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IL GRANDE LIBRO DELLA FANTASCIENZA CLASSICA Romanzi brevi degli anni '30 A cura di Isaac Asimov, Charles G. Waugh e Martin H. Greenberg Prefazione di Piergiorgio Nicolazzini (C) 1991 INTERNO GIALLO de Camp-Copyright 1939 by Street & Smith Publications, Inc.; Copyright re- newed ~'1966 by L. Sprague de Camp. Reprinted by permission of the au- thor. Gold-Copyright 1938 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed ~1966 by permission of Forrest J Ackerman, for Mrs. H.L. Gold. Weinbaum-Copyright 1939 by Better Publications, Inc.; renewed ~1967, by permission of Forrest J Ackerman. Bates-Copyright 1935 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed ~'1963, by permission of Forrest J Ackerman. Williamson-Copyright 1932, renewed 01960 by Jack Williamson. Reprinted by permission of the Spectrum Literary Agency, Inc. Campbell-Copyright 1938 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed 1966 John W. Campbell, Jr. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Russell-Copyright 1937 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed ~' 1965. Reprinted by permission of the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Leinster-Copyright 1934 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed 6 1962. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Lovecraft-Copyright 1936 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed ~ 1964. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Voolrich-Copyright 1938; renewed ~1966 by Cornell Woolrich. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Litera- ry Agency, Inc. Titolo dell'opera originale: The Mammoth Book of Classic Science Fiction. Short novel of the 1930s 1989 by Robinson Publishing ~ 1991 Interno Giallo Editore s.r.l., Milano I edizione Edgar giugno 1991 INDICE Prefazione 7 Introduzione 12 L'ombra fuori del tempo di H.P. Lovecraft 68 Questione di forma

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IL GRANDE LIBRO DELLA

FANTASCIENZA CLASSICA Romanzi brevi degli anni '30

A cura di Isaac Asimov, Charles G. Waugh e Martin H . Greenberg Prefazione di Piergiorgio Nicolazzini (C) 1991 INTERNO GIALLO de Camp-Copyright 1939 by Street & Smith Publicatio ns, Inc.; Copyright re- newed ~'1966 by L. Sprague de Camp. Reprinted by pe rmission of the au- thor. Gold-Copyright 1938 by Street & Smith Publications, Inc.; renewed ~1966 by permission of Forrest J Ackerman, for Mrs. H.L. Gold. Weinbaum-Copyright 1939 by Better Publications, Inc .; renewed ~1967, by permission of Forrest J Ackerman. Bates-Copyright 1935 by Street & Smith Publications , Inc.; renewed ~'1963, by permission of Forrest J Ackerman. Williamson-Copyright 1932, renewed 01960 by Jack Wi lliamson. Reprinted by permission of the Spectrum Literary Agency, Inc. Campbell-Copyright 1938 by Street & Smith Publicati ons, Inc.; renewed 1966 John W. Campbell, Jr. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Literary Agency , Inc. Russell-Copyright 1937 by Street & Smith Publicatio ns, Inc.; renewed ~' 1965. Reprinted by permission of the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Leinster-Copyright 1934 by Street & Smith Publicati ons, Inc.; renewed 6 1962. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Lovecraft-Copyright 1936 by Street & Smith Publicat ions, Inc.; renewed ~ 1964. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate, the Scott Meredith Literary Agency, Inc. Voolrich-Copyright 1938; renewed ~1966 by Cornell W oolrich. Reprinted by permission of the agents for the author's Estate , the Scott Meredith Litera- ry Agency, Inc. Titolo dell'opera originale: The Mammoth Book of Classic Science Fiction. Short novel of the 1930s 1989 by Robinson Publishing ~ 1991 Interno Giallo Editore s.r.l., Milano I edizione Edgar giugno 1991 INDICE Prefazione 7 Introduzione 12 L'ombra fuori del tempo di H.P. Lovecraft 68 Questione di forma

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di Horace L. Gold 124Il corpo di Jane Brown di Cornell Woolrich 185 Chi va là? di John W. Campbell Jr. 242 Bivi nel tempo di Murray Leinster 296 Ahimè, tutto questo pensare di Harry Bates 331 L'uomo in cerca del futuro di Eric Frank Russell e Leslie T. Johnson 369 L'arrivo della fiamma di Stanley G. Weinbaum 425 Dividi e domina di L. Sprague de Camp 500 Lupi dalle tenebre di Jack Williamson «Quello che domani vi attende è un futuro sbalordit ivo: i vostri figli, o forse i vostri nipoti, potranno andare sulla Luna, potranno rendersi in- visibili, riusciranno a smaterializzare il proprio corpo a New York e materializzarlo in Cina... tutto in pochi secondi. Sbalorditivo, vero?~ Quale miglior sguardo verso il futuro, se non quest o frammento tratto dall'editoriale di Harry Bates, che non solo inaugura il primo numero della rivista Astounding Stories, ma un inte ro decennio? Sin- golare coincidenza, infatti, perché il primo fascic olo è datato gennaio 1930... ma non si tratta semplicemente di una nuova riYista di fanta- scienza (anzi, di un nuovo pulp, come vengono defin iti i periodici po- polari dell'epoca per il particolare tipo di carta) , ma una di quelle de- stinate a esercitare l'influenza più duratura, non solo negli anni Tren- ta ma anche nei decenni successivi. D'altro canto, la fantascienza era nata ufficialmen te solo pochi anni prima, nel 1926, con la pubblicazione del primo num ero di Amazing Stories a opera del geniale e intraprendente invent ore di origine lus- semburghese Hugo Gernsback, e stava quindi muovendo i primi passi. Del resto, lo stesso Gernsback aveva parlato della fantascienza (scien- tiflction nell'originaria formulazione, successivam ente modificata in science flction nell'editoriale di Science Wonder S tories del giugno 1929) con una definizione che già anticipava il ton o avveniristico-di- vulgativo di Bates. Non a caso, i due aggettivi "am azing" (sorprenden- te) e Nastounding" (sbalorditivo), andavano ad arri cchire il già fiorente campo semantico del "meraviglioso", al quale avevan o contribuito al- tre precedenti testate, meno specificamente indiriz zate all'anticipa- zione scientifica, tra cui Weird Tales e The Thrill Boolc. La definizione di Gernsback parla apertamente di «u n affascinante romance inframmezzato da realtà scientifiche e visi oni profetiche« e questo rimarrà il segno distintivo della fantascien za nella sua incar- nazione di genere apopolare", pubblicato cioè su ri viste periodiche esclusivamente dedicate a questo tipo di narrativa. Già, ma che cos'era stata prima di allora la fantas cienza?

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Dobbiamo prestar fede alla prodigiosa struttura teo rica elaborata da Darko Suvin,l il quale, utilizzando concetti rip resi dal teatro brech- tiano, dal formalismo russo e dalla filosofia di Em st Bloch, interpreta la fantascienza in chiave socio-estetica come un me ga-genere che at- traversa l'intera storia letteraria, dal mito dell' isola altemativa fino al recentissimo filone cyberpur~k, attraverso la metam orfosi dei generi dell'utopia, del racconto filosofico, del romanzo g otico, fino all'avve- nirismo ottocentesco e alla distopia, per converger e infine nell'opera di Wells e poi nella grande fioritura commerciale d i questo secolo? Questa lettura ha però il difetto tutt'altro che tr ascurabile di non ren- dere conto della molteplicità della produzione cont emporanea, che sembra costituire per Suvin, tranne poche eccezioni , motivo d'imba- razzo più che di indagine sui testi. Oppure dobbiam o individuare pa- dri fondatori più recenti e specifici, come il Fran kenstein di Mary Shel- ley, i racconti fantascientifici di Edgar Allan Poe , l'avvenirismo di Ju- les Veme oppure lo scienlific romance di Wells? Non è questa la sede per stabilirlo. Tuttavia mi pa re che l'influenza esercitata da quest'ultimo sia indiscutibile, perch é a Wells non si può negare il merito di aver codificato gran parte dei temi avventurosi e speculativi all'interno della più autentica forma p recorritrice della fantascienza, ovvero il romance scientifico: dai vi aggi nel tempo in La m~cchina det tempo (The Time Machine -1895) alla ma nipolazione del corpo in L'isola del dottor Moreau (Island of Dr. M oreau - 1896), dal su- peromismo di L'uomo invisibile (Invisible Man - 189 7) all'invasione aliena di La guerra dei mondi (The War of the World s - 1898), dall'im- maginazione distopica di Quando il donniente si sve glierà (When the Sleeper Wakes - 1899) all'esplorazione planetaria d i I primi uomini sulla Luna (The First Men in the Moon - 1901). Tuttavia, il romance scientifico non è solo wellsia no. Già, perché non è immaginabile un salto così netto dall'opera dello scrittore inglese alla nascita di Amazing, come forse non spiegano a sufficienza molte storie della fantascienza. Vi è infatti una tradizi one sommersa e mi- sconosciuta che, a partire dal modello originario o , comunque, più compiuto, si è espressa in una produzione narrativa forse meno consa- pevole dal punto di vista speculativo ma tuttavia p rodiga di risorse immaginative, che ha proliferato con una straordina ria varietà di toni e di accenti nel campo del meraviglioso, negli Stat i Uniti come in In- I Darko Suvin, Metamorphoses of Science Fiction: On the Poetics and History of a Literary Genre, New Haven and London, Yale Univer sity Press, 1979; tr. it. Lia Guerra, Le metamorfosi della fantascienza. Poetica e storia di un genere letterario, Bologna, Il Mulino, 1985. VIII ghilterra. Del resto, questa fase di storia lettera ria è stata approfondi- ta soltanto di recente,' con una piena rivalutazion e della sua estensio- ne cronologica e della sua portata complessiva, col mando così il vuoto fra una presunta tradizione "colta" e l'anima "popo lare" della fanta- scienza dei pulp; è un tragitto che parte dalle biz zarre fantasie mate- matiche di Charles Howard Hinton (fra i primi a usa re consapevol- mente il termine di "scientific romance ) e passa a ttraverso George Griffith, M. P. Shiel, Arthur Conan Doyle, William Hope Hodgson, J. D. Beresford, S. Fowler Wright, John Taine, Olaf St apledon, nelle ope- re dei quali più che mai abbondano viaggi immaginar i, romanzi a sfondo utopico o evoluzionistico, guerre future, fa ntasie escatologiche o metafisiche. Inoltre, non si può dimenticare la natura fantastic a e proto-fanta- scientifica di gran parte della letteratura america na dell'Ottocento,

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vero e proprio alaboratorio dei sogni", come recita il titolo di un recen- te volume antologico curato da Carlo Pagetti,2 che si ritrova nelle ope- re non solo di Irving, Hawthome, Poe, Melville, Bie rce, Twain, Lon- don, ma anche di altri autori meno noti come Fitz-J ames O'Brien, Thomas Wentworth Higginson, Edward Everett Hale, Ed ward Bella- my. Questa tradizione in parte andrà a saldarsi con il flusso ininter- rotto di pubblicazioni avventurose tra la fine dell 'Ottocento e l'inizio di questo secolo: dai dime novets di Irwin Beadle a lle riviste di S. S. McClure e soprattutto di Frank Munsey (la prima e p iù celebre, The Ar- gosy, venne fondata nel 1882, poi seguita da ~he Au -Story nel 1905, The Scrap Book nel 1906 e The Cavalier nel 1908), mentr e in Inghilterra George Newnes fondava The Strand Magazine ( 1891 ), presto imitato da altre celebri testate quali The Idter e Pearson's M agazine. Sulle riviste di Munsey pubblicò Edgar Rice Burroughs, forse il p iù importante e popolare autore di narrativa avventurosa to~t court oltre che specifi- camente fantascientifica, ma insieme a lui apparver o anche Ray Cum- mings, George Allan England, Ralph Milne Farley, Ho mer Eon Flint, Austin Hall, Abraham Merritt, Otis Adalbert Kline. Ma quali sono le caratteristiche di un genere consa pevole dei forti legami con i suoi precursori più o meno immediati c he finalmente tro- va una rivista su cui esprimersi? La definizione de llo stesso Gemsback ' Cfr. Thomas Clareson, Science Fiction in America, 1870s-1930s: An Annotated Bibliography of Primary Sources, Westport, CT, and London, Greenwood Press, 1984; e Brian Stableford, Scientific Romance in Bnt ain, 1890-1950, London, Fourth Estate, 1985. 2 Carlo Pagetti, a cura di, ll laboratorio dei sogn i: Fantascienza americana del- I'Ottocento, Roma, Editori Riuniti, 1988. E d'obbli go citare al riguardo un'ope- ra pionieristica, alla quale peraltro il volume di Pagetti s'ispira, ovvero l'anto- logia critica di H. Bruce Franklin, Future Perfect: American Science Fiction of the Nineteenth Century, London, Oxford University P ress, 1968 (rev. ed. 1978). mi sembra fondamentale, dal momento che parla espli citamente di romance, riconoscendo il debito verso la tradizione più recente e, in- consapevolmente, al di là di essa, verso una forma narrativa con radici più lontane; chiunque abbia familiarità con l'antit esi romance vs no- vel, già teorizzata verso la fine del Settecento, m a oggi riconosciuta co- me l'asse oppositivo fondamentale che ha strutturat o la produzione letteraria dall'antichità fino a oggi, sa che il ro mance è la favola eroica che tratta di persone e di eventi immaginari, mentr e il novel è una rap- presentazione di vita e di costumi reali, ma soprat tutto nella formula- zione di Robert Scholes il romance è in pratica la corrente fantastica della letteratura, che sceglie la flction avventuro sa. Gernsback, che di teoria letteraria è però digiuno, parla inoltre di "fattualità scientifica" e "visione profeticaD, implicite anche nel sottotit olo della rivista, che promette "extravagant fiction today... cold fact to morrown (racconti stravaganti oggi... freddi fatti domani), enunciand o senza mezze misu- re il tipo di fantascienza che vuole pubblicare. In fatti sceglie come coordinate dello spazio narrativo testé individuato una specie di triangolo di ferro i cui vertici sono costituiti da E. A. Poe con Lo strano caso del signor Valdemar (The Facts in the Case of M. Valdemar -1845), Jules Verne con Hector Servadac ( 1877) e H . G . W ells con 11 nuovo acce- leratore (The New Accelerator -1901), senza dimenti care tuttavia l'ag- gancio con le riviste che proliferano nei generi po polari d'intratteni- mento e che propongono varianti del meraviglioso, s ia esso "inquie- tanten, "misterioson, navventuroso", "esotico" o "s entimentalen. In so- stanza, Gernsback stabilisce l'identità e delimita il territorio di un di- verso tipo di "meraviglioson, quello scientifico.

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I ripetuti richiami alla fattualità e all'anticipaz ione sembrano sug- gerire per il testo fantascientifico il ricorso ine vitabile a meccanismi di plausibilità e di verosimiglianza, ma in realtà sono una sorta di schermo difensivo ~simile a quelli attivati dalle p oderose e invincibili astronavi nei racconti di space opera dell'epoca), dietro il quale si cela una problematica esigenza di rispettabilità; infatt i, si tratta molto più spesso di principi enunciati piuttosto che dimostra ti o verificati, per- ché l'elemento avveniristico e profetico è certamen te in primo piano, ma solo come ingenuo pretesto per sviluppare il ver o nucleo della nar- razione: I'appropriazione di uno sconfinato territo rio fantastico di av- ventura. Come si è visto, la prospettiva indicata da Gernsba ck si amplia al- l'inizio degli anni Trenta con la nascita dell'altr a grande rivista, Astounding. Dopo alcuni anni di apprendistato, dove prevale la pub- blicazione di autori presi a prestito da un passato illustre o dalle rivi- ste puip dei generi contigui, ricchi di figure inte rcambiabili che obbe- discono ai medesimi meccanismi, comincia a delinear si unà precisa identità della narrativa fantascientifica su rivist a. Non a caso, Astoun- ding entra in campo operando una vera e propria riv oluzione, la cui portata potrà oggi far sorridere ma che all'epoca s i rivelò decisiva, pa- gando cioè i racconti due cents a parola all'accett azione, contraria- mente ad Amazing e ad altre riviste dell'èra gernsb ackiana, che paga- vano invece 1/2 cent a parola alla pubblicazione, m a soprattutto offren- do un certo spazio a firme nuove o comunque dall'in clinazione pretta- mente fantascientifica. Astounding annoverò dapprim a nella sua scu- deria autori come Ray Cummings, Miles J. Breuer, Pa ul Ernst, Francis Flagg, Sterner St. Paul Meek e Victor Rousseau, olt re ad Anthony Gil- more, pseudonimo comune di Harry Bates e Desmond W. Hall (rispet- tivamente direttore e assistente della medesima riv ista) usato per fir- mare le celebri avventure di Falco Carse (Hawk Cars e); ma la sterzata definitiva coincise con la nomina nel 1933 di un nu ovo direttore, F. Or- lin Tremaine, che attirò nell'orbita della rivista autori come Nat Schachner, Stanton A. Coblentz, Raymond Z. Gallun, E. E. "Docn Smith, Stanley G. Weinbaum, Eric Frank Russell, Hor ace L. Gold, Do- nald Wandrei, lo stesso John W. Campbell Jr. (che p ubblicò prevalen- temente sotto lo pseudonimo di Don A. Stuart, ma ch e soprattutto sa- rebbe diventato il leggendario direttore della rivi sta verso la fine del decennio, inaugurando la Golden Age), ma anche di v eri e propri gi- ganti come Murray Leinster, Edmond Hamilton, entram bi già molto attivi su altre testate, e infine il giovane Jack W illiamson. Per inquadrare il decennio 1930-1940 non c'è metafo ra più azzecca- ta di quella usata da James Gunn: un autentico Uuni verso in espansio- nen, dove vengono colmati in ondate successive tutt i gli spazi di esplo- razione, come già in un certo senso era accaduto co n i voyages extraor- dinaires di Verne che avevano letteralmente saturat o la geografia del globo, compresi i cieli e, seppur timidamente, pers ino il nostro satelli- te. ln questa frenesia espansionistica, la fantasci enza continua di fatto a invocare la plausibilità scientifica e la visione profetica, ma non esi- ta a metterle in subordine o a liquidarle senza mez zi termini di fronte alle distese sconfinate dell'universo, piene di mis teri, mondi e razze sconosciute, che quando non si rivelano facilmente addomesticabili, diventano fatalmente lo spunto per titaniche battag lie e conflitti ga- lattici dove l'obiettivo è la conquista, la suprema zia o la semplice so- pravvivenza. Insomma, è l'avventura a regnare incontrastata, com e del resto ha suggerito lo stesso Isaac Asimov, curatore di quest o volume (nonché di un'altra celebre antologia dedicata allo stesso per iodo, L'alba del do- mani); I'intuizione del nbuon dottoren è chiara: ne lla prima fase (1926- 1938), la fantascienza è a "dominante avventurosan. Si riafferma, in-

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somma, il principio secondo cui la scienza e la tec nologia vengono ce- lebrate come una sorta di ideale collettivo più che effettivamente prati- cate come strumenti di indagine speculativa; si res pira uno sfrenato x I XI ottimismo che nasce da un entusiasmo epidermico più che da una ri- flessione sul ruolo del progresso scientifico, anzi dove quest'ultimo, in una sorta di impulso vitalistico e sfrenato, pare s oltanto un veicolo per raggiungere uno spazio oggettivo di conquista e di conoscenza illimi- tata, come se inoltre l'atto di avventurarsi in que gli sconfinati territo- ri Eantastici fosse una reazione al profondo incubo della Depressione in cui gli Stati Uniti precipitano all'inizio del d ecennio, nonché al- I'incombente minaccia hitleriana sull'Europa. Nelle opere di questo periodo l'elemento scientific o-tecnologico vie- ne esibito in maniera magniloquente, come iperbole di se stesso (non è mai scienza, ma nsuperscienza"), come una sorta di inesauribile spet- tacolo pirotecnico che però, a un'indagine più atte nta, diventa un velo opaco e impenetrabile; quando invece non subisce qu esto destino, vie- ne ridotto alla sua natura puramente didascalica co n indigesti brani esplicativi o interminabili dissertazioni pseudo-re alistiche. La scienza è quindi spesso ridotta a una funzione puramente "v erbalen, perché molti degli autori del periodo sono nulla più che s emplici lettori di ri- viste di divulgazione, e solitamente le loro cogniz ioni non vanno al di là del supplemento domenicale di un comune quotidia no; assai rara- mente fra essi vi sono veri scienziati, nonostante qualcuno esibisca in- genue credenziali, come per esempio Edward Elmer Sm ith, indiscus- so principe della space opera degli anni Trenta, di ventato famoso per l'appellativo "Docn, anche se in realtà era soltant o un rispettabile chi- mico, esperto semmai in azzeccate formule per l'imp asto delle ciam- belle . Solo più tardi, verso la fine del decennio, si svil upperà un atteggia- mento meno acritico, che guiderà la fantascienza a quella che è stata definita una sorta di npluralità teorica", per cui vengono sistematica- mente sfidate le impossibilità postulate dalle vari e discipline scientifi- che. La magia è impossibile? Be', ecco un testo nar rativo che esplora un mondo dove la magia funziona sul serio. La teori a della relatività sostiene che la velocità della luce è un limite inv alicabile? Ebbene, ec- co un altro racconto che sfida questo principio. Ma questa esplorazio- ne dei limiti teorici contraddistingue una fase suc cessiva, innescata dalla fantascienza di Astounding e in senso lato de ll'Età d'Oro di Campbell, quindi dovrà essere inquadrata nel decenn io successivo, nonché considerata come il primo passo verso una le nta ma graduale riappropriazione del bagaglio speculativo e lettera rio della fanta- scienza di Wells. Dunque, I'incarnazione "popolaren della fantascienz a rappresenta per alcuni aspetti un impoverimento rispetto ai ver tici raggiunti dagli scientific romances wellsiani. Lo scrittore inglese aveva sfruttato tutte le risorse di quella forma narrativa, trasformandol a in uno strumento sofisticato non solo per l'indagine speculativa, ma scoprendo àttraver- so di esso la vocazione più autentica della fantasc ienza: quella di farsi carico del rapporto ambiguo di un'epoca con il prog resso e con la sua mitologia, non solo nell'ambito scientifico-tecnolo gico, ma nella di- mensione antropologica e sociale. Questa ambiguità veniva esplorata in una modalità narrativa in cui rifluivano element i apertamente di- dascalici, ma soprattutto satirici, realistici e fa ntastici, dove la favola si piegava alle esigenze dell'estrapolazione e dell 'analogia. Ma se la fantascienza delle riviste aveva preso da Wells solo il lato più epidermico, rinunciando a ogni ambivalenza e pr eferendo attinge-

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re a Burroughs e al ricco patrimonio di narrativa a vventurosa ed es- senzialmente formulaica dei pulp, tuttavia nel ribo llente e disordinato crogiolo degli anni Trenta - una sorta di universo all'indomani del big bang - vi sono schegge che mostrano una diversa con sapevolezza e mantengono viva per esempio la tradizione utopico-d istopica, che riaffiorerà più consapevolmente non solo nel decenn io successivo, ma soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. Se questi sono gli anni in cui vengono pubblicati c lassici come I soli che si scontrano (Crashing Suns) di Edmond Hamilton e Quando i mondi si scontrano (When Worlds Collide) di Philip Wylie e Edwin Balmer oppure i grandiosi cicli di "Skylark" e dei "Lensmen" di E. E. UDoc" Smith, o della "Legione dello Spazio" di Will iamson, sono an- che gli stessi che salutano l'uscita di 11 mondo nu ovo (Brave New World - 1932) di Aldous Huxley, cardine della lette ratura distopica e legittimo successore della tradizione ottocentesca di Twain, London e Wells, che non solo si proietta verso l'Orwell di 1 984 e di La fattoria de- gli animali (Animal Farm), ma estende la sua influe nza fino a Vonne- gut, Bradbury e la "social science fictionn degli a nni Cinquanta. Inol- tre sono gli anni dell'assai meno noto Swastika Nig ht (1937) di Katha- rine Burdekin, sorprendente escursione sul tema del la cosiddetta "sto- ria alternativan che narra di un'Europa futura domi nata dai nazisti, oppure di Le montagne della follia (At the Mountain s of Madness -1936) di H. P. Lovecraft, maestro del soprannaturale e gr ande visionario del- la letteratura americana (apparso appunto su Astoun ding, tra l'altro, proprio come L'ombra fuori del tempo, The Shadow Ou t of Time, com- preso in questa antologia) o, ancora, il primo dei romances interplane- tari di Clive Staples Lewis, Lontano dal pianeta si lenzioso (Out of the Silent Planet - 1938), ispirato alla mitologia medi evale e di chiaro sa- pore allegorico, e infine dell'immaginazione cosmic a di un altro espo- nente di spicco del romance scientifico, Olaf Stapl edon, con Last and First Men (1930), Q.l. 10.000 (Odd John - 1935) e 1 1 costruttore di stelle (Star Maker - 1937). E qui il cerchio si chiude, perché la narrativa cos mica, rarefatta e fi- losofeggiante di Stapledon riflette l'immagine rove sciata della space opera di E. E. Smith e dei suoi epigoni: gli scenar i sono gli stessi, il re- XII XIII spiro è sempre quello delle smisurate vastità del c osmo, superuomini e superciviltà comprese, ma mentre in Smith lo scen ario galattico è una gigantesca arena per scorribande avventurose co ndotte al ritmo di un western o di un romanzo di guerra, in Stapled on è il luogo di un'inedita speculazione intellettuale sul destino e sul ruolo dell'uma- nità. E in questo decennio, insomma, che la fantascienza istituisce il grande laboratorio dove sviluppa un repertorio figu rale e un intreccio di situazioni che preparano, attraverso un'irrimedi abile espansione quantitativa e seriale, I'avvento del genere letter ario che oggi cono- sciamo. E fra il pubblico di lettori che si va form ando grazie alla proli- ferazione di riviste, facilmente sedotto dal ritmo crescente di mirabo- lanti invenzioni, vi è già chi pochi anni dopo esor dirà su quelle stesse pagine: la prima generazione di lettori di fantasci enza che diventeran- no a loro volta autori e che, con nuovi punti di ri ferimento e una matu- rata consapevolezza, saranno pronti ad ampliarne i confini. Il viaggio continua... Piergiorgio l~licolazzini XIV

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yl Isaac Asimov INTRODUZIONE La fantascienza trova la propria voce Non c'è accordo su dove collocare l'inizio della fa ntascienza. Non mancano anime tanto ambiziose da avanzare pretese s ul mito platoni- co di Atlantide (350 a.C. circa), né anime tanto li berali da essere pronte a includere in questo genere letterario il ciclo ep ico di Gilgamesh (2400 a.C. circa). A mio parere idee simili sono prive di fondamento. La fantascienza deve chiamare in causa nozioni scientifiche e tecno logiche, sia pure in modo indiretto. Deve inoltre occuparsi di una socie tà sensibilmente diversa dalla società reale del suo tempo, e tale d iversità deve dipende- re da una differenza di livello scientifico e tecno logico. Se tutto ciò è vero, la fantascienza non può precedere la diffusa consapevolezza del rapporto tra scienza e tecnica da un lato, e trasfo rmazione sociale dal- I'altro, cioè non può precedere la rivoluzione indu striale. Racconti più antichi vanno fatti rientrare nel genere della narr ativa fantastica, ben- ché vi si possa fare menzione di viaggi sulla Luna, come nella Storia ve- ra di Luciano di Samosata (150 d.C. circa). Vi sono, naturalmente, anche coloro che condividono questo punto di vista, e quindi ritengono che la fantascienza ri salga ai primi decenni del diciannovesimo secolo. In questo caso il Franke nstein di Mary Shel- ley, scritto nel 1818, è spesso considerato il prim o esempio di questo ti- po di narrativa. Altri ritengono più giusto include re Frankenstein nella narrativa gotica, ossia nel filone inaugurato da Ho race Walpole nel 1765 con 11 castello di Otranto. Anche opere succes sive spesso conside- rate tra le prime del genere fantascientifico- in p articolare i racconti di Poe e quelli di Hawthorne - potrebbero più fonda tamente essere as- segnate al genere gotico. Una possibilità sarebbe allora quella di fare coinc idere la nascita della vera fantascienza con la pubblicazione nel 18 63 di Cinque setti- mane in pallone di Jules Verne. Verne scrisse fantascienza senza cedere agli allett amenti del gotico; fu inoltre il primo a scrivere quasi esclusivamente fantascienza, e a conquistare in tal modo fama e ricchezza. 111863 ap pare quindi con- vincente, come data di nascita del genere Tuttavia anche a questa proposta può essere mossa u n'obiezione. La fantascienza, la si faccia cominciare nel 2400 a.C. , nel 150 d.C., nel 1818 o nel 1863, ha sempre costituito un genere qua ntitativamente minoritario nell'ambito della letteratura in genera le. Ben pochi autori hanno provato la loro mano in qualcosa che sia leci to definire "fanta- scienza", sia pure in base al più elastico dei crit eri, e ancora meno nu- merosi sono gli autori che in tal modo hanno acquis ito una certa noto- rietà - Jules Verne e H.G. Wells essendo i primi ch e mi vengono in mente, per il periodo precedente gli anni Venti. Perché allora non porsi il problema dell'inizio del la fantascienza co- me fenomeno di massa? Quando accadde che gli autori di fantascienza non fossero più poche unità, ma diverse decine, e p oi diverse centi- naia? Cosa ha aperto alla fantascienza la strada lu ngo la quale proce- de ancora oggi, quella di un fenomeno letterario st raordinariamente popolare con molte decine di numi tutelari - basti citare Robert Hein- lein, Arthur C. Clarke, Anne McCaffrey, Frank Herbe rt, Ray Bradbury, Ursula K. Le Guin... e la modestia mi vieta di cont inuare?

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A mio avviso la risposta alle anzidette domande sta nella nascita del periodico di fantascienza (Magazine Science Fiction ), che si può fare coincidere col primo numero di Amazing Stories pubb licato da Hugo Gernsback nell'aprile 1926. Ma vi è chi si oppone strenuamente a questa tesi. S crittori e critici che invocano per la fantascienza una piena rispetta bilità letteraria considerano i periodici di fantascienza un "ghetto" , che ha ridotto la fantascienza e una branca della narrativa pulp (que lla pubblicata per lettori di modestissima cultura su riviste di carta scadente detta putp- wood paper), e dissuaso gli autori "seri" dal cimen tarsi in tale genere. Vi è in questa obiezione un fondo di verità. Il nov anta per cento del- la fantascienza dei periodici consisteva in effetti in puerilità adole- scenziali (non dimentichiamoci, però, della legge d i Sturgeon: il no- vanta per cento di qualunque cosa è spazzatura). Ci ò nonostante i pe- riodici di fantascienza sono stati un terreno ferti le, in cui hanno potu- to irrobustire le loro capacità giovani autori di t alento; giovani autori che forse, in mancanza di quei periodici, non avreb bero mai potuto in- traprendere la carriera letteraria, o I'avrebbero i ntrapresa scrivendo tutt'altro. La fantascienza "letteraria" non avrebb e mai reso popolare il genere, anche se rese popolare alcuni grandi scr ittori. Furono i pe- riodici di fantascienza a produrre questo effetto, anche se la fanta- scienza come genere dovette procedere carponi prima di camminare, e camminare Drima di correre. E quindi ingeneroso arricciare il naso davanti al p eriodico di fanta- scienZa, e chi lo fa rivela un atteggiamento altezz oso e pedante. (Alcu- ni pedanti in questione si sono fatti un nome scriv endo su periodici di fantascienza. Così comportandosi essi corrono quind i anche il rischio di farsi cogliere in flagrante, nello sgradevole at teggiamento di chi morde la mano che l'ha nutrito.) Torniamo quindi alla fantascienza apparsa su period ici. All'inizio, neanche questo tipo di fantascienza ha avuto una vi ta facile. Dal mo- mento che il genere era ancora poco popolare, e poc hi scrittori vi si ci- mentavano, non c erano abbastanza autori per metter e insieme una rivista mensile. Nei primi numeri Gernsback dovette ripubblicare opere di H.G. Wells e di Jules Verne, e solo poco p er volta nuovi scrit- tori furono attratti dal nascente genere letterario . Questi nuovi scrittori erano spesso alle prime armi , quindi dotati di risorse espressive ancora rudimentali; oppure erano collaboratori di riviste pulp, che abbandonavano momentaneamente le loro banali sto- rie d'avventura (o di qualsivoglia altro tipo) per tentare il nuovo filone di narrativa popolare, avendo però nozioni scarse o inesistenti di cosa realmente fosse la fantascienza. Di conseguenza le riviste degli anni Venti non hanno molto da offrire sul piano della qu alità. In quel periodo, come nei periodi precedenti e segu enti, si può dire che valesse il principio: quanto più lunga la stori a, tanto migliore la qualità. Questo, ovviamente, solo a grandi linee; l e eccezioni sono nu- merose e significative. Quindi non stupisce che uno dei migliori esem- pi di fantascienza degli anni Venti sia The Skylark of Space, un raccon- to apparso a puntate su Amazing Stories nel 1928. Sfortunatamente non possiamo includere romanzi in q uesto elenco, dovendo accontentarci di "romanzi brevin - ossia di racconti più lun- ghi del normale, ma non tanto da non poter essere p ubblicati su un singolo numero di rivista. Dal momento che banali c onsiderazioni di spazio rendevano più facile pubblicare brevi che ve ri romanzi, alcuni dei migliori autori di fantascienza di quel periodo scrissero appunto romanzi brevi, come constateranno i lettori di ques ta antologia.

