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ANNO XXXI NUMERO 3 MARZO 2016 La tomba è vuota! La Risurrezione di Gesù Cristo, evento fondante della fede cristiana, al centro di questo numero: si può parlare di un evento storico? Com’è narrata nei quattro Vangeli? Cosa significa per la vita di un cristiano?

La tomba è vuota!

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Mensile della Chiesa di Nola XXXI - 3 - Marzo 2016

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La tomba è vuota!La Risurrezione di Gesù Cristo, evento fondante della fede cristiana,

al centro di questo numero: si può parlare di un evento storico?Com’è narrata nei quattro Vangeli? Cosa significa per la vita di un cristiano?

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mensile della Chiesa di Nola

in Dialogo mensile della Chiesa di NolaRedazione: via San Felice n.29 - 80035 Nola (Na)Autorizzazione del tribunale di Napoli n. 3393 del 7 marzo 1985Direttore responsabile: Marco IasevoliCondirettore: Luigi MucerinoIn redazione:Alfonso Lanzieri [333 20 42 148 [email protected]], Mariangela Parisi [333 38 57 085 [email protected]], Mariano Messinese, Antonio Averaimo, Vincenzo FormisanoStampa: Giannini Presservice via San Felice, 27 - 80035 Nola (Na)Chiuso in redazione il 29 marzo 2016

UN VUOTO CHE RIEMPIE IL CUOREIl Messaggio per la Pasqua del vescovo Depalma

La nostra cultura occidentale associa la felicità alla pienezza. La gioia di una tavola che non ha un lembo vuoto nemmeno per appoggiare le braccia. La musi-ca ad alto volume che rimbomba nella stanza o in macchina. La fe-sta zeppa di ospiti e amici, segno di successo sociale. Valanghe di messaggini sullo smartphone…

È qui tutta la difficoltà contem-poranea di comprendere sino in fondo la Pasqua, evento di grazia in cui a dominare la scena è la tomba vuota e silenziosa del Si-gnore Gesù. Un vuoto che ci pone di fronte al mistero, di fronte a noi stessi e al senso stesso della

vita e della morte. Un vuoto che ci invita al silenzio, alla riflessio-ne , un vuoto che ricrea nel no-stro cuore lo spazio per lo stupo-re, la meraviglia.

La Pasqua, con la drammatica ed emozionante scena di un vuo-to inspiegabile, è per i credenti e i non credenti il necessario mo-mento della verità sulla propria esistenza. Non ci sono cose che possono renderci migliori. Non ci sono beni che possano salvar-ci. Non c’è nulla di materiale che possa dare una forma autentica alla nostra coscienza e alla no-stra umanità. Con la Pasqua, sia-mo chiamati ad un gesto audace:

muovere un passo dentro quel se-polcro inabitato e vincere la pau-ra della morte, quella paura che ci paralizza e che compensiamo circondandoci dell’inutile e del superfluo, di una pienezza futile e illusoria.

Gesù ci chiama in una stanza spoglia dove fare i conti con il no-stro cuore, con la nostra capacità di amare, con il nostro desiderio di sorprenderci di fronte alla ric-chezza e bellezza della vita, an-che con la nostra determinazione a superare le difficoltà e le fati-che senza perdere la speranza e la fiducia nel futuro. Il vuoto di fronte al quale si trovano Gio-vanni e Pietro dopo una corsa a perdifiato, carissimi amici, è la nostra grande possibilità di ripar-tire dall’essenziale: da noi stessi e dal grande sogno che Dio ha su ogni uomo e ogni donna. Quando l’uomo si riappropria di se stesso non c’è paura che tenga, non c’è morte che dica la parola “fine”.

Buona Pasqua!

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03marzo 2016

La Risurrezione è un evento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate

ALLA SORGENTE DELLA FEDEdi Francesco Iannone

La Terza Pagina

Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete an-

cora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltan-to in questa vita, siamo da com-piangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15, 17).

Ci farà bene, direbbe Papa Francesco, in questi giorni della Pasqua 2016, tornare alla schiet-tezza e alla forza della fede e del pensiero dell’Apostolo Pao-lo. Contro ogni pigro e sazio in-tellettualismo e al di là di ogni vuoto e sdolcinato sentimentali-smo, potremmo fare un pellegri-naggio alle sorgenti della nostra fede, a quell’inizio sorprendente dell’avventura cristiana, a quella che è la verità culminante del-la nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai do-cumenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale insieme con la croce: la Risurrezione di Gesù nel suo vero corpo, come canta la Liturgia di Pasqua.

La Risurrezione è certo un evento trascendente. Essa fu ben diversa dalle altre di cui raccontano i Vangeli. Cristo non ritorna alla vita terrena come Lazzaro, sperimentando di nuo-vo cose come il dolore fisico, la vecchiaia o la morte. Egli ri-sorge a vita eterna; il suo non è soltanto un corpo risorto, ma anche glorificato. Il suo corpo non è più soggetto alle leggi di causa ed effetto della materia, e non perché non sia più mate-riale, ma perchè la sua materia è totalmente “ permeata” dalla potenza dello Spirito e partecipa della vita divina. “Questo corpo

autentico e reale possiede” se-condo il Catechismo della Chie-sa cattolica (645) “le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato nello spazio e nel tempo, ma può rendersi pre-sente a suo modo dove e quando vuole, poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sul-la terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre. Anche per questa ragione, Gesù risorto è sovranamente libero di apparire come vuole: sotto l’a-spetto di un giardiniere (Gv 20, 14-15) o sotto altre sembianze (Mc 16,12) che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare la loro fede”. Questo però non vuol dire che la resurrezione non sia reale, fuori dell’ordine fisico al punto da non riconoscerla come un avvenimento storico. Il mi-stero della Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storica-mente constatate, come attesta il Nuovo Testamento.

Insieme al teologo e al cre-dente, infatti, lo storico possie-de due dati storici incontestabi-li, chiamati «la frangia storica» della risurrezione: a) la morte in croce di Gesù e la fede dei discepoli nel Cristo risorto, in-comprensibile dopo lo scacco del venerdì santo; b) il sepolcro vuo-to e le apparizioni di Gesù risor-to ai discepoli, descritte come un’esperienza oggettiva. Risulta dai fatti che la fede dei discepo-li è stata sottoposta alla prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro da lui stesso preannunziata [Cf Lc 22,31-32 ]. Lo sbigottimento provocato dalla passione fu così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito alla notizia della Risurre-zione. Lungi dal presentarci una

comunità presa da una esaltazio-ne mistica, i Vangeli ci presen-tano i discepoli smarriti e spa-ventati, diffidenti nei confronti delle donne che tornavano dal sepolcro trovato vuoto e le cui “parole parvero loro come un vaneggiamento” (Lc 24,11). Di fronte alle discussioni ricorrenti e alle interpretazioni tanto con-trastanti quanto vaghe, contra-rie alla realtà della Risurrezione perché, in fondo, viziate dal pre-giudizio razionalistico che rifiuta a Dio ogni possibilità di interve-nire nel mondo, forse potremmo dar ragione a Hans Küng quando afferma che «non fu la fede dei discepoli a risuscitare Gesù ma fu il Resuscitato a condurli alla fede» (H. Küng, Essere cristiani, Rizzoli 2012, p. 421).

E insieme anche a un rabbino, Pinchas Lapide, teologo ebreo di origine austriaca, sentiamo di poter affermare: «Io accetto la risurrezione della domenica di pasqua, e non come invenzio-ne della comunità dei discepoli, bensì come un evento storico. Sono assolutamente convinto che i dodici galilei (contadini, pastori e pescatori, ma nean-che un professore di teologia) non sarebbero rimasti assolu-tamente impressionati da un’i-dea o da un mito (…) E se un evento storico-concreto come quello della crocifissione li get-tò nell’angoscia e prostrazione più totali, come narrano tutti e quattro i vangeli, era necessario un altro evento non meno stori-co e concreto per strapparli da questa valle di disperazione e in breve tempo trasformarli in una comunità di salvezza ricolma di gioia e di esultanza» (P. Lapide – J. Moltmann, Monoteismo ebrai-co – Dottrina trinitaria cristiana, Queriniana, Brescia, 1980, 47s.).

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mensile della Chiesa di Nola

Splendore e timore: il racconto della Risurrezione nei Vangeli

RISORTO PER AMOREdi Fernando Russo

La ricchezza e la diversità dei Vangeli pongono immediata-

mente in risalto il nucleo fon-damentale di un Racconto, che, si dipana con diverse sfumature o caratteristiche. Il nucleo che accomuna i Vangeli consiste nel ritrovamento della tomba vuota da parte delle donne, nel primo annuncio che loro stesse riescono a porre in atto e nell’esperienza che i discepoli compiranno, in-contrando il Maestro Vivo.

