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Freight Leader Council Quaderni - Numero 20 LE CONDIZIONI PER IL RILANCIO DEL TRASPORTO MERCI SU FERRO LIBERALIZZAZIONE E INNOVAZIONE GIUGNO 2010

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Freight Leader CouncilQuaderni - Numero 20

LE CONDIZIONI PER IL RILANCIO

DEL TRASPORTO MERCI SU FERRO

LIBERALIZZAZIONE E INNOVAZIONE

GIUGNO 2010

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FLC è una libera associazione p r i v a t a c h e r i u n i s c e esperienze professionali di aziende leader operanti in tutta la Supply Chain anche con interessi contrapposti.V i sono rappresenta te autorevolmente le categorie co invo l te ne l l a ca tena logistica italiana: produttori (caricatori),operatori logistici, gestori infrastrutture anche virtuali, per tutte le modalità (strada, ferrovia, aria, mare).

La miss ione d i FLC è “Formulare indirizzi per la Comunità e le Istituzioni, s e c o n d o i P r i n c i p i dell'Ottimizzazione della Catena del Valore, lungo la Supply Chain, ed in particolare nella Logistica Sostenibile. Contribuire allo sviluppo e alla competitività in tutti i settori di interesse, ad un costante aggiornamento della cultura e della politica dei trasporti e Logistica nel sistema Italia”. FLC è quindi portatore di tutte le istanze del mondo della mobilità delle merci in ottica globale e non di parte, trasversale ed equidistante da interessi particolaristici.

QUADERNI

FLCNUMERO 20

LE CONDIZIONI PER IL RILANCIO

DEL TRASPORTO SU FERRO

LIBERALIZZAZIONE E

INNOVAZIONE

GIUGNO 2010

FREIGHT LEADERS COUNCIL

Tel. e Fax 02.58118709

[email protected]

www.freightleaders.org

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Presentazione del quaderno

Con il Quaderno 20 FLC continua l'analisi dei “nodi” e delle relative “cause prime” che condizionano il buon funzionamento dell'intera catena logistica, emersi nel ciclo di studi avviato con il Quaderno 18.

La competitività del sistema logistico italiano a livello europeo, e la sua capacità di attrarre flussi di traffico extra comunitari, contribuendo positivamente all'aumento del Prodotto Interno Lordo nazionale, si gioca sostanzialmente sulla sua capacità di raccordarsi efficacemente ed efficientemente con la “rete” europea, stradale, ma soprattutto ferroviaria.

In questo contesto il sistema ferroviario italiano, oltre ad essere penalizzato da costi strutturali ed operativi ben al di sopra di quelli della concorrenza nord europea, soffre anche per inadeguatezza strutturale, errori gestionali, incoerenza d'indirizzo politico, ritardi nell'automazione e semplificazione burocratica, modelli di relazioni industriali non al passo con i tempi, ridotto numero e dimensione di attori alternativi all'ex monopolista: uno stato dell'arte a dir poco preoccupante.

Molte sono le “cause prime”, e fra queste certamente la scarsa privatizzazione del sistema.

Purtroppo lo scenario italiano del settore, così come si è venuto a consolidare sino ad oggi, non fa intravedere interessanti aspettative di guadagno per gli eventuali nuovi entranti capaci di fornire servizi soddisfacenti con adeguato livello di copertura e frequenza.Per una corretta liberalizzazione /privatizzazione del sistema, occorre mettere in opera decise azioni volte al suo risanamento ed alla sua innovazione.

Nel Quaderno 19, FLC ha analizzato lo scenario attuale del settore, con riferimento particolare al trasporto intermodale e combinato, ed ha individuato un quadro d' interventi di breve e di lungo periodo atti a sostenerlo ed a recuperare il gap rispetto agli altri Paesi Europei.

In questo Quaderno, frutto degli studi svolti da due gruppi di lavoro, FLC approfondisce il tema della competitività del sistema ferroviario con particolare attenzione allo stato del processo di liberalizzazione, alle aspettative ad esso legate, ed alle condizioni per la sua corretta e positiva realizzazione. Nel Quaderno è anche evidenziato il ruolo che può svolgere l'innovazione nel settore ferroviario e le possibili misure di sostegno.

I

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Roberta Gili Presidente

Freight Leaders Council

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Emergono dallo studio differenti spunti e proposte, alcune di facile e non onerosa realizzazione, altre che implicano una approfondita presa di coscienza da parte delle Autorità Governative, in particolare del Ministero dell'Economia e del Ministero dei Trasporti.

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Il Freight Leaders Council ringrazia i componenti del Gruppo di Lavoroe gli esperti per i preziosi contributi alla stesura di questo quaderno.

COMPONENTI DEL GRUPPO DI LAVORO

“LIBERALIZZAZIONE”

Giorgio Barsacchi Solvay Chimica ItaliaGiuseppe Campione GMC International TradeGiuseppe Cioffi Freight Leaders CouncilPaolo Cornetto TarrosSebastiano Grasso SogemarGiuseppe Macchia R.F.I.Alessio Muciaccia G.T.SGuido Porta INRAILPietro Spirito Team Leader Interporto di BolognaPaolo Volta Interporto della Toscana Centrale

COMPONENTI DEL GRUPPO DI LAVORO

“INNOVAZIONE”

Ivana Calì GMC International TradeGiuseppe Campione GMC International TradeGiuseppe Cioffi Freight Leaders CouncilGiuseppe Macchia R.F.I.Guido Porta Team Leader - INRAIL

Pietro Spirito Interporto di BolognaUmberto Ruggerone C.I.M. -Interporto di Novara

III

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INDICEPAG.

IV

Introduzione

Considerazioni generali

PARTE PRIMA

LA LIBERALIZZAZIONE DEL TRASPORTO FERROVIARIO MERCI IN ITALIA:

LO STATO DELL'ARTE E LE QUESTIONI APERTE

A1. Diagnosi, opportunità e criticità del settore ferroviario

A1.1 Lo scenario infrastrutturale e le politiche di liberalizzazione

A1.1.1 Il pedaggio di accesso alla rete ferroviaria

A1.1.2 Le politiche di investimento per il trasporto merci

A1.2 Le condizioni economiche per il passaggio dal monopolio

alla liberalizzazione

A2. Lo scenario di regolazione ed il contesto istituzionale

A2.1 Le politiche di incentivazione nel trasporto merci in Europa

A2.2 La “Direttiva Berlusconi” sulle ferrovie

A2.3 Il ruolo dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria

A3. Il miglioramento di produttività delle imprese ferroviarie

A4. Considerazioni conclusive e proposte di policy

PARTE SECONDA

LE INNOVAZIONI NEL SETTORE DEL TRASPORTO MERCI

B1. Perché innovare

B2. Dove innovare

B2.1 Il Miglioramento nelle infrastrutture

B2.2 Il Miglioramento dell'efficienza della trazione

B2.2.1 Doppia Trazione Simmetrica

B2.2.2 Miglioramento del sistema di alimentazione elettrica

B2.3 Procedure di accesso alla rete

B3. Innovazione nel settore Intermodale

B3.1 Sistemi di carico/scarico a traslazione orizzontale

B4. L'innovazione nell'organizzazione dei servizi di trasporto

B5. L'aiuto all'innovazione nel settore del trasporto ferroviario

B6. Le ricadute attese dall'innovazione

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Introduzione

Questo documento è il frutto di analisi ed elaborazioni condotte nel corso degli ultimi otto mesi da due Gruppi di lavoro istituti dal Freight Leaders Council, che hanno deciso di sviluppare due aree tematiche da essi ritenute essenziali per costruire le condizioni per un effettivo rilancio del trasporto ferroviario delle merci.

Si tratta di due terreni di analisi che sono strettamente interconnessi, e che costituiscono a nostro avviso premesse indispensabili per una ripresa di competitività della modalità ferroviaria:

• il processo di liberalizzazione europea del trasporto ferroviario delle merci, per valutare lo stato dell’arte e le conseguenze che cominciano ad emergere per effetto del superamento della organizzazione monopolistica del mercato;

• i fattori di innovazione che sono necessari, per di favorire la competitività in un settore che nel corso dei passati decenni ha perso, in Italia ed in Europa, quote di mercato rispetto ai concorrenti anche perché non è riuscito ad adeguare ed a modernizzare tecniche di gestione e politiche di investimento, mirandole alla produttività ed alla efficienza.

I risultati della analisi condotta dai due gruppi di lavoro di Freight Leaders Club sono presentati nel Quaderno n. 20 in logica unitaria, perché è stato ritenuto che la complementarietà tra i due temi meritasse una trattazione contestuale.

La lezione che viene da questi anni recenti ci induce a ritenere che non sia sufficiente una sola azione strategica, se si vuole davvero determinare un riequilibrio nell’assetto modale che consenta al trasporto ferroviario delle merci di recuperare un ruolo centrale, almeno nelle medie e nelle lunghe distanze.

L’Unione Europea aveva avviato, ormai quasi vent’anni fa, un riassetto normativo basato sul superamento del monopolio e sulla graduale introduzione della liberalizzazione, intesa come leva per introdurre impulsi competitivi e comportamenti di mercato nella azione degli operatori ferroviari. Nella convinzione del legislatore europeo, questo mutamento nell’assetto avrebbe di per sé favorito un recupero di efficienza e di competitività tale da consentire un recupero nelle quote di mercato.

Sino ad oggi, non è stato così. In particolare, con l’esplosione della crisi finanziaria ed industriale, a partire dall’autunno del 2008, le ferrovie europee stanno registrando una pesante battuta d’arresto, con una

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caduta dei volumi trasportati ben più che proporzionale rispetto alla riduzione dei volumi di traffico determinata dalla crisi stessa.

Il grado di attuazione della liberalizzazione del sistema ferroviario in Europa varia molto da paese a paese: interessante a tale proposito è uno studio di IBM del 2004, aggiornato nel 2007 (Rapporto IBM – Global Business Service- “Rail Liberalisation Index 2007”), che proponeva la misurazione del grado di attuazione attraverso due parametri, l’avanzamento dell’assetto normativo e le modalità di accesso al mercato. L’Italia, nel 2007, si classificava al 20° posto con un rating di 734 contro un valore medio (Europa a 27 stati) di 780. Per l’Italia, lo studio evidenziava come l’avanzamento dell’assetto normativo fosse molto buono, ma, almeno all’epoca, la situazione dell’accesso al mercato fosse meno soddisfacente. Gli effetti dell’apertura normativa, che fa del mercato italiano uno tra quelli più liberalizzati e contendibili, in un’Europa in cui i livelli di contendibilità dei mercati dei singoli Stati Membri non sono ancora allineati, si sono visti negli anni successivi; lo dimostra l’evolversi della presenza dei nuovi entranti nel settore merci, e lo registra, da ultimo, il rapporto European House - Ambrosetti (“Liberalizzazione e competizione: lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi ferroviari in Europa e in Italia”).

Con la liberalizzazione ferroviaria pienamente operativa in Europa sotto il profilo formale dal 2007, sono venuti al pettine nodi strutturali, che non sono stati affrontati per tempo. I processi di ristrutturazione delle aziende che venivano dalla gestione monopolistica non erano stati ancora completati (in qualche caso erano appena agli albori), mentre i nuovi entranti si sono concentrati sui segmenti di traffico più attrattivi.

L’effetto che si è venuto a determinare è una consistente riduzione d’offerta, indotta dalla razionalizzazione nei perimetri operativi degli ex-monopolisti, che abbandonano segmenti di mercati e flussi di traffico che non riescono ad operare in logica di equilibrio economico.

Si tratta inevitabilmente di attività che non attraggono l’interesse dei nuovi entranti, sia per la maggiore onerosità di gestione sia per la marginalità dei mercati serviti. In sostanza, all’arretramento del perimetro dei precedenti gestori non corrisponde un effetto di sostituzione da parte dei nuovi entranti, i quali si inseriscono prevalentemente in competizione su flussi di traffico e su rotte ferroviarie già esistenti.

Questo fenomeno accade essenzialmente per due ragioni:

• da un lato, è mancata una politica industriale per la liberalizzazione ferroviaria, che tenesse in conto le pesanti perdite economiche registrate dai gestori del servizio merci, che ponevano di fatto il settore fuori dalla traiettoria di una possibile redistribuzione della rendita del monopolista attraverso la

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liberalizzazione, così come era accaduto in altri settori delle public utilities europee;

• dall’altro, i modelli gestionali di erogazione del servizio avrebbero richiesto profonde iniezioni di innovazione, non solo per la parte relativa alla vezione ferroviaria in senso stretto, ma anche per tutti quei servizi accessori strategici per il complessivo processo di erogazione del servizio (manovre, gestione dei terminal, qualità delle tracce di accesso alla rete ferroviaria). Invece, l’industria ferroviaria nel suo complesso non è stata ancora in grado di esprimere una discontinuità di innovazione capace di stare al passo con l’evoluzione della domanda di servizi per il trasporto e la logistica.

Eppure, nonostante le difficoltà ed i ritardi che si registrano, resta aperta l’opportunità di rilanciare il trasporto ferroviario merci in Europa, per tante ragioni:

• le pressioni verso modelli di mobilità sostenibile a minore impatto verso l’ambiente sono già alte, e cresceranno nei prossimi anni: la modalità ferroviaria può fornire un concreto contributo alla riduzione delle emissioni determinate dai sistemi di trasporto, che oggi contribuiscono, in Europa, ad un quarto del totale delle emissioni di CO2;

• la dimensione comunitaria e sovranazionale dei mercati contribuisce a creare le condizioni per valorizzare la competitività potenziale dei servizi ferroviari nelle medie e nelle lunghe distanze a supporto della rete dei collegamenti europei;

• il ruolo strategico della portualità europea richiede una rete di servizi ferroviari merci a supporto della organizzazione dei traffici da e per lo sbocco marittimo; l’intermodalità volge il suo sguardo in modo crescente verso il mondo dei containers, e le ferrovie europee sono sinora riuscite a dare risposta solo parziale a questa domanda.

Insomma, la sfida è ancora aperta, e l’obiettivo di riportare in Europa la quota di mercato dei servizi ferroviari al 20% (così come era negli anni Settanta del secolo passato), rispetto all’attuale 10,8%, è un obiettivo possibile, pur se conseguibile in un orizzonte di medio periodo con comportamenti e politiche coerenti: basti pensare che negli Stati Uniti la quota di mercato dei servizi ferroviari è pari nel 2007 al 45,3%, con una crescita di 8 punti percentuali rispetto ai valori del 1990. Non è insomma iscritto nel DNA del sistema ferroviario un destino di inevitabile declino. I temi trattati in questo Quaderno cercano di contestualizzare le condizioni che si rendono oggi necessarie, in Italia ed in Europa, per perseguire tale traguardo.

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Serviranno certamente un paniere di azioni per ridare competitività alla soluzione ferroviaria per il trasporto merci. Cerchiamo di analizzarle assieme, e di coinvolgere il mondo delle istituzioni, degli operatori ferroviari, dei caricatori per indurli ad operare in una direzione convergente.

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1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Volumi di traffico dei modi di trasporto nella Unione Europea a 27 Stati1995-2008; valori in milioni di Tkm

Road

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Inland Waterway

Oil Pipeline

Air

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42,1 42,1 42,2 42,9 43,5 43,4 43,9 44,5 44,5 45,2 45,5 45,5 45,8 45,9

12,6 12,7 12,8 11,9 11,4 11,5 10,9 10,6 10,7 10,8 10,5 10,8 10,8 10,8 4,0 3,9 4,0 4,0 3,8 3,8 3,7 3,7 3,4 3,5 3,5 3,4 3,5 3,6 3,8 3,9 3,7 3,8 3,7 3,6 3,8 3,6 3,6 3,4 3,4 3,3 3,0 3,0

37,5 37,5 37,3 37,4 37,6 37,5 37,6 37,6 37,7 37,0 37,0 36,9 36,7 36,6

Quote di mercato nel trasporto delle merci nella Europa a 27

Air

Sea

Pipe- lines

Inland Water- ways

Rail

Road

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Considerazioni generali

Il ruolo del trasporto ferroviario delle merci nel mondo è cambiato radicalmente, per effetto dei mutamenti nelle caratteristiche della domanda, dei nuovi assetti di regolazione, delle innovazioni tecnologiche e della globalizzazione dei mercati.

Il modello di servizio universale in monopolio pubblico, che caratterizzava l’organizzazione europea dei servizi ferroviari, è stato superato dal processo di liberalizzazione, che oggi resta ancora a metà del guado, stretto tra la razionalizzazione dei perimetri operativi degli ex-monopolisti e l’ingresso dei nuovi entranti, per ora limitato soltanto ad alcuni segmenti a maggiore attrattività economica.

“Sul versante delle merci, le ferrovie non sono più la panacea per i bisogni di trasporto, potenzialmente presente in ogni luogo e per ogni merce. Al contrario, gli operatori del trasporto ferroviario delle merci si stanno focalizzando in modo crescente sui propri punti di vantaggio competitivo – trasporti di lunga distanza per flussi di merce elevati, sia per commodities a basso valore sia per beni containerizzati che hanno concentrato i propri flussi”1.

Insomma, non siamo più in presenza di un modo di trasporto generalista, che offre un servizio universale rivolto ad una platea indifferenziata di potenziali clienti, nella logica dello sportello disponibile al pubblico. Questa è l’eredità, ormai in fase di superamento, del vecchio assetto monopolistico in proprietà pubblica.

Oggi ci dobbiamo confrontare tutti con un assetto di mercato, nel trasporto e nella logistica, che richiede, come requisiti primari della domanda, performance di affidabilità e frequenza del servizio, elementi imprescindibili per la fidelizzazione della clientela.

Inoltre, la competizione imperante in ogni settore dell’economia, e la conseguente ricerca della massima efficienza nell’acquisto di servizi di trasporto, ha esaltato la propensione alla ricerca del minimo prezzo anche per i servizi di trasporto e di logistica.

Il trasporto su gomma, per le sue caratteristiche, per la relativa libertà di comportamento rispetto a regole e divieti, e confidando, particolarmente in paesi come l’Italia, su generosi aiuti pubblici, ha potuto e saputo rispondere meglio di quello ferroviario alle richieste del mercato, consolidando il suo ruolo di il protagonista indiscusso del trasporto merci.

1 Louis S. Thompson, “Liberalization and commercialization of the world’s railways: progress and key regulatory issues”, dattiloscritto, International Transport Forum, Forum Papers n. 6, 2009, p. 3.

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D’altra parte, a livello di Unione Europea, ma anche in molti singoli paesi europei ed extraeuropei, è cresciuta in questi anni la sensibilità verso un esame a 360 gradi della dinamica e delle modalità di crescita del trasporto, sia delle merci che delle persone, e l’attenzione generale si è sempre di più focalizzata sulla necessità di tenere in considerazione, nelle scelte di lungo termine, i costi totali per ogni modalità, mettendo in luce tutti quei elementi “esterni”, trascurati a livello di analisi economica di breve termine.

Si è quindi esaminato per ciascuna modalità di trasporto, non solo gli elementi tradizionali (costo dei mezzi, del personale, dell’”energia”), ma anche quelli “esterni” connessi alla specifica modalità (costi sociali collegati all’incidentalità, all’evasione previdenziale, all’inquinamento ambientale, ai danni alla saluti delle popolazioni che vivono lungo le vie di traffico, alla congestione urbana,ecc..).

Sono disponibili molti studi a livello internazionale su tali elementi: tutti danno una chiara indicazione sulla necessità di dare maggiore spazio al trasporto su ferro, anche se le lobby del trasporto su gomma tendono a porre tale necessità in termini di convenienza economica solo per trasporti di lunghezza rilevante (800-1000km).