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Fu negli anni Trenta che la fantascienza pubblicata dai periodici co- minciò a trovare la propria voce. Anche quegli auto ri che mantennero un taglio pulp - vale a dire prolisso e per certi v ersi grossolano - si fe- cero più smaliziati, e pretesero dai lettori un cer to impegno intellet- tuale. Negli anni Trenta Astounding Stories divenne rapida mente la più importante rivista di fantascienza. Il primo numero uscì nel gennaio del 1930, e in breve tempo la diffusione della nuov a pubblicazione su- però quella di Amazing Stories, sia perché Astoundi ng Stories offriva una migliore remunerazione agli autori, sia perché il suo direttore, Harry Bates, abbandonò lo stile didascalico e la pr eferenza per le si- tuazioni di azione che caratterizzavano la rivista di Gernsback. Col numero di marzo del 1933, tuttavia, in piena Grande Depressione, William Clayton - l'editore - fallì. La testata fu acquistata dalla casa editrice Street & Smith, e la pubblicazione riprese col numero di otto- bre nel 1933, sotto la direzione di F. Orlin Tremai ne. Tremaine rimase al timone per quattro anni, e il su o principale con- tributo fu l'idea delle storie "a variante concettu ale" - vale a dire delle storie costruite su qualche ipotesi nuova e interes sante, o su qualche nuova e interessante variante di una vecchia ipotes i. Tale impostazio- ne piacque molto ai lettori, e la rivista non risch iò mai più il fallimen- to. Un ottimo esempio di storia "a variante concettuale " è Bivi net tem- po di Murray Leinster (pseudonimo di William F. Jen kins), pubblicato da Astounding Stories nel giugno 1934. Bivi nel tem po è il primo tenta- tivo di sviluppare il tema degli itinerari temporal i indipendenti, ossia dell'esistenza di universi che in questa o quella s ituazione-chiave pos- sono imboccare una strada oppure un'altra, ciascuna strada essendo però dotata di una propria autonoma esistenza. (Qua rant'anni più tar- di, i fisici impegnati a valutare alcuni degli aspe tti più esoterici della meccanica quantistica dovettero fare i conti con qu esta nozione lein- steriana). Un altro interessante racconto dell'era Tremaine fu Ahimè, tutto questo pensare! scritto dal precedente direttore de lla rivista, Harry Ba- tes. Ahimè, tutto questo pensare! apparve nel numer o del giugno 1935 di Astounding Stories. Bates non scriveva molto, ma quello che scrive- va era di buona qualità. Ahimè, tutto ~uesto pensar e! è la terrificante storia di una generazione evolutiva. L'autore più in vista dell'era Tremaine fu John W. Campbell Jr. Egli iniziò la propria carriera come autore di storie di tipo Usuperscientifi- co", sulla falsariga di E.E. Smith, e in questo cam po fu secondo solo al- lo stesso Smith. Ma in seguito, sotto lo pseudonimo di Don A. Stuart, cominciò a scrivere storie molto più sottili, dal c ontenuto assai valido sia sul piano letterario che su quello dell'impatto emotivo. La prima storia di questo tipo fu Crepuscolo, pubblicato da Astounding Stories nel novembre del 1934. Il migliore, e il più lungo, dei racconti di Stuart fu però Chi va tà? apparso in Astounding Stories nell'agosto 1938. Chi va la? è incluso in questa antologia, e se non l'avete mai letto vi inv idio, perché è senz'al- tro una delle storie più intelligenti e insidiosame nte spaventose che vi possa capitare di leggere. Non vi dirò nulla della trama: è senz'altro meglio che la scopriate da voi. Nel frattempo, però, si era verificata un'altra pic cola rivoluzione. Nel dicembre 1937, Tremaine era stato promosso a un più alto incari-

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co e lo stesso John W. Campbell era diventato diret tore di Astounding Stories. Campbell si amrettò a mutare il nome della rivista in Astoun- ding Science Fiction; cominciò inoltre a cercare au tori con più solide capacità letterarie, e in grado di descrivere più f edelmente il mondo della scienza e il modo di lavorare degli scienziat i. Nella maggior parte dei casi, però, egli dovette ri correre agli autori già disponibili, cercando di stimolarli e incoraggi arli. Horace Gold aveva scritto alcuni buoni racconti per Tremaine so tto lo pseudonimo di Clyde Crane Campbell. Ovviamente non poteva più servirsi di quel- lo pseudonimo nella nuova situazione. Sul numero di Astounding Science Fiction del dicembre 1938 Gold pubblicò qui ndi un racconto firmato col suo vero nome. Il racconto era Question e di for~na, incluso nella presente antologia. Si tratta di una descrizi one, notevole per rea- lismo ed efficacia, delle avventure e disavventure di un uomo reso in- felice, come il titolo accenna, dalla propria forma . Un altro autore di Tremaine destinato a conquistare fama e allori fu L. Sprague de Camp. Il suo primo racconto apparve s u Astounding Sto- ries nel dicembre 1937; fu l'inizio di una lunga co llaborazione. Spra- gue de Camp possedeva una solida preparazione in ca mpo storico e scientifico. Era inoltre uno dei pochi autori di fa ntascienza molto do- dati di senso dell'umorismo. Trovò una tribuna a lu i particolarmente adatta quando Campbell decise di fondare una nuova rivista, da af- fiancare a Astounding Science Fiction. La nuova riv ista si chiamò Unk- nown, e il primo numero uscì nel marzo 1939. L'idea era quella di un periodico di racconti di genere fantastico, ma non meno rigorosi sul piano della logica e della coerenza narrativa di qu elli pubblicati in Astounding Science Fiction. Sprague de Camp divenne rapidamente una colonna del la ri~ista, e il suo spiritosissimo Dividi e domina, con la sua o riginale, ma tutt'al- tro che assurda mescolanza di cavalleria medievale e moderna tecno- logia, apparve nel secondo numero, datato aprile 19 39. Do ora la parola a dieci dei migliori romanzi brevi degli anni Tren- ta. H.P. Lovecraft L'OMBRA FUORI DEL TEMPO Dopo ventidue anni di incubo e terrore, salvato sol tanto dalla dispera- ~r ta convinzione della fonte mitica di certe impressi oni, sono contrario a garantire la verità di ciò che scopersi in Australi a occidentale durante la notte fra il diciassette e il diciotto luglio de l 1935. Vi è motivo di spe- rare che la mia esperienza sia stata una allucinazi one totale o parziale, per la quale le cause certamente non mancavano. Epp ure, il suo reali- smo fu così terribile che a volte mi sembra impossi bile sperare. Se la cosa è accaduta davvero, allora l'uomo deve p repararsi ad ac- cettare nozioni del cosmo, e del suo stesso posto n el ribollente vortice del tempo, la cui mera nozione è paralizzante. Egli deve anche essere, -- messo in guardia contro uno specifico pericolo che è in agguato, e che pur non potendo inghiottire l'intera razza, potrebb e comportare orrori mostruosi e inimmaginabili per taluni suoi membri p articolarmente avventurosi. Per quest'ultimo motivo io sollecito, con tutta la forza del mio essere di abbandonare ogni tentativo di disseppellire quei frammenti di co- struzioni sconosciute e primitive che la mia spediz ione progettava di studiare. Ammesso che fossi sano di mente e ben desto, la mia esperienza di quella notte non è mai capitata a nessuno. Fu, inol tre, una spaventosa

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conferma di tutto ciò che mi ero sforzato di liquid are come mito e so- gno. Per misericordia di Dio non esistono prove, pe rché nel mio terrore perdetti il temibile oggetto che - se reale e porta to alla luce da quell'a- bisso malsano - avrebbe costituito una testimonianz a irrefutabile. Quando m'imbattei per caso nell'orrore ero solo, e fino a oggi non ne ho fatto parola con nessuno. Non potevo fermare gli altri che scavava- no nella mia stessa direzione, ma il caso e lo spos tamento della sabbia li hanno salvati finora dal trovarlo. A questo punt o sento il dovere di formulare una dichiarazione precisa, non solo per i l mio equilibrio mentale, ma per awisare coloro che vorranno prender mi sul serio. Queste pagine - il cui contenuto, almeno all'inizio , risulterà familia- re ai lettori più attenti dei periodici sia scienti fici che d'informazione - le sto scrivendo nella cabina della nave che mi rip orta a casa. Le darò a mio figlio, il professor Wingate Peaslee, della Mis katonic University, I'unico membro della mia famiglia che mi sia stato vicino dopo la stra- na amnesia di molto tempo fa, e l'uomo più informat o sugli aspetti più intimi del mio caso. Di tutte le persone che conosc o egli è la meno pro- pensa a ridicolizzare quanto narrerò di quella nott e funesta. Non l'ho informato verbalmente dei fatti prima di s alpare, perché penso che per lui sia meglio essere messo al corren te per iscritto. Una comoda lettura e rilettura gli lascerà un quadro pi ù convincente di quanto potrebbe fare la mia parola confusionaria. Di questo resoconto farà ciò che meglio crede; potr à rivelarlo, con un commento idoneo, in qualsiasi campo possa fare del bene. Per amore di quei lettori non al corrente delle fasi iniziali de l mio caso, faccio prece- dere la rivelazione da un ampio riassunto degli ant efatti. Mi chiamo Nathaniel Wingate Peaslee, e coloro che r ammentano le cronache apparse suoi giornali una generazione fa - o le lettere e gli ar- ticoli in riviste di psicologia di sei o sette anni addietro- sapranno qualcosa di me. La stampa fu piena dei particolari della mia misteriosa amnesia fra il 1908 e il 1913, e si fece un gran pa rlare delle tradizioni di orrore, follia, stregoneria che covavano dietro la facciata di normalità della cittadina del Massachusetts in cui abitavo, e abito anche adesso. Tengo a precisare che non v'è traccia di pazzia o d i episodi inquietanti nella mia parentela e vita giovanile. E un fatto im portantissimo, in re- lazione all'ombra che calò d'improvviso su di me pe r ragioni del tutto esteme. Può darsi che secoli di oscure leggende abbiano con ferito ad Arkham, città vecchissima e piena di superstiziose dicerie, una speciale vulnera- bilità a tali ombre, benché anche questo appaia dub bio alla luce degli altri casi che studiai in seguito. Ma il punto esse nziale è che il mio cep- po e il mio passato sono del tutto normali. Ciò che accadde viene da qualche altra parte; da dove, ancor oggi esito a di chiararlo esplicita- mente. Sono il figlio di Jonathan e Hannah (Wingate) Peasl ee, entrambi di sana, vecchia stirpe di Haverhill. Io nacqui e creb bi a Haverhill nella vecchia fattoria di Boardman Street presso Golden H ill, e non andai ad Arkham fin quando non entrai alla Miskatonic Univer sity come lettore di economia politica nel 1895. Per altri tredici anni la mia vita scorse piana e f elice. Sposai Alice Keezar di Haverhill nel 1896, e i tre figli, Robert , Wingate e Hannah nacquero rispettivamente nel 1898,1900 e 1903. Nel 1898 divenni pro- fessore aggiunto e nel 1902 professore di ruolo. Ma i provai il minimo nteresse per l'occultismo o la psicopatologia. Fu il giovedì quattordici maggio 1908 che ebbe iniz io la strana amne-

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sia. La cosa fu improvvisa, sebbene in seguito mi r endessi conto che certe visioni brevi e luminose di parecchie ore pri ma - visioni caotiche che mi agitarono moltissimo perché erano senza prec edenti - ne dove- vano avere costituito i sintomi premonitori. Mi dol eva la testa e avevo strane sensazioni - del tutto nuove per me - come s e qualcun altro ten- tasse di impossessarsi dei miei pensieri. Il crollo avvenne verso le dieci e venti di mattina , mentre stavo te- nendo una lezione del VI corso di Economia Politica - storia e attuali tendenze della scienza economica - per gli studenti del primo anno e qualcuno del secondo. Strane forme cominciarono a d anzarmi davanti agli occhi, e mi sembrò di essere in una stanza biz zarra, diversa dal- l'aula in cui mi trovavo. Pensieri e parole presero a divagare, e gli student i si accorsero che qualcosa di grave stava accadendo. Poi mi accasciai privo di sensi sulla sedia, in uno stato di torpore dal quale nessuno fu capace di scuotermi. Né le mie normali facoltà tornarono a vedere la luc e del nostro mondo per cinque anni quattro mesi e tredici giorni. Naturalmenté fu da altri che appresi il seguito. Pe r sedici ore e mezzo non diedi segni di riprendere conoscenza, benché mi avessero riportato a casa in Crane Street ventisette e mi avessero pre stato le migliori cure mediche. Alle tre del mattino del quindici maggio, riaprii g li occhi e cominciai a parlare, ma ben presto il dottore e la famiglia s i spaventarono a mor- te per la mia espressione e il mio modo di esprimer mi. Fu chiaro che non ricordavo nulla della mia identità e del mio pa ssato, sebbene per qualche motivo sembrassi ansioso di nascondere ques ta circostanza. Guardavo in modo strano le persone intorno a me, e i movimenti dei miei muscoli facciali erano fuori dal normale. Anche nel mio modo di comunicare c'era qualcosa che non andava. Usavo gli organi vocali in modo sgraziato e incerto e la dizione aveva caratteristiche ampollose, come se avessi appreso l a lingua inglese dai libri e con grande sforzo. La pronuncia era barbara mente estranea, e il lessico era pieno di strani arcaismi ed espressioni pressoché incom- prensibili. Tra queste ultime, una in particolare fu ricordata - con precisione e angoscia - dal più giovane dei medici per oltre ven t'anni. Perché in quel periodo tale frase cominciò a prendere piede - prima in Inghilter- ra e poi negli Stati Uniti - e benché complessa e i ndiscutibilmente nuo- va essa riproduceva in ogni minimo particolare le p arole dello strano paziente di Arkham, che avevano disorientato la gen te nel 1908. La forza fisica mi tornò subito, benché necessitass i di una notevole quantità di rieducazione all'uso delle mani, delle gambe e del corpo in generale. Per questo e per altre perduranti diffico ltà connesse col vuoto di memoria, fui tenuto per un certo tempo sotto str ette cure mediche. Quando mi avvidi che i tentativi di nascondere l'am nesia erano falli- ti la confessai apertamente e così fui libero di at tingere notizie di ogni genere. Infatti, sernbrò ai medici che io avessi pe rduto interesse per la mia vera personalità, non appena avevo scoperto che l'amnesia veniva accettata come un fatto naturale. Fu notato che i miei sforzi principali si indirizza vano verso l'appro- fondimento di certi argomenti della storia, della s cienza, dell'arte, del- la lingua e del folklore alcuni terribilmente astru si, altri di una sempli- cità puerile; tuttavia quegli sforzi restarono al d i fuori della mia co- scienza, alrneno in molti casi.

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Fu anche notato che possedevo una padronanza inspie gabile di mol- te cognizioni quasi sconosciute, una padronanza che tendevo non a esi- bire ma a nascondere. Solevo riferirmi, con noncura nte sicurezza, ad avvénimenti di epoche oscure, al di fuori del campo della storia cono- sciuta, facendo poi passare questi riferimenti per uno scherzo quando mi accorgevo della sorpresa che causavano. E quanto al futuro, ne par- lavo in tal modo che due o tre volte fui causa di v ero e proprio spavento. Queste misteriose alterazioni della coscienza cessa rono presto, an- che se certi osservatori ne imputarono la scomparsa più a prudenza da parte mia che ad autentica mancanza di congnizioni. Infatti, dimostra- vo una insolita avidità nell'assorbire lingua, usan ze e concezioni del- I'epoca in cui mi trovavo, come se fossi stato uno studioso in viaggio, proveniente da una lontana terra straniera. Appena mi fu permesso, frequentai la biblioteca uni versitaria a tutte le ore, e in breve cominciai a far progetti per gli strani viaggi e gli spe- ciali corsi delle università americane ed europee c he sollevarono tanti commenti negli anni successivi. Non soffrii mai per la mancanza di contatti eruditi , perché il mio ca- so clinico mi era valso una certa celebrità fra gli psicologi dell'epoca. Furono tenute varie conferenze su di me come caso t ipico di sdoppia- mento della personalità, anche se di tanto in tanto misi in imbarazzo i conferenzieri con bizzarri sintomi o con ironiche a llusioni, opportuna- mente velate. Di vera cordialità, però, ne incontrai poca. Qualco sa nel mio aspetto e nel mio modo di parlare suscitava vaghi timori e avversioni in quelli che incontravo, come se fossi stato enormemente lon tano da tutto ciò che sapeva di normalità e salute. L'idea di un orro re nascosto, collegato con insondabili abissi, con una strana distanza, er a singolarmente dif- fusa e radicata. La mia stessa famiglia non fece eccezione. Dal mome nto del mio ri- sveglio~ mia moglie mi aveva considerato con estrem o orrore e disgu- sto, giurando che ero un illustre sconosciuto, e ch e usurpavo il corpo di suo marito Nel 1910 ottenne il divorzio e non volle mai più vedermi, ppUre dopo il mio ritorno alla normalità nel 1913. Tali sentimenti fu- 15 rono condivisi da mio figlio maggiore e dalla figli a minore, che da al- lora non ho più veduti. Solo il secondogenito, Wingate, fu in grado di vinc ere il terrore e la repulsione che il mio cambiamento tendeva a suscita re. In effetti, mi sentiva estraneo, ma pur avendo solo otto anni si a ggrappò all'idea che il mio io normale sarebbe tornato. E quando fui di nuovo me stesso, lui mi cercò, e il tribunale mi affidò la custodia del ragazzo. Negli anni successivi egli mi aiutò negli studi dai quali mi s entivo attratto e oggi, a trentacinque anni, è professore di psicologia all a Miskatonic Univer- sity. Non mi meraviglio, però, della diffidenza che susci tai, perché certo la mente, la voce, I'espressione della faccia dell' individuo che si svegliò il quindici maggio 1908 non erano quelle di Nathani el Wingate Pea- slee. Non tenterò di raccontare molto della mia vita tra il 1908 e il 1913,

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perché i lettori possono raccogliere tutte le notiz ie essenziali alla luce del sole - come dovetti fare io stesso abbondanteme nte - dagli archivi dei giornali e dalle riviste scientifiche. Mi fu consentito di disporre del mio denaro, e lo s pesi con parsimo- nia e nel complesso saggiamente, in viaggi e semina ri presso vari centri di cultura. Anche nei miei viaggi, comunque, le biz zarrie non mancaro- no, e presero la forma di visite prolungate a luogh i remoti e desolati. Nel 1909 passai un mese sull'Himalaya e nel 1911 de stò molto inte- resse una gita in cammello che feci negli sconosciu ti deserti d'Arabia. Che cosa mi accadde in quei viaggi non sono mai riu scito a saperlo. Durante l'estate del 1912 noleggiai una nave e salp ai verso l'Artico, a nord di Spitzbergen, mostrando al ritomo segni di d elusione. Più avanti nello stesso anno trascorsi settimane so litarie addentran- domi nei vasti sistemi di caverne calcaree della Vi rginia occidentale, oscuri labirinti così complicati che non si osò nea nche tentare di rico- struire il cammino da me seguito. La mia permanen~a presso varie università fu caratt erizzata da una assimilazione di rapidità anomala, come se la mia s econda personalità possedesse una intelligenza di gran lunga superiore al normale. Ho inoltre scoperto che il mio ritmo di letture e stud i solitari fu fenomena- le. Apprendevo ogni dettaglio di un libro con una s emplice occhiata e sfogliando velocemente le pagine, mentre la mia abi lità nell'interpre- tare figure complesse in un baleno faceva veramente paura. A volte comparvero resoconti piuttosto sgradevoli s ulla mia capacità di influenzare i pensieri e le azioni altrui, per q uanto avessi avuto l'ac- cortezza di non fare mai sfoggio di tale facoltà. Altri sgradevoli resoconti riguardarono la mia inti mità con i capi di certi gruppi di occultisti, e con studiosi sospetta ti di legami con bande innominabili di odiosi ierofanti del Vecchio Mondo. Queste voci, ben- ché mai confermate a quel tempo, furono senza dubbi o corroborate dal tenore di certe mie letture; infatti la consultazio ne di alcuni libri rari nelle biblioteche non avvenne in segreto. Esistono prove tangibili - sotto forma di note a ma rgine - del fatto che lessi attentamente libri come Cuttes des Goules del Conte di Erlette, De Vermis Mysteriis di Ludwig Prinn, Unaussprechlic hen Kulten di Von Junzt, i frammenti dell'enigmatico Libro di Eibon e lo spaventoso Ne- cronomicon dell'arabo pazzo Abdul Alhazred. Però è anche innegabile che al tempo della mia strana trasformazione si ass isté a una singolare recrudescenza di culti macabri. Nell'estate del 1913 cominciai a manifestare segni di noia e di calo di interesSe, e accennai a vari conoscenti che presto bisognava attendersi un imminente cambiamento in me. Parlai di episodi d ella mia vita pas- sata che riemergeva dall'oblio anche se molti astan ti mi giudicarono insincero perché i ricordi che comunicai furono cas uali, e tali che pote- vano essere stati attinti da vecchie carte private. Verso la metà di agosto tornai ad Arkham e riaprii la casa di Crane Street, che era rimasta chiusa a lungo. Là installa i un congegno di aspetto assai strano le cui parti erano state costr uite da diversi fabbri- canti di apparecchi scientifici d'Europa e d'Americ a che tenni accura- tamente nascosto alla vista di chiunque avrebbe pot uto comprenderne il funzionamento. Coloro che effettivamente lo vide ro - un operaio, un domestico e la nuova governante- dicono che fosse u no strano miscu- glio di barre, ruote e specchi, alto non più di una sessantina di centime-

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tri, largo trenta e profondo altrettanto. Lo specch io centrale era circo- lare e convesso. Ciò fu confermato da quei fabbrica nti che riuscii a rin- tracciare. La sera di venerdì ventisei settembre misi in liber tà la governante e la ca,meriera fino a mezzogiorno dell'indomani. Nel la casa le luci resta- rono accese fino a tarda ora, e arrivò in automobil e un uomo magro, bruno, dall'aspetto straniero. Era l'una del mattino quando le luci accese furono viste per l'ultima volta. Alle due e un quarto un poliziotto osservò l a casa ormai buia, ma l'auto dello sconosciuto era ancora lungo il bordo del marciapiede. Alle quattrO l'auto non c'era più. Alle sei una voce esitante dall'accento straniero c hiese per telefono che il dottor Wilson si recasse a casa mia, per ris vegliarmi da uno stra- no svenimento Quella chiamata -interurbana - fu poi rintracciata co- me proveniente da una cabina pubblica della Stazion e Nord di Boston, ma lo straniero bruno non fu mai più visto. L~ Quando il medico arrivò a casa mia mi trovò sven uto in soggiorno, in una poltrona davanti alla quale era stato trascinat o un tavolo. Sul pia- i no levigato c'erano graffl, segno che vi era stat o posato un oggetto pe- sante. Lo strano congegno era sparito e non se ne s eppe più nulla. In- ubbiamente l'aveva portato via il bruno forestiero. 17 Nel caminetto della biblioteca vi erano abbondanti ceneri, evidente- mente lasciate dalla combustione dei residui di fog li di appunti su cui avevo scritto dall'inizio la storia dell'amnesia. I l dottor Wilson mi tro- vò la respirazione molto alterata, ma dopo una inie zione ipodermica essa divenne più regolare. Alle undici e un quarto del ventisette settembre mi agitai energica- mente e la mia faccia, fino a quel momento simile a una maschera, di- ventò un po' più espressiva. Il dottor Wilson notò che l'espressione non era quella della mia seconda personalità, ma rassom igliava molto al mio aspetto precedente. Verso le undici e mezzo mor morai alcune stra- nissime sillabe, che non sembravano appartenere a u na qualsiasi lin- gua umana. Diedi anche segni di stare lottando cont ro qualcosa. Poi, appena passato mezzogiorno - frattanto erano rientr ate governante e cameriera - tornai a esprimermi in inglese. «...tra i principali economisti di quel periodo Jev ons incarna la cor- rente più propensa al collegamento con le altre bra nche della scienza. Il suo tentativo di correlare i cicli di prosperità e depressione del com- mercio con i cicli fisici delle macchie solari rapp resenta probabilmente l'apice di...« Nathaniel Wingate Peaslee era tornato, e il suo cal endario interno era fermo al giovedì mattina del 1908, con gli stud enti del corso di eco- nomia che fissavano attenti la logora cattedra sull a piattaforma. L'adattamento alla vita normale fu per me un proces so penoso e diffici- le. L'oblio di oltre cinque anni della propria vita crea più complicazioni di quanto si possa immaginare, e nel mio caso i gua sti cui porre rime- dio erano innumerevoli. Ciò che udii a proposito del mio comportamento dal 1908 in poi mi stupì e mi turbò, ma tentai di prendere la faccenda con la maggior filo- sofia possibile. Infine, riottenuto l'affidamento d el secondogenito Win-

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gate, mi stabilii con lui nella casa di Crane Stree t e mi sforzai di ripren- dere l'insegnamento. Mi fu infatti offerto di nuovo il posto di professore universitario che già mi era appartenuto. Cominciai a insegnare nel febbraio 1914 e tenni l'i ncarico per un an- no. A quel punto mi accorsi di quanto mi avesse dan neggiato l'espe- rienza dell'amnesia. Benché perfettamente integro - almeno così spe- ravo--e senza lacune nella mia personalità originar ia, non avevo più I'energia nervosa dei vecchi tempi. Sogni confusi e strane idee mi tor- mentavano di continuo, e quando lo scoppio della gu erra mondiale mi fece rivolgere l'attenzione alla storia, mi ritr ovai a pensare a periodi e avvenimenti di natura stranissima. La mia percezione del tempo - la capacità di di stinguere tra succes- sione e simultaneità - era alterata in modo inde finibile, sì che assurda- mente mi pareva di vivere in un'unica epoca, e d i poter spaziare con la mente sull'eternità per conoscere le epoche pass ate e quelle future. La guerra mi suscitò strane impressioni di rico rdare certe remote conseguenze future; come se sapessi lo svolgimen to degli eventi e po- tessi guardare indietro verso i loro esiti. Ques ti quasi-ricordi li seguivo con gran dolore, e con la sensazione che esistes se una barriera artificia- le, psicologica a dividerci. Quando, con circospezione, parlai ad altri di q ueste mie impressioni ne ricevetti risposte disparate. Alcune persone mi guardarono con disa- gio, ma gli esperti di matematica parlarono di n uovi sviluppi della teo- ria della relatività, teoria destinata in seguit o a diventare così famosa. Il dottor Albert Einstein, dissero, stava per ri durre il tempo a una mera dimensione. E Ma sogni e sensazioni inquietanti ebbero il sop ravvento su di me, co- sicché dovetti abbandonare il mio lavoro regolar e nel 1915. Fui certo che le impressioni stavano assumendo una forma i nsidiosa, dandomi la continua idea che l'amnesia avesse comportato una qualche forma sacrilega di scambio, che la seconda personalità fosse stata in realtà una forza impostasi da regioni sconosciute, e ch e la mia vera personali- tà avesse sofferto per la sostituzione. Da ciò fui indotto a meditazioni confuse e spav entose, circa lo stato del mio vero io durante gli anni in cui un altro aveva controllato il mio corpo. Le misteriose cognizioni e la strana cond otta dell'inquilino del mio corpo mi preoccuparono ancora di più quando appresi ulteriori particolari da persone, giornali e riviste. Stranezze che avevano confuso i più parevano ar monizzarsi terribil- mente con certe oscure cognizioni che mi avvelen avano il subconscio nel profondo. Presi a ricercare febbrilmente qua lsiasi scampolo di noti- zia che si riferisse a studi e viaggi dell'altro me stesso durante gli anni bui. Non tutti i miei guai furono altrettanto astrat ti. Vi furono i sogni che crebbero in vivezza e concretezza. Sapendo come sarebbero stati giudi- ~, cati da molti, ne parlavo di rado con gli estr anei, ma feci una eccezione on mio figlio e con certi psicologi di fiducia. Alla fine, però, decisi di ~liziare uno studio sistematiCo di altri casi, p er vedere se certe visioni j~i~ssero tipiche o meno tra le vittime dell'amn esia. ~' Fui aiutatO da psicologi, storici, antropolog i e psichiatri di grande i~sperienza~ e da studi che comprendevano tutte le documentazioni di ~OppiamentO di personalità, dai tempi delle legg ende su presunti casi F possessione demoniaca fino al presente confort ato da accertamenti 19 medici; quanto ai risultati, però, questi mi preocc uparono più che con- solarmi. In breve appresi che i miei sogni quasi non trovava no riscontro nel vasto repertorio dei casi di amnesia. Rimase, tutta via, un'esigua mino- ranza di casi che per anni mi angustiò e mi impress ionò per le analogie

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con la mia esperienza. Alcuni erano frammenti di an tico folklore, altri casi clinici negli annali della medicina; uno o due erano aneddoti ri- portati quasi di sfuggita in opere di storia. Scopersi così che, se la mia particolare affezione era prodigiosamen- te rara, esempi di amnesia si erano registrati a lu nghi intervalli fin dal- l'inizio della storia umana. In certi secoli se ne contavano uno, due o tre casi, in altri nessuno - o almeno nessuno di cui fo sse rimasta traccia. L'elemento essenziale era sempre lo stesso: una per sona di normale intelligenza veniva carpita da una seconda vita mis teriosa e portata a trascorrere una esistenza assolutamente estranea, p er un periodo più o meno lungo; una esistenza caratterizzata all'inizio da una goffaggine dei movimenti e della parola, poi da una massiccia acquisizione di no- zioni scientifiche, storiche, artistiche e antropol ogiche, acquisizione portata avanti con zelo febbrile e con un potere ri cettivo anormale. Se- guiva un improvviso ritomo alla coscienza normale, tormentata in mo- do intermittente da oscuri sogni non classificabili , che richiamavano alla mente frammenti di ricordi confusi ma estremam ente inquietanti. E la stretta somiglianza di tali incubi con i miei - persino nei minimi particolari - non mi lasciò dubbi sulla loro natura tipica. Uno o due ca- si avevano un legame in più, di tenue, blasfema fam iliarità come se fos- si già giunto a conoscerli attraverso vie cosmiche troppo strane e spa- ventose da contemplare. In tre casi vi era un accen no specifico a una macchina sconosciuta, apparentemente assai simile a l congegno che avevo in casa prima del secondo cambiamento. Un'altra cosa che mi turbò durante le mie ricerche fu la maggior fre- quenza di casi in cui una breve, fuggevole visione dei tipici incubi si presentava a persone non colpite da una vera e prop ria amnesia. Tali persone erano di intelligenza mediocre o al di sotto della media, e a volte così rozze da non far pensare che potesse ro essere veicoli di erudizione anormale e di acquisizioni mentali sopra nnaturali. Si ac- cendevano per un attimo di energia estranea; poi un a brusca ricaduta e un vago ricordo di orrori disumani, presto svanito. Vi furono almeno tre casi siffatti negli ultimi cin quant'anni, uno solo quindici anni fa. Qualcosa aveva forse vagato alla cieca attraverso il tempo venendo da qualche insospettato abisso cosmic o? Quei casi era- no forse esperimenti mostruosi e sinistri di una sp ecie e di una paterni- tà al di là di ogni sana immaginazione? Erano quelle alcune delle confuse speculazioni che turbavano le mie ore di riposo, fantasie favorite da miti scoperti d urante i miei studi. Non potevo infatti dubitare che certe leggende di i mmemore antichità, evidentemente ignote a medici e pazienti e collegat e ai recenti casi di amnesia, costituissero una impressionante e temuta elaborazione di vuoti di memoria come il mio. Quanto alla natura dei sogni e delle impressioni ch e crescevano in me così celermente, ancora ho quasi timore a parlar ne. Avevano un sa- pore di pazzia, e alle volte mi rassegnavo all'idea di stare uscendo di senno. Vi era un genere speciale di allucinazione c he affliggeva coloro che erano stati colpiti da un vuoto di memoria? Si poteva ipotizzare che gli sforzi del subconscio per riempire un vuoto angoscioso con pseudo-ricordi avessero dato origine a misteriose d ivagazioni fantasti- che? In effetti proprio questa fu l'opinione di molti al ienisti che mi aiuta- rono nella ricerca di casi simili al mio, e che con divisero le mie perples-

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sità di fronte alle rassomiglianze esatte che scopr ii, anche se una spie- gazione basata sul folklore mi apparve alla fine pi ù plausibile. Gli alienisti non definirono la mia condizione come pazzia pura e semplice ma la classificarono piuttosto tra i disor dini neuropatici. Il mio impegno nel cercare di delinearla e analizzarla invece di tentare invano di liberarmene o di dimenticarla, fu da essi caldamente inco- raggiato, come un giusto indirizzo terapeutico comf orme ai più recenti indirizzi psicologici. Apprezzai in particolar modo il consiglio di quei medici che mi avevano tenuto sotto controllo nel pe riodo in cui ero sta- to posseduto dall'altra personalità. I miei primi disordini mentali non furono visivi, m a riguardarono le questioni più astratte che ho già menzionato. Vi fu anche un senso di repulsione profonda e inspiegabile verso me stesso. Fui preso da uno strano timore di guardare la mia figura, come se gl i occhi vi scoprissero qualcosa di completamente estraneo e orribile. Quando poi mi specchiavo e vedevo le mie consuete s embianze ba- nalmente vestite di grigio o di blu, provavo uno st rano sollievo benché per arrivarci dovessi vincere un disagio indescrivi bile. Evitavo gli specchi e mi facevo radere sempre dal barbiere. Ci volle parecchio tempo perché collegassi queste s ensazioni con le fugaci impressioni visive che cominciarono a produr si. La prima corre- lazione ebbe a che fare con la misteriosa sensazion e di um controllo :I esternO e artificiale sulla mia memoria. ~ Ero certo che i frammenti di visioni che mi turba vano avessero un si- |; ~nificato profondo e terribile e uno spaventoso rapporto con me stesso, ~ma che una influenza tenace mi trattenesse dall'af ferrare quel signifi- ato e quel rapporto. Poi sopravvenne la bizzarria d ell'elemento tem- _ o, e con essa i disperati sforzi per collocare le fugaci immagini di sogni _ ammentari in uno schema cronologico e spaziale. ~Le immagini stesse furono dapprima più strane che orribili. Mi pare- va di essere in una enorme stanza a volta i cui pos senti costoloni in pie- tra si perdevano quasi tra le ombre sovrastanti. In qualunque tempo o luogo si svolgesse la scena, il principio dell'arco era tanto noto e tanto usato quanto al tempo degli antichi Romani. Vi erano colossali, alte finestre rotonde, porte ad arco e piedistalli e tavole tanto alti quanto una stanza no}male. Grandi scaffali di legno scuro tappezzavano le pareti, pieni di volumi di di mensioni mostruose, con strani geroglifici sul dorso. Le pareti libere contenevano strane incisioni, cons istenti in disegni curvilinei simili a grafici di funzioni matematiche e in iscrizioni cesel- late costituite dai medesimi caratteri dei grossi l ibri. La costruzione in granito scuro era di tipo megalitico, mostruosament e grande e con file di blocchi convessi in alto che si adattavano perfe ttamente alle file con- cave in basso che vi stavano sopra. Non c'erano sedie, ma la superficie dei grandi pied istalli era ingom- bra di libri, carte, materiale per scrivere, o che sembrava tale: recipien- ti di metallo purpureo decorati da strane figure e bacchette dalle punte colorate. Per quanto fossero alti, io riuscivo a ve dere quei piedistalli co- me se li sovrastassi. Su alcuni vi erano luminosi g lobi di cristallo che servivano da lampade, e macchine incomprensibili fo rmate da condot- ti trasparenti e sbarre di metallo. Le finestre erano munite di vetri e di solide sbarr e. Benché non osas-

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si avvicinarmi e guardare fuori, dá dove ero vidi c ime ondeggianti di vegetali simili a felci. Il pavimento era fatto di solide lastre di pietra ot- tagonali, e non vidi né tappeti né quadri. In seguito, ebbi visioni in cui volteggiavo per cic lopici corridoi di pietra, e su e giù per piani inclinati giganteschi fatti dello stesso mate- riale. Non esistevano scale, né passaggi più strett i di dieci metri. Certe strutture per le quali fluttuai dovevano alzarsi ve rso il cielo per mi- gliaia di metri. Verso il basso vi erano molteplici piani di nere vo lte e botole sigillate da strisce di metallo che sembravano non venire mai aperte, e che da- vano una sensazione di particolare pericolosità. Mi pareva di essere prigioniero, e l'orrore emanava da tutto quello che vedevo. Intuivo che i geroglifici curvilinei su lle pareti mi avrebbe- ro distrutto l'anima con il loro messaggio, se non mi fossi trincerato dietro una misericordiosa ignoranza. Più tardi i sogni mi portarono visioni, attraverso grandi finestre ro- tonde e oltre immensi tetti piatti, di curiosi giar dini, di ampie zone ari- de e di parapetti di pietra alti e smerlati, ai qua li conduceva il più ele- vato dei piani inclinati. Vi erano distese apparentemente infinite di edifici giganteschi, cia- scuno col suo giardino, allineati lungo vie lastric ate, larghe almeno ses- santa metri. Gli edifici differivano molto l'uno da ll'altro, ma pochi mi- suravano meno di duecento metri di lato. Alcuni par evano così enormi che dovevano avere una facciata di diverse centinai a di metri, mentre altri svettavano ad altezze indicibili nel cielo gr igio e caliginoso. Parevano fatti principalmente di pietra o calcestru zzo, e la maggio- ranza comprendeva lo strano tipo di costruzione cur vilinea che avevo notato nell'edificio in cui mi trovavo. I tetti era no piatti e coperti da giardini, e avevano i soliti parapetti smerlati. Ta lvolta vi erano nume- rose terrazze all'inizio e ampi spazi liberi fra i giardini. Nelle grandi strade c'era poco movimento, ma nelle prime visioni non riuscii a di- stinguere i dettagli. In alcuni luoghi vidi enormi torri scure e cilindri che che si elevavano ben oltre le altre costruzioni. Si rivelarono di un a natura unica, e mo- strarono segni di vetustà e rovina che avevano del prodigioso. Erano costruite con uno strano genere di basalto tagliato in quadrati, e leg- germente affusolate verso la cima arrotondata. In e sse non vi erano tracce di finestre o di altre aperture, eccezion fa tta per certi enormi portoni . Notai anche degli edifici più bassi - but terati da eoni di intem- perie - che rassomigliavano a quelle torri scure e cilindriche nell'archi- tettura di base. Attorno a tutte quelle costruzioni particolarmente vec- chie e di forma cilindrica aleggiava una impalpabil e atmosfera di mi- naccia e di paura concentrata, simile a quella sosp esa sopra le botole ermetiche. Gli onnipresenti giardini erano quasi terrificanti nella loro stranez- za, con forme bizzarre e sconosciute di vegetazione che s'incurvavano su larghi sentieri, affiancati da monoliti decorati da incomprensibili bassorilievi. Cespugli simili a felci, di una grand ezza abnorme, erano predominanti - alcuni verdi, altri di un pallore di afano, spettrale. Tra questi sorgevano grandi cose fantomatiche, simi li a enormi equi- seti i cui tronchi simili a bambù torreggiavano fin o ad altezze vertigi-