Un dato sicuramente interes-sante è che in Marco, il primo Vangelo scritto, il racconto si ar-restava al v. 8 del cap. 16, con la frase “Hefoboùntogàr”, ossia “Ebbero paura”. Le donne, dun-que, ebbero paura, quando l’an-gelo seduto nel sepolcro, chiese loro di andare dai discepoli e da Pietro (Mc 16,7) e questa paura si chiude con un silenzio (Mc 16,8). Il resto, a partire dal v.9, è un ri-assunto di fatti narrati soprattut-to da Luca e da Matteo, aggiunto in epoca posteriore.

Matteo, che ha ben presente il Vangelo di Marco, sembra aggiun-gere qualche particolare. Innan-zitutto, rispetto a Marco, sono Maria di Magdala e l’altra Maria a recarsi di buon mattino al se-polcro di Gesù (Mt 28,1), mentre in Marco erano Maria di Magda-la, Maria di Giacomo e Salome (Mc 16, 1). In Marco le tre donne recano con sé oli aromatici per l’imbalsamatura del cadavere e sono assalite da un legittimo dub-bio su chi le aiuterà a far rotolare la pietra dal sepolcro. In Matteo, invece, le due donne vanno sem-plicemente a fare visita al sepol-cro e sono colte da un improvviso terremoto. Poi, un angelo fa ro-tolare via la pietra dal sepolcro (Mt 28,2) e si pone a sedere su di essa. Matteo, dunque, elimi-na l’usanza dell’imbalsamatura, che gli sembra inopportuna, trat-

tandosi di una usanza non tipica-mente giudaica. La menzione di “fare visita alla tomba”, quindi, non implicava necessariamente un aiuto, per far rotolare la pie-tra. Ecco, allora, sopravvenire un terremoto, ma non è il terremoto a provocare il rotolamento della pietra, bensì è un angelo dall’a-spetto sfolgorante.

Lo splendore di cui si avvolge la Risurrezione richiama un brano, che abbiamo letto a metà della Quaresima. Il brano in questione è la trasfigurazione (Mt 17,1-8; Mc 9, 2-8; Lc 9,28-36). Il candore della veste, con cui appare Cri-sto, con accanto Mosè ed Elia, nonché il cambio di aspetto “he-metamorfòthe”, preludono ciò che sarà la Risurrezione stessa, come segno per eccellenza della Nuova Alleanza. L’atteggiamen-to dei discepoli, che assistono a questo episodio, è di chi non rie-sce ad entrare in un mistero così grande. Pietro farfuglia qualcosa, ha paura, i suoi occhi, così come quelli degli altri sono pieni di sonno. Questo atteggiamento lo ritroveremo anche nei bellissimi racconti delle apparizioni, che l’Evangelista Giovanni descrive, a completamento della tradizio-ne sinottica. In Gv 20, 1- 10 è Ma-ria di Magdala a scoprire la tomba vuota. Corre da Pietro e dal disce-polo che Gesù amava. Lei stessa non ha fatto ancora esperienza del Cristo Risorto, tant’è vero che dice ai due discepoli “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno po-sto”. Soltanto, dopo, quando lei stessa rimarrà al di fuori, mentre Pietro e il discepolo amato perlu-streranno l’interno del sepolcro, Cristo stesso le apparirà in carne ed ossa, ma lei non lo riconoscerà immediatamente.

La tristezza dei discepoli, che non riescono ancora ad entrare

nel mistero della Risurrezione viene descritta molto bene dall’E-vangelista Luca, nell’episodio di Emmaus (Lc 24, 13-35), dove pro-tagonisti non sono esponenti del-la cerchia dei dodici. Questi due discepoli lo riconosceranno nello spezzare il pane e nell’annuncio di quelle Sacre Scritture, rilette in modo mirabile da Cristo stes-so, lungo il cammino. La tristezza è poi parte integrante dell’episo-dio della pesca miracolosa, sulle

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rive del lago di Tiberiade (Gv 21, 1-23). I discepoli pescano tutta la notte, senza prendere nulla. Que-sta fatica sottolinea molto bene l’incapacità a lasciarsi condurre per mano da Gesù. La problema-ticità di diventare annunciatori di una gioia così profonda. Poco prima, Gesù era entrato a porte chiuse, in mezzo a loro, aveva confermato l’incredulità di Tom-maso, in una seconda apparizione a porte chiuse (Gv 20, 19-26).

Eppure, c’è ancora qualcosa che non decolla. Infatti, all’al-ba, Gesù si presenta sulla riva del lago, chiede loro se hanno qualcosa da mangiare, ma ancora non lo riconoscono. È il discepolo che Gesù amava che lo riconosce,

La Tomba è vuoTa!dopo la pesca miracolosa, quasi a richiamare l’altro bellissimo te-sto della chiamata dei discepoli di Luca (Lc 5,1-11).

In Luca, Pietro, dopo il miraco-lo, si inginocchia davanti a Gesù, dicendo “Allontanati da me, per-ché sono un peccatore!”; nel te-sto di Giovanni, invece, si cinge la sopravveste e si getta in acqua. È guidato da uno slancio sincero. Durante la cena tutti tacciono, nessuno domanda a Gesù chi sia, perché tutti lo sanno. Quando, poi, Gesù prende in disparte Pie-tro, cerca di portarlo alla consa-pevolezza che per entrare nel mi-stero della Resurrezione occorre imparare ad amare. È vero, Pie-tro sa solo volere bene. Un bene

tipico di un’umanità che è schia-va delle convenzioni, della pro-pria mentalità, dei calcoli e delle ambiguità.

L’umanità delle nostre comuni-tà che restano talvolta sbilanciate sul versante della troppa umanità e che fanno fatica ad intrapren-dere cammini di Risurrezione, provocati dalla Parola e dalla Fede in Cristo Gesù. In Gv 21,20 Pietro dissente sulla presenza del discepolo amato, che segue lui e il Signore, dimostrando di dovere ancora purificarsi di dover ancora camminare e il cammino del pri-mo Papa della Storia sarà sancito dalla Pentecoste e dalla Testimo-nianza, attraverso il Martirio, a Roma.

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mensile della Chiesa di Nola

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07marzo 2016

Sulla navicella del cuoreBattesimo e vita ascetica al centro dell’ultimo incontro sul pensiero teologico di S.Paolino da Nola

Utopia concretaIn dialogo con Fausto Bertinotti sulla Laudato si’ di Papa Francesco

Pregare per davveroL’esperienza degli esercizi spirituali itineranti promossi dall’Azione cattolica diocesana

Ripensare l’umano? Il gesuita Piccolo e il filosofo Vitiello a confronto sulle prospettive di un nuovo umanesimo

In Diocesi

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mensile della Chiesa di Nola

Battesimo e vita ascetica al centro dell’ultimo incontro sul pensiero teologico di S.Paolino da Nola

SULLA NAVICELLA DEL CUOREa cura della Biblioteca diocesana

L’ultimo quarto del secolo XX e i primi anni del secolo XXI

hanno visto crescere fortemen-te l’attenzione degli studiosi per l’opera di Paolino di Nola, inte-ressati a riconsiderare la sua po-liedrica figura, colta nel passato solo sotto alcuni aspetti. Accanto ai tanti studi letterari e filologi-ci si è aggiunta ultimamente una varietà di studi e ricerche che progressivamente stanno portan-do alla luce la figura di “Paolino teologo”.

Per questo, lo scorso 26 Febbra-io, la Compagnia di San Paolino e la Biblioteca diocesana sempre dedicata al Santo, in collabora-zione con i Comitati del Calzolaio e dell’Ortolano, hanno organizza-to, nel Salone dei Medaglioni del Palazzo Vescovile di Nola, un in-contro dedicato a “L’iniziazione cristiana in Paolino da Nola”, pre-sieduto da don Salvatore Feola.

La vita, le lettere e gli scritti del Santo e poi ancora il batte-simo, il matrimonio con Terasia, la conversione, la scelta di vita ascetica, sono stati gli elementi messi in evidenza dal relatore, responsabile della biblioteca,

che si è soffermato soprattut-to sul rapporto tra Battesimo e vita ascetica: il Battesimo, evento fondamentale nella vita di Paolino, è considerato dal Santo il primo approdo alla vita cristiana e, nello stesso tempo, l’inizio di un nuovo cammino da percorrere, all’insegna del Vangelo di Cristo. Col Battesimo si esprime visibilmente la propria adesione a Cristo, ma, precisa Paolino, si è solo all’inizio di un cammino nel quale si è chiamati continuamente a progredire, per poter tendere verso la maturità.

