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Il Nido Degli Scorpioni

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IL NIDO DEGLI SCORPIONI

di Pier Paolo Santi e Francesco Sinatti

Smashwords Edition

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INDICE

Introduzione

Bastardi e Cattivi

Capitolo 1

Dagli scandali di provincia agli scandali internazionali

Entomologia del potere

Politica e porti

Porti & mala

Misteri libanesi

Capitolo 2

L’uomo ombra del governo nigeriano. Gabriele Volpi

Capitolo 3

Genesi di una nuova federazione criminale

Pozzi avvelenati

Gli autori

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Introduzione. Bastardi e cattivi

Troppe fazioni, troppa ideologia contaminano il giornalismo italiano. Ma come può un argomento

come questo interessare un americano, inglese o australiano? L’Italia è lo snodo di eventi e

operazioni strategiche che spesso riguardano gli equilibri del mondo. Un giornalismo “locale”, cioè

nazionale, debole e fazioso danneggia l’intera informazione. Nel mondo anglosassone esistono

giornali schierati ma il panorama italiano è unico nel suo genere per faziosità e conflitto d’interessi

che non consentono di svolgere un adeguato servizio pubblico di giornalismo investigativo. È un

paese libero? In Italia si ragiona così: se scoppia un grosso scandalo solo all’ultimo secondo le

redazioni si lanciano sulla notizia “tecnicamente” già putrefatta. Un esempio è rappresentato dallo

scandalo bancario del Monte dei Paschi di Siena. Sempre a cose fatte! Nei casi più spinosi si

limitano a commentare le “veline” della Procura. È necessaria una nuova “razza” di giornalisti, in

via di evoluzione, che pratichino sul campo il loro mestiere fuori dall’area di confort di paludate

redazioni. Usando nuovi mezzi di comunicazione. Riveliamo ai lettori alcuni passaggi di un

autentico “calvario” che abbiamo subito negli ultimi tempi.

Giornalisti Banzai Vs Bonsai: calvario nelle redazioni provinciali

“Vede Direttore la nostra idea è quella di realizzare una inchiesta sui nuovi assetti della ‘ndrangheta

nel nord Italia. Per farlo abbiamo un evento che consideriamo cruciale: il sequestro di quasi una

tonnellata di cocaina a Pallerone (Lunigiana, Ms). Solo con un inchiesta giornalistica dettagliata

possiamo cercare di capire come stanno effettivamente le cose, anche perché le Forze dell’Ordine

tengono il massimo riserbo. Potremmo arrivare a nomi e cognomi. Che ne dice?”

All’improvviso lo studio del malcapitato si trasforma in un teatro Greco arricchito di tutte le

maschere tipiche. Impallidisce e il volto si fa tirato. Al povero Direttore viene allora l’irresistibile

impulso di grattarsi, in modo gentile e professionale, la guancia osservando nel frattempo il

lampadario. Il suo pensiero diviene leggibile: ma perché ho ricevuto questi due? Alla fine riesce a

rabberciare alla meglio una frase:

“Eh! Si potremmo farlo ma vedete è un momento un po’ particolare per il giornale. Aspettiamo

qualche mesetto e poi valutiamo, ok?”.

Ora, qualche mesetto per una inchiesta sulla mafia è come bere del latte scaduto da diciotto mesi. Si

può tentare ma non c’è da lamentarsi se il risultato è prettamente intestinale.

Ci sono poi giornalisti e Direttori che si offendono: ma come! Arrivano questi a fare gli scoop?

Solitamente questa categoria partorisce frasi intelligenti del tipo:

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“Ah! Si… ma molte cose le abbiamo già scritte su quella partita di droga”.

Gli facciamo gentilmente notare che un inchiesta consiste nel raccogliere tutto il materiale

disponibile (compresi i loro “preziosi” articoli) unendo i puntini, oltre ad affrontare nuove piste

investigative. All’improvviso il loro risentimento è proporzionato all’ego. Cioè enorme.

“Va bene darò un’occhiata e poi vedremo cosa fare….”.

Passiamo alla categoria successiva: “i prendi per il culo”. Al primo impatto sono i più simpatici.

Rispettano a pieno la regola della buona accoglienza nei confronti di colleghi che si occupano di

argomenti “caldi”. Sono propensi alle belle parole, ascoltano interessati come farebbero vecchi

amici ritrovatisi dopo anni. La scena di chiusura è il momento migliore:

“Come posso aiutarvi?”

Assicuriamo che è spiazzante! Facciamo finta di niente, ripetendo eroicamente il ritornello al

prossimo Direttore di testata.

“Ma ragazzi avete proprio voglia di farvi intitolare una piazza? Siete così desiderosi di farvi

“impallinare”?

Hanno ragione! Le notizie più importanti e vere son ben altre. Una bella mattina aprendo il giornale,

tanto per far intendere come funzionano le cose, trovi in piena pagina questa “drammatica” notizia:

“PAPPAGALLO RAPITO, LA SVOLTA ALF: L’ABBIAMO LIBERATO NOI” (Il Tirreno) oppure:

“BLITZ PER “RAPIRE” UN PAPPAGALLO” (La Nazione)

Peccato che lo stesso giorno ci sia un'altra notizia molto più seria da prendere in considerazione. Un

incendio in una installazione balneare (l’ennesimo targato corto circuito) messo in terzo piano,

quasi per non dare fastidio.

I giornalisti sono liberi di esercitare la professione come credono, ma evitare di trattare di argomenti

“spinosi” è come dire ad un poliziotto di non recarsi ad una rapina in corso perché rischia di

buscarsi qualche pallottola. In questi momenti “mistici” ti accorgi della differenza tra giornalisti

BANZAI e BONSAI, te ne rendi conto quando parlano professionisti come Roberto Galullo o

Milena Gabanelli (che da anni scrivono articoli scomodi contro la mafia e corruzione). Certo, si può

criticarli sulla linea seguita, perfino sui contenuti: mai sulla indiscutibile volontà di informare i

lettori, che poi parrebbe essere il lavoro del giornalista. Parrebbe!

Seconda tappa della via crucis: le redazioni nazionali

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Egregio Direttore

Siamo in uno stato di silenziosa e subdola guerra d’informazione dove i campi di battaglia risultano

le rosse terre della Toscana, Emilia e Liguria. Non si tratta di una affermazione alla Saviano

preconfezionata per slogan da riciclare in un talk show o comizi politici mascherati da giornalismo

d’inchiesta. No, è una constatazione consolidata dopo anni di lavoro sulla criminalità organizzata e

corruzione di amministrazioni (e non solo) che hanno perfino l’arroganza di dettare le regole civili.

Il nostro primo nemico è l’omertà, il negazionismo e peggio ancora la mancanza d’azione di molti,

in primis di colleghi locali che trovano più conveniente, per mantenere un posto in redazione, non

affrontare seriamente realtà inquietanti e devastanti. Tutto ciò per assecondare il volere di Prefetti

(ormai stanchi e pronti alla pensione) e politici. Quando denunciavamo infiltrazioni mafiose o

spudorate manovre di corruzione nelle nostre zone ci rispondevano che eravamo dei provocatori.

Alla fine, però, le preoccupazioni stanno risultando fondate tanto che nel giro di pochi anni scandali

e danno erariale da milioni di euro stanno contaminando il territorio. Ma va bene così! Le minacce

da parte di gente legata alla mala sta nei giochi per chi si occupa seriamente di certi argomenti, anzi

rafforza la convinzione di essere nel giusto. L’ostacolo da parte di colleghi con un ego spropositato,

per altro timorosi di perdere il posto, è regola in questo miserabile mestiere. Van bene anche quattro

euro ad articolo, tanto per far contenti Inpgi (pensione giornalistica). Quello che non possiamo

tollerare è non poter informare la gente su come stanno veramente le cose anche nelle provincie. Se

abbiamo inquirenti o una classe politica poco coraggiosa non vuol significare che anche la stampa

debba esserlo. Non abbiamo più intenzione di sentirci ripetere : “ragazzi buoni ci sono già le

indagini in corso e poi abbiamo i comunicati, lavorate su quelli”. E quindi? Fermi tutti? Mai!

Intendiamo portare avanti l’inchiesta legata ad un traffico di droga. Purtroppo la vicenda è stata fino

ad ora ignorata, ma potrebbe condurci alla scoperta di un nuovo progetto ‘ndranghetista. Una

holding radicata in tutto il mondo. Non informare l’opinione pubblica sarebbe un reato

Cordiali saluti

Per questo abbiamo scritto il “Nido degli Scorpioni”. L’unica opportunità per diffondere una

inchiesta scomoda. Per questo ci siamo trovati di fronte a una vera e propria questione di sicurezza

nazionale.

Una questione di sicurezza nazionale

“Controllo e destabilizzazione” sono il paradossale Giano bifronte che tutto muove sulla scacchiera

nazionale e internazionale.

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Quando abbiamo affrontato l’inchiesta non ci aspettavamo che ci avrebbe condotto in vicende così

complesse, riguardanti la sicurezza del paese. Un inchiesta che trova la sua forza nel collegamento

sinergico fra affari illegali e lobby di portata internazionale. Nel corso degli anni abbiamo sempre

seguito piste legate a corruzione e mafia che avevano obiettivi limitati, a volte il business e a volte il

potere. Affrontando questa vastissima indagine ci siamo resi conto che questi due elementi, affari e

potere, combinandosi hanno un devastante potenziale di condizionamento e destabilizzazione. Il

risultato è strettamente politico, e qui arrivano i veri guai. Il modus operandi cambia in funzione

dell’area geografica e di sviluppo: nei paesi occidentali l’infiltrazione avviene tramite massoneria,

banche, amministrazioni locali e criminalità organizzata. Nei paesi del terzo mondo, invece, a

giocare la partita sono direttamente le multinazionali e i governi. Il rapporto tra multinazionale e la

classe politica è basato su relazioni esclusivamente personali mancando dei veri organi di controllo

istituzionale. Fino a quando tali rapporti funzionano si concludono affari, ma l’avidità è sempre in

agguato e può suscitare conflitti , creare presupposti per una faida. Seguendo il caso Nigeria

abbiamo potuto verificare come si possa passare da un incarico governativo a essere sospettato di

diventare un referente del circuito terroristico internazionale. In questo intreccio di poteri alla fine la

criminalità organizzata e mafie varie altro non sono che un braccio operativo perfettamente

controllato. Se questo assetto permane la criminalità organizzata servirà sempre. Alla faccia del

sistema di sicurezza nazionale! Rispettando perfettamente il ruolo di guardie e ladri.

Per la complessità degli scenari affrontati avremmo potuto scrivere pagine e pagine con il rischio di

far smarrire al lettore (soprattutto quello straniero) la via maestra dell’inchiesta che in più occasioni

si dirama in vicende tecniche e provinciali. Abbiamo volutamente affrontato, invece, questi temi

come se fossero un dossier con le stesse necessità di sintesi tipiche del rapporto investigativo.

Capitolo 1 - Dagli scandali di provincia agli intrighi internazionali

La provincia

Dio creò il mondo. Una delle più belle creazione era un piccolo lembo di terra. Non gli mancava

niente: le sue coste erano bagnate dal mare Tirreno, le sue colline erano belle e feconde tanto da

dare un vino pregiato e un ottimo olio. Era perfino protetta da una catena di montagne che gli

uomini chiameranno Apuane. Il clima era oltre modo mite. Gli angeli vedendo tutta questa

abbondanza raccolta in un solo luogo andarono a lamentarsi da Dio.

“Perchè Signore hai messo tutta questa abbondanza, perchè hai voluto essere così generoso con

questa terra? È ingiusto”.

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Dio ascoltò con pazienza. Una volta conclusa la loro lamentela prese la parola.

“Vi lamentate prima di aver visto il lavoro compiuto?”

Gli angeli rimasero delusi:

“Compiuto?”

“Si. Avete visto solo una parte dell’opera. Ora appare ai vostri occhi come la copia del paradiso

terrestre ma presto metterò un elemento che equilibrerà le cose”

“Quale? Onnipotente”

“I suoi abitanti”

Dopo questa surreale parabola comprenderete che Massa-Carrara (Italia, Toscana) è divenuta una

terra ideale per scandali di portata nazionale e per gl’insediamenti di nuove organizzazioni

criminali. S’intuisce che nella piccola provincia qualcosa non funziona ed è legato agli abitanti e

governanti.

Un inchiesta per caso

Me ne resi conto nel novembre del 2010.

2010 MASSA. Pier Paolo Santi

Due ore prima delle interviste ricevo le chiamate, con un intervallo di dieci minuti l’una dall’altra,

dalle segreterie di Prefetto e Questore per annullare gli incontri. Il tema infiltrazione mafiose si

preannunciava troppo “scomodo”. Non potrò mai scordarmi l’espressione del cameraman dopo aver

ricevuto le chiamate, mentre stavamo preparando le attrezzature: un misto fra ironia e incredulità.

L’inchiesta e la puntata (che stavo preparando all’epoca) sarebbero state seriamente compromesse

se anche il Procuratore mi avesse dato forfait. Non fu così e realizzai un’ottima intervista. Ricordo

l’incontro nella Procura di Massa: il Dott. Federico Manotti ritardò perché stava conducendo una

operazione con la Guardia di Finanza. Quando accadono simili inconvenienti subentra un po’ di

sconforto perché il più delle volte il ritardo equivale ad un rinvio dell’incontro. Passeggiavo avanti e

indietro nei corridoi della Procura, un edificio esteticamente paragonabile ad una aula bunker,

preparandomi ad un altro rifiuto. Le cose però non andarono così. Manotti fece sapere tramite la sua

segretaria che sarebbe arrivato in ritardo. Il Procuratore per definizione, è certamente una figura tra

le più autonome fra le Istituzioni, questo fu uno dei motivi per cui non ebbe timore a esporre e a

suggerire certe informazioni. L’ufficio si presentava ordinato. Sopra la scrivania alcune carte e delle

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copie dei quotidiani locali. Una grossa vetrata illuminava la stanza, con grande gioia del cameraman

che lamenta spesso la mancanza di luce nei luoghi dove giriamo. L’intervista iniziò tra una battuta e

brevi considerazioni. Spunti che ispirarono il primo libro denuncia sull’infiltrazioni mafiose in zona

Apuana: “La Provincia del Silenzio”

2011 Massa. Francesco Sinatti

Massa-Carrara: si dice una provincia povera che non ha "soldi". Non ha la possibilità di realizzare

molte delle opere di cui avrebbe bisogno per renderla più efficiente e moderna. In compenso però la

sola Massa ha un debito superiore ai 100 milioni di euro e flussi di cassa annuali per 70 milioni di

euro solo per far girare la macchina del Comune e diverse centinaia di milioni di "buco" nel

bilancio della ASL cittadina. La missione era capire dove finivano fiumi di denaro pubblico.

Milioni e milioni di danno erariale che, puntualmente, aprivano voragini spaventose nelle

municipalizzate massesi senza destare troppo clamore, ne fra i cittadini, ne fra gli amministratori e i

politici. Mi sono "paracadutato" dietro le linee dell'amministrazione fra una selva di delibere, di

giunta e di consiglio. Lo scopo era cercare di capire come sfuggisse questo "denaro" che veniva

regolarmente sprecato. Cermec, R/R, Massa Servizi, CAT, PAAS, Ristrutturazione bilancio,

Depuratore, Derivato e altro. Questi sono alcuni dei "malefici buchi neri" con i quali, da sempre, si

conserva il "consenso politico" e con i quali una torma di politici trombati si mantiene alle spalle

della comunità. Una sequenza di sinistre sigle che compongono l’elenco di "buchi" che alimentano

l'emorragia di denaro pubblico. Si ruba, anche e soprattutto, cosi a Massa e in tutta la penisola.

Dove una casta d’intoccabili non permette che si facciano verifiche, nascondendosi fra le pieghe

dell'accesso agli atti che, ovviamente, solo i consiglieri possono richiedere. Il problema è che spesso

i controllori fanno parte della casta. Conflitto d'interessi? Nessuna terzietà, nessuna verifica vera.

Per concludere le testate giornalistiche locali non indagano mai i veri artefici, ne i veri motivi, per i

quali il danno erariale si perpetua. A ognuno il Suo secondo la linea della palma.

«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli

scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è

propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni

anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E

sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli

scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma... » (Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)

2011 Comune di Massa, Seduta di consiglio mentre avevo impostato il lavoro sulla criminalità

organizzata e la mafia, Francesco stava intraprendendo un'altra indagine. Un percorso parallelo

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legato al danno erariale e alla politica corrotta. Quello che avremmo definito più avanti

dell’inchiesta come “sprechi organizzati”. Questi due punti di partenza ci avrebbero catapultati in

una indagine giornalistica internazionale a nostra insaputa e i presupposti si manifestarono già al

primo incontro. La seduta di consiglio comunale si era appena conclusa e mentre stavo per uscire

dalla sala Sinatti si avvicinò e in tono scanzonato mi domandò se a mio avviso potevano esserci

collegamenti con la mafia nel caso Cermec (caso che vedremo nel prossimo capitolo). Dopo due ore

di chiacchierata nacque la nostra collaborazione.

I primi tre paragrafi del libro sono il frutto di una riflessione: come è possibile che una piccola

provincia annoveri tanti scandali legati a corruzione e al danno erariale quanto le due regioni più

importanti d’Italia (Lombardia e il Lazio)? Come è possibile che vi gravitino, senza che nessuno se

ne accorga, nomi “discussi” di faccendieri, politici, banchieri, imprenditori, consulenti e cardinali?

Rifiuti tossici, speciali e radioattivi & i 42 container dentro il CERMEC

Cominciamo con un classico degli affari sporchi: i rifiuti. 42 container sospetti abbandonati nel

piazzale della municipalizzata dei rifiuti CERMEC a Massa possono sembrare una notizia

irrilevante, ma inaspettatamente, potrebbero rivelare una traccia di un traffico di rifiuti tossici di

portata nazionale e internazionale. Non sembra un caso che i 42 container, fatiscenti, corrosi e

percolanti liquidi velenosi nel piazzale e terre circostanti (con potenziale interessamento della falda)

siano stati ritrovati abbandonati in un area industriale Apuana in concessione alla fallita ditta

DAMAS dentro il Cermec. La procura di Palmi li sequestrò in quest’area lasciandoli in custodia

ormai 11 anni fa. Ciò che desta allarme è il loro contenuto. Cosa c’è dentro i container recentemente

rinvenuti? Ci sono grosse quantità di rifiuti speciali e pericolosi, valutati a volume in circa 2.500

ton. I campioni esaminati dall'Arpat provinciale, hanno rilevato composti di: piombo, cadmio,

mercurio in alte concentrazioni oltre a sostanze pericolose che rientrano nelle seguenti classi: H 10

Tossico per inalazione, ingestione o penetrazione cutanea e H 14 Eco – tossico. La sede della ditta

Damas s.r.l. di Massimo Dami, successivamente dichiarata fallita, era a Sesto Fiorentino -

Osmannoro (FI), mentre le autorizzazioni sono state rilasciate dalla Provincia di Massa.

Chi è Massimo Dami?

In passato ha avuto rapporti con Luigi Cardiello, meglio conosciuto come il “Re Mida” dei rifiuti

residente a Viareggio dal 1983, esponente di spicco dell’inchiesta “Greenland” sull’illecito traffico

e smaltimento di rifiuti fra Umbria e Toscana. La medesima operazione che vede coinvolto lo stesso

Massimo Dami (il Tirreno 6 luglio 94).

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Luigi Cardiello indossa un paio di occhiali scurissimi a seguito di lesioni agli occhi riportate mentre

maneggiava rifiuti tossici. Il “Boss” ha un curriculum di tutto rispetto per quanto riguarda l’illecito

smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi ed è stato coinvolto (insieme ad altri 98 imputati) nella

più grande inchiesta sulle “ecomafie”: l’operazione “Cassiopea”. Tutti assolti, per una recente

sentenza di “non luogo a procedere”, su fatti che hanno visto inquinare aree vastissime del

territorio Campano (e non solo) con tonnellate di rifiuti speciali e tossici. Ma fin qui sono cose più o

meno note.

Meno nota è la circostanza che potrebbe vedere, secondo il deputato Mario Angelini, Cardiello

legato a Domenico Del Carlo, titolare della “famigerata” DEL.CA e socio privato della

municipalizzata per i rifiuti CERMEC che opera sul territorio Apuano. Del Carlo è stato anche

inquisito in un inchiesta per distrazione di fondi comunitari, danno erariale e falsa fatturazione per

tramite di R/R (la partecipata di Delca/Cermec), quest’ultima al centro di un “cronometrico” quanto

doloso incendio che ha portato al conseguente sequestro dello stabile.

Certamente una coincidenza quella che vede Del Carlo “collegato” al boss camorrista Cardiello

residente in Versilia. Tanto che l’11 maggio 93 lo stesso deputato Pier Mario Angelini dichiara ai

quotidiani locali: “…perché, non dire……. della DEL.CA, non ha parlato nessuno? E si scopre che,

non per iniziativa della procura di Lucca, ma di quella di Napoli,……. che la DEL.CA era partner

di Cardiello che tutti sanno che sant’uomo sia”, continua: “…che dire della DELCAR, l’altra

azienda di smaltimento dei rifiuti di Del Carlo, in affari con il camorrista Luigi Cardiello…?”

Se quello che sostiene l’onorevole è vero, allora Del Carlo era “partner” del camorrista Cardiello

che a sua volta collaborava con Dami, titolare della DAMAS. Non ci vuole molto a ricollegare i

personaggi appena citati, suscitando dubbi e perplessità su chi, come, quando, perché e a che scopo,

abbia permesso di stoccare i 42 container, “sine die”, facendoli letteralmente “marcire” in un area

interna alla già “chiaccheratissima” CERMEC di Massa. Il “cerchio si stringe” sempre di più

intorno alle responsabilità politiche di chi ha permesso che tutto ciò accadesse nel silenzio più

“assoluto”, per decine di anni. Anche perché DAMAS s.r.l. era già stata estromessa a “furor di

popolo”, dopo aver vinto un appalto “fotocopia” alle porte di Milano. Precisamente a Mediglia,

dove era prevista la costruzione del più grande impianto lombardo per lo smaltimento di rifiuti

industriali pericolosi. Inaspettatamente l’appalto e i permessi “saltano” a causa del processo a

Pescara contro il titolare, Massimo Dami, per aver smaltito abusivamente liquami industriali in

alcuni depuratori. C’è di più, però. Massa-Carrara, infatti, potrebbe permetterci di chiudere il

cerchio con il socio Cermec.

