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Inediti - Maria Pia Quintavalla

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Maria Pia Quintavalla

PIÙ IN LÀ DEL PO ED ALTRI INEDITI

Poesia 2.0, 2012

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Titolo: INEDITI | Maria Pia Quintavalla

Testi di: Maria Pia Quintavalla

Fonti: Più in là del Po ed altri inediti

Il presente documento non è un prodotto editoriale ed è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.

Poesia2.0

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Più in là del Po (Inediti 2012)

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Ispirati al tema del Compianto dipinto da Antonio Allegri, detto Il Correggio

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1) Poi però, nel venire a trovarti d’un colpo tutto rifioriva sgorgava in verde era là pronto dritto all’orizzonte: come (due) pratoline tintinnavano le teste prima io poi tu, corali garruli chiacchieravamo di crescita felice Tu, una mano chioccia si chinava sul figlio, io, la piccola acquietata, o rintuzzata anche da bagno rinfrescante. Non mi ero forse mai mossa da lì, la buca del pulcino il seno il lago dove incipitava l’infanzia correndogli la testolina, ne eseguivo il singulto dell’essere all’aperto.

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Il mio dito segnava ondulazioni, il suo additava redarguendo, il senex contendeva al puer più piccolo la sedia. Aveva seppellito dentro sé scintille, il padre senza positura di attesa angelica, amoroso a parlarle alfabeti della vita a calmarla, parlandole nei sogni la qualità la luce del contatto.

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2 ) Il suo cuore intonava motivetti, il mio suonava un ballabile a volte un sax discreto acuto, il sigo,

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lo chiamavano nella mia terra. Un giorno uscivamo per una passeggiata, un altro, una conferenza; esulavamo da marciapiedi abituali ma esultavamo nelle rispettive mani scegliendo costeggiare ciascuno la sua riva. Lontani i tempi di corride, dove le banderillas venivano tirate agli occhi, a ferire piano. Se ti avessero portato più spesso alla campagna, contro alla vischiosità del sangue che stagnava, in pose dei giardini nello statico sedere a casa se lo avessi prevenuto il movimento lento retrogrado del sangue che coagula al coperto, e fuori da ogni cosa, lieve di giovinezza, il viso che sporgeva col naso e bocca sempre in ghigno, io che il tempo lo fermavo forse lo disdicevo,

1 il sigo: lamento in dialetto parmigiano

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se avessi potuto, “avrei dato a ciascuno un po’ di tempo”.

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2 Christa T.” di Christa Wolf, citazione contrassegnata da Nadia Campana.

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3) Non si può rinunciare alle parole, Lui diceva, Non possumus , e il gesto suo faceva arte. Come lavarsi via la polvere, captive notizie tacitate. Non ho l’abbigliamento adatto, redarguiva, pagava le tasse del dolore poi, non le pagava più. Spazzava ogni giorno la cantina, non le cose rimaste deflagra ma era sangue rappreso, era la polvere.

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4) I cascinali invece, i casolari erano su sfondo antico, soleggiati. Il luglio il grano la biondezza apparve rieducata dopo il raccolto, prima di esserlo pane della gente atta a lavorare, a viverla, la terra E prati come plaghe, segrete linee della vita bianco deserte che una luce, una casa un rigo trasversale un cespuglio o macchia mescolava (in colore) Una tela crescente, come alcuni, Toschi o Fattori, facevano pensare - e la città sorgeva sullo sfondo, la città ricca in problemi e case, natura snaturata. Si movimentava la terra, alzando improvvise tende di quinta diagonali che segnavano, da lì nascevano colline circoscritte in siepi, salse di memoria, le colline se le scopre come manto acquoso, di già pronto a fiorire, nel s i l e n z i o.

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Congedo, I (Inediti 2012)

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Come potere trattenerti I) Come potere trattenerti, come la linea dei salici, in estate che ondeggia ma sta ferma – e vaga assume il senso ed il colore (lieve) di un grigiorosa che trapela, ansima svela nel cadere la sua natura ancella e in più ritrosa, dolceamara.

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Come potere trattenere, come la luce - quel flettersi genuflesso delle foglie e rami sollevati dal dovere di gravità che toccano in tenerezze grate, dal sapore dolce che comunica col cielo – come chi confina

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Se tu sei là, fermo o ambulante che sosti pensieroso prima di una partenza che non vorremmo esistere per questa vita, per questo amore che ci turba assumerci sereno e lieto quel partire, il gesto delle mani nelle tasche al vento riparate o esposte, ma tardive che attardano alle porte ad assi cigolanti, con la voglia di socchiuderla toccarla soglia dei semprevivi, alla partenza essa ci rese eguali, subito –

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II) La discesa la sconoscemmo, padre che non sei mai partito affatto ma che viandante ci sorridi additando in un gesto più segreto il riso o uno scongiuro, della bianca camicia spezzi un giorno arioso e lieve come un’ostia calma che sa di carta e pane, che fa luce, poi ci accenni che vivere e deambulare sono la stessa cosa

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un giro di memoria non si stacca, le colline suonano soavi l’orizzonte lo incoronano con strisce blu e marroni sotto il cielo che fila dalle nubi, a sera forma la luna più vicina, e credula sorella. Non sai che trattenerci è il tuo mestiere, mentre noi non possiamo farlo a te, legati a ritmi di catene sonagliere al tempo, che tintinnano toccando terra

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raspando l’aria dei bambini che persero l’infanzia, quella nascosta derubata come guscio amoroso sotto terra, ma dalla mano un gesto ci ammonisce Non parlate di me non commentate ma sostate guardando, assaporate aprite pure le braccia dei polmoni a respirare ancora un’ora a sorseggiare aria sotto la volta di una Parma antica.