Per dare una idea concreta dell’entità dei costi esterni specifici per ciascuna modalità, citiamo i parametri ufficialmente adottati dalla Unione Europea per la valutazione della sola parte “quantitativa”(a cui bisogna aggiungere quella “qualitativa” relativa a inquinamento di zone sensibili, di zone urbane, all’utilizzo di carburanti più o meno inquinanti..):

Costi Esterni Specifici

Modalità di trasporto Costi Esterni Specifici € per ton-km

Strada 0,035

Cabotaggio 0,009

Ferrovia 0,015

Fluviale 0,010

fonte: UE - Progetto Marco Polo II - Call 2010 – Appendix 3

In pratica, accettando la valutazione “ UE-Marco Polo”, per ogni ton-km di traffico che passa dalla strada alla ferrovia, si risparmierebbero, solo per costi esterni “quantificabili” , 0,020€, pari, per un camion con portata utile di 25 ton, a 0,50 € per veicolo – km!

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(Per dati di maggiore dettaglio si veda: Handbook on estimation of external costs in the tran sport sector Produced within the study Internalisation Measures and Policies for All external Cost of Transport (IMPACT) Version 1.1 – Feb. 2008)

Esiste dunque una forte necessità per determinare una spinta verso la rivitalizzazione dell’industria del trasporto ferroviario merci in Europa. Come accennato in premessa, molti elementi strutturali inducono a ritenere indispensabile un maggiore ricorso a questo modo di trasporto:

• gli obiettivi di riequilibrio ambientale, coerenti con le politiche adottate in sede internazionale, richiedono un forte riequilibrio verso un maggiore ricorso al trasporto ferroviario, che consente di ridurre gli impatti negativi del trasporto su gomma;

• i costi di congestione, ed in generale le esternalità negative della soluzione tutto gomma, inducono a ritenere che le politiche europee si indirizzeranno in modo crescente verso soluzioni fiscali di internalizzazione dei costi esterni, che modificheranno gli attuali assetti di pricing che hanno finora avvantaggiato la soluzione del trasporto stradale;

• gli ingenti investimenti che l’Europa ha realizzato, e sta realizzando, nella costruzione di una rete transeuropea di infrastrutture ferroviarie indurrà nel tempo una maggiore disponibilità di capacità per il trasporto ferroviario, ponendo finalmente rimedio al deterioramento nella qualità dei servizi erogati, che è stata certamente una delle cause del declino di questa modalità di trasporto nei passati decenni.

L’Unione Europea, e molti singoli Paesi, sono ben convinti della necessità di favorire il trasporto su ferro ed insieme di introdurre un sistema per recuperare parte dei costi esterni causati dall’autotrasporto. Quindi, da una parte sono stati messe in atto, sia dall’Unione Europea che da singoli Paesi membri, azioni di sostegno al trasporto ferroviario, e dall’altra sistemi di tasse (o pedaggi) per il recupero – almeno parziale - dei costi “esterni”.

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Alla stessa esigenza – quella di cercare di frenare la caduta delle quote di mercato del trasporto su ferro – risponde il tentativo di migliorare la competitività del sistema, attraverso molteplici approcci su infrastrutture, rete, sistemi gestionali, ingresso di nuovi attori, innovazioni tecnologiche.

In questa sede intendiamo focalizzare la nostra attenzione sulle possibilità di promuovere il riequilibrio modale a favore del trasporto su gomma attraverso il miglioramento della competitività del sistema legato alla liberalizzazione e all’innovazione del settore.

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PARTE PRIMA

LA LIBERALIZZAZIONE DEL TRASPORTO FERROVIARIO MERCI IN ITALIA

LO STATO DELL’ARTE E LE QUESTIONI APERTE

A cura del Gruppo di Lavoro FLC “Liberalizzazione”

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A1. Diagnosi, opportunità e criticità del settore ferroviario

Affrontare il tema della liberalizzazione del settore ferroviario in Europa, ed in Italia in particolare, richiede una premessa relativa alle condizioni strutturali di questo mercato, analizzandone i principali profili di tipicità.

Nell’attuale scenario di forte discontinuità, quale quello delineato nell’introduzione, si inserisce la necessità di aprire il mercato del trasporto ferroviario alla competizione tra diversi operatori.

E’ questa la convinzione che ha condotto l’Unione Europa ad avviare, ormai nel 1991, un processo di riconfigurazione del modello di regolazione del trasporto ferroviario, introducendo prima la separazione tra gestione della infrastruttura ed esercizio delle attività di trasporto, per poi avviare progressivamente meccanismi di competizione nel trasporto ferroviario delle merci e nel trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, riservando invece all’area del servizio pubblico universale i servizi di trasporto regionale e metropolitano.

Va sottolineato con onestà che l’osservazione dei risultati raggiunti sinora non conforta la convinzione secondo la quale il processo di liberalizzazione avrebbe determinato un recupero di competitività del trasporto ferroviario delle merci.

Se la quota di mercato delle ferrovie nel trasporto merci nell’Europa dei 15 era già diminuita di oltre cinque punti tra il 1980 ed il 1990, arrivando a circa il 20%, altri cinque punti sono stati persi sino al 2007, arrivando ad una quota attorno al 14 per cento.

Con la crisi economica degli ultimi anni, pur se non si dispone ancora di statistiche consolidate, è ragionevole ipotizzare che si sia determinato un ulteriore slittamento a vantaggio del trasporto su gomma.

“Mentre potrebbe essere possibile argomentare che la tendenza sarebbe stata ancora meno positiva in assenza delle direttive comunitarie, sembra egualmente difficile arguire che gli obiettivi di crescita della quota modale delle ferrovie nel trasporto merci siano stati raggiunti”2.

Eppure, nonostante i deludenti risultati conseguiti negli ultimi decenni, comincia a delinearsi, in una prospettiva di medio termine, un quadro che

2 Louis S. Thompson, “Liberalization and commercialization of the world’s railways: progress and key regulatory issues”, dattiloscritto, International Transport Forum, Forum Papers n. 6, 2009, p. 15

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porta a ritenere possibile una riorganizzazione del trasporto ferroviario delle merci in direzione di un deciso recupero di competitività, a condizione che si operi per completare il processo di liberalizzazione ormai avviato, che si lavori in direzione di una innovazione strutturale ed organizzativa nella erogazione dei servizi, che si determini un quadro coerente di politica dei trasporti, a livello europeo, nazionale e regionale.

Tornare in Europa ad una quota di mercato del trasporto ferroviario al 20% è un obiettivo non irrealistico, con una velocità che sarà evidentemente differente nei diversi Paesi in funzione anche degli attuali punti di partenza. La componente più dinamica che si svilupperà sarà quella dei collegamenti su scala comunitaria, nelle relazioni di traffico internazionale, per le quali già oggi il trasporto stradale comincia a manifestare difficoltà a reggere il passo di una competizione sul prezzo difficile da mantenere.

Perché ciò accada, è indispensabile che la rete dei collegamenti ferroviari sovranazionali di dimensione europea possa contare anche su una rete di servizi nazionali di rilancio per servire i principali mercati locali. A tal fine va riscritta la rete dei collegamenti, va ripensato un sistema di rete capace di gerarchizzare i flussi di domanda concentrandosi in hub principali che siano in grado di generare quei volumi e quelle masse critiche indispensabili per la competitività della soluzione ferroviaria.

Insomma, si tratta di analizzare e comprendere quali possano essere gli elementi di rilancio per la competitività della soluzione ferroviaria ed intermodale. Ne scegliamo due in particolare, perché a noi paiono fattori primari di analisi dai quali partire per comprendere quali debbano essere gli assetti delle politiche pubbliche intesi a favorire effettivamente un riassetto complessivo del mercato, per realizzare quel rilancio del trasporto ferroviario delle merci che tutti invocano a parole, salvo poi a non costruire coerentemente quelle condizioni indispensabili per passare dalle prediche ai fatti.

Non ci soffermiamo, invece su due altri elementi strutturali particolarmente rilevanti, trattati in modo ampio altrove, che sono certamente comunque rilevanti per l’assetto del sistema logistico nazionale:

• siamo in presenza di una struttura della domanda di servizi di trasporto polverizzata, per effetto di un dimensionamento prevalente del sistema di imprese italiane basato sulle piccole e medie aziende, fortemente ancora caratterizzato dalla gestione del trasporto in conto proprio e dalla vendita franco fabbrica, con una

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conseguente ancora bassa incidenza dell’outsourcing logistico e dell’inadeguato ricorso a servizi professionali3;

• il sistema di offerta attuale aderisce in modo simmetrico alle caratteristiche di una domanda frammentata e polverizzata, articolata secondo flussi di traffico spesso sbilanciati che favoriscono inevitabilmente il trasporto su gomma, per sua natura più flessibile.

I due temi strutturali sui quali occorre riflettere più specificamente sono:

• i vincoli derivanti dall’assetto infrastrutturale;

• le condizioni economiche del passaggio dal monopolio alla liberalizzazione.

Analizziamo entrambi questi elementi per poter definire una cornice di analisi che sia poi utile per valutare meglio i fattori di politica macroeconomica dei trasporti e di scelte microeconomiche degli operatori, che saranno analizzati nel corso del secondo e del terzo paragrafo di questo documento.

A1.1 Lo scenario infrastrutturale e le politiche di liberalizzazione

Come è noto, l’Europa ha adottato un modello di liberalizzazione del trasporto ferroviario diverso dalle scelte che sono state operate in altri settori delle public utilities dalla stessa Unione Europea4 ed anche diverso dai modelli percorsi in altri Paesi per superare l’organizzazione monopolistica del mercato ferroviario5.

3 Il basso ricorso all’outsourcing ed il livello di gestione ancora artigianale del ciclo logistico nel nostro Paese sono certamente tra le cause di posizionamento non di eccellenza che l’Italia registra nella recente graduatoria sulle performances logistiche dei Paesi redatta da World Bank in “Connecting to compete 2010. Trade Logistics in the global economy”. Il nostro Paese si colloca al 22 posto, in un settore dal quale dipende la competitività e lo sviluppo: “una migliore performance logistica è fortemente associata alla espansione del commercio, alla diversificazione nell’export, alla capacità di attrarre investimenti esteri, e alla crescita economica”. 4 Negli altri casi di sistemi a rete (telecomunicazioni, energia), l’Unione Europea ha deciso un modello di liberalizzazione che ha mantenuto l’integrazione verticale tra rete e servizi. 5 Negli Stati Uniti la riforma del sistema ferroviario merci americano ha anche in questo caso mantenuto l’integrazione verticale tra gestione della rete ed organizzazione dei servizi di trasporto, privilegiando misure che sono andate nella direzione di liberalizzare maggiormente i prezzi e di consentire alle imprese percorsi di ristrutturazione capaci di generare redditività attivando per questa via il rilancio del settore. A valle dello Staggers Act approvato dal Congresso USA nel 1980, si è determinato un processo di riorganizzazione del mercato ferroviario che ha migliorato la redditività delle imprese e che ha generato anche una sostanziale riduzione dei prezzi per il mercato. L’interesse

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Si è operata nel mercato comunitario la strada di separare la gestione delle infrastrutture, che resta nella sfera della titolarità pubblica, dalla gestione dei servizi ferroviari, che, nel caso del trasporto merci e del trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza, ha intrapreso un progressivo processo di liberalizzazione del mercato, non ancora completato (in particolare per il trasporto viaggiatori).

Contestualmente, è stata avviata, sin dal Libro Bianco di Delors, una azione europea di promozione dei grandi investimenti infrastrutturali, con l’obiettivo di migliorare la qualità della dotazione di rete dei Paesi comunitari costruendo corridoi ed itinerari prioritari di interesse sovranazionale.

Ovviamente, essendo questa iniziativa connessa non solo a fondi comunitari, ma anche a fondi dei singoli Stati, la velocità di attuazione è stata a geometria variabile, ed il disegno comunitario a regime è ancora lontano dall’essere disegnato e costruito nella sua interezza.

Ancora distante è in particolare l’obiettivo della interoperabilità degli standard tecnici, sia per le caratteristiche delle reti, sia per i sistemi di circolazione, sia per le scelte di alimentazione elettrica, sia per la interoperabilità del materiale rotabile sulle infrastrutture europee.

Anzi, è da notare che l’avvio del percorso verso l’interoperabilità è abbastanza successivo rispetto all’avvio del processo di liberalizzazione delle condizioni di accesso del settore ferroviario nei segmenti del trasporto delle merci e dei passeggeri di lunga percorrenza.

Sulle stesse regole per la sicurezza dell’esercizio ferroviario secondo norme comuni il percorso ha preso avvio solo di recente, con la costituzione dell’Agenzia Ferroviaria Europea (ERA), dotata in questo momento di poteri più di indirizzo che di controllo e supervisione.

Ci troviamo dunque in presenza di un sistema di infrastrutture ferroviarie in Europa ancora a geometria fortemente variabile, fortemente caratterizzato da un governo a connotazione prevalentemente nazionale nella gestione e nello sviluppo delle diverse reti nazionali, mentre si intende disegnare un mercato dei servizi ferroviari di dimensione comunitaria che richiederebbe una più forte armonizzazione nel governo della capacità infrastrutturale.

degli investitori per le imprese ferroviarie è costantemente aumentato. Ne è testimonianza, proprio di recente, l’acquisizione da parte di Warren Buffet della Burlington Northern Santa Fe, una delle principali compagnie ferroviarie merci del mercato nord-americano. Anche questo è un segnale che va nella direzione di una ripresa di competitività strutturale dell’industria ferroviaria merci: se uno dei principali investitori internazionali decide di puntare sulla acquisizione di una azienda del settore, vuol dire che le prospettive di medio termine inducono a ritenere possibile un ritorno interessante sull’investimento.

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Sono due le questioni sulle quali è opportuno soffermare l’attenzione per introdurre elementi di discontinuità che vadano nella direzione di migliorare la competitività delle imprese ferroviarie di trasporto merci:

• le scelte per la determinazione del valore del pedaggio di accesso alla rete;

• le politiche di investimento.

A1.1.1 Il pedaggio di accesso alla rete ferroviaria

Nel mondo le ferrovie si sono schematicamente suddivise, laddove è previsto un esercizio misto tra passeggeri e merci, tra sistemi ad orientamento dominante passeggeri e sistemi ad orientamento dominante merci.

“Le ferrovie ad orientamento dominante merci tendono ad organizzarsi prevalentemente sulla base della domanda degli operatori marittimi, con gli operatori ferroviari passeggeri (in termini di frequenza ed affidabilità del servizio) che assumono un ruolo secondario. Nelle ferrovie ad orientamento dominante passeggeri, invece, si tende ad operare per il beneficio dei servizi viaggiatori, con una capacità ed una qualità del servizio merci che ne soffre di conseguenza”6.

La situazione tra ferrovie ad orientamento dominante merci ed orientamento dominante passeggeri è molto variegata nel mondo: oltre il 99% del traffico intercity è merci in Canada e negli Stati Uniti, in Russia la percentuale è pari al 92% ed in Cina al 76%.

Nei 10 Paesi dell’Est Europa che hanno aderito all’Unione resta ancora prevalente la matrice merci, con il 76%, mentre negli altri 15 Paesi dell’Europa Occidentale che sono nella Unione la percentuale scende al 43%. In Italia siamo, con dati sulle unità di traffico aggiornati al 2008, ancora al di sotto, con una incidenza delle unità di traffico merci sul totale pari al 34,7%.

Molte delle reti ferroviarie europee, e quella italiana in particolare, sono quindi ad orientamento dominante passeggeri, ed i gestori della infrastruttura subiscono maggiore pressione per assicurare l’accesso a condizioni ottimali ai treni viaggiatori. I treni merci in linea generale hanno maggiore difficoltà ad ottenere accesso alla rete – soprattutto ai nodi - nelle fasce orarie determinanti per assicurare consegne in giornata con la distribuzione camionistica. 6 Louis S. Thompson, “Liberalization and commercialization of the world’s railways: progress and key regulatory issues”, dattiloscritto, International Transport Forum, Forum Papers n. 6, 2009, p. 4.

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Sfortunatamente, il traffico su gomma non subisce simili limitazioni, e di conseguenza ne soffre la competitività della soluzione ferroviaria.

Resta dunque ancora forte l’orientamento delle reti ferroviarie europee a favorire, nella allocazione della capacità, il traffico passeggeri. Visti i valori riportati, questa tendenza è ancora più accentuata per l’Italia: i criteri di assegnazione delle tracce prevedono prevalentemente una priorità per i servizi pendolari e di lunga percorrenza passeggeri. I treni merci hanno tuttavia la priorità nella fascia notturna (dalle 22 alle 6) e di giorno sulle linee specializzate per i servizi merci.

Ancora oggi non esiste una capacità residua nelle fasce orarie strategiche per il traffico merci nelle aree di maggior interesse per la competizione tra operatori ferroviari (nodi delle aree metropolitane, terminali di maggiore interesse per i flussi di traffico).

A monte di questo fenomeno emerge il dilemma strutturale tra la necessità di adeguare un sistema alle caratteristiche della domanda e i vincoli economici che ne derivano. La specializzazione delle linee ferroviarie per segmento di business, che porterebbe ad aumentare, anche in modo significativo, la potenzialità e la produttività di una rete ferroviaria, implicherebbe la possibilità, prima di tutto fisica (disponibilità di spazio), e poi economica, di realizzare duplicazioni di grandi tratti della rete.

Il processo avviato per i sistemi AV ha queste caratteristiche, ma l’adeguamento delle parti di rete “tradizionale” trova scarso appeal finanziario. Un ragionamento sulla costituzione di alcuni corridoi, europei e nazionali, prevalentemente specializzati per il traffico merci, può essere una delle strade da esaminare, come indicano alcune analisi condotte dalla Commissione della Unione Europea.

L’assetto attuale della ripartizione delle tracce comporta che la capacità assegnata ai servizi merci sia inevitabilmente residuale, determinando per questa via costi maggiori per gli operatori del settore, indotti da una minore velocità commerciale e da una disottimizzazione delle percorrenze rispetto alle richieste del mercato.

Anche in termini di priorità nei criteri di circolazione, il trasporto delle merci subisce una penalizzazione rispetto ai traffici passeggeri: a fronte di una perturbazione in esercizio, i treni merci vengono subordinati rispetto ai convogli passeggeri, determinando per questa via una ripartizione dei ritardi tra tipologie di servizi che non è equidistribuita.

Minore appetibilità delle tracce orarie dal punto di vista commerciale, subordinazione nei criteri di priorità di accesso, penalizzazione nella circolazione in caso di perturbazione delle linee si traducono in maggiori costi di produzione per le imprese ferroviarie che erogano trasporto

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merci, ed in minore capacità di competitività delle proposte commerciali: insomma, in sintesi, maggiori costi e minori ricavi.

Intendiamoci, queste scelte sono assolutamente comprensibili, in un contesto di risorse contendibili e scarse, nelle quali il gestore della infrastruttura deve definire regole di allocazione e gestione delle priorità di circolazione. Ed è intuitivo pensare che sarebbe poco ragionevole immaginare di assegnare una priorità ai treni merci rispetto ai servizi per i pendolari e per i viaggiatori di media e lunga percorrenza7.

Queste regole dovrebbero però essere bilanciate almeno da un fattore di correzione nel costo di accesso alla rete ferroviaria: l’algoritmo di determinazione dei pedaggi potrebbe, in termini concreti, contenere un fattore di correzione dato dai criteri di priorità nella allocazione della capacità e dai criteri di priorità nella gestione della circolazione in caso di eventi perturbati. In questo modo, almeno sotto il profilo dell’impatto economico derivante dalla allocazione e dalla gestione della capacità di rete, si determinerebbe una condizione di minore subalternità del trasporto merci nel mercato ferroviario.