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Incendi sospetti. Non è la prima volta, infatti, che Cermec è al centro dell’attenzione. Ritornando

alle vicende della sua partecipata RR troviamo un episodio inquietante: l’incendio della struttura il

25 luglio del 2011. Un incendio reso ancor più sospetto dalle condizioni in cui versava la società

all’epoca. Il 30 luglio dello stesso anno vengono incendiati i mezzi dell’Acam di La Spezia

anch’essa nelle medesime condizioni economico-finanziarie di Cermec. Acam non si riprende e

lentamente Hera la sta incorporando. Sotto la lente di ingrandimento anche Heracom campana,

quest’ultima strettamente legata alla figura di Nicola Cosentino indicato come il politico vicino ai

Casalesi. La lista dei guai delle municipalizzate dei rifiuti non finisce qui. La ditta Aimeri operante

in Lunigiana (la stessa provincia di Cermec e RR) per il servizio raccolta rifiuti e smaltimento,

versa in condizioni simili ad Acam e Cermec. Agli onori della cronaca recentemente anche Aimeri

Ambiente di Giarre e il suo ex responsabile Roberto Russo, un boss del clan Cintorino vicino alla

cosca Cappello-Bonaccorsi, indagato insieme ad altri dipendenti della ditta per associazione a

delinquere. Altro fatto interessante. Nel maggio del 2012 un incendio doloso colpisce Aimeri

Ambiente di Giarre. Al vaglio degli inquirenti finisce anche Salvatore Russo della cosca Cursoti che

insieme ai Cintorino sono come visto legati al clan Cappello.

Il teorema. Questi episodi ci permettono di intuire che gravi inefficienze conducono puntualmente

le municipalizzate dei rifiuti a trovarsi in situazioni critiche dal punto di vista logistico-operativo e

finanziario. Gli incendi, a questo punto, servono per nascondere o per infiltrare. Che ruolo hanno le

amministrazioni locali in tutto questo? Le municipalizzate sono un bersaglio perfetto per

“aggredire” il denaro pubblico e le mafie conoscono esattamente come insinuarsi con soci privati

nelle aziende pubbliche e nel circuito degli appalti. La municipalizzata Cermec con il socio privato

DELCA dimostra come la costituzione di R/R fosse proprio la scatola societaria che serviva per fare

falsa fatturazione e schermare l’attività collegata alla distrazione di denaro pubblico. I soggetti che

hanno gravitato attorno alla costituzione di R/R potrebbero dimostrare una contiguità con “Mafia

Spa” che era ampiamente riscontrata dai legami di cointeressenza fra il socio privato Del Carlo e

Luigi Cardiello “il Re mida dei rifiuti”, boss dei Casalesi? Del resto anche l’incendio del capannone

mostra una chiara firma del dolo di matrice mafiosa. La presenza di 42 container con 2500

tonnellate di rifiuti tossici abbandonati nei pressi del piazzale del CERMEC sono un altro indizio su

coloro che gravitavano intorno alla municipalizzata dei rifiuti. Quindi, non potevamo che

approfondire la questione delle municipalizzate. Poi, sempre collegati ai Casalesi ci sono poi traffici

di rifiuti speciali ospedalieri.

Page 13: Il Nido Degli Scorpioni

Ci sono novità. I giornalisti attendevano il capo della squadra mobile di Massa Antonio Corcione

in una saletta della Questura, nello stesso momento altri colleghi di Napoli, Caserta e Firenze

facevano lo stesso.

All’alba del 28 febbraio 2013 le forze dell’ordine coordinate dalla Dda di Napoli danno il via ad un

importante operazione contro il clan dei Casalesi che porta all’arresto di una trentina di persone per

reati inerenti l’art 416 bis. Gli affiliati ai Casalesi non hanno risparmiato la piccola provincia

Apuana. In una nota consegnata ai giornalisti quella stessa mattina si legge:

“appartenenti a sodalizi criminali di estrazione campana operanti per lo più nelle provincie di

Napoli e Caserta e con vaste e forte ramificazioni in Versilia e nella riviera Apuana”.

La nota proseguiva :

“…nella nostra zona è stato arrestato il noto imprenditore Stefano Di Ronza. È conosciuto

soprattutto per avere costruito complessi residenziali ma anche uffici e centri commerciali”.

Alla fine della conferenza rivolsi al commissario una domanda:

“Nella morsa dell’operazione sono finiti solo i Casalesi o c’erano anche esponenti di altre

famiglie?”Capita, non di rado, di avere d’avanti inquirenti inesperti o non avvezzi a certe indagini,

soprattutto nei piccoli centri dove si sono consumati delitti di una certa gravità. Non è il caso di

Corcione che ha dimostrato una indubbia professionalità, anche in questa occasione. Comprese

subito dove volevo andare a parare:

“Si, in Versilia ci sono stati altri soggetti coinvolti, altre famiglie”

“Quali?”

Accennò a un lieve sorriso, poi:

“Beh basta guardare chi è presente in Versilia…”.

Pensai, stai a vedere che Saetta ha ricombinato qualcosa. Ed in effetti Vincenzo, personaggio noto

ai lettori di “Trame di Potere” risultava una pedina del piano criminale dei Casalesi. La storia di

Saetta potrebbe essere un ottimo esempio di “carriera” personale: ha fatto parte del clan dei

Giuliano (ne fa ancora parte?) per poi espandersi in Versilia. Ora emerge una alleanza con il potente

clan dei Casalesi.

Poco dopo la conferenza stampa mi chiama Sinatti che nel frattempo aveva incontrato alcune nostre

fonti:

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“Ci sono novità. Dovremmo controllare anche un altro imprenditore, ma ti dico meglio a voce”.

Ritornando a Saetta. Nel 2010 si viene a sapere, dopo l’operazione “Dedalo”, che Vincenzo aveva

dato protezione ad un noto esponente della famiglia dei Santapaola di Cosa Nostra. Tutto ciò in

apparenza sembra stridere, ma solo in apparenza, perché basta approfondire alcune vicende che i

pezzi del puzzle vanno al loro posto. Nel 2011 gli inquirenti vengono a conoscenza di una stretta

alleanza tra la mafia Catanese (guidata da Nitto Santapaola) e il clan camorrista dei Casalesi. Un

unione sancita per il controllo dei mercati di frutta e verdura (conferma che la mafia riesce ad

infiltrarsi in ogni settore economico). Primo: I Casalesi sono dunque legati ai Santapaola. Secondo:

i Saetta si sono alleati con i Casalesi. La protezione di Saetta data a Antonino Finocchiaro (dei

Santapaola) viene compresa, in tal modo, nella sua completezza. Considerazione inquietante! Nulla

vieta che la collaborazione delle due organizzazioni si sia limitata al solo business della frutta e

verdura estendendosi ad altre attività criminose anche nel nord Italia allargando il loro giro d’affari.

Una mezza idea ce la siamo fatta, ma non possiamo rivelarla in queste pagine. Possiamo però

anticipare l’intenzione di inserire nel prossimo dossier l’intreccio degli appalti negli ospedali di

diverse regioni. Nel frattempo parliamo di alcuni “intrallazzi” riguardanti i rifiuti ospedalieri!

Rifiuti ospedalieri. Dall’arresto dell’imprenditore massese Stefano di Ronza emerge un particolare

che non deve passare inosservato. A quanto risulta dalle indagini non solo si occupava, per conto

dei Casalesi, di coprire affiliati tramite assunzioni nelle ditte edili. Non solo svolgeva la consueta

attività estorsiva presso imprese di questo settore, ma “curava” anche il trasferimento in “terra

Campana” di rifiuti ospedalieri. Bisognerebbe indagare sulla destinazione finale per capire se questi

rifiuti siano finiti nelle discariche napoletane, tristemente famose inseguito ai fatti 2007-2008. Un

passaggio obbligato è la riunione a Villaricca avvenuta a fine anni 80.

Nella cittadina del hinterland napoletano vicina a Giugliano, si tenne infatti un vero e proprio

"summit" fra camorristi, imprenditori, politici e massoni, dove si stabili in modo organizzato e

scientifico di destinare la Campania a deposito fuori legge per rifiuti tossici e speciali provenienti

dal Nord d’Italia. Tra questi, anche i rifiuti ospedalieri. A questo proposito, il nome di Di Ronza

figura già negli atti parlamentari della Camera della Repubblica come “voce interna al clan dei

Casalesi”. A cavallo fra la zona di Viareggio e Massa Carrara, non è il solo. Negli anni si riscontra

la costante presenza di soggetti facenti capo ad unico disegno criminoso. Disegno che ha come

punto di riferimento il trio Gaetano Cerci – Cipriano Chianese – Francesco Bidognetti. Lasciano

poco spazio alla fantasia le intercettazioni fra Di Ronza ed il cognato di Maurizio di Puorto. Alla

fine di una di queste l’imprenditore ottiene l'incontro con di Puorto. Esiste, infine, una relazione fra

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il gruppo Schiavone – Russo, operante in Toscana con lo stesso Maurizio di Puorto, referente del

clan Iovine per la stessa regione.

Operazioni da collegare? Il traffico d’armi collegato alla Bosnia, scoperto dopo l’operazione che ha

messo a nudo l’alleanza tra i Santapaola e i Casalesi, potrebbe essere pertinente ad una altro

episodio. Il 10 maggio del 2005 la procura generale di Reggio Calabria, quella di Messina e di

Milano aprono nuovi scenari. Il nome dell’operazione parla da sola: “Gioco d’azzardo”. Viene

scoperto un imponente giro di denaro, nell’ordine di milioni di dollari. Soldi che venivano utilizzati

per affari ma anche per traffico d’armi. Salvatore Siracusano fu considerato il faccendiere anche se

la lista degli inquirenti era lunga: l’inchiesta apriva diversi filoni di indagine. La pista investigativa

che più ci interessa riguarda la Polonia, dove Salvatore portava a termine delle vere speculazioni. Il

metodo è semplice quanto efficace: i capitali, nella maggior parte provenienti dall’acquisto di grossi

immobili a Messina, venivano reinvestiti da Siracusano proprio in Polonia. Siamo giunti allo snodo

della vicenda. Da dove provenivano i capitali? Semplice, dal clan Santapaola! Esiste un

collegamento tra questo giro d’armi e gli arsenali provenienti dalla Bosnia? I paesi dell’est sono il

luogo ideale per l’acquisto di armi, per questo stiamo cercando di circoscrivere le zone di

provenienza. Un traffico d’armi va sempre tenuto nella massima considerazione. Di solito una

partita d’armi ne accompagna una di droga che può essere merce di scambio per ottenere queste

ultime.

Ritorno al Cermec, partiamo dal principio Fatta questa breve parentesi legata ai casalesi è

necessario ritornare sulle tracce della municipalizzata dei rifiuti Cermec. Riportiamo parte di quanto

da noi pubblicato nel libro “Trame di Potere” (Eclettica Edizioni).

Nella vicenda CERMEC è attorno allo stabilimento di bricchettaggio RR che si addensano ombre e

numerosi interrogativi che non hanno trovato ancora una risposta. Nata nel 2003, da una

compartecipazione fra CERMEC e socio privato DELCA, fu costituita ErreErre con finanziamenti

in parte comunitari e in parte da banche. “L’innovativo stabilimento” doveva sviluppare una nuova

linea di riciclaggio dei rifiuti derivati dalla plastica e altri materiali ad alto potere calorico, per poi

essere rivenduti come combustibile industriale. L’idea però abortì quasi subito, per motivi sia

tecnici che economici. La nuova linea di bricchettaggio non “decolla” rimanendo ramo “morto” di

CERMEC fino al 2010, quando si tenta di riproporre commercialmente il combustibile CDR, senza

successo, ultimo tentativo di un idea nata “storta”. Il concordato fallimentare di CERMEC mette in

ombra le vicende della compartecipata RR fino all’asta del maggio del 2011 nella quale vengono

messi all’incanto e aggiudicati ad una ditta di Varese parte dei macchinari che giacciono inutilizzati

nello stabilimento. Poco tempo dopo lo stabilimento, dove sono conservati documenti e macchinari,

Page 16: Il Nido Degli Scorpioni

viene devastato da un “cronometrico” incendio che danneggia il capannone carbonizzando

documenti e parte della struttura. Da ciò i primi interrogativi legati alla dolosità dell’incendio. Chi

poteva avere interesse ad incendiare il capannone? A che scopo? Che cosa si voleva distruggere

esattamente nel rogo? Dopo l’incendio sigilli e sequestro del capannone, con il suo contenuto, sono

un atto dovuto. Da quel momento si apre un inchiesta. Tutto tace fino alla fine di marzo 2012,

quando si presentano i titolari della Montalbetti S.p.a, ditta aggiudicataria dei macchinari. La

Montalbetti s.p.a intendeva provvedere al recupero del lotto aggiudicato ma le amministrazioni di

Massa e Carrara si opposero e ne impedirono la rimozione dichiarando di voler rientrare in

possesso, in futuro, dei macchinari aggiudicati all’asta.

L’ interrogativo A che scopo le amministrazioni intendono rientrare in possesso dei macchinari? I

risultati antieconomici della produzione industriale di CDR non ne giustificano il riacquisto. Che

senso avrebbe ricomprarli con ulteriore impiego di risorse finanziarie, dopo aver già messo a

concordato 21 milioni di euro da restituire in cinque anni?”

Quando ho iniziato l’inchiesta sulle infiltrazioni mafiose in terra Apuana ho avuto a che fare con il

tema delle concessioni degli agri marmiferi. Collaborai attivamente con il Dottore Bruno Ricci,

tributarista. Nel corso degli anni la sua professionalità mi ha permesso di approfondire temi

complessi, dimostrando quella necessaria combinazione tra precisione e coraggio nell’affrontare

argomenti scottanti. Un giorno cominciammo a discutere del caso del Cermec e R/R. Prese in mano

i bilanci della società e cominciò a spiegare tutti gli aspetti anomali della vicenda.

Come nasce il fallimento di ErreErre?

A seguito di istanze di fallimento depositate dalle società Curti Costruzioni Meccaniche SpA (r.f.

64/2011), Giesse Srl (r.f. 75/2011) ed Aqua Srl (r.f. 82/2011) il Tribunale di Massa fissava

l’udienza del 15.07.2011 per la convocazione della ErreErre ed in quella sede il Giudice rilevava

che i crediti vantati da Curti Costruzioni e Giesse non fossero definitivi (decreti ingiuntivi opposti),

mentre si poteva considerare definitivamente accertato il credito di Aqua Srl (decreto non opposto

pari ad euro 59,369,66 oltre interessi e spese).

In data 22.07.2011 veniva depositata la sentenza con la quale il Giudice Delegato Dott. Giovanni

Sgambati dichiarava il fallimento di ErreErre così motivando: “Letti i ricorsi presentati da Curti

Costruzioni Meccaniche spa, Giesse Spa ed Aqua srl rubricati ai nnr 64/2011, 75/2011 e 82/2011

IF, ………… Rilevato che i crediti azionati da Curti Costruzioni Meccaniche spa e Giesse srl

risultano essere portati da decreti ingiuntivi opposti e, quindi, non possono ritenersi definitivi;

Considerato altresì che il credito azionato da Aqua Srl è fondato su decreto ingiuntivo non opposto

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e, come tale, definitivamente accertato;….Ritenuto, altresì, che risulta dimostrato il superamento

del limite di euro 30.000,00 stabilito dall’art. 15, comma 9 e lo stato di insolvenza, tale da

integrare il presupposto di fallibilità di cui all’art. 1 della legge fallimentare. Visti gli artt. 1, 5, 6,

9 e 16 L.fall.

Dichiara il fallimento”.

Ma ci sta dicendo che la società ErreErre è fallita per soli 59,369,66 euro?

Evidentemente si.

Ci può sinteticamente ricordare la costituzione della base sociale della società ErreErre?

La base societaria della società ErreErre (dal 22.05.2003 al Maggio 2010) era costituita dal socio

Cermec SpA che deteneva una partecipazione del 51% (società, quest’ultima, interamente nella

disponibilità azionaria di Enti Locali: (i) Comune di Carrara per il 48%; (ii) Comune di Massa per il

47%; (iii) Provincia di Massa - Carrara per il 5%) e Delca SpA che deteneva la residua parte pari al

49%. Dal Maggio 2011 tutto il capitale sociale diventa di mano pubblica (Cermec SpA).

Possiamo concludere, conseguentemente a quanto sopra, che ErreErre rappresenti il fallimento

dell’amministrazione dei Comuni di Massa e Carrara nel gestire il denaro della collettività?

Sarebbe veramente arduo ed allarmante che un amministratore pubblico provasse a negare tale triste

e manifesta evidenza.

Facendo un passo indietro, la società ErreErre SpA avrebbe o non avrebbe avuto la possibilità di

pagare il creditore Aqua Srl evitando il fallimento?

Dalla lettura del bilancio ErreErre al 31.12.2010 e soprattutto di quello al 31.05.2011 redatto ai

sensi dell’art. 2446 e 2447 del c.c. emerge, in maniera chiara, l’esistenza di crediti verso i suoi

medesimi soci, ovvero Cermec e Delca per un importo complessivo ammontante alle date del

31.12.2010 e 31.05.2011, ad euro 2.423.340 e 2.620.964.

Perché la società ErreErre non ha mai provveduto ad incassare questi crediti verso Cermec e Delca?

Le ragioni sono le medesime di quando il Comune di Massa decise di costituire la società Massa

Servizi SpA stringendo la mano ad un socio quale la società Ariete SpA. Società, quest’ultima, i cui

soci erano due fiduciarie, ovvero soggetti, ad oggi, ancora IGNOTI alla collettività. Ebbene, se

chiedessimo al sindaco di Massa di dirci se tutto questo sia normale, con molta probabilità non vi

risponderebbe neanche. In altri termini, se un amministratore pubblico non ha la trasparenza

Page 18: Il Nido Degli Scorpioni

professionale ed umana di rendicontare all’amministrato (i cittadini) la sua gestione, tutto è

possibile. La cosa curiosa e sorprendente è che i cittadini e/o comunque una significativa

maggioranza degli stessi, a loro volta, sembrano, evidentemente, essere indifferenti. Questo è il

problema !!!.

Dott. Ricci, unitamente a quando fin qui detto, ci sono altre stranezze contabili di cui ci vuole

rendere partecipi?

La società ErreErre tra il 01.01.2011 e il 31.05.2011 ha pagato il debito a titolo di “soci Delca SpA

e Cermec SpA c/finanziamenti infruttiferi” per complessivi euro 699.498, in palese violazione del

disposto dell’art. 2467 c.c.: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è

postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la

dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito…..”. A pag. 50 della relazione ex.

art. 33 L.F. del 03.01.2012, viceversa, si legge testualmente: “Nell’anno anteriore alla

dichiarazione di fallimento non risultano al momento atti che possono essere oggetto di

revocatoria fallimentare ed ordinaria”. Su quest’ultimo punto merita ampliare l’analisi con

un’ulteriore interessante accertamento. Dalla lettura delle note integrative ai bilanci 2009 - 2010 ed

infine di quella accompagnatoria alla relazione patrimoniale ex. artt. 2446 e 2447 c.c. al 31.05.2011,

risulta che tale finanziamento soci (pag. 9 della nota integrativa al bilancio 2009) era stato effettuato

dal socio Delca SpA per euro 686.299, viceversa, nella nota del bilancio 2010 (pag. 9) tale

finanziamento sarebbe stato effettuato per euro 1.299 dal socio Delca SpA e per euro 710.000 dal

socio Cermec SpA ed infine, nella nota al bilancio 31.05.2011 (pag. 7) tale finanziamento, come

sopra detto rimborsato per euro 699.498, era privo, “ovviamente”, di ogni informativa e quindi non

ci è dato di sapere a chi la società ErreErre abbia rimborsato il finanziamento di cui sopra.

Comportamenti, quest’ultimi, realizzatesi già sotto la nuova governance della società ErreErre

insediatasi in data 20.10.2010. Il Bilancio relativo all’anno 2010 e la relazione, ai sensi dell’artt.

2446 e 2447 c.c., del 31.05.2011 sono stati redatti e firmati, appunto, dal nuovo presidente del CdA,

il sig. Ugo Bosetti.

Mi scusi, Dott. Ricci, mi sta dicendo che la società ErreErre invece di incassare i crediti verso

Cermec e Delca, pagava in una fase pre-falimentare, i debiti verso i suoi medesimi creditori?

Gli atti depositati in Tribunale portano a questa conclusione.

Ci può dire qualcos’altro?

Page 19: Il Nido Degli Scorpioni

Merita, infine, porre severa attenzione al fatto che diverse voci di bilancio dell’anno 2010 e

riportate anche nella relazione patrimoniale ex. artt. 2446 e 2247 c.c. del 31.05.2011 non

coincidono, ma divergono sensibilmente e questo contra legem. Situazione, quest’ultima, che stride

con quanto affermato a pag. 44 e 45 della relazione ex. art. 33 della Legge Fallimentare. Leggiamo,

infatti: (i) “La contabilità appare, dal punto di vista formale, correttamente tenuta……”; (ii)

“Dall’esame delle scritture contabili e fiscali ricevute da Liquidatore sig. Ugo Bosetti, si è potuto

appurare che queste sono state tenute correttamente, da un punto di vista formale, adempiendo a

tutti gli obblighi imposti dalla legge”. L’organo fallimentare preposto alla redazione della relazione

ai sensi dell’art. 33 c.1 della L.F., non avrebbe dovuto limitarsi alle risultanze del bilancio al

31.12.2010, ma, viceversa, avrebbe dovuto spingersi a: “presentare al giudice delegato una

relazione particolareggiata ……..e su quanto può interessare anche ai fini delle indagini

preliminari in sede penale”. In altre parole, non poteva disinteressarsi dei fatti societari accaduti dal

01.01.2011 al 31.05.2011 ed evidenziati nella relazione ex artt. 2446 e 2447 portante la firma del

nuovo Presidente del CdA il sig. Ugo Bosetti. Inoltre, si deve tenere a mente che la relazione ex artt.