Sono soprattutto le lettere a contenere il pensiero di Paoli-no sull’argomento. Nella lettera 4 ad Agostino, Paolino nel chie-dere di guidarlo e di sostenerlo nel suo cammino di fede scri-ve: «Sorreggi dunque questo bambino che avanza incerto strisciando per terra ed insegna a lui a camminare sui tuoi passi. Non vorrei infatti che tu consi-derassi la mia età dalla nascita del mio corpo quanto piuttosto dalla mia nascita spirituale, per la quale io ho ancora l’età di quei bambini trucidati da Erode.

Perciò con le tue parole nutri me che, come bambino ancora infan-te nei confronti della parola di Dio ed ancora lattante nella vita spirituale, anelo alle mammelle della fede, della sapienza e del-la carità». Nel rivolgersi poi ad Amando e a Delfino - Amando il prete e il maestro che lo aveva preparato al Battesimo, Delfino il Vescovo di Bordeaux che gli ave-va amministrato il Sacramento del Battesimo - Paolino usa sem-pre espressioni di affetto filiale e di gratitudine, ricordando alcuni momenti di quella preparazione ricevuta, che dovette essere si-curamente lunga e proficua, dal momento che per tutta la vita conservò un senso di profonda riconoscenza nei confronti di co-loro che imbarcarono sulla navi-cella del suo cuore il Signore, il quale riportò pace e tranquilli-tà in una vita orientata, da quel momento in poi, verso il porto della salvezza. Così leggiamo nell’Epistola 9: «…Cristo, che in verità voi due, con l’intervento della vostra fede per mezzo del sacramento della grazia, avete imbarcato sulla navicella del

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I

Caritas, tra il dire e il fare

CARITAS,TRA DIRE E FARE

Nata nel 1971, Caritas italiana ha contributo in questi anni a far compiere alla Chiesa il grande passaggio da una carità intesa in termini di assistenzialismo ad una carità intesa come accoglienza delle persone in difficoltà perché possano, se accompagnate con amore e competenza, uscire dai bassifondi della disumanità e ritornare a vivere. In queste pagine, attraverso le storie di chi dona e riceve accoglienza, raccontiamo l’impegno della Caritas diocesana che, pur in un territorio difficile come il nostro, è riuscita a costruire reti di solidarietà, ad allargare gli orizzonti della carità, a farsi ponte tra parrocchie e istituzioni locali per poter riportare la

giustizia lì dove regna la povertà.

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II

mensile della Chiesa di Nola

LA SPERANZA DI CUI LA VITA È SEMPRE PIENAdi don Arcangelo Iovino*

Caritas come espressione della Chiesa, Caritas a servizio del territorio, Caritas a dialogo con le istituzioni: questo possiamo, dobbiamo e vogliamo essere, assumendo uno stile di presenza che si fondi sull’ascoltare, l’osservare e il discernere. Ascoltare prima di tutto, perché, come ci ha ricordato il nostro Vescovo, nel messaggio inviatoci alla vigilia del sinodo «Sono le domande con le quali gli uomini e le donne accostano i pastori per trovare risposte di senso e nuove possibilità, ad orientare nuove mete, nuovi itinerari nell’annuncio del Vangelo e nella trasmissione della fede»: siamo infatti coscienti che Caritas non è una sigla, ma l’essenza stessa di Dio e noi siamo chiamati a dover mostrare concretamente la compassione della nostra Chiesa verso gli uomini e le donne di questo territorio. L’osservazione delle povertà che ci si pongono innanzi quotidianamente si è per questo accompagnata ad un discernimento comunitario che ci facesse superare il piano - pur nobile - delle idee per cogliere e comprendere la realtà. E la realtà prima che ci si pone innanzi sono le persone: ogni nostro intervento così come ogni nostra attività formativa – indirizzata non solo ai volontari che aiutano a livello diocesano ma soprattutto a quanti prestano servizio presso le Caritas parrocchiali – parte dalla centralità della persona e ha come fine la persona, sul cui volto intravediamo quello di Cristo. La familiarità con la Parola e la maturazione di un percorso di fede che porti a riconoscere Dio nell’altro sono tra le priorità che come Caritas ci poniamo, affiancato naturalmente all’acquisizione di strumenti che consentano di dare risposte in una realtà culturalmente e socialmente sempre più variegata. Siamo consapevoli che la povertà, infatti, non si distingue per credenza o appartenenza; la Chiesa non ha i suoi poveri, mentre i restanti sono di competenza del territorio. L’esperienza edificante delle “Locande di san Vincenzo” in questi anni e, ultimamente il dormitorio a San Giuseppe, ci ha permesso di maturare questa prospettiva: in ciascuno è presente Dio, da qualsiasi parte del mondo venga o qualsiasi religione professi, qualsiasi sia il tipo di povertà che lo affligga. Ma nel contempo, il nostro ufficio diocesano, per sopperire al numero sempre crescente dei bisogni dei poveri, deve rafforzare “ad extra” una collaborazione feconda con l’associazionismo, “ad intra” deve concretizzare il legame con le realtà parrocchiali, sforzandosi di far comprendere il vero identikit di una Caritas in una comunità. Un dialogo che non può escludere le istituzioni, con le quali può diventare autentico e fecondo se queste scendono con noi nei bassifondi dell’umanità, se riescono insieme con noi a tendere la mano e a toccare “la carne di Cristo”, se sanno operare una cultura del “riciclo dello scarto”, dove l’inutile diventa necessario e il povero si trasformi in una ricchezza. Il dialogo e la collaborazione feconda con gli uomini e le donne di buona volontà della nostra terra, non può però lanciarci in uno sterile protagonismo nel sociale; deve marcare la differenza di stile, la profondità del progetto, la gratuità dello scopo. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.” (Mt 10,8). Questa è la prima e più grande collaborazione che la Caritas offre alle istituzioni del territorio: la gratuità del volontariato, la gratuità della sua collaborazione con le associazioni umanitarie. Una gratuità della Caritas che ha come suo immediato effetto una collaborazione franca, senza fronzoli, aperta al dialogo, tenendo salda la sua missione: “mandata a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione (…) a rimettere in libertà gli oppressi” (cfr. Lc 4,18). In queste pagine raccontiamo quella realtà che incontriamo e che, con umiltà e professionalità, con passione e fede cerchiamo di far riemergere dai bassifondi della disumanità. Pagine che raccontano non i nostri meriti ma la Speranza di cui la vita è sempre piena e che come Caritas dobbiamo, vogliamo e possiamo testimoniare e farla risplendere.

*Direttore Caritas diocesana

L’impegno della Caritas non può limitarsi all’assistenzialismo: la carità infatti non può avere fine

OPERE TESTIMONI DELL’AMORE DI DIOdi Raffaele Cerciello*

Quanto si pronuncia la parola Caritas si pensa immediatamente ai poveri, si pensa immediatamente alla certezza di un aiuto per chi è in difficoltà, si pensa alla Chiesa e alla sua capacità di accogliere, senza fine. Si pensa in altre parole alla Carità, luogo teologico nel quale il credente e il non credente hanno la possibilità di sperimentare l’incontro con Cristo. Per questo quando si pensa all’impegno che la Caritas deve avere sul territorio non si pensa esclusivamente alla necessità di attivarsi per distribuire pasti, per offrire un posto letto o mettere a disposizione il servizio docce, ma si pensa all’impegno a promuovere sul territorio l’attenzione alla persona, a scuotere le intorpidite coscienze civili perché guardino verso il basso, lì dove ci sono vite vissute disumanamente, si pensa ad un impegno di sentinella che nell’accogliere lo stato di povertà di una persona ne sottolinii anche il carattere di ingiustizia. La Caritas - nata il 2 luglio 1971 per subentrare alla Poa (pontificia opera di assistenza) - come la Carità non segue la ‘logica del pacco’, la logica della consegna di un bene perché un singolo o una famiglia possa ‘tirare avanti’ ma segue la logica dell’amore che è desiderio della felicità di chi vive in condizione di infelicità: infatti “Compito della Chiesa, è - ricordava monsignor Giovanni Nervo, fondatore di Caritas Italiana, in un’intervista all’Osservatore Romano dell’11 novembre 2011 - formare le coscienze alla propria responsabilità sociale e, se fa delle opere, devono essere testimonianza dell’amore di Dio per gli uomini”.La Caritas diocesana sta lavorando faticosamente proprio in questa direzione perchè quest’opera di formazione sia un’opera corale, che coinvolga le parrocchie, chiamate ad essere attrici prime sui propri territori e le istituzioni locali, chiamate ad accogliere le indicazioni provenienti dai vari responsabili Caritas e ad impegnarsi per sanare eventuali deficienze sul piano dell’assistenza sociale ma anche a ripristinare giustizia lì dove ce ne fosse lesione. Un dialogo possibile perché sempre

