 – Altre informazioni presenti sulla carta

Designazione del punto

Per l’individuazione rapida di un toponimo sulla carta, nel primo riquadro in alto a destra della

tavoletta è riportato il criterio di designazione del punto, da non confondersi con la determinazione

delle coordinate UTM. La metodologia è spiegata nella stessa legenda del riquadro.

($) Esistono software specifici che compiono contemporaneamente le due operazioni.

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29

Nord

Nella tavoletta, nel riquadro sottostante quello relativo alla designazione del punto, sono

riportate le informazioni concernenti l’orientazione della carta, ovvero la direzione del nord di cui,

in cartografia, esistono tre tipologie (fig. 25):

- nord geografico, individuato dalla direzione di un meridiano (polo);

- nord rete, individuato dalla direzione di un meridiano del reticolato chilometrico;

- nord magnetico, individuato dalla direzione dell’ago della bussola.

Fig. 24: Designazione di un punto sulla tavoletta.

Poiché la carta è tagliata secondo meridiani geografici, non c’è parallelismo fra questi ultimi ed

i meridiani rete (paralleli all’asse cartesiano), l’angolo fra queste direzioni è detto di convergenza ed

indicato con J (fig. 25).

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30

L’angolo fra il nord magnetico, individuato dalla direzione dell’ago della bussola, e quello

geografico è detto declinazione magnetica ed indicato con G. Esso varia sul territorio e, perciò, nel

riquadro piccolo, sono segnate le linee di ugual valore di G; in alcuni territori, detti di anomalia

magnetica, G non può essere definito, in questo caso il riquadro è tratteggiato, come in fig. 25.

La declinazione magnetica varia con il tempo (7’30’’ all’anno nel caso della carta di fig. 25) e,

quindi, è necessario ricostruire anno per anno la direzione del nord magnetico utilizzando il

goniometro riportato sulla carta, in alto a destra. La procedura è illustrata in fig. 26, dove si mostra

anche come va orientata la bussola.

Fig. 25: Informazioni relative al nord nella tavoletta.

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31

Fig. 26: Individuazione del nord magnetico nel 2000 e relativo appoggio della bussola.

Sulla tavoletta sono indicate numerose altre informazioni, soprattutto relative alla copertura del

suolo e ad eventuali strutture ed infrastrutture presenti. Nella fig. 27 si riporta la legenda presente di

solito nella parte bassa della tavoletta; gli stessi sono adottati nelle CTR.

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Da queste carte è quindi possibile avere una importante informazione relativa all’uso del suolo:

si osservi, ad esempio, il vigneto segnato in fig. 27. Naturalmente occorre fare attenzione alla data

di costruzione della carta perché, se questa è stata redatta parecchi anni fa, non è detto che vi si trovi

oggi la stessa copertura del suolo. Per questo genere di operazioni è quindi più utile la CTR, in

genere più recente; conoscere l’antico uso del suolo può comunque avere una sua utilità.

Fig. 27: Legenda della tavoletta IGMI.

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2. 8 – Nozioni fondamentali sul sistema GPS (*)

Il sistema noto con l’acronimo GPS (Global Position System) consiste di tre componenti

essenziali:

1) I satelliti che orbitano nello spazio.

2) Le stazioni di controllo e monitoraggio dell’attività satellitare.

3) Il ricevitore utilizzato dall’utente.

Esso è nato da esigenze militari degli Stati Uniti ed è tuttora gestito dal Dipartimento della

Difesa statunitense che ne cura lo sviluppo e la manutenzione. Il suo scopo essenziale consiste nel

consentire ad un osservatore opportunamente attrezzato (ovvero in possesso del ricevitore) di

conoscere le coordinate, nell’opportuno sistema di riferimento, del punto in cui si trova. Tale

operazione si basa sulla triangolazione effettuata con i satelliti che costituiscono il sistema, detti

NAVSTAR (Navigation Star) da cui il sistema stesso prende nome (fig. 28).

Principi di funzionamento

Il principio di funzionamento è praticamente quello

dell’antica navigazione, basata sull’osservazione delle

stelle (da cui il nome NAVSTAR) con la differenza

che le stelle sono sostituite dai satelliti ed il sensore

non è più l’occhio umano ma un ricevitore di onde

elettromagnetiche (ad alta frequenza) lanciate dal

sistema satellitare.