2446 e 2447 faceva parte della documentazione contabile che il Liquidatore sig. Ugo Bosetti

depositò in Tribunale (pag. 44 Relazione ex. art. 33 L.F. n. 267/42). Per concludere, infine, basti

porre attenzione alla pagina 7 della nota integrativa del bilancio al 31.12.2010 per evidenziare

quanto segue: “Per la contabilizzazione di tali contributi è stato scelto il metodo della riduzione del

costo del cespite; cioè ha comportato l’iscrizione in bilancio del costo del cespite, pari ad euro

23.583,773 che, al netto del contributo ricevuto di euro 3.055.184, determina il valore netto di

iscrizione di 20.528.589”. Ma se questo corrisponde al vero come mai troviamo il Contributo

Regione Toscana anche tra i debiti? (Vedi pag. 48 della relazione ex. art. 33 della L. F. n. 267/42).

In altre parole e limitatamente a questo punto, la posizione debitoria della società ErreErre viene

esteriorizzata peggiore di quanto viceversa appare essere sul piano documentale. Quindi, nel caso in

specie, l’attivo immobilizzato, a ragione, è stato diminuito per un importo di euro 3.055.184

(Contributo Regione Toscana) ma erroneamente è stato elevato l’ammontare dei debiti per lo stesso

importo.

Come possiamo concludere dott. Ricci?

Per quanto sopra evidenziato, il fallimento di ErreErre sarebbe potuto essere evitato. A tal fine pare

agevole fare proprie le parole della Cassazione Sez. I, 4 marzo 2005, n. 4789: “Lo stato di

insolvenza dell’imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si

realizza in presenza di una situazione di impotenza strutturale e non soltanto transitoria, a

Page 20: Il Nido Degli Scorpioni

soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle

condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, …….”.

Dopo esserci occupati dei rifiuti, riportiamo un altro esempio di combinazione fra municipalizzate,

fiduciarie e danno erariale. A questo punto la nostra inchiesta assume una connotazione sempre più

nazionale. Anche per questa circostanza riportiamo un estratto (aggiornato e ampliato) del nostro

precedente libro “Trame di Potere”.

Massa Servizi/ Master: La foresta delle società. Dopo una campagna elettorale incandescente il

sindaco di Massa Roberto Pucci vinse alle amministrative 2008, sopratutto con la proposta di

chiudere Massa Servizi: “..Massa Servizi deve essere chiusa!…”.

Nel prosieguo del capitolo vedremo come effettivamente sono andate le cose. Insieme a Francesco

Sinatti mi sono imbattuto in un intricato schema legato a movimenti speculativi societari. Un

autentico labirinto pieno di fiduciarie e vicoli ciechi in grado di far emergere, finalmente, il sistema

malato di una provincia “transito” come Massa-Carrara.

La lunga e intricata vicenda cominciò nel 1997, quando il sindaco Roberto Pucci decise di

“esternalizzare” l’attività di riscossione dei tributi del comune di Massa (delegandola ad una

società esterna agli uffici comunali). Questa società cominciò con la riscossione dell’AGIAP, per

poi arrivare a riscuotere tutti i tributi imposti dall’ente locale Apuano. Con il rinnovo del contratto

di servizio nel 2005 l’attività si “trasformò” in modo sostanziale. A quel punto il socio privato

Ariete, che all’inizio era una Società a responsabilità limitata, divenne la “famigerata” S.p.a. . In

questo modo il concessionario per la riscossione dei tributi si trasformò in una “oscura macchina

da soldi” che nascose i propri utili dietro a delle società anonime, anche dette “fiduciarie”. La

mutazione del socio Ariete avvenne con il rinnovo del “contratto di servizio” alla Massa Servizi nel

maggio 2005. Da quel momento la società ricevette “l’investitura ufficiale” del Consiglio Comunale

con il nuovo assetto societario. La variazione della ragione sociale permise ad Ariete S.p.a. di fare

“profitti” senza dover rendere conto della propria attività, nemmeno al socio pubblico, cioè all’ente

locale, che a quel punto “perse il controllo” sugli “utili”. Da quel giorno l’attività di riscossione

finisce per essere “mascherata” dietro a delle società anonime, di cui si vociferano i nomi dei soci

“occulti” senza che si possa fare nulla per rivelare la loro identità che resta legalmente anonima

dietro al dispositivo giuridico della “fiduciaria” . Da questa vicenda sorse l’esigenza di votare “un

atto di autotutela” per permettere al Sindaco Roberto Pucci e alla sua giunta di prendere le distanze

dall’operato e dalla, eventuale, illegittima conduzione dell’attività da parte del socio Ariete S.p.a. Il

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16.4.2009 il Consiglio Comunale approvò con atto di giunta n°175, titolato: “atti di affidamento dei

servizi di riscossione alla società Massa Servizi” e contesta ex Art. 7 - legge 241/90:

1 La discrezionalità del socio e l’affidamento senza gara pubblica facendo venire meno i

presupposti per l’affidamento “in house”

2 La gestitone errata del servizio ridotto a “pura committenza” nel riaffidamento ad altri soggetti

tra cui il socio privato Ariete Spa, sempre senza gara pubblica

3 La natura fiduciaria delle partecipazioni della società Ariete Spa senza che vi siano state

comunicazioni all’amministrazione

L’atto di autotutela rappresentava, comunque, una soluzione in “extremis” non priva di “rischi”.

L’amministrazione, infatti, venne esposta a diverse insidie di natura tecnica e politica, oltre ai

ricorsi di Ariete S.p.a. presso TAR, Consiglio di Stato e ai tribunali di Massa e Milano. Una presa di

posizione ambigua, su cui l’amministrazione rischiava di tendersi un “imboscata” proprio il giorno

in cui il sindaco decise di far votare in giunta la “Delibera di Autotutela” per prendere, ricordiamo,

le distanze dall’operato della S.p.a e da, eventuali, reati commessi da soci e società. Di fatto, però,

la votazione di un atto simile coinvolgeva diversi fra consiglieri e assessori dell’attuale

maggioranza che avendo approvato, nella precedente amministrazione Neri, il rinnovo del contratto

a Massa Servizi, “rinnegherebbero” adesso l’approvazione avvenuta nel 2005 in palese conflitto

d’interessi con il loro precedente voto (1). I consiglieri ritennero, allora, il parere dei “tecnici”

sufficiente per ammettere l’atto di rinnovo a “legittima” discussione in consiglio e lo votarono,

senza immaginare che si sarebbero trovati a dover votare, in seguito, un atto di autotutela per

“neutralizzarne” gli effetti. Il rischio di aprire un contenzioso fra l’ente locale e coloro che erano

presenti sia nel 2005 che fra le fila dell’ultima maggioranza Pucci è evidente!!! Quei consiglieri

sarebbero in palese conflitto con se stessi e con il Comune che rappresentano ex art. 63 TUEL,

rinnegando l’atto di rinnovo del contratto di servizi che espone loro ad un palese conflitto con l’ente

locale.

Un bel pasticcio davvero considerando che, a questo punto, la giunta si sarebbe autosfiduciata con

conseguente caduta dell’amministrazione Pucci III per “contrasti” con una decina dei suoi membri

più rappresentativi. La questione non si chiarì e il sindaco giunse ad un accordo con Massa Servizi.

Per quale motivo il Dirigente preposto al controllo, il Segretario Generale, l’Assessore competente e

il Presidente dell’allora Commissione Bilancio portarono il 31.5.2005 in discussione in Consiglio

Comunale un simile atto di rinnovo del contratto di servizi?

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A quel punto, al dimissionario Dello Iacono presidente pro tempore di Massa Servizi, subentra un

protagonista del libro (soprattutto nel filone nazionale e internazionale dell’inchiesta) Giulio

Andreani che, nel frattempo, è divenuto anche presidente del “nuovo” concessionario per la

riscossione: La Master. Nata dalle ceneri di Massa Servizi. “La Fenice Master” sembra quasi una

strategia pianificata. La questione è grave ma non è seria…” come si dice in questi casi. Pertanto, il

sindaco trattò un “disonorevole armistizio” con Massa Servizi S.p.a. per 900.000 € ! Perché il

sindaco scelse una transazione da 900.000€ e non chiuse Massa Servizi nella modalità promessa in

campagna elettorale? In definitiva, come risulta dalla commissione speciale su Massa Servizi spa, il

danno erariale si aggira sui 15 milioni di euro per dieci anni di attività.

Penati. A occhi attenti Ariete si presentava come una società piene di sorprese. Nelle analisi

precedenti, avevamo messo in rilievo la composizione di Ariete: formata da tre fiduciarie. Una di

queste risultava essere la Plurifid spa con sede a Torino. La Plurifid possiede un socio unico:

Ubibanca, Unione di Banche Italiane Società Cooperative, con sede in piazza Vittorio Veneto n.8 a

Bergamo. La famigerata fiduciaria potrebbe offrire nuovi sbocchi per la nostra inchiesta. Pare,

infatti, collegata ad una srl finita sotto l’occhio della Guardia di Finanza e dei media. Il caso

finanziario è eclatante: coinvolta risultava la Eventus srl, costituita il 5 dicembre 2006 e messa in

liquidazione il 10 settembre 2009. L’amministratore della società, fino al 9 ottobre 2007, fu un

personaggio importante: Filippo Penati. Uomo del Pd già indagato per finanziamento occulto ai

partiti ed altri gravi illeciti. In breve tempo emerse che la Eventus srl era controllata al 50% dalla

fiduciaria Plurifid spa, la stessa che contribuiva a formare la compagine societaria Ariete Spa. A

questo punto si aprono inquietanti scenari e nuove imbarazzanti coincidenze vengono alla luce.

Penati, il super indagato, ha avuto a che fare con Ariete e quindi con Massa Servizi? È un dato di

fatto che il passaggio in Ariete spa (e il sopraggiungere delle tre fiduciarie) avvenne sotto lo

sguardo distratto di una amministrazione Pd a Massa. Una coincidenza? Penati, uomo Pd, ha forse

intrapreso relazioni con qualche politico locale di Massa-Carrara? Dentro e fuori dal Comune di

Massa cominciò a trapelare una voce: Ariete Spa serviva per il finanziamento occulto ai partiti,

durante la campagna elettorale, di centrosinistra. Può essere una fondata preoccupazione? Quanto è

compromesso Penati? Siamo di fronte ad un autentico modus operandi che coinvolge anche la

provincia di Massa-Carrara?

In breve tempo scoppiò un'altra polemica sui giornali locali tra il Consigliere Stefano Benedetti e

l’Onorevole Andrea Rigoni, rappresentante di spicco del Pd locale. Secondo quanto trapelato in

quei giorni, Massa Servizi aveva sede in un palazzo dell’Onorevole Rigoni (“Palazzo di

vetro”dell’omonima srl dei fratelli Rigoni). Niente di strano, le anomalie invece potrebbero sorgere

Page 23: Il Nido Degli Scorpioni

approfondendo la questione degli affittuari. Rigoni avrebbe affittato, infatti, il locale ad Ariete Spa

“quasi gratuitamente” il quale a sua volta lo avrebbe subaffittato a Massa-Servizi. Un giro d’affitti

da capogiro e privo di ogni senso logico, o forse tale solo apparentemente: perché non affittare

direttamente a Massa-Servizi? S’intendeva nascondere qualche cosa? Cosa? L’Onorevole Rigoni

rispose alle accuse per mezzo del suo legale: “sono illazioni inaccetabilmente insinuanti, crea

artificiosamente un possibile collegamento tra l’inchiesta Penati e l’onorevole Andrea Rigoni e la

Margherita di Massa .” Il portavoce affrontò anche il tema dell’affitto ad Ariete: “Inoltre non si è

mai concesso quasi gratuitamente unità immobiliare in locazione ad Ariete spa”.

Nota (1) Per quale ragione con l’autotutela non si è provveduto ad accertare anche le responsabilità

di coloro che approvarono nel 2005 il passaggio al socio privato Ariete Spa? Tra coloro che

approvarono questo passaggio non ci sono forse eminenti esponenti della stessa amministrazione

Pucci III che ha preso le distanze con quell’atto di autotutela? Non è forse incoerente una simile

presa di posizione?

Nota (2) Andando a rileggere la registrazione scritta della seduta del 31 maggio 2005 del Consiglio

Comunale di Massa, rileviamo anche interventi significativi contro l’approvazione della delibera di

rinnovo del contratto di Massa Servizi. Tra questi ricordiamo quello del Consigliere Pier Paolo

Marchi (all’epoca di Rifondazione Comunista). Il Consigliere aveva posto una “preventiva

pregiudiziale”. Nella seconda parte del suo discorso pone, inoltre, un quesito importante: perché

non si vuole indire una gara pubblica per il socio privato di Massa Servizi? Perché accettare a priori

la trasformazione di Ariete in spa? Riportiamo a tal riguardo parte del suo intervento : “Questa

delibera arriva a dire delle cose semplicemente utilizzando atti che dicono il contrario di quello che

la delibera stessa sostiene. Non sono un avvocato, non sono un giurista, semplicemente sono un

cassa integrato, quindi ho un po’ di tempo e mi sono divertito ad andare a vedere una ad una le

sentenze del Consiglio di Stato, le leggi a cui si fa riferimento e quant’altro.” Il Consigliere

prosegue : “Bene, l’atto 29 della Legge 448/2001 non dice che si possa assegnare il servizio da una

società costituita ad un socio che non emerga da una gara internazionale ad evidenza pubblica”.

Alla fine il presidente Andrea Ofretti mette ai voti:

Ofretti: “Grazie consigliere Marchi di essere stato anche nei tempi. Mettiamo in votazione la

pregiudiziale del consigliere Marchi, scrutatori in aula ci sono. Votazione aperta. Ci siamo, si può

alzare il consigliere Uilian Berti per cortesia. Votazione chiusa. Presenti 32, votanti 31, astenuti 2.

Favorevoli 5, contrari 24. La pregiudiziale proposta dal Consigliere Marchi Pier Paolo è respinta”

Page 24: Il Nido Degli Scorpioni

Nota (3) “Per dimostrare la profonda responsabilità politica ed i conseguenti danni erariali, questa

commissione, nelle more delle sue difficoltà operative, dimostra che i partiti di centro sinistra che

hanno governato in questa città negli ultimi quindici anni, ne escono come evidenti responsabili…lo

snodo fondamentale della vicenda rimane l’assoluta mancanza di documentazione ufficiale (verbali

di assemblea dei soci) o anche di carteggio non ufficiale in cui si evidenzi in qualche maniera la

volontà di Ariete S.c.a.r.l (socio al 30%) prima di trasformarsi in Società per Azioni e,

successivamente, cedere le quote a società fiduciarie….. Ha procurato (Massa Servizi nda) un

evidente danno erariale alla comunità massese, quantificabile, dalle varie risultanze in circa 15

milioni di euro. Lo scontro interno al centrosinistra ha, come naturale evoluzione e nella volontà di

creare un differente centro di potere, portato alla determinazione di chiudere questa pessima

esperienza, sebbene da dieci anni in solitaria posizione AN prima e PDL poi hanno condotto una

battaglia contro questa degenerata ed illegale struttura” (Commissione Speciale di Indagine su

Massa Servizi S.p.a, relazione di minoranza di Stefano Caruso membro del Gruppo Consigliare

PDL).

Nota (4) Penati è stato Presidente della Provincia di Milano dal 2004 al 2009, attualmente ricopre

l’incarico di consigliere regionale della Lombardia. In gioventù ha militato nelle file del Partito

Comunista Italiano, ma è negli anni ottanta che ha inizio la sua carriera nella pubblica

amministrazione di Sesto San Giovanni, la “Stalingrado” lombarda. Divenne Assessore al Bilancio

e all’Urbanistica dal 1985 al 1993. L’anno successivo lo ritroviamo alla guida dell’Alleanza dei

Progressisti, una coalizione di sinistra che vedeva come referente nazionale Achille Occhetto.

Penati divenne anche il primo sindaco di Sesto San Giovanni eletto direttamente dai cittadini. Dopo

due legislazioni come sindaco la sua repentina ascesa proseguì. Nel 2004 sfidava il presidente

uscente della Provincia di Milano di coalizione di centro destra, Ombretta Colli, battendola. Venne

sconfitto, sempre nelle provinciali, nel 2009 dal candidato del centro destra Guido Podestà. Dal

novembre 2006 sino al 2009 Penati fece parte del Consiglio d’Amministrazione del Teatro della

Scala di Milano e anche membro del comitato di candidatura per l’Expo 2015. Nel corso degli anni

Penati seguì con attenzione tutte le fasi politiche. Fece parte della Direzione Nazionale dei

Democratici di Sinistra (DS) e del Consiglio federale dell’Ulivo. Alla nascita del Pd Penati entrò

nel coordinamento nazionale del nuovo partito. Da sempre sostenitore di Bersani. Nel 2010 sfidò

per la presidenza della Regione lombardia: Roberto Formigoni, ma senza successo. Penati, inoltre,

venne eletto dal consiglio regionale vicepresidente in rappresentanza delle minoranze, carica da cui

si dimise nel 2011 a causa di indagini giudiziarie che lo vedevano coinvolto. Il 20 luglio venne,

infatti, indagato dalla Procura di Monza per concussione e corruzione. Sotto attenta analisi tangenti

ricevute per la riqualificazione dell’ex Area Falck di Sesto San Giovanni.

Page 25: Il Nido Degli Scorpioni

“Entomologia del potere”: Giulio Andreani

Non si può comprendere fino in fondo questa inchiesta se prima non ci soffermiamo su alcuni

“uomini chiave”.

Competente, autorevole, poliedrico, ma anche sfuggente, discreto, eminenza grigia di un potere

politico gestito come una satrapia dalle amministrazioni Apuane che si sono susseguite da metà

degli anni 90 fino ad oggi. Questo è il ritratto di colui che "sussura ai potenti" della provincia e, più

su, nelle alte sfere della politica nazionale del paese.

L'aria si fa rarefatta quando si parla di questa (omni) presenza che incrocia tutti gli scandali e le

intricate vicende in cui sono coinvolte le amministrazioni di Massa & Carrara e le loro

municipalizzate. Ogni volta che si tratta di un importante concordato fallimentare o di una

fiduciaria, lui è il consulente o l'ispiratore di una "soluzione" che sembra sempre giuridicamente

ineccepibile. Tutti i raccordi volanti in punta di diritto sulle "faccende" più spinose di casa nostra

sono quasi certamente passati per le sue mani negli ultimi 20 anni. Stimato consulente, amico dei

potenti, si muove da sempre nell'intricato mondo della fiscalità nazionale e, soprattutto

internazionale, di cui conosce ogni risvolto e anfratto tanto da essere docente pluridecorato della

scuola del Ministero dell’Economia e della Finanza e spesso vincitore di prestigiosi premi come li

"Top Legal award".

Non manca mai agli appuntamenti chiave per lo sviluppo dell’economia locale tanto da avere

uomini di fiducia e importanti partner (spesso soci) che decidono di eleggere la sede legale delle

proprie società nel suo studio di tributarista. Spifferi, brusii e voci maligne lo vogliono il numero

uno della massoneria locale, non si muove nulla negli assetti del porto di Marina di Carrara che Lui

non voglia.

Al punto che "casualmente" ritroviamo un suo collaboratore, Paolo Dello Iacono (ha lavorato per

anni nello studio del tributarista) al comando della Porto Hoding società nuova fiammante per la

gestione del porto. Subito dopo la sua costituzione si sbloccano i 25 milioni di euro governativi per

il water front, trovando immediato seguito nell'approvazione del discusso piano del porto fino a

giungere all'acquisto dei cantieri NCA da parte di Tecnomar Tyg (importante realtà del mondo

nautico). Tecnomar e Andreani sono protagonisti di un'altra vicenda legata al controverso acquisto

del cantiere Baglietto, pregiato pezzo del mercato offshore. Su questo tentativo d’acquisto per

procedura fallimentare restano molte controversie.

Giulio Andreani lo ritroviamo protagonista nelle operazioni del porto con personaggi di alto calibro.

Page 26: Il Nido Degli Scorpioni

Amicizie strane: Un porto in tempesta. Nell’estate del 2011 “Il Fatto Quotidiano” pubblicò una

serie di articoli in cui venivano menzionati anche i così detti “furbetti del quartierino”. Tra loro

figuravano i nomi di Gianpiero Fiorani e Luigi Grillo, quest’ultimo senatore del Pdl. Un articolo, in

particolare, datato 12 agosto 2011 affermava: “Pronti duecento milioni tra Liguria e Toscana per i

sodalizi di Fiorani e Grillo”. Il testo procedeva: “con una serie di società con sede in Lussemburgo e

in paradisi fiscali stanno investendo centinaia di milioni, comprando mezza Liguria, pronti a

sbarcare in Toscana”. La Toscana non è una piccola regione e occorrerebbe essere ancora più

precisi nel “mappare” investimenti anomali. Nel piccolo cercheremo, dunque, di offrire un

contributo supportato dagli ultimi sviluppi. Nella nostra ricerca riscontriamo i nomi di Grillo e

Fiorani parlando del porto di Marina di Carrara, meta assai ambita per intraprendere succulenti

affari. Durante le celebrazioni dei cento anni del porto di Marina di Carrara, l’instancabile senatore

Grillo non solo era presente ma decise perfino di fare un eloquente discorso non previsto dal

programma della Port Authority. Una autentica intromissione del senatore nelle faccende del porto.

Un intervento che spinge a considerare la possibilità di un legame tra “i furbetti” e la volontà

d’investire parte di quei duecento milioni di euro menzionati nell’articolo del “Il Fatto Quotidiano”.

Una vicenda tutta da chiarire soprattutto se le attenzioni si rivolgono ai precedenti di Grillo e

Fiorani inquisiti per l’inchiesta Antonveneta. Su quella vicenda Grillo fu condannato in primo grado

a due anni e otto mesi mentre Fiorani a un anno e otto mesi.