Va sottolineato che l’attuale sistema di determinazione del pedaggio sulla rete ferroviaria nazionale (disciplinato dal DM 43T/2000) è tale da comportare complessivamente per il trasporto merci un livello medio di pedaggio inferiore a quello degli altri comparti del trasporto ferroviario (2,42 euro a treno/km rispetto a 3,52 per il trasporto regionale e 2,67 per la media e lunga percorrenza passeggeri, sulla base dei dati dell’orario 2009-2010).

Tale valore non dipende però da uno specifico fattore di correzione, bensì dall’insieme dei parametri che concorrono a determinare il pedaggio, e dalla distribuzione spazio-temporale del traffico.

Una alternativa tesa a considerare il livello di prestazione erogata dal gestore della infrastruttura può essere quella di definire ed introdurre SLA (service level agreement) per le tracce di accesso alla rete, in modo tale da pagare un corrispettivo commisurato alla qualità effettiva della traccia utilizzata, e non alla qualità della traccia programmata, che spesso non coincide con le condizioni effettive di esercizio per i treni merci.

Anche in questo caso, si potrebbero determinare condizioni per bilanciare una struttura di costi di esercizio che è direttamente connessa alla qualità dei servizi infrastrutturali di accesso erogati dal gestore della rete, evitando che le conseguenze di una circolazione perturbata, in termini di

7 La Commissione della Unione Europea sta provando, da diverso tempo, ad elaborare proposte per disporre di segmenti di rete ferroviaria dedicata al trasporto delle merci, in modo tale da evitare i conflitti di attribuzione della capacità cui abbiamo fatto riferimento, senza ricevere, per il momento, un interesse da parte degli Stati.

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qualità del servizio per il cliente ed in termini di maggiori costi operativi, sia a carico esclusivo dell’operatore del trasporto ferroviario delle merci.

Qualora debbano essere previsti meccanismi di ulteriore abbattimento del pedaggio per il trasporto ferroviario delle merci, si dovrebbe allora definire se questa diversa ripartizione del montante dei pedaggi si debba poi tradurre in un maggior costo per l’esercizio dei treni pendolari e passeggeri di lunga percorrenza, oppure in un intervento pubblico a sostegno della rete per evitare che i maggiori costi di pedaggio si traducano in una penalizzazione economica del traffico passeggeri.

A nostro avviso la seconda strada potrebbe essere evidentemente più opportuna, considerando gli impatti positivi in termini di esternalità e di rispetto dell’ambiente che derivano ovviamente anche dal ricorso alla modalità ferroviaria per il traffico passeggeri, come per il traffico merci.

Da una analisi di benchmark effettuata su alcuni Paesi europei di tariffazione per l’uso della infrastruttura ferroviaria, risulta che alcuni sistemi considerano il tipo di servizio come variabile per la definizione del pedaggio, in maniera tale da determinare, a parità di condizioni, pedaggi inferiori per il trasporto merci (es. Francia, Spagna, Belgio).

Il sistema belga prevede in particolare un coefficiente di priorità di circolazione, a favore dei treni merci (soprattutto se lenti). Altri, al contrario, prevedono una maggiorazione (es. Portogallo).

Questo ragionamento riguarda in particolare l’accesso alle reti ferroviarie nei nodi e nei punti maggiormente congestionati delle infrastrutture ferroviarie, proprio laddove, inevitabilmente, si condensa il conflitto nella allocazione della capacità. In queste circostanze si tratterebbe di agire anche con la leva di mirati investimenti di potenziamento finalizzati ad aumentare la capacità complessiva di tracce disponibili di buona qualità.

In ogni caso, sarebbe opportuna anche una semplificazione del modello per la determinazione del pedaggio di accesso alla rete, in modo tale da rendere maggiormente trasparente il meccanismo di valorizzazione di tale prestazione, mettendo in condizione le imprese ferroviarie di effettuare simulazioni anche sui possibili percorsi alternativi finalizzati ad ottimizzare questa voce di costo.

Esiste poi la questione della riallocazione della capacità infrastrutturale e della ripartizione tra le diverse imprese ferroviarie. Andrebbe valutata, in funzione dell’attuale regime delle penali, la possibilità di introdurre una regola nel prospetto informativo della rete che preveda che, una volta scaduto un termine da determinare, in assenza di un uso effettivo della capacità, la traccia sia messa a disposizione del mercato..

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Andrebbe introdotta una regola nel prospetto informativo della rete che, scaduto un termine da determinare, in assenza di un uso effettivo della capacità, tale traccia viene messa a disposizione del mercato.

Le politiche di investimento che vanno nella direzione di offrire capacità aggiuntiva per il traffico merci, andrebbero supportate da politiche di determinazione del pedaggio per il passaggio dei treni merci sulla rete alta capacità che tengano conto del fatto che per gli operatori si tratterebbe comunque di affrontare scelte di aggravio di costi dal punto di vista del materiale rotabile, assunto il diverso voltaggio della alimentazione elettrica rispetto alla rete tradizionale.

In effetti, avendo per il momento fissato il pedaggio di accesso alla nuova rete per i treni merci ad un valore incompatibile con la capacità economica di questo segmento di mercato (circa 6,5 euro a treno/km per i treni merci sulla nuova rete, rispetto ai circa 2,5 euro a treno/km per la rete tradizionale), si sono di fatto depotenziati, almeno in parte, gli obiettivi di incremento della capacità infrastrutturale dedicata al trasporto merci in Italia.

Va poi osservato che una parte rilevante del trasporto ferroviario delle merci (in Italia più della metà dell’intero traffico) è transfrontaliero, per cui è essenziale non solo aver riferimento alla politica nazionale dei pedaggi, ma anche alle scelte degli altri Pesi comunitari.

Da tale punto di vista, siamo in presenza di indirizzi di politica nazionale dei trasporti che non generano ancora un orientamento omogeneo a livello comunitario, sia in termini di logica di pricing, sia in termini di priorità di accesso, sia in termini di parametri adottati per la ripartizione del montante dei costi tra le diverse tipologie di servizio ferroviario8.

Dalle analisi disponibili sulle politiche per la tariffazione d’uso delle infrastrutture ferroviarie in Europa “emerge una elevata variabilità dei pedaggi nei sistemi ferroviari europei, con un range da 10 ad 1 tra i sistemi a più basso prezzo e quelli a più alto livello di pedaggio … Alcuni sistemi di pedaggio (in linea con l’indirizzo europeo) definiscono il montante sulla base del costo marginale, coprendo il resto dei costi con il supporto economico dei Governi, mentre altri sistemi tentano di recuperare il pieno costo, compresi gli oneri finanziari, con gli introiti del pedaggio di accesso”9.

In un mercato del trasporto ferroviario delle merci che è, e sarà sempre più, di scala europea piuttosto che nazionale, la conseguenza è che singole decisioni di un Governo, e di un gestore di una rete ferroviaria,

8 Per una analisi dettagliata sul tema cfr. OECD, “Charges for the use of rail infrastructure, International Transport Forum, 2008, dattiloscritto. 9 OECD, “Charges for the use of rail infrastructure”, dattiloscritto, 2008, p. 7

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rischiano di condizionare gli assetti dell’equilibrio modale sulla intera direttrice, condizionando gli esiti della competizione tra i diversi modi di trasporto. E’ per questa ragione che comincia a essere necessaria una politica europea in tema di canoni di accesso alle infrastrutture ferroviarie comunitarie.

Si tratta di un tassello mancante nella strategia regolatoria della Unione Europea, che ha disegnato un quadro di norme per la liberalizzazione ancora fortemente guidato, nella sua fase applicativa, dalle scelte dei singoli Stati nazionali, senza un disegno di sistema che favorisca la formazione di un mercato di dimensione comunitaria per il settore.

Il successo o l’insuccesso della politica europea di liberalizzazione nel trasporto ferroviario delle merci dipende anche dalla capacità di creare un mercato di dimensione comunitaria, superando gli ostacoli che ancora si frappongono ad una gestione integrata: “Per il mercato europeo del trasporto merci in particolare, la frammentazione ai confini nazionali è stata, ed è ancora, uno dei maggior handicap nel perseguimento dell’efficienza”10.

A1.1.2 Le politiche di investimento per il trasporto merci

Nelle politiche di investimento prevale un approccio che pone al centro dell’attenzione, nella opinione pubblica e nei decision makers, i grandi investimenti infrastrutturali sui corridoi, soprattutto per il traffico passeggeri nelle reti ad alta velocità, mentre rischiano di restare nell’ombra, ed in una bassa scala di priorità, quegli investimenti mirati di potenziamento che sono finalizzati principalmente al trasporto delle merci, in particolare, oltre che nei colli di bottiglia, anche per l’accesso ai terminal portuali, situati spesso all’interno di nodi congestionati.

Sarebbe opportuno, su questo aspetto, un atto di indirizzo della Unione Europea ed una attenzione nelle scelte dei singoli Stati nazionali e dei singoli gestori delle reti ferroviarie europee.

Si tratta di effettuare una ricognizione sugli interventi prioritari opportuni per migliorare a qualità infrastrutturale delle reti per il traffico merci, almeno sui corridoi principali, prendendo in considerazione, all’interno di questi assi, le “piccole opere” di adeguamento infrastrutturale tali da generare maggiore capacità aggiuntiva e migliore qualità dei servizi erogati alla clientela.

10 OECD, “Integration and competition between transport and logistics businesses”, dattiloscritto, 209, p. 14.

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Sempre in tema di definizione di gerarchie e di priorità nell’allocazione delle risorse disponibili per investimenti infrastrutturali, c’è da registrare che “a differenza di quanto accade per altri Paesi europei, non si riscontra in Italia alcun polo dotato di sufficiente forza per imporre la realizzazione di opere che corrispondano all’interesse nazionale. Anche le aree economicamente più attive ed orientate all’esterno tendono a muoversi in una prospettiva circoscritta, per cui la domanda di nuove infrastrutture si riferisce generalmente a emergenze territorialmente limitate all’ambito regionale”11.

Si delinea in questo modo una discussione sugli interventi infrastrutturali giocata in chiave di campanile e di localismo, quando per il miglioramento di competitività del sistema logistico occorre ragionare per corridoi e per un sistema coordinato di interventi che ne migliorino la potenzialità e la capacità in ottica non puntuale, ma sistemica.

A1.2 Le condizioni economiche per il passaggio dal monopolio alla liberalizzazione

Occorre sottolineare che il passaggio dal monopolio alla liberalizzazione, nel caso del trasporto ferroviario delle merci, avviene in una condizione di partenza, dal punto di vista del conto economico degli incumbent, di estrema negatività: la gran parte dei rami di azienda delle aziende ferroviarie eredi del monopolio presenta pesanti perdite di esercizio, con una conseguente incapacità ad investire nell’ammodernamento della flotta di locomotive e carri necessari per assicurare qualità all’esercizio.

Ci troviamo in presenza quindi di un processo di liberalizzazione che non presenta la condizione di poter redistribuire ai clienti, grazie alla apertura del mercato alla competizione, la rendita del monopolista, come è accaduto per altri settori delle public utilities, come le telecomunicazioni e l’energia.

Siamo piuttosto in presenza di una restituzione della perdita al mercato (o alla fiscalità generale). Questa condizione induce i nuovi entranti a concentrare la propria azione sui segmenti maggiormente profittevoli (o meno in perdita), determinando per questa via ulteriori difficoltà di conto economico e di posizionamento competitivo agli incumbent, rendendo paradossalmente ancor più difficile la ristrutturazione dell’operatore ex-monopolista, in quanto aggredito dai nuovi entranti sui segmenti di maggiore interesse dal punto di vista della potenziale profittabilità.

11 Italiadecide, “Rapporto 2009 Infrastrutture e territorio”, Il Mulino, 2009, p. 29.

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Forse, non si è riflettuto abbastanza su questa condizione strutturale del mercato, ed ora si cominciano, in coincidenza con la crisi economica internazionale ancora in corso, se ne cominciano a vedere le conseguenze.

Gli incumbent sono costretti a programmi severi di razionalizzazione del perimetro operativo, eliminando i servizi in maggiore perdita, mentre i nuovi entranti non sono nella condizione di entrare sul mercato generando un effetto sostituzione adeguato, in quanto si sono dimensionati, in un mercato a basso tasso di profittabilità, solo per cogliere le opportunità di nicchia che presentano condizioni di sostenibilità.

Questa condizione è particolarmente accentuata in Italia: la liberalizzazione del mercato si sta configurando mediante la formazione di nuovi soggetti che avviano la propria operatività, disponendo di licenza e certificato di sicurezza, con una dimensione però che non è adeguata per rappresentare alternative di sistema all’arretramento del perimetro operativo che Trenitalia Cargo sta operando nel corso degli ultimi anni.

Nel percorso di recepimento delle direttive comunitarie sulla liberalizzazione ferroviaria non si sono valutati quegli spazi, pur possibili per il diritto comunitario, di adattamento delle norme per renderle coerenti con la situazione effettiva del tipo di mercato che si voleva creare per offrire agli operatori una opportunità di scelta plurale rispetto al ricorso all’impresa monopolista.

Avendo recepito le norme europee nell’ordinamento italiano in modo quasi letterale, si è persa l’opportunità di introdurre forme di regolazione del mercato che tenessero in considerazione le specificità che si ereditavano comunque dalla precedente situazione di assetto monopolistico. Andavano probabilmente definite, sin dall’avvio del processo di liberalizzazione, azioni di politica industriale a sostegno della ristrutturazione e della riorganizzazione del settore, in modo tale da determinare condizioni di gestione tali da attrarre investitori in funzione di una potenziale, interessante, redditività.

In altri termini, andavano incentivate regole di settore, a partire dal contratto di lavoro, coerenti con la formazione di un costo di produzione del servizio ferroviario merci capace di risultare competitivo rispetto ai concorrenti modali, e capace di determinare per gli operatori un utile di impresa, necessario anche per investire nel rinnovamento delle risorse tecniche.

Ora i nodi che erano in qualche modo incapsulati e nascosti nella precedente organizzazione del sistema ferroviario sono venuti al pettine, e le conseguenze sono quelle di un modello fragile di passaggio verso la concorrenza, in quanto mancavano, ed ancora oggi mancano del tutto, le

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condizioni perché si sviluppi il mercato ferroviario in condizioni di sostenibilità economica per le imprese.

Le Imprese Ferroviarie in possesso di licenza valida per il trasporto merci sono complessivamente in Italia 27, così distinte:

- 16 Imprese Ferroviarie con licenza tipologia di trasporto "Merci e Passeggeri": Trenitalia, LeNord, Trasporto Ferroviario Toscano, Ferrovia Adriatico Sangritana, Ferrovia Centrale Umbra, Ferrovia Emilia-Romagna, Ferrovie del Gargano, Sistemi Territoriali, SERFER Servizi Ferroviari, MetroCampania N.E., Ferrotramviaria, Ferrovie Udine Cividale, Rail One, VC Italia, Inrail, Compagnia Ferroviaria Italiana.

- 11 Imprese Ferroviarie con licenza valida esclusivamente per tipologia di trasporto "Merci": NordCargo, Rail Traction Company, Hupac, SBB Cargo Italia, SNCF Fret Italia, Linea, Crossrail Italia, Rail Italia, General Transport Service, Interporto Servizi Cargo, DB Schenker Rail Italia.

Tra queste, le Imprese titolari di contratto "merci" per l’orario in corso risultano essere 19.

C’è piuttosto la percezione che almeno una parte delle nuove imprese che si sono affacciate sul mercato possano essere (ed in parte già questo è accaduto) cavallo di troia per una penetrazione sul mercato italiano di altri soggetti europei eredi del monopolio, con un fenomeno di colonizzazione che il nostro Paese ha già vissuto anche in altri processi di liberalizzazione.

In tutti i mercati che affrontano un processo di liberalizzazione, ad una fase di dispersione dell’offerta in una pluralità di operatori, segue un processo di scrematura del mercato che consente solo alle imprese maggiormente robuste di restare solidamente attori del mercato.

Si tratta di processi di trasformazione che si sono determinati in tutti i settori soggetti nel recente passato a processo di apertura del mercato alla competizione (trasporto aereo, telecomunicazioni, energia); ciò accade mediante percorsi di integrazione, che possono essere orizzontali (all’interno dello stesso settore tra operatori), o verticali (tra segmenti integrabili di servizio per ricostruire una catena del valore maggiormente unitaria verso il cliente finale).

Quello che è singolare nella vicenda della liberalizzazione ferroviaria su scala europea è che si siano cominciati a manifestare processi di riorganizzazione e di nuova concentrazione, essenzialmente orizzontali, ancor prima che si potesse dispiegare pienamente la logica concorrenziale.

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Probabilmente, in assenza di un quadro compiuto di regole per una effettiva liberalizzazione, gli attori più forti del mercato hanno colto l’opportunità della apertura del mercato per riconfigurare la propria presenza sull’intero scacchiere del mercato europeo, procedendo ad un riposizionamento strategico che ha utilizzato la leva regolatoria innescata dal graduale, ed incerto, processo di liberalizzazione.

Protagonista di questo disegno strategico è stata in particolare la Germania, che ha supportato la propria impresa nazionale ex-monopolista (DB Schenker), ad operare prima un percorso di integrazione verticale, acquisendo una posizione di forza nel mondo della logistica europea ed internazionale, per poi passare a consolidare una integrazione orizzontale, con una presenza diretta sui principali mercati ferroviari comunitari (Italia, Gran Bretagna, Francia), mediante politiche mirate di acquisizione dei nuovi attori nascenti a seguito dell’avvio della liberalizzazione stessa.

Non è detto che la concentrazione orizzontale del settore ferroviario sia un male in sé. Esaminando gli effetti dei processi di fusione ed acquisizione successivi allo Staggers Act del 1980 che ha deregolamentato il settore ferroviario negli Stati Uniti, è stato calcolato che si sono determinati effetti positivi di efficienza dalla integrazione, prevalentemente orizzontale, che ha determinato un beneficio per i consumatori pari al 25% tra il 1986 ed il 200112.

E’ però probabile che, se si verificassero ulteriori processi di concentrazione nell’industria ferroviaria del trasporto delle merci negli Stati Uniti, potrebbero registrarsi a questo punto effetti restrittivi per la concorrenza tali da determinare danno anche per i consumatori finali.

Insomma, come spesso accade nei processi di regolazione del mercato, non è opportuno definire un modello di comportamento generale, ma occorre analizzare caso per caso l’evoluzione del contesto competitivo, per valutare quali siano gli strumenti idonei per determinare un vantaggio per il consumatore finale.

Occorre sottolineare che l’Unione Europea ha disegnato una cornice di riassetto istituzionale del mercato ferroviario lasciando agli Stati nazionali margini di autonomia abbastanza ampi nella configurazione delle regole organizzative per la liberalizzazione.

La ristrutturazione del quadro normativo per il superamento del monopolio nel settore ferroviario in Europa si è sviluppata su due livelli: la dimensione verticale, che disciplina la relazione tra la gestione della infrastruttura e l’esercizio delle attività di trasporto, e la dimensione

12 OECD, “Integration and competition between transport and logistics businesses”, dattiloscritto, 209, p. 9.

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orizzontale, che implica le relazioni tra i diversi segmenti del trasporto ferroviario.

Mentre la separazione verticale, sia pur con gradi differenti di rigorosità, si è realizzata in quasi tutta Europea, la separazione orizzontale muove ancora i primi passi, ed in linea generale prevale ancora il modello della integrazione orizzontale all’interno del soggetto ex-monopolista.

Gli studi sugli effetti del processo di liberalizzazione in Europa dimostrano che “la separazione verticale ha determinato effetti positivi in termini di efficienza per il sistema ferroviario europeo. Comunque, tali guadagni di efficienza sono stati maggiori quando si è realizzata anche la separazione orizzontale … Di converso, non si sono registrati significativi guadagni di produttività e di efficienza nel caso in cui si siano riformate solo le operazioni, ma si è confermata una struttura verticalmente integrata”13.