Nella fig. 29 sono riportati i seguenti elementi

geometrici fondamentali per la comprensione del

funzionamento:

- i punti immagine di due satelliti, segnate con un

piccolo cerchio che ricade in Africa ed un altro ad

occidente del Portogallo, ovvero l’intersezione con la

superficie terrestre della linea congiungente il satellite

con il centro della Terra;

- le linee direttrici, ovvero le circonferenze (se si considera la Terra sferica) generate

dall’intersezione tra la sfera che rappresenta il pianeta e quella avente per centro il satellite e (*) Tutte le figure sono tratte da Kumm (1993).

Fig. 28: Un satellite del sistema GPS. Si nota chiaramente l’antenna rivolta verso terra e le celle solari per l’alimentazione.

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37

raggio la distanza fra un generico punto sulla Terra ed il satellite stesso. Essa è, in pratica, il luogo

dei punti di eguale distanza punto-satellite.

Si nota facilmente come la

posizione di un ricevitore sulla terra

che “osservi” i due satelliti della fig.

29 è fornita dall’intersezione delle

direttrici e, quindi, è ancora

indeterminata in quanto potrebbe

essere rappresentata dal punto A o

dal B, indifferentemente. E’ quindi

chiaro che è necessario conoscere

almeno un’altra direttrice, generata

da un terzo satellite; l’intersezione

delle tre direttrici determina

univocamente, almeno dal punto di

vista matematico, il punto.

Perché ciò si verifichi, è stato

realizzato un apposito sistema di

satelliti, che è impostato su sei orbite

equamente distribuite intorno alla

terra ed inclinate 55° sull’equatore. In ognuna sono inseriti quattro satelliti (alla quota di 20200 km)

che completano un giro in dodici ore (fig. 30). Tutto ciò fa sì che qualunque punto della superficie

terrestre, in qualunque momento, possa interagire con almeno quattro satelliti e, quindi, possa essere

univocamente determinato.

Il problema tecnologico da affrontare consiste, quindi, nella determinazione della direttrice

connessa ad ogni satellite, ovvero nella misura del raggio della sfera avente per centro il satellite

(distanza punto-satellite). A tale scopo, quest’ultimo emette onde elettromagnetiche che, come è

noto, si muovono alla velocità della luce (circa 300.000 km/s) e, quindi, la misura del tempo

impiegato da detto segnale a percorrere la distanza da misurare consente la misura stessa. Ogni

satellite è perciò dotato di un orologio atomico di altissima precisione, cui è sincronizzato il

ricevitore a terra, attraverso la definizione di un tempo universale.

Il ricevitore, attraverso il suo orologio interno, misura il tempo richiesto dal segnale per spostarsi

dal satellite al punto in cui è il ricevitore stesso. Ciò è possibile in quanto esso è dotato di una

Fig. 29: Verticali e linee direttrici di due satelliti.

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memoria in cui è riportato il “segnale orario” del satellite, cosa che gli consente di riconoscere

l’onda che capta e l’ora in cui è stata emessa dal satellite.

Ad esempio, se un satellite GPS emette un’onda

elettromagnetica alle ore 2:30 e questa viene captata alle

ore 02h, 30m, 00,080 005s, il ricevitore misura il tempo

impiegato a percorrere la distanza punto-satellite (8

centesimi e 5 milionesimi di secondo) ed effettua il

relativo calcolo:

300000 [km/s] x 0,080005 [s] = 24001,5 km

Tale quantità è, praticamente, il raggio di una direttrice;

ripetendo la misura di tempo su tre satelliti, le coordinate

del punto in cui si trova il ricevitore sarebbero

univocamente determinate dall’intersezione delle tre

direttrici. Questo può essere vero per gli orologi atomici

montati sui satelliti, ma per ragioni di peso e di costi non lo può essere per il ricevitore di terra.

Immediata conseguenza pratica di tale situazione è il fatto che le distanze calcolate con questo

metodo non saranno quelle esatte (per questo vengono dette pseudo distanze) in quanto le direttrici

non si intersecano in un punto, ma generano un triangolo sferico, detto triangolo d’errore (in nero

nella fig. 31).

Questo errore può essere corretto se il

ricevitore “vede” almeno un quarto satellite, che

consente di stimare l’errore di misura del tempo,

consentendo di “traslare” (come in fig. 31) le

direttrici, fino a farle incontrare in un punto. E’

questo il motivo per cui il sistema dei 24 satelliti

è stato progettato per avere sempre almeno 4

satelliti visibili.

In pratica, dal punto di vista matematico,

determinare un punto nello spazio significa

ricavare le tre incognite X, Y e Z della sua

posizione, cosa teoricamente possibile con un sistema di tre equazioni, che scaturiscono dalla

Fig. 30: Disposizione delle orbite dei 24 satelliti GPS (21 più tre di riserva attivi).