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nose. Vi erano poi forme fronzute che ricordavano f avolose cicadee, f, bizzarre macchie verde cupo e alberi simili a co nifere. I fiori erano piccoli, incolori, di specie mai vist e, in aiuole geometri- che e in genere in mezzo al verde. In qualche terrazza e nei giardini pensili germogli avano fiori più grandi e più vivaci, dai contorni quasi offensivi, sì da far pensare a una Q~ltivazione artificiale. Funghi di dimensioni, con torni e colori inim- ' 3 ~aginabjlj punteggiavano lo scenario con esempl ari che testimoniava- una sconosciuta, venerabile tradizione di orticoltu ra. Nei giardini ~p grandi vi era stato un tentativo di imitare la c apricciosità della na- a, ma sui tetti era stata fatta una maggiore selezi one e vi erano più _ timonianze dell'impiego dell'arte della potatura. ~ cielo era quasi sempre nuvoloso e umido, e talvol ta si verificarono _ pe Piogge torrenziali. Ogni tanto, però, vi erano sprazzi di sole, un ~ che pareva enormemente grande. Qualche volta vidi anche la luna, i cui mari avevano sfumature diverse dal normale, c he non riuscii mai a identificare precisamente. Quando - molto di rado - il cielo notturno era sereno vedevo costellazioni quasi irriconoscibi li. In alcuni casi ri- scontrai una certa somiglianza, mai una vera identi tà. Dalla posizione dei pochi gruppi che identificai, stimai di trovarm i nell'emisfero terre- stre meridionale, presso il Tropico del Capricorno. ~1 lontano orizzonte era sempre pieno di vapori ind istinti, ma vidi estensioni, fuori dalla città, di grandi giungle di felci sconosciute, di le- pidodendri e di sigillariacee, le cui fronde fantas tiche ondeggiavano maliziose nei vapori vaganti. Di tanto in tanto qua lcosa sembrava muoversi nel cielo, ma in quelle prime visioni non distinsi nulla di più chiaro. Verso l'autunno del 1914, cominciai ad avere rari s ogni in cui fluttua- vo sopra la città e le regioni circostanti. Vedevo strade interminabili in mezzo a foreste di paurosa vegetazione con alberi d ai tronchi chiazzati, scanalati e rigati, e in lontananza altre città mis teriose come quella che insistentemente mi tormentava. Vidi mostruose costruzioni di pietra nera o iridisc ente in radure e spiazzi dove regnava un'eterna penombra, e traversa i lunghe strade rialzate sopra acquitrini tanto scuri che non disti nsi la loro umida, ri- gogliosa vegetazione. Una volta vidi una zona che si estendeva per innume revoli chilome- tri, cosparsa di rovine basaltiche corrose dal temp o, la cui architettura ricordava le torri senza finestre e dalla sommità a rrotondata della città che mi tornava continuamente nelle visioni. E una volta vidi il mare - una estensione senza lim iti densa di vapo- ri, al di là delle colossali banchine di pietra di una enórme città tutta cupole e archi. Grandi, informi ombre si muovevano in alto, e qua e là la superficie si agitava in modo strano. Come ho detto, quelle visioni barbare non assunsero subito le loro ter- ribili caratteristiche. Certamente molte persone ha nno sognato cose intrinsecamente più strane, cose composte da brande lli sconnessi di vi- ta quotidiana, di immagini e di letture, riunite so tto forma di romanzo fantastico dagli incontrollati capricci del sonno. Per un certo tempo accettai quelle visioni come nat urali, benché in

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precedenza non fossi stato mai un sognatore stravag ante. Molte ano- malie oscure, mi persuasi, dovevano provenire da fo nti banali, troppo numerose per distinguerle; mentre altre parevano ri flettere una comu- ne nozione scolastica della flora e di altre condiz ioni esistenti nel no- stro mondo circa centocinquanta milioni di anni fa - nei periodi noti come Permiano e Triassico. Nel corso di alcuni mesi, però, l'elemento terrific ante comparve con forza rinnovata. Fu quando i sogni assunsero un ind ubbio aspetto di ri- cordi, e quando la mia mente cominciò a collegarli con le mie crescenti inquietudini, con la sensazione di controllo mnemon ico, con la strana impressione sul tempo, col senso di disgusto provat o durante lo scam- bio con la mia seconda personalità del periodo 1908 -1913, e molto più tardi con l'inesplicabile disgusto per la mia stess a persona. Quando certi precisi dettagli cominciarono a entrar e nei sogni, il lo- ro orrore crebbe mille volte, finché nell'ottobre 1 915 sentii che dovevo fare qualcosa. Fu allora che intrapresi uno studio tenace di altri casi di amnesia e di visioni, pensando che così facendo avr ei oggettivato i miei disturbi e mi sarei liberato delle emozioni che mi dominavano. Tuttavia, come accennato prima, il risultato fu all 'inizio pressoché opposto. Mi sconvolse scoprire che i miei sogni si erano verificati in al- tri in modo affine, tanto più che certi soggetti er ano troppo giovani per pensare che avessero nozioni geologiche - e quindi un'idea di come si presentassero i paesaggi preistorici. E ciò che più conta, molti resoconti fornirono terr ibili particolari e spiegazioni in rapporto con le visioni di grandi ed ifici e giardini simili a giungle e altre cose. Erano già preoccupanti le v isioni e le confuse im- pressioni, ma quanto accennarono o asserirono alcun i dei sognatori sa- peva di pazzia e di empietà. Peggio di tutto, la mi a stessa pseudo-me- moria fu sollecitata a concepire sogni ancor più sf renati e allusioni a fu- ture rivelazioni. Ciò nonostante la maggioranza dei medici giudicò la mia iniziativa, nel complesso, opportuna. Studiai sistematicamente la psicologia, e sotto l'i nfluenza di questo stimolo mio figlio Wingate fece lo stesso--i suoi s tudi lo portarono infi- ne alla sua attuale cattedra di professore. Nel 191 7 e 1918 seguii dei corSi speciali alla Miskatonic University. Intanto la consultazione del- la documentazione medica, storica e antropologica d ivenne infaticabi- le, il che comportò anche viaggi fino a lontane bib lioteche e infine la lettura dei terribili libri di tradizioni proibite dei quali si era tanto in- teressata la mia seconda personalità. Alcuni di que sti erano le stesse COpie che avevo consultato durante il periodo criti co, e fui molto scosso nel vedere certe annotazioni marginali e apparenti correzioni dell'orri- ~le testo in una scrittura e in un idioma dall'aria stranamente disuma- Quelle annotazioni erano per lo più nelle rispettiv e lingue dei vari li- p, e chi le aveva usate pareva conoscerle tutte con identica padronan- ~- Una nota, però, a margine degli Unaussprechliche n Kulten di von ~zt, differiva in maniera allarmante. Consisteva in geroglifici curvi- 1 25 linei tracciati con lo stesso inchiostro delle corr ezioni in tedesco, ma diversi da tutti i geroglifici umani a noi noti. Qu ei segni erano invece si- mili, senza tema di errore, ai caratteri che vedevo continuamente nei miei sogni, caratteri il cui significato talvolta m i pareva di conoscere, o di essere sul punto di ricordare. A completare la mia totale confusione, molti biblio tecari mi garanti- rono che, in base alle precedenti visite e ai carte llini di consultazioni dei volumi in questione, tutte quelle postille dove vano essere state fat-

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te da me durante il periodo della seconda personali tà. E ciò malgrado il fatto che non conoscevo, né conosco, tre delle ling ue ivi utilizzate. Met- tendo insieme le varie documentazioni, antiche e mo derne, antropolo- giche e mediche, giunsi alla conclusione di essere di fronte a una cospi- cua mescolanza di mito e allucinazione, la cui ampi ezza e assurdità mi lasciarono letteralmente intontito. Solo una cosa m i consolò: il fatto che i miti risalissero a un'epoca così remota. Qual e scienza perduta avesse suggerito immagini di paesaggi del paleozoic o o mesozoico agli inventori di quelle favole primitive non sapevo imm aginarlo, ma le im- magini erano là. Comunque, doveva pur esserci qualc he spiegazione per la formazione di um'allucinazione ricorrente. I casi di amnesia fornirono, indubbiamente, il mode llo generale del mito, ma in seguito la proliferazione di tradizioni fantasiose deve aver influito sui sofferenti di amnesia e colorato le lo ro pseudo-memorie. Io stesso avevo letto e ascoltato molte di quelle anti che saghe durante il mio vuoto di memoria - la mia ricerca lo aveva ampi amente dimostra- to. Non era dunque naturale che i sogni e le impres sioni emotive suc- cessive si colorassero e si modellassero in base a quanto la mia mente aveva tratto in maniera indefinibile dalla seconda personalità? Alcuni miti avevano importanti collegamenti con alt re oscure leg- gende del mondo pre-umano, specialmente con raccont i indù che par- lavano di sbalorditivi abissi di tempo, e formavano una parte delle tra- dizioni dei moderni teosofisti. Mito primitivo e allucinazione moderna concordavano sulla tesi che la razza umana sia solo una - e forse la meno impor tante - delle razze altamente evolute e dominanti nella lunga vita del nostro pianeta, a noi ancora in gran parte sconosciuta. Cose di forma inconcepibile, insi- nuavano, avevano innalzato torri fino al cielo e sc avato nei segreti del- la natura molto prima che lontanissimi progenitori anfibi dell'uomo fossero usciti strisciando dal mare trecento milion i di anni fa. Alcune erano calate dalle stelle, poche erano vecch ie quanto il co- smo; altre erano nate rapidamente da germi terrestr i tanto prima dei germi iniziali del nostro ciclo vitale, quanto ques t'ultimo è remoto ri- spetto a noi, di spazi di migliaia di milioni di an ni, e di serie di altre ga- lassie e universi, di questo si parlava. Infatti il tempo, nel senso accet- tato dall'uomo, non ha in quest'ottica alcun valore . Ma parecchi racconti e impressioni riguardavano una razza relativa- mente recente, di forma strana e complicata, dissim ile da qualsiasi for- ma di vita nota alla scienza, che sarebbe vissuta f ino a cinquanta milio- ni di anni prima dell'avvento dell'uomo. Quella, si sosteneva, era stata la razza più grande di tutte perché essa sola aveva conquistato il segre- to del tempo. Aveva appreso tutte le cose che mai si fossero cono sciute o che mai si sarebbero conosciute sulla Terra, mediante una forz a mentale capace di proiettarsi verso il passato e verso il futuro, anche attraverso abissi di milioni di anni, e di studiare le tradizioni di ogni epoca. Dalle realiz- zazioni di quella razza nacquero tutte le leggende di profeti, incluse quelle della tradizione religiosa umana. Nelle sue grandi biblioteche vi erano una quantità di testi e illustra- zioni riguardanti tutte le epoche della Terra - sto rie e descrizioni di ogni specie passata o futura, con una documentazion e completa della sua arte, delle sue gesta, delle sue lingue e della sua psicologia. In possesso di una tale scienza che abbracciava tut ta l'eternità, la Grande Razza prelevò da ogni epoca e da ogni forma di vita le concezio- ni e realizzazioni artistiche e tecniche che più si adattavano alla sua

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natura e situazione. La conoscenza del passato, ott enuta mediante una specie di proiezione mentale al di fuori dei sensi conosciuti, era più dif- ficile da ottenere che non la previsione del futuro . Nel secondo caso la direzione era più facile e conc reta. Con idoneo aiuto meccanico una mente poteva proiettarsi avanti nel tempo, se- guendo l'oscura via extra-sensoriale fino ad avvici narsi al periodo desi- derato. Poi, dopo sondaggi preliminari, carpiva le cose migliori tra le più eccelse forme di vita di quel periodo. Entrava nel cervello dell'or- ganismo prescelto e là stabiliva le sue vibrazioni, mentre la mente so- Stituita tornava faticosamente al periodo di quella che l'aveva soppian- tata, rimanendo nel corpo di quest'ultima fin quand o non si verificava il processo inverso. La mente proiettata nel corpo dell'organismo del fu turo si atteggia- L va allora come un membro della razza di cui usava la forma esteriore, imparando il più rapidamente possibile tutto quanto vi era da appren- dere dell'epoca prescelta e delle sue cognizioni sc ientifiche e tecniche. ~- ~ Intanto la mente spodestata, gettata indietro nell'epoca e nel corpo ,della usurpatrice, veniva sorvegliata attentamente . Le era impedito di Fanneggiare il corpo che occupava e le veniva rubat o tutto il sapere da ~bili inquisitori. Spesso la interrogavano nella su a lingua, quando ri- erche precedenti nel futuro avevano fruttato cogniz ioni di tale lingua. Se la mente proveniva da un corpo la cui lingua non poteva essere fi- !a~nente riprodotta dalla Grande Razza, allora ci s i serviva di mac- ~e ingegnose che emettevano le frasi nella lingua s traniera, come r strumento che emetteva brani di musica invece che singole note. I membri della Grande Razza erano immensi coni rugo si, alti tre me- tri e con la testa e gli altri organi di senso atta ccati a membra estensibi- li, spesse una trentina di centimetri, che partivan o dal vertice. Essi parlavano battendo o grattando enormi zampe o artig li attaccati in fondo a due dei quattro arti, e camminavano mediant e l'espansione e la contrazione di uno strato viscoso attaccato all' ampia base di tre me- tri. Quando lo stupore e il risentimento della mente pri gioniera erano svaniti e quando - nel caso che provenisse da un co rpo molto diverso da quelli della Grande Razza - aveva perduto l'orrore per la sua forma sconosciuta e temporanea, le veniva concesso di stu diare il nuovo am- biente, sperimentando avvenimenti prodigiosi e ampl iando le proprie conoscenze scientifiche con sensazioni pressoché si mili a quelle della mente usurpatrice. Con adatte precauzioni, e in cambio di idonei servi zi, le veniva per- messo di vagare per il mondo abitabile in gigantesc he astronavi o in veicoli grandi come transatlantici, forniti di prop ulsione atomica, e di far ricerche nelle biblioteche che contenevano gli annali del passato e del futuro del pianeta. Questo riconciliò molte menti prigioniere con il lo ro destino. Perché tutte erano avide di sapere, e quindi la rivelazion e dei nascosti misteri della Terra- capitoli chiusi di passati straordinar i e abissi vertiginosi del tempo futuro, che comprendevano gli anni succes sivi alle loro epo- che di origine - costituiva sempre, malgrado gli sp aventosi orrori spes- so svelati, la somma esperienza della loro vita. Talvolta certe menti prigioniere avevano il permess o di incontrarsi

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con altre menti prigioniere prese dal futuro, per s cambiarsi pensieri con la consapevolezza di vivere cento o mille o un milione di anni pri- ma o dopo la loro epoca. E tutte erano sollecitate a scrivere abbondan- temente nella loro lingua, su loro stessi e sulle r ispettive epoche, poiché quei documenti venivano conservati nei grandi archi vi centrali. Possiamo aggiungere che vi fu un tipo speciale di m ente prigioniera i cui privilegi furono assai maggiori di quelli accor dati alle altre. Si trat- tava di esiliate permanenli destinate a morire nel passato perché i loro corpi del futuro erano stati catturati da membri de lla Grande Razza, i quali dovendo affrontare la morte cercarono di sfug gire all'annienta- mento della propria personalità. Queste esiliate malinconiche non erano così comuni come si sarebbe potuto immaginare, poiché la longevità della Grande Razza diminuiva in essa l'amore della vita, specialmente tra le men ti superiori, capaci di proiettarsi. Da casi di proiezione permanente delle vecchie menti nac- quero molti di quei cambiamenti durevoli di persona lità notati nella storia posteriore, compresa quella del genere umano . Quanto ai casi normali di esplorazione, quando la m ente usurpatrice aVeva appreso ciò che voleva del futuro si costruiv a una macchina co- me quella che aveva permesso il primo trasferimento e effettuava a ri- troso il processo di proiezione. Così essa rientrav a nel suo corpo e nella sua epoca, mentre la mente prigioniera tornava al c orpo del futuro, cui in reáltà apparteneva. . Solo quando uno dei due corpi era morto durante lo scambio, questa reintegraZione diveniva impossibile. In tali casi, naturalmente, la mente esploratrice - a somiglianza di quelle che sf uggono alla morte - doveva vivere fino alla fine della vita del corpo e straneo, oppure la mente prigioniera - a somiglianza delle esiliate pe rmanenti - doveva finire i suoi giorni nel corpo e nella remota epoca della Grande Razza. Questo destino era meno orribile quando la mente pr igioniera ap- parteneva alla Grande Razza, cosa possibile se si p ensa che in tutte le epoche quella razza si interessò intensamente della propria. Il numero delle esiliate permanenti della Grande Razza nell'i nsieme fu scarso so- prattutto per le gravi punizioni previste in caso d i sostituzione delle fu- ture menti della Grande Razza da parte di moribondi . Mediante la proiezione, furono presi accordi per in fliggere terribili punizioni alle menti colpevoli nei loro nuovi corpi futuri, e talvolta fu- rono effettuati nuovi scambi obbligati. Casi complessi di sostituzione di menti esploranti o già prigioniere da parte di menti in varie zone del passato furono scoperti e attenta- mente controllati. In ogni era, a partire dalla sco perta della proiezione mentale, una quota piccola ma non nulla della popol azione fu formata da menti della Grande Razza appartenenti a età pass ate, che vi si trat- tennero per periodi più o meno lunghi. Quando una mente prigioniera di origine estranea ve niva reintegra- ta nel suo corpo del futuro, era purgata tramite un a complessa ipnosi meccanica di tutto quanto aveva appreso a proposito della Grande Razza - Ciò per talune conseguenze preoccupanti con nesse col trasferi- mentO nel futuro di un vasto bagaglio di cognizioni . I pochi esempi esistenti di palese trasmissione ave vano causato, e causerebbero anche in futuro, grandi disastri. Ed e ra stato soprattutto in conseguenza di due casi del genere - stando agli antichi miti - che l~umanità aveva imparato tutto ciò che sapeva della Grande Razza.

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Di quanto è esistito fisicamente di quel mondo lont ano eoni, restano F~ ~Itanto certe enormi, pietrose rovine in luoghi lontani e sotto i mari, e ;~ acune parti dei terrificanti Manoscntti Pnakotic i. '~ Perciò la mente che faceva ritorno alla sua éra conservava immagini ~bolissime e frammentarie di quanto aveva subìto da l momento della -~ttura. I ricordi da sradicare erano stati sradica ti, e in moltissimi casi llo un buio punteggiato di sogni si protendeva a ri troso, al tempo del imo scambio. Certe menti ricordavano più di altre, e il casuale acco- ~mentO di ricordi aveva, qualche volta, portato tra cce del passato ibito nelle età future. Probabilmente non vi fu mai epoca in cui gruppi o c ulti non conser- vassero tracce del genere. Nel Necronomicon si acce nna alla presenza di un culto di quel genere fra gli esseri umani, un culto che talvolta for- nì un aiuto alle menti affinché si librassero attra verso gli eoni partendo dai giorni della Grande Razza. Nel frattempo la Grande Razza divenne quasi onnisci ente e si dedicò al compito di organizzare scambi con le menti di al tri pianeti - e talvol- ta di esplorare il loro passato e il loro futuro. C ercò, parimenti, di son- dare gli anni passati e l'origine di quella sfera n era e morta da eternità, nel lontano spazio, donde era scaturito il suo patr imonio mentale- perché la mente della Grande Razza era più antica d ella sua forma cor- porea. Gli esseri di un antichissimo mondo morente, edotti sui segreti ulti- mi, aveYano guardato innanzi in cerca di un nuovo m ondo e di una nuo- va specie in cui vivere una lunga vita, e avevano m andato le loro menti in massa nella futura razza più adatta ad accoglier le, cioè gli esseri a forma di cono che popolarono la nostra terra un mil iardo di anni fa. Nacque così la Grande Razza, mentre la miriade di m enti rimandate indietro furono lasciate morire nell'orrore di stra nissime forme. In se- guito tale razza avrebbe affrontato di nuovo la mor te riuscendo però a salvarsi grazie alla migrazione delle proprie menti migliori nei corpi di altri esseri con un periodo di sopravvivenza più lu ngo davanti a loro. Fu quello lo sfondo delle leggende e delle allucina zioni intrecciate as- sieme. Quando, attorno al 1920, le mie richerche as sunsero una forma coerente, avvertii un lieve alleggerimento della te nsione che le fasi pre- cedenti mi avevano causato. Dopotutto, e malgrado l e fantasie solleci- tate da cieche emozioni, molti dei miei fenomeni no n avevano una spie- gazione a portata di mano? Qualunque avvenimento fo rtuito avrebbe potuto indirizzarmi la mente verso studi occultisti ci durante l'amne- sia; e poi avevo letto le leggende proibite e conos ciuto membri di culti antichi e malfamati. Tutto ciò poteva bene avere fo rnito il materiale per i sogni e le sensazioni disordinate che mi avev ano assalito dopo il ritorno della memoria. Quanto alle note a margine scritte nei geroglifici del sogno in lingue a me ignote, ma a me attribuite dai bibliotecari, f orse avevo appreso una infarinatura di quelle lingue durante la second a vita, mentre i ge- roglifici furono indubbiamente creati dalla mia fan tasia in base a de- scrizioni in vecchie leggende, poi riprese dai sogn i. Tentai di verificare certi punti per mezzo di conversazioni coi capi di celebri sette, ma non arrivai mai a ricostruire i giusti rapporti.

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A volte le analogie in casi appartenenti a epoche d istanti continuaro- no a perseguitarmi, come all'inizio, ma d'altra par te riflettei che il fol- klore era stato più universale nel passato che nel presente. Forse tutte le altre vittime i cui casi erano simil i al mio vantavano profonde cognizioni e familiarità con i racconti ch e io avevo scoperto soltanto durante la mia seconda vita. Quando quelle vittime avevano perduto la memoria, si erano immedesimate nelle cre ature dei familia- ri uniti a loro - i favolosi invasori che si diceva sostituissero le menti degli uomini - e avevano intrapreso ricerche che, s econdo loro, li avrebbero riportati indietro a un immaginario passa to non umano. Poi, quando riconquistarono la memoria, invertirono la direzione dell associazione e si identificarono con le preced enti menti prigionie- re, anziché con quelle usurpatrici. Da lì i sogni e gli pseudo-ricordi che seguivanO gli schemi del mito convenzionale. Nonostante l'evidente goffaggine di tali spiegazion i, queste finirono per soppiantare tutte le altre nella mia mente, sop rattutto per la poca consistenza delle altre teorie. E un ragguardevole numero di eminenti psicologi e antropologi a poco a poco giunse a cond ividere le mie idee. Più riflettevo, più il mio ragionamento mi sembrava convincente; e alla fine ebbi a disposizione un efficace baluardo contro le visioni e le impressioni che ancora mi assalivano. Mettiamo che vedessi cose stra- ne di notte. Ebbene, non erano che frutto di lettur e o di racconti orali. Avevo strane repulsioni e visioni? Anche quelle era no solo echi di miti assorbiti durante la seconda esistenza. Nulla di qu anto sognavo, nulla di quanto sentivo era veramente importante. Confortato da tale filosofia, ebbi notevoli miglior amenti nell'equili- brio nervoso, benché le visioni - più che le impres sioni astratte - si fa- cessero più frequenti e ricche di particolari sconv olgenti. Nel 1922 mi senti in grado di riprendere il lavoro regolare, e sfruttai le nuove cono- scenze in mio possesso accettando un posto di letto re di psicologia al- l'università. La cattedra di economia politica era stata ormai af fidata ad altri, senza contare che i metodi di insegnamento della sc ienza economica erano sensibilmente cambiati dal tempo dei miei ann i migliori. Mio fi- glio a quell'epoca si accingeva a seguire gli studi di perfezionamento per arrivare alla cattedra, e così lavorammo assiem e per parecchio temDo. ~nunque continuai a registrare con cura i sogni viv i, intensi e strava- ti che mi affollavano la mente. Questi appunti, pen sai, erano di au- ntico valore come documento psicologico. Le fugaci visioni parevano ~ora ricordi, benché io combattessi quella impressi one con una buo- jdose di successo. 31 Scrivendo, trattai le visioni più fantasmagoriche c ome dati di fatto; ma dentro di me continuai a considerarle ragnatele illusorie della not- te. Non avevo mai fatto parola di questi problemi n elle normali conver- sazioni, per quanto certi riferimenti, filtrati com e succede in casi del genere, avessero sollevato una quantità di voci dis perate sulla mia sa- lute mentale. E buffo constatare come tali voci si limitassero alla cer- chia dei profani, senza contare un solo seguace tra medici e psicologi. Delle mie visioni dopo il 1914 ne citerò qui solo p oche, in quanto re- soconti e rapporti più completi sono a disposizione di chi vuole studia- re seriamente il caso. E evidente che con il tempo le strane inibizioni in

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un certo senso svanirono, visto che crebbe moltissi mo la portata delle mie visioni. Comunque non sono mai state altro che frammenti disuni- ti, apparentemente privi di spiegazione. In sogno mi sembrava di acquistare una sempre maggi ore libertà di vagabondare. Fluttuavo per misteriosi edifici di pi etra, passando dal- I'uno all'altro per mezzo di enormi corridoi sotter ranei, tali da formare vere e proprie vie di transito. Talvolta negli stra ti inferiori m'imbatte- vo in quelle gigantesche botole ermeticamente chius e intorno alle qua- li aleggiava un'atmosfera di paura e di cose proibi te. Vidi grandi piscine a mosaico, e stanze piene di st rani e inspiegabili utensili dalle mille fogge, e colossali caverne con macchine complicate, le cui forme e i cui scopi mi erano sconosciuti e i l cui rumore continuai a udire per anni nei sogni. Vorrei qui far notare c he vista e udito erano gli unici sensi di cui disponessi nel mondo visiona rio. Il vero orrore iniziò nel maggio del 1915, quando v idi per la prima volta delle cose viventi. Questo accadde prima che gli studi mi avessero insegnato cosa dovevo aspettarmi, tenuto conto dei miti e dei casi clini- ci. Quando crollarono le barriere mentali, comincia i a intravedere grandi masse di sottile vapore in varie parti dell' edificio e nelle strade sottostanti. Queste si fecero più solide e nette, e infine ne di stinsi i contorni mo- struosi con facilità conturbante. Mi apparvero enor mi coni iridescenti alti circa tre metri e larghi altrettanto alla base , fatti di materia rugo- sa, squamosa e semi-elastica. Dalla sommità si proi ettavano quattro membra flessibili, cilindriche, ciascuna di trenta centimetri di diame- tro, e rugose come i coni stessi. Le membra talvolta si contraevano fino quasi a scom parire, oppure si estendevano fino a circa tre metri. Due arti ter minavano con enormi artigli o chele, in fondo al terzo vi erano quattro appendici rosse, a for- ma di tromba. Il quarto arto finiva con un globo ir regolare, giallogno- lo, di circa mezzo metro di diametro e con tre gran di occhi scuri siste- mati lungo la circonferenza centrale. Quella testa era sormontata da quattro peduncoli gr igi e sottili dota- ti di appendici a forma di fiore, mentre dal basso pendevano otto an- tenne o tentacoli verdastri. La grande base del cono principale era li- mitata da una frangia di sostanza gommosa grigi a che muoveva tutta I'entità mediante l'alternarsi di espansioni e contrazioni. 3 Il loro comportamento, benché innocuo, mi ino rridì più del loro aspett°, perché non è piacevole vedere oggetti mostruosi fare cose che notoriamente fanno solo gli esseri umani. Quegl i oggetti si muovevano con intelligenza nelle grandi stanze, prendevan o libri dagli scaffali, li portavano sui tavoli o viceversa, e talvolta sc rivevano diligentemente con bacchette speciali sorrette dai tentacoli d ella testa verdastra. Le chele enormi venivano usate per portare i libri e nella conversazione il dialogo consisteva in una serie di schiocchi. Le creature non indossavano vestiti ma portav ano cartelle o zaini ap- pesi alla sommità del tronco conico. Di solito tenevano la testa e il membro che la sosteneva al livello del vertice del cono, ma spesso la sollevavano o I'abbassavano. Gli altri tre grandi arti pendevano spesso in posizione di riposo lungo i fianchi del cono e si contraevano fino a un m etro e mezzo quando non servivano. A giudicare da come leggevano, scriv evano e azionavano le macchine - quelli ai tavoli dovevano svolgere a ttività intellettuali--ne conclusi che la loro intelligenza fosse molto m aggiore di quella del- I'uomo. In seguito li vidi dappertutto; brulicavano p er stanze e corridoi, sor-

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vegliavano macchine mostruose in cripte a volta , e percorrevano le am- pie strade su automobili gigantesche a forma d i imbarcazione. Smisi di aver paura di loro quando compresi che pur ess endo fisicamente diver- si costituivano una componente naturalissima d el loro ambiente. Mi si rivelarono differenze individuali fra l oro, e alcuni parevano es- sere sottoposti a qualche specie di controllo. Questi ultimi infatti, pur non essendo fisicamente diversi, mostravano di somogeneità di gesti e t abitudini che li distinguevano non solo dalla maggioranza, ma anche tra di loro. Scrivevano moltissimo in una gran varietà di caratteri, o almeno co- sì mi parve nelle confuse visioni; mai nei tip ici geroglifici curvilinei che avevo imparato a conoscere. Pochi, immagin ai, usavano il nostro alfabeto corrente. Moltissimi lavoravano più l entamente della media 3/~- delle altre entità. Per tutto il tempo dei sogni, la mia parte er a quella di una coscienza ~; Corporea con una gamma di visioni maggiore d el normale; fluttuavo, ~ppure ero costretto nei limiti delle strade nor mali e della velocità del ~affico. Fu solo nell'agosto 1915 che certi sosp etti di esistenza corpo- _ a preserO ad angosciarmi. Dico angosciarmi per ché la prima fase fu ~a associazione mentale astratta, ma terrificant e, della ripugnanza ~porea, già rilevata, con le scene delle visioni . ~er qualche tempo la preoccupazione principale d urante i sogni fu quella di evitare di guardarmi, e ricordo come fui grato per la mancan- za totale di grandi specchi nelle misteriose stanze . Mi turbò molto il fatto di vedere sempre le grandi tavole - la cui al tezza non poteva esse- re inferiore a tre metri- non dal basso ma dall'alt o. Poi la tentazione di guardarmi si fece sempre maggi ore, finché una notte non resistetti. Dapprima, abbassando lo sguar do, non vidi nulla. Un attimo dopo mi accorsi che ciò era dovuto al fat to che la testa era in cima a un collo flessibile di enorme lunghezza. Rit raendo il collo e ab- bassando lo sguardo, vidi la massa rugosa, squamosa , iridescente di un grande cono alto tre metri e largo altrettanto alla base. Fu allora che svegliai mezza Arkham con le mie grida, quando riem ersi come un paz- zo dall'abisso del sonno. Soltanto dopo settimane di odiosa ripetizione finii per riconciliarmi in parte con quelle visioni di me stesso sotto most ruose sembianze. Nei sogni, allora, mi muovevo con il corpo in mezzo all e altre entità scono- sciute, leggevo libri terribili presi dagli infinit i scaffali e scrivevo per ore alle grandi tavole con stili impugnati dai verd i tentacoli che mi pendevano dalla testa. Brani di quanto leggevo e scrivevo indugiavano nei miei ricordi. Vi erano annali di altri mondi e altri universi, e tum ulti di vita senza for- ma al di fuori di tutti gli universi. Vi erano docu menti su strani ordini di esseri che avevano popolato il mcmdo in passati dimenticati, e terri- ficanti cronache di intelligenze dai corpi grottesc hi che lo avrebbero popolato milioni di anni dopo la morte degli ultimi esseri umani. rmparai capitoli di storia umana la cui esistenza n essuno studioso di oggi ha mai sospettato. La maggioranza di tali scri tti era nella lingua dei geroglifici, che io studiai in modo bizzarro co n l'aiuto di macchine ronzanti, e che era evidentemente un idioma aggluti nante con sistemi di radici assolutamente dissimili da quelli esisten ti nelle lingue uma- ne. Altri volumi erano in lingue sconosciute, che avevo appreso nella stessa strana maniera. Pochissimi erano scritti in lingue a me note. Pit- ture di pregevole fattura, sia inserite negli annal i sia raccolte in colle- zioni a parte, mi aiutarono immensamente. E per tut to il tempo mi parve di scrivere la storia della mia epoca in ingl ese. Al risveglio, ricor- davo solo minimi brandelli senza significato delle lingue di cui ero pa-