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III

Caritas, tra il dire e il fare

maggiore è stata l’attenzione alla formazione dei volontari chiamati a svolgere i propri compiti non solo con fede e passione ma anche con professionalità: il disagio alimentare, il disagio abitativo ed economico, il disagio della solitudine non possono essere affrontati solo con la buona volontà. Le persone che vivono in condizione di povertà pongono domande di futuro, cercano possibilità per risalire dal disagio, non per sopravvivervi; volontari formati sono in condizione di dare o quanto meno cercare nella giusta direzione le giuste risposte. La formazione è importante in ogni opera: dai dalle Locande San Vincenzo per il servizio mensa al dormitorio del Centro don Tonino Bello di San Giuseppe, dallo Sportello per il Microcredito al Servizio Guardaroba e Docce, dai Centri d’Ascolto al Servizio Immigrazione al Progetto Massimo della Pena che ha visto, ad esempio, accogliere nei servizi caritativi della Caritas ben 52 persone colpite da misure restrittive della libertà. La necessaria competenza nell’affrontare la povertà, sempre da coniugare all’amore con cui si accolgono i poveri, è evidente poi nel lavoro

svolto dalla Fondazione SICAR nato al fine di correttamente dare corso a quanto previsto dall’Istruzione in Materia Amministrativa (IMA) della Conferenza Episcopale del 2005, laddove si suggerisce “che l’ente diocesi non assuma direttamente la gestione di attività caritative (ad esempio, mense per i poveri, centri per anziani o disabili, case di accoglienza, colonie, case per ferie), se esse sono considerate, ai fini fiscali, attività commerciali e se comportano specifiche responsabilità” (IMA, 90, 5^ capoverso). Nata nel 2009, la Fondazione consente, sul piano legale, una chiara distinzione tra le attività pastorali proprie della Caritas (animare, coordinare, promuovere, formare, ecc.) e l’organizzazione e gestione effettiva delle opere concrete. Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, è politicamente e pastoralmente sotto-ordinata all’Ente Diocesi attraverso la “rigida” previsione statutaria che informa la nomina di tutti gli organi sociali dell’ente, unica vera tutela nei confronti di cattiva gestione: il suo presidente e legale rappresentante è infatti, per statuto, il Vice Direttore della Caritas Diocesana

e viene nominato direttamente dal Vescovo, mentre il Consiglio di Amministrazione è composto da cinque componenti, direttamente od indirettamente, di nomina vescovile: un’amministrazione nell’ottica della laicità, un’amministrazione che si fa cioè leva sull’essere dei laici ponte tra la Chiesa e il mondo.E in un mondo che vede i giovani sempre più difficilmente farsi strada nel mondo del lavoro e in tanti a cadere in condizioni di povertà, invece, per la perdita del lavoro, la Fondazione ha fatto sì che il suo impegno e quello dei volontari potesse divenire generatore di opportunità di lavoro: non solo alcuni volontari, per le competenze professionali proprie, sono stati poi riconosciuti in grado di assumere la cura di alcuni luoghi o ambiti di intervento propri dell’azione della Fondazione - dalla quale sono stati assunti - ma anche chi ha incontrato la Caritas perché in condizioni di disagio e di bisogno di aiuto, ha avuto la possibilità di restituire quanto ricevuto, mettendo nel proprio lavoro – regolarmente retribuito - a servizio della Fondazione, lo stesso amore che ha incontrato.

*Presidente Fondazione SICAR

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IV

mensile della Chiesa di Nola

Al dormitorio di San Giuseppe Vesuviano l’accoglienza non si ferma all’offerta di un posto letto

OLTRE L’EMERGENZAdi Mariangela Parisi

Stare con gli ultimi – diceva don Tonino Bello - significa lasciarsi coinvolgere dalla loro vita. Prendere la polvere sollevata dai loro passi. Guardare le cose dalla loro parte”. È sufficiente trascorrere alcune ore in compagnia dei responsabili e degli ospiti del Centro Caritas della III Zona Pastorale intitolato al vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, scomparso nel 1993, per accertare la verità di queste parole: «davanti alla vita di una persona - ha infatti sottolineato Michele De Vito, responsabile del dormitorio presente presso il Centro di San Giuseppe Vesuviano, pochi minuti dopo l’inizio della nostra chiacchierata - vita che ti

viene quasi messa tra le mani, non puoi semplicemente agire sul piano burocratico: non puoi accogliere solo l’emergenza né una persona solo in quanto emergenza; accogli il desiderio di quella persona di risalire la china, di tornare a vivere».Il dormitorio è stato inaugurato il 14 marzo 2014, l’ingresso del primo ospite si è avuto il 1 aprile 2014. Segno concreto dell’impegno Caritas per gli ultimi, l’opera non nasce dal nulla ma trova ispirazione nell’esperienza di “Emergenza Freddo”, progetto posto in essere nel 2013 per soccorrere quanti, senza fissa dimora, rischiavano di perdere la vita in mancanza di difese contro il

freddo invernale. «I giri dell’unità di strada - ci ha raccontato Michele - hanno fatto scoprire diversi senza fissa dimora che vivono all’interno di strutture dismesse o abbandonate, oppure per strada. Si tratta di persone che oltre alla precarietà materiale spesso vivono anche quella relazionale dovuta soprattutto alla rottura di rapporti familiari che potrebbero invece offrire aiuto e protezione. Né sono in grado di usufruire degli aiuti che pure le istituzioni territoriali offrono. Un discorso il mio che descrive la situazione di italiani e non». Ma al di là dei numero, ciò che

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V

Caritas, tra il dire e il fare

emerge dall’incontro con Michele è la centralità che deve avere nell’agire di un Centro Caritas la priorità da dare alle persone e al tempo necessario perché, come più volte mi ha ripetuto, «la persona si scopra risorsa per se stessa»: scegliere questa bussola per orientare il proprio cammino con le persone in difficoltà porta infatti a risultati inaspettati. Ne sono testimonianza le storie di Pietro e Benedetta e quelle della famiglia Passi (cognome di fantasia che ci facciamo suggerire dalla frase di don Tonino, per rispettare il desiderio di riservatezza dei componenti).Pietro e Benedetta sono entrambi di origine polacca ed entrambi vivono nel nostro Paese da più di 15 anni. Oltre la cinquantina, hanno alle spalle una storia di solitudine e dolore: nei responsabili del dormitorio hanno trovato una famiglia; il Centro, luogo nel quale si sono conosciuti e che li ha visti innamorarsi, non li ha infatti mai

abbandonati; «anche ora che abbiamo lasciato il dormitorio per andare a vivere da soli, i nostri amici della Caritas – ci ha raccontato Benedetta - ci seguono e ci accolgono. Per noi sono una certezza». Benedetta ha incontrato la Caritas prima grazie ai volontari di “Emergenza Freddo”, conosciuti in una gelida notte d’inverno, poi, a seguito di un incidente che ancora oggi la costringe ad usare le stampelle, «grazie – ci ha detto Michele - all’immediata sinergia con l’AslNa3Sud siamo riusciti a prenderla in carico e a farle ottenere l’assistenza domiciliare presso il dormitorio». Tempestività e sinergia con le istituzioni locali che oggi ha permesso a Benedetta di poter sperare in un nuovo inizio con Pietro: «certo - ha evidenziato – non mancano le difficoltà, soprattutto per la mancanza di lavoro ma sappiamo di non essere soli».

Certezza che emerge anche dal racconto della famiglia Passi, composta da marito, moglie ed un figlio: quando sono arrivati al dormitorio, la signora Passi viveva un forte momento di sconforto dovuto alla perdita della casa. «Se non avessi avuto Rosanna a sostenermi - ha raccontato guardando la responsabile che le siede accanto, Rosanna Tufano - non so se ce l’avrei mai fatta». Il ricordo dei tempi duri è ancora vivo ma la certezza che maggio è vicino ha strappato subito un sorriso: «a maggio infatti - ha concluso - lasceremo il dormitorio per andare a vivere in una nuova casa». Rosanna sorride con lei aggiungendo «è una donna con tanta forza, pur di lavorare non ha esitato a fare a piedi chilometri e chilometri». Mentre parliamo si stringono la mano: entrambe guardano dalla stessa parte, verso un unico orizzonte, camminano insieme, circondate dalla stessa polvere.

Il progetto “Emergenza Freddo”

La Caritas Diocesana, già da tre anni, attiva nel periodo del-la stagione invernale interventi di “Emergenza freddo” per arginare la problematica dei senza fissa di-mora.Nello specifico l’intervento prevede un’unità di stra-da per monitorare il territorio diocesano con il compito di prevenire il rischio dei senza tetto nelle ore notturne e di segnala-re successivamente le persone in-tercettate alle caritas parrocchiali.