Nel caso italiano si è deciso di mantenere una struttura orizzontalmente integrata tra le attività di trasporto all’interno di Trenitalia, mentre si è realizzata una separazione verticale in termini di gestione contabile, preservando comunque l’integrazione in un unico Gruppo della società che gestisce l’infrastruttura e della società che eroga i servizi di trasporto. Insomma, si è adottato un modello organizzativo che non ha tratto sino in fondo le possibilità di specializzazione industriale proprie del processo di liberalizzazione dei segmenti differenti del servizio di trasporto.

Tale scelta ha confermato sostanzialmente il ruolo di minorità che il settore del trasporto merci ha storicamente registrato all’interno del sistema ferroviario italiano, non consentendo di far emergere sino in fondo tutte le necessità radicali di trasformazione del sistema gestionale per tale comparto in una logica di efficienza, di produttività e di adattamento alla domanda di servizi da parte del sistema delle imprese, e della domanda nel suo complesso.

Si tratta di tornare a ragionare su questo punto, cruciale per l’assetto del sistema ferroviario nazionale, valutando se è ancora opportuno confermare, per il Gruppo Ferrovie dello Stato, un modello di integrazione orizzontale tra i segmenti del trasporto ferroviario all’interno di Trenitalia.

Introdurre elementi di maggiore separazione verticale tra i business oggi presenti in modo integrato all’interno di Trenitalia, e completare processi di separazione orizzontale per garantire una maggiore terzietà tra gestore della rete ed imprese di trasporto ferroviario, sono strumenti di

13 Pedro Cantos Sànchez, José Manuel Pastor Monsàlvez, Lorenzo Serrano Martìnez, “Vertical and horizontal separation in the European railway sector”, Fundaciòn BBVA, Documentos de trabajo, n. 12, 2009, p. 7

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ulteriore riconfigurazione dell’assetto istituzionale, che possono forse contribuire ad una accelerazione delle misure necessarie di incremento della produttività e della efficienza, che andranno poi a beneficio dell’intero settore ferroviario nazionale, che necessita di un riequilibrio complessivo di competitività rispetto agli altri modi di trasporto.

L’introduzione della separazione orizzontale tra le imprese di trasporto ferroviario che oggi sono gestite in modo integrato da Trenitalia può essere un fattore rilevante di accelerazione dei processi di cambiamento nel settore, in quanto emergerebbe la necessaria specificità del trasporto ferroviario delle merci, soprattutto in termini di relazioni industriali, con l’obiettivo di concordare tra le parti sociali un contratto di lavoro che sia corrispondente alle logiche di funzionamento del settore, per conseguire quei recuperi di produttività indispensabili per assicurare sopravvivenza e rilancio all’industria ferroviaria merci nel suo insieme.

Il paragone tra i tempi di erogazione delle prestazioni tra trasporto stradale e trasporto ferroviario è oggi un termometro della distanza che c’è da recuperare per operare verso il rilancio del sistema.

Con una separazione orizzontale che non è all’orizzonte, e con una separazione verticale realizzata finora sostanzialmente solo dal punto di vista dell’asseto contabile14, si corre il rischio di non introdurre quegli incentivi ulteriori alla razionalizzazione dei processi produttivi che servono a rilanciare e sviluppare la competitività dell’industria ferroviaria nazionale. Non è pensabile che il settore nella sua interezza possa prescindere anche da un deciso recupero di produttività e di efficienza da parte del soggetto incumbent.

Mentre in Europa, a seguito della liberalizzazione si sta determinando un processo di concentrazione, in Italia, accanto alla presenza di aziende ormai divenute filiali dei principali operatori internazionali, siamo in presenza di imprese di piccola dimensione, che si propongono di affrontare il mercato, per il momento con un disegno autonomo rispetto ai grandi operatori, ma ovviamente con una dotazione di risorse (materiale di trazione e personale) adeguata a fronteggiare segmenti limitati della potenziale domanda. 14 Elementi di maggiore terzietà tra gestore della rete ed imprese di trasporto ferroviario sono possibili assegnando maggiore ruolo di governo sulle regole alle istituzioni pubbliche di controllo. Sino ad oggi si è assunta la strada di articolare la presenza dei soggetti pubblici in una pluralità di organismi: forse, una maggiore unitarietà nell’indirizzo e nel controllo del settore potrebbe essere una strada utile a consentire un rafforzamento del ruolo delle istituzioni pubbliche a salvaguardia della terzietà del gestore della rete ferroviaria. Occorre poi anche riflettere sulla opportunità di segmentare il governo istituzionale tra le diverse modalità di trasporto, piuttosto che non avere una cabina unica di regia per l’intero settore, facendo in modo di assicurare omogeneità e coerenza agli interventi. Prendiamo il caso ad esempio del tema sicurezza: con un approccio unitario, la regolamentazione dovrebbe tenere in conto anche gli impatti complessivi, invece di procedere, come si fa oggi, ad una normativa specialistica che non tiene conto delle ricadute in termini di competizione tra i modi di trasporto.

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Insomma, si avverte la percezione che la liberalizzazione del mercato ferroviario nel trasporto merci possa essere rappresentato dalla presenza di un gigante con i piedi di argilla (l’ex monopolista), che perde progressivamente terreno sul mercato, circondato da operatori di media e piccola dimensione che si concentrano su nicchie di traffico, mentre sullo sfondo si affaccia l’ombra di altri incumbent europei pronti a consolidare la propria presenza in Italia utilizzando come strumento di posizionamento l’acquisizione di alcuni dei nuovi entranti.

Se tra gli obiettivi della liberalizzazione c’era quello di allargare il mercato per il trasporto ferroviario, il rischio di questo assetto è quello di non assecondare il disegno di rafforzamento competitivo complessivo del trasporto ferroviario merci, almeno sul mercato italiano.

Il passaggio dal monopolio alla liberalizzazione è scandito da diverse fasi della disciplina di regolazione: si tratta di passare dal controllo del monopolista, per evitare comportamenti di abuso, al monitoraggio della concorrenza tra gli operatori che operano sul mercato.

“Nella fase pre-competitiva, la regolazione del monopolio naturale protegge gli utenti tramite il controllo sui prezzi, la qualità, la continuità e l’accessibilità del servizio; nella concorrenza emergente, la regolazione – soprattutto dell’interconnessione – cura che l’ex-incumbent conceda l’accesso alle imprese concorrenti; nella concorrenza piena, per assicurare il funzionamento del mercato, prevale la regolazione ex-post, mediante le norme a tutela della concorrenza”15.

Ora noi siamo, all’interno del processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario delle merci, nella delicata fase della concorrenza emergente, in un terreno nel quale non vale più applicare la regolazione del monopolio naturale e non è ancora tempo per applicare le norme a tutela della concorrenza.

Diventa quindi essenziale assicurarsi che si determinino tutte le condizioni possibili per l’accesso al mercato da parte dei nuovi operatori. Da tale punto di vista, diventa cruciale la regolazione di tutti i servizi accessori alla trazione ferroviaria (manovre, manutenzione del materiale rotabile, accesso agli impianti), che possono costituire barriere all’ingresso effettivo di nuovi attori sul mercato.

Il rischio che si corre, e che concretamente si sta manifestando nel corso di questo periodo, è che ci troviamo di fronte ad un sistema di regolazione emergente non concepito in logica di sviluppo del mercato, ma più in chiave di tutela del mercato esistente. Al più, si può determinare un processo di concentrazione oligopolistica che rischia

15 Riccardo Gallo, “Imprese di reti e servizi dal 1997 al 2008”, in a cura di Laura Rondi e Francesco Silva, “Produttività e cambiamento nell’industria italiana”, Il Mulino, 2009, pp.126-127.

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di determinare una rarefazione dell’offerta ed una competizione limitata ai pochi segmenti di mercato realmente profittevoli, laddove si concentra la domanda densa di servizi da parte del tessuto economico.

Mancano ancora strumenti di intervento che riducano le barriere all’ingresso per i nuovi operatori, in un settore che resterà comunque contestualmente ad elevata intensità di capitale (per il costo delle locomotive e dei carri) e ad elevata intensità di lavoro (per la forte incidenza del costo del personale di macchina sul totale dei costi di produzione dell’impresa).

Questo sarebbe evidentemente un modello sbagliato di liberalizzazione per il trasporto ferroviario delle merci, che si trova nella urgente necessità di disporre di una struttura di mercato orientata alla crescita, dal momento che l’assetto complessivo del sistema dei trasporti, nel nostro Paese, è fortemente squilibrato a vantaggio della strada.

Il sistema di regole per la liberalizzazione del settore ferroviario si trova in una delicata fase di passaggio: la normativa comunitaria ha stabilito il quadro di riferimento, che è stato sostanzialmente recepito nel nostro ordinamento, ma si tratta ancora di dare corpo a quelle disposizioni attuative che consentano concretamente di allargare il mercato, consentendo lo sviluppo del settore, per permettere alle nuove imprese che si stanno affacciando sul mercato di avere prospettive di crescita.

E’ proprio nelle disposizioni attuative che si rischia di determinare invece un freno al processo di liberalizzazione: “Nei settori a rete allo stato imprenditore si è sostituito lo stato regolatore, che ha lasciato una significativa autonomia alle imprese ma all’interno di regole di settore piuttosto precise. Questo è avvenuto nell’energia come nelle telecomunicazioni e nel trasporto autostradale, mentre la presenza statale nel trasporto ferroviario ancora si accompagna a regole mai scritte e a un contesto in cui l’arbitrio politico resta al centro dell’intero sistema”16.

Se questo affermazione non rende giustizia di un percorso che comunque si è compiuto per delineare le regole generali di liberalizzazione del settore, è però vero che il percorso attuativo e le normative di accesso al mercato richiedono ancora interventi di manutenzione straordinaria per poter essere efficaci, soprattutto in direzione di favorire un allargamento del mercato, e non soltanto una redistribuzione, magari anche regressiva, tra l’ex-monopolista ed i nuovi operatori.

16 Carlo Scarpa, Paolo Bianchi, Bernardo Bortolotti, Laura Pellizzola, “Comuni SpA. Il capitalismo municipale in Italia”, Il Mulino, 2009, p. 51.

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A2. Lo scenario di regolazione ed il contesto istituzionale

A2.1 Le politiche di incentivazione nel trasporto merci in Europa

Nel Quaderno FLC n°19 – Il Trasporto intermodale e combinato in Italia – Possibili interventi di sostegno – nov 2009, si esamina lo stato di profondo malessere del settore, e si individuano le incentivazioni /gli interventi “minimi”, da realizzare nel più breve tempo possibile, per evitarne il tracollo. Nel Quaderno n°19, si sottolinea inoltre la necessità di procedere, in tempi medi, a interventi più strutturati. In questo Quaderno FLC intende volgere la propria attenzione su quest’ultimo tipo di intervento.

Non passa convegno italiano sul trasporto merci e sulla logistica nel quale non si esprima, da parte di un coro quasi unanime di politici, operatori e di esperti, l'orientamento e la volontà di incrementare la quota di mercato della modalità ferroviaria rispetto alla soluzione, largamente dominante, del "tutto strada".

Eppure, nonostante queste reiterate dichiarazioni di indirizzo, continua a succedere esattamente il contrario. Evidentemente, esistono ragioni strutturali che inducono a consolidare uno squilibrio modale che caratterizza, ormai da diversi decenni, il mercato del trasporto merci nel nostro Paese.

Proviamo ad individuare le principali motivazioni che stanno alla base di questo assetto del sistema di trasporto italiano. In primo piano c'è un approccio dislessico alla politica nazionale dei trasporti, in quanto, mentre si dichiara di voler perseguire l'obiettivo di un riequilibrio modale, ci si ostina a fare esattamente l'opposto.

Le politiche pubbliche continuano a sostenere con incentivi statali, per importi pari ogni anno a diverse centinaia di milioni di euro (la cui quantificazione è oggetto polemica in quanto nemmeno sul valore esatto della contribuzione è facile trovare accordo tra gli osservatori), il trasporto merci su gomma, mediante provvedimenti che si ripropongono in ogni Legge Finanziaria da più di due decenni a questa parte, con svizzera puntualità che prescinde dall'orientamento politico dei Governi che si sono succeduti nel corso di questi anni; per tali provvedimenti l'Italia è stata già condannata diverse volte dinanzi alla Corte di Giustizia della Unione Europea, per impropri aiuti di Stato rispetto vigenti alle normative comunitarie.

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In altri Paesi europei, come l'Austria e la Svizzera, non solo non si assumono provvedimenti di incentivazione del trasporto su gomma, ma anzi vengono varate azioni restrittive per la circolazione dei mezzi pesanti;di converso l'Italia è tra i pochi Paesi che non sostengono con incentivi pubblici l'intermodalità, con l'eccezione di alcuni provvedimenti di carattere regionale, varati dal Friuli Venezia Giulia, dal Veneto, dalla Campania, e, più di recente dall'Emilia Romagna; si tratta però di gocce nel mare, se si considera che la sola Svizzera destinerà al finanziamento della intermodalità nel corso del 2010 157 milioni di euro.

Se proprio non si riesce a spostare l’asse delle incentivazioni dal trasporto stradale a quello ferroviario, sarebbe almeno auspicabile, per preservare un minimo di coerenza tra le parole ed i fatti, calmierare gradualmente gli incentivi concessi dalle politiche pubbliche al trasporto su gomma: già in questo modo si potrebbe determinare un riequilibrio nelle condizioni di convenienza economica nelle scelte modali, sino auspicabilmente a giungere, come accade in molti Paesi europei, a misure di internalizzazione dei costi esterni che determinano un assetto di politica economica dei trasporti più attento, rispetto alla realtà italiana, ai costi ed ai benefici sociali delle scelte modali.

Un sintetico confronto tra le politiche di incentivazione al trasporto stradale in alcuni paesi dell’Unione Europea può essere d’aiuto per inquadrare i temi posti in questo capitolo.

In tutti i paesi considerati (Italia, Francia, Spagna, Germania,Svizzera, Austria,) la modalità stradale gode di numerose misure di sostegno, che si differenziano in relazione alle specificità dei sistemi amministrativi e fiscali nazionali ma che possono essere ricondotti a macro aree di intervento omogenee.

Una prima area è quella che riguarda il costo dell’uso dell’infrastruttura in cui l’elemento discriminante è l’esistenza o meno di un sistema di pedaggio. Fino al 2005 la Germania non applicava pedaggi per l’uso della rete autostradale, mentre negli altri paesi questi meccanismi erano già esistenti. Dal 2005 in avanti c’è quindi un omogeneità di trattamento sulla rete autostradale.

A fronte dell’esistenza di meccanismi di tariffazione dell’uso della rete sono vigenti in molti paesi (Italia, Francia, Germania) misure di abbattimento / calmieramento del costo d’uso, indirizzati al settore dell’autotrasporto e commisurati alla quantità di utilizzo, al volume d’affari ovvero alla sterilizzazione dei costi (fiscali e non) del carburante. Questi ultimi provvedimenti, ad esempio quelli introdotti in Italia e in Germania, sono stati oggetto di contestazioni da parte dell’Unione Europea e, pur avendo dispiegato i loro effetti negli anni passati, non sono più riproponibili, mentre quelli commisurati ad altri parametri di attività delle aziende sono tuttora operativi.

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Completano queste misure altre importanti misure di sostegno all’esercizio come quelle che riguardano l’intermodalità, limitatamente all’abbattimento dei prezzi per l’utilizzo delle modalità alternative da parte dell’impresa di autotrasporto (ad esempio in Italia l’ecobonus per le autostrade del mare o, in Francia, i contributi per le unità di carico trasbordate su ferro).

Un’altra area molto articolata è costituita dagli interventi di politica fiscale a favore dell’autotrasporto. Una prima serie di misure riguarda gli interventi sulle accise: sotto forma di rimborso o congelamento, con carattere congiunturale o strutturale, queste misure sono presenti in molti dei paesi analizzat

i. Altre misure riguardano la tassa di possesso / circolazione del veicolo e/o tassa di accesso alla professione; anche in questo caso sono presenti forme di abbattimento in Italia, Francia e Germania, talvolta (Francia) di carattere solo congiunturale. Ulteriori misure hanno per oggetto l’IVA a credito (ristorni, mensilizzazioni dei rimborsi) ovvero le dilazioni nei pagamenti di varie imposte, con effetti benefici sulla gestione finanziaria delle imprese. Infine un capitolo a parte è costituito dalla “carbon tax”, fortemente avversata dal settore, che in alcuni paesi come Germania e Francia è stata introdotta in applicazione degli impegni del Protocollo di Kyoto e la cui mancata / sospesa applicazione costituisce, se non un incentivo occulto, senz’altro una proxy di una politica di settore più o meno incisiva in termini di internalizzazione dei costi esterni. Anche l’area rappresentata dagli incentivi agli investimenti del settore (essenzialmente, ma non unicamente, volti al rinnovo della flotta) è presente in quasi tutti i Paesi analizzati. Le misure adottate vanno dai contributi diretti al rinnovo della flotta (presenti in Italia e in Germania) alla deducibilità o agli sgravi fiscali ad essi legati (Italia, Francia), dalle garanzie patrimoniali dirette (Italia) o indirette (Spagna, Francia) alla possibilità degli ammortamenti anticipati (Francia).

Rimane, infine, un’area di altri provvedimenti eterogenei, che vanno dal sostegno alla formazione agli aiuti alle aggregazioni societarie / all’uscita dal settore, dagli aiuti congiunturali alle dilazioni dei pagamenti verso i fornitori.

La quantificazione economica del panorama che abbiamo esposto è particolarmente complessa, in primo luogo perché le basi dei dati non sono, nonostante i progressi compiuti rispetto agli anni ’90, completamente omogenee. In secondo luogo il settore non ha caratteristiche prevalentemente “europee”, o meglio è caratterizzato dall’esistenza di differenti tipologie di impresa, alcune attive sul mercato internazionale - le cui dimensioni e strutture dei costi tendono a convergere, sia pure con peculiarità nazionali - e altre, la maggioranza,

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attive sui mercati domestici e fortemente connesse alle caratteristiche produttive e distributive dei paesi di stabilimento17. La figura riprodotta in basso rappresenta solo un aspetto, relativo alla proiezione internazionale delle imprese, del fenomeno18.

Fonte: EU, Directorate General Energy and Transport, Road Freight Transport Vademecum, March 2009 - Fig. 3.2.4

Sulla base dei dati esistenti19 si può comunque fare un tentativo di mettere a confronto alcune voci caratteristiche del settore per i paesi che abbiamo preso in considerazione. Analizzando le voci relative all’imposta di possesso sui veicoli, alle accise sui carburanti e ai pedaggi autostradali, emerge una netta differenza tra le politiche adottate dalla Svizzera e, parzialmente, da Germania e Austria, rispetto a quelle, meno incisive adottate da Francia, Italia e Spagna.

17 EU, Directorate General Energy and Transport, Road Freight Transport Vademecum, March 2009. 18 Il fatto che non esista un modello europeo prevalente non significa che le sue rivendicazioni non siano importanti e ascoltate, Al contrario, l’incidenza sul mercato europeo e sui mercati indigeni in termini di domanda soddisfatta fa del settore uno degli interlocutori più importanti sia del governo europeo che di quelli nazionali. 19 Per la metodologia si veda European Conference of Ministers of Transport (ECMT), Reforming Trasport taxes, 2003. Il database che è stato costruito sulla base del documento del 2003 (ECMT, Data Base_08, Heavy Goods Transportation by Road in Europe) è disponibile all’indirizzo web http://www.internationaltransportforum.org/statistics/taxation/index.