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drone nel sogno, mentre conservavo il ricordo di in tere frasi della mia storia. Ancor prima che avessi studiato i casi paralleli, o i vecchi miti da cui indubbiamente erano scaturiti i sogni, io seppi che le entità che mi cir- condavano erano della più grande razza del mondo, q uella che aveva conquistato il tempo e aveva inviato menti esplorat ive in ogni epoca. Seppi anche che ero stato sradicato dalla mia epoca mentre un altro usava il mio corpo in quell'epoca. Mi pareva di par lare, in una strana lingua fatta di battiti di artigli, Corl intelletti provenienti da ogni ango- lo del sistema solare. Vi era una mente venuta dal pianeta che noi conosci amo come Vene- re, che viveva in incalcolabili epoche a venire, e un'altra di una luna di Giove che viveva sei milioni di anni nel passato. D i menti terrestri ce n'eranO alcune appartenenti alla razza dell'Antarti de del Paleogene, con ali, testa fatta a stella e di natura semi-vege tale; una alla gente- rettile della leggendaria Valusia; tre agli adorato ri di Tsathoggua, iper- borei pelosi, pre-umani; una agli abominevoli Tcho- Tcho; due agli aracnidi dell'ultima era della Terra; cinque alla c oraggiosa specie dei coleotteri che verrà subito dopo il genere umano, e nella quale la Gran- de Razza avrebbe un giorno trasferito in massa le s ue menti più acute, nella imminenza di un'orribile pericolo, e parecchi e a diversi rami del- I'umanità. Parlai con la mente di Yiang-Li, un filosofo del cr udele impero di Tsan-Chan che verrà nel cinquemila; con quella di u n generale del bru- no popolo dalle grosse teste che governò in Sud Afr ica nel cinquanta- mila a.C.; con quella di un monaco fiorentino del d odicesimo secolo, di nome Bartolomeo Corsi; con quella di un re di Lomar che aveva domi- nato su quella terribile terra polare centomila ann i prima che i tarchia- ti e gialli Inutos giungessero dall'ovest per annie ntarla. Parlai con la mente di Nug-Soth, un mago dei bruni conquistatori del sedicimila; con quella di un antico romano, Tit us Sempronius Blae- sus, che era stato questore ai tempi di Silla; con quella di Khephnes, un egizio della quattordicesima dinastia, il quale mi narrò i terribili se- greti di Nyarlathotep; con quella di un sacerdote d el regno di mezzo ad Atlantide; con quella di un gentiluomo del SuffoLI~ ai tempi di Crom- well, James Woodville; con quella di un astronomo d i corte del Perù pre-Incas; con quella di un fisico australiano, Nev el Kingston-Brown, che morirà nel duemilacinquecentodiciotto; con quel la di Theodori- des, un ufficiale greco-bactriano del duecento a.C. ; con quella di un an- ziano francese del tempo di Luigi XIII, Pierre-Loui s Montagny; con quella di Crom-Ya, un condottiero cimmerio del quin dicimila a.C., e oon tanti altri di cui il mio cervello non ha conse rvato gli impressio- nanti segreti e i prodigi che mi rivelarono. ~ Ogni mattina mi destavo in fermento, certe volte con la voglia frene- r~ tica di controllare la verità di informazioni ch e rientravano nell'ambi- b delle moderne cognizioni umane. I fatti tradizion ali assunsero ISpetti nuovi e di difficile valutazione, e mi stup ii della fantasia onirica ~pace di aggiungere simili appendici alla storia e alla scienza. I~Rabbrividii per i misteri che il passato poteva c elare, e tremai al pen- ~ero delle minacce che il futuro ci avrebbe riserva to. Quanto veniva ennato nei discorsi delle entità post-umane circa l a sorte dell'uma- mi fece un effetto che non so tradurre in parole. Dopo l'uomo vi sarebbe stata la potente civiltà dei coleotteri, i cui corpi sarebbero stati catturati dal meglio della Gr ande Razza quando la mostruosa condanna fosse calata sul vecchio mond o. Più tardi, alla chiusura del ciclo della Terra, le menti trasferite avrebbero di nuovo

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migrato attraverso il tempo e lo spazio verso un al tro luogo, per fer- marsi nei corpi delle bulbose entità vegetali di Me rcurio. Ma dopo di loro sarebbero venute altre razze, pateticamente ab barbicate al freddo pianeta e rintanate in profondità piene di orrore, prima della rovina fi- nale. Frattanto, nei miei sogni, io scrivevo indefessamen te quella storia della mia epoca che preparavo - in parte volontaria mente e in parte con la promessa di maggiori possibilità di consulta zioni in biblioteca e di viaggi - per gli archivi centrali della Grande R azza. Gli archivi era- no in un colossale edificio sotterraneo vicino al c entro della città, che imparai a conoscere bene. Quella miniera di informa zioni che, secondo gli intendimenti, doveva durare quanto la razza e s opportare le più vio- lente agitazioni terrestri, superava tutte le altre costruzioni quanto a massiccia solidità. Gli annali, scritti a mano o stampati su grandi pag ine di una sostan- za derivata dalla cellulosa e straordinariamente re sistente, erano rac- colti in volumi che si aprivano dall'alto ed erano conservati in cassette di un metallo sconosciuto, leggero e inossidabile, di colore grigio, deco- rate con disegni matematici e con il titolo nei ger oglifici curvilinei del- la Grande Razza. Queste cassette erano sistemate in innumerevoli fil e di scaffali muni- ti di sportelli chiusi a chiave, lavorati nello ste sso metallo e chiusi da manopole dall'intricato funzionamento. La mia stori a fu assegnata a un determinato posto nelle volte del piano più bass o o dei vertebrati, la sezione dedicata alle civiltà dell'uomo e delle raz ze pelose simili a ret- tili che ne furono i predecessori immediati nel dom inio della Terra. Ma nessuno dei sogni mi fornì mai un quadro complet o della vita quo- tidiana. Erano tutti frammenti oscuri, sconnessi, e certamente non si manifestarono nella giusta sequenza. A esempio, ho una idea molto im- perfetta di come fosse organizzata la mia vita nel mondo onirico; però mi sembra di aver posseduto una grande stanza di pi etra, tutta per me. Le mie limitazioni di prigioniero scomparvero a poc o a poco, così alcu- ne visioni inclusero vividi viaggi lungo le grandio se strade nella giun- gla, soggiorni in città misteriose, esplorazioni di enormi rovine scure e prive di finestre, dalle quali la Grande Razza si t eneva lontana per uno strano senso di paura. Vi furono anche lunghi viagg i per mare su naVi ti ir.~'rf~lihilmPnte v:'l()ci e ~ite sonra terre s elva~e za, e in un lontano continente vidi i rozzi villagg i delle creature alate e con il nero muso prominente che si sarebbero evolut e come razza do- minante una volta che la Grande Razza avesse mandat o le sue menti più eccelse nel futuro, per sfuggire a un orrore st risciante. Uniformità ed esuberante vegetazione erano sempre le note fond amentali del pae- saggio. Le colline erano basse e rare e di solito m ostravano segni di atti- vità vulcanica. Sugli animali che vidi potrei scrivere interi volum i. Tutti erano sel- vatici, perché la civiltà meccanizzata della Grande Razza aveva aboli- to gli animali domestici, mentre il cibo era intera mente vegetale o sin- tetico. Goffi rettili di grande mole sguazzavano in fumose paludi, flut- tuavano nell'aria pesante o si gettavano in mari e laghi; e tra quelli io immaginai di riconoscere vagamente i prototipi più piccoli e meno evoluti di molte specie - dinosauri, pterodattili, ittiosauri, labirinto- donti plesiosauri, e simili - resi familiari dalla paleontologia. Uccelli o mammiferi non ne scopersi. Il terreno e gli acquitrini pullulavano di serpenti , lucertole, cocco- drilli e insetti ronzavano di continuo tra la rigog liosa vegetazione. In

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~L lontananza, sul mare, mostri sconosciuti nascost i sott'acqua zampilla- vano altissime colonne di schiuma nel cielo saturo di vapori. Una volta fui portato sotto l'oceano in un gigantesco sottoma rino munito di ri- flettori, e intravidi orrori viventi di grandezza p aurosa. Vidi anche le rovine di incredibili città sepolte e la profusione di vita crinoide, bra- chiopode, corallina e ittica che abbondava dovunque . Poche furono le informazioni che le mie visioni con servarono della fi- siologia~ psicologia, tradizioni, storia particolar eggiata della Grande Razza, e molti dei punti sparsi che qui raccolgo fu rono spigolati dagli studi delle vecchie leggende e da altri casi, più c he dai miei sogni. Col tempo, infatti, letture e ricerche si tennero a l passo con i sogni, e 1 ~ in molte fasi le superarono, cosicché taluni fr ammenti onirici furono egati in anticipo e costituirono verifiche di quant o avevo imparato. j~Ciò rafforzO in me la convinzione consolante che simili letture e ricer- ~he, Compiute dalla mia seconda personalità, avesse ro costituito la ~nte di tutto il tessuto orribile delle pseudo-memo rie. ~ L~antichità del periodo cui si riferivano i miei sogni, evidentemente, _ ~ inferiore ai centocinquanta milioni di anni fa, quando il paleozoico ~ciò il posto al Mesozoico. I corpi occupati dalla Grande Razza non _ presentarono nessuna linea evolutiva - almeno pro vata scientifica- _ ~te- della fauna terrestre, ma possedevano una om ogeneità parti- _ re ed erano di tipo organico molto specializzato, collocabile a metà _ da tra lo stato ve~etale e auello animale. uno dei grandi arti flessibili era sempre semifluid o, e sotto molti aspet- ti totalmente diverso dal cibo degli animali colà p resenti. Gli esseri conici possedevano soltanto due dei sens i conosciuti--vista e udito - quest'ultimo esercitato mediante le appen dici a forrna di fiore sui peduncoli grigi che stavano sopra la testa. Di altri sensi incompren- sibili - e comunque non ben utilizzabili da menti e stranee e prigioniere racchiuse nei loro corpi - ne possedevano molti I l oro tre occhi erano sistemati in maniera da consentire loro un campo vi sivo più ampio del normale. Il loro sangue era una specie di icóre ver de scuro di forte den- sità. Non avevano sesso, ma si riproducevano per mezzo di semi o spore che si raccoglievano sulla loro base e si sviluppav ano soltanto sott'ac- qua. Per la crescita dei figli usavano grandi vasch e poco profonde - ma i piccoli venivano allevati in numero modesto data la longevità dei membri della loro specie - il normale periodo di vi ta andava infatti dai quattro ai cinquemila anni. Individui con evidenti difetti venivano eliminati a ppena si scopriva- no tali difetti. Le malattie o I'avvicinarsi della morte, in mancanza del senso del dolore fisico, venivano riconosciuti da s intomi puramente vi- sivi. I morti erano cremati con cerimonie solenni. Ogni t anto, come si è detto, una mente acuta sfuggiva alla morte proietta ndosi innanzi nel tempo; ma non si trattava di casi numerosi. Quando se ne verificava uno, la mente cacciata dal futuro veniva trattata c on estrema gentilez- za fino alla morte del suo involucro estraneo. La Grande Razza formava un'unica nazione o lega la cui coesione era assicurata da blande regole. Le maggiori istituzion i erano in comune, ma esistevano quattro divisioni assai nette. Il sis tema politico e econo- mico di ogni unità era una specie di socialismo aut oritario con le prin- cipali risorse distribuite in modo razionale e il p otere affldato a un ri-

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stretto consiglio di governo eletto con i voti di t utti coloro che avevano superato certe prove educative e psicologiche. L'or ganizzazione fami- liare non era tenuta in gran conto benché si ricono scessero i legami tra le persone di comune discendenza e i giovani fosser o generalmente al- levati dai genitori. Rassomiglianze con atteggiamenti e istituzioni uman e erano molto spiccate, naturalmente, in quei campi che riguardav ano certi principi astratti, oppure registravano il predominio dei bis ogni basilari e non specifici comuni a tutta la vita organica. Talune a ltre somiglianze veni- vano da una scelta cosciente perché la Grande Razza sondava il futuro e copiava quanto le piaceva. L'industria tecnicamente molto evoluta richiedeva p ochissimo tem- po a ogni cittadino; l'abbondante tempo libero veni va dedicato ad atti- vità intellettuali ed estetiche di varia natura. Le scienze erano a un incredibile grado di sviluppo e l'arte era un '~ aspetto essenziale dell'esistenza, sebbene nel p eriodo dei miei sogni es- sa fosse già in una fase di decadenza. La tecnologi a era grandemente stimolata dalla perenne lotta per sopravvivere e te nere in vita il tessuto fisico delle immense città, imposto dai mostruosi s ollevamenti geolo- gici dei primordi. I reati erano sorprendentemente rari e venivano tra ttati con un siste- ma efficacissimo. Le punizioni andavano dalla priva zione dei privilegi e dalla carcerazione, alla morte o a forti torture emotive, e non erano mai inflitte senza un attento esame dei moventi cri minosi. La guerra, per lo più civile negli ultimi millenni, ma talvolta mossa contro i Vecchi Alati dalla testa stellata che popo lavano l'Antartico, era un avvenimento insolito, ma orribilmente devastante . Un esercito enorme che faceva uso di armi simili ad apparecchi fotografici capaci di prodúrre terribili effetti elettrici, veniva ten uto in efficienza per sco- pi di cui poco si parlava, ma evidentemente collega ti con il perenne ti- more delle oscure, vecchie rovine senza finestre e delle grandi botole ermetiche ai piani sotterranei più bassi. La paura delle rovine e delle botole di basalto era soprattutto una questione di idee non dette, o al massimo di mezzi sussurri furtivi. Qualunque cosa essi racchiudessero, era assente dai libri che riempiva- no i comuni scaffali. Era l'unico argomento conside rato tabù dalla Grande Razza, forse collegato sia con le orribili l otte passate, sia con il futuro pericolo che avrebbe un giorno costretto la razza a trasferire nel futuro le sue menti più fervide, in massa. Le altre informazioni offerte da sogni e leggende e rano imperfette e frammentarie, ma quell'argomento era tenuto segreto in modo assai sooncertante. I vaghi miti antichi evitavano di par larne - o forse qual- siasi allusione in proposito era stata tolta per qu alche motivo. E nei so- gni, miei e di altri, le tracce erano pochissime. I membri della Grande Razza non si riferivano alla cosa intenzionalmente, e quanto se ne po- teva sapere veniva soltanto da certe menti prigioni ere particolarmente acute e osservatrici. Secondo quei ritagli di notizie, il fondamento dell a paura stava in un a~ibile antichissima razza di entità estranee, mezz e polipi, venuta at- ~averSo lo spazio da universi incommensurabilmente lontani che ave- ~dominato la terra e altri tre pianeti del sistema solare circa seicento pioni di anni fa. I suoi membri erano solo parzialm ente materiali -

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pndo il nostro concetto di materia - e il loro gene re di coscienza e di ~zzi di percezione differiva notevolmente da quello degli organismi pstri. Per esempio, ai loro sensi mancava la vista; il loro mondo ~tale era costituito da impressioni misteriose, non visive. ~ano, tuttavia, abbastanza solidi per usare utensil i di materia nor- ~, quandO erano in zone cosmiche in cui aveva senso servirsene, e necessitavano di alloggi - quantunque di genere par ticolare. I loro sen- si potevano attraversare tutte le barriere material i, ma la loro sostanza no; certe forme di energia elettrica potevano distr uggerli totalmente Erano capaci di moto aereo, malgrado la mancanza di ali o altri mezzi visibili di sollevamento. Le loro menti erano di ta le natura che la Gran- de Razza non poteva fare scambi con loro. Quando questi esseri vennero sulla Terra, costruiro no grandiose cit- tà di basalto con edifici senza finestre, altissimi , e distrussero orribil- mente gli originari abitanti del pianeta. Quella er a la situazione quan- do le menti della Grande Razza saettarono nel vuoto da quel mondo te- nebroso e trans-galattico noto col nome di Yith nei sinistri e discutibili Frammenti di Eltdown. I nuovi arrivati, con gli strumenti che idearono, s ottomisero con faci- lità le entità rapaci e le imprigionarono in quelle caverne della profon- da terra che queste ultime avevano già collegato co n le loro abitazioni e dove già avevano cominciato ad abitare. Ne avevano poi sigillate le entrate e li avevano ab bandonati al loro destino, dopo aver conquistato gran parte delle gra ndi città e rispar- miato certi edifici importanti per motivi legati pi ù alla superstizione che a indifferenza, audacia, o zelo scientifico e s torico. Ma, col passare degli eoni vennero segni indistinti e funesti che le co- se più anziane si erano fatte forti e numerose nel mondo sotterraneo. Vi furono sporadiche irruzioni di tipo particolarmente detestabile in cer- te città piccole e remote della Grande Razza, e in alcune vecchie città abbandonate che la Grande Razza non aveva popolato- luoghi dove gli accessi agli abissi sottostanti non erano stati opp ortunamente sigillati o sorvegliati. Dopo ciò furono prese maggiori precauzioni, e molti accessi furono chiusi per sempre - alcuni però furono dotati di bo tole ermetiche per uso strategico, in caso di lotta contro le entità p iù anziane, caso mai avessero fatto irruzione in luoghi imprevisti. Le irruzioni di quelle entità dovevano essere state impressionanti ol- tre ogni descrizione, perché avevano lasciato un ma rchio permanente nella psicologia della Grande Razza. Tale fu lo sta to di angoscia perdu- rante che non fu mai detto il vero aspetto fisico d i quelle creature. Mai riuscii a cogliere un chiaro accenno alle loro semb ianze. Vi furono velate allusioni a una plasticità mostruo sa e a temporanei intervalli di invisibilità, mentre altre voci framm entarie si riferivano al controllo e all'uso militare dei grandi venti da essi operato. Strani rumori fischianti e orme di piedi colossali con cin que impronte di dita circolari venivano ugualmente associati a quelle co se. Era chiaro che la futura catastrofe, così temuta da lla Grande Razza - I'incombente distruzione che un giorno avrebbe cost retto all'esilio mi- lioni di fervide menti attraverso gli abissi del te mpo verso strani corpi

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in un futuro più sicuro - aveva a che fare con la g eneralizzata irruzione degli esseri antichi, che avrebbero ottenuto la vit toria. Le proiezioni mentali attraverso le ere avevano pre annunziato un ta- le orrore, e la Grande Razza aveva deciso che nessu no di quelli che po- tevan° fuggire doveva affrontarlo. Infatti la scorr eria avrebbe avuto il sapore di una vendetta, più che di un tentativo di rioccupare il mondo esternO, e questo lo sapevano dalla recente storia del pianeta, perché le loro proiezioni rivelarono un andirivieni di razze successive non di- sturbate dalle entità mostruose. Forse quelle entità avevano finito per preferire gl i abissi profondi della Terra alla inquieta superficie devastata dall e tempeste, poiché per loro la luce non aveva la minima importanza. Fo rse si erano anche indeboliti attraverso gli eoni. In realtà si sapeva che sarebbero stati estinti al tempo della razza post-umana dei coleott eri, nella quale si sa- rebbero insediate le menti degli esuli. ~el frattempo la Grande Razza continuò la prudente sorveglianza con potenti armi sempre pronte, nonostante l'argome nto fosse bandito dalla conversazione di ogni giorno e dalla document azione visibile. E sempre l'ombra della paura senza nome aleggiava att orno alle botole sigillate e alle torri oscure e senza finestre. Ecco il mondo di cui ogni notte i sogni mi portavan o echi indistinti e sparsi. ~Ion spero di darvi una vera idea dell'orro re e dello spavento contenuti in quegli echi, perché tali sensazioni di pesero essenzialmen- te da caratteristiche inafferrabili - dalla differe nte sensibilità della pseudo-memoria. Come ho detto gli studi mi consentirono una gradual e difesa contro quei sentimenti sotto forma di spiegazioni razional i e psicologiche, e tale influenza positiva fu accresciuta dal misterio so potere dell'abitu- dine, che si dispiega col passare del tempo. Malgra do tutto, il vago ter- j, IlOre serpeggiante tornava di tanto in tanto, mo mentaneamente. Ma t non mi inghiottiva più come una volta, e dopo il 1922 io vissi una vita rmale di lavoro e di svago. ~ ~E Nel corso degli anni cominciai a capire che la mia esperienza - insie- v ~e con i casi analoghi e il relativo foL~lore - m eritava di essere riassun- e pubblicata a beneficio degli studiosi più seri . Perciò preparai una _ ie di articoli che riassumevano tutta la storia, e li illustrai con schiz- ~approssimativi di forme, scene, motivi decorativi e geroglifici, così _me li ricordavo dai so~ni. Tali articoli apparvero a intervalli durante il 192 8 e il 1929 nel Jour- nal of the American Psychological Society, ma non s uscitarono molto in- teresse. Intanto io proseguii il diario dei miei so gni con cura minuzio- sa. Il I O giugno t 934 la Psychological Society mi spe dì la lettera che aprì la fase culminante e più orribile di quella folle e sperienza. La lettera re- cava il timbro postale di Pilbarra, in Australia Oc cidentale, e recava la ~irma di un uomo che scopersi essere un assai stima to tecnico minera- rio. Erano accluse alcune bizzarre istantanee. Ne r iproduco il testo in- tegralmente, e i lettori comprenderanno senza dubbi o quale e~fetto eb- bero su di me la lettera e le fotografie. Per un certo tempo rimasi inebetito e incredulo. Sp esso avevo pensa- to che un certo fondamento di realtà doveva esister e in alcune parti delle leggende che avevano colorato i miei sogni, c iò nondimeno ero impreparato alla tangibile sopravvivenza di un mond o perduto e re- moto. Più terribili di tutto furono le fotografie, perché là, in un freddo in~ontrovertibile realismo spiccavano su uno sfondo di sabbia certi blocchi di pietra deteriorati dalle intemperie, che presentavano la sommità convessa e la base concava in un modo per m e assai eloquen-

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te. E quando esaminai le fotografie con una lente d'ing randimento vidi chiaramente su quelle super~ici rovinate e butterat e, le tracce di quei disegni curvilinei e di quei geroglifici la cui imp ortanza era diventata per me così enorme. Ma ecco la lettera cui credo ci sia poco da aggiun- gere. 49, Dampier Street Pilbarra, Australia Occidentale 18 maggio 1934 Professore N.W. Peaslee presso American Psychological Society 30, Quarantunesima Strada Est l~lew York City, U.S.A. Egregio signore, a seguito di una recente conversazione con il Dotto r E.M. Boyle di Perth, e di certi suoi articoli che il dottor Boyle mi ha appena inviato, ri- tengo consigliabile parlarle di cose che ho visto n el Gran deserto sabbio- so, a oriente del nostro terreno aurifero. In consi derazione delle curiose leggende su antiche città con enormi opere in pietr a e misteriosi disegni di geroglifici che lei descrive, sembrerebbe che mi sia capitato fra le ma- ni qualcosa di veramente importante. ~li indigeni parlano da sempre di «grandi pietre co n dei segni sopra«, e pare che abbiano molta paura di tali oggetti. Le collegano in qualche modo con le loro leggende su Buddai, il vecchio gig antesco che da secoli giace addormentato sottoterra, con la testa sul bra ccio, e che un giorno si sveglierà e mangerà il mondo. Vi sono racconti antichissimi e ormai molto vaghi d i enormi dimore Sotterranee fatte di grosse pietre, dove i corridoi conducono sempre più in profondità e dove sono accadute cose orribili. G li indigeni sostengono che una volta alcuni soldati in fuga dopo una batta glia penetrarono in uno di questi passaggi e non tornarono più indietro , ma che dal luogo co- minciarono a soffiare venti spaventosi dopo che cos toro furono scesi. Tut- tavia non c'è molto buon senso in ciò che raccontan o gli indigeni. Ma ho ben altro da dirle. Due anni fa, quando esplo ravo la regione in cerca di giacimenti, a circa ottocento chilometri a est, nel deserto, mi im- battei in una quantità di strani pezzi di pietra de corata, forse della misu- ra di un metro per mezzo metro, e dello spessore di circa sessanta centi- metri, logorati e butterati quant'altri mai. Dapprima non rilevai i segni di cui parlavano gli i ndigeni, ma poi os- servando meglio notai delle linee profondamente inc ise. Erano curve particolari, proprio come avevano affermato i nativ i. Ce ne dovevano es- sere trenta o quaranta blocchi, alcuni quasi sepolt i nella sabbia, e tutti in [ un raggio di circa quattrocento metri. Incuriosito, ne cercai altri e feci un attento calc olo del luogo con i miei strumenti. Scattai anche delle foto di dieci o dodi ci tra i blocchi più tipi- ci, le cui copie ho accluso alla presente lettera. Passai informazioni e fotografie alle autorità gove rnative di Perth, ma 3 non hanno assunto alcuna iniziativa in proposito. Poi conobbi il dottor Boyle, che aveva letto i suoi articoli nel Journal of theAmerican Psychological Sociely e dopo un poco, m i capitò di accenna- re alle pietre. Egli si dimostrò interessatissimo e il suo entusiasmo rag- giunse il colmo quando gli mostrai le istantanee. D isse che le pietre e i se-

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gni assomigliavano incredibilmente alle costruzioni da lei sognate e de- scritte nelle leggende. Aveva intenzione di scriverle, ma è stato molto occ upato. Intanto mi ha mandato quasi tutte le riviste con i suoi articoli e io vidi subito, dai suoi disegni e dalle descrizioni, che le mie pietre sono sicuramente dello stes- so genere. Lo rileverà dalle fotografie. In seguito riceverà notizie dal dot- tor Boyle. Ora comprendo quanto sia per lei importante tutto q uesto. Senza dub- bio lei si trova di fronte ai resti di una civiltà sconosciuta, forse più antica di qualunque altra, e tale da formare una base per le sue leggende. Come tecnico minerario ho nozioni di geologia, e po sso dirle che questi blocchi sono tanto antichi da spaventarmi. Sono per lo più di arenaria e granitO, benché uno almeno sia fatto di uno strano tipo di cemento o cal- CestruzzO. I - ~ Recano tracce evidenti dell'azione dell'acqua , come se questa parte del 3' ~Fndo fosse stata sommersa e poi fosse riemersa dopo lunghe ere - il tut- ~dopo che quei blocchi erano stati tagliati e utili zzati. Penso a centinaia ~migliaia di anni - o forse molti di più, Dio solo sa quanti. isto il suo precedente, accurato lavoro nel rintrac ciare le leggende e tto quanto ad esse si collega, non dubito che lei v orrà guidare una spe- one nel deserto ed effettuare degli scavi. Il dotto r Boyle ed io siamo ~posti a collaborare in tale lavoro se lei, o organ izzazioni da lei contat- ,ie, finanzieranno l'operazione. Io posso mettere assieme una dozzina di minatori pe r gli scavi pesanti - gli indigeni non servirebbero a nulla, perché ho scoperto che hanno un terrore invincibile del luogo. Boyle ed io non ne a bbiamo parlato con al- tri, perché ovviamente spetta a lei avere la preced enza nelle scoperte e nel mento. Il luogo è raggiungibile da Pilbarra in circa quatt ro giorni con un vei- colo fuoristrada - di cui avremo bisogno per il nos tro macchinario. E più o meno a sud-ovest della pista di Warburton, del 18 73, e a centosessanta chilometri a sud~st di Joanna SpUng. Potremmo abbre viare risalendo il fiume De Grey invece di partire da Pilbarra - ma tu tto questo sarà meglio discuterlo al momento opportuno. Approssimativamente le pietre si trovano in un punt o a circa 20°3'14" di latitudine sud, 125~0'39" di longitudine est. Il clim~ è tollido e le con- dizioni climatiche del deserto sono proibitive. Attendo con piacere sue notizie sull'argomento e so no veramente im- paziente di assisterla in qualsiasi progetto lei co ncepisca. Dopo aver esa- minato i suoi articoli, sono rimasto molto colpito dal profondo significa- to dei temi da lei toccati. Il dottor Boyle le scriverà in seguito. Se necessit a di un mezzo di comu- nicazione urgente, può mandare un cablogramma a Per th e mi sarà tra- smesso via radio. Con viva speranza di una sollecita risposta, la pre go accettare i sensi della mia stima. ROBERT B.F. MACKENZIE

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Sulle immediate conseguenze della lettera si può ap prendere molto dai giornali. La mia grande fortuna di ottenere l'a ppoggio della Mis- katonic University, e tanto il signor Mackenzie qua nto il dottor Boyle si dimostrarono preziosi nell'organizzare la spedizion e in Australia. Non fummo troppo loquaci circa i nostri obiettivi, perc hé l'intera faccenda poteva prestarsi in modo sgradevole ad essere tratt ata dai giornali po- polari come fatto sensazionale o faceto. Di consegu enza, i resoconti stampati furono pochi ma sufficienti a rivelare che si trattava di ricer- che di rovine australiane con particolari sulle fas i preparatorie. Il professor William Dyer del corso di geologia - c apo della spedizio- ne antartica della Miskatonic University, nel 1930- 31 -, Ferdinand C. Ashleyn, docente di storia antica, e Tyler M. Freeb orn, docente di antro- pologia, insieme a mio figlio Wingate, furono le pe rsone che decisero di accompagnarmi. Il mio corrispondente Mackenzie venne ad Arkham ai primi del 1935 e ci diede una mano nei preparativi finali. Si dimo strò un uomo affabi- le e di estrema competenza, sui cinquant'anni, di g rande erudizione e con una profonda conoscenza di tutte le condizioni di viaggio in Au- stralia. Egli aveva veicoli fuoristrada pronti a Pilbarra, e noi noleggiamm° un battello abbastanza piccolo da risalire il fiume fino a quel punto. Ci disponemmo a scavare in maniera accuratissima e raz ionale setaC- ciando ogni particella di sabbia ma senza danneggia re niente che po- tesse apparire in stato naturale o quasi. Salpammo da Boston a bordo dell'ansimante Lexington il ventotto marz° 1935 e facemmo una comoda traversata dell'Atl antico e del Me- diterraneo, poi attraversammo il Canale di Suez e i l Mar Rosso percor- rendo poi l'Oceano Indiano fino alla meta. Non sto a dirvi quanto mi depresse la vista della piatta costa sabbiosa dell' Australia occidentale e quanto odiai la rozza città mineraria e i tetri c ampi auriferi dove i trattori caricarono il resto dell'equipaggiamento. Il dottor Boyle, che venne a riceverci, ci apparve anziano, piacevole e intelligente, e le sue cognizioni di psicologia gli permisero di ingaggia- re lunghe discussioni con mio figlio e con me. Disagio e attesa si mescolavano dentro di noi mentr e il nostro grup- po di diciotto persone avanzava sulle aride estensi oni di sabbia e roc- cia. Il venerdì trentuno maggio, guadammo un ramo d el fiume De Grey ed entrammo nel regno della totale desolazione. Mi crebbe dentro un comprensibile terrore a mano a mano che avanzavamo verso il luogo dell'antico mondo delle leggende - un terrore, natu ralmente, favorito dal fatto che i miei sogni disturbanti e le pseudo- memorie continuava- t no ad assalirmi con immutata intensità. Fu il lunedì, tre giugno, che vedemmo il primo dei massi semisepolti. Non so descrivere l'emozione con cui toccai veramen te - nella realtà della veglia - un frammento di costruzione ciclopic a in tutto e per tutto simile ai blocchi dei muri degli edifici tanto spes so sognati. Vi era una inconfondibile traccia di incisioni, e le mani mi t remarono quando ri- 1, conobbi parte di uno schema curvilineo e decorat ivo, reso familiare da anni di tormentoso incubo e sconcertanti ricerche. Un mese di scavi portò alla luce un totale di circa milleduecentocin- t quanta blocchi in varie fasi di corrosione e fram mentazione. Per lo più erano megaliti con estremità superiori e inferiori ricurve. Una mino- ranza consisteva in blocchi, più piccoli, piatti, c on superfici lisce, a ta- glio squadrato o ottagonale- come quelli dei pavime nti e dei selciati

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del sogno- mentre alcuni erano singolarmente massic ci e ricurvi o in- dinati in maniera da far pensare che fossero stati usati per volte o co- stoloni~ o parti di archi, o contorni di finestre r otonde. .Più sCavammo in profondità - e lontano verso nord- est- più trovam- ~o altri massi, anche se non riscontrammo tracce di una disposizione pinata dei singoli elementi . Il professore Dyer fu atterrito dalla incre- ~ile vetustà dei frammenti, e Freeborn trovò tracce di simboli ricor- ~ti in certe leggende antichissime e oscure della P apuasia e della Po- _ esia. Lo stato e la dispersione dei blocchi erano una muta attestazio- _ li Vertiginosi Cicli di tempo e di sollevamenti g eologici di brutalità _ nica. nevamo anche di un aeroplano e mio figlio Wingate a ndava 45 spesso a diverse altitudini per scrutare il deserto di sabbia e roccia alla ricerca di segni di contorni indistinti e di grandi dimensioni, di diversi- tà di livello del suolo o tracce di massi sparsi. I risultati furono negati- vi; ogni qualvolta pensava di aver visto un segno s ignificativo, la volta dopo l'impressione era sostituita da un'altra di na tura contraria a cau- sa della sabbia che si spostava col vento. Tuttavia una o due di quelle impressioni effimere m i colpì in modo strano e sgradevole. Sembravano collegarsi in un ce rto modo con qual- cosa che avevo sognato a letto, ma che non rammenta vo più. Avevano qualcosa di orribilmente familiare, il che mi fece considerare lo sterile suolo con timore e apprensione anche maggiori. Durante la prima settimaiia di luglio, crebbe in me una inesauribile serie di impressioni confuse a proposito di quella zona a nord-est. Era orrore ed era curiosità, ma in più vi era una costa nte e sconcertante sensazione di déjà-vu. Tentai ogni genere di espedienti psicologici per to gliermi quelle idee dalla testa, ma senza successo. Divenni vittima del l'insonnia, ma ne fui quasi contento perché abbreviava i periodi onirici. Così presi l'abitudi- ne di fare lunghe passeggiate solitarie nel deserto , a notte fonda, di soli- to verso nord-est, laddove mi spingeva misteriosame nte l'insieme dei nuovi impulsi. Talvolta, durante quelle passeggiate, inciampavo co ntro frammenti semi-sepolti. Benché là vi fossero meno blocchi vis ibili rispetto al pun- to da dove avevamo iniziato le ricerche, io ero sic uro che sotto terra essi fossero molto abbondanti. Il terreno era meno piatt o che intorno al no- stro accampamento, e i venti prevalenti ammucchiava no la sabbia qua e là in fantastiche collinette, mettendo in luce al cune tracce di antiche pietre ma probabilmente nascondendone molte altre. Io ero stranamente impaziente che gli scavi fossero estesi a quel ter- ritorio, eppure nel medesimo tempo inorridivo al pe nsiero delle even-, tuali scoperte. Era evidente che stavo scivolando i n cattive condizioni ! di salute - e, quel ch'era peggio, senza rendermene conto. Un indice dei miei nervi malandati si può ricavare dalla reazione a j una strana scoperta che feci durante un vagabondagg io notturno. Fu la sera dell'undici luglio, quando la luna inondava le misteriose collinette di uno strano lucore. Girovagando un po' oltre i confini abituali, rinven ni per caso una grande pietra che pareva molto diversa da quelle fi nora scoperte. ~ra quasi del tutto nascosta ma io mi curvai e, tolta l a sabbia con le mani, esaminai attentamente l'oggetto, facendo uso della mia torcia elettri- ca.