Il progetto del porto di Marina di Carrara ha conosciuto anche un altro nome illustre: quello di

Caltagirone, l’imprenditore romano che propose un nuovo e costoso lifting al porto. Nulla di male

se investitori e imprenditori offrono le loro idee e aspirazioni per ammodernare e rendere sempre

più efficienti strutture antiquate e inefficienti. Nulla di strano, sempre se gli uomini d’affari

coinvolti non nascondono qualcosa di illecito come pare abbia fatto Caltagirone. Nel marzo 2012

Bellavista Caltagirone, presidente del gruppo immobiliare Acqua Marcia, viene accusato di

concorso in truffa aggravata ai danni dello stato per una somma di diversi milioni di euro per il

porto di Imperia. Brutto affare. Secondo gli inquirenti il costo per la costruzione del nuovo porto si

aggira sui centoquaranta milioni in più del previsto. Una somma di denaro troppo ingente per

passare inosservata tanto che dopo intercettazioni e indagini estese, Caltagirone, presidente

dell’impresa addetta alla costruzione, e l’ex direttore del porto di Imperia spa Carlo Conti, vengono

arrestati. Nel libro “La Provincia Del Silenzio”(Eclettica Edizioni) avevamo riportato che nel

novembre del 2010 la Dda di Torino aveva dato inizio a un blitz nel porto di Imperia.

Nell’operazione furono individuati esponenti della ‘ndrangheta Piemontese e Ligure pronti a

inserirsi in importanti affari legati allo scalo. Si tratta di una coincidenza l’avviso del Procuratore

capo Luciano Di Noto, avvenuto poco tempo dopo il blitz, che esponeva i rischi di infiltrazione

Page 27: Il Nido Degli Scorpioni

mafiosa anche in zona Apuana? Sono in circostanze analoghe a quelle descritte che avvengono le

alleanze tra i così detti colletti bianchi e le mafie, dando inizio a un devastante sodalizio.

Referente tra Caltagirone e il noto armatore Enrico Bogazzi (Presidente e socio della Porto Spa di

marina di Carrara) pare essere stato Giulio il Divo (Giulio Andreani), gran maestro di pubbliche

relazioni. Sfuma l’affare, non se ne fa nulla. Bogazzi aveva già sentito odore di bruciato? Due anni

dopo sarà Bogazzi a fare delle avances ad un noto imprenditore ligure, Gabriele Volpi.

La storia di Volpi è piena di interessanti luci e ombre, almeno a detta di alcuni osservatori. Ma

vedremo più avanti (Parte 2) .Autentico big dell’economia italiana vive attualmente in Nigeria dove

tra i suoi molti affari si occupa di petrolio, in particolare della gestione delle strutture addette allo

stoccaggio e al trasporto del greggio sia nei depositi che nei porti non distanti dai giacimenti.

Intorno al suo impero orbitano società offshore distribuite in mezzo mondo. Patron del Recco

pallanuoto e Calcio Spezia, allarga il suo business anche nell’edilizia soprattutto in terra ligure,

come nel caso del porto turistico di Santa Margherita. Dell’imprenditore di Recco in passato si sono

dette cose poco edificanti: contrabbandiere di armi e associato alla mafia. Ovviamente Volpi ha

sempre negato simili insinuazioni: “Non ho mai avuto bisogno di fare cose del genere”. C’è

comunque una sua società, la Intels, che in passato è stata oggetto di attenzione da parte di alcuni

giornali come il quotidiano Daily Champion che riporta: “Nel settore marittimo e dell’industria

petrolifera , Intels è una delle compagnie che ha continuato a generare controversie… c’e’

soprattutto l’impressione della gente che la compagnia stia mungendo il paese senza contribuire

all’economia nazionale. La cosa più rilevante è che si afferma che Intels sfrutti i Nigeriani che

lavorano per essa” (Ripreso da Maria Riccioni, Casa della legalità e della cultura). Tra le amicizie di

Volpi compare Fiorani: quanto è piccolo il mondo! Nello studio tributarista di Giulio Andreani

vengono ospitate almeno due ditte riconducibili a Volpi: la San Rocco immobiliare e la Santa

Benessere. Il presidente di quest’ultima è l’avvocato Andrea Corradino. Amministratore delegato,

invece, l’architetto Gian Antonio Bandera, costruttore molto vicino al Vaticano. Il Vaticano in

queste faccende appare spesso, ricordiamo che Gianpiero Fiorani è grande amico del cardinale

Tarciso Bertone, ma anche di Gabriele Volpi. Anche queste però potrebbero essere annoverate fra le

coincidenze della vita. Ulteriore coincidenza: Andrea Corradino, che abbiamo visto come

presidente della Santa Benessere con sede in uno studio di Carrara, è l’avvocato dell’onorevole

Grillo. Non è che i soliti noti stanno mettendo le mani sul porto di Marina di Carrara? Ipotesi

suggestiva.

Page 28: Il Nido Degli Scorpioni

Lo stesso studio di Carrara fu occasione per un altro incontro degno di nota: quello con l’avvocato

Andrea Baldi. Lo stesso indagato per lo scandalo della Conad. A intervenire in sua difesa Giulio

Andreani. A tal proposito riportiamo un articolo del “Il Tirreno”

“PISTOIA”. Un aspetto della maxi-inchiesta esplosa alcuni mesi fa, nei quali erano coinvolti alcuni

nomi di spicco dell'imprenditoria pistoiese fra cui il presidente della Pistoiese Orazio Ferrari, era

quello dell'evasione fiscale. Con una sentenza di pochi giorni fa, la Commissione tributaria

provinciale di Firenze ha però accolto i ricorsi proposti, con il patrocinio di Giulio Andreani, Pietro

Cervasio e Carlo Rosano facenti parte del gruppo societario Tredil-Roscer, contro gli avvisi di

accertamento relativi agli anni 2004 e 2005, notificati loro dall'Agenzia delle entrate per importanti

rilevanti. Per entrambi i contribuenti - soci del gruppo Tredil-Roscer, del quale fanno parte anche

Orazio Ferrari ed Andrea Baldi di Pistoia - i motivi del recupero impositivo preteso dall'Agenzia

delle entrate avevano tratto origine da un'operazione immobiliare relativa ad un terreno edificabile

ubicato in Montopoli Valdarno che, a vario titolo, aveva coinvolto, tra le altre, le Società Conad del

Tirreno, Logistica Valdarnese Srl e Tredil Spa. Questa operazione, come si ricorderà, era già stata

sottoposta all'attenzione della cronaca nel giugno scorso, in quanto oggetto di una verifica da parte

della procura di Roma che aveva dato corso a un'ampia indagine. In particolare, secondo

l'amministrazione, le consistenti erogazioni di denaro corrisposte negli anni 2004 e 2005 dalla

Tredil Spa ai due contribuenti, avrebbero costituito il corrispettivo di non meglio precisati servizi

che costoro avrebbero prestato nell'ambito dell'operazione commerciale di cui si è detto. Invece, la

Commissione tributaria provinciale di Firenze, recependo in pieno quanto argomentato dalla difesa

di Baldi, ha stabilito che dette movimentazioni di denaro non hanno costituito il prezzo di servizi

prestati in favore della Tredil Spa, ma la restituzione di un credito che i soci vantavano nei confronti

della società. Questo credito derivava sia dall'acquisizione delle quote di partecipazione nella

Logistica Valdarnese Srl (della quale erano soci i Cervasio, Rosano, Ferrari e Baldi) sia

dall'acquisto di un credito vantato verso quest'ultima dai soci Cervasio e Rosano, Ferrari e Baldi.

Commentando la sentenza, i difensori pongono l'accento, non solo sul riconoscimento dell'estraneità

all'evasione, ma anche per la condanna dell'amministrazione finanziaria alla refusione delle spese di

giudizio sopportate dai contribuenti. «Atteso che - concludono gli avvocati - quasi sempre, i giudici

tributari, indipendentemente dall'esito della controversia sottoposta al loro giudizio, sono soliti

compensare le spese di lite; il che sta ad indicare l'assoluta infondatezza della tesi dell'Agenzia delle

entrate».

27 settembre 2011 Il Tirreno

Per diritto di cronaca Baldi fu assolto dall’accusa.

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Ma cos’è la Tredil Roscer? È una società di Prato i cui titolari sono di fatto i cinque del gruppo

Roscer: Orazio Ferrari, Andrea Baldi, Luigi Minischetti, Pietro Cervasio e Carlo Rosano. È una

società, in definitiva, nata per realizzare affari immobiliari. Nello scandalo Conad la società ha

come referente bancario tra le altre anche Banca Finnat. Una banca interessante quanto il suo

proprietario, Giampietro Nattino. Nattino fin dai primi anni della Repubblica Italiana è stato vicino

a Giulio Andreotti, uno dei politici più potenti e controversi. Tra le altre amicizie di Nattino

ricordiamo due personaggi chiave: Francesco Caltagirone (la stessa famiglia Caltagirone citata nel

cap “un porto in tempesta”) e Stefano Ricucci (immobiliarista e facente parte del famigerato gruppo

dei “furbetti del quartierino”), lo stesso che confessò preoccupato al Pm della Procura di Roma:

Ricucci: “E che, lo chiede a me? Lei non deve palare con me di questi argentini….. Conosce

Caltagirone? Lo convochi. Conosce Bonsignore? Lo chiami. Sa chi è Catini? No. Chiami anche

lui….. chiami anche la banca Finnat e Giampietro Nattino. Chiami Vincenzo De Bustis. Sa cosa è la

banca Finnat? Chi è Nattino?”

Magistrato: “Che fa questo Nattino?”

Ricucci: “Ma lei vuole che a me mi uccidano stasera qui dentro? Lei forse non si rende conto di chi

sta a toccare Lei…. Mi faccia la cortesia, lasci perdere questo dottore…. Io lo dico per me; poi se

Lei vuole andare avanti, lo faccia. Lei c’ha seicento persone che la proteggono, ma a me chi mi

protegge? Nessuno, su sta roba”.

Sempre Ricucci durante l’interrogatorio mette in luce un aspetto nuovo:

“Senta Dottore, secondo me la Finnat è una banca molto vicina al mondo della massoneria…”.

Dopo questa breve testimonianza torniamo a Baldi. Nella città di Carrara aveva compiuto un

investimento importante comprando l’hotel Michelangelo ma non solo:

“Nel luglio dello scorso anno ha inaugurato, con tanto di festa il suo primo investimento in città: ha

rimesso a nuovo, e a tempo record, l'hotel Michelangelo in via Rosselli. E aveva anche annunciato,

in tempi non sospetti, un altro investimento: alla Lugnola, che comprendeva un ampliamento

proprio del supermercato Conad, e la creazione di un nuovo polo per lo shopping con negozi, bar e

locali. Un asse commerciale del tutto inedito in una zona della città che, con la strada dei marmi in

dirittura d'arrivo, verrà liberata dal traffico pesante. Un progetto annunciato, a cui l'avvocato

pistoiese avrebbe dovuto dare gambe grazie proprio ad una cordata formata da altri immobiliaristi.

Ma, proprio la scorsa estate Baldi aveva fatto un passo indietro. «Non sono qui per comprare mezza

Page 30: Il Nido Degli Scorpioni

Carrara - aveva però precisato il patron dell'hotel, nella serata dell'inaugurazione - chi ci vive

dovrebbe investire di più»”.

15 giugno 2011 Il Tirreno

Quale evento può aver spinto l’avvocato-immobiliarista a non proseguire i suoi investimenti? Una

nota interessante, che ovviamente non c’entra nulla con il caso in questione: La Dia (Direzione

Investigativa Antimafia) insistette su infiltrazioni mafiose nella Strada dei Marmi e in tutto ciò che

riguardava le zone limitrofe che potevano essere influenzate dalla sua realizzazione. Pare che le

indagini si siano intensificate negli ultimi due anni tanto da bloccare, lo afferma lo stesso Prefetto,

diverse intrusioni malavitose o di uomini d’affare poco limpidi.

Politica e porti

Affari PD La politica si è sempre dimostrata interessata al controllo dei porti. Tuoni e fulmini

attendono gli sventurati intenzionati a svelare i misteri dei porti italiani, anche perché queste

vicende vedono coinvolti personaggi assai potenti.

Nel capitolo “Un porto in tempesta” abbiamo descritto le intenzioni dei “furbetti del quartierino”

(area centro destra, informiamo i lettori stranieri che la politica italiana è più complessa di quella

tribale africana) di fare investimenti sui porti liguri dal levante fino allo scalo di marina di Carrara

incluso, considerato “la porta” d’accesso alla Toscana. In queste pagine mettiamo in evidenza il

medesimo modus operandi, ma con regia ed influenze di segno opposto targate PD. Probabilmente

parte dell’establishment regionale e nazionale si è reso conto delle manovre dei “furbetti”

profilando l’idea di perdere il controllo politico su appalti collegati allo sviluppo dei porti toscani.

Si parla d’ingenti finanziamenti comunitari e non solo. Uno scontro politico e amministrativo sotto

traccia dove unici a non beneficiarne sono i contribuenti. Alcuni dirigenti Pd sembrano aver

lanciato la controffensiva con la discussa operazione del porto di Piombino legata al trasferimento e

allo smantellamento del relitto della Concordia. La tragedia della nave da crociera è nota a tutti. Il

problema è tecnico e riguarda lo spostamento e smantellamento di questo “bestione” di trecento

metri. La Regione Toscana, guidata dal controverso Presidente Enrico Rossi, fra tutte le strategie

praticabili opta per quella più surreale: la nave dovrebbe essere trasportata e smantellata nel porto di

Piombino. C’è una questione da risolvere, il porto è piccolo e inadatto alla Concordia. Sono

necessari due anni di lavori e centinaia di milioni di euro solo per abbassare drasticamente il fondale

e creare quattro piscine artificiali. Una operazione fine a se stessa perché, le fantomatiche piscine,

rendono il nuovo porto inadeguato alla sua funzione. A tal proposito anche il Prefetto di Piombino

esprime le sue preoccupazioni riguardo alla scelta di questo scalo:

Page 31: Il Nido Degli Scorpioni

“Non ho mai posto il problema Piombino o non Piombino, ma ho sempre rilevato che Piombino è

una soluzione complicata” (Dagospia).

Negli stessi giorni in cui gli esponenti del Pd annunciavano il potenziamento del porto di Piombino,

il partito rivolgeva lo sguardo verso una banca (una fissa?!). Il banco di Sardegna.

Mai pensare male ci ammonivano a catechismo, ma se nel breve arco di tre mesi assistiamo allo

sfacelo del Monte dei Paschi, al discutibile annuncio del potenziamento di porti come Piombino e

all’interesse di collocare uomini chiave del Pd in piccole banche, beh! Gli indizi sono veramente

tanti e i sospetti conseguenti. Viene da pensare che il Monte dei Paschi dopo il dissesto finanziario

subito non sia più la “mucca da mungere” per il Pd. Viene da pensare, inoltre, che sia necessario

mettere le mani su una banca (piccola) per sostituire il MPS. Fondi- banche- porti-politica

potrebbero essere un buon inizio per ulteriori finanziamenti e appalti. Sospetti. Solo sospetti.

Se mettiamo in ordine le singole vicende legate ai porti Liguri e Toscani rileviamo strane

coincidenze. Potremo azzardare un ipotesi. Mentre i “furbetti del quartierino” puntavano ad avere

appalti per ottenere l’ampliamento e costruzioni di nuovi porti TURISTICI, parte del Pd

sembrerebbe volere l’esatto contrario: azzerare il tutto, per poi potenziare i porti MERCANTILI o

crearne di nuovi. Visioni contrapposte. Colpi di scena, discussioni infinite, arresti eccellenti e

accuse reciproche hanno caratterizzato il dibattito sui porti negli ultimi anni. Indizi a conferma di

una guerra sotterranea sono rintracciabili nelle ultime vicende legate al progetto del nuovo porto di

Carrara (ancora una volta la provincia Apuana è anticipatrice e in prima linea nelle questioni

nazionali). Quando ancora le influenze dei “furbetti” e dell’ex senatore Luigi Grillo erano palpabili,

le proposte di progetto per il nuovo porto erano prevalentemente orientate all’ampliamento dello

scalo turistico. Eclatanti scandali fanno venire meno queste potenti influenze. Lo scenario cambia e

assistiamo ad un possibile colpo di mano di soggetti appartenenti all’area di centro sinistra,

affiancati dalla regione Toscana con il presidente Rossi e dalle due amministrazioni di Massa e

Carrara. Le dichiarazioni dei vertici della Porto Holding sono un punto di svolta che lascia pochi

dubbi sul futuro del porto: tutti gli sforzi saranno concentrati per ampliare e potenziare il settore

mercantile.

“RIVELAZIONI, RIVELAZIONI!!!!!”, avrebbe gridato a squarcia gola un vecchio strillone

intento a vendere giornali. Si, perché la notizia che pare scontata, è in verità una svolta di non poco

conto. Soprattutto se messa a confronto con quella del porto di Piombino.

Le novità non sono finite. Civitavecchia potrebbe offrirci una ennesimo spunto. Il 19 marzo 2013 il

controverso imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone viene nuovamente arrestato dopo aver

Page 32: Il Nido Degli Scorpioni

subito un processo per truffa riferibile al porto d’Imperia, in seguito prosciolto, ma attualmente

indagato per irregolarità in quello di Civitavecchia. Caltagirone è collegato ai “furbetti” e all’ex

ministro Claudio Scajola: in conseguenza di questo vuoto di potere, il porto di Fiumicino diviene

più appetibile per i manovratori targati Pd? Una vicenda tutta da seguire. Perché è determinante

ricostruire il braccio di ferro affaristico tra i due principali partiti nazionali? Non certo per ragioni

politiche ma per questioni prettamente pratiche e di controllo dei settori chiave dell’economia del

paese. Trasparenza imporrebbe che nessun partito abbia il controllo su strutture pubbliche. Il

monopolio porta ad inevitabili irregolarità e non di rado a gravi illeciti. In circostanze simili non è

da sottovalutare il problema infiltrazioni mafiose. Si, perché se alcuni esponenti del Pdl hanno

mantenuto una sana dose di complicità con alcune ‘ndrine e clan camorristi, il Pd non può di certo

sbandierare la propria superiorità morale.

Porti & “Mala”.

Tutto parte dalla Liguria. Questo è l’assioma investigativo da cui prende spunto la nostra

inchiesta.

Da qui transita tutto ciò che riguarda gli affari illeciti del centro nord Italia. La piccola e

apparentemente apatica provincia di Massa-Carrara è da considerare non una propaggine della

Toscana, bensì il “sud “della Liguria. Almeno trattando di corruzione e Mafie. Una lingua di terra

che se ben analizzata si potrebbe dimostrare il nervo scoperto di una vasta e articolata rete

criminale. Gli scali della Liguria, infatti, sono da considerarsi strategicamente INSOSTITUIBILI e

fondamentali, cosa che non si può dire di molte aree della penisola.

I porti sono per definizione piattaforme strategiche per coloro che hanno intenzione d’intraprendere

affari illeciti, fin qui è cosa risaputa. Per evitare che quanto detto risuoni vago dobbiamo

soffermarci su un porto in particolare: quello di La Spezia. Un porto che riserverà ancora sorprese

agli inquirenti. La Spezia risulta per le organizzazioni criminali uno scalo perfettamente attrezzato

per la logistica e quindi ideale per grossi traffici, mentre Marina di Carrara (a soli 20 km)

rappresenta un porto defilato e anonimo adatto per affari apparentemente di secondaria importanza.

Inoltre negli appalti del porto ligure non è più possibile speculare. Contrariamente agli appalti e

all’ampliamento dello scalo Apuano in cui esistono ampi margini di profitto legati agli investimenti

di denaro pubblico. Cosa occorre per favorire affari di portata milionaria nei porti? Bisogna allestire

imponenti traffici nazionali e internazionali da cui possono ricavarne profitto tutti coloro che si

trovano nel “cono d’ombra”. Occorre, in definitiva, un modus operandi e una organizzazione che

attualmente solo la mafia possiede (vedere parte III, le due holding). Le preoccupazioni non

Page 33: Il Nido Degli Scorpioni

dovrebbero finire qui per chi si occupa di mafia, trascurare la Lunigiana (Ms) sarebbe un gravissimo

errore. La Lunigiana, infatti, sembra stia diventando una roccaforte della ‘ndrangheta. A giocare un

ruolo decisivo in Lunigiana potrebbe essere la Scu (la Sacra Corona Unita Pugliese), già presente e

attiva da tempo sul territorio. L’attuale Scu, infatti, sta mettendo in atto in ambito nazionale già da

qualche anno una linea d’azione a più ampio respiro rispetto al vecchio giro delle sigarette e delle

automobili. Un piano con alleanze sempre più strette con la camorra e la ‘ndrangheta finalizzato al

commercio di stupefacenti e armi, quest’ultimo traffico collegato a sua volta con i paesi dell’Est. In

Lunigiana la Scu si è forse alleata con la ‘ndrangheta? (prima holding, vedere parte III). Abbiamo

notato che la Scu, soprattutto in Toscana, Emilia e Liguria, viene spesso sottovalutata e vista come

una organizzazione ancora confinata in traffici minori. Grave errore di valutazione! Che non coglie

a pieno i nuovi assetti, compresi quelli delle due holding di cui più avanti parleremo

approfonditamente. A tal riguardo intendiamo ricollegarci al primo libro. In “Trame di Potere”

avevamo descritto il travagliato progetto che vedeva la costruzione di sei super ville di lusso per i

magnati Russi a Forte dei Marmi (celebre località turistica della Versilia). Quello che però non

avevamo messo in evidenza nel precedente libro era lo spiccato interesse da parte di Antonio

Centonze ad entrare in operazioni immobiliari nella stessa zona. Il nostro uomo è personaggio noto

agli inquirenti, tanto da essere definito addirittura uno dei “polmoni finanziari” della Scu insieme a

Giancarlo Capobianco. Prima di essere arrestato per la terza volta a causa delle dichiarazioni del

pentito Ercole Penna (precedentemente in due occasioni aveva scontato una pena a sette anni di

reclusione), Centonze si vantava di essere sul punto di concludere un affare da quaranta milioni di

euro. L’affare riguardava proprio la costruzione delle ville. Spartiacque per entrare nell’operazione

doveva essere la società D&D nella quale ufficialmente il brindisino risultava semplice operaio ma

in realtà ne era il capo a tutti gli effetti. La società non solo riciclava il denaro della Scu ma veniva

utilizzata per creare nuovi profitti da reinvestire in altre attività. Insomma, il solito “giochino”

criminale. Centonze con quale imprenditore aveva preso contatti? Se consideriamo l’enorme

interesse della mafia russa nei confronti della Versilia tale pista potrebbe condurci a sorprendenti

retroscena. Un indizio che stiamo valutando per porlo agli inquirenti.