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Imposta sul possesso dei

veicoli

Accise sui carburanti Pedaggi Totale a

viaggio

Svizzera 7,37 62,72 256,00 326,09Germania 3,37 60,16 62,00 125,53Austria 5,43 46,08 54,33 105,85Francia 2,17 50,16 42,14 94,48Italia 2,65 54,14 24,40 81,19Spagna 2,67 37,50 30,34 70,51Fonte: ECMT DATABASE 2008

Fees paid on domestic hauls, total charges in Euros per trip

Il caso della Svizzera è paradigmatico: se, accanto ai dati relativi al livello di “tassazione” del settore stradale, si accostano quelli delle quote di mercato della modalità ferroviaria. Anche non volendo trarre conclusioni affrettate appare evidente come una politica di incisiva internalizzazione dei costi esterni prodotti dal settore stradale consente uno spazio di mercato considerevole alla modalità ferroviaria.

PedaggiAccise sui carburantiImposta sul possesso dei veicoli PedaggiAccise sui carburantiImposta sul possesso dei veicoli

53 %

21 %

30 %

11 %

14 %

11 %

Quota modale ferro

53 %

21 %

30 %

11 %

14 %

11 %

Quota modale ferro

0 50 100 150 200 250 300 350

Svizzera

Germania

Austria

Francia

Italia

Spagna

0 50 100 150 200 250 300 350

Svizzera

Germania

Austria

Francia

Italia

Spagna

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A queste conclusioni in merito alla necessaria incisività delle politiche di riequilibrio modale giunge anche un recente studio commissionato dal CER (Community of European Railways and Infrastructure Companies)20. Lo studio, nel presentare diversi scenari di impatto delle politiche di internalizzazione dei costi esterni, sottolinea come l’applicazione dello scenario di base, costituito dalle politiche attualmente messe in campo a livello comunitario, porterebbe a scarsi effetti sulla quota di mercato ferroviaria (+0,7%), mentre gli effetti massimi (+11,3%) potrebbero verificarsi a seguito dell’adozione di misure incisive e di contemporanei significativi incrementi della produttività del settore.

Accanto alla palese contraddizione delle politiche pubbliche, si affianca una dislessia nelle scelte di investimento infrastrutturale, che a parole perseguono la linea di favorire la soluzione ferroviaria per il trasporto delle merci, salvo poi ad inseguire solo la retorica dell'obiettivo, mancandone completamente la sostanza.

Abbiamo già detto, nel paragrafo sul pedaggio, della incongruenza tra investimenti decisi per il quadruplicamento anche al servizio del traffico merci ed assetto del pedaggio che non consente di fatto una utilizzazione economica di tale nuova infrastrutturazione.

Intanto, si continuano a non realizzare, o a rimandare nel tempo, quelle “piccole opere” nei nodi infrastrutturali, ed in particolare nei porti, nelle grandi aree metropolitane, nelle linee di adduzione ai grandi scali merci ed ai valichi, che potrebbero portare effettivo ed immediato vantaggio in termini di sbottigliamento delle reti e dei corridoi a maggiore vocazione per il traffico merci.

Particolare rilievo va dato in questo quadro alla priorità di efficienza che occorre perseguire nelle scelte infrastrutturali dei principali sistemi portuali nazionali, sia per l’inadeguato stato delle infrastrutture ferroviarie nei recinti portuali, sia per gli elevati costi di manovre da e per i porti, che costituiscono sia barriera di accesso per nuovi operatori sia svantaggio economico strutturale per sviluppare soluzioni intermodali nave-ferro.

Per quanto riguarda l’onerosità eccessiva dei costi di manovra ferroviaria nei porti, sarebbe auspicabile individuare, oltre che interventi strutturali per l’incremento di produttività di tali attività, anche misure di accompagnamento di breve termine per ridurne il costo per gli operatoti ferroviari, mediante interventi finanziari da parte delle Autorità Portuali, negoziando tale aiuto di Stato con la Unione Europea nella forma di un

20 IWW, NESTEAR, Internalisation of External Costs of Transport: Impacts on Rail, Karlsruhe and Paris, 2009.

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incentivo che favorisca la competitività della soluzione ferroviaria rispetto alle altre modalità.

C'è poi l'approccio dislessico alla liberalizzazione ferroviaria: anche in questo caso molta retorica e poca attenzione ai fatti economici. Come abbiamo detto nel paragrafo precedente, l'incumbent (vale a dire l'operatore ex monopolista del trasporto ferroviario delle merci, Trenitalia Cargo) registra strutturalmente una forte perdita a conto economico, e quindi non c'è da ripartire tra i nuovi entranti una rendita del monopolista.

Al più, come sta accadendo, c'è da erodere qualche nicchia di maggiore attrattività economica, in un mercato come quello ferroviario nazionale, abituato piuttosto alla paradossale rendita del consumatore, soprattutto per alcuni segmenti di mercato, come quella della intermodalità terrestre nazionale.

Nonostante gli adeguamenti di prezzi adottati negli ultimi anni da Trenitalia Cargo, su questo segmento di mercato il prezzo di vendita è ancora al di sotto del costo di produzione dell'operatore più efficiente.

In queste condizioni, è evidente che non esistono le condizioni perché si possa sviluppare un mercato sostenibile: andrebbero quindi adottate politiche di accompagnamento, di duplice dimensione:

• da un lato trasparenti incentivi pubblici alla intermodalità, per consentire che il mercato raggiunga un prezzo sostenibile per gli operatori ferroviari in concorrenza;

• dall'altro politiche industriali a sostegno della ristrutturazione industriale dell'incumbent.

Va poi valutata l’opzione di introdurre temporanei aiuti di Stato per l’insediamento di imprese ferroviarie nelle regioni meridionali del nostro Paese, per evitare che il processo di concentrazione nelle aree a domanda attrattiva si traduca in un impoverimento della offerta di servizi ferroviari in territori già svantaggiati dal punto di vista della organizzazione dei servizi di trasporto.

Se vogliamo che l'Italia disponga ancora di una rete nazionale di servizi per il trasporto delle merci, soprattutto nelle regioni meridionali del Paese, sarà indispensabile non solo favorire la liberalizzazione del mercato, applicando con rigore le regole comunitarie, ma anche incentivare comportamenti di miglioramento della produttività da parte dell'incumbent, in modo tale che la competizione si determini poi ad armi pari, in un mercato che deve crescere complessivamente, e che non si deve limitare ad erodere i pochi segmenti profittevoli oggi gestiti da Trenitalia Cargo.

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In caso contrario, vale da dire in mancanza di un risanamento economico e di una svolta di efficienza da parte dell'incumbent accompagnato da incentivi per rilanciare il mercato, il rischio, che si sta determinando nel corso degli ultimi due anni, è quello di un progressivo arretramento del perimetro gestito da Trenitalia Cargo, senza che intervenga un effetto di sostituzione nel trasporto ferroviario da parte di un altro operatore. L'effetto finale sarà, ancora una volta, la crescita del trasporto camionistico.

Ma, per un esercizio complesso di questa natura, bisognerebbe dismettere la retorica d'uso nei convegni, per affrontare i nodi reali e strutturali che stanno sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere le questioni per quelle che sono. Invece, di trasporto ferroviario delle merci si preferisce proprio non parlare, se non con le intenzioni di buona volontà adatte alle pubbliche occasioni, lastricate poi di pessime decisioni di politica dei trasporti.

Anche nelle discussioni di questi ultimi mesi attorno al tema dell'alta velocità, al più si sottolinea la necessità di riequilibrare il sistema per soddisfare anche la domanda di trasporto dei pendolari, soprattutto nelle grandi aree metropolitane. Le merci, che non hanno voce, continuano, ragionevolmente sempre di più, a viaggiare tranquillamente sui camion.

A2.2 La “Direttiva Berlusconi” sulle ferrovie Il 27 luglio 2009 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato una direttiva afferente a diverse tematiche che si innestano nell’ambito del processo di liberalizzazione del mercato ferroviario. Si tratta del terzo atto di indirizzo del Governo sul sistema ferroviario negli ultimi due decenni, che segue le Direttive Prodi e D’Alema, emanate nella seconda metà degli anni Novanta. Va notato singolarmente che, mentre le prime due direttive hanno suscitato un intenso dibattito nel Paese, in questo caso non se ne parla, o se ne mormora solo tra gli addetti ai lavori. Ricordiamo che le prime due direttive di Governo hanno determinato prima il processo di divisionalizzazione e poi il percorso di societarizzazione delle ferrovie italiane. Il silenzio in questo terzo caso potrebbe voler dire che siamo in presenza di un atto di indirizzo di minore rilevanza. Non è così. Proviamo a spiegarne sinteticamente di seguito le ragioni. La direttiva Berlusconi affronta sostanzialmente quattro temi:

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• perimetro degli scali merci pubblici: nell’allegato alla Direttiva in questione sono stati individuati 71 impianti/scali funzionali all’operatività del trasporto merci. Per ciascuno di detti impianti/scali, la Direttiva ha prescritto a RFI la presentazione al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di una proposta contenente l’indicazione della specializzazione funzionale e dei servizi a pagamento offerti da RFI medesima, in maniera diretta ovvero attraverso altre soluzioni previste dalla normativa vigente. Al contempo, la Direttiva ha riconosciuto in capo a RFI la possibilità di trasferire/assegnare gli impianti non facenti parte del reticolo definito dalla Direttiva medesima in capo ad altre società del Gruppo FS (cfr. art.1 della Direttiva). In ossequio a quanto previsto della Direttiva, RFI ha presentato al Ministero la proposta cui si è fatto cenno poc’anzi riguardante la destinazione e la funzionalità degli impianti/scali indicati nella Direttiva che, vale la pena precisare, rappresentano il reticolo ove si concentra la quasi totalità della domanda di servizi da parte delle imprese ferroviarie. Successivamente, l’elenco degli impianti definiti dalla Direttiva, unitamente alle condizioni economiche per la fruizione dei servizi ivi previsti è stato riportato nel Prospetto Informativo della Rete (PIR), valevole per l’orario di servizio 13 dicembre 2009-11 dicembre 2010. Vi è da dire che nel PIR sono stati inseriti anche gli ulteriori impianti/scali merci non compresi tra quelli definiti dalla Direttiva che, per l’anno di servizio in corso, devono pertanto ritenersi parimenti accessibili ed utilizzabili dalle diverse imprese ferroviarie. RFI, di fatto, ha confermato l’offerta, in termini di numero di impianti/scali merci, antecedente all’emanazione della Direttiva;

• assetto degli impianti di manutenzione del materiale rotabile:

la Direttiva ha previsto che RFI presentasse “un Piano contenente, per ciascun impianto di manutenzione del materiale rotabile di proprietà del Gestore, l’indicazione […] della (i) messa in disponibilità a tutte le IF che accedono alla rete, (ii) ovvero dell’utilizzo integrale da parte di alcune di una di esse” (art.2). A seguito dell’espletamento delle attività sopra richiamate, RFI ha riportato nel PIR l’elenco degli impianti di manutenzione (18) e altre aree “per attrezzaggio officine” rientranti nella sfera proprietaria del Gestore che possono formare oggetto di richiesta e di utilizzazione da parte delle imprese ferroviarie. Deve potersi ritenere che il reticolo relativo agli impianti/aree manutentive definito nel PIR è adeguatamente dimensionato rispetto alle esigenze delle imprese operanti sull’infrastruttura ferroviaria nazionale;

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• aree di ricovero, sosta e fornitura di servizi ai treni: La direttiva

ha previsto che RFI presentasse al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti una proposta concernente l’elenco delle aree/impianti per il ricovero, la sosta e la fornitura di servizi ai treni, sostanzialmente per consentire a tutte le imprese ferroviarie di poter accedere a quelle facilities che sono determinanti per poter svolgere effettivamente l’esercizio ferroviario in competizione; In ottemperanza a quanto prescritto dalla Direttiva, RFI ha trasmesso al Ministero un prospetto delle aree/impianti in asset RFI destinati al ricovero, la sosta e la fornitura dei servizi ai treni. Il prospetto e i servizi riportati nello stesso –trasposto successivamente nel PIR- hanno riguardato esclusivamente l’attività di trasporto passeggeri in tutti gli impianti (circa 400) della rete avente origine/termine corsa. Con riferimento al trasporto merci, si è già detto che il PIR attuale conferma di fatto l’offerta dell’anno precedente, sia in termini di numero degli impianti (rectius ampliato per quanto riguarda l’attività di handling), sia in termini di servizi (manovra e handling sono, nel settore merci, i servizi che concorrono maggiormente alla cd. capacità integrata);

• accesso alla infrastruttura ferroviaria nazionale: La direttiva

(art.4) ha, tra l’altro, prescritto a RFI la presentazione al Ministero “di una proposta per la definizione dei canoni per l’accesso all’infrastruttura di cui all’art.17 comma 1, del d.lgs. 188/03”; si tratta di una tematica di particolare rilievo, non soltanto perché riguarda la rete ferroviaria tradizionale ma anche la nuova rete quadruplicata, che presenta un livello di canone di accesso alla infrastruttura attualmente ben più alto rispetto alla rete esistente; se ciò è comprensibile per le caratteristiche maggiormente performanti della nuova infrastruttura, si tratterà di capire poi se il livello fissato del pedaggio di accesso alla rete sarà compatibile per renderla effettivamente disponibile all’esercizio anche per i treni merci, così come è stata concepita in termini di progettazione e di realizzazione, determinando forti costi di investimento per la realizzazione dell’opera. Non vorremmo che si scoprisse poi che la collettività ha speso ingenti risorse per far transitare sulla nuova rete i treni merci, e che poi, per un livello di accesso alla infrastruttura incompatibile con la realtà del mercato, nessun treno merci poi accedesse alla nuova rete. Ci si dovrebbe allora interrogare sulla coerenza tra investimenti ingenti per la costruzione delle opere e conseguenti modelli di sfruttamento economico.

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Su temi così rilevanti per il profilo della liberalizzazione ferroviaria, come quelli affrontati dalla “Direttiva Berlusconi”, sarebbe opportuna una discussione pubblica maggiormente attenta ad una evoluzione del quadro normativo, che non assume rilievo solo dal punto di vista tecnico e formale. Dalle modalità attraverso le quali si determinerà la regolazione dei temi evidenziati (perimetro degli scali merci, assetto degli impianti manutentivo, messa a disposizione delle essential facilities, accesso alla infrastruttura ferroviaria nazionale) dipenderà la qualità e la effettività dell’indirizzo di liberalizzazione, rendendo o meno possibile la competizione tra diverse imprese sulla rete, senza generare costi aggiuntivi o barriere all’accesso per gli operatori del trasporto, in una situazione in cui, già in linea generale, l’esercizio dei servizi di trasporto ferroviario merci rischia di essere gravato da costi che ne riducono fortemente la competitività. Probabilmente, la natura tecnica degli argomenti affrontati costituisce una barriera alla analisi della Direttiva, che, pur affrontando tematiche apparentemente aride, indirizza invece fortemente lo scenario del trasporto ferroviario nella delicata fase di liberalizzazione, ormai avviata da diversi anni nel trasporto delle merci e prossima nel trasporto passeggeri di media e lunga percorrenza. Forse, una discussione pubblica sui profili e sui modelli della liberalizzazione sarebbe nell’interesse della collettività. Resta essenziale analizzare il processo di evoluzione della regolazione nazionale sui profili di liberalizzazione, soprattutto perché su una serie di servizi complementari alla produzione ferroviaria il quadro resta ancora in piena evoluzione, e non tutto è stato ancora chiaramente disciplinato. Basti pensare al recente cambiamento introdotto dall’articolo 62 della Legge 99/2009 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), che ha trasformato la natura dei servizi di manovra ferroviaria, controllo di merci pericolose e assistenza alla circolazione di treni speciali. Queste prestazioni passano da essential facilities (servizi obbligatori), che debbono essere erogate necessariamente dal gestore della infrastruttura, a servizi complementari: il gestore della infrastruttura non è più obbligato a fornirli, ma può espletarli solo se è nelle condizioni di farlo. Tale aspetto è un nodo cruciale per le politiche regolatorie, e per il successo stesso del processo di liberalizzazione nella sua interezza nel settore del trasporto ferroviario delle merci: “Il tema fondamentale per la

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competizione nell’assicurare che i servizi globali di trasporto e di logistica siano efficienti è l’accesso alle essential facilities. Ciò riguarda in particolare i terminal ferroviari, specialmente nei porti”21. Insomma, il quadro regolatorio è ancora in movimento, e l’indirizzo che sembra assunto più di recente dal legislatore italiano va nella direzione di ridurre il perimetro delle prestazioni obbligatorie del gestore della infrastruttura verso le imprese, con la conseguenza di assegnare alle imprese ferroviarie stesse un perimetro maggiore nella erogazione diretta delle prestazioni collaterali connesse alla produzione ferroviaria. Se questo indirizzo si tradurrà in una maggiore capacità di allargare il mercato del trasporto ferroviario, favorendo l’accesso di nuove imprese sul mercato, si vedrà nei prossimi anni. La sensazione è che questo indirizzo possa tradursi in un innalzamento ulteriore delle barriere di accesso al mercato, con un ulteriore impulso verso politiche di concentrazione dell’offerte ed una riduzione degli elementi, già rarefatti, di impulso verso lo sviluppo del mercato ferroviario. A2.3 Il ruolo dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria L’introduzione dell’Agenzia per la Sicurezza Ferroviaria ha segnato un passo sicuramente rilevante verso la trasformazione del trasporto ferroviario in un sistema liberalizzato ma anche regolamentato con regole indipendenti dagli operatori e dal Gestore dell’Infrastruttura. La liberalizzazione ha modificato radicalmente il sistema obbligando a creare un modello di maggiore responsabilizzazione degli operatori, di regole certe e basato su audit e controlli a campione. L’ANSF, acronimo di Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie, “vigila perché siano mantenuti gli attuali livelli di sicurezza, inoltre ne promuove il costante miglioramento, in relazione al progresso tecnico e scientifico, garantisce un trattamento equo e non discriminatorio a tutti i soggetti interessati alla produzione di trasporti ferroviari, contribuisce all'armonizzazione delle norme di sicurezza nazionali e internazionali, favorendo l'interoperabilità della rete ferroviaria Europea22”. L’Agenzia si pone quale ente indipendente e munito di propria autonomia finanziaria e di coordinamento, ed ha riunito competenze che facevano capo sia al Cesifer, che precedentemente operava sotto l’egida di RFI, sia

21 OECD, “Integration and competition between transport and logistics businesses”, dattiloscritto, 209, p. 18. 22 Fonte sito di ANSF, www.ansf.it

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alla Direzione Generale del Trasporto Ferroviario, che faceva capo al Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti. Istituita con base a Firenze con Dl n°162 del 10/08/2007, l’Agenzia è divenuta operativa dal 16 giugno 2008. I compiti per l’Agenzia, secondo quanto riporta il sito internet, sono riassumibili nelle seguenti aree di intervento:

• regolamentare in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria; • verificare l'applicazione delle norme adottate; • promuovere processi autorizzativi e omologativi di sistemi,

sottosistemi e componenti; • rilasciare i certificati di sicurezza alle Imprese Ferroviarie e le

autorizzazioni di sicurezza ai Gestori dell'Infrastruttura.

Dal momento della sua nascita, l’ANSF si è ritrovata ad avere dunque potestà sia normative che di controllo sul mondo ferroviario italiano. Il problema iniziale immediatamente registrato è stato l’esiguo numero dei suoi componenti, solo 70 persone, che hanno dovuto fronteggiare una mole di lavoro imponente, resa anche più complessa per la necessità di:

1. regolamentare il processo di liberalizzazione, in un contesto istituzionale in fase ancora embrionale e mutante, senza un contesto stabilizzato di norme;

2. far fronte alle richieste delle imprese ferroviarie private nascenti ed esistenti.