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Dissimile dalle altre, questa era perfettamente qua drata, senza su- perfici convesse o concave. Pareva, inoltre, di mat eria scura, basaltica, diversa dal granito o dall'arenaria o dal materiale simile al ceme~ dei frammenti ben noti. D'un tratto mi sollevai e corsi a tutta velocità in direzione dell'ac- Campamento Fu una fuga inconscia e irrazionale, e s olo quando fui nei pressi della mia tenda mi resi conto veramente del perché avevo corso. E mi sovvenne un ricordo. La strana foresta scura e ra qualcosa che ave- vo sognato e di cui avevo letto, ed era collegata c on i peggiori orrori del- le leggende antiche quanto l'eternità. Era uno dei blocchi dell'antica costruzione basalti ca di cui la mitica Grande Razza aveva paura--le alte rovine, senza fin estre, lasciate dalle cose terribili, parzialmente immateriali ed estrane e, che infestavano gli abissi profondi della terra e contro le cui for ze, invisibili come il vento, erano state sbarrate le botole e appostate v igili sentinelle. Restai sveglio tutta la notte ma all'alba mi dissi che ero stato uno sciocco a lasciarmi sconvolgere dall'ombra di un mi to. Invece di spa- ventarmi, avrei dowto avere l'entusiasmo dell'esplo ratore. Il mattino seguente misi gli altri al corrente dell a scoperta e insieme a Dyer, Freeborn, Boyle e mio figlio, mi incamminai per esaminare il blocco anomalo. Ma ci aspettava una delusione. Non mi ero fatto una idea precisa della posizione della pietra e il vent o della notte aveva completamente mutato la disposizione delle collinet te di sabbia. A questo punto affronto la parte cruciale e più dif ficile del mio raccon- to, tanto più difficile perché non sono ben sicuro della sua realtà. A vol- te ho la spiacevole sensazione che non sognai né fu i indotto in errore, ed ~ questa sensazione di sicurezza--in vista delle pr odigiose implicazioni che possono scaturire dalla verità obiettiva della mia esperienza - che mi obbliga a fare il resoconto. Mio figlio - psicologo esperto, con una conoscenza completa del mio caso che giudicava con comprensione - sarà il primo giudice di quanto ~; sto per narrare. - = In primo luogo descriverò l'apparenza esteriore dell'episodio così co- ~e lo conoSCono quelli dell'accampamento. La notte tra il diciassette e diciotto luglio, dopo una giornata ventosa, mi cori cai presto ma non scii a dormire. Alzatomi verso le undici e tormenta to come al solito ~quella strana sensazione sul terreno di nord-est i niziai una delle mie lsseggiate notturne, dopo aver visto e salutato una sola persona - un Fnatore australiano di nome Tupper- al momento di l asciare la no- zona. a luna, appena in fase decrescente, brillava nel ci elo sereno e ba- va le antiche sabbie di una radiosità bianca, malat a, che mi sembrò infinitamente malefica. Non c'era vento, né ve ne s arebbe stato per cin- que ore almeno, come attestato da Tupper e da altri che mi videro scomparire tra le pallide collinette in direzione n ord-est. Verso le tre e mezzo del mattino si levò un vento v iolento che svegliò tutti al campo e fece cadere tre tende. Il cielo er a senza nuvole e il de- serto splendeva ancora sotto il chiarore lunare. Qu ando il gruppo si

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diede a rialzare le tende, si accorse della mia ass enza, ma tenuto conto dei precedenti la circostanza non creò allarme. Tut tavia, almeno tre uomini - tutti australiani - avvertirono qualcosa d i inquieto nell'aria. Mackenzie spiegò al professor Freeborn che quella e ra una paura mutuata dal folkore indigeno - i nativi avevano int essuto una strana trama di sinistre dicerie sui forti venti che a lun ghi intervalli investono le sabbie quando il cielo è sereno. Tali venti, si mormora, scaturiscono da strane dimore sotterranee dove sono avvenute cos e terribili, e non si registrano mai se non vicino a luoghi dove sono dis seminate le grosse pietre decorate. ~erso le quattro la tempesta di ve nto si calmò, di colpo come era iniziata, lasciando i cumuli di sabbia dis posti secondo forme nuove e ignote. Erano appena passate le cinque quando arrivai barco llando all'ac- campamento e una luna gonfia e fungoide calava a oc cidente. Ero sen- za cappello, gli abiti stracciati, la faccia graffi ata e insanguinata e sen- za torcia elettrica. Quasi tutti gli uomini erano t ornati a letto, ma il professor Dyer fumava la pipa davanti alla sua tend a. Visto il mio stato chiamò il dottor Boyle, e tutti e due mi portarono sulla branda e mi fe- cero sdraiare. Mio figlio, svegliatosi per il tramb usto, li raggiunse e tut- ti cercarono di farmi stare tranquillo per vedere s e mi addormentavo. Ma io non avevo sonno. Il mio stato psicologico era assai strano, di- verso dalle sofferenze passate. Dopo un poco, insis tetti per parlare, spiegai le mie condizioni in modo sovreccitato e co nfuso. Dissi che mi ero stancato troppo e che mi ero diste so sulla sabbia per un sonnellino. Là avevo avuto dei sogni ancor più t erribili del solito e quando ero stato svegliato dal vento improvviso i m iei nervi logori era- no saltati. Ero fuggito in preda al panico, cadendo spesso sulle pietre semi-nascoste, e così mi ero stracciato gli abiti e avevo preso quell'a- spetto malconcio. Dovevo aver dormito a lungo, ecco il perché di tante ore di assenza. Nulla assolutamente accennai di cose strane viste o provate - eserCi- tai il massimo autocontrollo a tale riguardo. Dissi però di aver mutato opinione a proposito del lavoro della spedizione e sollecitai che si fer- massero gli scavi in direzione di nord-est. Il mio ragionamento fu manifestamente lacunoso--acc ennai infatti al desiderio di non offendere i minatori superstizi osi, alla possibile in- sufficienza dei fondi stanziati dall'Università, e ad altre cose non vere o irrilevanti. Naturalmente nessuno fece caso al mio nuovo parere, nep- pure mio figlio che si preoccupò evidentemente dell a mia salute. J L'indomani mi alzai e girai per il campo, ma non presi parte agli sca- vi. Decisi di rientrare a casa il più presto possib ile a causa dei nervi, e mio figlio mi promise di accompagnarmi in aereo fin o a Perth - mille- seicento chilometri a sud-ovest - non appena avesse ispezionato la re- gione che io desideravo abbandonare. Se, riflettei, la cosa che avevo visto era ancora v isibile, avrei potuto tentare di essere più preciso anche a costo di semb rare ridicolo. Era prevedibile che i minatori a conoscenza del folklor e locale mi avrebbe- ro appoggiato. Per compiacermi, mio figlio effettuò la ricognizione lo stesso pomeriggio, volando su tutta la zona che ave vo probabilmente percorso a piedi. Tuttavia, nulla di quanto avevo s coperto era rimasto visibile. Si trattava ancora del blocco anomalo di basalto - i movimenti della sabbia ne avevano spazzate le tracce. Per un attimo rimpiansi di aver perduto l'oggetto temuto con la mia folle corsa, ma adesso so che la

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L perdita fu un atto di misericordia. Preferisco cr edere che tutta la mia J esperienza sia stata una illusione, specialmente se, come spero di cuo- re, quell'abisso infernale non sarà mai trovato. Wingate mi condusse a Perth il venti luglio, anche se lui si rifiutb di abbandonare la spedizione e di far ritorno in patri a. Mi tenne compa- gnia fino al venticinque, quando salpò il vapore pe r Liverpool. Ora nel- t la cabina dell'Empress, dopo aver meditato lungam ente sull'accaduto ho concluso che almeno mio figlio deve sapere. Star à a lui decidere se t render nota la cosa o meno. Per far fronte a qualsiasi eventualità ho preparato un riassunto degli avvenimenti che fanno da premessa - già noti ad alt ri in modo sconnes- so- ed ora narrerò con la massima brevità quanto mi parve che acca- desse nel periodo in cui fui assente dal campo, que lla notte terribile. Con i nervi a fior di pelle e sospinto verso il ter reno di nord-est da quell'inspiegabile bisogno di ricordare misto a spa vento simile a una brama perversa, camminai con passo deciso sotto la malefica, fulgida luna Qua e là vidi, mezzo nascosti dalla sabbia, bl occhi primitivi e ci- clopici, abbandonati da immemori eoni. La vetustà incalcolabile e l'orrore latente di quel mostruoso deserto Cominciò a opprimermi più del solito, e non potei f are a meno di pensa- e ai sogni alienanti, alle spaventose leggende che li avevano alimenta- tij agli attuali timori dei nativi e dei minatori s ul deserto e le sue pietre scolpite. munque~ continuai il cammino come se fossi diretto a un conve- ~o soprannaturale~ sempre più in preda a sconcertan ti fantasie, com- i~lsionj e pseudo-ricordi. Pensai a certi probabili contorni delle linee klcune pietre viste da mio figlio con l'aereo, e mi chiesi perché mi Fsero sembrate subito così minacciose e familiari. Qualcosa tentava ~prirmj lo sportello dei ricordi, mentre un'altra f orza ignota si ado- ~;ava per tenerlo chiuso. La notte era senza vento e la pallida sabbia si pre sentava con rilievi e avvallamenti simili a onde marine pietrificate. Non avevo una meta, ma mi spingevo avanti con una sicurezza dettata dal fato. I sogni si me- scolavano al mondo circostante ed ogni megalito sot terrato nella sab- bia sembrava far parte di stanze e corridoi infinit i di costruzioni pre- umane, scolpito e ornato di geroglifici i cui simbo li ben conoscevo in seguito agli anni trascorsi come mente prigioniera della Grande Razza. A tratti immaginavo di vedere quegli orrori conici, onniscienti, che si aggiravano impegnati nei loro consueti lavori e tem evo di guardare il mio corpo per tema di scoprirmi del loro stesso asp etto. Eppure per tutto il tempo io vidi i blocchi coperti di sabbia e stanze e corridoi; la luna che brillava maligna e le lampade di cristallo luminoso; il deserto infinito e le.felci ondeggianti al di là delle fine stre. Ero desto e sognavo nel medesimo tempo. Non sapevo fin dove mi stessi spingendo né per quan to tempo avessi camminato - e neppure sapevo in quale direzione -, quando mi accorsi del cumulo di massi messi a nudo dal vento. Era il gruppo più cospicuo che avessi visto finora in un unico luogo, e mi col pì così profondamente che le visioni di mitici eoni passati svanirono di colpo. Vi fu di nuovo il deserto e la malvagia luna e i fr ammenti di un passa- to inimmaginabile. Mi avvicinai, mi fermai e gettai la luce della torcia

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su quella pila di rovine. Una collinetta era stata spazzata via dal vento ed era rimasta una massa irregolarmente rotonda di megaliti e di frammenti minori di circa dodici metri di diametro, alti da mezzo me- tro a due metri e mezzo. Fin dall'esordio, mi ero reso conto che in quelle p ietre vi era qualcosa assolutamente senza precedenti. Non solo la quantit à non aveva l'e- guale, ma qualcosa nelle tracce del disegno, logora te dalla sabbia, mi colpì mentre le scrutavo sotto i raggi della luna e della torcia. Non che ve ne fossero di essenzialmente diverse dai reperti rinvenuti prima. Vi era qualcosa di più sfuggente. L'impressi one scaturiva non quando guardavo le tracce una alla volta, ma quando l'occhio le coglie- va tutte insieme. Poi, alla fine, la verità si fece strada dentro di me. La forma curvili- nea di molti blocchi era pressoché identica - erano pezzi di una vasta struttura decorativa. Per la prima volta in quel de serto che aveva subi- to il logorio di-eoni, mi ero imbattuto nelle rovin e di una costruzione nella sua antica posizione, rovinata e frammentaria , è vero, ma ciò no- nostante reale in senso ben definito. Issatomi su un ripiano basso, mi arrampicai faticos amente sul cu- mulo, togliendo qua e là la sabbia con le dita, e s forzandomi continua- mente di interpretare le variazioni di misura, form a stile, e rapporti di disegno. Dopo un poco mi ero fatto una vaga idea de ila natura della co- struzione, e dei disegni che un tempo si estendevan o lungo le enormi superfici La perfetta identità dell insieme con cer te mie visioni oniri- che mi spaventò e mi snervò. Quello era stato un corridoio ciclopico, largo nove metri e alto altret- tant°, lastricato con blocchi ottagonali e coperto con solido soffitto a volta. Dovevano esserci stanze che si aprivano sull a destra, e alla estre- mità doveva esistere uno di quegli strani piani inc linati che scendeva- no a maggiore profondità. Sussultai con forza quando mi vennero certe idee, p erché esse dice- vano molto di più dei blocchi in sé. Come sapevo ch e il livello doveva essere stato molto sotto terra? Come sapevo che il piano che portava in alto stava alle mie spalle? Come sapevo che il lung o passaggio sotterra- neo verso la Piazza dei Pilastri doveva trovarsi a sinistra, un piano so- pra di me? Come sapevo che la stanza delle macchine e la galle ria che portava a destra verso gli archivi centrali doveva trovarsi d ue piani più in basso? Come sapevo che doveva esserci una di quelle orribi li botole sigillate con il metallo nella parte più bassa, quattro piani sotto? Sconcertato da questa intrusione del mondo onirico, mi trovai t remante e bagnato da un sudore freddo. Poi, alla fine, con un contatto intollerabile, avve rtii la corrente di aria fredda, debole e insidiosa, che sgorgava da un avvallamento situa- to circa al centro dell'enorme cumulo. In un baleno , come prima, le vi- sioni svanirono e vidi solo la malefica luna, il de serto sinistro, e il vasto cumulo della costruzione del Paleogene. Allora dove tti affrontare qual- cosa di reale e tangibile, eppure carico di infinit i richiami di cupo mi- stero. Quella corrente di aria non poteva infatti s ignificare che una sola cosa, un nascosto abisso di grandiose proporzioni, sotto i disordinati blocchi in superficie. Il primo pensiero corse alle macabre leggende degli indigeni, a pro- posito di enormi dimore sotterranee tra i megaliti, dove avvengono co-

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se orribili e nascono i forti venti. Poi mi riaffio rarono i ricordi dei sogni e sentii confusi pseudo-ricordi tormentarmi la ment e. Quale genere di Luogo stava sotto di me? Quale fonte primitiva e in concepibile di cicli di miti antichissimi e tormentosi incubi ero sul pu nto di scoprire? L~incertezza non durò che un attimo, perché curiosi tà e zelo scientifi- co mi tr:lc~in:~r~nr~ ~,V~rt; ~ r.~pr~ rP~ ~MI pareva di muovermi automaticamente, come preso nella morsa un destino ineluttabile. Misi la torcia in tasca e, lottando con una for- che non credevo di possedere, spostai di lato prima un frammento ~lossale, poi un altro, finché scaturì una forte co rrente ricca di umidi- I~:he ContrastaVa stranamente con l'aria asciutta d el deserto. Comin- a delinearsi una fessura nera, e infine - dopo aver rimosso ogni Pllmento abbastanza piccolo per le mie forze - un m alsano chiarore ~are iuuminò una apertura di grande dimensione, nel la quale potevo Fodurrni. Estrassi la torcia e mandai il cono di luce nell ap ertura. All interno vi era un caos di rovine, che declinavano verso nord c on un angolo di circa quarantacinque gradi, palesemente causate da qualch e sprofonda mento antichissimo del terreno. Fra il fondo di quel mondo sotterraneo e il livello del terreno vi era un vuoto di oscurità impenetrabile al cui limite su periore vi erano trac- ce di volte gigantesche. A quel punto, era chiaro, le sabbie del deserto stavano direttamente sopra um piano di strutture ti tar.iche che risali- vano ai primordi della terra, e non seppi immaginar e, né lo so adesso come si siano conservate attraverso eoni di sconvol gimenti geologici. Col senno di poi la semplice idea di una discesa so litaria in quell'a- bisso misterioso - e in un momento in cui nessuno s apeva dove mi tro- vassi - appare come l'apice estremo della follia. F orse lo fu, eppure quella notte mi accinsi alla discesa senza esitazio ne. Era ancora evidente che il destino continuava a gui dare i miei passi. Usando la torcia a intervalli per risparmiare la pi la, intrapresi una fol- le avanzata giù per la china sinistra e ciclopica c he partiva dall'apertu- ra, talvolta carponi se trovavo un buon appiglio pe r mani e piedi, e al- tre volte mi voltavo a guardare l'ammasso di megali ti, quando i movi- menti erano più precari e procedevo a tastoni. Ai lati si intravedevano in lontananza pareti in mu ratura, scolpite e diroccate, come mi apparivano sotto i raggi diretti della torcia. Di fron- te, però, avevo le tenebre. Non tenni conto del tempo durante la scivolata vers o il basso. Tanto era in fermento la mia mente per le tracce e le imm agini sconcertanti, che tutte le questioni obiettive erano da me lontan issime. La sensibili- tà fisica era morta, e anche la paura era rimasta c ome un doccione grot- tesco e innocuo. Infine raggiunsi un pavimento piano cosparso di blo cchi caduti, frammenti di pietra, sabbia e detriti di ogni gener e. Dall'altra parte- forse a circa dieci metri - si ergevano mura massic ce che culminavano in enormi costoloni. Potevo a malapena intuire che erano scolpiti, ma non ne distinguevo i particolari. Ciò che mi colpì di più fu il soffitto a volta. La luce della torcia non ar- rivava al tetto, ma erano ben visibili le parti inf eriori degli archi mo- struosi. E la loro identità con i miei numerosi sog ni era così perfetta che fui colto da un forte tremito.

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Alle spalle e molto in alto una macchia luminosa ma fioca, mi ricor- dò il lontano chiarore lunare del mondo esterno. I] n vago residuo di prudenza mi avvertì di non perderlo di vista, altri menti avrei potut° non avere una guida per il ritorno. Avanzai verso il muro di sinistra, dove erano più e videnti le tracce di incisioni. Il pavimento pieno di disordine era diff icile da attraversare come l'ammasso di pietre più sopra, ma riuscii a tr ovare la via, se pure con difficoltà. In un punto spostai di peso alcuni blocchi e spazza i con il piede i de- Uiti per vedere come era fatto il pavimento, e rabb rividii per la com- pleta e lugubre familiarità delle grandi pietre ott agonali la cui superfi- cie butterata era ancora abbastanza uniforme. Raggiunta una opportuna distanza dal muro diressi l a luce lenta- mente e minuziosamente sui resti consumati delle in cisioni. Sulla su- perficie di arenaria avevano influito antiche erosi oni dovute all'acqua e si notavano strane incrostazioni che non seppi sp iegare. 1- A tratti il muro era sconnesso e deformato, e mi chiesi per quanti al- tri eoni quell'edificio primitivo e nascosto avrebb e conservato presso- ché intatta la propria struttura in mezzo agli scon volgimenti terrestri. Ma furono soprattutto le incisioni a eccitarmi di p iù. Malgrado si stessero sbriciolando si potevano identificare faci lmente a breve di- stanza e la completa e intima familiarità di ogni p articolare mi sbalor- dì. Quánto ai principali attributi di quella antich issima costruzione, il fatto che mi fossero familiari non era poi così inc redibile. Certi miti, che i creatori avevano fissato con vive zza impressionante, si erano incorporati in un patrimonio di misteriose tradizioni che, in qualche modo, erano giunte a mia conoscenza durante il periodo della amnesia, evocando nitide immagini nella mente subco nscia. Ma come spiegare il modo esatto e minuzioso con cui ogni linea e spi- rale di quei misteriosi disegni combaciava con quan to avevo sognato per più di venti anni? Quale oscura e dimenticata i conografia poteva riprodurre ogni sottile gradazione e sfumatura che, notte dopo notte, ~` aveva assalito la mia visione onirica in maniera tanto costante, precisa e invariabile? Perché quello non era un caso o una remota rassomig lianza. Il corri- doio antico di millenni e rimasto sepolto per eoni, nel quale mi trovavo, ~ra in modo certo e assoluto l'originale di qualcos a che io conoscevo nel |Sonno così intimamente come la mia casa di Crane S treet a Arkham. E ZVero che i miei sogni mostravano il luogo in condi zioni perfette, ma l'i- ltlentità era comunque innegabile. Ero in grado di orientarmi perfetta- p~te. ~ La Struttura particolare in cui mi trovavo mi era nota. E noto mi era p luogo nella terribi le antica città del sogno . E bbi la paurosa e istintiva ~ezza di poter visitare, senza perdermi, qualsiasi punto di quell'edi- p o di quella città, che era scampato ai mutamenti e alle devastazio- i:ere incalcolabili. In nome del Cielo, che cosa si gnificava tutto que- Come ero arrivato a conoscere quelle cose? E quale muta realtà si ~a dietro agli antichi racconti degli esseri che av evano abitato in ~abirinto di pietra primordiale? parole non possono che richiamare in modo parziale il tumulto di

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into e stordimento che attentava al mio spirito. Il posto lo cono- ~ SapevO ciò che stava sotto di me e ciò che era es istito sopra, pri- ma che la miriade di piani altissimi fosse precipat ata, ridotta in polve- re e detriti, formando un deserto. Non avevo più bi sogno, pensai con un brivido, di tenere d'occhio la confusa macchia del chiarore lunare. Ero combattuto tra il desiderio di fuggire, e un fe bbrile miscugli.o di bruciante curiosità e strano fatalismo. Che cosa er a accaduto a quella mostruosa megalopoli dell'antichità nei milioni di anni successivi al- l'epoca del mio sogno? Dei dedali sotterranei che s i trovavano sotto la città e collegavano tutte le torri titaniche, che c osa era rimasto utiliz- zabile attraverso i sussulti della crosta terrestre ? Ero capitato in un mondo completamente sepolto, di sacrilega anti- chità? Avrei trovato ancora la casa dell'insegnante di calligrafia e la torre dove S'gg'ha, la mente prigioniera venuta dai vegetali carnivori dalla testa stellata dell'Antartide, aveva cesellat o certe immagini sugli spazi vuoti delle pareti? Il passaggio al secondo piano in basso, che accedev a alla sala delle menti straniere, sarebbe stato ancora sgombro e acc essibile? ln quella sala la mente prigioniera di una incredibile entità , un abitante semi- sintetico della vuota cavità interna di un pianeta al di là di Plutone a diciottomila anni nel futuro aveva conservato una c erta cosa che aveva modellato con la creta. Chiusi gli occhi e mi passai la mano sulla testa ne l vano sforzo di to- gliermi dalla coscienza quei pazzi frammenti di sog no. Poi, per la pri- ma volta, sentii nettamente il fresco umido dell'ar ia circostante che si muoveva. Rabbrividendo, mi resi conto che una vasta serie di neri abissi, morti da eoni, dovevano spalancarsi da qual che parte davanti e sotto di me. Pensai alle stanze e corridoi spaventosi, e ai pian i inclinati come li ri- cordavo dai sogni. Sarebbe stata ancora aperta la v ia verso gli archivi centrali ? L'ineluttabile fatalità mi tormentò insi stentemente il cervello quando rammentai gli imponenti annali che stavano b en ordinati sugli scaffali nelle cassette rettangolari di metallo ino ssidabile. Là, dicevano i sogni e le leggende, si trovava tutt a la storia, passata e futura, del continuum spazio-temporale scritta da m enti prigioniere provenienti da ogni globo e da ogni era del sistema solare. Follia, certo, ma non ero capitato in un mondo tenebroso, pazzo co me me? Pensai alle cassette di metallo chiuse ermeticament e e ai curiosi mo- vimenti delle manopole necessari per aprirli. La mi a combinazione l'a- vevo stampata nella coscienza. Quante volte avevo e seguito quell'intri- cata routine di giri e pressioni diversi, nella sez ione vertebrata terrestre del piano più basso! Tutti i particolari mi erano f amiliari e vivi. Se esisteva una cassetta come quella sognata, l'avr ei aperta in un at- timo. E fu allora che la pazzia si impossessò di me . Un istante dopo già saltellavo e inciampavo tra i detriti pietrosi vers o lo scivolo che porta- va a maggiori profondità. Da quel punto in avanti le mie impressioni non sono molto attendibili, in effetti nutro la disperata speranza che tutto fa ccia parte di un sogno demoniaco o di una allucinazione scaturita dal deli rio. Il mio cervello fu sconvolto dalla febbre e tutto fu percepito come attraverso una con- fusione mentale, certe volte solo intermittente. I raggi della torcia forarono debolmente l'oscurità profonda, portan- domi fugaci visioni fantasmagoriche di mura e incis ioni terribilmente

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familiari, rovinate da un'incuria plurimillenaria. In un punto una mas- sa enorme di materiale era caduta, cosicché dovetti issarmi lungo un cumulo massiccio di pietre, alto quasi fino al soff itto da cui pendevano grottesche stalattiti. Era l'estremo apice dell'incubo, peggiorato dal tor mento blasfemo degli pseudo-ricordi. Una sola cosa mi era ignota, cioè la mia dimensio- ne rispetto alle mostruose costruzioni. Mi sentivo oppresso da un senso di insolita esiguità, come se la vista di quelle mu ra torreggianti per un povero corpo umano fosse cosa assurda e insopportab ile. Non facevo che guardare il mio corpo vagamente inquieto per la forma umana che possedevo. E intanto saltavo, correvo, incespicavo nella mia a vanzata nelle te- nebre dell'abisso, spesso cadevo causandomi lividi ed escoriazioni e una volta corsi il rischio di rompere la torcia. Og ni pietra, ogni angolo di quella profondità demoniaca mi era noto e in mol ti tratti mi fermai e passai il raggio di luce sulle familiari volte in r ovina. Delle stanze erano crollate del tutto, altre erano spoglie o piene di de- triti . In alcune vidi cumuli di metallo - parte in tatti o quasi, parte rotti, frantumati o logori - in cui riconobbi i colossali pedistalli e le tavole dei miei sogni. Che cosa fossero state in realtà, n on osai immaginare. Trovai lo scivolo verso il basso e cominciai a scen dere, sebbene dopo P~ poco fossi arrestato da una voragine che si apri va come una bocca fra- stagliata, il cui punto più stretto non poteva misu rare meno di un me- tro e mezzo di diametro. Là era precipitata l'opera in muratura, rive- lando incalcolabili, nere profondità al di sotto. Sapevo che vi erano altri due piani sotterranei in quell'edificio tita- nico, e tremai di rinnovato panico ricordandomi del la botola in quello più basso. Non dovevano esserci sentinelle ormai, p erché ciò che si era nascosto laggiù aveva terminato da tempo la sua odi osa opera e si era tissolto dopo una lunga consumazione. Per l'epoca p ost-umana, quan- ~;do fosse venuta la razza dei coleotteri, ciò che stava laggiù sarebbe sta- ~to completamente morto. Eppure tremai ancora, ripe nsando alle leg- ~ende degli indigeni. Mi ci volle uno sforzo disumano per saltare quel ba ratro spalancato, perché il pavimento cosparso di detriti mi impedì d i prendere lo slan- cio, ma la pazzia mi portò avanti. Scelsi un punto vicino al muro di si- nistra dove la fenditura era meno larga e il punto di approdo abbastan- za sgombro di pericolosi detriti, e dopo un terribi le istante toccai l'al- tra sponda sano e salvo. Alla fine, raggiunto il piano inferiore, superai l' archivolto della stan- za delle macchine, nella quale erano fantastiche ro vine di metallo, mezzo sepolte sotto le volte cadute. Tutto era esat tamente come mi aspettavo e mi arrampicai fiducioso sopra i cumuli che sbarravano l'entrata di un grande corridoio trasversale. Quell o, lo sapevo, mi avrebbe condotto sotto la città verso gli archivi c entrali. Ere infinite si dipanavano mentre io inciampavo, sa ltavo, strisciavo lungo il corridoio pieno di rovine. Qua e là notavo incisioni sui ,muri macchiati dal tempo - alcune note, altre forse aggi unte in periodi suc- cessivi ai sogni. Poiché quella era una grossa arte ria sotterranea di col- legamento fra le abitazioni non vi erano archivolti , eccetto nel caso in cui la strada passava sotto gli strati inferiori de i vari edifici. A certi incroci mi spostavo di lato per guardare in basso dove si tro- vavano le stanze che ben ricordavo. Due volte solta nto scopersi cam-

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biamenti radicali rispetto ai sogni e in un caso tr acciai i contorni del- I'archivolto che era stato coperto. Fremetti violentemente e provai una strana debolezz a a effetto ritar- dato mentre dirigevo i miei passi amrettati e rilut tanti lungo la cripta di una di quelle torri grandiose, rovinate, senza f inestre, la cui muratu- ra in basalto parlava di una origine terribile e mi tica. Quella volta primitiva era rotonda e del diametro d i almeno sessanta metri, senza nessuna incisione sulla scura pietra. Il pavimento là era li- bero da detriti; vi si notavano solo polvere e sabb ia, e vidi le aperture che portavano sia in alto che in basso. Non c'erano né scale né piani in- clinati - veramente i sogni mi avevano rivelato que lle antiche torri co- me inviolate dalla favolosa Grande Razza. Coloro ch e le avevano co- struite, non avevano avuto bisogno né di scale né d i scivoli. Nei sogni, l'apertura in basso era chiusa e sorvegl iata. Adesso era aperta, nera e spalancata, ed emetteva una corrente di aria fredda e umida. Non volli pensare a quali illimitate caverne di notte eterna si celassero nel fondo. Dopo aver superato una sezione del corridoio piena di detriti dove dovetti procedere faticosamente aggrappandomi con l e mani, raggiun- si un punto ove il soffitto era completamente sprof ondato. I detriti for- mavano una montagna e io mi ci arrampicai sopra, pa ssando poi per uno spazio vuoto, senza muri né volte. Quella, rifl ettei, doveva essere la cantina della casa del fornitore di metallo, che da va sulla terza piazza, non lontana dagli archivi. Che cosa ne fosse stato, non potei immagi- narlo. Ritrovai il corridoio dopo la montagna di detriti e pietre, ma dopo averne percorso un tratto mi imbattei in un posto completamente ostruito dove la volta caduta toccava qu asi il soffitto che mostrava pe- ricolosi cedimenti. Non so come feci a s postare e gettare da parte tanti blocchi da aprirmi un varco, né come osa i sconvolgere gli ammucchiati frammenti quando il minimo spostamento d i equilibrio avrebbe potu- to far crollare le tonnellate di muratur a sovrastante, riducendomi in poltiglia. Fu la pazzia pura a spingermi e guidarm i, se pure non fu pazzia tutta la mia avventura sotterranea - come sper o--,una illusione infernale o un lungo sogno. Però mi aprii un passagg io -o sognai di averlo aperto - nel quale potei infilarmi a fatica. Ment re procedevo come un serpente sopra al cumulo di rovine - la torcia, s empre accesa, la reggevo con la bocca - mi sentii lacerare dalle fantast iche stalattiti che pendevano so- pra di me. Mi stavo avvicinando al grande edificio sotterraneo degli archivi che pareva costituire il mio obiettivo. Sciv olando e scendendo lungo il lato estremo della barriera, e ripresa la via per il rimanente tratto del corri- doio - ora tenevo la torcia in mano e l' accendevo a intervalli - giunsi infine a una cripta bassa, circolare, fa tta ad archi, ancora in stupendo stato di conservazione con aperture lung o ogni lato.

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Le pareti, almeno quanto di esse vedevo nel raggio della torcia, erano E piene di geroglifici e cesellate con tip ici simboli curvilinei, alcuni suc- cessivi al periodo del sogno. Quello, compresi, era il luogo predesti nato, e imboccai subito un ar- chivolto familiare che, stranamente avev o pochi dubbi in proposito, | ~ conduceva a tutti i livelli sottostanti ancora esistenti. Quella vasta co- struzione protetta dalla terra, che cust odiva gli annali del sistema sola- " re, era stata costruita con abilità e po tenza divine per durare quanto il sistema stesso. ~L'5 Blocchi di dimensioni straordinarie, po sti con genio matematico e fissati con cemento di incredibile durez za, avevano formato una massa solida quanto il centro roccioso del pia neta. Lì, dopo epoche più strane di quanto la mente sana possa concepire, la sua massa sepolta era in- tatta in tutte le linee essenziali; i gr andi pavimenti erano coperti di pol- vere ma avevano scarse tracce di detriti , altrove così imponenti. La relativa facilità del cammino da que l punto in poi mi diede stra- namente alla testa. La terribile impazie za fino allora contrastata dagli stacolj si trasformò in una specie di fr enesia febbrile, e corsi a perdi- fiato lungo i corridoi dal basso soffitt o, al di là dell'archivolto, che ri- '~ cordavo con orribile precisione. ~; ~ Fui più che sbalordito dalla familiar ità di ciò che vidi . Da ogni parte i battenti degli scaffali di metallo, orna ti di grandi geroglifici, avevano p~n aspetto terrificante; alcuni in ordi ne, altri aperti, altri deformati da forze geologiche, non abbastanza violente da aver r agione di quelle ti- taniche costruzioni. Qua e là dei cumuli impolverati sotto scaffali aper ti e vuoti indicaYa- no che le librerie erano state scosse dalle vibrazi oni terrestri. Certe co- lonne recavano grandi simboli e lettere che designa vano classi e sotto- classi di volumi. Una volta mi fermai davanti a una porta aperta, dov e vidi le note cas- sette di metallo ancora a posto in mezzo alla etern a polvere sabbiosa. Allungando la mano, tolsi uno degli esemplari più p iccoli, con una cer- ta difficoltà, e lo posai in terra per consultarlo. Il titolo era in geroglifi- ci, però qualcosa nella disposizione dei caratteri mi parve insolito. Il curioso meccanismo della chiusura mi era perfett amente noto, feci scattare il coperchio ancora funzionante e non arru gginito ed estrassi il libro che vi era contenuto. Questo, come mi aspetta vo, misurava cin- quanta centimetri per trentotto, ed era alto cinque centimetri. La sotti- le copertina di metallo si apriva dall'alto. Le robuste pagine di cellulosa non avevano subito l 'usura della mi- riade di cicli di tempo, ed io esaminai le strane l ettere del testo, colora- te e segnate a pennello, simboli dissimili dai cons ueti geroglifici curvi o da ogni altro alfabeto noto agli uomini eruditi, co n un tormentoso e va- go risveglio della memoria.

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Mi venne in mente che quella era la lingua usata da una mente pri- gioniera che avevo conosciuta di sfuggita nei sogni , una mente origina- ria di un grande asteroide su cui era sopravvissuta una gran parte della vita e della tradizione arcaica del primitivo piane ta di cui formava un frammento. Contemporaneamente rammentai che quel pi ano degli ar- chivi era dedicato ai volumi che trattavano dei mon di extra-terrestri. Quando smisi di esaminare quel documento incredibil e notai che la luce della torcia si stava affievolendo, e mi affre ttai a inserirvi un'altra pila che avevo con me. Poi, munito di una luce più forte, ripresi la corsa febbrile negli infiniti meandri di corridoi e passa ggi, riconoscendo qua e là scaffali noti, e vagamente turbato dagli echi che producevo cammi- nando che sembravano fuori posto in quelle catacomb e. Le stesse impronte delle scarpe sulla polvere vecch ia di millenni mi fecero rabbrividire. Mai prima, se i folli sogni ra cchiudevano qualcosa di vero, piede umano si era posato su quei paviment i. La mia mente cosciente non ha conservato nulla circ a le ragioni di quell'insana corsa. Vi era, tuttavia, una forza di potenza malefica che influiva sulla mia volontà intontita e sui ricordi semisepolti sì che oscuramente sentivo di non correre a casaccio. Raggiunsi un piano inclinato che scendeva e lo segu ii verso maggiori profondità. La torcia saettava su tratti dei pavime nti, mentre correvo all'impazzata, ma non mi fermai per esaminarli. Il cervello in tumulto aveva cominciato a battere un determinato ritmo che mi faceva con- trarre all'unisono la mano destra. Volevo aprire una certa serratura, e conoscevo tutti i giri e le pressioni da farsi. Sarebbe stato come aprire una cassaforte moderna con la chiusura a combinazione. Sogno o no, lo sapevo e lo avevo sempre saputo. Non tentai neppure di spiegarmi come avesse fatto un sogno - o un brano di leggenda in- consciamente assimilata--a insegnarmi un particolare così preciso, complicato e astruso. Non era, infatti, q uella esperienza, I'impressio- nante familiarità con una serie di rovine sconosciute, e le identità di tutto quanto con ciò che solo i sogni e i frammenti di mito avrebbero potuto evocare, un orrore che superava og ni spiegazione? Forse allora ebbi la convinzione - come l'ho adesso nei momenti di maggiore lucidità mentale - di non essere perfettamente sveglio, e che tutta la città sepolta non fosse altro ch e un frammento di una febbrile allucinazione. Alla fine, raggiunto il piano più basso, passai in fretta a destra dello scivolo. Per oscuri motivi, cercai di att utire il rumore dei passi, anche se così facendo rallentai la velocità. Vi fu uno spazio che io ebbi paura ad attraversare in quell'ultimo tratto di pavimento profondamente se- polto. Appena mi avvicinai, ricordai che cosa i o temessi in quel punto. Si trattava di una delle botole sigillate e sorvegliate. Ormai di guardiani non ce n'erano, ma proprio per questo tre mai e camminai in punta di piedi, come avevo fatto sotto la nera vol ta di basalto dove era spalanca- ta un'altra botola.