Fig. 31: Triangolo di errore e punto ricavato dalla traslazione delle tre direttrici.

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misura delle tre distanze fra i satelliti ed il punto. Data, però, la presenza dell’errore di misura del

tempo 't, è necessaria un’ulteriore equazione, che consenta di impostare un sistema di quattro

equazioni nelle incognite X, Y, Z e 't.

Il ricevitore GPS ha la possibilità di memorizzare le coordinate di un certo numero di punti (detti

waypoints) per cui, in campo, può calcolare la distanza, la direzione ed il tempo di raggiungimento

dei waypoints.

Un insieme di questi punti costituisce il rilievo planimetrico (se linea chiusa, ad esempio, una

superficie agricola, un bosco, un’area percorsa da incendio ecc.) o, in navigazione, una rotta, cosa

che consente la programmazione del pilota automatico dell’imbarcazione o del velivolo.

Accuratezza delle misure

Oltre che dall’errore di misura temporale, i principali fattori che influenzano le misure sono

legate alla geometria della costellazione dei satelliti (che può essere più o meno favorevole) ed

all’errore appositamente introdotto dal gestore del sistema per impedirne l’uso militare.

Naturalmente, nel caso, ipotetico, che si abbia la visibilità di soli tre satelliti, la misura è sempre

possibile, ma il suo errore sarà notevole.

Geometria della costellazione: GDOP

Per la determinazione del punto è indispensabile disporre di almeno quattro satelliti per quanto

testé affermato, ma non è indifferente quale posizione relativa e quale altezza sopra l’orizzonte

abbiano questi satelliti. Infatti, l’onda emessa dal satellite deve attraversare l’atmosfera, che tende a

deformarne le caratteristiche (vedi più avanti quanto detto sugli errori di propagazione). Il percorso

ottico deve perciò essere il minimo possibile e, di conseguenza, l’altezza dei quattro satelliti

sull’orizzonte (espressa come angolo zenitale) è preferibile che sia superiore a 30°, mentre sono da

escludere satelliti con angoli inferiori a 15°. In genere, per buona geometria della costellazione si

intende che la superficie individuata sulla terra dai tre punti immagine dei satelliti sia la più grande

possibile.

Il criterio per quantificare la qualità della geometria viene indicato con l’acronimo DOP

(Dilution Of Precision, ovvero: riduzione di precisione per effetto del cammino ottico delle onde. I

criteri geometrici per definire la DOP sono vari, a seconda della causa dell’indebolimento: di tipo

planimetrico (HDOP), altimetrico (VDOP), per variazione nel tempo della posizione fissa nello

spazio (TDOP) o per variazione nello spazio in un istante dato (PDOP). La DOP che si ottiene dalla

sovrapposizione di questi ultimi è detta GDOP (Geometric Dilution Of Position) ed è il parametro

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più utilizzato, espresso da un numero intero che va da 1 a f; trattandosi di una misura di

indebolimento, più basso è il GDOP, migliore è la geometria.

Queste considerazioni aiutano a capire come sia necessario avere visibili ancora più satelliti

rispetto ai quattro indispensabili. Se, infatti, si dispone di una costellazione di almeno cinque

satelliti, il ricevitore, che è predisposto in tal senso, seleziona i quattro che offrono la geometria

migliore, ovvero quelli dal GDOP inferiore. Con 6-7 satelliti, ad esempio, sarà praticamente sicura

una buona geometria (GDOP minore o uguale ad 8).

Disponibilità selettiva

Il servizio standard libero per l’utente dovrebbe fornire un’accuratezza orizzontale dell’ordine di

una decina di metri, che può scendere a 100-120 m (eccezionalmente anche di più) a causa della

disponibilità selettiva (SA, Selective Availability) che, in realtà, dovrebbe essere chiamata

“indisponibilità” in quanto è un degrado della misura, volontariamente inserito dal gestore del

sistema allo scopo di impedire all’eventuale “nemico” di utilizzare appieno le potenzialità del GPS.

Dal 5 maggio 2000 la SA è stata comunque disattivata.