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III) Tra campagne a raggiera ed alte mura che sorreggono canzoni, notturni di visioni e pietra dove lunghe fontane coricate entrano alla Pelòta, corrono sotto al verde tenero che nasce accanto all’acqua. E’ nella croce antica di una chiesa che riempita d’acqua si formò fontana e pioppi piccoli restano a guardare il monumento a Verdi, travagliato da bombe che ostenta il pezzo suo migliore, riesce a trasmettere un sipario che ti rappresenta, cammina

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in angolo proscenio il cielo lo rapisce, e vortica dove lo spazio assume il cono d’ombra e luce quasi eterno che già eterno t’accompagna - E’ là, in un’aura dolce che ti seguirà rinato, a passo lento dentro l’erba per sempre tu ne varchi il cerchio, lo attraversi ne esci, poi ritorni – la passeggiata vola ai piedi, danza su acqua scalza.

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Non seguo il tuo bastone, ma da lontano in muta processione, tutti i miei passi ai tuoi serrati formano un cordone in ampio nodo, un corrimano dove appoggiarsi ai fori della voce, avanzano risuonano quei gesti tornano vinti, e morsi d’aria raddoppiano le eliche del tempo da ieri a ieri fino a qui, f u t u r e. Come potere trattenerti non sappiamo, ma infine come nel gioco della retina ed un suono, tracciato trattenuto risuona stretto a te un abbraccio di conchiglie vuote.

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Congedo, III (Inediti 2012)

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Trasmigrano I) Trasmigrano i corpi, così l’amore che mi sposta e muove ali che si toccano sfilano appena il collo gli occhi, più leggeri nel sorriso. Sogno: anse di nomi spinti da sonno cieco e cani che riaprono l’alba lui, lei che ricambiano il cerchio del piacere, dopo i cimiteri delle macchine là fuori, e trattengono il cuore, lo smarrito se balbetta il tuo nome, o tenerezza.

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Terra scoscesa e bretone, nel verde che disegna menhir in magnitudine, parole come calvari in pietra - Tra i nostri amori è l’acqua dove una promessa sarà certissima nel cuore, colmo e con incerta mano dai baci incoronata la t u a voce.

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II) Ha fede e ostinazione il mio diletto, sparge il suo dire a coprifuoco cerca mappe alle stelle - per arrivare fino a me, la sera una promessa, un rilevante sogno in balbettii leggeri esse-emme-esse che si sollevano (deve essere già integro, discreto lui, se lo capisce).

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III) Il mercato è la regola della circolazione delle merci, e non dei sensi che amplificano il regno - Volessi io tornare al segno dove l’anima e il corpo si fronteggiano, si palpano da ciechi un tesoro ai tuoi piedi io governo, tu lo porgi

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dal libro dell’amore inviti, voli alto in dolzore sopra le braccia poiché il ragno della vita, la mia la tua rinascano in nuova c a s a. Ti amo intanto, piccola figlia nel bozzolo, mentre ti prende il gioco della crescita; ritorno un poco indietro, attenta scelgo sedermi calma, cerco la c e n a dell’amore vivo.

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La piscina (Inediti 2012)

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Nel brillio di fiction la piscina disegna un trapezio minuscolo celeste q u i davanti al mare che più dietro asseconda gli s o m i g l i a dietro al muro la copia ma non è più copia dal vero. È rinato dietro la scaletta, nascosto un trampolino, e sotto si sommerge nel sonno di barche docili che solcano per caso la tavola del mare che s’allunga rende il mare un tema un rigo grigio.

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La piscina giocattolo dormiente sta alla madre dalle lunghe braccia ne d i s e g n a un orlo sotto al monte mentre il cielo là ferma calmo - nelle opache nubi che d i s c e n d o n o si addensano lo sporcano il vulcano - Restano nubi aperte fulminate, segnano di bagliori fantasmatici la volta nel sentiero riabbracciano lontane madri alle madri, onde alle figlie.