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Sentii una corrente di aria fredda e umi da e desiderai che il mio per- corso fosse in un altra direzione. Perché seguissi quella via, non avrei saputo dirlo ~ ~ Quando giunsi sul luogo, vidi che la bot ola era aperta. Al di là rico- t minciavano gli scaffali, ed io vidi in te rra, davanti ad uno di essi, un ~_ mucchietto pieno di polvere, laddove era caduta di recente una quanti- tà di cassette. Contemporaneamente fui af ferrato da una nuova ondata di panico, anche se per un poco non ne se ppi il motivo. E I mucchi di cassette cadute non erano in consueti, perché attraverso gli eoni quel labirinto senza luce era st ato devastato dai sollevamenti della terra e aveva echeggiato a interval li per l'assordante clamore di oggetti che cadevano. Fu solo quando avev o quasi superato quel punto che mi resi conto del perché tremavo così forte. lon il cumulo, mi turbava, ma qualcosa che riguardava la polvere del pavimentO livellato. Alla luce della torcia, mi parve che quella pol- vere non fosse uniforme come avrebbe dovu to essere, in certi punti ap- pariva più sottile, in altri era stata sm ossa da pochi mesi. Non ne ero si- curo, perché anche dove appariva più sott ile lo strato di polvere era ~,Sempre notevole, eppure il sospetto di un a regolarità nella supposta di- guaglianza era una cosa inquietante. Quando portai la luce vicino a uno dei punti sospet ti, non mi piacque affatto ciò che vidi, perché l'illusione della rego larità divenne grandis- sima. Era come se vi fossero linee regolari di orme composite, orme che andavano di tre in tre, ciascuna di circa trenta ce ntimetri quadrati e con cinque impronte circolari di otto centimetri, u na più avanti delle altre quattro. Quelle probabili impronte sembravano condurre in du e direzioni, come se qualcosa fosse andata da qualche parte e po i tomata. Erano molto leggere e potevano essere ingannevoli o casua li, ma vi era un ele- mento oscuramente terrificante nel modo in cui mi s embravano dispo- ste. Perché da un lato finivano davanti al cumulo d i cassette che dove- vano essere precipitate non molto tempo fa, e dall' altro vi era la sini- stra botola, con il freddo vento umido, che si spal ancava incustodita su abissi che oltrepassavano l'immaginazione. L'aver vinto la paura dimostra quanto fosse forte e prepotente lo strano senso di costrizione. Nessun motivo razionale avreb be potuto trasci- narmi avanti dopo il terribile sospetto delle impro nte e i ricordi dei so- grli che esse suscitarono in me. Eppure la mano des tra, anche se tre- mante dalla paura, si contraeva ritmicamente nell'a nsia di girare la serratura che sperava di trovare. Senza saperlo mi ritrovai oltre il mucchio delle cassette cadute e correvo in punta di piedi per corridoi di polvere intatta verso un punto che mi sembrava d i conoscere fin troppo bene. La mente si poneva domande la cui origine e attinen za cominciavo appena a intuire. Lo scaffale era raggiungibile dal corpo umano? La mano umana avrebbe saputo controllare tutti i movim enti della serra- tura, secondo il ricordo di eoni ? E la chiusura sa rebbe stata intatta e in grado di funzionare? E che cosa avrei fatto, che co sa avrei osato fare, che cosa speravo e temevo di scoprire? Sarebbe stat a la prova di una te- muta verità, tale da sconvolgere la mente di qualco sa al di là della nor-

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male concezione del passato, o mi avrebbe dimostrat o che stavo solo sognando? Per quello che ricordo, avevo cessato di correre in punta di piedi e stavo fermo a guardare fisso una fila di scaffali c on geroglifici assurda- mente familiari. Erano in stato di conservazione qu asi perfetto, e solo tre sportelli lì vicino si erano spalancati. Non so descrivere le sensazioni provate davanti a q uegli scaffali, tan- to completo e insistente era il pensiero di conosce rli da lunga data. Guardai in alto, verso una fila vicina alla sommità e oltre la portata del braccio e mi chiesi come fare ad arrampicarmi nel m odo migliore. Uno sportello aperto a quattro file dalla base mi potev a servire, e le chiusu- re degli sportelli sigillati formavano dei possibil i sostegni per mani e piedi. Potevo stringere la torcia tra i denti, come avevo fatto altrove, quando mi occorrevano le mani. Soprattutto non dove vo far rumore. Tirare giù ciò che desideravo prelevare sarebbe sta to difficile ma probabilmente potevo agganciare la chiusura mobile al colletto della giacca e portarlo come uno zaino. Mi chiesi ancora se la serratura sa- rebbe stata intatta. Quanto ai giri da fare, non av evo dubbi. Ma sperai che il movimento non provocasse cigolii o sfregamen ti, e che la mano ` funzionasse a dovere. Mentre rimuginavo questi pensieri, avevo messo la t orcia in bocca e cominciato a salire. Le serrature sporgenti erano a ppigli modesti ma come prevedevo lo sportello aperto mi servi parecch io. Usai il battente e il bordo dell'apertura per issarmi e riuscii ad e vitare cigolii troppo forti. In equilibrio sul bordo superiore dello sportello e incurvandomi ver- so destra, raggiunsi la serratura che cercavo. Le d ita, in parte intorpi- dite dall'essermi arrampicato, furono dapprima impa cciate, ma in breve si adeguarono automaticamente al lavoro richi esto. E i movi- menti erano impressi nella mia memoria. Giunti da sconosciuti abissi di tempo, i segreti di quel congegno mi erano arrivati, chissà come, nel cervello, corretti , in ogni dettaglio, e dopo meno di cinque minuti avvertii uno scatto la c ui familiarità mi fe- , ce sobbalzare perché non mi ero preparato coscientemente. Un attimo ~; dopo lo sportello di metallo si apriva con un li evissimo cigolio. ,~-; Inebetito, guardai la fila di grigie cass ette esposte e avvertii un tre- mendo rigurgito di inspiegabile emozione. A portata della mano destra vi era una cassetta i Cui geroglifici mi diedero un fremito doloroso più complesso del semplice spavento. Tutto tremante, ri uscii a togliere la . cassetta fra una pioggia di detriti e a trarla ve rso di me senza fare mol- to rumore. Come la cassetta che avevo precedentemente maneggia to, anche questa era delle medesime dimensioni, con disegni m atematici ricurvi |~ in bassorilievo. Il suo spessore era di quasi di eci centimetri. | Incastrandola fra me e la superficie su c ui salivo, armeggiai con la 1~ chiusura e alla fine liberai il gancio. Sollevat o il coperchio, spostai il ~- pesante oggetto sulle spalle e lo agganciai al c olletto. Con le mani libe- re discesi fino al suolo polveroso e mi disposi a i spezionare il mio botti- ~no. ~ Inginocchiato nella polvere, tolsi la cassetta da lle spalle e la posai a

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terra davanti a me. Mi tremavano le mani e l'idea d i estrarre il libro mi ~)rizzava e al tempo stesso mi attirava, o mi costr ingeva a farlo. Pian piano mi fu chiaro quello che dovevo scoprire, e quella constata- zione mi paralizzò quasi le facoltà mentali. Se la cosa era là - e se io non sognavo - le implic azioni sarebbero sta- te insopportabili per lo spirito umano. Ciò che più mi tormentava era la momentanea incapacità di sentire che si trattava soltanto di un so- gno. Il senso di realtà era tremendo - e ancora lo è se ripenso alla scena. Infine, tremando, tirai fuori il libro dalla casset ta e fissai affascinato i ben noti geroglifici della copertina. Era in otti me condizioni e le lette- re curvilinee del titolo mi tennero in stato quasi ipnotico, come se aves- si potuto leggerle. In verità, non potrei giurare d i non averle lette aiuta- to da qualche barlume di ricordo transitorio e terr ibile. Non so quanto tempo passò prima che osassi sollevar e il coperchio di sottile metallo. Temporeggiai e trovai delle scuse con me stesso. Mi tol- si la torcia di bocca e la spensi per risparmiare l a pila. Poi, nel buio, mi feci coraggio, infine sollevai il coperchio senza a ccendere la luce. Da ul- timo, feci scattare la luce sulla pagina aperta - i rrigidendomi in antici- po per prevenire qualsiasi suono, qualunque cosa av essi scoperto. Guardai un attimo poi crollai. Stringendo i denti, evitai di gridare. Mi accasciai al suolo e mi portai una mano alla fronte nel buio che mi in- ghiottiva. Ciò che temevo e prevedevo stava là. O i o sognavo, oppure , tempo e spazio erano diventati una burla. , Probabilmente sognavo, ma vorrei dimostrare l'orror e riportando quella cosa alla Icue per mostrarla a mio figlio, q ualora si trattasse di realtà. La testa mi girava in modo pauroso, sebbene nella totale oscuri- tà non potessero esserci oggetti visibili a vortica re davanti ai miei oc- chi. Idee e immagini del più puro orrore - eccitate dalle visioni che la fugace occhiata mi aveva spalancato - cominciarono a riversarmisi nella mente e a offuscarmi i sensi. Pensai a quelle probabili orme nella polvere e trem ai al rumore del mio stesso respiro. Riaccesi la torcia e guardai di nuovo la pagina come la vittima di un serpente guarda gli occhi e i dent i del suo distruttore. Poi, con dita incerte nel buio, richiusi il libro, lo rimisi nella cassetta, ne feci scattare il coperchio e la chiusura a ganci o. Era quello che dove- vo riportare nel mondo esteriore, se veramente esis teva - se tutto l'a- bisso esisteva davvero - se io, e il mondo stesso, esistevamo dawero. Non so per certo quando mi rimisi in piedi traballa ndo, né quando ri- presi la via del ritorno. Mi rendo ora conto - come misura del mio senso di separazione dal mondo normale - che neppure una volta guardai l'o- rologio durante quelle terrificanti ore sottoterra. Torcia alla mano e con l'infausta cassetta sotto il braccio, mi trovai a procedere in punta di piedi in una specie di panico silenzioso, oltre l'a- bisso che emanava il vento e al di là delle tracce simili a orme. Ridussi le precauzioni quando risalii i piani inclinati, ma non potei scacciare un'angoscia che non avevo sentito nel viaggio di an data. Ero terrorizzato all'idea di dover ripercorr ere la nera cripta di basal- to più antica della città, dove fredde corren ti scaturivano dalle profon- dità incustodite. Pensai a ciò che aveva temu to la Grande Razza, a ciò che avrebbe potuto essere ancora in agguato a nche se indebolito e mo- rente. Pensai a quelle orme a cinque cerchi e a quanto di esse mi aveva- no rivelato i sogni, e agli strani venti e ai rumori sibilanti ad essi colle-

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gati. Pensai ai racconti degli indigeni di og gi, pieni di orrore per i gran- di venti e per le rovine senza nome. t Dal simbolo scolpito su un muro sapevo qual era il pavimento giusto da imboccare e infine giunsi - dopo aver supe rato l'altro libro che ave- vo consultato - al grande spazio circolare da cui gli archivolti si dira- mavano. Alla mia destra, ben riconoscibile, s tava l'arco dal quale ero entrato. Lo varcai, conscio che il resto del cammino sarebbe stato più difficile a causa delle macerie cadute al di fuori dell'edificio dell'archi- t vio. Il nuovo fardello della cassetta mi pesa va e quando inciampavo sui detriti e i frammenti, perdevo facilmente il sangue freddo. Poi arrivai al cumulo di rovine alte fino al soffitto in cui mi ero aperto un angusto passaggio. Il mio terrore a passar e di nuovo da quella stret- toia fu infinito, perché la prima volta avevo fatto un po' di rumore e ora - dopo aver visto quelle orme - temevo il rum ore più di ogni altra cosa. La cassetta, inoltre, raddoppiava il problema di attraversare la stretta fessura. Ma superai la barriera come potei e spinsi l a cassetta attraverso l'a- pertura davanti a me. Poi, con la torcia in b occa, strisciai anch'io - la schiena graffiata dalle stalattiti - come poc o prima. Quando tentai di riafferrare la cassetta, qu esta cadde in avanti lungo l~ il pendio dei detriti, facendo un baccano ter ribile e ridestando echi che E mi fecero venire i sudori freddi. Feci un rap ido movimento avanti e la F ricuperai senza altro rumore, ma un attimo do po lo slittamento di un blocco sotto i miei piedi sollevò un fracasso improvviso e senza prece- ~ denti. Quel fracasso fu la mia rovina. Perché, vero o falso, credetti di ', udire una risposta in modo terribile dagli sp azi lontani alle mie spalle. Udii uno strillo, un suono sibilante che non somigliava a niente di ciò che si ode sulla Terra, e al di là di qualunq ue adeguata descrizione ver- bale. Se fu vero, ciò che seguì fu una crudel e ironia; se non fosse per il panico di quella cosa, la seconda cosa non sa rebbe mai successa. Comunque sia il mio smarrimento era assoluto e privo di conforto. Presa la torcia in mano e afferrata malamente la cassetta, saltai e cara- collai all'impazzata in avanti con il cervell o vuoto, incapace di pensare ad altro fuorché a uscire precipitosamente da quelle rovine da incubo, verSo il deserto e la luna che lo contemplava dall'alto. ·~ ~* Me ne accorsi appena quando raggiunsi la montagna di detriti che rreggiavano nell'oscurità oltre il tetto spr ofondato, mi ammaccai, mi ~erii più volte per arrampicarmi sull'erto pen dio di blocchi dentellati e i frammenti. Poi successe il disastro. Mentre superavo la sommit à, impreparato all'improvvisa pendenza, i piedi mi scivolarono e m i ritrovai in mezzo a una valanga di rovine il cui fragore, forte come un colpo di cannone, lacerò la buia aria della caverna con una serie di riverberazioni sonore da far scuotere la terra. Non ricordo come emersi da quel caos, ma un fugace frammento di conoscenza mi dice che mi lanciai, saltellai, mi in erpicai per il corri- doio fra il frastuono - cassetta e torcia ancora in mio possesso. Poi, nell'awicinarmi alla primitiva cripta di basal to che tanto teme- vo, fui colto da totale pazzia. Perché come moriron o gli echi della va- langa, emerse udibile la ripetizione di quel fischi o spaventoso e scono- sciuto, che mi era parso di aver udito prima. Questa ~rolta lo riconobbi subito, e il peggio era che proveniva da un punto non dietro, ma davanti a me. Forse in quel momento gridai forte. Conservo di me l'immagine di un uomo in fuga attraverso la volta di basalto delle e ntità più antiche e il suono dannato che scaturiva dalla botola aperta, os cura, infinitaménte

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profonda. Vi era anche il vento, non una semplice c orrente fredda e umida, ma una raffica violenta che eruttava selvagg ia e gelida da quel- I'abisso abominevole da dove proveniva il fischio. Mi affiorano ricordi di aver saltato e superato gua rdingo ostacoli di ogni genere, con quella raffica di vento e il suono acuto che aumentava di minuto in minuto, e che sembravano awolgermi e a vvilupparmi di proposito. Quel vento, sebbene l'avessi alle spalle, pareva mi ostacolasse l'avan- zata, anziché favorirla, come se mi tenesse con un laccio al collo. Incu- rante del rumore che facevo, superai una grande bar riera di blocchi con notevole fracasso e fui di nuovo nella zona che portava in superfi- cie. Ricordo di aver guardato di sfuggita la stanza dell e macchine e di aver quasi gridato quando vidi il piano inclinato c he portava verso una di quelle botole, due piani più in basso, probabilm ente spalancata. Ma invece di gridare, non feci che ripetermi che era t utto un sogno dal qua- le dovevo svegliarmi. Forse ero nell'accampamento, forse ero a casa, ad Arkham. E quella speranza protesse la mia integrità mentale mentre risalivo il pendio verso il piano superiore. Sapevo, naturalmente, di dover attraversare la spac catura di un me- tro e mezzo, ma ero troppo sconvolto da altre paure per rendermi conto fino in fondo dell'orrore fin quando non vi fui a r idosso. In discesa, il salto era stato facile, ma potevo scavalcare il vuo to così facilmente in salita e per di più impedito dalla paura, dalla spo ssatezza, dal peso del- la cassetta di metallo e dall'anomalo tormento di q uel vento demonia- co? All~ultimo momento pensai a quelle cose e pensa i anche alle entità innominabili che forse stavano in agguato nei neri abissi sotto di me. La torcia ondeggiante faceva una fioca luce, ma da certi ocuri ricordi seppi quando ero vicino alla spaccatura. Le raffich e di vento gelido e le grida sibilanti e disgustose alle mie spalle agiron o per un istante come un benefico oppiaceo, intontendo l'immaginazione di fronte all'orrore di quel baratro spalancato. Poi mi accorsi di altre correnti d'aria e di altri sibili davanti a me, maree di abominio che er uttavano dalla spac- catura salendo da profondità inimmaginabili, A quel punto fui dawero sopraffatto dall'incubo. L' equilibrio menta- le se ne andò e ignorando tutto, all'infuori dell'i mpulso animale della |` fuga, mi dibattei e mi tuffai in avanti oltre i cumuli di rovine come se non vi fosse stato nessun baratro. Poi vidi il bord o dell'abisso, saltai co- me un pazzo raccogliendo fino all'ultimo grammo di energia e fui im- mediatamente inghiottito in un vortice di totale e profonda oscurità, quasi materialmente tangibile. E qui finisce la mia esperienza, per quanto ne rico rdo. Ogni altra im- pressione appartiene al dominio del delirio fantasm agorico. Sogno, pazzia, ricordi si mescolarono inestricabilmente in sieme in una serie di allucinazioni fantastiche e frammentarie che nul la hanno in comune con cose reali. Una caduta terribile attraverso leghe incalcolabili di tenebre viscose e sensibili, una babele di rumori del tutto estrane i a quanto noi cono- sciamo della Terra e della sua vita organica. I sen si assopiti ripresero vitalità in me e captarono voragini e cavità popola te da orrori fluttuan- ti, che portavano verso rupi, oceani e città brulic anti con torri di basal- to senza finestre, da cui non brillava mai la luce.

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I segreti del primitivo pianeta e dei suoi eoni inc alcolabili mi balena- rono nel cervello senza l'aiuto di vista o udito, e seppi cose che neppure i sogni più pazzi avevano mai suggerito. Frattanto dita fredde di umido L vapore mi afferravano e mi abbrancavano, e quel f ischiare dannato, so- prannaturale sovrastava acuto e diabolico tutte le gradazioni di fra- "b Stuono e silenzio nei gorghi della circostante o scurità. In seguito vi furono visioni della città ciclopica dei miei sogni, non in rovina~ ma come l'avevo sognata. Io ero nuovamente nel corpo conico ~ non umano, mescolato con folle della Grande Razza e con le menti pri- E~ gioniere che trasportavano libri su e giù per gl i enormi corridoi e gli ampi piani inclinati. Poi, sovrapposte a quelle immagini, vi furono spave ntose, fugaci vi- Sioni di coscienza non visiva: lotte disperate, con torcimenti per libe- rarmi da tentacoli rapaci di vento sibilante, una f uga insana, come un . ~ volo di pipistrello, per l'aria semi-solida, un febbrile scavare nelle tene- 'b :,~ bre flagellate da un ciclone, e un pazzesco incespicare e arrancare sugli ammaSSi di rovine. Una volta vi fu uno strano lampo invadente e semi-l uminoso, un bar- me debole, diffuso, di uno splendore bluastro in al to, molto lontano. 64 65 Poi mi parve di sognare che scalavo e strisciavo, i nseguito dal vento e mi dibattevo nel bagliore di una luna sardonica in mezzo a una giungla di detriti che scivolavano e ruzzolavano alle mie s palle in un fragoroso uragano. Fu l'insistenza maligna e monotona di quel chiarore lunare a dirmi alla fine che ero riemerso là dove sapevo ess ere il mondo dei vivi. Ero bocconi e mi agguantavo alla sabbia del deserto australiano, e tutto intorno sibilava una bufera di vento, come ma i ne avevo cono- sciute sulla superficie del pianeta. Avevo gli abit i a brandelli e tutto il corpo era coperto di lividi e di graffiature. Con molta lentezza mi tornò la coscienza, e non sap rei dire a che pun- to svanì il sogno delirante e dove tornarono i rico rdi normali. Pareva ci fosse stato un rnucchio di blocchi titanici, un abi sso sottostante, una mostruosa rivelazione del passato, e un incubo orre ndo alla fine - ma quanto di tutto questo era reale? La pila era sparita, e così pure la cassetta di met allo che forse avevo scoperto. Era mai esistita una cassetta del genere, o l'abisso, o il muc- chietto di rovine? Sollevai il capo, mi guardai all e spalle, e vidi soltan- to le sabbie sterili, ondulate del deserto. Ll vento demoniaco era cessato e la luna gonfia e i rreale tramontava rossastra a occidente. Mi rimisi faticosamente in p iedi e cominciai a muovermi barcollando in direzione sud-ovest, verso l'accampamento. Che cosa mi era accaduto veramente? Ero solo caduto nel deserto e ave- vo trascinato un corpo martoriato da un accesso di follia per chilometri di sabbia e blocchi sepolti? In caso contrario, com e riuscire a sopporta- re la vita? Con questo nuovo dubbio, tutta la fede nella irreal tà delle mie visioni generate dai miti, si dissolse ancora una volta nei sospetti infernali di

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prima. Se quell'abisso era vero, allora la Grande R azza era reale - e co- sì i suoi blasfemi poteri e le sue scorribande nel cosmo-, gli enormi vortici del tempo non erano miti o incubi, ma una r eallà terribile, da distruggere l'anima. Ero stato, veramente, trasportato in un mondo pre-u mano di cento- cinquanta milioni di anni fa in quei giorni bui e s convolgenti della am- nesia? Il mio corpo attuale era stato il veicolo di una spaventosa co- scienza estranea venuta dagli abissi paleogenici de l tempo? E come le menti prigioniere di quegli orrori a form a di cono avevo realmente conosciuto la maledetta città di pietra n el suo splendóre pri- mordiale, e mi ero introdotto in quei corridoi fami liari nella disgustosa forma del mio catturatore? I tormentosi sogni di ol tre un ventennio erano il frutto di ricordi mostruosi ma veritieri? Avevo veramente parlato un tempo con menti provenie nti da irrag- giungibili angoli di tempo e spazio, imparato i seg reti dell'universo, passato e avvenire, e scritto gli annali del mio mo ndo per le cassette metalliche di quegli archivi colossali ? E gli altr i - quelle impressionan- 66 ti cose più antiche che emanavano pazzi venti e sib ili demoniaci - era- no davvero una incombente minaccia in agguato, nasc osta nei neri abissi dove lentamente si indebolivano, mentre mute voli forme di vita trascinavano avanti i loro corsi multi-millenari su lla superficie del pia- neta, devastata dal tempo? A queste domande non so rispondere. Se quell'abisso e quanto rac- chiudeva erano reali, non esiste speranza. Allora, sul serio, incombe su questo mondo dell'uomo una beffarda e incredibile o mbra fuori del tempo. Ma, fortunatamente, non esiste prova che tal i cose non siano al- tro che nuove fasi dei miei sogni nati dal mito. No n ho portato alla luce la cassetta che avrebbe costituito la prova, e fino ra quei corridoi sotter- ranei non sono stati trovati. Se le leggi dell'universo sono benevole essi non sa ranno mai scoperti. Tuttavia devo dire a mio figlio ciò che vidi o cred etti di vedere, e lascio a lui di giudicare come psicologo la portata della realtà della mia espe- rienza e di comunicare agli altri questo resoconto. Ho detto che la spaventosa verità che sta dietro ai miei anni tormen- tati di sogni ruota assolutamente sui fatti reali d i ciò che ritenni di aver visto in quelle ciclopiche rovine sepolte. E stato per me arduo, letteral- mente, stendere per scritto la rivelazione cruciale , benché i lettori la avranno immaginata. Naturalmente, sta nel libro del la cassetta - la cassetta che estrassi dal suo posto segreto fra la polvere di un milione di secoli. Nessun occhio aveva mai visto, nessuna mano toccato quel resoconto dell'avvento dell'uomo sul pianeta. Eppure, quando io accesi la torcia sul volume, in quell'abisso terrificante, vidi che le lettere stranamente colorate sulle pagine di cellulosa, scurite dal tem po e friabili, non era- no sconosciuti geroglifici dei primordi della terra . Erano, invece, le let- tere del nostro alfabeto comune; e le parole erano vergate in lingua in- glese, con la mia calligrafia. itolo originale The Shadow out of Time ne di Alda Carrer, su licenza di SugarCo Edizioni 67 Horace L. Gold

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QUESTIONE DI FORMA Il telefono irruppe stridulo nel sonno di Gilroy. C on gli occhi risoluta- mente serrati, il reporter si rovesciò sul fianco, affondò l'orecchio nel cuscino e tirò la coperta fin sopra la testa. Ma lo squillo imperversava. Quando aprì le palpebre ammiccando e vide la pioggi a che rigava le finestre, strinse i denti a quello strepito insiste nte e alzò la cornetta, lanciando una maledizione nel microfono - non una t rita imprecazio- ne, ma una fantasiosa opinione sulla sorta d'uomo c he svegliava croni- sti stanchi alle quattro del mattino. --Non prendertela con me--rispose il suo direttore dopo un irrita- to silenzio.--E stata tua, l'idea. Tu hai voluto oc cuparti del caso. Hanno trovato un altro come-si-chiama. Gilroy si sveglib all'istante.--Un altro catatonico ! --In York Avenue, vicino alla Novantunesima Strada, circa un'ora fa. E nel reparto osservazione del Memorial Hospita l.--La voce a un tratto si abbassò in un tono confidenziale.--Vuoi s apere che cosa ne penso, Gilroy? --Che cosa?--chiese Gilroy in un bisbiglio fiducios o. --Credo che tu sia suonato. (~uesti catatonici sono solo dei vaga- bondi. Probabilmente si sono ubriacati fino a ridur si a quella cosa lì, la catatonia. Via, sii ragionevole, Gilroy, non si meritano più di una notiziola di quattro righe. Gilroy, sceso dal letto, si stava vestendo con una sola mano. --Non questa volta, capo--rispose convinto.--Certo, sono solo dei vagabondi, ma questo fa parte della storia. Sen ta... ehi! Lei avreb- be dovuto staccare un paio d'ore fa. Che cosa ci fa in ufficio? Il direttore pareva infelice:--Il vecchio Talbot. D omani compie ses- santasei anni. Ho dovuto confezionare un pistolotto sulla sua vita. --Che cosa? Perde il suo tempo a rifare una vergini tà a quell'assas- sino, a quel bandito... --Prenditela calma, Gilroy--I'avvertì il direttore. --Ha metà del capitale del nostro giornale, e non è che ci dia sp esso fastidio. --Okay. Ma lui da solo tiene in piedi la criminalit à cittadina. Be', non ci metterà molto a tirare le cuoia. Può raggiun germi al Memorial, appena smonta? --Con questo tempo?--Il direttore rifletté.--Non so . Tu hai un istinto di prima classe per le notizie, e se pensi che sia una storia coi fiocchi... oh, all'inferno, va bene! Il sorriso trionfante di Gilroy s'incrinò, quando i l suo piede stracciò una calza. Appeso il ricevitore, il cronista si die de a esplorare cassetti spopolati, alla ricerca di un altro paio. La strada era gelida e desolatamente deserta. La ne ve annerita si stava sciogliendo in un deprimente pantano. Gilroy si rannicchiò nel suo cappotto e avanzò sguazzando nella fanghiglia v erso Greenwich Avenue. Alto e magro com era, con la testa china co ntro la pioggia bat- tente, il soprabito svolazzante intorno agli stinch i ossuti, le mani af- -| fondate nelle tasche e i gomiti appuntiti che sporgevano a filo del cor-

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° dinoccolato, assomigliava a un'infelice cicogna c he si guardasse in- torno alla ricerca di un pesce. il Ma era tutt'altro che infelice. Anzi, era fel ice, come solo può esserlo un uomo con una sua teoria prediletta, quando i fat ti cominciano a ~| schierarsi dalla sua parte. Mentre pesticciava nel fango, rabbrividì al pensier o del catatonico ~| che doveva esservi rimasto disteso per ore, inc apace di alzarsi, fino a ~jl che l'avevano trovato e trasportato all'ospeda le. Povero diavolo! Il pri- jl mo della serie era stato scambiato per un ubri aco, ma poi il poliziotto aveva visto il cerotto sul collo. "Paziente fuggito dopo operazione al cervello", ave va riportato l'o- spedale. Sembrava ragionevole, salvo che i catatoni ci non cammina- no, né strisciano, né si nutrono da soli - anzi, no n compiono nessun movimento muscolare volontario. Gilroy, quindi, non era rimasto molto sorpreso quando nessun ospedale o chirurgo pr ivato aveva re- clamato il presunto fuggiasco. Un autista di taxi avvistò colmo di speranza quella figura agitata nella pioggia. Gilroy represse l'impulso di abbracc iarlo, per averlo salvato dal vento tagliente, e si cacciò dentro. --La notte giusta per un omicidio--osservò l'autist a in tono ozio- so. --Vuole farmi capire che gli affari vanno male? --Voglio dire che è un tempo schifoso. . --Accidenti se lo è--esclamò sarcastico Gilroy.-- Non si lasci im- k pressionare~ però. Ho fretta. Memorial Hospital, di volata! L~autista~ con aria partecipe, virò verso il centro della strada e schiz- ~zo oltre un semaforo battendolo sul tempo. Tre catatonici in un mese! Gilroy scosse la testa. Era un vero enig- ma. Non potevano essere scappati. Perché, in primo luogo, qualcuno li avrebbe reclamati e, in secondo luogo, era fisicame nte impossibile. E come si procuravano quelle nitide incisioni chirurg iche un po' sotto la nuca suturate con due punti da una mano professiona le e protette da un professionale cerotto? Tagli recenti, per giunta ! A suo giudizio, aveva grande importanza che fossero poveramente vestiti e in stato di lieve denutrizione. Ma che vo leva dire? Scrollò le spalle. Il suo era come un sesto senso, ecco. Quando il taxi accostò bruscamente al marciapiede c on uno stridore di freni, Gilroy passò una banconota attraverso il finestrino e scese. La notte esplose all'improvviso, mentre la pioggia gli si avventava addos- so con un'ondata ruggente. Lottando col vento, il g iornalista si lanciò verso la porta dell'ospedale. Fradicio e senza fiato, quasi si pentì della sua al zata d'ingegno: dare tanto peso a tre catatonici ridotti in miseria! Con cautela, infilò la ma- no nel cappotto viscido e tirò fuori una tessera co mpletamente inzup- pata. La ragazza al banco dell'accettazione vi diede uno sguardo. --Oh, un giornalista! E successo qualcosa d'importa nte, stanotte? --Niente di speciale--rispose lui con noncuranza.-- Un povero vagabondo trovato fra York Avenue e la Novantumesim a. E nel reparto svitati?

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La ragazza scorse il registro e annuì--E un suo ami co? --Il mio nipotino.--Mentre si allontanava, Gilroy e la ragazza tra- salirono al fruscio dell'acqua che sciabordava nell e sue scarpe a ogni passo.--Devo essere finito in una pozzanghera. Quando svoltò verso l'ascensore, la ragazza scuotev a la testa, le lab- bra increspate in una smorfia di matema sollecitudi ne. Poi, il pianter- reno scomparve. Percorse il corridoio imbiancato senza esitare, pre stando orecchio con distacco accademico ai sommessi, orribili gemit i che giungevano dalla corsia principale. Vicino all'ambulatorio, lo fermò il rumore del- I'ascensore. Gilroy si voltò a guardare. Comparve il direttore - un ometto intirizzito, bagn ato fino alle ossa e disgustato. Il giornalista gli si fece incontro e , dopo averlo preso per il braccio, lo condusse in silenzio all'intemo dell 'ambulatorio. Il diret- tore sospirò rassegnato. Il medico intemo dell'ospedale alzò appena lo sguar do quando i due presero posto discretamente fra i praticanti che fa cevano corona al letto. Senza sforzo, Gilroy sbirciò sopra le teste davanti, studiando il soggetto catatonico con occhio clinico. Il paziente era stato spogliato degli abiti bagnati , asciugato e frizio- nato con alcool. Totalmente passivo, i muscoli rila ssati, gli occhi soc- chiusi, la bocca spalancata in un'ebete inerzia. Su l collo, la traccia scura lasciata dal cerotto. Gilroy si storse da un lato. Sotto i capelli ta- gliati, vide parte della sutura. --Catatonico, dottore?--chiese con tranquillità. --Chi è lei?--sbottò il medico. --Gilroy... Morning Post. Il dottore tomò a guardare il paziente sul lettino. _ Catatonia, certo. Nessuna traccia di alcool o di droghe inibitorie. Lieve denutrizione. Gilroy si fece largo educatamente nella cerchia deg li studenti. --Lo choc da insulina non funziona, eh? Non c'è mot ivo per cui debba funzionare. --Perché no?--chiese il medico con un sussulto.--Fu nziona sem- pre in questi casi... Almeno, temporaneamente. --Ma non ha funzionato in questo, vero?--insisté br usco il gioma- lista. Il dottore chinò il capo sconfitto.--No. --Cos'è tutta questa storia? E cos'è la catatonia, comunque? Parali- si o che?--chiese irritato il direttore del giornal e. --E l'ultimo stadio della schizofrenia, o demen~iap recox, come la si chiamava una volta--rispose il dottore.--La mente s i ribella alle re- sponsabilità e cerca un periodo dell'esistenza in c ui fosse libera dal-

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I'angoscia. Regredisce all'infanzia e scopre che es istono le preoccupa- zioni infantili; si spinge oltre, e si ribella anch e a quelle, fino a giunge- re a uno stato prenatale. --Ma è una degenerazione per gradi--asserì Gilroy.- -Molto pri- ma del completo crollo psichico, lo schizofrenico v iene individuato e ricoverato in un manicomio. E lì passa attraverso g li stadi dell'imbe- cillità e dell'idiozia. Solo dopo molti anni di dec adimento mentale si chiude a riccio rifiutandosi di usare i muscoli o i l cervello. Il direttore sembrava perplesso.--E perché lo choc da insulina do- vrebbe tirarlo fuori da quello stato? --Non che non dovrebbe!--scattò Gilroy. --E invece sì--ribatté il medico irritato.--La cata tonia è una ri- bellione negativa. L'insulina riduce io zucchero ne l sangue fino a pro- e curare uno choc, e la fame improwisa scuote il ca tatonico dalla sua passività. --E vero--replicò Gilroy battagliero--ma questo non è un caso di catatonia! E incredibilmente simile, ma non si è mai sentito di un 't~ catatonico che non si rifiuti di compiere un mo vimento muscolare vo- lontario. Non c'è ritenzione salivare! Secondo me, si tratta di paralisi. --Provocata da che?--lo rimbeccò il dottore. --Questo spetta a lei stabilirlo. Non sono un medic o. Cosa ne dice di quella ferita alla base del cranio? yl --Stupidaggini! Non arriva a mezzo centimetro dal n ervo motore. Si tratta di cerea fle~cibilitas... flessibilità ce rea.--Il medico alzò il braccio del paziente e lo lasciò andare. Il braccio ricadde lentamente. --Se ci fosse una paralisi generale, anche il cerve llo sarebbe stato col- pito. Sarebbe morto, a quest'ora. Gilroy alzò le spalle ossute e le rilasciò.--E sull a pista sbagliata, dottore--disse senza scomporsi.--La ferita c'entra di sicuro e la ca- tatonia non può essere indotta chirurgicamente. Può essere provocata da una lesione, ma la degenerazione sarebbe gradual e. E i catatonici non camminano, né strisciano. E stato deliberatamen te abbandonato, come gli altri. --Si direbbe che tu abbia ragione, Gilroy--concesse il direttore. --C'è qualcosa che non quadra, qui. Avevano tutti e tre le stesse feri- te? --Esattamente nello stesso punto, alla base del cra nio e a sinistra della spina dorsale Ha mai visto una creatura così inerme? Provi a immaginarla mentre scappa da un ospedale, o anche d a un chirurgo privato! Il medico congedò gli interni e riunì in fretta gli strumenti per una rapida fuga.--Non ne vedo motivo. Tutti e tre erano poveramente ve- stiti e denutriti; dovevano vivere in condizioni al di sotto del livello di sussistenza. Chi poteva volere fargli del male? Gilroy balzò davanti al medico, sbarrandogli il pas so.--Ma non de- ve essere per forza una vendetta! Poteva trattarsi di un esperimento! --Per dimostrare che?