Per qualche scatto in più. La costruzione delle ville al Forte dei Marmi ci riporta indietro, ad un

evento accaduto poco prima della pubblicazione del libro “Trame di Potere”. Io e Sinatti avevamo

deciso di fare un sopraluogo direttamente nel cantiere che si trovava poco distante dal mare, al

centro di un piccolo labirinto costituito da viette intersecate fra loro. Un luogo appartato e

tranquillo, proprio come vogliono i magnati russi desiderosi di spassarsela in Versilia lontano da

occhi indiscreti. Svoltammo dalla via principale per inoltrarci all’interno. Finalmente vedemmo le

ville. Non erano ancora completate ma si poteva già immaginare il risultato finale: belle ma nulla di

Page 34: Il Nido Degli Scorpioni

eccezionale. Mai però avremmo pensato di essere oggetto di attenzioni particolari. Sinatti, alla

guida, decise di accostare poco distante dall’ingresso, punto ideale per scattare qualche foto.

Scendemmo dall’auto con le nostre Canon. Dopo qualche secondo intravidi dall’angolo della

stradina un operaio che ci osservava. Accennai un saluto. Non stavamo facendo nulla di male.

Sicuramente non violavamo la privacy considerando che le ville erano vuote ed ancora in

costruzione. L’operaio non rispose, con uno scatto repentino e nervoso si voltò per sparire dietro le

case. Capimmo che qualcosa non andava. Sinatti spostò l’auto il necessario per uscire mentre

scattavo le ultime foto. Salii in macchina e decidemmo di percorrere il perimetro delle ville. Nel

frattempo gli operai si erano riuniti in un gruppo di quattro o cinque. Dopo essere usciti dal piccolo

labirinto per ritornare alla via principale, quella che conduce al mare, ci guardammo per un istante

in faccia. Spezzai il silenzio, tanto sapevo già cosa pensava il mio collega:

“Ti sembra normale?”. “Roba da matti”.

La bastardaggine è insita nell’animo di chi fa questo lavoro, a maggior ragione se si verificano

episodi strani, allora la curiosità diviene un richiamo irresistibile. Dopo qualche minuto ritornammo

indietro pronti a fare un nuovo giro d’ispezione. Se c’erano ancora dubbi da li a poco furono

dissipati. Gli operai si erano piazzati negli angoli strategici per individuare facilmente chi entrava e

usciva dal labirinto, mentre uno di loro girava con una macchina fotografica. Ci individuarono e con

un cellulare telefonarono.

“Guarda che questi hanno avvisato” .

“L’ho visto”.

“Per ora non vedo nessuno davanti a noi. Attenzione all’angolo e al prossimo rettilineo”.

“Sei pronto con la macchina fotografica?”.

Avevo regolato la velocità dell’otturatore giusto per non avere dei “mossi” anche con scatti

improvvisi dettati da eventi veloci (un po’ come si fa per lo sport).

“Si si”.

Detto fatto. L’uomo con la macchina fotografica si era posizionato in fondo alla strada, in un

incrocio. Sinatti accelerò. L’uomo ci fisso prima di riconoscere l’auto, circostanza che ci dette

modo di svoltare repentinamente e fargli “perdere lo scatto” proprio sulla targa. Uscimmo da quella

strada convinti che il tizio non fosse riuscito a scattarci una foto decente.

“Porca putt…! Manco fossimo stati dei ladri a fare la posta”.

Page 35: Il Nido Degli Scorpioni

“Eh nel caso c’era tanto da rubare in case ancora in costruzione….”.

“Potevano anche fermarci per chiedere informazioni senza troppi giochi di prestigio”.

Abbiamo riportato questo piccolo episodio per mette in evidenza un certo “nervosismo” presente

nel cantiere. Con questo non vogliamo insinuare nulla o giungere a conclusioni. Non fu una

reazione normale.

Navi & droga: il ritorno di Bogazzi. È un periodo difficile per “i figli di Dio”. Le dichiarazioni

dell’ex leader Iraniano e il prosieguo dei test nucleari hanno allertato la comunità internazionale

tanto da creare un embargo voluto principalmente dagli Usa. Non entreremo nei particolari, ci basti

sapere che quando la comunità internazionale sente odore di traffico d’armi diventa “isterica”. Le

navi sono da sempre un vettore ideale per simili attività illecite (come del resto la droga). Non

bisogna stupirsi se compagnie e armatori vengono coinvolti in operazioni illecite sempre più

frequentemente, spesso a loro insaputa. Riporteremo due episodi che hanno in comune lo stesso

armatore Enrico Bogazzi (per diritto di cronaca certamente estraneo alla vicenda riguardante la

partita di droga). L’armatore come abbiamo visto nelle pagine precedenti, è una delle colonne

portanti dei commerci nei porti di Marina di Carrara e La Spezia.

La United Against Nuclear Iran (UANI) ai primi di marzo del 2013 ammonisce pesantemente con

un comunicato stampa la BSLE Italia Srl, compagnia navale di Bogazzi. Una nave della compagnia,

la BSLE Venus, avrebbe visitato più volte l’Iran intrattenendo rapporti d’affari di non precisata

natura con le autorità portuali. Bogazzi ha risposto con decisione a questo comunicato:

“La nave BSLE Venus non ha mai scalato i porti Iraniani da quando la nave è impiegata per conto

di BSLE. La nave in oggetto è impiegata su rotte per il Mediterraneo, Medio Oriente e India e

quando ha scalato porti iraniani lo ha fatto trasportando carichi che rispettavano al 100% le regole

imposte dall’embargo con l’Iran”.

La vera domanda comunque è : perché UANI si è esposta con una denuncia così grave?

L’imprenditore ha annunciato di voler ricorrere per vie legali e sarà interessante assistere agli

eventuali sviluppi della faccenda e constatare se UANI abbia un asso nella manica. Il secondo

episodio riguarda un Bulk Carrier sempre legato a Bogazzi. Nel 2007 la nave, diretta verso il porto

di Vado Ligure, fa scalo in Venezuela, precisamente a Maracaibo. Una ispezione subacquea delle

autorità portuali scopre 130 kg di cocaina stoccati in sacchi impermeabili appesi allo scafo della

nave. Brutto affare! La nave viene subito sequestrata, il capitano e il suo secondo (entrambi ucraini)

vengono arrestati mentre all’intero equipaggio viene imposto l’obbligo di non uscire dal paese.

Page 36: Il Nido Degli Scorpioni

Precisiamo che l’armatore e la compagnia erano all’oscuro del traffico. Ciò che a noi interessa è lo

scalo finale della Bulk Carrier, cioè Vado Ligure. I narcos che hanno scelto questa nave, facevano

parte di qualche organizzazione criminale? Quale? Possiamo escludere che l’operazione fosse

targata ‘ndrangheta, così presente nei porti liguri? Vado Ligure, infatti, non è uno scalo nuovo per i

traffici di droga. Sembra perciò che la principale holding ‘ndranghetista stia utilizzando con più

frequenza questo porto (vedere parte III). Facciamo un passo indietro. Nel capitolo dedicato alla

“Federazione Criminale” metteremo in primo piano il ruolo chiave dei Fameli considerati, dopo

l’operazione Carioca, la lavanderia per il riciclaggio dei Piromalli (una delle più importanti famiglie

della ‘ndrangheta). I Fameli sono insediati proprio nel Savonese. Forse qualche controllo incrociato

con Vado Ligure andrebbe fatto. I frequenti sequestri effettuati dalle autorità portuali competenti

potrebbero condurci a collegamenti con l’organizzazione in questione. La partita di droga con rotta

Colombia-Vado Ligure risulta un precedente interessante. L’operazione portò al sequestro di 30 kg

di cocaina in container destinati in parte a Vado Ligure e alla città Iberica di Tarragona. La Spagna

risulta la destinazione più frequente delle rotte provenienti dall’America latina e la tratta sud

America-Spagna-Italia è da sempre la più sfruttata dai narcos.

Arrivano gli Hezbollah, sarà una coincidenza ma…. Un giorno ci trovammo a parlare con un

analista di geopolitica. Stavamo affrontando diversi argomenti senza l’intenzione di giungere a

conclusioni. Un po’ come si fa tra amici quando ci si incontra al bar. La discussione si fece

interessante quando si spostò sulla situazione politica venezuelana. Chavez era morto da poco e si

stava scommettendo sull’affidabilità del nuovo presidente e della forte opposizione che avrebbe

trovato all’interno del paese. Impossibile non affrontare anche il tema della droga. Nel 2013 la DEA

(Us Drug Enforcement Adminidtration) lancia un allarme: gli hezbollah stanno facendo affari con i

cartelli del sud America (Messico, Colombia e Venezuela). Affari legati al traffico di stupefacenti.

Una collaborazione proficua da milioni di dollari. Gli hezbollah finanziano in tal modo le loro

guerre, mentre i cartelli acquisiscono un nuovo partner affidabile e dalle molte potenzialità. Un

enorme problema, invece, per le forze di sicurezza mondiali. La droga, infatti, viene smerciata, in

una seconda fase, anche in Europa. Cosa pensare poi di un ulteriore rafforzamento dei guerrieri di

Allah? A questo punto la domanda è d’obbligo: la criminalità organizzata, a sua volta partner fedele

dei cartelli, rimarrà a guardare? Inverosimile. Prendiamo nuovamente la ‘ndrangheta. Ha tutte le

carte in regola per facilitare il progetto criminale dei cartelli e degli hezbollah. Quello che potrebbe

venirsi a creare, se non sta già accadendo, è un circolo vizioso destinato ad autoalimentarsi senza

interruzioni. Gli hezbollah vendono la droga, coperti dall’Iran, e la criminalità organizzata la

smercia nei mercati mondiali: la ‘ndrangheta in ciò è maestra di vita. Il gioco è fatto. Non

dovrebbero essere modificate nemmeno le rotte per i traffici, come visto anche nel paragrafo “navi e

Page 37: Il Nido Degli Scorpioni

droga”, il Venezuela rimarrebbe un punto di riferimento come la Spagna e l’Italia. Raccontiamo

nello specifico quanto denunciato dagli Usa perché potremmo giungere ad ulteriori considerazioni

legate alla nostra inchiesta. Intendiamo fare una precisazione: non insinuiamo collegamenti con

quanto espresso nelle pagine precedenti ma è nostro lavoro contribuire a informare l’opinione

pubblica su vicende che spesso trovano le medesime organizzazioni e luoghi coinvolti. Quindi è

nostro dovere porre delle domande.

La Siria non deve essere persa, Assad non deve essere travolto dai terroristi venduti agli occidentali.

Il concetto potrebbe riassumere il pensiero degli iraniani e di hezbollah. La Siria è un avamposto

troppo vicino e troppo importante per cederlo al nemico. La possibilità che al posto di Assad

sopraggiunga un governo democratico marionetta è inconcepibile. Sarebbe un danno perfino per

Russia e Cina. L’unica via che può essere intrapresa è il sostegno incondizionato al regime con

uomini, armi e finanziamenti. L’operazione pare stia riuscendo, nel momento in cui stiamo

scrivendo Assad stà lentamente riprendendo il controllo sul territorio.

Per sostenere la guerra occorrono molti soldi, anche perché dall’altra parte gli angloamericani

appoggiano a loro volta i ribelli. A nuove sfide si deve rispondere con nuove soluzioni, meglio con

soluzioni già collaudate ma raffinate e rese ancora più efficienti. Perché allora non reperire i fondi

necessari alla guerra con il traffico di droga? Una doppia soluzione per i figli di Allah. Da una parte

hanno un sicuro guadagno e in più una soddisfazione morale: quella di vedere le gioventù

occidentali corrompersi e morire con quella droga. Il tramite fra Iran e hezbollah, secondo la DEA,

sarebbe in particolare il cartello messicano dei Los Zetas. Nelle indagini spunta un nome, Ayman

Juma incaricato di essere il tramite con il cartello e l’intero sud America. Ma la situazione sembra

prospettare uno scenario ancora più complesso: in sud America la nuova struttura sarebbe a sua

volta divisa in due reti. La prima denominata “Nassereddine”, gestita da un libanese con, guarda

caso, cittadinanza venezuelana. Stiamo parlando di un personaggio noto, che gode di un notevole

prestigio in Venezuela tanto da essere insignito come “addetto ai rapporti con la Siria”. Tombola!

La sua rete sembra avere anche lo scopo di riciclare il denaro. Quindi un ruolo essenziale. Passiamo

alla seconda rete. A gestirla un altro nome, Hojjat al Eslam Mohsen Rabbani, un iraniano che

parrebbe aver preso il posto di Ayman Juma dopo il suo arresto. Come elementi d’appoggio per le

loro operazioni ci sarebbero anche basi e cellule presenti nel nord Africa. I dirigenti della DEA

rimangono colpiti dal potenziale pericolo innescato dall’organizzazione. Gli americani chiesero

all’Europa di iscrivere nel loro libro nero del terrorismo anche gli hezbollah. Trovano però un

ostacolo. Una donna britannica determinata a non acconsentire alla richiesta: Chaterine Ashton la

quale invitò un gruppo di dirigenti europei a schierarsi contro la richiesta. Tutto ciò potrebbe avere

Page 38: Il Nido Degli Scorpioni

senso: in Libano è presente la forza di pace composta principalmente da paesi europei. Solo nel

finale hanno preso una posizione tutt’altro che chiara: nel libro nero viene aggiunto solo il braccio

armato degli hezbollah, mentre resta nell’ambito della legalità l’ala politica. La solita foglia di fico.

Misteri Libanesi

Intervistato: “Ero un ex appartenente di un centro Gladio nel nord est dell’Italia”.

Giornalista: “Perché una struttura di questo tipo poteva avere un interesse a supportare certi

traffici?”

Intervistato: “Supportava questo genere di traffici perché era incaricata da chi di dovere di

supportare questo traffico. Era una struttura al servizio dei potenti del momento. Avendo una

struttura del genere, capillare, efficiente che poteva operare anche all’estero con il bene placito degli

statunitensi, riuscivamo ad avere un controllo totale della Somalia e non solo. Insomma si riusciva

ad avere un controllo totale dell’area e poter effettuare qualsiasi tipo di traffico illecito. Ripeto che

per traffici illeciti si parla di contrabbando di armi ma soprattutto si parla di traffico di scorie

nucleari e rifiuti tossico-nocivi. Era una grossa pattumiera. Statunitensi, italiani, tedeschi, francesi,

paesi dell’Est. Gli Stati Uniti forse in modo ancora più feroce di quello che non facevamo noi”

“Giornalista: Poteva esserci una facciata legata alla cooperazione?”

Intervistato: “C’era una facciata legata alla cooperazione per forza, altrimenti non si sarebbe potuto

fare niente”.

(Intervista ripresa da Rai3)

Libano. Fonti non divulgabili ci stanno informando che nel giro dei nuovi traffici, soprattutto per

quanto riguarda il Libano, sono presenti personaggi già segnalati in passato e riconducibili anche

alle navi dei veleni.

"Porta d'ingresso" per aree ad alta instabilità politica ed economica, il Libano è oggi crocevia di

molte vicende oscure che si rincorrono negli ultimi 30-40 anni fra integralismi religiosi, terrorismo,

mafia, servizi segreti e giornalisti uccisi. A più riprese fanno capolino in questi anni vicende non

raccontate fino in fondo ed intrecci che si perdono dietro ad affari spesso inconfessabili che, la

"Svizzera del medio oriente", nasconde dietro a delicati equilibri geopolitici fungendo da snodo per

"traffici" illegali di tutti i tipi.

Page 39: Il Nido Degli Scorpioni

È proprio qui che riappare la "Rigel", famigerata nave che ufficialmente risulta affondata il 21

settembre 1987 di fronte Capo Spartivento. Per la Procura di La Spezia la “Rigel” è stata affondata

volutamente per riscuotere l’assicurazione. La vicenda nel corso di nuove indagine risulta però assai

più complessa. La “Rigel” non solo trasportava un carico di rifiuti radioattivi ma non sembrerebbe

nemmeno affondata. Una fonte anonima denominata “Jannis” la segnala parcheggiata un mese dopo

il presunto affondamento a Ras Selaata. Un porto fra più defilati e sconosciuti del meraditerraneo a

50 km a nord di Beirut, conosciuto per traffici illeciti. All’epoca, in piena guerra civile libanese, il

porto era controllato dalle Milizie Cristiane Di Marada (filo Siriane).

Sempre la versione ufficiale vede la “Rigel” salpare dallo scalo di Marina di Carrara, stazionare per

una settimana davanti al porto di Palermo, per poi affondare di fronte a Capo Spartivento.

Pare, invece, che le cose non siano andate proprio cosi. La fonte (denominata “Pinocchio”) informa

che il viaggio della "Rigel" sembra sia cominciato in Grecia per poi prendere la rotta dell'Albania e

transitare per il nord africa (il Libano?) prima di fare scalo al porto di Marina di Carrara e

proseguire l'ultima parte del viaggio cosi come ce la raccontano le cronache ufficiali.

Perché allora, per l’altra fonte “Jannis”, ritroviamo la nave ancorata in uno sconosciuto porto del

Libano ben dopo il suo naufragio? I perché sono molti in queste storie e non a tutti si può dare una

risposta certa e definitiva. La "Rigel" sembra in realtà essere stata oggetto di quei traffici di cui

abbiamo testé accennato e la sua rotta sarebbe stata mascherata proprio per occultare la presenza di

un carico "pericoloso" ed illegale, molto probabilmente d'armi. Almeno nella prima parte del

viaggio? Così si potrebbero spiegare lo scalo albanese e quello in Libano: scali che altrimenti non

avrebbero senso. Si capisce immediatamente che non si vuol far sapere cosa trasporta la nave,

quindi la sua rotta non viene ricostruita nella prima parte del viaggio. In tutta la vicenda rimane

sospeso un interrogativo: se effettivamente la “Rigel” non è stata affondata ma è arrivata in Libano,

quale nave giace effettivamente sui fondali di Capo Spartivento?

Il mercantile è oggetto di fortissimo interesse da parte del Capitano Natale De Grazia. Incaricato

dalla commissione d'inchiesta parlamentare sulle navi dei veleni, il Capitano trova la morte

(avvelenato) proprio mentre si reca a La Spezia sulle tracce della "Rigel" e di un sedicente

mercantile Russo. Cosa stava cercando De Grazia prima di morire? Dagli atti d’inchiesta della

commissione parlamentare risulta che il capitano, per ammissione del cognato, avesse molto a cuore

un fascicolo archiviato in Procura a Reggio Calabria, al punto da chiedere allo stesso cognato di

ritirarlo e consegnarglielo personalmente “brevi manu”, senza farlo transitare in ufficio. Di che

fascicolo si trattava? Elementare, del fascicolo sull’affondamento della “Rigel”. Chissà cosa aveva

Page 40: Il Nido Degli Scorpioni

intuito il Capitano tanto da spingere “qualcuno” ad “intercettarlo” per evitare che all’ultimo

momento si facesse luce sulla vicenda.

Oltre le cronache ufficiali. In un verbale riguardante un omicidio potrebbe trovare soluzione un

segmento d’inchiesta, uno dei più oscuri, riguardante la “Rigel” e le navi dei veleni. Il caso in

questione è quello dell’omicidio dell’ingegnere Alberto Dazzi. Non ha nessuna correlazione con le

navi dei veleni ma tra i verbali della Questura di Massa-Carrara, Squadra Mobile - 1 Sezione, datata

16/9/96 spunta un misterioso personaggio legato alla zona Apuana e Spezzina. Nel rapporto si

legge:

“Anche il (viene riportato il nome di un indagato, affiliato alla banda della Magliana, per l’omicidio

Dazzi) come riferito dal verbalizzante, accenna a questo fantomatico “principe libanese”,

accreditato presso la propria ambasciata e che gode di grande influenza negli ambienti romani”

Sarà un caso ma l’Italia di quel periodo, come dimostra anche il caso Dazzi, assomigliava a Beirut:

le autobomba sono l’epilogo di vicende drammatiche riguardanti gli appalti degli anni 90, dove

politica, servizi segreti e mafia la fanno da protagonisti. Chi era questo “principe libanese”?

Potremmo ritrovarlo nelle carte della Commissione d’Inchiesta sulle Attività Illecite connesse al

ciclo dei rifiuti: Akef Anis Khoury, un potente libanese presente in Italia in quel periodo, guarda

caso con agganci politici importanti, che non faceva mistero di essere un contrabbandiere d’armi

internazionale. Perché si trovava in Italia? Un paese che all’epoca (guidato dalla Dc e Psi) teneva

una posizione filo-araba e palestinese? È forse il “principe libanese” da collegare alla “Rigel”?

Come? Seguendo la nostra ipotesi la “Rigel” trasportava anche un carico d’armi: il libanese poteva

essere una sorta di intermediario fra “l’organizzazione” italiana (servizi segreti?) e il gruppo delle

Milizie Cristiane Di Marada? C’entra qualcosa lo Stato Italiano? Sosteneva i libanesi con le armi

nei momenti “caldi” della guerra? L’Italia pagava in armi paesi dell’africa a cui pretendeva un

concambio in rifiuti tossici? Quanto esposto potrebbe essere un passaggio cruciale non ancora

descritto a pieno nella sua complessità. De Grazia è morto mentre era sulle tracce di un simile

traffico troppo imbarazzante per l’Italia e il suo governo?

“La Rosso”. “Lost Ship”, una semplice nota su un taccuino ricollegherebbe la “Rigel” con un'altra

nave : la “Rosso”. Nel 1989 nel porto di La Spezia , la “Rosso” della compagnia IGNAZIO

MESSINA & C., è alla fonda alla fine della sua vita operativa in temporaneo disarmo prima del suo

ultimo viaggio come nave per il trasporto di rifiuti tossici. Il 4 dicembre 1990 riprende il mare e la

ritroviamo spiaggiata in località “Formiciche” il giorno 14 ad Amantea (CS), dopo un fallito

tentativo di affondamento (guarda caso).