Il risultato di tale combinazione di fattori è stato un ritardo generalizzato in tutte le attività. Solo di recente, a fine 2009, è stata disposta l’integrazione dell’organico dell’Agenzia con 200 nuove unità. In ossequio ad un principio di sicurezza della circolazione, è stato deciso che l’ANSF debba intervenire nel merito dell’organizzazione e della gestione delle singole imprese ferroviarie. In alcuni casi la normazione risulta essere tassativa, in altri si definisce una box rule all’interno della quale le imprese hanno la possibilità di organizzarsi in modo autonomo. ma sempre sub iudice all’approvazione dell’Agenzia. Il sistema che ne deriva risulta essere inevitabilmente ingessato e fortemente standardizzato. Le imprese non hanno la possibilità di creare una propria struttura organizzativa che vada alla ricerca del principio di efficienza ed economicità, inevitabile se si vuole assicurare sostenibilità alla gestione aziendale. L’ANSF, quale ente di natura pubblicista, detta le

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regole del gioco senza tenere sufficientemente in conto le ricadute delle proprie decisioni sulle attività di impresa, in un segmento già di per sé difficile in termini di sostenibilità economica. Sarebbe invece auspicabile che le imprese, sotto la propria responsabilità e con le dovute garanzie, abbiano la possibilità di determinare il proprio modus operandi, sottoponendosi al vaglio dell’ente preposto, per la verifica della congruità in termini di assetto delle politiche di sicurezza. La rigida schematizzazione dell’impresa inevitabilmente rende nullo qualsiasi tentativo di apportare quelle economie, che poi andrebbero a vantaggio della competitività del trasporto ferroviario verso il mercato. In sostanza, l’impostazione dirigista della regolazione si concretizza in un irrigidimento del settore che perde la sua spinta all’innovazione ed all’efficienza. L’Italia esce da una situazione di monopolio in perdita dove l’incumbent non ha mai avvertito la spinta verso il mercato, ed ha di fatto relegato il settore a logiche gestionali vecchie di decenni. Tale spinta verso l’innovazione e la flessibilità, nel rispetto dei principi di sicurezza, risulta essere dunque essenziale al fine del recupero di quote del mercato ferroviario italiano delle quali si stanno rapidamente appropriando le imprese ferroviarie straniere, oltre che sistemi di trasporto alternativi. Uno degli elementi che oggi sta maggiormente penalizzando i nuovi entranti è la lentezza estrema con la quale l’ANSF risponde a quelle che sono le istanze presentate. Il mondo del trasporto è per definizione mutevole, e le opportunità di business vanno colte rapidamente. Solo gli operatori che sono in grado dio assicurare una risposta tempestiva alla domanda possono essere in grado di cogliere le opportunità. Immaginare di dover aspettare almeno quattro mesi per una estensione di un certificato di sicurezza sicuramente non aiuta. Uno degli elementi di maggior danno in questa “politica del ritardo” è l’impossibilità di pianificare gli investimenti temporizzandoli con le necessarie autorizzazioni. Questa implicazione di un processo di regolazione attuato in logica burocratica è estremamente gravosa soprattutto per le imprese ferroviarie di più piccole dimensioni, che in molti casi si vedono bloccate nell’operatività con costosi investimenti di milioni di euro da dover mettere a reddito in tempo compatibile con il ritorno del capitale investito. Una Agenzia per la Sicurezza, autorevole è un elemento essenziale al fine di consentire uno sviluppo organico secondo standard di sicurezza del mercato ferroviario italiano. Ad oggi quello che ancora non si sente ancora pienamente garantito è la reale e totale indipendenza dell’ANSF

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dalla logica di regolazione precedentemente dominante in Ferrovie dello Stato quale soggetto monopolista del mercato. La percezione molto concreta è che ad oggi ci siano influenze della cultura precedente al processo di liberalizzazione nelle determinazioni, nei controlli, ed anche nella stesura dei regolamenti, che in molti casi sembrano scritti avendo ancora ad ispirazione culturale schemi che non sono compatibili con un settore liberalizzato. Questo non aiuta l’apertura di un mercato per definizione complesso, che dovrebbe fare della competitività e della trasparenza la sua bandiera, al fine di attrarre quei capitali fondamentali per la creazione di una reale concorrenza. Esiste poi un tema, fondamentale per la sostenibilità del settore ferroviario rispetto alla competizione stradale, della potenziale asimmetria rispetto alla regole del principale competitor modale. Va messo con chiarezza in evidenza che non possono essere introdotte, se si vuole favorire uno sviluppo complessivo della modalità ferroviaria, regole che siano maggiormente penalizzanti rispetto ad altri modi di trasporto, con la conseguenza di rendere il sistema ferroviario meno competitivo per il trasporto delle merci rispetto alle altre modalità di trasporto, soprattutto se i provvedimenti che vengono assunti rispondono più ad una reazione emotiva che non ad una esigenza tecnicamente dimostrata di rispetto di standard di sicurezza. E’ il caso ad esempio del trasporto di merci pericolose per ferrovia. Era inevitabile, dopo la tragedia di Viareggio, che emergesse una onda emotiva tale da generare risposte, che sono sicuramente opportune in linea di principio. Quello che invece è largamente discutibile è il ricorso a normative di dubbia efficacia tecnica per la sicurezza, come il limite di velocità in accesso ai nodi pari a 30 km/h per i convogli merci, soprattutto in assenza di una visione d’assieme sui meccanismi regolatori del trasporto delle merci pericolose in generale. Una traslazione del traffico dalla ferrovia alla strada non comporta di per sé un beneficio per la collettività o una maggiore tutela della sicurezza del trasporto in generale. Vanno invece introdotte regole di trattamento paritario tra strada e ferrovia, analizzando tecnicamente le implicazioni di un eventuale shift modale in caso di restrizione univoca. Insomma, serve un indirizzo di politiche per la sicurezza che sia capace di avere buna visione d’assieme sui temi del trasporto., soprattutto nei segmenti a maggiore delicatezza di impatto per la collettività, e, per il settore ferroviario, serve un sistema di regole basato sulla semplificazione normativa per favorire l’accesso al mercato di tutte le imprese, non penalizzando principi di sicurezza

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ferroviaria, ma tenendo in corretto conto le differenze che esistono tra diverse modalità operative per l’esercizio di tale attività. Pensiamo ad esempio alle procedure di omologazione del materiale rotabile, che oggi non distinguono, tanto per fare un esempio concreto, tra locomotori da treno e locomotori di manovra per l’ottenimento del necessario certificato da parte della istituzione preposta. Nella grande maggioranza dei casi, i locomotori da manovra svolgono la propria funzione all’interno di scali, senza alcuna interferenza con l’esercizio, e per tale ragione riteniamo che sia del tutto opportuno prevedere procedure semplificate e differenziate di omologazione, tra l’altro per un bene strumentale particolarmente rilevante nell’area delicata dei servizi periferici rispetto alla prestazione primarie, che, come abbiamo detto in precedenza, rischiano di essere oggi proprio un freno rilevante alla effettiva apertura del mercato.

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A3. Il miglioramento di produttività delle imprese ferroviarie Per conseguire davvero una inversione nei rapporti competitivi tra i diversi modi di trasporto, accanto a politiche pubbliche coerenti, sono però necessari comportamenti orientati alla efficacia ed alla efficienza da parte delle imprese ferroviarie che operano i servizi merci, insieme ad una decisa promozione della innovazione, sia nei sistemi di gestione che nelle infrastrutture e nei mezzi tecnici. Degli aspetti più pratici dell’ “innovazione”, si tratta nella seconda parte di questo Quaderno. Se è vero che le politiche pubbliche, come accade nel nostro Paese, possono comportare effetti discorsivi nelle dinamiche concorrenziali, è però anche vero che il settore ferroviario nel suo complesso deve compiere ancora un salto di qualità nella direzione di un ammodernamento nelle tecniche gestionali tale da governare il sistema dei costi di produzione verso approdi coerenti con la domanda espressa dal mercato, sia in termini di costi sia in termini di qualità dei servizi erogati. Crediamo che sia un interesse complessivo del settore avviare una analisi di benchmark sui modelli gestionali adeguati per affrontare il mercato con opportunità di rafforzamento competitivo dell’offerta di servizi per il trasporto ferroviario delle merci. La vera concorrenza si gioca ancora soprattutto verso il trasporto stradale, piuttosto che all’interno del settore ferroviario stesso. Proprio per questa ragione si avverte la necessità di cogliere l’opportunità della liberalizzazione ferroviaria per introdurre elementi di innovazione nelle tecniche di programmazione e gestione dei servizi ferroviari merci, superando tutti quei vincoli nella organizzazione del lavoro e nei sistemi operativi che hanno caratterizzato, nei passati decenni, il progressivo declino degli operatori monopolisti che hanno ancora oggi svolgono un ruolo comunque dominante nella offerta complessiva. Nemmeno poi tanto paradossalmente, possiamo sostenere che il settore ferroviario uscirà vincitore dalla sfida della liberalizzazione se sarà in grado di indurre gli incumbent ad un deciso recupero di efficienza e di produttività, per potersela poi giocare ad armi pari con i nuovi entranti. Se si fa invece conto sulla progressiva riduzione del peso specifico degli ex monopolisti nel mercato ferroviario a vantaggio dei concorrenti che si affacciano sul mercato, l’effetto finale non sarà quello più auspicabile,

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vale a dire una complessiva crescita della competitività e della qualità dei servizi ferroviari rispetto al tutto gomma. A nostro avviso sono tre le aree sulle quali occorre lavorare per determinare effetti positivi di miglioramento nella efficienza della produzione di trasporto ferroviario delle merci:

• la definizione di un contratto di lavoro per gli addetti del settore che sia in grado di introdurre quegli elementi di flessibilità e di polifunzionalità indispensabili per ottimizzare il ciclo economico di produzione del servizio, in un settore nel quale comunque l’intensità di lavoro resterà significativa nella struttura complessiva dei costi di produzione. Come è accaduto anche in altri settori delle public utilities (prendiamo ad esempio il caso delle telecomunicazioni) è auspicabile che, dopo una fase di differenziazione dei contratti di lavoro applicati dai diversi operatori, si giunga alla definizione di un contratto collettivo comune di settore, che non può evidentemente però essere gemmato dall’attuale contratto delle attività ferroviarie, troppo parente ed erede delle rigidità proprie dell’operatore ex-monopolista;

• l’ammodernamento della organizzazione produttiva deve essere

oggetto di una analisi industriale attenta, interesse comune di tutti gli operatori; con ogni probabilità non esiste un unico modello di produzione vincente che possa essere applicato a tutte le modalità di organizzazione del servizio: esiste una differenziazione tra servizi di corto raggio e servizi di lungo raggio, tra produzione di collegamenti punto-punto e produzione di servizi a rete con la presenza di treni terminalizzatori per il traffico diffuso. Andrebbero analizzate le diverse condizioni di organizzazione produttiva, per valutare laddove è più opportuno il modello del macchinista solo oppure quello dell’equipaggio misto con un secondo agente specializzato per le operazioni di terra. E’ proprio a questo fine che sarebbe opportuno promuovere, d’intesa tra tutti gli operatori ferroviario, uno studio di benchmark finalizzato ad analizzare congiuntamente i modelli più efficaci di riorganizzazione produttiva; tale analisi potrebbe far scaturire anche indicazioni di policy differenziate tra imprese ferroviarie di natura differente, in quanto è probabile che si evidenzi che l’impresa organizzata anche per produrre servizi a rete svolge una funzione di interesse pubblico a vantaggio dell’intero mercato ferroviario;

• non bisogna poi dimenticare che il settore del trasporto ferroviario

merci, oltre ad essere ad alta intensità di lavoro, è anche ad alta

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intensità di capitale, in particolare per gli investimenti (o per i costi di leasing) del materiale ferroviario (locomotive e carri), soprattutto in una logica di interoperabilità europea che trasferisce sull’impresa ferroviaria i costi di una disomogeneità negli standard tecnici di esercizio delle reti ferroviarie europee ed i costi delle armonizzazioni in corso (pensiamo al caso dell’ERTMS ed ai costi di attrezzaggio delle locomotive). Da questo punto di vista vanno favorite e stimolate tutte quelle azioni che mettono in gioco le risorse esistenti, che, soprattutto in una fase di start up di nuovi traffici, rendono a volte possibili la quadratura di un cerchio economico altrimenti impossibile. Siamo in presenza di una condizione assimilabile a quella che gli economisti definiscono il “dilemma del prigioniero”: gli incumbent dispongono, per eredità dal loro passato, di locomotive e carri, che preferiscono tenere inutilizzate nel proprio parco, o in alcuni casi anche demolirle, piuttosto che non metterle a disposizione dei propri concorrenti al fine di dare a loro strumenti di produzione con i quali conquistare segmenti aggiuntivi di domanda. Comprensibile è la richiesta dei nuovi entranti di poter accedere a risorse di produzione già disponibili, ma altrettanto comprensibile è la resistenza dell’incumbent a cedere risorse tecniche che sono armi competitive essenziali per il posizionamento sul mercato.

Insomma, la coerenze delle politiche pubbliche dei trasporti, nazionali e comunitarie, che pure sono un presupposto importante per il successo della liberalizzazione ferroviaria, da sole non garantiscono un recupero di competitività del trasporto ferroviario delle merci, se intanto il settore non riesce a darsi modelli di organizzazione produttiva finalizzati alla efficacia ed alla efficienza. L’incrocio tra questi due fattori costituirà il successo o l’insuccesso della liberalizzazione nel settore.

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A4. Considerazioni conclusive e proposte di policy La liberalizzazione ferroviaria, nel settore del trasporto merci, è arrivata, in Europa e nel nostro Paese, a metà del guado. Tornare indietro non è più possibile. Le regole europee di accesso sono pienamente operative, e si comincia a formare una dimensione comunitaria del mercato. L’Italia rischia di trovarsi in una condizione di minorità in questo processo di riassetto, per le debolezze industriali sia dell’incumbent sia dei nuovi entranti, e per le vischiosità persistenti della normativa alla base del processo di liberalizzazione. Vediamo separatamente le due questioni. Partiamo dall’assetto industriale del settore, e dai limiti che si riscontrano nella attuale struttura dell’offerta di servizi ferroviari di trasporto delle merci. E cominciamo il nostro ragionamento partendo dai nodi industriali che sono presenti all’interno di Trenitalia Cargo. L’incumbent ha avviato un processo di riduzione del perimetro dei servizi offerti al mercato, con l’obiettivo di non erogare più prestazioni a costi incompatibili con il valore del trasporto reso. Si tratta di un comportamento razionale, inevitabile in un contesto di liberalizzazione. E’ venuto meno il velo che rendeva possibile, nello scenario monopolistico del passato, la prestazione di treni, in particolare per il trasporto intermodale nazionale terrestre, a prezzi del tutto sganciati non solo dai costi di produzione di Trenitalia, ma anche dai costi di produzione del più efficiente operatore privato. Per questi servizi non si determina un effetto di sostituzione, proprio perché la prestazione avveniva fuori dalle condizioni di mercato, attuando per questa via un surrettizio sostegno della intermodalità, in assenza di una esplicita politica pubblica che viene invece praticata da quasi tutti i Paesi europei. Per far ripartire questo mercato, si tratta di rendere invece esplicita e trasparente una politica di sostegno alla intermodalità, consentendo a tutte le imprese ferroviarie di poter proporre sul mercato nuovi servizi a condizioni sostenibili per chi produce questo servizio e per chi ne è il potenziale utilizzatore23. D’altra parte, la struttura dei costi di produzione dell’incumbent, nel settore del trasporto merci, è ancora ben lontana da standard comparabili

23 E’ il contenuto delle proposte avanzate dal Freight Leaders Council nel recente Quaderno 19 – Il Trasporto intermodale e combinato in Italia – Possibili interventi di sostegno. Nov.2009

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con il benchmark europeo. Sono troppi ancora i vincoli che appesantiscono la struttura operativa di Trenitalia Cargo:

• la persistenza del doppio agente di macchina per la condotta; • la difficoltà ad una utilizzazione flessibile del personale tra

operazioni di bordo ed operazioni di terra; • gli elevati costi per le operazioni di manutenzione del materiale

rotabile, schemi di assetto organizzativo ancora troppo orientati alla persistenza della eredità passata;

• un contratto di lavoro inadatto a superare le rigidità nelle quali è intrappolato il disegno industriale;

• un rapporto tra personale di staff e personale di line del tutto squilibrato, con costi indiretti di produzione insostenibili per qualunque impresa.

E’ indispensabile, per tutta l’industria ferroviaria del trasporto merci del nostro Paese, che Trenitalia Cargo riesca a definire ed attuare - secondo una tempistica credibile - un piano industriale di risanamento, che miri a conseguire standard di costi di produzione allineati alle migliori pratiche europee. A tal fine serve anche che parta una discussione serrata tra le parti sociali su un contratto di lavoro per gli operatori del trasporto ferroviario merci, differente in modo sostanziale rispetto all’attuale contratto delle attività ferroviarie, applicato oggi esclusivamente per il Gruppo Ferrovie dello Stato. Un nuovo contratto unico per il trasporto ferroviario deve tenere conto delle specificità industriali di questo segmento di mercato, per ovviamente consentire, a tutti gli attori di questo mercato liberalizzato, di poter operare secondo regole di utilizzazione del personale che siano coerenti con obiettivi di sostenibilità dal punto di vista della efficienza e della produttività, salvaguardando al tempo stesso standard di sicurezza dell’esercizio che sono nell’interesse anche in questo caso della intera industria. Anche sul versante dei nuovi entranti, la situazione che si sta determinando nell’assetto del mercato non appare confortante. Schematicamente si possono individuare due tipologie di nuovi entranti nel segmento del trasporto ferroviario delle merci:

• da un lato, le filiali di operatori internazionali del trasporto europeo, espressione del vecchio mondo del monopolio, che si sono posizionate prevalentemente nel Nord Italia per presidiare la parte più densa di domanda con l’obiettivo di assicurare le

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prosecuzioni di trasporti internazionali sulle tratte brevi del territorio italiano interessato;

• dall’altro lato, emergono nuovi operatori nazionali che si

configurano per il momento più come operatori di nicchia su scala regionale o espressione di precedenti clienti MTO del monopolista che tentano di organizzarsi in modo autonomo per evitare di dover abbandonare segmenti di trasporto precedentemente gestiti; in tutti questi casi non ci configura una massa critica capace di assicurare quelle economie di densità che sono necessarie ad assicurare sostenibilità di medio e lungo termine al business.