Le attività svolte sono:• Presidiare luoghi abitati da

senza fissa dimora• Visitare luoghi segnalati• Distribuzione coperte e

necessario per la notte• Segnalazioni per la presa in

carico alle strutture deputate• La partenza dell’unità di strada - composta da un referente della Ca-ritas diocesana, almeno tre volon-tari, un medico o un infermiere - è prevista per le ore 21.00 e il rientro circa per le ore 00.30. La sede (può essere variata per motivi logistici) di partenza e rientro è il Centro Tramma di Nola.Stanza per gli ospiti Caritas

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VI

mensile della Chiesa di Nola

La storia di Salvatore e il suo incontro con la Caritas

PERCORSI DI RINASCITAdi Alfonso Lanzieri

L’appuntamento cade in un pomeriggio piovoso presso il Centro “Elim” di Caritas Nola, a Somma vesuviana. Entro in un piccolo viale con accanto un simpatico orticello e alla fine una grande casa bianca: una voce senza volto dal balcone mi dice di entrare dalla porta di fronte a me. Lui, Salvatore, mi aspetta al piano superiore. Mi accoglie con la gentilezza senza affettazione tipica delle persone davvero educate. Mentre ci scambiamo i convenevoli, contempliamo l’orto dal terrazzo: presto i colori e gli odori della bella stagione lo invaderanno e Salvatore mi racconta dei deliziosi prodotti che presto la terra produrrà. Ma lo scenario per lui non è stato sempre così sereno. «Adesso sono ospite del Centro Elim, grazie al progetto “Affetti” promosso dalla Caritas per accompagnare i padri separati. Prima invece facevo l’autotrasportatore». Poi? «Poi arriva la crisi, la perdita del lavoro, e con essa le gravi difficoltà economiche e con la mia famiglia». Così, qualche anno fa, Salvatore è costretto a rivolgersi ai servizi della Caritas, e non utilizza un dizionario delicato per descrivere quel periodo: «ero una persona morta. Avevo perso tutto, mi ero costruito una famiglia, degli appoggi che io credevo solidi ma che poi si sono rivelati fragili, fasulli. Ho bussato alla porta della Caritas ma ormai dentro di me mi ero come arreso, la vita mi aveva messo a terra». Salvatore, 51 anni, separato, ha lo sguardo dritto di chi conosce le luci e le ombre della vita e parla con voce calma e tranquilla, dice di sé «sono un uomo fortunato, ho trovato chi dopo il buio ha creduto in me». Infatti col tempo ha ribaltato tutto ed è diventato a sua volta uno dei volontari della Caritas di Nola, occupandosi in particolare del magazzino; ha trovato anche un lavoro nel week-end come guardiano notturno. Ora è lui in prima linea ad impegnarsi per gli altri. Mentre chiacchieriamo mi spiega i vari aiuti offerti da Caritas: «offriamo servizio dormitorio, servizio doccia, servizio guardaroba e naturalmente

TRAME DI SOLIDARIETÀdi Alfonso Lanzieri

I due progetti di Caritas Nola che presentiamo hanno in comune la parola “tessuto”. “Rivestiti di solidarietà” nasce nel 2014 e, mi spiega Vincenzo, uno dei responsabili «è sviluppato in collaborazione con la Lab.E.Do. (Laboratorio Etico del Dono) srl., società che, munita di tutte le necessarie autorizzazioni e competenze, attualmente gestisce, grazie ad una convenzione con la Fondazione SICAR, una sorta di braccio operativo di Caritas Nola, le attività di raccolta e riciclo di indumenti usati su tutto il territorio della Diocesi di Nola». Vestiti dismessi, un po’ perché la taglia non è più quella giusta, un po’ perché qualcuno si è stufato di indossarli, diventano possibilità per tanti per vestirsi di dignità. L’obiettivo del progetto è, da un lato, l’avvio al lavoro di persone in condizione di svantaggio sociale, e dall’altro il sostegno dei servizi caritativi della Caritas Diocesana. «Si punta inoltre – continua Vincenzo - a diffondere una nuova cultura della solidarietà e dell’educazione a stili di vita improntati ai valori della sobrietà, del dono, del riciclo,del riuso e della condivisione». Come è organizzato il servizio? «Stringiamo accordi con gestori di aree private, come cortili di parrocchie, piazzali antistanti i supermercati etc. e lì posizioniamo dei raccoglitori per gli indumenti. Periodicamente, poi, noi operatori della Lab.E.Do. provvediamo allo svuotamento, ad una prima selezione e quindi i materiali vengono avviati al recupero, attraverso un processo di sanitizzazione e di ulteriore selezione». Parlavamo di “tessuto” quale parola da tenere a mente. Infatti il progetto “Life”, avviato da appena due settimane, è un laboratorio creativo, presso il quale vengono realizzate borse con materiale donato che altrimenti rischierebbe di essere non utilizzato. Questa volta parlo con Rosanna, una delle responsabili del progetto: « l’idea circola già da tanto e finalmente, da poco tempo siamo partiti». Il laboratorio si trova presso il centro caritas Don Tonino Bello, a San Giuseppe Vesuviano, che accoglie i senza fissa dimora: «i destinatari delle attività sono gli ospiti stessi del centro, che hanno così la possibilità di imparare a realizzare oggetti decorativi, utili, divertenti: anche se attraversano un momento di difficoltà esistenziale, hanno dentro di loro risorse immense da tirar fuori, utili al loro reinserimento attivo nel tessuto sociale».

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VII

Caritas, tra il dire e il fare

il servizio mensa. La crisi non ha risparmiato nessuno: se una volta molti erano gli extracomunitari adesso sono tante le famiglie italiane sono in difficoltà in seguito alla perdita del lavoro e della casa». Mi confida, poi, che un ulteriore elemento che lo rende fortunato sono i due infarti dello scorso dicembre superati indenni: nonostante ciò, però, gli faccio notare che poco prima mi aveva accolto con una bella sigaretta tra le labbra.Il suo percorso gli ha fatto conoscere un volto inedito della Caritas e una dimensione poco raccontata della

solidarietà: «conoscevo la Caritas come una struttura che offriva un servizio di prima assistenza a chi era nel bisogno, ma tutto ciò che gira intorno ad essa, le tante attività, le tante possibilità di servizio non lo conoscevo affatto. La Caritas per me era solo l’offerta di un pasto caldo e invece ho trovato persone che si prendono cura dell’uomo in senso totale. E così, a poco a poco, me ne sono innamorato: ho trovato un punto di forza per andare avanti e aiutare altre persone. Questo è ciò che ho imparato: oltre all’aiuto materiale,

I volontari del magazzino a lavoro

è importante l’aiuto affettivo, il sostegno e la vicinanza umani di chi ti dà di nuovo la possibilità di credere in te». Quando gli chiedo della Chiesa, della fede, con sguardo schivo dice: «se non ci fosse stata la Chiesa noi, quelli come me, che fine avremmo fatto? Chiesa e Caritas sono la stessa cosa». Però ha anche sogni sulla Chiesa: «vorrei che le parrocchie e l’universo Caritas fossero mondi più intercomunicanti, più integrati; vorrei che lo stile che proviamo a declinare qui fosse il perno della vita di tutte le parrocchie».

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VIII

mensile della Chiesa di Nola

www.caritasdiocesananola.it

Le foto sono di Salvatore Marone

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9marzo 2016

nostro cuore… affinché … guidati dal timone dello spirito di verità e dai remi della parola di Dio, possiamo dirigerci al porto del nostro desiderio».

A Delfino, che col Battesimo ha deposto in lui il seme della Parola di Dio, Paolino chiede di coltivarlo e concimarlo, con la sua preghiera continua al Signo-re, perché possa crescere sem-pre più e giungere alla piena maturazione: «Tu dunque prega questo Signore, finché non avrai ottenuto che non permetta che il nostro «vello», che Egli lavò con le tue mani nell›acqua della rigenerazione battesimale, venga di nuovo macchiato ed insozzato dai nostri peccati e ritorni di co-lore scarlatto, ricoperto ed im-pregnato della tinta dei nostri vizi; ma, al contrario, mediante la continua vigilanza delle tue preghiere, Egli custodisca in noi il dono della sua grazia, e non faccia cessare in noi l’opera del-le sue mani, finché Egli non avrà portato a maturazione in noi il tuo raccolto..».

Un uomo integro e coerente come Paolino, che prende sul se-rio il suo impegno di fede, non poteva fermarsi alla prima tappa e tanto meno ritenersi soddisfat-to solo per il fatto di essere stato battezzato. Il Battesimo, pur co-stituendo per lui l’atto di nasci-ta alla vita dello spirito, doveva essere considerato solo come l’i-nizio di quella vita di perfezione alla quale, pur se a livelli diversi, sono chiamati tutti i cristiani. Per questo Paolino, una volta battez-zato, si impegnerà a tutta forza nella sua opera di conversione per realizzare un programma teso ad incarnare, giorno dopo giorno, i principi della fede abbracciata. Il Battesimo, oltre che segnare l’inizio di un nuovo cammino di fede, comporta una trasforma-zione radicale della natura uma-na nel suo essere ontologico. Per questo esso è anche sacramento di rigenerazione.