Page 41: Il Nido Degli Scorpioni

Documenti ritrovati sulla plancia della motonave permettono di ricollegare la "Rosso" alla società

O.D.M. di un certo Ing. Giorgio Comerio. Lo stesso Ingegnere che il 21 settembre 1987 si

appuntava sull'agenda (ritrovata in una perquisizione nella villa di Garlasco) “….lost ship..” a

proposito della “Rigel” (o della nave affondata al suo posto?). Anche qui una coincidenza?

Entrambe le imbarcazioni hanno tracce di radioattività a bordo e la “Rosso” risulterà poi al centro

del progetto come nave modificata per il lancio dei celebri siluri “penetrator” sempre dell’Ing.

Comerio. Casuale?

Il capitano De Grazia si era innervosito negli ultimi giorni, poco prima del suo ultimo viaggio, a

causa di una presunta fuga di notizie riguardante l’inchiesta che stava conducendo. Il suo timore era

un infiltrazione dei servizi segreti, quegli stessi servizi a cui Comerio dichiara di appartenere per

esplicita ammissione della sua compagna, Maria Luigia Nitti. Coincidenze?

Comerio è l’ideatore e promotore del progetto “dei siluri penetratori riempiti di scorie”, con il

quale molti stati europei, e non, speravano di far sparire i propri rifiuti radioattivi sotto i fondali

marini, con una nave appositamente modificata dai cantieri S.E.C di Viareggio. Proprio la stessa

S.E.C. che gestiva la flotta della SHIFCO: compagnia somala per la pesca .

Shifco. La compagnia SHIFCO fa base a Gaeta Latina negli stessi uffici di una società pistoiese: la

PIA (Prodotti Ittici Alimentari). Titolare della PIA è Vito Panati che viene travolto poco prima delle

elezioni del 94 (alle quali è candidato) da un interrogazione parlamentare dei Verdi che ipotizzano

un “traffico d’armi” ricollegato, proprio, alla SHIFCO. Panati si professa all’oscuro di questi

traffici.

Sotto la lente di ingrandimento una nave della compagnia: la “21 Ottobre II”. La nave dovrebbe

trasportare pesce, invece, pare che nei frigoriferi e nelle stive siano stoccati ben altre merci: AK 47,

RPG e armi in genere ricollegabili a Monzer al Kassar, trafficante d’armi siriano. Anche lui legato

alla SHIFCO. Altro particolare da tenere in considerazione: pare che la nave abbia attraccato anche

a Beirut (ritorniamo sempre in Libano) e in Iran. Sulla pista delle armi avevano lavorato Ilaria Alpi

e Miran Hrovatin prima di essere uccisi da un agguato in terra somala. A seguito delle sue indagini,

Ilaria Api aveva intervistato il Sultano di Bosaso. Del nastro alla commissione d’inchiesta sulla

morte della giornalista, arriveranno solo 20 minuti. E poi? Poi ci sono i rifiuti tossici e radioattivi

che giungono con la stessa logica dello scambio, con armi, cooperazione o denaro sulle coste di una

“Stato fantoccio” destabilizzato dalla guerriglia e dalla presenza di “corrotti” signori della guerra. Il

resto è semplice chi s’interessa di questi “traffici”: o ne fa parte, o deve morire!!

In un intervista a “La Repubblica “, Panati intende chiarire la propria posizione:

Page 42: Il Nido Degli Scorpioni

“Noi abbiamo avuto per un breve periodo la gestione delle navi della Shifco. L’abbiamo avuta dalla

Unisom 2, che è un organismo dell’Onu”.

A domanda del giornalista di Repubblica se fosse collegato con la nave 21 Ottobre II (quella

sospetta del traffico d’armi), Panati risponde:

“Questo episodio delle armi si riferisce al 91. Mi dice cosa c’entro io se ho avuto la gestione delle

navi solo a metà del 93? Non so e non posso sapere cosa è successo prima. Prima di me la flotta era

gestita dalla Sec di Viareggio”

In conclusione: dal porto di La Spezia e Marina di Carrara sono partite molte delle navi dei veleni

affondate nel mediterraneo e nel corno d’Africa. Il ricorrere di questi porti come scali di partenza e

arrivo induce a ritenere che, questa zona, sia una importante piattaforma per il varo di operazioni

“illecite” riguardanti lo smaltimento dei rifiuti speciali & radioattivi e non solo.

Un ulteriore prova: la “Lady O” Nei traffici d’armi, di rifiuti e di droga è sempre esistito un

intenso rapporto tra la criminalità organizzata italiana ed il Medio Oriente. In particolare il Libano.

Nel capitolo “navi e droga” abbiamo profilato l’opportunità che nel traffico tra hezbollah (Libanesi

sciiti) e narcos sud americani si siano introdotte famiglie mafiose, soprattutto della ‘ndrangheta. La

‘ndrangheta è stata una delle “mani operative” negli affondamenti delle navi dei veleni. Un dato di

fatto. Un episodio potrebbe indirizzarci verso nuove piste investigative. Personaggio di primo piano

delle famiglie calabresi negli anni novanta, Antonino Giglione è un nome chiave che spunta

sull’inchiesta denominata “Lady O”. La “Lady O” è una motonave di un armatore libanese, George

Seaman indagato per aver trasportato, proprio con la sua imbarcazione, ingenti quantitativi di droga

in Calabria e Puglia provenienti dalla Libia e dal Marocco. Proprio durante questi traffici Giglione

incontra un altro personaggio degno d’attenzione: Toni Nakouzi, leader del cartello libanese del

narcotraffico. L’operazione “Lady O” dimostra un rapporto stretto fra le organizzazioni menzionate,

rafforzando le ipotesi sviluppate nel libro. Per coloro che nutrissero ancora dei dubbi.

Odore del sangue dall’Est. “Diavolo rosso, traditore”. Una scritta in italiano sul muro

dell’abitazione di un suicida. Meglio, presunto suicida. Un giornalista di grosso calibro della testata

francese “Le Figarò” muore in circostanze misteriose nel maggio del 1996. Xavier Gautier negli

ultimi anni della sua vita si era occupato assiduamente di un grosso traffico d’armi dalla Bosnia.

Una inchiesta lunga, complicata, snervante e molto pericolosa. Gautier era riuscito a pubblicare un

bell’articolo sull’argomento tirando in ballo mercenari, sopratutto italiani, e un traffico che partendo

dalla Bosnia si diramava in Austria, Italia e Somalia. Dopo un anno sabbatico, presumibilmente

passato a scrivere un libro su una rock star americana, il giornalista decide di trascorrere qualche

Page 43: Il Nido Degli Scorpioni

tempo nella sua casa in Spagna, a Maiorca. L’ultimo viaggio. Lo troverà impiccato dentro

l’abitazione la polizia. Frettolosamente la Procura Iberica archivia come semplice suicidio: pare che

il giornalista da tempo manifestasse segni di depressione assumendo, a volte, un comportamento

schivo e irascibile. Non è dello stesso avviso L’ex moglie, che lo aveva incontrato poco prima del

suo viaggio in Spagna. Altro particolare trascurato, la scritta sul muro. Una frase ambigua. Chi è “il

diavolo rosso”? Cosa ha a che fare con il giornalista? Perché “traditore”? Il caso del giornalista del

“Le Figarò” è uno di quelli che stiamo seguendo da tempo perché potrebbe rivelare inquietanti

retroscena su traffici d’armi internazionale e non solo. Gautier aveva puntato il dito su degli italiani.

Ora, esiste un Reparto militare che porta questo soprannome (stiamo parlando di autentiche

congetture sia chiaro). Avvisiamo il lettore che ci stiamo inoltrando in un ginepraio. Trieste

parrebbe fungere da città transito per “monumentali traffici d’armi”. Proprio in questa città del nord

Italia, Gautier avrebbe incontrato una fonte che era stata responsabile della sicurezza dei convogli

che andavano da Fiume (Rjieka per i croati) a Sarajevo (a chi appartenevano i convogli?). Sarà una

coincidenza ma pare che la fonte avesse un sopranome curioso: “Diavolo rosso”. Si tratta di un

mercenario presente e attivo nel conflitto bosniaco? La scritta “Diavolo rosso, traditore” era un

avvertimento al mercenario che ha tradito una sedicente organizzazione, facendo da fonte al

giornalista francese? Il presunto mercenario aveva contatti con qualche militare della Nato?

Quest’ultima è una domanda legittima perché nel 2010 viene fuori una notizia (trascurata)

direttamente collegabile al conflitto bosniaco.

Il quotidiano di Banjaluka “Nesnavisne Novine” denuncia l’esistenza di un traffico d’armi tra

Bosnia e Italia. Il medesimo traffico che vedeva coinvolto “Diavolo rosso”? La storia ha inizio con

una serie di sequestri d’armi eseguiti in Bosnia (tra il 1991-1995) dai militari italiani. L’operazione

più significativa viene denominata “Zetva” che significa appunto “raccolta”. A sostenere la notizia

sarebbe una fonte che prosegue in dichiarazioni allarmanti. Pare, infatti, che una parte di quelle armi

fossero, in qualche modo, state ritrovate negli arsenali della criminalità organizzata italiana.

Soprattutto camorra e ‘ndrangheta. Il lettore dovrà fare uno sforzo di memoria ritornando al

paragrafo “Operazioni da collegare?”, dove abbiamo supposto l’ipotesi di un legame tra due

operazioni apparentemente separate : quella che vede agli arresti uomini dei Santapaola

(Operazione Gioco d’azzardo) e la scoperta di una alleanza tra gli stessi Santapaola ed i camorristi

dei Casalesi. Scoperta che portò anche al sequestro di armi provenienti dalla Bosnia. Le stesse

sequestrate dalla Nato? Le stesse su cui indagava il giornalista francese?

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CAPITOLO 2 -L’uomo ombra del governo nigeriano. Gabriele Volpi

Un “Tycoon” quasi sconosciuto nel suo paese ma conosciutissimo oltre oceano dall'FBI e celebre

fra i tifosi delle sue squadre: Lo Spezia calcio, e Pro Recco palla a nuoto, con il tentativo d'acquisto

prima della Sampdoria e poi del Bologna (prematuramente sfumati), il nostro ha tentato la scalata al

grande calcio in serie A.

Il Federal Bureau Investigation è sulle sue tracce da tempo per il reato di riciclaggio e triangolazioni

varie che hanno fatto tappa anche negli USA. Da sempre "uomo ombra" del governo Nigeriano, con

la Intels, società di servizi per piattaforme petrolifere (fatturato 1,5 miliardi di dollari l'anno),

intrattiene rapporti d'affari e strette relazioni con i maggiori gruppi per l’estrazione petrolifera. La

questione si fa più complicata quando s'indaga sul "giro" di denaro e concessioni petrolifere fra le

multinazionali del settore e governativi nigeriani coinvolti a più riprese in vicende di corruzione e

riciclaggio a cavallo fra la fine degli anni 90 e i primi anni del nuovo secolo. Le sue "amicizie

nigeriane" non sono disinteressate e fra società di comodo, tangenti e tentativi di appropiarsi dei

proventi per lo sfruttamento delle concessioni petrolifere, si crea un vero e proprio conflitto

d'interessi fra "bande" a capo delle quali troviamo i principali esponenti del governo: il Presidente

Obasanjo e il suo Vice Abu Bakar, a cui il nostro uomo d'affari è molto legato, contro il ministro del

petrolio del precedente regime del generale Abacha

“Blocco 245” L’ex ministro del petrolio Etete, avrebbe incassato una vera fortuna dalla vendita di

una vecchia concessione petrolifera che, lui stesso, si auto assegnò poco prima della caduta del

regime di Abacha (28 aprile 1998). Il Presidente Obasanjo e il suo Vice decidono di revocare la

concessione di sfruttamento con la motivazione di procedura irregolare ..."non trasparente e non

etica". Pietra dello scandalo la Malabu Oil & Gas Ltd., fiduciaria controllata dallo stesso Etete e la

concessione per lo sfruttamento del blocco 245.

La decisione non è motivata dalla volontà di ristabilire la legalità ma dal tentativo di entrare in

possesso di una concessione che si era rivelata valere miliardi, per la quale il neo governo insediato

fa pressioni perché il 50% delle quote della Malabu vengano ceduti ad una società scelta da Atiku

Abu Bakar: la Pecos Energy. Consulente di quest'ultima (guarda caso) è proprio Lui, il Nostro

uomo, che pare aver negoziato la concessione per conto del vicepresidente. Il blocco 245 non viene

assegnato per un decennio, fino al 2011, quando Eni & Shell se ne aggiudicano lo sfruttamento

firmando un accordo con il governo nigeriano per 1 miliardo di dollari. Proprio sulla destinazione

finale di questo denaro si addensano ombre e misteri, una grossa fetta del quale pare sia stata

trasferita ad Etete. L’attuale camera nigeriana ha aperto un inchiesta per chiarire i risvolti della

trattativa e l’eventuale presenza d'intermediari. Eni & Shell sembrerebbero non aver "girato" i

Page 45: Il Nido Degli Scorpioni

proventi del contratto al governo nigeriano, ma con un preventivo accordo fra Malabu e autorità

locali avrebbero depositato la somma su un conto vincolato presso la banca d'affari JP Morgan.

A tale proposito il numero uno di ENI, Paolo Scaroni, verrà poi sentito dalla commissione per

chiarire la posizione della società.

Ma da dove comincia la "fortuna" dell’imprenditore di Recco? Il principio sembra essere legato ad

una compartecipazione azionaria nella Nigeria Container Services Nicotes, divenuta in seguito

Intels, insieme ad Atiku Abu Bakar negli anni 80 (quando era ancora vice direttore del servizio

delle dogane?). Con questa operazione societaria il vice presidente si sarebbe posto in palese

conflitto d'interessi essendo fra coloro che decidevano dell'attribuzione delle concessioni petrolifere

alle multinazionali del settore. Pertanto, si doveva trovare una soluzione, cosa c'era di meglio se non

un Trust di diritto inglese? Cioè un "blind trust"? Il vice presidente conferisce la propria quota ad un

amministratore terzo con il compito di gestire autonomamente l'attività amministrativa. Il trust di

Abu Bakar era però schermato da una fiduciaria Panamense: la Orlean Invest Holding, società

controllata in verità dal socio italiano. Un bel gioco di prestigio! Di fatto chi autorizza lo

sfruttamento delle concessioni detiene anche la gestione dei servizi per l’estrazione. Perfetto!

Tuttavia, il comitato permanente per le investigazioni del senato americano stila un dossier sul vice

presidente dall'esplicito titolo: "tenere fuori la corruzione dagli Stati Uniti". Da subito si sottolinea il

ruolo della moglie di Abu Bakar nel favorire il marito nell’esportazione di 40 milioni di dollari di

fondi sospetti attraverso una società offshore (Gurnsey) insieme al nostro imprenditore definito

socio e amico fidato.

Si dice di lui. Citiamo testualmente quanto affermato dalla “Casa della Legalità” e “Oras”:

“Trafficante d’armi. Trafficante di rifiuti radioattivi. Riduttore in schiavitù. Corruttore. Colluso con

imprese di mafia. Distruttore dell’ambiente”. Non possiamo sapere se l’imprenditore ligure sia

veramente coinvolto in certi traffici, occorrono prove inequivocabili. Però è possibile sostenere con

certezza lo stretto rapporto che lega la terra ligure con la Nigeria nel traffico d’armi e in quello di

uomini. Tecnicamente il traffico d’esseri umani viene definito dalla legge:

“Il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, la custodia di persone, tramite l’uso della forza o altre

forme di coercizione, di sottrazione, di frode, di inganno, di abuso di potere o di una posizione di

vulnerabilità o nell’atto di dare o ricevere qualche forma di pagamento o di altro introito per

acquistare il consenso o il controllo di una persona su un'altra persona, allo scopo di sfruttamento,

incluse le varie forme di sfruttamento sessuale, di lavoro, di schiavitù o di commercio di organi”.

Page 46: Il Nido Degli Scorpioni

L’operazione “Caronte” (nome ripreso dal traghettatore delle anime dell’Ade) non lascia dubbi.

Una operazione lunga e complessa, condotta in più trance dalla Guardia di Finanza. In pratica la

criminalità nigeriana avrebbe facilitato l’ingresso di circa dieci mila clandestini in Europa. Le città

coinvolte sono: Torino, Milano, Verona, Reggio Emilia, La Spezia, Crotone e Salerno. I paesi

stranieri invece la Francia e la Germania. I clandestini prima di sbarcare nelle coste italiane erano

costretti ad affrontare un viaggio massacrante: una volta superato il deserto del Niger dovevano

affrontare quello della Libia. Dalla Libia, infine, imbarcarsi su gommoni verso Lampedusa (Italia).

Da Lampedusa sarebbero stati poi smistati in altri campi d’accoglienza dove nigeriani con residenza

italiana avrebbero provveduto a farli fuggire. Ad un occhio attento alla criminalità internazionale e

alle mafie non può essere indifferente il tragitto: Nigeria- Libia- Sicilia- Liguria (dove sono scattati

i principali arresti). Sembra del tutto inverosimile che la banda nigeriana abbia operato senza

supporto, o perlomeno l’approvazione, delle mafie nostrane. Per gestire un traffico di simile portata

occorrono coperture finanziarie per il viaggio, mazzette, basi logistiche, falsificazioni di documenti

e quant’altro.

Ritornando a Gabriele Volpi e alle sue amicizie in terra italica. Non possiamo trascurare un incontro

avvenuto nell’agosto del 2003 dove riceve calorosamente in Sicilia Atiku Abu Bakar insieme a

Domenico Gitto. Non si tratta di una visita ufficiale. Visita che però determina sviluppi positivi per

le attività di Gitto, proprietario della Gitto Costruzioni. Dopo quell’incontro, guarda caso,

l’imprenditore siculo ottenne in Nigeria consistenti appalti. Come per Volpi, anche su Gitto si sono

scritte molte cose. Alcuni lo ritengono “l’ufficiale di collegamento con il clan di Bernardo

Provenzano”. Misteriosa è la morte di Gitto avvenuta nel giugno del 2012 a soli 52 anni ad Abuja,

capitale della Nigeria. Ufficialmente il decesso è stato causato da un infarto ma restano dubbi.

Lecito averli. È sufficiente ricordare le vicende drammatiche degli ultimi anni per le attività

produttive italiane in Nigeria (in particolare quelle legate a Volpi). Qualcosa nel mondo degli affari

nigeriano non va. Il denaro lasciato in Africa da Gitto, milioni di euro, sono spariti nel nulla.

Ulteriore enigma.

Asso 21 Ai misteri di terra si aggiungono quelli di mare con l’incidente di “Asso 21”, rimorchiatore

d’altura italiano abbordato presso le coste nigeriane da un gruppo armato dedito alla pirateria.

Attività frequente in quella zona e in quel tratto di costa. Anomalo il prosieguo della vicenda che

vede l’intero equipaggio diventare ostaggio dei pirati. Il rimorchiatore era stato noleggiato dalla

Intels di Gabriele Volpi proprio in quel periodo.

Page 47: Il Nido Degli Scorpioni

L’episodio, come altri attentati, potrebbe essere ricondotto a eventuali mancati pagamenti sotto

traccia alle fazioni in conflitto in Nigeria. Dicesi una pratica diffusa tra le società straniere, per non

incorrere in “sgradevoli contrattempi”. Si traggano le conclusioni.

Primavera Araba, “vive la France”. Ogni vicenda umana è determinata dalla relazione di causa

ed effetto. Le prime cause dell’attuale instabilità negli assetti Medio Orientali trovano origine nella

primavera araba. La primavera araba ha vissuto indubbiamente una prima fase rivoluzionaria

favorevole all’occidentalizzazione dei paesi nord africani. A destare maggiori preoccupazioni è però

la seconda fase, ancora tutta da comprendere. Potrebbe, infatti, trascinare il mondo arabo verso una

politica ostile nei confronti degli stranieri e delle loro società (soprattutto quelle energetiche) con

effetti catastrofici per l’intera economia mondiale. A credere e ad appoggiare fin da subito la

rivoluzione araba è stata la Francia. Si sa, i francesi sono sempre stati sensibili alla libertà

dell’individuo. Vale anche per questa circostanza? È stato veramente l’altruismo verso il prossimo a

spingere la Francia a coinvolgere il mondo occidentale ad appoggiare i rivoluzionari? Degli affari

ne vogliamo parlare? Uno degli obiettivi primari dell’ex presidente Sarkosy era di isolare e

indebolire la presenza delle società italiane (Eni, Enel, Saipem) nelle regioni coinvolte, soprattutto

in Libia (ex colonia italiana). Il trucchetto adottato è semplice: si partecipa attivamente alla

destabilizzazione della zona creando i presupposti per una guerra civile con lo scopo di abbattere il

vecchio regime (con il supporto dei servizi segreti e non solo). Una volta acceso il conflitto si

procede nel supporto logistico e militare. Quando il nuovo governo provvisorio assume il potere

entra in gioco la diplomazia per aggiudicarsi nuovi contratti facendo decadere quelli con le

precedenti società concorrenti. Come spesso capita la politica estera francese non mette in conto

alcune variabili che nel tempo potrebbero diventare determinanti. Variabili, al contrario, calcolate

dagli Usa, questo dimostrerebbe la loro iniziale diffidenza nel partecipare attivamente ad alcune

operazioni belliche come la guerra in Libia. Innanzi tutto i paesi arabi sono soggetti tutt’oggi a una

forte divisione tribale difficilmente controllabile. Solo la mano forte di alcuni regimi dittatoriali era

riuscita a sopprimere, non certo a risolvere, simili diversità. Questa è anche la ragione della

complessità nel formare in questi paesi provvisori governi di emergenza nazionale. L’altro fattore

destabilizzante consiste nelle due anime del mondo arabo pronte a scontrarsi con forza: quella che

intende allestire una carta costituzionale con nuovi diritti e libertà e coloro che intendono “la sharia”

come l’unica legge da poter adottare . Risultato? Scontri violenti di piazza e governi instabili

quando la situazione appare ancora sotto controllo. Il rischio maggiore, soprattutto per i paesi

occidentali, è che la primavera araba si trasformi in un autunno arabo che veda l’islam governare i

paesi nord africani. Cosa potrebbe significare per gli europei avere sull’altra sponda del

mediterraneo governi che adottano il modello integralista? In genere fine dei rapporti commerciali e

Page 48: Il Nido Degli Scorpioni

tensioni militari continue. Desta una certa curiosità il dato che indica l’aumento di esportazione

d’armi dalla Francia verso questi paesi precedente alla primavera araba. La Francia, sostenitrice dei

ribelli, ha esportato pochi mesi prima del conflitto quantitativi d’armi verso dittature di quei paesi?