Con questo assetto di mercato, se non muta in modo significativo la direzione di marcia, l’effetto sarà che la liberalizzazione indurrà in Italia un ulteriore arretramento competitivo del trasporto merci rispetto alle altre modalità di trasporto: Trenitalia Cargo arretrerà il perimetro della propria operatività, mentre i nuovi entranti non saranno in grado di tamponare la riduzione dell’offerta. Insomma, la liberalizzazione non sarà così una occasione di sviluppo, ma una ulteriore spinta alla marginalizzazione dei servizi ferroviari merci nel nostro Paese. Occorrono allora politiche attive per la liberalizzazione. Ne abbiamo segnalate diverse nel corso della esposizione. Cerchiamo di sintetizzarne le principali, quelle che sembrano a più elevato impatto per favorire un rilancio ed uno sviluppo dell’industria ferroviaria per il trasporto delle merci:

• una riforma del pedaggio di accesso alla rete ferroviaria per i treni merci, che vada certamente nella direzione di semplificare il meccanismo di calcolo per la sua determinazione, tenendo in conto l’attuale situazione di minorità nella gerarchia delle priorità di programmazione e circolazione sulla infrastruttura, determinando per questa via maggiori costi operativi alle imprese di trasporto;

• politiche esplicite e trasparenti di incentivo alla intermodalità ed al

trasporto ferroviario, con un approccio nazionale che sia complementare con le misure territoriali che alcune Regioni hanno deciso di mettere in campo. Da questo punto di vista serve soprattutto tempestività ed effettività: le discussioni in corso sul ferro bonus, sempre annunciato e sinora sempre rinviato, non sono confortanti, e lo stesso valore economico di cui si parla è largamente inadeguato alla sfida che abbiamo di fronte; sarebbe necessario un intervento stimabile nell’ordine almeno di 80 milioni di euro all’anno per 5 anni per poter determinare una decisa

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inversione di tendenza nella ripartizione modale, con un recupero di competitività dei servizi intermodali in Italia;

• un processo di riorganizzazione del settore cargo di Ferrovie dello Stato che, riprendendo il filo delle direttive governative della fine degli anni ’90, consenta il riposizionamento del vettore in ambiti più coerenti con le logiche di mercato e di competitività prevalenti nel settore del trasporto merci e della logistica;

• una disciplina nell’accesso alle essential facilities (scali merci,

manovre, manutenzione, certificazioni del materiale rotabile) che sia orientata a ridurre le barriere all’accesso per i nuovi entranti;

• una regolamentazione della sicurezza ferroviaria che sia orientata

alla tutela della safety ma che tenga in conto anche degli assetti concorrenziali rispetto agli altri modi di trasporto e dei costi, impliciti ed espliciti, della sicurezza, che rischiano di mettere del tutto fuori mercato il ricorso a tale modalità.

Si è ancora in tempo per riorientare il percorso di una liberalizzazione, che, se non opportunamente orientata, rischia di essere un grimaldello per la definitiva marginalizzazione delle ferrovie nel trasporto delle merci. Non vorremmo che si dovesse rimpiangere un giorno il monopolio. Dobbiamo lavorare invece perché la liberalizzazione sia attivamente lo strumento per un rilancio di competitività di tutto il trasporto ferroviario delle merci, per tendere in Italia almeno a raggiungere una quota di mercato del 14%, riportandosi ai livelli di quota di mercato che l’Europa aveva conosciuto prima dell’avvio del processo di liberalizzazione. E’ un obiettivo ambizioso, possibile e necessario. Servono in questa direzione comportamenti coerenti e concreti delle istituzioni pubbliche che presidiano la politica nazionale dei trasporti. Il tempo è prezioso, e non possiamo perderne altro. FREIGHT LEADERS COUNCIL

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PARTE SECONDA

LE INNOVAZIONI NEL TRASPORTO FERROVIARIO

A cura del Gruppo di Lavoro FLC “Innovazione”

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B1. Perché innovare E’ già stato sottolineato come la via per rilanciare il trasporto su ferro in Italia (o meglio, più appropriatamente guardando alle esigenze del moderno mercato dei trasporti, il trasporto intermodale ferroviario) sia quella del miglioramento della competitività del settore. L’approccio al miglioramento non può che essere molteplice:

• apertura del mercato alla concorrenza (liberalizzazione); • adozione di più idonei modelli di relazioni industriali; • utilizzo più efficiente della rete e dei mezzi disponibili; • ammodernamento delle infrastrutture; • rapida realizzazione di modifiche alle infrastrutture, di rilevanza

economica limitata, ma capaci di risolvere rapidamente nodi limitanti ai fini della efficacia del trasporto nel suo complesso;

• introduzione di soluzioni innovative nella gestione della rete; • adozioni di soluzioni tecniche non convenzionali.

Insomma, si tratta di operare per realizzare una INNOVAZIONE di sistemi e materiali! Se guardiamo al settore del trasporto su gomma, non possiamo che ammettere che là l’innovazione c’è stata, sia nei sistemi gestionali che nei mezzi; è il settore ferroviario che è praticamente immobile per quanto riguarda l’innovazione! Ricordiamo alcune delle molte innovazioni tecniche e gestionali introdotte nel trasporto su gomma:

mezzi a grande volume; telai adattabili; casse mobili; allestimenti flessibili; sostanziale liberalizzazione delle licenze; moderni sistemi IT a supporto di booking, tracing, e

fatturazione. In aggiunta a quanto già fatto, il sistema del trasporto su gomma è attivamente impegnato per ulteriori innovazioni: si ricordano in proposito molti progetti europei tesi all’evoluzione normativa in modo da permettere pesi maggiori e maggiori lunghezze dei mezzi su alcuni itinerari.

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Se confrontiamo il trasporto ferroviario e il trasporto stradale dei primi del 1900 con quello di oggi vediamo la diversa evoluzione :

Il trasporto ferroviario, nel settore delle merci in particolare, non solo è rimasto ancorato alle modalità originarie, ma ha perso progressivamente molte delle flessibilità che lo caratterizzavano fino ad alcuni anni fa (inoltro di carri singoli o gruppi di carri, capillare distribuzione sul territorio degli impianti abilitati a spedire e ricevere merci, presenza di raccordi ferroviari anche su realtà industriali medio piccole…). In definitiva, il sistema ferroviario in genere, e quello italiano in particolare, non solo non si è innovato tecnicamente, ma ha ridotto progressivamente la sua presenza sul territorio. Insomma, è rimasto inalterato sostanzialmente il modello di produzione, mentre il perimetro operativo dell’offerta si è ristretto, limitando ancor di più la gamma delle scelte per i clienti finali.

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B2. Dove innovare Tra i tanti e diversi aspetti del trasporto ferroviario ed intermodale l’innovazione va rivolta prioritariamente: • Al miglioramento delle infrastrutture, per realizzare una migliore

accessibilità ai servizi ferroviari e per incrementarne la produttività, mediante:

migliore accessibilità ferroviaria agli interporti; collegamenti con i porti con la creazione del porto–

lungo; migliore accessibilità ai raccordi industriali; eliminazione dei vincoli di sagoma e di portata; aumento delle performance del treno: incremento del

modulo treno; creazione di connessioni in asola.

• Allo sviluppo delle modalità di trazione, per assicurare affidabilità e prestazioni adeguate al processo di erogazione del servizio, mediante:

procedure semplificate di accesso alla rete; incremento dello sforzo al gancio; trazione simmetrica; aumento della velocità media; telecomando.

• Alla fluidificazione dei rapporti tra gli attori (imprese ferroviarie,

gestore della infrastruttura, autorità di regolazione e controllo), per rendere snello il processo di coordinamento tra i diversi soggetti che partecipano alla catena di produzione del servizio, mediante:

la definizione di un protocollo di confronto bilaterale

con tempi certi e coerenti con le richieste del mercato;

tempi più solleciti di risposta da parte dell’Ansf per le procedure di abilitazione ed omologazione;

condivisione delle scelte strategiche sulla rete tra IF, RFI, FS e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

• Alla chiara definizione della competenza tra i vari attori attori:

nel ruolo di coordinamento e controllo del MIT; nelle funzioni di Ansf ;

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per la omologazione dei mezzi e per il controllo sul processo di manutenzione del materiale rotabile.

• All’uso delle aree ferroviarie, per favorire:

il riuso delle aree ferroviarie dismesse; la messa a disposizione di imprese terze degli

impianti di manutenzione.

• Alle attrezzature di carico/scarico, per generare:

l’applicazione di sistemi di carico/scarico veloce e automatizzato;

l’automazione dei sistemi di trasmissione documenti e delle operazioni di trasporto.

• Al materiale rotabile, per progettare e mettere in esercizio:

locomotori elettrici con gruppo diesel per ultimo miglio;

carri ferroviari progettati per la creazione di treni shuttle;

carri attrezzati per alimentare i container frigo.

• Ai servizi, per rendere possibile:

uso dell’AV/AC per i servizi merci; concetto di rete e non solo di servizi isolati; interazione con le piattaforme intermodali/interporti; creazione di servizi veloci: stessi tempi di

percorrenza di un intercity - creazione di intercity-cargo;

treni shuttle a composizione bloccata; applicazione del concetto intermodale anche per le

merci tradizionali non a treno completo.

• Alle procedure di sicurezza, per assicurare:

semplificazione e remotizzazione delle procedure di formazione treno e verifica;

composizione e scomposizione treni in autoproduzione nelle stazioni e negli scali minori;

automazione del controllo di sicurezza dei treni, dei carri ferroviari e loro componenti.

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Come si può vedere l’innovazione non è solo tecnologica, ma anche di metodo. In Italia abbiamo bisogno di un nuovo approccio al mondo ferroviario, che sarebbe sicuramente favorito dalla presenza di una pluralità di attori aventi pari dignità, come previsto dagli obiettivi del processo di liberalizzazione. Nel seguito esamineremo alcune innovazioni che possono avere maggiore impatto sul miglioramento della competitività del sistema. B2.1 Miglioramento nelle infrastrutture

I terminali oggi in uso in Italia sono stati progettati per gestire le operazioni di carico/scarico dal treno in maniera remota, e non in fase di movimento del treno stesso; infatti, i terminali sono connessi alla rete con un binario di raccordo non elettrificato, che si dirama dal fascio di binari connesso alla stazione ferroviaria di riferimento.

Situazione attuale

Centro intermodale

Stazione

Tempi: 10-12 oreCosti: terminalizzazione

manodoperacarico/scarico

In questa situazione il convoglio ferroviario, una volta giunto nella stazione di destinazione, deve essere trainato con un’operazione di terminalizzazione diesel all’interno del terminale stesso, operazione spesso gestita, per il primo tratto, dalla squadra di manovra di RFI o dell’impresa ferroviaria e, per il tratto finale, dal personale del terminal, con elevati costi e tempi aggiuntivi. La movimentazione delle unità di carico nei terminal - basata sulla tecnica del sollevamento - obbliga ad operare con costose attrezzature – gru a cavalletto, reach stackers – e necessita di grandi spazi per lo stoccaggio delle unità di carico e per la manovra dei mezzi di movimentazione. Il terminale deve essere fortemente infrastrutturato con più binari di carico e scarico per i lunghi tempi di stazionamento dei carri, e ampie aree cementate per poter sopportare l’attività di movimentazione e i forti carichi propri delle gru semoventi. I tempi e i costi connessi all’operazione di scarico/carico in un terminale

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tradizionale sono condizionanti per la competitività dell’intero trasporto; infatti, tra sgancio del locomotore elettrico, manovra in stazione, terminalizzazione, scarico, ricarico e ritorno in stazione, preparazione alla partenza, si impegnano 10/12 ore con costi che raggiungono anche 70/100 euro ad unità di carico a seconda della dislocazione del terminale e della pluralità dei soggetti coinvolti. La metodologia descritta è idonea e competitiva solo in presenza di grandi volumi, per particolari destinazioni, che possano generare quantitativi superiori a 5 treni alla settimana per singola destinazione. Per volumi movimentati inferiori risulta difficile – per il vettore ferroviario – garantire l’effettuazione del treno con sufficiente affidabilità; ne consegue che le uniche strutture intermodali nazionali efficienti risultano quelle che offrono relazioni internazionali da/e verso il Nord Europa. Analogo problema si riscontra nel collegamento con i porti dove i tempi e i costi di ingresso e uscita sono spesso determinanti per le competitività del vettore ferroviario. B2.1.1 Il Porto Lungo Un modello di sviluppo è il cosiddetto Porto Lungo, concetto che esprime la possibilità di traslare parte dello stoccaggio dei containers in aree lontane dalle banchine portuali in modo da decongestionare le aree portuali stesse. Oggi è comunemente accettato che la possibilità di successo di un porto dipende soprattutto dal collegamento del porto con le infrastrutture di trasporto, ed in particolare con la rete ferroviaria. È del tutto evidente che la condizione per coniugare lo sviluppo del porto con la salvaguardia della città è quella di attuare uno spostamento drastico dalla gomma al ferro. Il Porto Lungo è una proposta attuabile a breve e senza investimenti esorbitanti: permette di “allungare il porto”, nel senso di dilatare i suoi piazzali, in modo da disporre di tutto lo spazio che occorre per lo stoccaggio intermedio, i servizi e le operazioni doganali, nonché degli snodi logistici ottimali per l’efficiente inoltro delle merci verso i mercati di destinazione. Questa modalità può essere attuata se il trasferimento avviene via ferrovia. Con il termine “Porto Lungo” si intende l’insieme di strutture fisiche e gestionali che si estende dalle banchine sino ai piazzali del retroporto, configurabile come un’infrastruttura logistica privata o affidata al governo

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pubblico dell’Autorità Portuale, dove il collegamento tra il porto e il suo retroporto è realizzato attraverso sistemi di trasporto tipo navetta ferroviaria a basso costo ed alta affidabilità, che garantiscano velocità di servizio e tracciabilità in tempo reale della merce. Il “Porto Lungo” si differenzia quindi dall’attuale sistema di Interporti, il cui efficace ed efficiente funzionamento è soggetto alla variabilità dei flussi di traffico ed alla convenienza economica delle varie opzioni modali disponibili. A partire dai varchi del retroporto, ciascun operatore - grandi linee di trasporto, terminalisti, clienti - potrà organizzarsi come e meglio riterrà, sfruttando la rete già esistente di Interporti e di opportunità logistiche sul territorio, utilizzando la ferrovia o le autostrade. Le aree destinate al retroporto dovranno essere individuate in quelle zone già collegate con le infrastrutture ferroviarie e stradali al porto, in modo da agevolare l’inoltro e il ricevimento delle merci provenienti/originate dai mercati di riferimento. Fondamentale in questo modello di sviluppo è l’estensione del regime portuale all’area destinata al retroporto, in modo da consentire di considerare l’iniziativa come “Servizio di interesse economico generale”, evitando di precludere la possibilità di interventi pubblici che altrimenti sarebbero considerati aiuti di Stato impropri. Il Porto Lungo è un modello di sviluppo che permetterebbe di non limitare lo sviluppo dei traffici portuali ed insieme evitare di sovracaricare le città portuali (che in Italia risultano nella quasi totalità già molto penalizzate per quanto riguarda la viabilità di accesso alle aree portuali) di ulteriori problemi e costi ambientalmente e socialmente insostenibili. Elemento di fondamentale importanza nel modello di Porto Lungo sono le procedure doganali che devono favorire la possibilità di scaricare le merci considerando come terminal portuale l’area retroportuale stessa. In questo scenario diventa possibile effettuare dei treni shuttle a composizione bloccata caricati in correlazione con le operazioni imbarco e sbarco delle merci dalla nave riducendo o eliminando lo stoccaggio in banchina per una parte significativa del movimentato nel porto. In questo modo aumenta automaticamente la quantità di merce movimentata via ferrovia dal porto. Successivamente la merce, ancora meglio se containerizzata, può proseguire via ferrovia dal retroporto alla destinazione finale o essere trasbordata su camion per raggiungere le destinazioni più vicine. Naturalmente il collegamento ferroviario non si esaurisce con il “raccordo portuale”, ma rimane di fondamentale importanza la qualità dell’infrastruttura ferroviaria per il raggiungimento dei mercati di sbocco delle merci caricate e scaricate nel porto.

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Questo tema è comune a tutte le aree di interscambio modale, in particolare in Italia, dove esistono vincoli di natura orografica, linee mai adeguate alle attuali necessità e aree del paese fortemente penalizzate in termini di peso per asse, sagoma limite, modulo treno o prestazioni in termini di peso trainato. B2.2 Miglioramento dell’efficienza della trazione B2.2.1 Doppia Trazione Simmetrica La distanza tra l’Italia e gli altri paesi europei sull’efficienza/efficacia della trazione è difficilmente colmabile: basta confrontarsi con la Germania dove vengono composti treni da 2200 Tonnellate. Il vincolo da rimuovere è il limite dello sforzo al gancio, in Italia limitato a 1000 KN, in funzione del grado di prestazione della linea, abbinato alle difficoltà di impiego della doppia trazione simmetrica che, ancora oggi è svolta con la obbligatoria presenza di un macchinista nella macchina di spinta, per l’impossibilità di omologare sistemi di telecomando per macchine non collegate via cavo. Una possibilità di immediata soluzione al problema della doppia trazione simmetrica consiste nella predisposizione del cosiddetto GAF (Gancio Automatico e Frenatura) che potrebbe collegare la macchina di testa con quella di coda attraverso un cavo che attraversa tutti i carri trainati. Questo è possibile da subito se si utilizzano carri a composizione bloccata. B2.2.2 Miglioramento del sistema di alimentazione elettrica Un ulteriore elemento da considerare in relazione all’infrastruttura è legato al sistema di alimentazione, con catenaria in corrente continua a 3 kV. Attualmente sulle linee ferroviarie italiane il massimo assorbimento consentito per locomotore è di 1750 A, corrispondente ad una potenza assorbita di 5,25 MW, sensibilmente inferiore alle potenze sviluppabili, dai 6,4 ai 7 MW, dei locomotori moderni attuali. Per ovviare ai limiti di potenza della catenaria già da alcuni anni sulle linee di valico (Brennero, Frejus, etc.) nonché sulla Direttissima e le linee principali, la tensione è stata elevata a 3,6 kV, apportando un leggero beneficio, senza risolvere il problema alla radice. La soluzione a cui tendere è la migliore distribuzione delle sottostazioni elettriche in modo che si possa erogare maggiore potenza quando più treni in linea assorbono una maggiore corrente.

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B2.3 Procedure di accesso alla rete Altro argomento da innovare sono le procedure di accesso alla rete, procedure che con la motivazione della sicurezza non tengono conto dell’attuale realtà che vede la presenza di diverse imprese ferroviarie operare su un unico impianto ferroviario. . Le attività da promuovere sono:

• La semplificazione delle procedure di accesso alla rete quando il materiale trainato deve essere estratto da un raccordo; spesso sono necessarie più manovre in quanto l’impianto è strutturato per consentire la partenza solo dai cosiddetti binari di arrivo e partenza. In molti impianti i raccordi sono ancora organizzati con sistemi di scambi svincolabili da chiavi che devono essere fisicamente scambiate per consentire l’accesso alla rete. In questi casi la soluzione deve essere individuata in procedure di autorizzazioni verificabili e certificabili tra personale di condotta e sala controllo e sistemi di accesso comandabili a distanza.

• La elettrificazione dei fasci di presa e consegna e, dove possibile la radice e le dorsali dei raccordi per i porti e gli interporti. Questo provvedimento può consentire una velocizzazione delle operazioni di terminalizzazione e una forte riduzione dei costi. Inoltre l’attuale situazione tende a ridurre la possibilità di accesso ai raccordi da parte di nuove imprese ferroviarie che hanno difficoltà a strutturarsi sul territorio per effettuare a costi competitivi le operazioni di terminalizzazione e manovra. Questo provvedimento è particolarmente urgente per i raccordi in linea dove per la terminalizzazione è spesso necessario impiegare sia mezzi diesel che mezzi elettrici in combinazione.

• La individuazione di procedure e caratteristiche che devono avere i mezzi di manovra. E’ determinante intervenire con rapidità per una corretta gestione in sicurezza delle operazioni di manovra, composizione e scomposizione dei treni nei parchi di presa e consegna. Oggi quando per terminalizzare dei carri nei parchi si devono attraversare i binari di corsa è necessario avere a disposizione delle locomotive attrezzate ed omologate come mezzi da linea. Unica eccezione i locomotori di Trenitalia/RFI che, in virtù della loro operatività da prima della liberalizzazione, possono operare liberamente.

• Il riconoscimento che l’aumento della velocità media deve essere parte di un percorso tecnico e normativo che assicuri pari dignità

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ai treni merci rispetto ai treni passeggeri, senza inutili penalizzazioni. Il trasporto merci – in particolare l’intermodale - deve essere in grado di garantire tempi di trasporto e resa certi senza penalizzazioni in termini di orario e velocità di inoltro. Questo è possibile nella maggior parte dei casi, a maggior ragione adesso che la maggior parte dei locomotori merci garantisce velocità adeguate all’inserimento delle tracce merci anche fra tracce passeggeri.