Diversi sono i testi nei quali Pa-olino fa cogliere questo aspetto, esplicitandolo attraverso alcune

immagini che hanno un forte tono espressivo. Nel Carme XXVIII, un natalizio, scritto per celebrare il dies natalis al cielo di San Fe-lice, Paolino, nell’esprimere la sua gioia per il completamento dei lavori delle basiliche di Cimi-tile, a un certo punto descrive un ambiente che si trova all’interno della Basilica Maggiore facendo riferimento a un Battistero in cui si celebra il rito della novatio dell’anima. Nell’indicare il Bat-tistero usa l’espressione “fonte della grazia” (fons pietatis). Nel portare, poi, avanti delle descri-zioni da un punto di vista archi-tettonico e richiamando alcuni momenti del rito sacramentale trae spunto per alcune conside-razioni teologiche, davvero mol-to significative e profonde: «Due volte un doppio rinnovamento adorna la basilica, mentre ivi il Vescovo compie il duplice dono di Cristo; consacra il venerando recesso per due usi, unendo i sa-cri misteri (pia sacramenta) col lavacro purificatore (castifico lavacro). Così nello stesso tempo il sacrificio rinnova il tempio, la grazia rinnova il fonte e il nuo-vo fonte rinnovando l’uomo dà il dono che riceve o piuttosto inco-mincia a dare ai mortali col rito divino ciò che cessa di essere con l’uso. Infatti lo stesso fonte una volta adibito al fine di rinnovare cessa di essere nuovo ma poi in forza di tale dono dovrà essere sempre usato, non cesserà mai di rinnovare gli uomini vecchi».

Sulla scia del Carme XXVIII ab-biamo la Lettera 32, indirizzata all’amico del cuore, Sulpicio Se-vero. Paolino, dopo aver, ancora una volta, espresso a Severo la sua profonda amicizia, descrive in modo particolareggiato le sue costruzioni con le pitture che ha fatto riprodurre sulle singole parti della nuova basilica, per illustra-re ai fedeli le scene dell’Antico e del Nuovo Testamento. A un cer-to punto della lettera, fornisce all’amico dei versi, che dice di usare anche per il suo Battiste-ro: «Questo fonte, artefice delle anime da rigenerare, sprigiona

in Diocesiun fiume vivo di luce divina. Lo Spirito Santo discende dal cielo in questo fiume e ne unisce le acque sacre con la sorgente ce-leste; l’onda diventa pregna di Dio e genera dall’eterno seme una santa progenie con le sue acque feconde. Stupendo è l’a-more paterno di Dio: il peccatore è immerso nell’acqua e subito, dalla medesima acqua, riemerge giustificato. Così l’uomo ottiene una fausta morte e una felice ri-nascita: muore alle cose terrene e rinasce ai beni eterni. Muore il peccato ma ritorna la vita; muo-re il vecchio Adamo, ed il nuovo rinasce per i regni eterni».

Anche qui è evidente il rife-rimento al passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. Molto significativa è poi la sottolinea-tura dell’intervento dello Spirito nelle acque battesimali. Gli ele-menti, emergenti dalle opere di Paolino, riguardo al cammino di iniziazione cristiana sono davve-ro tanti, anche se sparsi qua e là. Ad alcuni il nostro autore si riferisce esplicitamente, ad altri vi allude soltanto. Istruzione pre-battesimale, rinunce ed esorci-smi, battesimo per immersione, unzione crismale, consignatio, partecipazione corale dei fedeli alla mensa eucaristica: sono tutti gesti e riti strettamente collegati tra di loro, che vanno a compor-re un unico quadro sacramentale. Paolino parla del battesimo come lavacro purificatore, atto a rige-nerare e a rinnovare; afferma che la grazia battesimale costituisce il punto di incontro tra Antico e Nuovo Testamento, sottolinea il forte legame intercorrente tra iniziazione cristiana e mistero pasquale di Cristo, più volte sot-tolinea l’azione e la presenza dello Spirito nella celebrazione. Infine afferma l’intima e vitale interazione tra Cristo, la Chiesa e i battezzati, per cui il sacramen-to della grazia resta l’evento fon-tale e fondamentale dell’initium fidei, attraverso il quale Cristo nasce in noi e inonda con la pri-ma rugiada della sua conoscenza la nostra anima che rinasce.

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marzo 201610

mensile della Chiesa di Nola

Chiusura importante per la Scuola diocesana di

formazione alla cittadinanza attiva: l’11 marzo scorso, infatti, Fausto Bertinotti, già Presidente della Camera dei Deputati, è stato ospite dell’ultima tappa del percorso formativo. Giunta al suo quinto anno, la scuola è promossa dall’Ufficio diocesano per i Problemi sociali e il Lavoro, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato, dall’Azione cattolica diocesana e dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Nola. Presente all’appuntamento anche il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, il quale nelle conclusioni ha sottolineato come, in continuità ideale col cammino del Sinodo diocesano, alla chiesa di Nola interessi ascoltare le voci di chi non fa parte del mondo ecclesiale, «senza presumere di avere la verità in tasca: questa si scopre solo nel dialogo con l’altro».

Centro dell’incontro è stata l’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco, nella quale il Pontefice argentino affronta il difficile e problematico intreccio tra crisi economica, sociale e ambientale.

Dopo l’introduzione di Don Aniello Tortora, responsabile dell’Ufficio diocesano per i

Problemi sociali e il Lavoro, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato, e Gianfranco Nappi, dell’associazione “Oltre il giardino”, Bertinotti ha offerto una sua lettura del documento papale. «So bene – ha esordito lo storico leader di Rifondazione comunista – che non si può ridurre l’enciclica ai suoi argomenti sociali ed economici, visto che si tratta di un testo che naturalmente nasce in un orizzonte di fede, tuttavia la pregnanza politica, uso il termine nel suo significato più alto, è davvero molto intensa». «La cosa più straordinaria dell’encilcia – ha detto Bertinotti – mi pare essere la sua capacità di resistere all’aria del tempo». Il Papa, cioè, è uno dei pochi “grandi” del mondo capace di essere in controtendenza, di proporre una visione critica rispetto alla cultura egemone. «L’aria che respiriamo depone i grandi ideali e realizza un processo sempre più pervasivo di mercificazione dei rapporti umani, che tende a respingere fuori dalla propria realtà ogni anelito di speranza. Il nostro è il tempo del dominio della finanza e di meccanismi di potere occulti che a poco a poco hanno creato disuguaglianza

sociali ed economiche spaventose, sfruttamento catastrofico dell’ambiente e sospensione della democrazia». Il Pontefice «non ha paura di denunciare in modo franco e con linguaggio duro le dinamiche che generano gli attuali squilibri». L’enciclica, sottolinea l’ex Presidente della Camera, respinge quest’aria e invita alla possibilità di riprendere in mano con responsabilità il destino del mondo costruendo insieme un percorso alternativo, di cui c’è una drammatica urgenza. Come? «Le due parole chiave indicate dalla lettera pontificia – ha affermato Bertinotti – sono consapevolezza e responsabilità: a partire anche dalle parole del Papa serve la consapevolezza del disastro in cui siamo immersi e del fatto che siamo vicini al punto di non ritorno, e insieme la responsabilità per fermare la discesa pericolosa su cui stiamo scivolando». L’ex sindacalista fa poi notare che «nelle questioni affrontate dal Papa c’è un punto critico che anche la miglior politica fa fatica a cogliere, e che invece nelle pagine dell’enciclica circola in maniera fluida: l’attuale perverso meccanismo economico colpisce alla stessa stregua la giustizia sociale e la natura. Spesso questo legame non è tenuto presente dalla politica né a livello d’analisi né a livello di prassi. Papa Francesco invece riesce a mostrare l’interdipendenza di questi aspetti». Bertinotti sposa la denuncia dell’enciclica di forme globali di economia dimentiche della dignità umana, non governate dalla politica e quindi senza possibilità di essere orientate al bene comune, e insieme, loda le possibilità di speranza evocate da Papa Francesco, spesso voce isolata. E proprio su questo, in chiusura, cita Gramsci: “Mi sono convinto che anche quando tutto sembra perduto bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio”.