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Altri inediti (Inediti 2012)

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Qui che ridiventa, il nido I Se mi mettessi fuori a testimone, del tempo e del mercato, che la stessa scena ogni giorno r i c o n c r e a ma per meglio cogliere nel flusso che si libera, io lenta navigante che non sporge più non rema a braccia a nuoto, nuove luci arricchiscono disegnano i suoi i fianchi flessi, come l’iride. Se testimone fossi dell’intero, nel verso io potrei smorta carpire un suono matido che afferra, piega a lato in frescura la bocca benedice; non sente pianti nolenti ma bambini lesti nel correre, che ricambiano il suo v o l o. II Rivivi la tua infanzia, mentre ricrei a Itaca, col padre, nel nome suo familia nova, che come l’altra

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drammatica insoluta, perché per crescere occorreva essere amati, io adulta genitrice della vita che si fa futura, non méntore soltanto di occasione-infanzia che si genera rifà mi pianta intorno a un’ostrica mi incolla alla matrice unita al male con il bene un arco soddisfatto, in sincronia f u t u r a.

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Ecco un io pianetino. Ecco un io pianetino invisibile azzurro, e che non viene attaccato, presentarsi di spalle scalpitante recalcitrante, poi avanzare su sé, e di fronte all’occhio monologo del buon Dio, sui piedi ritti presentarsi pari unito, e dire: Sì, sono brava, la sono dal tempo dei miei primi banchi, bianco quadrati della vita, dove mani conserte e piedi a lato, mi ritrovai pensosa donna. Davanti all’occhio del buon Dio lei gongolava, poi lestamente abbassati gli occhi miopi, e i benedicenti piedi, chiedergli, Perché non parli e non dici cosa davvero pensi su noi, sul mio destino? Se ho peccato se lì vicino agli occhi di sorgente dove abitavo (e tu vivevi) ritieni giusto qualcuno di nascosto si presenti e torni, per noi bene dicente a dire, Pagherete! Su voi più piccoli piove la gloria, ripeteva il Dio grande paterno dalle chiome a riccioli distesi. Non chiedere più niente, non lo fare. Bene dicente è il glicine che appeso, beve alla finestra marzolina della sera le sue tonde parole le preghiere, di quando trepida bambina là distesa, ti ritrovai in intima attesa della vita.- Se Dio mi ama io scrivo e se non scrivo muoio, peggio beccheggio, e stono fino a sera le mie modestissime preghiere che, come tozzi di pane restano là chiuse né con l’acqua si nutrono ma il ristagno che le gonfia e

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accompagna può anche ucciderle scipirle, farne mollica o semente senza odore della sera. L’occhio di Dio la rimirava piccola e mansueta, una bambina spiritosa, ma la sua ombra disegnava un muro là di fronte misero sterrato, dal convolvolo abbassato. Non credere agli uragani d’amore del passato, al matrimonio pieno alla felicità durevole col mondo, ordina l’apertura della gabbia sfondo dove qualcuno seppellisce l’occhio. Va’ in sordina, va’ a rivelarti integra, piccolina sull’impronta scalpore della sera, su ciottoli del fiume su refoli di sera, fuori da cerchia e mura - di rivolte beghine, la tua sera.

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Maria Pia Quintavalla è nata a Parma e vive a Milano. Ha pubblicato: Cantare semplice (Tam Tam Geiger 1984 prefazione Nadia Campana), Lettere giovani (Campanotto 1990 prefazione Maurizio Cucchi), Il Cantare (Campanotto 1991 prefazione Nadia Campana), Le Moradas (Empiria, 1996 prefazione Giancarlo Majorino), Estranea (canzone) (Piero Manni 2000, introduzione di Andrea Zanzotto), Corpus solum (Archivi del 900, 2002 prefazione di Giampiero Neri), Album feriale ( Rosellina Archinto 2005 prefazione di Franco Loi), Selected poems, (Gradiva, introduzione di Andrea Zanzotto), China (Effigie, 2011). Ha curato le antologie: Donne in poesia, Presidenza Comune di Milano 1985, ristampa 1988, Campanotto, dell’omonimo festival biennale nazionale dal 1985, Milano, e gli atti del convegno “Bambini in rima/La

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poesia nella scuola dell’obbligo”, Provincia di Milano, 1985, Alfabeta 1987. Figura in numerose antologie della poesia italiana, l’ultima, Trent’anni di Novecento, a cura di Alberto Bertoni, Book edizioni 2005. Vincitrice ai premi: Tropea, Cittadella, Città S.Vito, Alghero Donna, Nosside, Gold Winners Nosside, Marazza Borgomanero, Contini Buonacossi, Montano, Alto Jonio, finalista in cinquina al Viareggio con Estranea (canzone). Traduzioni in lingua tedesca su: Schema, Università di Tubinga 1988, in lingua spagnola su Certa, Barcelona 2000, Cuadernos del matematico2007, Barcelona, in lingua inglese per Gradiva, Traduzione/tradizioni 2007, Yale Italian Poetry, a cura di Paolo Valesio 2005, New York; in croato Ed. DHS, Zagreb 2004,in rumeno, Notti di Curtea des Arges”,festival Orient Occident,Romania 2008. Cura seminari sulla lingua italiana: presso diverse istituzioni, tra cui l’Università di Milano e di Parma; Sul testo poetico: presso Archivi del ‘900, libera Università delle donne, Società Umanitaria, Casa della Poesia, Milano.

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