Sono le meraviglie della politica estera. Lo stesso ex presidente Sarkosy non si era mai dimostrato

così ostile verso i regimi nord Africani. Fonte d’imbarazzo per l’Eliseo sono state alcune foto che

ritraevano il presidente in pose amichevoli con il futuro nemico, leader libico Gheddafi. Anche di

questo non bisogna meravigliarsi: gli affari sono affari. Altra manovra sospetta è la decisione dei

francesi di partecipare al conflitto nel Mali. Il Mali, come è risaputo, è da sempre zona strategica

per i governi e le multinazionali. Si trova a confine con terre ricche di risorse tra cui, guarda caso, la

Nigeria. La Francia ha messo le mani avanti con il pretesto della guerra al terrorismo e al propagarsi

nella regione di un islam radicale. Come riporta un quotidiano italiano, “Libero”:

“Infine una coincidenza. Il ministro maliano delle miniere Amadou Sy Baby, il 18 dicembre scorso,

ha firmato un decreto con il quale si riappropria del blocco petrolifero numero 4 che nel 2006 era

stato dato in concessione all’Eni e alla Sipex, società controllata dall’algerina Sonatrach. Era

l’ultimo di proprietà degli italiani nel bacino Taoudeni, controllato dallo scorso aprile dai ribelli

Tuareg dell’Mnia e dai militanti islamici di Ansar Dine e Mujao. A chi è andato quel giacimento?

Ai francesi di Total. Che ora senza l’intervento militare rischiano di perderlo”.

Chiaro!

L’instabilità venutasi a creare dopo la rivoluzione araba potrebbe vedere un aumento del traffico

d’armi, soprattutto illegale. Probabili rivolte e nuove forme di guerriglia rientrano nei futuri scenari

mediorientali e a beneficiarne politicamente potrebbero essere paesi come l’Iran. Nonostante

l’elezione del nuovo presidente Hassan Rowhani, considerato più propenso al dialogo con

l’occidente rispetto al suo predecessore, la situazione non muterà nell’immediatezza. Troppe fazioni

e troppi giochi di potere sono alla base dell’instabilità volutamente creata, anche in Siria. Da tempo

sia la Nato che l’Iran (e Russia?) si sono attivati per rifornire le varie fazioni siriane. A rischiare

maggiormente in questa partita è proprio la Nato: potrebbe rifornire, infatti, un gruppo

apparentemente alleato ma, in realtà, guidato da terroristi islamici. Ciò che vuole mettere in

evidenza questa parte d’inchiesta sono quei traffici d’armi dove entrano in gioco la corruzione di

privati (non di governi) e doppiogiochisti: i così detti uomini ombra. Simili traffici sono meno di

quanto si possa pensare perche hanno un altissimo potenziale di rischio. Realizzare traffici in

proprio in zone dove sono direttamente interessati Stati e servizi segreti aumenta la percentuale di

essere scoperti con gravi conseguenze. Eesempio di questi traffici potrebbe essere nuovamente

quello tra hezbollah e ribelli nigeriani. A questo punto una storia chiave per l’inchiesta.

Page 49: Il Nido Degli Scorpioni

Tra Hezbollah e pirati. Alcuni paesi africani sono come azioni speculative della borsa: possono

offrire considerevoli opportunità di guadagno oppure affossare ogni speranza senza nessun

preavviso. La Nigeria rientra nella fascia ad altissimo rischio. Se in un paese ricco di risorse naturali

inseriamo una società divisa e lacerata da guerre civili devastanti con una politica impregnata di

corruzione, otteniamo la Nigeria. Nella nostra inchiesta sono presenti passaggi obbligatori che ci

conducono in questo paese dell’africa nera, una pista in particolare marca un filo rosso tra Nigeria-

Libano-Siria-Iran. Partiamo dall’inizio: nel 2012 viene scoperto un grosso carico d’armi iraniano

diretto a Boko Haram, un gruppo terroristico nigeriano riconosciuto per la sua crudeltà. Il nome

ufficiale del gruppo è “Popolo per la Propagazione degli Insegnamenti del Profeta e della Jihad”.

Leader e fondatore della fazione è Ustaz Mohammed Yusuf. La scoperta del carico d’armi mette in

luce alleanze non ancora chiare per gli analisti di tutto il mondo. La corrente sciita (Iran), sta

preparando una stretta alleanza con quella sunnita (Boko Haram)? Qual è l’obiettivo? Proseguiamo.

Tra i finanziatori di Boko Haram risultano anche due governatori: Ibrahim Mohammed Yusuf (zona

di Kano) e Isa Yuguda (zona di Bauchi). La nostra attenzione si è incentrata su Yuguda perche è

sempre stato un fedelissimo del Presidente nigeriano Obasanjo, lo stesso che aveva come ministro

delle dogane e vice presidente Atiku Abubakar, l’amico e socio di Gabriele Volpi. Yusuf ha, inoltre,

un passato importante nel settore bancario. Come mai si vocifera che il governatore di Bauchi

finanzi gli oppositori armati di Boko Haram? Forse lo comprenderemo meglio andando avanti

nell’analisi di questi eventi. Sempre in questo paese è stata individuata e smantellata una cellula di

hezbollah (sciiti libanesi) legati all’Iran.

Ritorniamo alla provincia nigeriana di Bauchi. Nel febbraio 2013 un gruppo di terroristi assalta un

cantiere della Setraco, una società Libanese (che coincidenza!). L’attacco si concluse in un

sequestro e tra i rapiti anche un ingegnere italiano. L’epilogo della vicenda sarà drammatico:

l’ostaggio italiano viene giustiziato. Inusuale un rapimento con queste caratteristiche in Nigeria.

L’attenzione e la responsabilità del grave gesto vengono attribuite in un primo momento proprio

alla fazione di Boko Haram. Poche ore dopo la smentita. Ad aver organizzato l’operazione un

gruppo fino a quel momento sconosciuto denominato Ansaru. Sorgono immediati sospetti sulla

credibilità della sedicente sigla: un depistaggio da parte di Boko Haram? I servizi segreti (di quali

paesi?) hanno inventato una nuova fazione per coprire vecchie e nuove operazioni ombra?

Prima di proseguire facciamo una precisazione sui servizi segreti.

Servizi Segreti. Troppe persone ne parlano a sproposito. Partiamo, tanto per capirci, da una

semplice considerazione: i servizi segreti sono tali perché di coloro che ne fanno parte si deve

sapere poco o nulla. Siamo in grado, al massimo, di lavorare sui loro errori che possono far

Page 50: Il Nido Degli Scorpioni

emergere delle presunte operazioni. Anche in questo caso bisogna sempre stare attenti ai depistaggi,

usati come degli strumenti di contro informazione. Un'altra opportunità per comprendere

frammentarie manovre dei servizi segreti consiste nell’individuare e studiare gli anelli deboli della

struttura : i politici e i tecnici che hanno a che fare con loro (viene alla mente le commissioni

parlamentari di controllo o quelle ministeriali della difesa e degli interni). Se rimane complicato

trattare di servizi possiamo immaginare gli ostacoli che troveremo di fronte all’analisi di quegli

apparati considerati “deviati”. In più occasioni vengono propinate al pubblico, principalmente per

responsabilità dei mas media, informazioni fantasiose riguardanti i famigerati “servizi deviati”. Un

gioco pericoloso che paradossalmente potrebbe essere usato anche dalla stessa intelligence. Essendo

giornalisti d’inchiesta non abbiamo nessuna intenzione di assecondare i nostri lettori perché ciò che

c’interessa è la verità dei fatti, anche se fosse impopolare. Oggi è di moda parlare male dei servizi

segreti, a priori. Prima di esporre delle considerazioni bisognerebbe riflettere su un dato scomodo

per le nostre democrazie: il mondo è sporco e cattivo ma noi vogliamo viverci bene. Sono due

aspetti inconciliabili, se non s’intende forzare la mano o scendere a compromessi con la propria

coscienza. Spesso occorrono mazzette da elargire in paesi dove la corruzione è un sistema

consolidato. Sono necessari accordi e in qualche caso estremo perfino omicidi. Occorre, in

definitiva, sporcarsi le mani. Come pensate che abbiano operato i nostri servizi durante la rivolta

libica del 2012? Immaginate la guerra strisciante fra le società italiane (partner da sempre del

governo libico), con quelle francesi che hanno fatto enormi pressioni su Sarkosy con l’intento di

destabilizzare l’intera area solo per ribaltare una sfavorevole situazione commerciale. Non facciamo

gli ipocriti! Se per l’interesse nazionale gli apparati dei servizi segreti compiono azioni eticamente

discutibili vanno frettolosamente marchiati come “deviati”? In verità i veri servizi “deviati” sono

quelli che frappongono gli interessi personali dei singoli alla ragion di Stato. Purtroppo la storia

italiana è piena di questi casi, seppur meno di quanto si è scritto o si voglia far credere. In talune

circostanze sarebbe più appropriato parlare di “testate deviate”, divenute sempre più lo strumento di

lobby potenti e prive di scrupoli. Identico ragionamento vale per alcuni filoni della magistratura.

Traffico d’armi. Non sempre viene fatta una distinzione netta tra il normale commercio d’armi

(quello legale) e il traffico d’armi clandestino. Vizio, quello di confondere le acque, proprio di

alcune organizzazioni non governative con la speranza di mettere in risalto i loro ideali screditando

e rendendo dei mostri assetati di sangue (non che molti non lo siano, ben inteso) governi e altre

strutture filo-statali. In una inchiesta giornalistica che si rispetti non è possibile, al contrario, non

mettere in chiaro le cose. Proprio sulla Nigeria riportiamo due casi che consideriamo essenziali per

il prosieguo dell’approfondimento. Amnesty International denunciò un massacro condotto dalle

guardie di sicurezza nigeriane contro civili inermi. Fin qui tutto vero. Nello stesso comunicato viene

Page 51: Il Nido Degli Scorpioni

messo in risalto che gli uomini della sicurezza utilizzavano armi Beretta, nello specifico M12 e

semiautomatiche. Tra le righe del comunicato si poteva leggere la parola “Vergogna”, rivolta allo

stato Italiano e alla Beretta. Domanda: la Beretta ha fatto un azione immorale vendendo armi alla

Nigeria? A un paese dove la guerra civile sta provocando migliaia di morti? Dipende. Legalmente

no, poiché ha fatto affari con uno stato riconosciuto dalla comunità mondiale. Eticamente

bisognerebbe analizzare con cura le strategie e l’importanza geopolitica della zona. Stanno, ad

esempio, facendo bene gli Angloamericani a rifornire di armi i guerriglieri siriani contro Assad? E

se i guerriglieri si dimostrassero, in un secondo momento, la mano armata di Alquaeda? Il confronto

calza perfettamente anche con la questione nigeriana. Comprendiamo meglio il concetto se ci

orientiamo verso il traffico d’armi clandestino. Il traffico illegale può avere l’esclusiva finalità del

guadagno, in tal caso non si da nessuna importanza alle attività svolte dal acquirente. Il discorso

assume tutt’altra valenza se nella partita d’armi il mittente si propone anche uno scopo politico.

Rifornire d’armi una certa fazione serve per stabilizzare o destabilizzare una intera regione.

Ritornando all’esempio legato alla delicata situazione nigeriana: se riforniamo d’armi il governo la

nostra azione è da considerarsi stabilizzante (la parola non implica automaticamente che porti a

sviluppi positivi). Se, viceversa, rifornisco d’armi i ribelli dovremmo annoverare questa azione

come destabilizzante. Stabilizzante, in definitiva, è quell’azione o decisione intenzionata a non

mutare lo status quo.

In queste operazioni sono essenziali gli intermediari, spesso terze figure come imprenditori, uomini

d’affari, politici inseriti nella così detta “zona grigia”. Ideale se l’intermediario è rappresentato da

un personaggio influente che ha ottimi rapporti con i governi o le fazioni interessate.

Affari nel bel paese.

Imprevisti per un imprenditore. Per un imprenditore con affari in mezzo mondo non è

conveniente avere i riflettori puntati a dosso. Potrebbe non essere salutare per il business. La

discrezione è da sempre il metodo usato da Volpi: è sotto il velo della riservatezza che

l’imprenditore di Recco ha costruito il suo impero senza troppi ostacoli, una strategia vincente.

Negli ultimi anni però il suo nome compare con una certa frequenza sui siti specializzati e su alcune

testate, per questioni preoccupanti.

Tramontata l’influenza di alcuni amici in terra ligure, come Gianpiero Fiorani a sua volta vicino al

senatore Grillo, all’ex ministro Antonio Scajola oltre che all’ex presidente della Banca d’Italia

Antonio Fazio, il nostro imprenditore potrebbe aver perso molto del suo potere di “penetrazione”

negli affari locali e nazionali. Soprattutto nei porti. Anche sul fronte del Vaticano i rapporti

Page 52: Il Nido Degli Scorpioni

sembrano sfilacciarsi. Con l’avvento del nuovo pontefice Francesco, lo IOR (Istituto Opere

Religiose), la banca delle banche ripresa più volte dagli organi di controllo per operazioni opache

collegate al riciclaggio di denaro, rischia un forte ridimensionamento. A pagarne le conseguenze i

massimi vertici, primo fra tutti l’eminenza grigia della finanza vaticana: Tarciso Bertone, con cui

Volpi è in ottimi rapporti, tanto da prestargli il jet privato. Cronometrico il trasferimento delle sue

società sportive ai figli: nervosismo dovuto a certi cambiamenti? Una manovra preventiva per

tutelare le società da eventuali azioni disposte dal Federal Bureau of investigation?

Sul fronte nigeriano le cose non vanno meglio. Un inquietante segnale di destabilizzazione è il

recente sequestro della nave Asso 21, del rapimento e dell’uccisione dell’ingegnere italiano e le

minacce verso Intels. Si dice inoltre che il nostro uomo sia legato ai vertici massonici inglesi, in

particolare alla figura di Astor Winston Norrish. Come è noto la massoneria non ama essere al

centro di potenziali scandali internazionali come quelli che potrebbero coinvolgere Volpi.

Presupposti che possono preludere ad una emarginazione di “mister Nigeria” nei confronti della

loggia? Sarebbe di certo una buona notizia per alcune società petrolifere che hanno dovuto subire,

in questi ultimi anni, un sospetto monopolio della Intels collegato al governo nigeriano.

Capitolo 3 - Genesi di una nuova federazione criminale. “Rivoluzione Stagno”

La Provincia del Silenzio.Faceva un caldo soffocante. Entro pochi giorni ci sarebbe stata la

presentazione del mio libro “La Provincia del Silenzio”: un testo che intendeva denunciare il

pericolo d’infiltrazioni mafiose in terra Apuana. Mi avevano accusato di aver esagerato creando

inutile allarmismo. Il 18 agosto la conferma che forse non ero stato così precipitoso, un giornale

riporta un titolo: “Mafia, confermate le ipotesi di Santi” (La Nazione). Una tonnellata di cocaina

scaricata nel porto di La Spezia fu successivamente sequestrata a Pallerone (Lunigiana, provincia di

Massa-Carrara). Quando conobbi Sinatti lo coinvolsi subito nel progetto d’inchiesta e decidemmo

d’inserire un approfondimento nel libro “Trame di Potere”. Ancora però non potevamo descrivere e

ipotizzare delicati passaggi che adesso siamo in grado fare. Quello che state per leggere potrebbe

essere lo scenario compiuto di questa vicenda.

Page 53: Il Nido Degli Scorpioni

L’inizio. In una piccola cittadina (Pallerone) di una piccola provincia Toscana (Massa-Carrara), la

Guardia di Finanza coordinata dalla Dda di Genova ha concluso uno dei sequestri di droga che può

annoverarsi fra i più rilevanti (per quantità) in tutta Europa. Dopo il blitz, dell’agosto del 2011,

vanno “dentro” cinque persone tra cui il presunto capo della banda, Giordano Cargiolli. Qualche

mese fa la conclusione del processo che ha visto lo stesso imputato condannato a scontare una pena

a diciotto anni. L’operazione, denominata “Caucedo” (porto Domenicano da dove era partito il

carico), ha messo in luce che la partita di droga proveniva dai cartelli colombiani. I sigilli scorpione

e dama impressi nei panetti indicavano il cartello di Norte del Valle. Prima di attraccare

definitivamente nel porto di La Spezia la nave contenente il carico aveva effettuato una strana rotta:

proveniente dalla Repubblica Domenicana aveva fatto scalo in un primo momento in Spagna poi a

Gioia Tauro, Napoli, La Spezia, nuovamente Gioia Tauro, Livorno, Genova e La Spezia. Proprio

Page 54: Il Nido Degli Scorpioni

questi scali anomali avevano messo in allerta la dogana e dato inizio all’operazione. Operazione che

avrebbe potuto mettere in luce una realtà ben più complessa e inquietante e invece viene trascurata

dagli inquirenti e sminuita dai media. A volte l’inchiesta giornalistica nasce proprio da una singola

domanda. La nostra è semplice: perché? La parola chiave di questo segmento d’inchiesta potrebbe

essere la seguente: sinergia tra ‘ndrine. Il traffico di droga non è organizzato dal solo Cargiolli e

dalla sua banda? Potrebbe non essere così, nel libro “Trame di Potere” abbiamo spiegato le

motivazioni. Cerchiamo allora di formulare le domande correttamente e l’analisi di ulteriori eventi

accaduti dopo il sequestro può venirci utile. Nel dicembre 2011 la madre di Cargiolli, Georgetta

Doxan denuncia alle Forze dell’Ordine di essere stata sequestrata da malavitosi che avrebbero

tentato di estorcerle la somma di un milione e duecentomila euro come risarcimento per lo sgarro

fatto nei confronti di un certo “zio”. Coincidenza vuole che la stessa Doxan sia a sua volta inquisita

per aver riciclato il denaro del figlio. Altro elemento da non trascurare: gli individui indicati da

Doxan sono tre affiliati alla ‘ndrangheta: Gennaro Alfano, Florindo Auricchio e Biagio Nasti. Dopo

poco nell’indagine subentrano i nomi dei mandanti: Antonio Stagno (boss della Brianza) e Carmine

Buonaiuto (un ex affiliato al clan cammoristico di Quindici). La ‘ndrangheta è coinvolta nella

partita di droga? Verosimile, basta ripercorrere la vicenda per capirlo. Cargiolli è stato veramente il

contatto diretto dei colombiani del cartello Norte del Valle per la partita di droga? Come avrebbe

potuto, in tal caso, trovare il denaro necessario per garantire un simile carico? Il giovane

imprenditore avrebbe avuto la “rispettabilità” necessaria per trattare con i colombiani e ottenere una

tonnellata di cocaina? Non è invece probabile che ci siano stati altri intermediari? (magari già

presenti in zona e anche nel nord Italia?). Se seguiamo il percorso, il nome di Piromalli è da

prendere in seria considerazione. La famiglia è radicata addirittura in Spagna. È casuale che

Cargiolli e la maggior parte del suo gruppo siano residenti proprio in terra iberica? Non sarebbe

opportuno verificare se Cargiolli ha avuto in Spagna dei contatti con componenti della ‘ndrangheta?

Proseguiamo con le supposizioni. Se, come sembra ormai evidente a tutti tranne che alla Procura, la

‘ndrangheta ha messo le mani sulla partita di droga, preventivamente avrà certamente organizzato

incontri e supporti logistici e investito sul carico (ricordiamo che la ‘ndrangheta gode piena fiducia

dei cartelli colombiani). Dunque, la nave effettuò una rotta anomala attraccando prima a Gioia

Tauro e solo come ultimo scalo a La Spezia. Perché? Chi è presente in quelle zone? Stando a fonti

non divulgabili potrebbe proprio trattarsi degli stessi Piromalli nel caso di Gioia Tauro, mentre, per

La Spezia, le ‘ndrine Piromalli e i Marcianò. Per Napoli? Ricordiamo che in associazione con

Antonio Stagno troviamo Carmine Buonaiuto insediato in Campania. Dobbiamo proprio aggiungere

qualcosa? Troppo scontato, è meglio proseguire. A questo punto l’entrata in scena di Antonio

Stagno (referente dei Giampà in Brianza) e Carmine Buonaiuto diviene determinante soprattutto

Page 55: Il Nido Degli Scorpioni

dopo il fallimento dell’operazione ed il maxisequestro da parte della Dda e G.D.F di Genova. Per

quale motivo i picciotti dei due boss hanno cercato di estorcere denaro alla madre di Cargiolli?

Secondo molti è un fatto a se stante rispetto alla partita di droga, ma potrebbero esserci dei

collegamenti precisi e inquietanti se si osserva da questa nuova prospettiva. Forse una risposta

potremmo trovarla cercando di ricostruire il percorso finale che avrebbe dovuto fare la cocaina: da

La Spezia a Pallerone (Massa-Carrara) per poi proseguire per la Germania e da li essere distribuita

nel mercato del nord Europa. I Giampà sono presenti in Brianza e forse erano d’accordo con i

Piromalli per controllare il carico nel nord Italia (avendo messo una quota nella partita di droga?).

In seguito Stagno viene scelto come uomo esperto in estorsioni, dopo che l’operazione era andata

male, per chiedere e ottenere un risarcimento dalla madre di Cargiolli. Quest’ultimo è forse

considerato la causa dell’insuccesso? Non dimentichiamo, inoltre, che Stagno e Cargiolli si

trovavano nello stesso carcere (per imputazioni diverse) e quindi l’incarico da parte

dell’organizzazione criminale era scontato che venisse attribuito allo stesso Stagno.