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Gilroy lo guardò con aria interrogativa.--Non lo sa ? --E come potrei? Il giornalista si cacciò indietro sulla testa il ca ppello intriso di piog- gia e si precipitò verso la porta.--Andiamo, capo. Chiederemo a Moss d'illuminarci. --Non troverete qui il dottor Moss--disse il medico .--Non è di turno stanotte e credo che domani lasci l'ospedale. Gilroy si fermò di botto.--Moss... lascia l'ospedal e!--ripeté sba- lordito.--Ha sentito, capo? Quello è un dittatore, uno schiavista e un verme. Ma probabilmente è il primo chirurgo d'Ameri ca. Ma guardi. Notizie sensazionali che spuntano da tutte le parti , e lei se ne sta lì a tirare a lucido la biografia sanguinaria del vecchi o Talbot!--Il suo cappotto si gonfiò nell'onda del rapido passo disar ticolato.--Tre ca- tatonici trovati distesi per strada in un mese. Mai successo prima. Non possono camminare, né strisciare, e hanno misterios e ferite alla base del cranio. Ora il più grande chirurgo del Paese vi ene buttato fuori a calci dall'ospedale che lui ha portato al primo pos to in America. E lei cosa fa? Se ne sta seduto in ufficio a sciorinare s torie su che tipo ga- gliardo sia Talbot sotto la sua apparenza viscida! Il medico udì con sollievo scivolare per il corrido io l'ultima eco di quella voce implacabile, incisiva, sorretta dalla l ogica. Ma prima di lasciare la stanza, guardò il paziente. Era meno sicuro che si trattasse di catatonia. Si s orprese a ripetere l'osservazione del direttore del giornale: dawero, c'era qualcosa che non quadrava. Ma che ragione poteva esserci, di operare tre derel itti e abbandonar- li a loro stessi? E come poteva 1 operazione avere provocato la catato- nia? In un certo senso, gli dispiaceva che il dottor Mos s venisse licenzia- to. Il freddo dittatore schiavista avrebbe potuto f ornire una buona teo- ria. Quella era la coscienza del medico, che parlav a. Ma dentro di sé il dottore sentiva che avrebbe dato qualunque cosa, pu r di stare lontano da quella morbida voce canzonatoria e da quella smo rfietta irridente. All'altezza della Cinquantunesima Strada, Wood giun se all'ultimo uf- ficio di collocamento della Sesta Avenue. Con ben p oche speranze, les- se le rozze iscrizioni in gesso. Era un'agenzia di collocamento per la- voratori dell'industria. Wood non era mai stato in fabbrica. Il solo im- piego che avrebbe potuto ricoprire, era di apprendi sta tappezziere a dieci dollari la settimana; ma aveva trentadue anni e l'agenzia avreb- be chiesto un pagamento immediato di cinque dollari . Se ne andò depresso, giocherellando con i tre decin i in tasca. Tre de- cini, le monete più piccole e insignificanti d'Amer ica... --Trovato niente, amico? --Non per me--rispose Wood stancamente, senza quasi degnare di un'occhiata il suo interlocutore. Lanciò un ultimo sguardo al giornale prima di lasci arlo cadere sul marciapiede. Era l'ultimo che avrebbe comprato, dec ise; con il suo aspetto miserabile, non poteva rispondere alle inse rzioni. Ma la sua mente si avvinghiava ostinata all'articolo dove Gil roy descriveva gli

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orrori della catatonia. Uno stato che, per un capri ccio nato dalla fru- strazione, Wood trovava adesso dotato di una bizzar ra attrattiva. Al- meno, i catatonici avevano un tetto e di che mangia re. Chissà che non fosse possibile simulare quella malattia... L'altro aveva continuato a studiarlo. --Laureato, e h?--chiese mentre Wood si allontanava. Wood si fermò e si passò una mano sulla faccia irsu ta. Luridi polsini uscirono dalle maniche sfrangiate. I capelli troppo lunghi, lo sapeva bene, gli si arricciavano dietro le orecchie.--Si v ede ancora?--chie- -Se con voce amara. --Ci puoi scommettere. Uno che viene dall'universit à si riconosce iontano un miglio. Wood storse la bocca.--Felice di sentirlo. Dev'esse re una luce inte- riore che brilla fra gli stracci. --Sei un idiota, a venire qua con la tua istruzione . Qui vogliono so- lo dei disgraziati che non sanno dove sbattere la t esta... Tipi come me, con tanti muscoli e niente cervello. Wood lo studiò. Era troppo ben vestito e troppo sve glio per aver va- gato fra le agenzie anche solo da poco tempo. Dovev a avere appena perso il posto, forse cercava compagnia. Ma ne avev a già incontrati prima, di tipi come quello, con lo sguardo insensib ile di un lupo che scelga le sue prede fra i disoccupati. --Senti--gli disse Wood--io non ho niente di quello che tu vorre- sti. Sono ridotto con trenta centesimi. Scusami, se me la batto dalla mia stanza con i libri e lo spazzolino da denti pri ma che li agguanti il custode. L'altro non si ritrasse, né si lasciò andare a virt uose proteste.--Non sono cieco--rispose quieto.--Lo vedo bene che sei r idotto male. --Allora cosa cerchi?--scattò Wood.--Non dirmi che cerchi com- pagnia da un tipo lercio, ma con la patente di ex-u niversitario... Il suo bistrattato amico ebbe un gesto di fastidio. --Risparmia la scena del cane rabbioso. Mi hanno appena scartato p er un lavoro, per- ché non ho fatto l'università. Settantacinque al me se, alloggio e vitto assicurato, come assistente del dottore. Ma mi hann o cacciato perché non ho la laurea. --Hai tutta la mia comprensione--disse Wood, e si v oltò. L'altro l'afferrò.--Tu sei laureato. Vuoi il lavoro ? Ti costerà la paga della prima settimana... La mia percentuale, capisc i? --Io non ne so niente di medicina. Ero un esperto d i codici in un uf- ficio di cambio, prima che la gente rimanesse a cor to di soldi per gli investimenti. Vuoi che decifri qualche codice? Quel lo è il meglio che posso fare. Wood si stizzì quando lo sconosciuto gli si affianc ò, tenendo il suo passo stracco. --Non c'è bisogno che ne sappia qualcosa di medicin a. Basta che tu abbia la laurea, un po' di muscoli e di cervello, e cco tutto quello che vuole il dottore. Wood si fermò, voltandosi di botto.

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--Non mi prendi in giro? --Ti dico di no. Ma non voglio portare là un teston e e farmi sbattere fuori di nuovo. Devo farti le domande che hanno fat to a me. Davanti alla prospettiva di un lavoro, la diffidenz a di Wood si dis- solse. Sentiva al tatto i tre decini in tasca - dec isamente esigui, e poco rassicuranti. Significavano due hamburger e due taz ze di caffé, o un letto in qualche lurido dormitorio. Due magri pasti e la notte nell'umi- da aria di marzo; o un letto e niente cibo. --Spara--disse risoluto. --Qualche parente? --Dei cugini di quinto grado nel Maine. --Amici? --Nessuno che mi riconoscerebbe, ormai.--Wood scrut ò la faccia dell'altro.--Che cos'è questa storia? Che c'entrano i miei amici, o pa- renti... _ Niente--si amrettò a rispondere lo sconosciuto.-- Solo che devi |- viaggiare un po'. Il dottore non vuole che ti t rascini dietro una moglie, o che devi interrompere il lavoro per scrivere dell e lettere, capisci? Wood non capiva. Era una spiegazione singolarmente zoppicante, ma ormai era concentrato sui 75 dollari al mese, su lla stanza e il vit- to... Cibo! --Chi è il dottore?--chiese. --Non sono scemo.--L'altro sorrise a muso duro .--Tu ci verrai con me e mi farai anticipare da lui la mia perc entuale. Wood si avviò insieme al suo compagno verso l' Ottava Avenue. Se- duto nella metropolitana, evitò d'incontrare sg uardi pur casuali e di- stratti. Teneva i piedi fuori del corridoio, co ntro la base del sedile, così da nascondere la suola schiodata e sventagliant e della scarpa destra. Aveva le mani ruvide e screpolate, tenacemente incrostate di sporco. Risentito, sconfitto, con l'aria di un maturo c ane randagio. Che possi- bilità aveva di essere assunto? Ma perlomeno lo sconosciuto aveva ri- schiato un nichelino per il suo biglietto. L Wood lo seguì fuori della stazione della Cento treesima Strada e del- la Central Park West; insieme salirono sulla co llina verso Manhattan Avenue e proseguirono lungo diversi isolati per il centro. Poi la sua guida corse lesta su per la scaletta di una vec chia casa. Wood, che ar- rancava più lento, represse l'impulso di scappa re, ma già assaporava la deprimente sensazione di chi si vede rifiuta re un lavoro. Se solo avesse potuto tagliarsi i capelli, far stirare il vestito e aggiustare le scarpe! Ma a che serviva pensarci? Gli sarebbe costato un paio di dol- ~- lari. E poi, non c'era niente da fare per que gli orli sfrangiati. --Vieni!--lo chiamò il suo nuovo amico. Wood raddrizzò la schiena e rimase a guardare la casa, mentre l'al- tro suonava deciso il campanello. Era un edific io di tre piani, nessuna dicitura sopra il campanello, nessuna insegna d i un qualunque studio medico sulle finestre dai pesanti tendaggi. Dal l'esterno, poteva sem- brare una pensione mal tenuta. La porta si aprì. Un uomo della sua età, di me dia corporatura, ma notevolmente sovrappeso, bloccò l'ingresso. Por tava un camice bianco da laboratorio~ Gli occhi mobili e arcigni pare vano incongrui nel pal- ~lore della faccia morbida. --Ancora qui?--chiese impaziente.

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--Non è per me, questa volta--rispose il testardo a mico di Wood. --Ho portato un laureato. Wood si ritrasse umiliato, quando lo sguardo acuto del grassone percorse il suo abito gualcito e consunto e si ferm ò con disgusto sui lunghi capelli che si gonfiavano scomposti intorno alla faccia famelica e mal rasata. Ecco, già se lo sentiva: "Non fa al c aso nostro". Ma il grassone spinse da parte con la gamba un bel collie e aprì del tutto la porta. Stranito, Wood seguì il suo accompa gnatore nell'angu- sto corridoio e, per dare un'impressione amichevole , si chinò ad acca- rezzare le orecchie del cane. Il grassone li condus se in una stanza nu~ia sul fronte. --Come si chiama?--chiese con indifferenza. Wood sentì la risposta bloccarglisi in gola. Dovett e tossire. --Wood--disse. --Qualche parente? Wood scosse la testa. --Amici? --Non più. --Che laurea? --Scienze, Columbia, 1925. L'espressione del tipo corpulento non cambiò. Infil ò la mano nella tasca sinistra e ne prese un portafoglio.--Che acco rdo ha con que- st'uomo? --Deve avere il mio salario della prima settimana.- -In silenzio, con uno sguardo vorace e patetico, Wood osservb sva riate banconote verdi mutare di mano.--Posso lavarmi e sbarbarmi, d ottore?--chie- se. --Non sono io il dottore--replicò il tipo florido.- -lo mi chiamo Clarence, senza titoli davanti.--Si voltò rapido ve rso il troppo curio- so sconosciuto.--Che cosa stai a fare qui? L'amico di Wood arretrò verso la porta.--Be', tanti saluti--disse. --Un bel colpo per tutti e due, eh, Wood? 11 laureato annuì e sorrise felice. Gli era del tut to sfuggita la traccia d'ironia in quella voce dura. --L'accompagno di sopra, nella sua stanza--disse Cl arence, non appena il socio in affari del nuovo assunto se ne f u andato.--Credo che ci sia un rasoio. Uscirono nello scuro corridoio, tallonati dal colli e. Una lampada scoperta pendeva da un unico filo sopra un tavolo p ieghevole. Sul mu- ro, uno specchio ovale in una cornice dorata rimand ava l'immagine di Wood, sciatta e disordinata, sopra il logoro tappet o steso sul pavimen- to fino a una porta che dava sul retro della casa. Con un'erta spirale, una stretta scala si arrampicava verso il primo pia no. Era una casa triste e trascurata, ma l'idea del lusso di Wood si era fatta meno esi- ~ente.

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--Aspetti qui, devo fare una telefonata--disse Clar ence, e chiuse alle sue spalle la porta di una stanza di fronte al le scale. Mentre vez- zeggiava il collie, più che disposto a fare amicizi a, Wood sentì Claren- ce parlare con voce forte e naturale al di là del p annello. --...Pinero ha riportato un uomo. Tutte le risposte perfette... Co- lumbia, 1925... Non un centesimo, a giudicare dall' aspetto... Chiamo Talbot? Per quando?... Okay... Tornerà appena avrà finito con il consi- glio di amministrazione?... Va bene... Be', che dif ferenza fa? In ogni ca- so, da loro ha avuto tutto quello che voleva. Wood sentì lo scatto del ricevitore che veniva posa to sulla forcella e poi rialzato. Moss? Quello era il direttore del Mem orial Hospital, il grande chirurgo. Ma l'articolo sui catatonici accen nava qualcosa circa il suo allontanamento dalla clinica. --Pronto, Talbot?--diceva intanto Clarence.--Venga domani a mezzogiorno. Moss dice che sarà tutto pronto per al lora... Okay, non si agiti. Questa è veramente l'ultima volta!... Non si preoccupi. Andrà tutto bene. Anche il nome di Talbot suonava familiare a Wood. P oteva essere quello di cui aveva parlato il Morning Post, il fil antropo di sessantasei anni. Probabilmente voleva essere operato da Moss. Be', non era affar suo. Quando Clarence tornò nel corridoio in penombra, Wo od pensò solo ai suoi 75 dollari al mese, con vitto e alloggio; m a, soprattutto, aveva un lavoro! Poche settimane di cibo decente e la pos sibilità di comprar- si qualche vestito nuovo, e in men che non si dica si sarebbe liberato del suo disfattismo. Dimenticò perfino la sua meraviglia per l'assenza d i una targa pro- fessionale e di quelle targhette con l'indicazione della sala d'aspetto, quali s'incontrano di solito nello studio di un med ico. Riusciva a pen- sare solo alla sua stanza pulita al terzo piano, af facciata, chissà, su un cortile luminoso. E a una rasatura... Il dottor Moss abbassò la cornetta con movimenti st udiati. Quando percorse a grandi passi il corridoio bianco dell'os pedale verso l'ascen- Sore, avvertì più di uno sguardo curioso, ma la sua faccia rosea, accu- ratamente sbarbata, non concedeva risposta a quegli occhi interroga- tivi. Nell'ascensore, se ne rimase con le mani cacc iate con noncuranza nelle tasche. Il lift non osò guardarlo, né rivolge rgli la parola. Presi cappotto e cappello - lo spazio intorno al ba nco dell'accetta- Zione sembrava più affollato del solito, popolato c om'era di uomini ~ con lo sguardo penetrante del reporter - il medic o proseguì con passo e~ sostenuto. Un tipo alto, sorprendentemente magro, che continua va a fissarlo come un uccello da preda, prese la testa dei cronis ti che sciamavano alle sue calcagna --Non può andarsene senza una dichiarazione alla st ampa, dotto- re--disse il tipo allampanato. --Non mi riesce affatto difficile--ribatté lui senz a fermarsi. Si arrestò sul marciapiede, con la schiena freddame nte rivolta ai

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giornalisti e, senza fretta, chiamò un taxi con un cenno. --Be', almeno può dirci se è ancora direttore dell' ospedale--insi- sté lo spilungone. --Chiedetelo al consiglio degli amministratori fidu ciari. --Un'ipotesi sui catatonici, allora? --Chiedetela ai catatonici.--Il taxi gli si fermò d avanti. Aprì riso- lutamente la portiera e prese posto. Mentre si allo ntanava, sentì il suo persecutore esclamare:--Che freddo rettile schifoso ! Non si voltò indietro a godere della loro sconfitta . Malgrado la cal- ma esteriore, neppure lui si sentiva molto tranquil lo. Quel tipo del Morning Post, Gilroy, o come si chiamava, aveva scr itto un articolo sensazionale sui catatonici abbandonati ed era giun to ad affermare che non erano affatto quello che si pensava. Lui av eva cercato in ogni modo di tenersi fuori dalla furiosa disputa fra le contrastanti supposi- zioni. Talbot possedeva una quota consistente del g iornale. Bisognava dirgli di mettere fine a quegli articoli, anche se ormai tutta la stampa stava andando a rimorchio. Era stata un'intuizione brillante, capire che i paz ienti non erano as- solutamente affetti da catatonia. Ma il reporter de l Morning Post si era assunto un compito formidabile, se voleva scoprire come tre uomini colpiti da una paralisi generale fossero stati abba ndonati senza la più piccola traccia della loro provenienza, e che relaz ione esistesse tra le incisioni e il loro stato. Lui stesso aveva risolto il problema solo da po- co. Il taxi tagliò verso la Settima Avenue e proseguì v erso la periferia. Il canzonatorio sorriso di congedo del dottore si d issolse. La mobile bocca sbiancò, le labbra si tesero in un'espression e tetra. Dove avreb- be trovato i soldi, adesso? Aveva attinto ai fondi dell'ospedale fino a lasciare un buco vertiginoso, e non era bastato. Si mili a una voragine senza fine, le sue ricerche potevano prosciugare un a dozzina di fondi. Se avesse potuto convincere Talbot, dimostrargli ch e i suoi falli- menti non erano stati altrettanti scacchi, che ques ta volta non avreb- be fatto fiasco... Ma Talbot era un tipo duro da fiaccare. Non un cent esimo sarebbe uscito dalla sua borsa tirata, fino a che non l'ave sse completamente persuaso di aver superato la fase sperimentale. Que sta volta non avrebbe fallito! Giunto nella strada del dottore, il taxi si fermò. Moss scese agilmen- te e salì gli scalini di fronte fiducioso, senza gu ardare né a destra né a sinistra, benché fosse una bella giornata con un ca ldo sole dorato é, tra le due file di vecchie case, si distinguesse Centra l Park verdeggiante di germogli. Aprì la porta ed entrò quasi con impazienza nello s tretto corridoio scuro, ignorando il collie festante che saltava per salutarlo. --Clarence!--chiamò.--Porta giù il tuo nuovo assist ente. Non vo- glio neanche mangiare.--Si tolse il cappello, il ca ppotto e la giacca e li appese distrattamente a un gancio vicino allo sp ecchio.

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--Ehi, Wood!--gridò Clarence su per le scale.--Sei pronto? Sentirono un passo rapido e leggero dal terzo piano . --Clarence, ragazzo mio--disse Moss con voce bassa e incalzante --ho capito qual era il problema. Non abbiamo falli to, in realtà. E te lo dimostrerò... Seguiremo esattamente la stessa te cnica! --Allora perché sembrava che non funzionasse, prima ? I piedi di Wood apparvero tra le ringhiere al secon do piano.--Capi- rai appena sarà finito--bisbigliò Moss in fretta. W ood si unì a loro. Quel pur breve periodo trascorso dopo l'assunzione, era bastato a trasformarlo. Aveva perso la sensazione demoralizza nte di essere un inutile relitto umano. E se ora si presentava ben r asato e pulito, non per questo i suoi occhi brillavano di gioia. --Wood... il dottor Moss--disse Clarence in tono sb rigativo. Wood farfugliò un discorsetto incoerente, inteso a informarli che era felice, anche se non ne sapeva nulla di medicina. --Non è necessario--rispose suadente il dottore.--L e insegnere- mo di più noi, in materia, di quanto potrebbe spieg arle la maggior parte dei chirurghi in una vita. Poteva significare tutto e niente. Wood non cercò d i capire il senso di quelle parole. Era stata la punta di trattenuta ferocia nella voce sommessa, a turbarlo. Sembrava un ben strano modo d i rivolgersi a un uomo assunto per spostare gli apparecchi e svolg ere le mansioni più ordinarie. Li seguì in silenzio in una sala operatoria rilucen te, rivestita di pia- strelle. Si sentiva meno a suo agio che nella sua s tanza, ma quando al- lontanò dalla mente l'intonazione di Moss come un a ccento natural- mente sarcastico, che lasciava capire più di quanto intendesse vera- mente, cedette ancora al suo entusiasmo. Si guardb intorno, mentre il medicO si lavava le mani e le braccia in un profond o lavandino. ~el centro della sala, si trovava un tavolo operato rio, rivestito da un lindo lenzuolo senza neppure una grinza. Sopra il p iano, si divaricava- no i cinque globi di una lampada scialitica. Era un a stanza ben orga- ata~ Perfino lui poteva vedere come tutto fosse a p ortata di mano del dottore: i vassoi con i tamponi, le garze e le pinze, e un dispositivo per la sterilizzazione che emetteva nuvolette di va pore. --Noi conduciamo molti esperimenti chirurgici--spie gò il dottor Moss.--Lei, più che altro, dovrà occuparsi degli an estetici. Mostragli come si fa, Clarence. Wood osservò con attenzione. Pareva semplice: aprir e e chiudere le bombole del ciclopropano, dell'elio e dell'ossigeno , tener d'occhio i quadranti per evitare che si formassero miscele tro ppo ricche, badare ai mantici e al filtro dell'acqua.... Già sapeva che gli anestesisti ben addestrati contr ollano la miscela aspirandola appena dal naso. Su suggerimento di Cla rence, inspirò leggermente dal cono bisbigliante. Ma non sapeva de l ciclopropano, così rapido, che a volte anche gli anestesisti più esperti ne rimangono tramortiti... Giaceva sul pavimento con le braccia e le gambe pun tate verso l'alto.

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Quando cercò di distenderle, rotolò su un fianco. G li arti si protende- vano ancora rigidi. Era intontito dall'anestetico. Qualcosa che somi- gliava a un cerotto chirurgico gli tirava la pelle in una zona sensibile del collo. La sala era buia, dietro le persiane verdi abbassat e a schermare la luce di fuori. Da qualche parte sopra di sé, in fon do al locale, sentì un respiro affannoso e, prima che potesse drizzarsi pe r indagare, udì mol- teplici passi che salivano verso la porta. Si ritra sse sulla difensiva. La porta si spalancò. La luce brillò nella stanza. Wood balzò in pie- di... e scoprì che non poteva stare eretto. Ricadde in una posizione ac- cucciata, di fronte a quegli uomini che l'osservava no con freddo inte- resse. --Ha cercato di alzarsi--asserì uno. --Che altro si aspettava?--sbottò Wood. Ma dalla bo cca gli uscì un ringhio confuso e feroce, inarticolato. Sconvolt o e furioso, alzò lo sguardo verso gli osservatori. --Tienilo d'occhio, Clarence--disse Moss.--Io mi oc cuperò del- l'altro. Wood volse la testa dalla minacciosa canna della pi stola puntata su di lui e vide il dottore sollevare l'uomo sul letti no. Clarence indietreg- giò verso la finestra e alzò la tapparella. Un vivi do chiarore lunare ri- scosse il paziente che, mostrandosi a Wood di profi lo, fissò gli occhi vacui sulla rosea faccia levigata di Moss, senza pi ù lasciarla. Dietro le sue orecchie, si arricciavano lunghi capelli scompo sti. --Ecco qua, Talbot--disse Moss al vecchio.--Vivo e vegeto. --Lo tiri giù dal letto, e vediamo se si comporta c ome diceva lei.-- Il vecchio si agitava nervoso poggiandosi al baston e. Moss trasse le gambe del paziente sul bordo del let to e lo alzò fatico- samente in piedi. Per un poco, quello rimase dritto senza bisogno di aiuto, poi, d'un tratto, crollò sulle mani e sulle ginocchia. Allora guar- dò Wood in faccia. Solo dopo un minuto di sbigottimento, Wood riconobb e quel volto. L'aveva visto ogni giorno della sua vita, ma mai co n tanto distacco. Gli occhi vacui, rotondi, i muscoli rilassati in un'esp ressione idiota. Satvo che era ta sua faccia... Fu un'esplosione di panico. Si guardò, per quanto p oteva: due gam- be pelose si dipartivano dalle sue spalle, per fini re nelle due zampe an- teriori di un cane, saldamente poggiate sul pavimen to. Avanzò incespicando verso Moss.--Che cosa mi avete fatto?--ur- lò. Sortì un ululato ferino. Il dottore spinse gli altri verso la porta e ar- retrò guardingo. Wood sentì le labbra stirarsi sopra le zanne. Clare nce e Talbot erano nel corridoio. Moss, vigile sulla soglia, le dita s ulla maniglia, lo guar- dava intento, gli occhi glaciali e impassibili. Qua ndo balzò, Wood si abbatté con la spalla contro la porta, richiusa di scatto dal dottore. --Sa cosa è successo--giunse la voce di Moss attrav erso il pannel-

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lo. Non del tutto vero. Wood sapeva che era successo qu alcosa, ma ri- fiutava di credere che la faccia dell'uomo striscia nte, che lo guardava stupidamente, fosse la sua. Eppure, lo era. E lui s tesso si trovava sulle quattro zampe di un cane, con un cerotto chirurgico sopra una ferita che gli bruciava sul dorso del collo. Da stroncare e annichilire chiunque - troppo fantas tico, per potervi credere. Pensò disperatamente all'ipnosi. Ma gli ba stava voltare la te- sta, per vedere in pieno quello che era stato il su o corpo, poggiato sulle mani e le ginocchia, come se non potesse stare in p iedi. Lui era fuori del suo corpo. Innegabile. In qualche modo, ne era sta- to tirato fuori; con qualche droga, o I'ipnosi, Mos s l'aveva ficcato nel corpo di un cane. Doveva ritornare nelle sue membra originarie. Ma come si fa a tornare nel proprio corpo? L'intelletto di Wood si lanciò alla cieca in tutte le direzioni. A mala- pena sentì i tre uomini allontanarsi dalla porta ed entrare nella stanza attigua Ma, d'un tratto, la sua mente si gelò per i l terrore. Il suo corpo umano appariva completo e impenetrabile, ermeticame nte chiuso al- la sua identità, orrnai estranea. I ~ Le sue lacrime animalesche, sgorgate in un ge lido terrore, si accom- pagnarOnO a uno scricchiolio di mobili: il bastone di Talbot si arrestò i~ con un picchiettio inquieto, insistente. --Questo dovrebbe aver convinto anche lei, no, Talb ot?--Adesso E era Moss, che parlava.--Le loro identità si sono scambiate, senza il -~ minimo mutamento nella rispettiva conformazione mentale. Wood trasalì. Voleva dire... no, assurdo! Ma tutto ciò spiegava come ~mai il suo corpo strisciasse sulle mani e le ginoc chia, incapace di riz- zarsi in piedi. Significava che l'identità del coll ie era dentro il suo cor- po! --D'accordo--giunse la risposta di Talbot.--Ma che mi dice del- I'operazione? Non è doloroso, il trasferimento dei cervelli in due crani diversi? --Non è possibile trasferirli in crani diversi--lo contraddisse Moss con una punta di fastidio.--Non collimano. E poi, n on c'è bisogno di scambiare tutta la materia grigia. Come spiega che certe persone ab- biano conservato la loro identità, dopo l'asportazi one di parte del cer- vello? Seguì una pausa.--Non so--ammise Talbot dubbioso. --A volte le parti del cervello rimosse contenevano centri nervosi: è subentrata la paralisi, ma l'identità era pur sempr e presente. Allora, in quale parte del cervello era contenuta? Wood non fece caso al mormorio di risposta del vecc hio, ma rimase intento ad ascoltare Moss, tutte le sue paure soffo cate dal tendersi del- le orecchie, nell'ansia divorante di capire che cos a gli avesse fatto. --Rifletta--disse il chirurgo.--L'identità doveva t rovarsi in qual- che parte del cervello che non era stata tolta, né poteva essere toccata senza uccidere il paziente. Ecco dov'era. Esattamen te alla base del- I'organo, dove uno scalpello non poteva giungere se nza passare attra- verso il cranio e il tronco dell'encefalo, con tutt i i centri vitali. Lì si

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trova nascosto e al sicuro un piccolo corpo misteri oso, con un diame- tro di neanche un centimetro, detto ghiandola pinea le. E questa che, in qualche modo, controlla l'identità. Una volta er a un terzo occhio. --Un occhio, che ora controlla l'identità?--esclamò Talbot. --Perché no? Le branchie dei pesci nostri progenito ri sono diventa- te la tromba di Eustachio che presiede al nostro eq uilibrio. "Fino a che non ho sviluppato una nuova tecnica per rimuovere la ghiandola, estraendola da sotto il cervello, anzich é passare attraverso il cranio, non si sapeva nulla al riguardo. In prim o luogo, cercare di raggiungerla nel secondo modo, avrebbe significato uccidere il pa- ziente e, d'altro canto, le iniezioni endovenose o d'altro genere non hanno alcun effetto. Ma quando ho scambiato le ghia ndole pineali di un coniglio e di un topo, il coniglio ha preso a co mportarsi come un to- po, e il topo come un coniglio; nei limiti del poss ibile, si capisce. Puro empirismo: funziona, ma non so perché. --Allora, perché i primi tre si comportavano come.. . qual è la paro- la? --Catatonici. Ecco, gli scambi in realtà erano stat i portati a termi- ne con successo, Talbot; ma ho ripetuto tre volte l o stesso errore, fino a che non ho capito. A proposito, mettete a lavorare quel reporter su qualcosa di meno scottante. Sta arrivando pericolos amente vicino al- la verità. A parte la ritenzione salivare, le vitti me si comportavano quasi come i catatonici, e più o meno per lo stesso motivo. Io ho scam- biato la ghiandola pineale dei topi con q uella dei tre soggetti. Bene, lei può immaginare come si comporterebbe un t opo, dovendo controllare il corpo relativamente esteso di un uomo. E al di là delle sue possibili- tà. Ma la differenza tra il corpo di un c ane e quello di un uomo non è così grande. Il cane è disorientato ma, i n ogni modo, tenta di control- lare il suo nuovo apparato. --E un'operazione dolorosa?--chiese anco ra Talbot. _ Assolutamente indolore. L incisione è molto ridotta e si cicatrizza in breve tempo. Quanto alla ripresa, può osservare lei stesso quanto sia rapida. Ho operato Wood e il cane ier i sera. Il cervello canino di Wood si diede a un a fuga precipitosa rifiutando di funzionare in modo razionale. Se fosse stato ipnotizzato o drogato, avrebbe avuto una possibilità di ritorno, prima o poi. Ma la sua identi- tà era stata strappata con la violenza e in modo permanente dal suo corpo e immessa a forza nel corpo di un c ane. Era totalmente inerme: dipendeva in tutto e per tutto da Moss, s e voleva rientrare nelle sue forme legittime. --Quanto vuole?--chiese Talbot con tono furbesco. t --Cinque milioni! ~- Il vecchio emise una risatina stridula.- -Gliene darò 50.000 in con- tanti. --Per scambiare il suo corpo morente con uno giovane, forte e sa- t no?--gli fece eco Moss calcando ogni agge ttivo.--Il prezzo è di cin- .~ que milioni. --Le darò 75.000 dollari-- ribatté in to no definitivo Talbot. --Raccogliere cinque milioni è fuori ques tione. Impossibile. Tutto il mio denaro è bloccato nelle mie... ehm... finanziar ie. Devo impiegare L` la maggior parte del reddito per le merci , gli stipendi, le spese generali

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e l'attrezzatura. Come pensa che possa ra ccogliere cinque milioni in contanti? i~ --Non lo penso--rispose Moss con una pun ta beffarda. e Talbot perse le staffe.--Allora dove vuo le arrivare~ --L'interesse su cinque milioni è pari e sattamente aila metà del suo reddito In breve, per usare il suo gergo finanziario, sto mettendo un piede a forza nei suoi racket. Wood sentì il singulto indignato del vec chio.--Non se ne parla nep- l~ pure!--esclamò rauco Talbot.--Le darò 80. 000 dollari. Sono tutti i F Contanti che posso racimolare. --Non sia sciocco, Talbot-- rispose Moss mortalmente calmo. --Non voglio i soldi per arricchirmi. Ho bisogno di un reddito sicuro F ~ e abbondante; quanto basti per prosegui re nei miei esperimenti senza dover dissanguare gli ospedali e trovarmi ancora a corto di liquido. Se uestO esperimento non m'interessasse, no n lo farei neppure per cin- ~que milioni, per quel che mi possono servi re. --80.000!--ripeté Talbot. --Si attacchi ai suoi soldi fino al giorno che crep erà! Vediamo, con un'angina pectoris così avanzata, non dovebbe durar e più di sei mesi a partire da adesso no? Wood sentì il bástone del vecchio vibrare tremulo s ul pavimento. --Ha vinto, ricattatore a sangue freddo--si arrese Talbot. La risata di Moss, poi Wood udì scricchiolare i mob ili, quando i due si alzarono e andarono verso le scale. --Vuole vedere ancora Wood e il cane, Talbot? --No. Sono convinto. --Liberati di loro, Clarence. Ma non abbandonarli p iù in strada perché i reporter più furbi di Talbot ci possano ri camare sopra. Metti un silenziatore alla pistola. Lo troverai a pianter reno. Dopo lasciali nella vasca con l'acido. Atterrito, Wood girò gli occhi qua e là per la stan za. Doveva scappa- re con il suo corpo. Perché scappare da solo avrebb e significato non tornare mai più nel suo corpo: mai, dopo la separaz ione, Moss avrebbe potuto restituirlo alle antiche fattezze. Ma si trovavano al secondo piano, sul retro della c asa. Anche se ci fosse stata una scala antincendio, non avrebbe potu to aprire la fine- stra. La sola via di uscita era dalla porta. In qualche modo doveva girare la maniglia, correre il rischio d'in- contrare Clarence o Moss sulle scale o nell'angusto corridoio, e poi aprire la pesante porta d'ingresso, guidando e prot eggendo il suo cor- po! Il collie, esiliato in altre spoglie, uggiolava stu pefatto. Wood ricac- ciò l'istintiva paura che gli serrava il cervello a nimalesco. Doveva es- sere freddo. Dal pianterreno, sentì i passi pesanti di Clarence intento a cercare qua e là nelle stanze il silenziatore. Gilroy chiuse la porta della cabina telefonica e si frugò in tasca alla ri- cerca di una moneta. Fra tutte le invenzioni della scienza umana, la