In dialogo con Fausto Bertinotti sulla Laudato si’ di Papa Francesco

UTOPIA CONCRETAdi Alfonso Lanzieri

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11marzo 2016

in Diocesi

L’esperienza degli esercizi spirituali itineranti promossi dall’Azione cattolica diocesana

PREGARE PER DAVVEROdi Emilia Lavino

Arrendersi, ringraziare, resti-tuire! È Con questi tre verbi

che comincia il mio racconto dei tre, intensissimi giorni, vissuti ad Assisi, la casa di Francesco, in oc-casione della mia prima esperien-za degli esercizi spirituali.

Sono presidente parrocchiale di Ac presso una piccola, giovane ma molto entusiasta parrocchia dell’estrema periferia di Bo-scoreale, con non pochi prob-lemi, soprattutto di identità: SS. Vergine del Suffragio di Marra. La preghiera è al centro del nostro cammino di fede, ma spesso, il delirio del quotidiano ti porta a perdere di vista l’essenziale; ed infatti devo dire che è stata pro-prio la forte predisposizione a voler ascoltarmi ed estraniarmi dalla confusione quotidiana che ha reso ancor più coinvolgente questo breve viaggio, fatto di rif-lessione ma anche di intensi mo-menti di fraternità.

In particolare ho avuto modo di riflettere sulla collocazione che Dio ha nella mia vita (ed io nel suo cuore!) e in quella della nostra piccola realtà associativa: grazie alla guida di don Alessan-dro Valentino e Suor Rosaria Car-pentieri, e alla presenza di ogni singolo volto che ho conosciuto, scoperto e ritrovato mi sono resa conto che Dio è più presente di

quanto io,stupidamente,pensi.Mi viene da pensare alla forza

delle suore che ci hanno ospita-to e deliziato nella loro casa ac-coglienza, ai numerosi momenti di confronto e conoscenza con chi ha fatto la storia della nostra as-sociazione, al momento di preghi-era di sabato sera sulla tomba di San Francesco ma soprattutto al l’esperienza vissuta a Perugia: la recita del Ss. Rosario in un luogo del tutto inusuale, un parcheg-gio, nei pressi dello stadio, che di notte diventa luogo di prostituzi-one. Da quattordici anni, ogni sa-bato, alle 24, un gruppo di volo-ntari dell’associazione Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Ben-zi, si riunisce per pregare in quel luogo, diventando presenza sco-moda per sfruttatori e clienti ma anche speranza per le ragazze. Il motivo che mi ha spinto ad essere presente sono state soprattutto le parole di suor Gabriella che, nel proporci questa forte espe-rienza, ci ha parlato della “forza delle nostre preghiere” in grado di salvare le persone, come è ac-caduto per qualcuna delle giovani prostitute di Perugia, riuscite a chiedere aiuto e a liberarsi dal-lo sfruttamento…ho pensato a quante volte si prega per “do-vere”o per “abitudine”; credo di non aver mai pregato cosi for-

temente come quel sabato sera, ed ora so come voglio pregare. Dopo aver vissuto, assaporato e condiviso questi giorni meravigli-osi, ho capito perché una persona a me molto cara mi aveva quasi “costretto”a vivere questa espe-rienza (e ha fatto bene!), di cer-to non smetterò mai di pregare davvero per lui. Con tutte le mie forze non mi resta che arrender-mi finalmente all’amore che Dio ha per me, ringraziarlo per quel-lo che,quotidianamente mi dà e cercare (umilmente) di restituirlo a chi incrocerò sul mio cammino.

“Feci misericordia” è il tema scelto dall’Azione Cattolica diocesana per l’esperien-za degli esercizi spirituali itineranti di quest’anno. Un itinerario nella Parola, guidata da don Alessan-dro Valentino, assistente generale diocesano, ma anche nelle bellezze arti-stiche di Assisi, presentate dalla “nostra”, in quanto di origini diocesane, Rosa-ria Carpentieri, suora della comunità delle Francescane Alcantarine che ha ospitato il gruppo.

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marzo 201612

mensile della Chiesa di Nola

Nel 2015 la Chiesa italiana, riunita nel suo quinto

convegno, si è interrogata sul tema In Gesù Cristo il nuovo Umanesimo, per leggere e ascoltare i segni dei tempi, farsi prossima delle vicende reale degli uomini e in esse essere segno della presenza salvifica del Signore Risorto e annunciare la ricapitolazione di tutti e di tutto in Cristo Gesù, ponendo l’umano come base e fondamento per ogni esperienza di annuncio e di missione. Ripensare l’umano è la provocazione che potrebbe essere a monte di tutto questo discorso e che l’Istituto di Scienze Religiose di Nola ha rilanciato al gesuita p. Gaetano Piccolo della Pontificia Università Gregoriana e al filosofo Vincenzo Vitiello dell’Ateneo San Raffaele di Milano nella suggestiva cornice della Sala dei Medaglioni della Curia di Nola. Ripensare l’umano per Gaetano Piccolo è costruire dei percorsi attraverso cui l’uomo possa trovare la propria forma, cioè la propria bellezza e identità. Forma è bellezza perché trasforma il chaosin kosmos, ordine, come insegna anche il racconto della Creazione.

La riflessione patristica, in particolare Agostino (Sermo XXVII, 6), ha poi esplicitato meglio: la de-formitas (bruttezza, assenza di forma) dell’uomo peccatore, assunta da Cristo nella sua Passione, forma l’uomo; la bruttezza di Cristo è la bellezza dell’uomo che diventa dei-forme, cioè della forma di Dio: è passaggio dalla de-formitas alla Dei-formitas! La deformitas dell’uomo è la sua degradazione, perdita e annullamento della sua forma propria, della sua soggettività: essa avviene o per “iperadattamento”, cioè per libera scelta del soggetto, come avviene nel film di Woody Allen Zelig, o per costrizione esterna, come avviene nelle dittature, nei campi di concentramento. L’uomo per essere veramente se

stesso, ossia essere che decide ciò che è, capace di abbassarsi a livello degli animali o di innalzarsi verso una vita santa, come dice Frankl in Homo patiens, deve strutturare e formare il mondo, accogliere la bellezza, sopportare la sofferenza. Grazie a quest’ultima, che l’uomo non possiede in sé come capacità innata, l’uomo decide di sé, assume un forma, un limite che gli dà identità, facendolo uscire dalla deformitas come avviene per la statua dal blocco di marmo (cfr. Plotino, Enneadi I, 6). La deiformitas dell’uomo è il superamento della sua deformitas, che pur non arriva mai ad annullare completamente la sua bellezza: per quanto si possa deformare nel peccato – Agostino docet nel commento al Salmo 38 – l’uomo continua a conservare l’immagine di Dio. Ripensare l’umano, invece, per il professore Vitiello è essenzialmente ripensare il cristianesimo, in quanto cristianesimo e umanesimo sono indissolubilmente intrecciati. Da una prospettiva laica e scettica, egli non identifica il cristianesimo né in quello storico né in una chiesa specifica, tutt’al più in un atteggiamento – almeno così è parso di capire – di reale inclusione, accettazione e accoglienza di tutti gli uomini esclusi: una sorta di “chiesa invisibile”, davvero universale, che potrebbe ricordare molto alla lontana Simone Weil, con la sola stratosferica differenza (sic!) - come gli ho fatto notare - che mentre per la Weil la verità esiste e si è rivelata all’uomo in Cristo, per il professore Vitiello la verità è solo una possibilità nel cui orizzonte si muove la ricerca dell’uomo, del filosofo. È proprio questa ricerca della verità l’aspetto più caratteristico dell’uomo, ma è al tempo stesso discriminante, in quanto la verità, secondo il filosofo, non è una rivelazione gratuita ma

un habitus di ricerca, non un saldo appiglio ma una possibilità, forse remota, che lascia l’uomo incerto. Verità, infatti, non è né dono né oggetto di rivelazione: Gesù, che si proclama via, verità e vita e chiede ai discepoli “Voi chi dite che io sia?”, è l’emblema della verità che si pone come domanda e come tale è limitata, non è più orizzonte ultimo, in quanto essa non è mai definitiva. Rincara, poi, la dose: la verità non è mai nostra, è tale nella misura in cui è accolta: è un dono che gli altri con il loro assenso ci fanno. Sebbene sembri catastrofico, il prof. Vitiello ha lasciato aperto un barlume di speranza con la visione di un cristianesimo/umanesimo che è thlipsis ovvero incerta tribolazione, che proprio nell’incertezza di essere o meno salvato riscopre la comune condivisione di una medesima matrice.