L’errore conseguente alla SA è caratterizzato da una distribuzione delle frequenze di tipo casuale

(gaussiana). Uno studio di Leone e Boccia (1999, prima dell’interruzione della SA) per un

ricevitore GlobalNav 200 della Lawrance, indicato con σ lo scarto quadratico medio dei dati, ha

fornito un errore medio di 22,2 m e la seguente statistica degli errori:

- il 68% dei dati presenta errori inferiori a 36,1 m (1*σ);

- il 95% dei dati ha errore inferiore a 50,0 m (2*σ);

- il 99% dei dati ha errore inferiore a 58,3 m (2,6*σ);

- il 99,7% dei dati ha errore inferiore a 63,9 m (3*σ);

- il 99,994% dei dati ha errore inferiore a 77,8 m (4*σ);

- il 99,99994% dei dati ha errore inferiore a 91,7 m (5*σ).

Nel tempo, quindi, un ricevitore fisso in un punto rileverà una serie di posizioni che “oscillano”

casualmente intorno al valore vero, entro un raggio di un centinaio di metri (fig. 32). Perciò, se i

dati vengono mediati nel corso di più ore, si ha la possibilità di ridurre sensibilmente l’errore E della

misura.

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Fig. 32: Esempio di rappresentazione delle posizioni determinate con un singolo ricevitore.

L’accuratezza verticale è circa 1,5 volte quella orizzontale in quanto l’approssimazione del

geoide alla vera superficie terrestre è sempre migliore dal punto di vista planimetrico che da quello

altimetrico (lo si può intuire osservando la fig. 5).

Altre fonti di errore

x Errori sulla posizione del satellite (effemeridi) nell’istante in cui questo emette l’onda

elettromagnetica;

x Errori di propagazione dell’onda nell’atmosfera. Gli strati più sensibili da questo punto di vista

sono la ionosfera e la troposfera. La prima influenza il segnale a seconda dell’attività solare e

delle condizioni locali, la seconda rende rilevante il ben noto fenomeno della rifrazione (ritardo

dell’onda provocato dal mezzo in cui si propaga) essendo lo strato dell’atmosfera di maggiore

densità. Maggiore è il percorso, maggiore è quest’ultimo fenomeno: di qui la necessità di

valutare la geometria ottimale (GDOP).

x Errori di percorso. Avvicinandosi alla superficie su cui è ubicato il ricevitore, se questa è

riflettente, può verificarsi un cammino ottico fittizio detto percorso multiplo. Questo errore non è

quantificabile ed è bene prevenirlo avendo cura di allontanare l’antenna da superfici del genere.

Il rilievo differenziale (DGPS)

L’accuratezza sin qui descritta può essere valida per l’orientamento ed il rilievo basato su carte

di scala medio-piccola (da 1:25000 in giù, raramente per la scala 1:10000). Per rilievi più precisi

può essere necessaria un’accuratezza inferiore al metro, cosa che può essere ottenuta attraverso

ricevitori con adeguate antenne e per effetto della misura differenziale, effettuata comparando le

misure di un ricevitore fisso (di cui è nota la posizione) con quelle del ricevitore mobile utilizzato

dall’operatore.

Page 42: MODULO DI: CARTOGRAFIA Appunti delle lezioni Prof. Ing

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L’importanza della misura differenziale deriva dal fatto che la maggior parte delle fonti di

degrado della stessa sono identiche per tutti i ricevitori funzionanti nell’ambito di una certa zona

che sarà meglio specificata più avanti. Di conseguenza, se viene effettuata una misura in un punto di

coordinate note a priori, se ne può dedurre l’errore. Se, contemporaneamente, è in funzione un altro

ricevitore, le misure effettuate da quest’ultimo potranno essere depurate dell’errore, ormai noto.

Si verificheranno, infatti, le seguenti condizioni:

- l’errore di propagazione nella ionosfera sarà sensibilmente ridotto se i due ricevitori distano meno

di 20 km in quanto, entro questo raggio, essi interagiscono con la stessa costellazione e, quindi,

hanno lo stesso cammino ottico;

- l’errore di propagazione troposferica si riduce, purché le condizioni altimetriche e meteorologiche

siano analoghe (anche per questo è importante che la distanza fra i ricevitori sia minore di 20 km);

- la SA (qualora fosse riattivata, in futuro), per letture esattamente contemporanee, sarà la stessa e,

quindi, è possibile ricavarla nel punto noto e depurarne il dato oggetto di misura.

E’ quindi ovvia la notevole riduzione dell’errore (fig. 33).

Fig. 33: Le misure di fig. 32 effettuate in DGPS.

E’ ovvio che in questo caso andrà acquistata una coppia di ricevitori, uno dei quali, posizionato

nel punto noto (che prende il nome di base fissa) e l’altro mobile. La distanza tra i ricevitori è detta

linea di base, definita “corta” se inferiore a 20 km.