B3. Innovazione nel settore Intermodale Considerato che lo sviluppo futuro si giocherà soprattutto nel trasporto intermodale, riveste particolare importanza l’innovazione in questo settore. Raggruppiamo di seguito le innovazioni ritenute più importanti rispetto al miglioramento della competitività del sistema intermodale. Si ritiene necessario anzitutto migliorare e razionalizzare l’accesso in rete dei treni che originano e sono destinati ad un centro intermodale o ad un porto. In questo caso le innovazioni possono riguardare i mezzi per raggiungere le aree non elettrificate, o la modifica del concetto di area interportuale, almeno in alcuni casi, in area di transito e trasbordo veloce, accessibile al locomotore elettrico. Nel caso dei mezzi di trazione viene proposto l’utilizzo di locomotori elettrici attrezzati con un gruppo diesel inserito nel corpo del locomotore stesso o trainato come un tender o messo sul primo carro utile. Per la drastica riduzione dei tempi di arrivo e ripartenza del treno si propone la realizzazione di terminali ad asola. Il tempo totale intercorrente tra l’arrivo e la partenza di un treno in un terminale tradizionale non è inferiore alle 10/12 ore; nel caso di terminale in asola si riduce al solo tempo necessario alle operazioni di scarico e ricarico. Ulteriore vantaggio consiste nel minore costo di realizzazione dell’infrastruttura che può essere ricavata da aree ferroviarie dismesse.

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Relativamente alle metodologie e ai protocolli operativi numerose possono essere le innovazioni, in questa trattazione ci limiteremo a trattare l’automazione dei sistemi di trasmissione documenti e l’automazione del controllo di sicurezza dei treni, dei carri ferroviari e loro componenti. Gli attuali sistemi di trasmissione dei documenti sono molto spesso manuali e necessitano di personale presente in sito: questo è difficilmente ottenibile dalle nuove imprese ferroviarie che non sono particolarmente strutturate sul territorio. La soluzione non è certo la moltiplicazione di apposite strutture in capo a ciascuna impresa ferroviaria, che porterebbe gioco forza a costi sproporzionati, ma quella di considerare il locomotore come un ufficio viaggiante dove redigere e ricevere documenti, sia per la preparazione del treno – formazione treno – che per la verifica del materiale rotabile e del carico. Inoltre,la preparazione dei documenti del treno potrebbe essere demandata alle sale operative remote. Analoga soluzione è percorribile per il controllo di sicurezza dei treni e dei carri ferroviari, attraverso la trasmissione dei documenti con l’ausilio di palmari o netbook. Questa procedura potrebbe essere utilizzata per la trasmissione del documento di verifica, della lista carri, etc. Per quanto riguarda la verifica vera e propria, attività che necessita un tempo rilevante essendo connessa alla verifica visiva dell’intero treno, lungo spesso 500-550 metri, si propone che, per quanto riguarda la verifica del carico nel caso di trasporti intermodali, questa operazione possa essere fatta da una postazione remotizzata attraverso un sistema di telecamere e sensori montate su un portale che monitorerà l’intero convoglio. Analogo sistema può essere sviluppato per il controllo degli assili. Altre innovazioni di grande impatto per il trasporto intermodale riguardano il controllo in tempo reale del carico:

• riconoscimento automatico del contenitore/casse mobili; • riconfigurazione perni del carro ferroviario;

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• controllo della correttezza del carico del treno; • tracciabilità delle merci pericolose.

Significativa importanza riveste l’applicazione di differenti modalità operative e di nuove tecnologie applicate ai carri ferroviari in modo da ottimizzare la modalità operativa di treni shuttle. In questo caso è fondamentale creare composizioni di carri connesse in maniera da consentire :

• il comando multiplo dei locomotori nella trazione simmetrica; • l’alimentazione di eventuali container frigo; • l’abbinamento misto di carri normali e carri ribassati; • la gestione delle scadenze di revisione in modo uniforme.

Molte delle merci oggi trasportate con carri dedicati (come ad esempio rottame, tronchi di legno, molte merci voluminose come carta igienica, elettrodomestici) potrebbero essere trasportate con il concetto intermodale anche per i trasporti oggi a treno completo monomateriale. Spesso queste merci sono caricate in un raccordo industriale e sono terminalizzate in aree di trasbordo per essere poi inoltrate via camion alla destinazione finale. In questi casi si ritiene utile studiare i singoli casi per verificare, se con apposite casse mobili, tali trasporti possano essere indirizzati a centri intermodali in modo da evitare il trasbordo della merce ma solamente dell’unità intermodale. A titolo di esempio il rottame potrebbe essere caricato in casse da 20 o 30 piedi che poi possono essere ribaltate a destino, evitando la pulizia manuale, i danni ai carri e favorendo il ritorno a carico dei carri. Il legname potrebbe essere collocato in apposite casse mobili attrezzate con stanti, mentre le merci voluminose potrebbero essere caricate in casse mobili di maggior larghezza, atte ad ottimizzare il tratto del trasporto ferroviario.

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B3.1 Sistemi di carico /scarico a traslazione orizzontale L’innovazione per quanto riguarda le attrezzature di carico/scarico ha interessato i sistemi a traslazione orizzontale. Di seguito si propongono alcuni esempi tra i più significativi: il Modalohr, il Cargo Domino, il CargoBeamer e il Metrocargo. Il Modalohr,è un innovativo sistema intermodale in cui il carico orizzontale dei rimorchi o dei semirimorchi si effettua direttamente col trattore stradale senza sistemi di movimentazione. Il terminale di trasbordo, un piazzale attraversato dalla linea ferroviaria, è attrezzato con rampe d’accesso per il caricamento laterale dei camion sui carri. Per questo sistema sono necessari specifici carri pianale.

Il Cargo Domino è un sistema intermodale camion-treno costituito da un apparato di trasbordo orizzontale meccanico posto a bordo del veicolo stradale. I mezzi stradali dovranno essere dedicati a questo tipo di sistema di trasporto così come i contenitorori. Le comuni unità di trasporto, a meno di modifiche in esse o nel pianale ferroviario, non possono essere movimentate.

Il Cargo Beamer è una soluzione innovativa per il trasporto intermodale di semirimorchi. E’ il primo caso in cui è stato introdotto un semirimorchio

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tradizionale nel trasporto combinato; è compatibile anche con casse mobili e containers standard. Questo sistema si basa su una unità di trasferimento orizzontale completamente automatica posta all'altezza di ciascun vagone ferroviario e può essere costruito in modo che si possano effettuare le operazioni di carico e scarico su entrambi i lati del vagone.

Il sistema Metrocargo è una soluzione per il trasbordo dei container che utilizza apparecchiature innovative che lavorano orizzontalmente sotto la linea elettrica di alimentazione, con la capacità di lavorare un treno all’ora. Metrocargo è un sistema modulare composto da 4 torrette per il sollevamento delle UTI, da una navetta per lo spostamento delle UTI dal carro ferroviario alla zona di stoccaggio e da baie di stoccaggio. Metrocargo può lavorare con qualunque misura di container e casse mobili dotate di blocchi d’angolo standard, e operare su carri ferroviari tradizionali di qualsiasi altezza.

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B4. L’innovazione nell’organizzazione dei servizi di trasporto

C’è molto spazio di innovazione, sia nei servizi di trasporto ferroviario sia nella logistica connessa. Il primo tabù da superare riguarda la creazione di reti di servizi intermodali e non solo servizi isolati da punto a punto come avviene oggi. Se il sistema intermodale diventa un servizio a rete diventa possibile connettere non solo i grandi hub verso il nord Europa ma anche gli interporti ed i centri logistici che oggi non riescono a mettere in piedi servizi logistici dedicati ad un solo punto. In questo modo si possono creare interazioni tra diverse piattaforme intermodali/interporti in modo da servire al meglio le Piccole Medie Imprese diffuse sul territorio. Occorre quindi ragionare in funzione di una rete logistica-produttiva che, utilizzando la rete storica, abbia nodi e baricentri diversi da quelli individuati nelle tradizionali reti di trasporto e possa contribuire a dare competitività ai nuovi business logistici. Non possiamo infatti dimenticare che sul versante della logistica in Italia siamo al cospetto di un panorama frammentato, articolato in una molteplicità di operatori di dimensione medio-piccola. Non mancano certo fornitori di servizi logistici affermati su scala regionale, specializzati per tipologie di prodotto e operanti con efficacia in una certa area geografica, ma difficilmente incontriamo provider in grado di offrire soluzioni a livello nazionale. Le reti distributive integrate esistenti si articolano almeno su base europea, caratterizzandosi per la concentrazione dei flussi su pochi nodi e selezionate linee di traffico. Il mercato del trasporto intermodale è stato sino ad oggi condizionato da vincoli di contorno difficilmente superabili senza un moderno approccio alle tecniche di movimentazione nei terminali intermodali e alle metodologie di utilizzo della modalità ferroviaria. Gli interporti devono saper reinterpretare la propria funzione, in quanto oggi offrono servizi che sono diventati meno utili di un tempo, mentre diventa indispensabile identificare una traiettoria di nuovo sviluppo e di innovazione che sia capace di catturare la nuova domanda di trasporto che il sistema ferroviario sta perdendo. Ormai da tempo è in atto la tendenza di un numero sempre più elevato di operatori di grandi dimensioni verso un posizionamento delle proprie attività in aree non infrastrutturate (senza aste e raccordi ferroviari, senza impianti e macchinari di movimentazione di grande mole, senza edifici e costruzioni ad uso logistico) rispetto agli interporti: la pressione competitiva dei costi di insediamento immobiliare per la logistica sta spingendo verso una ulteriore polverizzazione geografica del mercato che

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tende a spiazzare ulteriormente la soluzione ferroviaria ed intermodale. Questo è un fenomeno che va quindi contrastato. È opinione comune che occorra ricercare le soluzioni innovative che consentano, tra l’altro, di arrivare ad una piena valorizzazione delle strutture interportuali. E’ necessario quindi pervenire ad un sistema a rete che valorizzi i nodi, costituiti da piattaforme multimodali e multiutenti, che diventano efficienti punti di convergenza dei flussi delle merci e di interscambio, strettamente collegati a una serie di centri di distribuzione finalizzati ad una singola area o ad una filiera di prodotto. I flussi di merci che passano per le piattaforme insistono - è questa la differenza sostanziale rispetto al passato - su bacini di traffico specifici; i centri di distribuzione non sono più regionali o locali, ma multiregionali o addirittura nazionali. Tale sistema permette altresì un virtuoso collegamento ai principali Corridoi europei, che diventano strumento di competitività stessa delle nostre imprese, obbligatoriamente votate all’export. I grandi progetti ferroviari, concepiti come linee di attraversamento delle Alpi, dovranno essere integrati in un sistema ramificato che raggiunga tutte le principali aree ad alta intensità di attività logistiche sul territorio italiano. Occorre quindi dare maggiore importanza ai collegamenti locali con i corridoi transeuropei che si innestano nei nuovi assi di transito per riuscire a trarne vantaggi economici e sociali. In tal senso, sarà opportuno analizzare le conseguenze dei nuovi corridoi, riconoscerne le potenzialità per lo sviluppo regionale e adeguare l’offerta di infrastrutture e servizi logistici alla nuova situazione. Al fine di incrementare i volumi delle merci trasportate con modalità intermodale, è necessario quindi trasferire verso questa modalità parte di quei trasporti che, effettuati in volumi pari ad una o più unità di carico, rappresentano il traffico diffuso nazionale e internazionale. Con le tecniche oggi applicate nel servizio “punto–punto ferroviario” per grandi volumi questa tipologia di trasporti non può che utilizzare il sistema “tutto strada”. Inoltre, le merci che sino ad oggi sono state trasportate per ferrovia con il sistema del “carro singolo”, rappresentano un segmento agevolmente trasferibile sul sistema intermodale, considerata la volontà di abbandonare questa modalità. Quanto sopra descritto è favorito anche dai seguenti fattori: • gli spazi delle aree interportuali sia in acquisto che in locazione

iniziano a scarseggiare e soprattutto i costi risentono dei pesanti investimenti infrastrutturali effettuati, che qualcuno deve ripagare;

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• un maggiore interesse degli operatori verso le modalità di trasporto alternative alla strada;

• un minore interesse degli operatori verso i servizi doganali determinato dalla crescente apertura delle frontiere europee;

• le gerarchie interportuali che privilegiano nell’effettuazione dei servizi, soprattutto quelli comuni (trazione ferroviaria), gli operatori logistici storici degli interporti e non i nuovi entranti.

Per questo motivo molti operatori, negli anni recenti, hanno preferito posizionarsi in nuove aree, oppure riadattare stazioni esistenti ai propri obiettivi di business. Più opportuno sarebbe riuscire a ripensare il modello di servizio ferroviario all’interno degli interporti e delle piattaforme principali, per rendere possibile al tempo stesso la concentrazione dell’offerta ed una nuova flessibilità operativa che il mercato richiede. La creazione di una rete di aree logistiche favorirà anche la richiesta di servizi intermodali veloci con gli stessi tempi di percorrenza di un intercity. La possibilità di operare attraverso una specie di intercity-cargo potrebbe incentivare anche l’uso dell’AV/AC per i servizi merci, sfruttando gli investimenti in questo senso.

La city logistics è un altro fronte di innovazione e sviluppo per il merci ferroviario. In questo comparto innovare utilizzando la ferrovia potrebbe diventare un'iniziativa di logistica sostenibile che tende alla razionalizzazione della distribuzione delle merci in ambito urbano con lo scopo di perseguire obiettivi di efficienza e di efficacia nel trasporto ivi compreso il rispetto dell'ambiente. L’utilizzo della rete ferroviaria per raggiungere il centro delle nostre città è perfettamente coerente con gli obiettivi dei progetti di Logistica Urbana. Le casse mobili saranno così trasbordate, senza rottura di carico, direttamente sui veicoli ecocompatibili che effettueranno le consegne, in questo caso, solo nell’ultimo miglio urbano.

La nuova prospettiva che si propone è quindi quella di creare ed offrire un servizio che raccolga il traffico diffuso, inserendosi nel network con i principali terminali intermodali nazionali. In questo contesto i terminal intermodali possono ricoprire l’importante ruolo di raccolta delle merci destinate alla distribuzione urbana, consentendo di ricevere merci via ferrovia, provvedere ad un primo stoccaggio temporaneo ed infine di consegnare ai destinatari finali ottimizzando i fattori di carico.

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B5. L’aiuto all’innovazione nel settore del trasporto ferroviario L’aiuto pubblico, locale, nazionale o dell’Unione Europea risulta fondamentale per promuovere l’innovazione e le best practices. In questo contesto risulta indispensabile definire il ruolo dell’Europa, dello Stato e delle Regioni, creando un sistema di convergenti obiettivi tra le istituzioni ai diversi livelli per rendere sinergico il proprio ruolo a favore dello sviluppo della intermodalità e del trasporto ferroviario. Per il settore specifico, sarebbe opportuno promuovere, anche con incentivazioni, la partecipazione del gestore della rete e degli enti di controllo: RFI, Ansf, Enti certificatori, Dogana. Strumenti utilizzabili per aiutare le nuove iniziative e lo sviluppo tecnologico sono :

misure nazionali di politica dei trasporti, come il Ferrobonus di cui si discute in Italia;

Marco Polo, ed i progetti comunitari che sostengono specifiche iniziative di shift modale.

E’ fondamentale fare si che gli aiuti producano risultati duraturi, favoriscano lo start up di nuove iniziative e privilegino i progetti di sistema, non solo le singole relazioni. In questo caso un esempio positivo sono i progetti UE “Capacities” dove si uniscono:

le richieste degli operatori; gli enti di ricerca; gli sviluppatori di soluzioni;

Anche in Italia ci sono esempi positivi, ad esempio due progetti di Industria 2015, che costituiscono esempio di progetti di logistica innovativa: • Slimport; • Impulso • Sifeg Il programma di sviluppo SLIMPORT (Sicurezza, Logistica, Intermodalità Portuale) intende realizzare un progetto innovativo di porto che integra soluzioni modulari, volte a rendere efficienti i processi operativi nell’ambito dell’ultimo miglio mare e primo miglio terra, e prevede come enti sperimentatori Autorità Portuali e gestori di altri nodi del trasporto di rilevanza nazionale.

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Il prodotto SLIMPORT e’ un sistema modulare, composto da 13 sotto-sistemi, che offre ad un operatore logistico o ad un gestore di un nodo del trasporto, un set di componenti tecnologiche che, integrando soluzioni info-telematiche, impianti e sensoristica, consentono di intervenire nelle varie fasi del processo operativo di trasporto delle merci e delle persone, aumentandone l’efficienza, favorendo il riequilibrio ambientale, sviluppando l’intermodalità e riducendo complessivamente il tempo di transito delle merci e delle persone nei nodi del trasporto, a parità di investimenti in apparecchiature e servizi. Il progetto IMPULSO (Integrated Multimodal Platform for Urban and Extra Urban Logistic System Optimisation) propone un sistema innovativo di trasporto e distribuzione delle merci. I temi ai quali il progetto IMPULSO fa riferimento sono: • sistema e componenti logistici per il trasporto su gomma di merci in

ambito urbano; • sistema multimodale, sicuro, integrato e tempestivo per il trasporto di

merci a medio e lungo raggio; • piattaforma infotelematica per la sicurezza e la gestione di persone

e/o merci in ambito urbano. Il sistema proposto è impostato per essere di tipo modulare e compatibile con la rete infrastrutturale esistente e le relative procedure, sia in modo integrato, sia a livello di modulo, e comprenderà una piattaforma HW e SW per la raccolta, l’elaborazione e la distribuzione dei dati, e un insieme di modelli di simulazione dell’infrastruttura esistente. Il progetto SIFEG: “Sistema multimodale, sicuro, integrato e tempestivo per il trasporto di merci a medio e lungo raggio”, propone di sviluppare prodotti che interessano tutta la catena del trasporto. SIFEG è configurato come una Suite di sottosistemi strettamente integrati. I prodotti che fanno parte della suite sono distinti per area di intervento; per il trasporto su ferro, SIFEG prevede, tra gli altri

• CAFER , un carro ferroviario per il trasporto di semirimorchi stradali velocizza le operazioni, non necessita di infrastrutture a terra e può operare sotto linea di contatto ferroviaria

• CAMAV, un carro merci per linee ad alta velocità destinato al trasporto di beni deperibili.

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B6. Le ricadute attese dall’innovazione In sintesi, possiamo schematicamente individuare le ricadute possibili che si verrebbero a determinare tramite una decisa azione di innovazione nei sistemi di gestione del trasporto ferroviario e delle soluzioni intermodali:

• aumento della competitività rispetto alla strada; • aumento della sicurezza; • snellimento nelle procedure; • maggiore partecipazione di tutti gli attori; • maggiore efficienza ed efficacia; • riduzione di costi verso il mercato; • shift modale verso il ferro; • mantenimento e sviluppo della occupazione nel settore.

Inoltre, si potrebbero determinare positivi effetti sul sistema economico nel suo insieme:

• maggiore competitività delle nostre esportazioni; • creazione di valore nella supply chain del trasporto e della

logistica; • riduzione nella incidenza del costo della logistica sul prodotto; • riduzione dei mezzo pesanti sulle strade; • riduzione dei costi esterni; • miglioramento degli indici di incidentalità; • positivi effetti su traffico e congestione, in particolare nei

principali nodi metropolitani; • riduzione dell’inquinamento ed impatto positivo sui parametri

di Kyoto.

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