La talpa. La storia non finisce qui, ma diviene più complessa. Come riportato nel libro “Trame di

Potere”, una volta sequestrata la cocaina le Forze dell’Ordine ricevono una informativa che avvisa

della concreta possibilità che alcune ‘ndrine (organizzate e armate) avevano intenzione di

riappropriarsi del carico essendo venute a conoscenza della sua precisa ubicazione (per fortuna che

la ‘ndrangheta non era coinvolta!). Brutto affare perché affaccia l’ipotesi di una (o più talpe) nelle

Procure o nelle Forze dell’Ordine. Sarà certamente un caso ma pare che di talpe nelle Procure

Liguri ce ne siano effettivamente state. Altra coincidenza, il 5 novembre del 2012 Peppino

Marcianò, il presunto capo della ‘ndrangheta di Ventimiglia (provincia di Imperia,) dopo una serie

di conversazioni telefoniche e intercettazioni ambientali si dimostra perfettamente a conoscenza di

diverse attività investigative promosse dai magistrati. Sotto la lente d’ingrandimento un magistrato

di Genova e un Finanziere (singolare che l’operazione nasca dalla Dda di Genova e a condurla sia la

Finanza). Marcianò è in stretti rapporti con i Piromalli: fu lui, dunque, a informare quest’ultimi

sull’ubicazione della droga? Nell’operazione Maglio 3, condotta dai Ros dei Carabinieri, furono

arrestati tutti i presunti boss ‘ndranghetisti operanti in Liguria. Una operazione che in apparenza

sembrava risolutiva. Grande successo della Dda ligure, solo in apparenza. Un anno dopo il giudice

decide di scarcerare tutti gli imputati: il fatto non sussiste. Risultato? Tutti fuori! La squadra della

Dda ligure rimane sconcertata. Come mai gli inquirenti hanno sottovalutato una simile evenienza?

A guidare le indagini è l’allora “discusso” capo della Dda di Genova Vincenzo Scolastico, lo stesso

Pm che ha coordinato il sequestro della tonnellata di cocaina. La Casa della Legalità non usa mezzi

termini nei confronti del magistrato riguardo soprattutto ad una operazione denominata “Carioca”

Page 56: Il Nido Degli Scorpioni

che vede imputato Antonio Fameli, a sua volta affiliato ai Piromalli. Fameli sarebbe stato, in

definitiva, un elemento essenziale per riciclare il denaro sporco dei Piromalli.

“A proposito di negazionismo ed inefficienza…passiamo al savonese. Se quanto dichiarato da

Scolastico è vero (“in nessuna delle indagini su Fotia, Fameli, Nucera sono emersi collegamenti con

la ‘ndrangheta o a fenomeni di tipo mafioso”), allora bisogna chiudere Dia, Ros, Sco, Commissione

Parlamentare Antimafia, Prefettura e persino la Procura Nazionale Antimafia”.

La Casa della Legalità continua nella sua dichiarazione

“che Fameli non sia legato alla ‘ndrangheta è una barzelletta. E poi Scolastico dovrebbe aver letto

l’ordinanza di custodia cautelare per l’Operazione Carioca..non ha notato che si parla chiaramente

del ruolo di Fameli per conto dei Piromalli”.

Considerate queste circostanze, esistono presupposti che possono collegare le due Operazioni? Una

parola e un nome: riciclaggio e Piromalli. L’operazione Carioca ha messo in luce un intricato

meccanismo di riciclaggio che vede nei suoi componenti uomini strettamente legati alla ‘ndrangheta

ma anche professionisti: commercialisti e notai. Capo del gruppo Antonio Fameli. Se i Piromalli

hanno organizzato traffici nel nord Italia (come la tonnellata di cocaina sequestrata a Pallerone),

riciclavano utilizzando qualche soggetto immischiato nell’operazione “Carioca”? La Liguria ritorna

centrale sia come snodo strategico che come base per riciclaggio.

Dietro una grossa partita di droga, solitamente c’è una spedizione parallela d’armi. Prendendo in

seria considerazione il clan ‘ndranghetista Piromalli e Giampà, specializzato proprio in simili

attività, potrebbe venire il dubbio che la partita di cocaina sequestrata sia in qualche modo legata ad

un traffico d’armi.

La prima Holding. La partita di droga svela indirettamente probabili nuovi assetti di potere e

alleanze nella ‘ndrangheta del nord Italia? La tonnellata di cocaina potrebbe essere stata uno dei

primi affari che hanno sancito una nuova alleanza fra ‘ndrine? Una alleanza che metterebbe in luce

un ulteriore rafforzamento dei già potenti Piromalli ed una ascesa di Antonio Stagno, possibile

braccio armato dell’organizzazione. Dopo l’operazione Medusa, che ha visto 23 componenti della

famiglia Giampà finire in carcere, sarebbe opportuno valutare se Stagno sia effettivamente divenuto

il loro nuovo referente. In particolare dopo il pentimento di alcuni capi come Francesco e Giovanni

Giampà, divenuti collaboratori di giustizia. Riassumendo, i nuovi assetti dell’organizzazione

dominante nel nord Italia potrebbero essere rappresentati dalle seguenti famiglie: Piromalli,

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Marcianò, Giampà e una’altra nota famiglia che vede come probabile capo lo “zio” menzionato dai

picciotti di Stagno e Buonaiuto durante il sequestro della madre di Cargiolli.

Braccio armato. Perché Antonio Stagno potrebbe essere divenuto una figura chiave? Al momento

della consegna della partita di droga Stagno si trovava già in carcere. Un impedimento di poco

conto poiché continuava indisturbato a dare disposizioni ai suoi picciotti anche da “dentro”, vedi

l’estorsione Doxan. Chi fece da “staffetta” tra il carcere e l’esterno? Una donna? Come nel caso di

altri boss legati ai Giampà. Stagno è uomo pericoloso e imprevedibile, la sua ambizione segna la

sua storia personale. Tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui, o sono morti o si sono

“inaspettatamente” e successivamente pentiti, cosa rara per la ‘ndrangheta. Per quali motivi? Per

proteggersi da un uomo che ordina ed esegue esecuzioni stile padrino? Per proteggersi dall’uomo

che sta divenendo il braccio armato della nuova alleanza fra famiglie? (anche se dietro le sbarre).

Resta una vicenda tutta da chiarire.

La seconda Holding. Dai nuovi scenari criminali possiamo dedurre con facilità che la ndrangheta

stà assumendo un nuovo “volto”. Un simile cambiamento non si manifesta immediatamente nella

sua complessità e ciò è dovuto ad una analisi troppo rigida e accademica del fenomeno ‘ndrangheta

da parte degli addetti ai lavori. Una sorta di federazione criminale, o potremo anche definirla una

nuova holding, rappresenta l’esempio di come si è trasformata il vecchio assetto mafioso.

Indaghiamo dunque l’origine del cambiamento e cerchiamo di comprendere gli scenari futuri, anche

se le informazioni in nostro possesso sono ancora limitate. La svolta dovrebbe essere avvenuta dopo

alcune brillanti operazioni, ricordiamo fra tutte: la “Crimine” e “Maglio1,2,3”, che hanno svelato e

sconvolto i vecchi assetti della ‘ndrangheta, portando all’arresto dei principali capi bastone. Un

duro colpo ma l’organizzazione in questione ha da sempre la capacità di adattarsi ai cambiamenti

per affrontare al meglio i fattori di criticità. Gli esponenti più “avveduti” nelle maggiori famiglie

hanno compreso la necessità di adottare una nuova strategia che ha portato ad un unione fra ‘ndrine

più integrata, forte e “competitiva”sul mercato dell’illecito. Una holding, appunto, composta da

‘ndrine complementari e con specializzazioni diverse fra loro, dove non esiste più una differenza tra

la madre Calabria e il resto dei “locali” (verrebbe in tal modo congelato il presunto conflitto tra chi

intendeva rimanere fedele alla terra d’origine e coloro che invece intendevano mettersi in affari

separatamente). La holding risulta l’unico mezzo per gli ‘ndranghetisti di rimanere temibili, presenti

a livello nazionale e internazionale e credibili nei confronti di partner come i cartelli colombiani e

messicani. Una formula, quella della “holding”, in grado di portare maggiore efficienza e stabilità

nell’organizzazione. Le ‘ndrine che non faranno parte, per svariati motivi, di questo sistema saranno

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nel tempo destinate a diventare di terza importanza se non a scomparire. Il vecchio modello è ormai

superato.

In questo capitolo abbiamo descritto la holding più importante, quella rappresentata dai Piromalli-

Giampà- e una terza famiglia di cui (forse) fa parte lo “zio” (e chi sa quali altre ‘ndrine non ancora

identificate). Tuttavia, sembra che vi sia un'altra holding parallela e minoritaria, capeggiata dai

Pesce. Mentre la prima è stato possibile identificarla attraverso l’analisi del sequestro di una

tonnellata di cocaina, la seconda è possibile riscontrarla con l’operazione “Cicala”. Partiamo da

questa operazione per farci un idea sulla complessità del problema. L’operazione ha portato a 43

ordini di custodia e 39 arresti estendendo l’interesse investigativo oltre il confine nazionale, in

Spagna. Nel corso dell’indagine si è scoperto un imponente traffico di sostanze stupefacenti.

Referente dell’organizzazione era Pasquale Cicala, esponente dei Pesce-Bellocco nel nord Italia. Se

fosse confermato il teorema delle due holding di stampo ‘ndranghetista (prevalentemente indirizzate

al traffico di stupefacenti) allora bisognerebbe domandarsi quanto siano cambiati gli assetti della

galassia criminale in Italia e all’estero. Ad aver risentito di simili vicende dovrebbe essere

principalmente il nostro paese, in particolare il nord Italia. Non solo: considerando che la

‘ndrangheta è l’organizzazione criminale più radicata nel mondo, un rinnovamento di tale portata ha

certamente influenzato gli assetti, i rapporti con le altre organizzazioni e le strategie all’estero. Le

due holding dovrebbero, in definitiva, aver rafforzato proprio per efficienza e versatilità la presenza

della ‘ndrangheta nel mondo. A non cambiare sono i nodi strategici, cioè: Spagna, Colombia e

Venezuela, come riscontrato anche dalle ultime operazioni. In questa complessa strategia è

necessario tenere in considerazione ulteriori elementi. Cerchiamo di esaminarli uno per uno

ponendoci delle domande:

1 - Chi sono i referenti del “braccio armato” delle due Holding? Le nuove organizzazioni hanno già

compiuto i primi omicidi?

2 - La costituzione delle due holding ha ristabilito una pax ad interim nelle attuali faide? Oppure

potrà risultare un presupposto per una nuova guerra interna? Allo stato attuale sembra che esista una

politica del rispetto fra le due holding. Lo possiamo riscontrare dalla convivenza nel porto di Gioia

Tauro sul quale vale la pena soffermarsi per un attimo. Il porto in questione è uno scalo basilare per

entrambe (lo è stato anche in passato per le ‘ndrine classiche) e non è certo un caso che ad averne il

controllo siano i Piromalli da una parte e i Pesce dall’altra (le due famiglie divenute leader delle

nuove organizzazioni) .

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“Le dinamiche proprie della stretta cointeressenza del Gangeri con una delle cosche di ‘ndrangheta

operanti nell’area territoriale cui è riconducibile il porto di Gioia Tauro, ovvero quella dei Pesce,

già desumibili dall’indagine Solare, trovano quindi ulteriore conferma” (Pag 981 Ordinanza

Crimine 3, fonte “Guardia e Ladri”). E ancora: “… induceva ancor più ad ipotizzare un fattivo

controllo nella gestione delle attività doganali del porto di Gioia Tauro da parte del consorzio

criminale Piromalli-Molè.”

3 - Qual è il contribuito della massoneria in questo nuovo assetto ‘ndranghetista? Sul tema

massoneria-servizi segreti deviati- mafia, si stanno scrivendo migliaia di pagine e non è nostra

intenzione affrontare l’argomento. Questi legami vanno comunque tenuti presenti in ambito locale

(invitiamo a leggere Trame di Potere), dove professionisti e imprenditori iniziati alle logge

intrattengono rapporti diretti o indiretti con possibili affiliati alla mafia. Siamo di fronte alla linea di

demarcazione tra legalità e illegalità: la così detta “zona grigia”, dove convivono rapporti fra

professionisti e organizzazioni criminali. L’intercettazione dei Ros che vede Pantaleone Mancuso

seriamente preoccupato del futuro, fa pensare:

“Loro parlano di ‘ndrangheta quando la ‘ndrangheta non esiste più… una volta, a Limbadi, a

Nicotera, a Rosarno, a…. c’era la ‘ndrangheta.. la ‘ndrangheta fa parte della massoneria” .

4 - Quale posizione hanno assunto rispetto alle due nuove organizzazioni i De Stefano, importante

famiglia ‘ndranghetista radicata da anni nel nord Italia? Domanda chiave poichè i De Stefano sono

in grado di sbilanciare il potere a vantaggio dell’una piuttosto che dell’altra.

Calabria- Roma- Milano. Tutto il mondo stava attendendo che un cardinale pronunciasse la

fatidica frase “Gaudium magnum, abemus Papam”. Roma era ritornata per qualche giorno

nuovamente “caput mundi”, il suo nome veniva pronunciato in continuazione nei Tg. Sarà forse per

questo che il mio collega Sinatti fece una considerazione appropriata:

“….di Roma cosa ne pensi? Praticamente non se ne sente mai parlare, strano…”.

Lo guardai fisso per un istante, perché involontariamente mi aveva catapultato in un altra inchiesta

che avevo portato avanti proprio a Roma:

“Effettivamente due organizzazioni di questa importanza sarebbe strano che non avessero preso in

considerazione la capitale, non foss’altro per i palazzi della politica. La situazione romana è

talmente nebulosa da invitare le due holding ad insistere, anche più di quello che hanno fatto nel

passato, proprio per la mancanza di riferimento della criminalità locale”

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“Cosa intendi?”

Mi chiese Francesco. Presi allora dall’archivio un fascicolo dove c’era il resoconto di quanto avevo

scritto per l’inchiesta del macellaio dell’Ardeatina e cominciai a leggerlo.

Mala tempora. Negli ultimi anni nella capitale è scoppiata una autentica guerra per il controllo

dello spaccio e delle bische clandestine. Le parole chiave di questa losca vicenda sono: “bande”,

“calibro” e “freddato”. Il 22 novembre 2011 in Viale del Sommergibile, proprio nel cuore popolare

di Ostia, Francesco Antonino conosciuto come “Sorcanera”, muore dopo essere stato crivellato di

colpi. In Via Forni lo stesso giorno un suo amico fa la stessa fine, Giovanni Galleoni detto

“Baficchio”. I due omicidi fecero salire a quota trentatre i morti per mano del crimine organizzata

dall’inizio 2011. Un record che non si vedeva dai tempi della banda della Magliana. I cognomi di

Antonino e Galleoni erano già stati oggetto d’attenzione da parte degli inquirenti nelle cronache del

2004, durante l’operazione delle forze dell’ordine denominata “Anco Marzi”. I due, infatti,

facevano parte della così detta “batteria degli invincibili” capeggiata dal boss Emidio Salomone,

morto in un agguato. La banda della Magliana rimane d’attualità perché in verità non è mai stata

stroncata definitivamente. Sono rimasti attivi ancora i terminali della vecchia banda, ne è un

esempio il caso di Emidio Salomone e dei suoi due luogotenenti. Troppi “capetti” e troppi interessi

hanno reso la Roma di oggi un campo di battaglia per il controllo, destabilizzando l’accordo di

tregua sancito anni addietro. In merito il sostituto Procuratore Antimafia di Tivoli, Luigi De Ficchi

ha dichiarato: “Oggi siamo di fronte a una situazione criminale completamente diversa da quella

degli anni ‘80. A Roma non c’è il predominio di una banda sulla città come avvenne allora. Ci

troviamo piuttosto di fronte a una pluralità di gruppi che agiscono in modo particolarmente

spregiudicato”. A complicare ulteriormente il quadro nella capitale contribuisce il sopraggiungere

incalzante delle mafie Italiane e straniere. Tali organizzazioni divengono elementi in grado di

sovvertire “la mappa criminale” Romana. Assistiamo allora a scontri armati oppure ad alleanze

dettate dalla paura o semplicemente dall’interesse. È il caso della Mafia Cinese che si “ritrova” la

Camorra come partner nel il traffico di merce contraffatta. Le due organizzazioni hanno realizzato

un piano ingegnoso riguardo alla contraffazione: le merci vengono prodotte in Cina dove la

manodopera è praticamente a costo zero. In Italia giungono attraverso i paesi di Terzigno e San

Giuseppe Vesuviano per finire all’Esquilino e conseguentemente all’intero mercato Romano. Una

partnership estremamente redditizia. La Camorra, però, non si limita alle sole merci contraffatte. La

ritroviamo, infatti, nel settore immobiliare. La ‘ndrangheta non poteva mancare in questo

consistente giro di affari. A fungere da spartiacque risultano le ‘ndrine Alvaro, Palamara, Marcuso,

Bonavota e infine quella dei Fiarè radicati nel giro di stupefacenti, ristoranti e beni immobili. La

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Mafia albanese, invece, entra in scena attraverso la prostituzione, ruolo assunto anche in altre parti

del paese.

Le sedi. Milano e Roma potremmo considerarle le sedi simboliche delle due nuovi holding.

Certamente della prima. Proprio come per il paese, Milano rappresenta la sede economica. Roma la

capitale legata alla politica, mentre la Calabria rimane il principale centro di reclutamento. Per

quanto riguarda il capoluogo lombardo il processo d’infiltrazione e radicamento è completato dopo

anni di attività illecita. La situazione appare assai grave a Roma, ma la partita potrebbe essere

ancora aperta. Il vantaggio della prima holding guidata dai Piromalli è evidenziato proprio da

questo processo d’espansione: per la capitale sono il principale pericolo di matrice ‘ndranghetista. I

loro interessi stanno già da alcuni anni coinvolgendo settori economici importanti quali commercio

e ristorazione. Posseggono, inoltre, diverse proprietà immobiliari e una buona rete di contatti.

Contatti con politici romani? La famiglia Pesce, invece, sembrerebbe ancora in una fase embrionale

anche se è possibile che appoggino altre ‘ndrine sul territorio. Proprio l’Urbe potrebbe permetterci

di fare alcune importanti considerazioni su come siano state strette le nuove alleanze, arrivando in

questo modo al cuore stesso delle due holding. Una domanda conclusiva è necessaria: perché alcune

‘ndrine hanno deciso di schierarsi con l’una piuttosto che con l’altra organizzazione? In parte sono

state scelte legate alla potenza e alla capacità delle singole ‘ndrine e in parte a vecchie e nuove

“tensioni”. Non è detto che i tradizionali locali della Liguria (tanto per citare una regione toccata

dalla nostra inchiesta fin dal libro “Trame di Potere”) siano entrati compattamente in una delle due.

I Romeo e i Molè dovrebbero far parte della seconda, mentre i Marcianò d’Imperia della prima.

L’ingresso dei Romeo nella seconda holding è riscontrabile con l’operazione “Imelda”. Coinvolti

Antonio e Giuseppe Romeo che hanno collaborato strettamente con Antonio Ascone, socio di quel

Bruno Pizzata inserito nell’operazione “Cicala” che avrebbe coinvolto la seconda organizzazione

guidata dai Pesce. Altra traccia. Sarebbe scontato ritenere i Molè appartenenti alla prima holding

uniti ai Piromalli. In realtà non sembrerebbe. A Roma, infatti, accade qualcosa di imprevisto. Il 1°

febbraio del 2008 l’omicidio di Rocco Molè incrina il rapporto tra le due ‘ndrine creando scontri e

nuove alleanze.

Pozzi avvelenati

Dopo aver scritto due libri, il silenzio imbarazzato di alcuni politici locali si aggiunge al nervosismo

mal celato di altri:

“Ma cosa state scrivendo? Corruzione? Mafia? La nostra provincia (Ms) capofila per insediamenti

criminali in Toscana?”

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La nostra risposta è sempre stata: “Quello che accade all’ombra di una apparente normalità”. La

sufficienza di alcuni ambienti su questi argomenti è stata smentita dai frequenti arresti degli ultimi

mesi. Da queste terre dovremmo cominciare a combattere la presenza della mafia e della criminalità

organizzata che molti ottusamente negano. Fra gli inquirenti ci sarebbero degli investigatori validi

ma vengono puntualmente “stoppati” dai vertici d’istituzioni spesso prossimi al pensionamento.

Allora? Avanti così! Tra arresti a macchia di leopardo e il timore di guardare in faccia una scomoda

realtà.

Diffidate di coloro che sostengono che la lotta alla mafia sia un fenomeno senza fine. Non è vero!

Sappiamo bene chi sono, cosa fanno e come lo fanno. Il problema in realtà è un altro: questi

soggetti spesso sono coperti politicamente. Ad aggravare la situazione spesso procure inadeguate.

Mentre ci sono magistrati degni di merito, per coraggio e professionalità, ne esistono altri il cui

scopo è archiviare. Le nostre inchieste partono sempre da presupposti locali per poi “agganciarsi” a

filoni nazionali e internazionali che ci ripropongono sempre la solita domanda: come è possibile che

scandali, arresti e giri di corruzione non abbiano ancora fatto percepire che “qualcosa” in queste

provincie non è sotto controllo? Massa- Carrara, ad esempio, sono divenute il banco di prova per

“maneggi”(nazionali e internazionali). Ecco perché puntiamo i riflettori su questa terra. Comuni che

collezionano scandali di ogni tipo dovrebbero essere seriamente e costantemente “monitorati” dalla

magistratura, invece si fa poco o nulla. Il metodo giusto per continuare ad avvelenare i pozzi.

Ringraziamenti

Si ringrazi l’Avvocato Pier Paolo Rustighi per la consulenza legale fornita.

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Gli autori.

Pier Paolo Santi. Giornalista pubblicista e direttore della RATIO Lrm, studio che si occupa

principalmente della realizzazione di documentari, reportage e inchieste per la TV e testate

giornalistiche. Si occupa da alcuni anni d´infiltrazioni mafiose, corruzione e cronaca nera. Per

Eclettica Edizioni ha pubblicato "La Provincia del silenzio", Trame di potere.

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Francesco Sinatti. Analista politico esperto in materia finanziaria. Ha scritto articoli sui più

eclatanti scandali riguardanti l´attività amministrativa degli ultimi anni nella provincia di Massa-

Carrara. È l´autore-ideatore della testata web, di contro informazione e servizio pubblico,

"SOTTOINCHIESTA" che cura approfondimenti e commenti sulla politica locale e nazionale. Per

Eclettica Edizioni ha pubblicato Trame di potere.

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