Il contributo delle domande e delle riflessioni del pubblico ha poi fatto aprire un vivace dibattito anche molto fine epistemologicamente e teologicamente parlando sul rapporto tra certezza e verità, sulla legittimità e sul senso della ricerca in un orizzonte che la esclude a priori, sulla categoria del dono nell’economia della rivelazione di sé da parte di Dio. Da questo confronto i relatori, in una bella sinergia, hanno tratto anche una sorta di sugo della storia per dirla alla Manzoni, quasi rivedendo i loro assunti iniziali: per ripensare l’umano occorre parlarne, per ripensare l’umano occorre ascoltare l’uomo, il logos ossia la ragione, l’Altro. Forse, l’unica pecca è stata non passare dalla riflessione sui fondamenti e sulle forme alle reali concretizzazioni che il ripensamento dell’umano, alla luce di quanto detto soprattutto da P. Piccolo, potrebbe avere nei cammini ecclesiali. Ma forse questo spetta a noi capirlo ed attuarlo?

Il gesuita Piccolo e il filosofo Vitiello a confronto sulle prospettive di un nuovo umanesimo

RIPENSARE L’UMANO?di Francesco Pacia

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13marzo 2016

Parlare in lingue è ancora possibile?Rilettura di Atti 2, 4-11 dal punto di vista dei destinatari

Credo la vita eternaL’ultimo lavoro editoriale del cardinale Martini

In Rubrica

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marzo 201614

mensile della Chiesa di Nola

Rilettura di Atti 2, 4-11 dal punto di vista dei destinatari

PARLARE IN LINGUE È ANCORA POSSIBILE?di Pino De Stefano

A proposito dell’episodio de-gli Atti (At 2, 4-11), in cui si

dice che gli Apostoli “parlavano in lingue”, è interessante riflet-tere sulla lettura che ne fa Mi-chel Serres, filosofo, storico delle idee e accademico di Francia.

Gli Atti dicono che gli aposto-li parlavano ai parti, ai medi, a coloro che abitano la Mesopota-mia, la Giudea, la Cappadocia, il Ponto e l’Asia, la Frigia e la Pan-filia, l’Egitto e la Libia, agli im-migrati, ebrei e proseliti, cretesi e arabi...e poi dicono che ciascu-no di quegli ascoltatori intendeva il messaggio nella sua lingua.

Proviamo a guardare l’even-to, non dalla parte degli apos-toli, quindi senza sottolineare prevalentemente il “qualcosa” di straordinario che dev’essere accaduto. Guardiamo il tutto a partire dai destinatari del discor-so degli apostoli. Beh, allora, se ognuno, di quella lista, intende il

messaggio nella sua lingua, ques-to prova che ogni lingua, ogni vi-sione del mondo, ogni condizione umana, come anche ogni religi-one, contiene in sé, già, un ac-cesso, una porta aperta verso il messaggio cristiano.

Sarà bene che noi attuali segua-ci del Nazareno teniamo presente questa illuminante considerazi-one, tutte le volte che il “sac-ro” livore di fronte agli sviluppi, per noi sgraditi e incomprensibi-li, della storia umana, ci riduce in affanno, ossessionati dall’in-tento di impedire che possa na-scere un mondo dove riteniamo impossibile annunciare e vivere il messaggio di Gesù! Come se noi potessimo scegliere quali carat-teristiche deve avere il mondo, prima di annunciare la storia di Gesù. E come se il compito dei cristiani consistesse nel control-lare e plasmare il mondo a loro immagine e somiglianza per ren-

derlo permeabile alla “Bella No-tizia”. Cosa avrebbe dovuto fare Paolo ai suoi tempi?

In realtà, occorre riconoscere che quando le religioni e i cre-denti, tentati dalla volontà di potenza, hanno ritenuto che il dire agli altri cosa fare, o lo sti-lare elenchi di doveri e di verità, fossero compiti preferibili a quel-lo del raccontare a quegli altri le proprie “storie”, hanno mostrato di dimenticare il segreto conser-vato nelle loro origini, e cioè la consapevolezza che nessuna teo-ria, nessuna idea, nessun sistema filosofico o dottrinale vale una storia ben raccontata (Hannah Arendt). È per questo che spesso hanno perso la capacità di parte-cipare pienamente allo scambio e alla condivisione dei “segni”, in cui entrano tutti i vari racconti umani. Ed è anche per questo che hanno dissipato l’affascinante dono, che avevano alle origini, di farsi accogliere e riconoscere come testimoni di racconti che incantano la vita.

L’autoreferenzialità, la chiu-sura, l’incapacità di uscire per raccontare, la mancanza di cu-riosità per l’altro così come è, la carenza di simpatia, diconos-cenza, di accoglienza, il rifiuto di “scambiarsi” con l’altro (kenosi), di diventare “giudeo con i giu-dei e gentile con i gentili”...la pretesa che gli altri si adegui-no, prima, ai nostri modelli di vita, tutti questi atteggiamenti, ahimè, troppo diffusi tra noi, ci possono rendere impossibile cer-care e scoprire quell’accesso, quella porta aperta, di cui parla Michel Serres. E quindi, alla fine, renderci incapaci, anche, di nar-rare e condividere la bella storia cristiana.

Ma ciò, in realtà, in termini te-ologici, non è forse infedeltà all’ Incarnazione?

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15marzo 2016

L’ultimo lavoro editoriale del cardinale Martini

CREDO LA VITA ETERNAdi Pasquale Violante

Ad una delle voci ecclesiali più amate, al cardinale Carlo Ma-

ria Martini, scomparso nel 2012, lo scorso 21 febbraio è stata inti-tolata via dell’Arcivescovado, di fianco al Duomo di Milano, dioce-si della quale è stato arcivesco-vo per 22 anni dal 1980 al 2002. Autore di numerose pubblicazi-oni, tradotte in diverse lingue, lette da credenti e non credenti, Martini non ha potuto purtroppo assistere all’uscita di “Credo la vita eterna”, testo che, pubbli-cato postumo, può quindi essere considerato quasi un testamen-to spirituale. In esso il cardinale afferma che il cristiano, pur non potendo “eliminare la paura della morte, può superarla”, seguendo l’esempio di Gesù nel Getsemani, che “ha superato il timore della morte affrontandolo, pregando e lasciandosi confortare da Dio”. Ma il superamento della paura della morte non è mai definitivo, “si tratta di un cammino che dura tutta la vita” che “non si comp-ie con i nostri sforzi umani, ma prima di tutto stando con Gesù e con Maria che hanno già vinto ogni timore, pregando per non cadere nella tentazione di perd-ere la fede e la speranza di fron-te all’evento della morte”. Noi già ora superiamo la paura del-la morte nella speranza, quando contempliamo la dimora celeste verso la quale siamo destinati, in quanto “pur essendo ancora su questa terra, siamo nella sfera d’azione del Risorto, perché il battesimo è come un’ascensione al cielo”. Quando noi ci riporti-amo “al nostro vero luogo, che è l’essere con Gesù alla destra del Padre, noi dominiamo tutte le po-tenze mondane. Questa contem-plazione è l’unica che ci permette di vivere la verità di noi stessi”. Martini ci invita a “guardare alla vita e alla storia come a un pel-legrinaggio verso il Padre: non si

vive per la morte, ma per la vita, e questo approdo finale è legato a Qualcuno che ci viene incontro. L’esistenza è cammino verso una patria promessa, che ci viene in-contro come il mistero santo cui affidarci e dal quale lasciarci sal-vare”.

Quando oggi papa Francesco ci ricorda che “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (Evangelii gaudium 1), ci sembra di ascoltare il suo con-fratello gesuita Martini: “tutta la vita cristiana è sotto il segno della consolazione e della letiz-ia. E questo perché è sotto il seg-no dell’amore. L’Essere di Dio è Amore e il tempo è il luogo nel quale il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni-genito”. E questo amore è tal-mente affascinante che “ad esso non si resiste. A Pasqua risplende la bellezza che salva, la carità divina si effonde nel mondo”. Ma essere testimoni di questa bellez-za per noi è possibile solo facen-

done una continua esperienza. Ed “il luogo in cui questo incontro di amore vivificante è possibile, è la Chiesa: è in essa che il bel Pastore parla al cuore delle sue pecore e rende presente nei sac-ramenti il dono della sua vita per noi. La Chiesa è la comunità della bellezza che salva: farne parte è esperienza di gioia, quale nul-la e nessuno al mondo può dare allo stesso modo. Ed attraverso la Chiesa la luce della salvezza po-trà raggiungere tanti attirandoli a Gesù e la sua bellezza salverà il mondo”. A Pasqua i cristiani fan-no memoria dell’evento fondan-te della fede, la resurrezione di Gesù, “inizio della resurrezione universale dei morti, pienezza di felicità a cui da sempre aspiria-mo. È il compimento del nostro desiderio originale: diventare come Dio (Gen 3,5). Perché non c’è nulla di più consolante del sapere che il nostro corpo risorg-erà, che la morte e la conseg-uente separazione dalle persone care non è la parola ultima”.

in rubrica

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