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cabina telefonica è la dimostrazione lampante di co me questo sia un mondo per gente sotto i due metri di altezza. Quand o infine tirò fuori una monetina il giornalista urtò con il gomito cont ro la porta poi, mentre compóneva il numero chinandosi verso il micr ofono, fu co- stretto a piegarsi come un bastone da passeggio. Ma Gilroy aveva al- lenato il suo corpo allampanato ad adattarsi agli o ggetti concepiti se- condo una scala inferiore alla sua. L'esiguità dell o spazio non gli dava noia. Spinse tuttavia all'indietro il cappello sformato e d emise un debole fischio di scoraggiamento. 84 --Fammi parlare con il capo--disse. Il ricevi tore gracchiò contro il suo orecchio, poi il direttore lo salutò di strattamente. Il cronista sa- peva che era appena giunto e stava sparpaglian do le carte sulla scriva- nia, all'inseguimento dell'ultimo messaggio ar rivato.--Capo, qui è Gilroy--annunciò. t --Che cos'hai scoperto sui catatonici? 11 volto ossuto del reporter si accigliò, gra ve e scorato.--Niente, ca- po--rispose con voce atona. --Dove sei stato? --Al Memorial, tutto il giorno, a guardare i catatonici e aspettare una illuminazione. Il direttore prese un tono comprensivo.--Che cosa ne pensi? --Non ne penso niente. Sono assolutamente idi oti e immobili, e nessuno qui intorno ha un'idea che valga la pe na di ascoltare. Che co- sa mi dice dei rapporti della polizia e degli ospedali? _ Li stavo guardando proprio prima che mi chi amassi.--Seguì una breve pausa. Gilroy sentì un fruscio di fo gli spinti qua e là.--Ec- coli qui. La sezione per le impronte digitali non ha nessun riscontro in archivio. E nessun dipartimento di polizia di qualunque paese, città o metropoli ha riconosciuto le fotografie. _ E gli ospedali intorno a New ~ork?--domandò Gilroy con un barlume di speranza. --Nessun paziente scomparso. E Il giornalista sospirò e scrollò le spalle co n un gesto eloquente. E~ --Bene, tutto quello che abbiamo sono dati in f orma negativa. Devo- '~ no averli scelti maledettamente con cura. Tutti i giornali del paese hanno pubblicato le loro fotografie, ma a quant o pare, quelli non han- no un amico, né un parente, né precedenti penal i. --Che ne dici di un bell'articolo strappalacr ime?--I'incoraggiò il direttore.--Come mangiano, come sono inermi nei loro vecchi abiti strappati? Mettere giù una ricostruzione ipotet ica delle loro vite, ba- sandoti sui lineamenti e sulle mani. Che ne dic i? Non male, eh? --Oh, capo--gemette Gilroy.--Io do forfait. Qu ella roba non è il mio genere. Non sono un piagnone. Non abbiamo u n elemento su cui lavorare. Questi vagabondi non hanno assolutame nte nessun collega- ~; mentO con la vita. Non possiamo scoprire chi er ano, da dove vengono, o che cosa gli sia capitato. La voce del direttore prese un tono tagliente e incisivo.--Ascolta- mi, Gilroy!--proruppe.--Smetti di lamentarti, h ai capito? Io dirigo questO giornale, e finché non deciderai di lasc iarlo, ti manderò a occu- parti degli annunci delle nascite, se ne avrò v oglia. ''Tu pensavi che questo fosse un buon servizio e mi hai convinto. Be- ~ne, lo penso ancora! Voglio che tu ricostruisc a la storia di questi cata- onici. Voglio che scopra tutto su di loro e co me si sono ridotti pe~io dei paralitici rimbecilliti. E così anche il pubbli co. E non mi fermerò fino a che non lo saprò. Hai capito? "Mettiti al lavoro e non mollare. Non lasciarti but tare giù! E giusto

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per farti capire come ti appoggio... ti do carta bi anca per le spese, a tua discrezione. Ora, in un modo o nell'altro, risa li all'origine di questi catatonici! n Gilroy per un po' rimase senza parole.--Be', accide nti--balbettò confuso--farò del mio meglio, capo, non sapevo che la pensasse così. --Noi due porteremo in luce questa faccenda dall'a alla zeta, Gil- roy. Ma vieni un'altra volta a lamentarti e a dire che dai forfait, e ti ri- troverai a fare il fattorino per qualche altro gior nale. Mi hai capito? E dico sul serio! Gilroy abbassò deciso il cappello.--Ho capito, capo --dichiarò con tono virile.--Può contare su di me fino in fondo. Sbatté il ricevitore sulla forcella, aprì la porta e uscì con una nuova determinazione. Si sentiva investito di tutta la po tenza della stampa - e non era una sensazione ingiustificata: la forza e le risorse d'intelli- genza di un vasto giornale metropolitano erano schi erate compatte dietro di lui. Ben pochi segreti potevano sfuggire al suo occhio indaga- tore. Aveva bisogno solo di pazienza e di un sottile spir ito di osservazio- ne. Trovare il primo indizio sarebbe stato il compi to più difficile; do- po, tutta la storia si sarebbe dipanata da sola. Ma rciò verso l'uscita dell'ospedale. Dietro di sé, sentì dei passi frettolosi, poi avver tì un lieve tocco sul braccio. Si girò e abbassò lo sguardo sul medico in terno dell'ospedale che, vestito in borghese, rientrava per il suo tumo . --Lei è Gilroy, vero?--chiese il dottore.--Bene, st avo pensando alle incisioni sul collo dei catatonici... --E cosa mi dice?--domandò il giornalista subito su l chi vive, ti- rando fuori un taccuino. --Vuoi di nuovo mollare?--domandò il direttore del giornale dieci minuti dopo. --Non io capo!--Gilroy poggiò il taccuino con gli a ppunti steno- grafici sopra il telefono.--Sono sulla pista buona. Il medico intemo qui al Memorial mi ha fornito un vero indizio. Lui ha dedotto che i ta- gli sul collo dei catatonici sono stati aperti per toccare qualche parte del cervello. Le incisioni penetrano lungo una tang ente a mezzo centi- metro dalle vertebre, quindi non hanno niente a che vedere con la spi- na dorsale. Dice che da quell'angolatura è impossib ile arrivare alla zo- na posteriore del cervello e che, entrando da dietr o, non si arriva a nessuna parte importante del collo che non si raggi unga più facilmen- te dalla gola o attraverso la bocca. "Se con quell'incisione non tagli il midollo spinal e, è impossibile spiegare la paralisi generale, e il midollo decisam ente non è stato toc- cato. NQuindi, lui pensa che le incisioni dovessero aprir e la via verso qual- che parte alla base del cervello che non si poteva raggiungere da so- pra. Anche se non sa di quale parte si tratti, o co me l'operazione abbia indotto la paralisi generale. NAfferrata l'idea? Bene, ecco qui il colpo finale: per arrivare a un punto esatto del cervello, di solito si toglie un b el pezzo di cranio nei dintorni. Ma queste incisioni sono state prestabili te fino all'ultimo

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millimetro, anche se il dottore non sa a che scopo. Il chirurgo ha ope- rato basandosi unicamente sulle misurazioni, come i n un volo cieco. Lui dice che solo tre o quattro persone in tutto il paese potrebbero averlo fatto." --E chi sono, intelligentone? Ti sei fatto dare i n omi? Gilroy si offese.--Si capisce: Moss a New York, Fab er a Chicago, Crowninshield a Portland, e forse Johnson a Detroit . --Bene, cosa stai aspettando?--urlò il direttore.-- Vai da Moss! --Non riesco a trovarlo. Si è trasferito dalla sua casa sul Riverside Drive e non ha lasciato il nuovo indirizzo. Era piu ttosto seccato. Il consiglio dell'ospedale ha chiesto le sue dimission i e lui se ne è andato con una brutta fama di cattivo amministratore. Il direttore passò all'azione.--Questo ci lascia co n quattro uomini da rintracciare. Trova Moss. Io chiamerò gli altri chirurghi che hai no- minato. Sembra un buon inizio. Gilroy riappese. Con una mezza dozzina di lunghi pa ssi, coprì la di- stanza dall'uscita dell'ospedale, con la sua sgrazi ata, ma rapida anda- tura da animale da preda. Wood era in balìa di un panico paralizzante. Sapeva bene di esserne bloccato: impossibile in quello stato studiare un p iano di evasione ep- pure, era impotente a controllare la foga atterrita del suo cervelló ca- nino. Clarence avrebbe impiegato ben poco a trovare il si lenziatore e sali- re le scale per uccidere lui e il suo corpo. Prima di allora, doveva scap- 1~ pare insieme al suo precedente contenitore Vacillando~ si rizzò goffamente su due zampe e pres e la maniglia fra ~li arti anteriori, ma quelli si rifiutarono di str ingere la presa. Sentì arence fermarsi, poi un rumore, come di qualcuno ch e frugasse nei cassetti. Era terrorizzato. Morse furiosamente il pomolo ma l a preda gli sci- ~olò fra i denti. Morse più a fondo. Una fitta di d oíore gli attraversò le ~give delicate, ma l'ottone s'intaccò. Appeso alla maniglia, si abbas- ~` sò a terra, piegando bruscamente il collo per ruota re il pomello. Lo scrocco si liberò dal gancio. Wood si gettò da una parte, tirando indie- tro la porta mentre cadeva. Come si aprì uno spirag lio, vi cacciò il mu- so e l'allargò a forza. Da sotto, ancora l'eco dei passi pesanti. Senza far rumore, entrò nel corridoio e guardò per la tromba delle scale. Nessu na traccia di Cla- rence. Tutto a un tratto l'assistente uscì da una stanza e si avviò verso le scale. Appena sentì lo scatto metallico, Wood si ac cucciò tremante: il silenziatore era stato applicato alla pistola. Sbar rò la strada al suo corpo, che si fermò senza protestare, la faccia idi ota penzolante sopra il gradino. Clarence giunse alla base delle scale e salì tranqu illo. Wood si tese, aspettando che svoltasse la curva e apparisse in vi sta.

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Come scorse i due fuggiaschi, I'assistente s'irrigi dì di botto, spalan- cando la bocca in una smorfia stupefatta. La pistol a tremante e impo- tente al suo fianco, li fissava, il grasso collo pa llido ora esposto e invi-- tante. Poi, gli si gonfiò il torace e la laringe s' indurì per lanciare un grido. Ma Wood scoprì i lunghi denti? si lanciò in alto, d ritto verso Claren- ce e le zanne scattarono ancora a mezz'aria. La morbida carne si lacerò fra le sue mascelle. Rov esciò Clarence a terra, caddero per le scale e rotolarono verso il p ianterreno. L'assisten- te si dibatteva rantolando. Wood avvertì un improvv iso fiotto di san- gue che gli eccitò un appetito sconosciuto, poi si divincolò e atterrò sulle zampe. Il suo corpo arrancò dietro di lui, fermandosi ad a nnusare Clarence, ma il legittimo proprietario lo trascinò via schizz ando verso la porta d'ingresso. Dal retro della casa, giunse il passo in corsa di M oss che si precipita- va a indagare. Wood morse selvaggiamente la manigli a, tirando indie- tro a tutta forza, terrorizzato all'idea che il dot tore arrivasse prima che avesse aperto la porta. La serratura scattò. Wood, con il corpo, spalancò l 'uscio e il suo al- ter ego lo seguì ciondoloni fino alla scaletta este ma. Dopo averlo spin- to fm sul marciapiede, Wood lo pilotò di furia vers o il Central Park West, fuori della portata di Moss. Si guardò indietro e vide il dottore che li guardav a dietro la tenda sulla porta. Agghiacciato, trascinò l'uomo-cane in uno scomposto ga- loppo fino all'angolo, dove sarebbe stato protetto dal traffico. Aveva scampato la morte, lui e il suo corpo erano a ncora insieme, ma ìl suo panico ingigantiva. Come poteva nutrire i l suo compagno, dargli riparo e difenderlo da Moss e dai gangster d i Talbot? Ma prima di tutto, si rese conto, avrebbe dovuto pr oteggerlo dagli sguardi dei curiosi. Perché il suo corpo aff amato si aggirava in cerca di preda sulle mani e sulle ginocchia, e la vis ta di un corpo umano che strisciava annusando qua e là suscitava un d isgustato interesse. Non passò molto, che si trovarono circondati. Wood aveva una paura d'inferno. Con i denti , si tirò dietro il suo in- t volucro per la strada e ne guidò l'incerta m arcia fino all'altro lato del- la via, dove il Central Park poteva nasconde rli con i suoi alberi e i suoi cespugli. Moss era stato più pronto. Un automobile ne ra sfrecciò oltre un se- maforo rosso e piombò verso di loro. Dall'al tro lato, una vettura della polizia zigzagava fra il traffico, con la si rena spiegata, finché si fermò di fianco alla coppia. L'automobile nera rallentò di colpo. Wood si accucciò a difendere il suo corpo, fissando torvo la coppia di poliziotti che si precipitava verso di lo ro. Uno dei due lo cacciò via con il piede, e l'altro sollevò il suo corpo per le ascelle, cercando di far- lo stare in piedi. _ E completamente suonato, pensa di essere un cane--disse l'a- gente con tono pietoso.--Pronto per il repar to svitati, eh?

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Il primo annuì. Wood perse la ragione. Atta ccò, schioccando le ma- scelle con ferocia. Il suo corpo si unì all' assalto, ringhiando orribil- mente e mordendo a destra e a manca. Una mos sa folle, senza speran- za, ma non poteva comunicare. Doveva far qua lcosa, per non lasciarsi dividere dal suo compagno. Gli agenti lo res pinsero a calci. D'improvviso si rese conto che forse non l' avrebbero caricato con il suo corpo, ma l'avrebbero ucciso. Si lanciò alla disperata nel traffico, prima che facessero sedere il presunto umano nell'automobile. --Vuoi scendere e piantargli una pallotola prima che morda qual- cuno?--sentì dire. --Quello svitato ti farà impazzire--rispose l'altro.--Daremo l'al- larme dall'ospedale. 'é~j L'automobile partì verso il centro. Wood si lanciò all'inseguimento. e Le sue zampe mulinavano furiose, ma la vettu ra lo lasciò indietro, al- E tre se ne aggiunsero e, dopo pochi isolati, perse di vista i poliziotti. E Scorse l'automobile nera svoltare incurante del traffico e puntare rombando verso di lui, con troppa decisione. Non potevano essere al- tri che i gangster di Talbot. Gli occhi e i muscoli coordinati con animal esca precisione, si gettò -~ nel veloce flusso del traffico, attento a non farsi investire e cercando, ~insieme~ un sentiero che portasse nel parco. Quando ne trovò uno, balzò nella corsia opp osta. Fra uno stridore di ~eni, accompagnatO da una sonora imprecazione , sgusciò davanti a ~ln cofano, raggiunse il marciapiede e schizz ò lungo il sentiero in ce- rnto fino a una minuscola foresta di cespugli . Senza esitare, lasciò il sentiero e corse per i bos chetti, attraverso una macchia rada, ma sufficiente a nasconderlo, add entrandosi di vo- lata nel cuore del parco. Con gli occhi invasi dal terrore, osservò l'automob ile che, carica di banditi, perlustrava adesso i due lati alberati del sentiero. Appiattito a terra, si ritirò piano piano. Gli inseguitori batte vano i cespugli a una distanza rassicurante. Fin tanto che li aggirava, strisciando da un nascon diglio all'altro, correva ben pochi rischi di essere scoperto. Ma era angosciato dalla perdita del suo corpo. La sua vicinanza gli aveva d ato una sorta di co- raggio, anche se non sapeva come avrebbe costretto Moss a restituir- glielo. Ora, oltre a imporsi al dottore perché l'op erasse, doveva anche ritrovare il suo involucro umano. Ma il suo stomaco si torceva dalla fame. Prima di f are qualunque piano, doveva mangiare. Scivolb furtivo fuori dal suo riparo. I gangster er ano lontani, fuori vista. Con infinita pazienza, strisciò verso uno sc oiattolo. L'attenta be- stiola era vigile e desta. Wood impiegò un'infinità di tempo, prima di coglierla di sorpresa e spezzarle la spina dorsale. Il pensiero di man- giare un roditore crudo gli rivoltava le viscere. Rinculò con la sua preda fra i cespugli. Quando ten tò di escogitare una linea d'azione, il suo cervello canino prese a recalcitrare, terrifica- to e pazzo nella sua impotenza. E aveva buone ragioni per aver paura: Moss aveva sg uinzagliato i gangster di Talbot alla sua caccia, e a quest'ora, probabilmente, la po- lizia lo stava cercando come cane randagio da abbat tere. ~. Mai, in tutti i suoi incubi, aveva immaginato un si mile orrore. Era l` totalmente inerme. Le forze dell'ordine e della mal avita erano unite contro di lui, né aveva modo di svelare che non era affatto un cane, a quanti potessero eventualmente aiutarlo, con quel s uo linguaggio

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inarticolato. E poi, chi poteva aiutarlo, salvo Mos s? Anche se fosse riu- scito a sfuggire alla polizia e ai gangster, e a sg usciare non visto oltre gli accorti impiegati di una clinica, comunicando i n qualche modo... Anche in quel caso, solo Moss poteva portare a term ine l'operazione! Doveva scartare dottori e ospedali. Troppo scleroti zzati per avere immaginazione. Ma, soprattutto, non potevano convin cere Moss a operare. Si rizzò sulle zampe e trotterellò cauto fra i ciuf fi dei cespugli verso Columbus Circle. In primo luogo, doveva badare alla polizia e ai gang- ster. E poi, trovare un modo per comunicare, ma con qualcuno che po- tesse capirlo ed esercitare una formidabile pressio ne su Moss. Gli odori della città solleticavano le sue narici s ensibili. Come una vasta coperta, che ovattava quasi tutti gli altri e ffluvi, predominava un odore dolciastro che identificò per quello del v apore della benzina. Al di sopra, aleggiava il profumo della vegetazione , caldo e umido- e al di sotto, il sentore muschiato del genere umano. Per la sua prospettiva canina, era un mondo diverso , con un ampio e lontano orizzonte terrificante. Odori e rumori comp onevano scene fantastiche nella sua mente animalesca. Eppure, era interessante. Il battito soffocato delle sue zampe contro il morbido terreno trapunto gli procurava un piacere istintivo, tutti gli abiti di cui aveva bisogno li portava sopra di sé, e il cibo non era difficile da trovare. Mentre si nascondeva dalla polizia e dai banditi di Talbot, godeva perfino di una sorta di libertà, ma era una vile li bertà indesiderata, che non meritava quel prezzo. Come uomo, aveva soff erto la fame, il freddo, l'indifferenza, senza un tetto né un bricio lo di sicurezza. Eppu- re, malgrado tutto, il suo corpo canino ospitava un 'intelligenza uma- na; lui apparteneva ai bipedi, alla stazione eretta , a una vita da uomo buona o cattiva che fosse. In qualche modo doveva tornare in quel mondo, fuori della solitaria anarchia della sfera animale. E solo Moss poteva ri condurlo all'origi- ne. Bisognava costringerlo, costringerlo a restitui re il corpo che aveva rubato! Ma come comunicare, e chi l'avrebbe aiutato? Verso il confine di Central Park si espose a un per icolo mortale. Stava trotterellando su un sentiero che rasentava l 'ampia strada. Un'automobile nera in corsa accelerò con micidiale, rapace sveltezza e gli si accostò. Sentì un plop soffocato. Un proie ttile sibilò a due centi- metri dalla sua testa. Si accucciò e tornò in tutta fretta nei protettivi cespugli, poi strisciò lesto da un albero all'altro avendo cura di tenere qualche ostacolo fra sé e la linea di tiro. I gangster erano scesi dall'automobile. Li sentì ba ttere i cespugli al- la sua ricerca. Avanzarono adagio, mentre le sue za mpe agili volavano mettendo fra loro una rassicurante distanza di trec ento metri. Uscì come una freccia dal parco lanciandosi per Col umbus Circle senza badare al traffico. A Broadway, stretto contr o gli edifici, al ripa- ro di ·ma fitta barriera di folla tra sé e la strad a, si sentì più sicuro.

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Quando fu certo di aver seminato i gangster, svoltò a ovest per certe strade a senso unico, attento a qualunque segnale d i pericolo. Alle prese con il pericolo fisico, scoprì che la su a mente animale rea- giva d'istinto e quasi sempre con maggiore astuzia di un cervello uma- D~impulso~ quando il traffico si muoveva, si accucc iava dietro le scalette~ nei portoni, al riparo di qualunque scher mo e, quando il flus- so si bloccava davanti a un semaforo, correva come il lampo. Le auto- plobili sbandavano di traverso, spesso lo mancavano di poco ma non ~er questo Wood rallentò il suo trotto se non dopo che aveva áttraver- sato a zig-zag il centro, allontanandosi costanteme nte dal centro fino a raggiungere West Street, lungo il North River. Si sentì ragionevolmente al sicuro dai gangster di Talbot, ma un'au- tomobile della polizia si awicinava lentamente sott o la superstrada. Wood si rannicchiò dietro uno stracolmo bidone dell a spazzatura al- l'esterno di un fetido ristorante. E, ancora molto dopo che l'automobi- le se n'era andata, rimase acquattato al coperto. Lo stridulo vento che soffiava sul fiume e sui moli coperti sollevò un giomale dalla pila di rifiuti e lo appiattì contro la vetrina del ristoran- te. Nella sua mente animalesca, raggelata da una paura che l'intorpidi- va, Wood ricordò il pomeriggio precedente, quando s i trovava davanti all'agenzia di collocamento, mentre parlava con uno dei banditi di Talbot. Allora, gli era balenato il pensiero che sarebbe st ato piacevole essere un catatonico anziché morire di fame. Ora era più s aggio. Ma... Si rizzò sulie zampe posteriori e rovesciò il bidon e, che cadde con fracasso, rotolando verso il rigagnolo e spargendo le immondizie su tutto il marciapiede. Prima che dal ristorante usci sse qualche came- riere in una ridda di improperi, Moss zampettò fra i rifiuti e afferrò con la bocca un giomale accartocciato. Aveva un ama ro sentore di ci- bo in decomposizione, ma lo tenne stretto e corse v ia. A diversi isolati di distanza, entrò in un ampio te rreno desolato, fino a nascondersi dietro un edificio cadente. Al riparo dal vento del fiume, lisciò il giornale e scorse la prima pagina. Era una copia, vecchia di un giorno, dello stesso q uotidiano che ave- va gettato davanti all'agenzia di collocamento. Nel la colonna a sini- stra trovò l'articolo sui catatonici, firmato Gilro y. Prese quindi il foglio fra i denti e arretrò fino a che il giornale, rag- grinzito, si aprì malamente alla pagina successiva. Era disgustato dal lezzo di cibo in putrefazione che l'impregnava, ma represse la nausea e continuò a voltare le grandi, indocili pagine con i suoi denti inetti. Giunse alla facciata delle intestazioni editoriali e studiò con attenzio- ne il riquadro del copyright. Partì quindi di buon trotto, circospetto, sempre te nendosi vicino ai muri degli edifici, attento alle automobili che pot essero trasportare gangster o poliziotti, rapido come una freccia ad a ttraversare le strade fino al primo riparo, e poi via ancora di trotto... L'aria si scuriva, l'autostrada gettava una lunga o mbra. Prima del calar del sole, coprì quasi cinque chilometri lungo West Street e si fer- mò non lontano dalla Battery.

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Alzò gli occhi sgranati verso il torreggiante palaz zo del Morning Post. Aveva un'aria imprendibile, con quelle porte massicce chiuse a difesa dal vento. Rimase davanti all'ingresso principale, in attesa c he qualcuno te- nesse la porta aperta abbastanza a lungo da permett ergli d'intrufolar- si. Con qualche speranza, puntò lo sguardo su un uo mo anziano. Quando aprì, gli fu alle calcagna, ma il vecchio lo ricacciò con gentile ferrnezza. Wood scoprì le zanne. Era la sua sola risposta, e l o sconosciuto chiu- se la porta in tutta fretta. Tentò un altro approccio, si attaccò a un alto uomo dinoccolato dal- I'aria abbastanza gentile, a dispetto dell'espressi one concentrata. Alzò gli occhi e agitò la coda goffamente in un saluto a michevole. Lo spi- lungone si abbassò a grattargli le orecchie, ma rif iutò di farlo entrare. Poco prima che la porta si chiudesse, Wood gli si l anciò contro e quasi lo gettò a terra. Nell'atrio, saettò attraverso le gambe che lo circo ndavano. Il tipo al- to gli stava dietro, con un ruggito rabbioso. Un im paurito tramestio di scarpe dalle spesse suole minacciò di schiacciare l 'intruso, che tutta- via si destreggiò qua e là fra i piedi levati e rag giunse le scale. Le salì di gran carriera. L'ingresso del secondo pi ano vantava porte di cristallo, davanti agli uffici dei dirigenti. Wood svoltò l'angolo e si arrampicò di volata. Le s cale, illuminate artificialmente, si restringevano. Il terzo e il qu arto piano ospitavano le officine poligrafiche; via ancora, oltre gli uff ici dell'amministrazio- ne, delle inserzioni pubblicitarie... Arrivato alla sezione editoriale, ansimò davanti al la pesante porta antincendio e aspettò di riprender fiato. Poi prese la maniglia fra i denti e la girò. La porta si aprì verso l'interno. IL Il denso fumo pungente gli serrò le narici sen sitive, mentre le sue orecchie si ritraevano a quel frastuono strepitante . Avanzò pian piano tra file di scrivanie ingombre e si guardò intorno in cerca di aiuto. Vide facce assorte, intente alle macchine per scrivere che ticchettavano sfornando gli articoli; giovanott i che filavano intor- no a raccogliere le vaschette con le carte; schiere di uomini e donne che entravano e uscivano dagli ascensori. Facce dal lo sguardo acuto, intelligenti, pronte... P~ Qualcuno si era voltato a guardarlo mentre passa va, poi era tornato ~ al suo lavoro, quasi senza vederlo jj~ Wood tremò di sollievo. Queste erano le persone che avevano il pote- re d'influenzare Moss, persone abbastanza perspicac i da capirlo! Si accucciò e mise una zampa sulla gamba di un cronist a occupato a bat- tere a macchina, alzando lo sguardo fiducioso. Il r eporter spalancò gli ~cchi, li abbassò di soprassalto e lo cacciò via Vattene, squagliati!--gridò rabbioso.--Vattene a ca sa! ~ Wood si ritrasse. Non si sentiva in pericolo. Era molto peggio: aveva _ llito. La sua mente lavorò in fretta: se avesse a ttratto l'interesse, co-

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93 me avrebbe raccontato la sua storia in modo intelli gibile? Come pote- va spiegarsi con un equivalente delle parole? L'idea esplose improvvisa. Lui era stato un decifra tore di codici in un ufficio di cambio... Sedette sulle anche e abbaiò, con sonori versi inte rmittenti, ora lun- ghi, ora brevi. Una ragazza urlò. I giornalisti bal zarono in piedi al- larmati e si strinsero in un cerchio via via più co mpatto. Wood trasmi- se così il suo messaggio in Morse, un messaggio len to, doloroso, emes- so a forza con una laringe che non gli apparteneva. Poi, pieno di ottimismo, cercò intorno con lo sguardo qualcuno ch e avesse capito. Ma incontrò occhi ostili, infastiditi, senza la più piccola ombra di comprensione. --Quello è il cane che mi ha attaccato!--disse l'uo mo alto e ma- gro. --Non per fame, spero--ribatté un giornalista. Wood non si diede del tutto per vinto. Ricominciò a d abbaiare il suo messaggio, ma un uomo giunse di furia dall'ufficio a vetrate del diret- tore. --Che cos'è tutto questo chiasso?--domandò. Scorse Wood nella cerchia dei cronisti che si ritraevano.--Portate fu ori quel maledetto cane! --Avanti, portatelo fuori di qui!--gridò il tipo ma gro. --E un cane gentile e amichevole. Guardalo con l'oc chio ipnotico, Gilroy. Wood fissò Gilroy con aria implorante. Non era stat o capito, ma aveva trovato il giornalista che aveva scritto gli articoli sui catatonici! Gilroy si avvicinò con cautela, ripetendo le frasi che si usano quando si vuole calmare un cane ribelle. Wood corse via tra le file di scrivanie. Era così v icino al successo... doveva solo trovare un modo di comunicare prima che lo prendessero e lo buttassero ruori! Balzò sul piano di un tavolo e mandò una boccetta d 'inchiostro a frantumarsi sul pavimento, dove dilagò una macchia scura. Con trepi- do affanno, afferrò un foglio di carta bianco, inti nse la zampa nella pozza e fece un estemporaneo tentativo di scrivere. Il fiotto di speranza svanì in fretta. Il suo garre tto non era l'articola- zione universale di un essere umano! Quando lo pogg iò sul foglio, il suo arto si appiattì, totalmente inutile, mentre le sue unghie si muove- vano all'unisono. Incapace di ritrame tre per scriv ere con la quarta, Wood tracciò solo un'impronta sbavata. Scoraggiato, anziché opporsi a Gilroy, si lasciò tr ascinare in un ascensore. Agitò malamente la coda. Era una ben dif ficile impresa, usare quei muscoli estranei di cui si serviva con u na deliberazione pu- ramente intellettuale. Sedette e aprì la bocca in q uello che, su un volto umano. sarebbe stato un sorriso amichevole: bastò c omunque a rassi- curare il giornalista, che gli diede un buffetto su lla testa, ma lo mise

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ugualmente alla porta senza remissione. Eppure, Wood aveva motivo di sentirsi incoraggiato. Era riuscito a entrare nel palazzo e ad attrarre l'attenzione. Sap eva che un giornale era il solo centro di potere capace d'imporsi su Mo ss, ma rimaneva co- munque il problema della comunicazione. Come risolv erlo? La sua zampa era inutile per scrivere, con quell'unica art icolazione, e nessu- no nell'ufficio capiva i segnali Morse. Si accovacciò contro il muro di cemento, la mente a ngosciata che si dibatteva per trovare una soluzione. Senza una voce articolata, senza dita prensili, il suo solo metodo per comunicare, a quanto pareva, era abbaiare in codice. In tutta quella folla, era sicu ro che ci fosse qualcu- no in grado di decifrare i suoi segnali. In effetti, gli sguardi si voltarono verso di lui. Perlomeno, non ebbe difficoltà a richiamare l'attenzione. Ma erano sgua rdi che non capiva- no. Per qualche momento, fu come impazzito. Corse dentr o e fuori dalla massa di gente frettolosa, abbaiando con furia il s uo messaggio, sal- tando verso quelli che gli parevano più intelligent i e seguendoli per un breve tratto, fino a che non appariva fin troppo ch iaro che non l'affer- ravano; allora, si volgeva ad altri, con uno strepi to assordante. Non incontrò che una timida carezza o un intimidato rio rabbuffo. Infine, cessò quei suoi versi laceranti e si accucc iò contro il muro, sconfitto. Nessuno tenterebbe mai d'interpretare l' abbaiare di un cane secondo un codice. Quando era un uomo, lui stesso p robabilmente avrebbe reagito allo stesso modo. L'unica nozione c he poteva sperare di trasmettere a quel modo era semplicemente il suo desiderio di atti- rare l'attenzione. Ma nessuno vi avrebbe cercato un significato più profondo. Entrò nel flusso di gente che si affrettava verso l a metropolitana, trottando lungo il marciapiede, attento alle automo bili che rallenta- vano, ma ancora più attento ai rifiuti galleggianti nel canale di scolo. Provava un'invidia assassina dei piedi umani intorn o a lui, in rapido moto fiducioso verso una destinazione ben nota; ego istici piedi rispet- tabili, che si rifiutavano di deviare dalla strada verso casa per aiutar- lo. Appendici di individui che potevano trasmettere le più sottili sfu- mature e variazioni dei sentimenti, o il pensiero a stratto, con le paro- Ie, la penna, la stampa, attraverso il telefono, la radio, i libri, i giornali... Mentre la sua voce era solo uno stridulo verso impo tente che faceva nfuriare gli esseri umani, le sue zampe non serviva no ad altro che a ~orrere e sul suo muso a punta non traspariva alcun a emozione. Proseguì lungo il marciapiede per tre isolati nel q uartiere degli affa- ri, prima di trovare il mozzicone di una matita. Lo prese tra i denti e corse verso i moli in West Street, anche se aveva s olo una vaga idea per un ultimo esperimento nel campo della comunicaz ione. Numerosi fogli di carta, alcuni ancora bianchi, svo lazzavano qua e là nel vento che soffiava dal fiume. Agli stivatori in attesa della paga sul molo, quello parve solo un cane che ruzzava. Qu alcuno gli lanciò un fischio. In realtà, Wood rincorreva i fogli aere i con mortale serietà. Quando ne catturò uno, lo tenne saldamente tra le z ampe, la matita stretta nello spazio piatto che separava le sue zan ne. Spostò con la bocca il mozzicone sopra il foglio. U na scrittura goffa

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e incerta, che tuttavia infine partorì lunghe lette re tremolanti in stam- patello. Io SONO UN ~IOMO, scrisse. Il breve messag gio copriva tutto il pezzo di carta, senza altro spazio per ulteriori in formazioni. Wood lasciò cadere la matita, afferrò il foglio tra i denti e tornò di corsa verso il palazzo del giornale. Per la prima v olta da quando era sfuggito a Moss, si sentiva tranquillo. Il suo tent ativo letterario era rozzo e informe, ma il messaggio era inequivocabile . Si unì a uno stanco gruppo di giovani galoppini che rientravano dai loro incarichi, restò in passiva attesa fino a che la porta si aprì, quindi balzò sicuro attraverso la piccola processione di n ovizi. I giovanotti si scansarono preoccupati, lasciandolo entrare agevolm ente. Ancora si lanciò su per le scale fino alla sezione editoriale, posò il fo- glio a terra e afferrò la maniglia tra i denti robu sti. Esitò solo un istante, quanto bastava per individua re il cadaverico reporter. Seduto a una scrivania, Gilroy batteva a macchina il suo ar- ticolo. Wood andò dritto verso di lui, portando il suo messaggio, quin- di posò la zampa sul ginocchio appuntito del cronis ta. --Che diavolo!--sbottò Gilroy e, ritratta di scatto la gamba, re- spinse il cane. Ma Wood tornò indietro ostinato, tendendo per quant o poteva il fo- glio verso di lui, con un tremito pervaso di aspett ativa, fino a che l'u- mano gli strappò il messaggio di bocca. Poi, con i muscoli rattrappiti, guardò ansioso quella faccia angolosa, dove cercava di scoprire i segni di una progressiva illuminazione. Gilroy tenne gli occhi sulle lettere scarabocchiate , quindi si oscurò in viso. --Chi fa lo spiritoso, qui dentro?--gridò d'improvv iso. La maggior parte dei colleghi l'ignorò.--Chi ha lasciato entra re questo botolo e gli ha dato un biglietto scemo da portarmi? Avanti, chi è il genio? Wood gli saltò intorno, abbaiando isterico, nel ten tativo di spiegar- si. --Oh, piantala!--scattò il giornalista.--Ehi, fatto rino! Porta giù questo cane e vedi che non rientri piùl Non ti mord erà. Ancora una volta, Wood aveva fallito. Ma non si sen tiva battuto Quando la folle paura dettata dalla frustrazione si dissolse, lasciando- gli la mente lucida e sgombra, si rese conto che l' insuccesso era solo parziale. In realtà, aveva comunicato, ma la mancan za di spazio gli aveva impedito di essere più chiaro ed esauriente. Il metodo era cor- retto. Doveva solo migliorarlo. Prima che il fattorino lo mettesse con le spalle al muro, rubò al volo una matita da una scrivania deserta. --Devo lasciargli la matita, signor Gilroy?--chiese il ragazzo. --Ti presterò la mia, a meno che tu voglia farti st accare un brac- cio--sbuffò il giornalista, voltandosi verso la mac china per scrivere. Wood si accucciò di fianco al fattorino, in attesa che arrivasse l'a- scensore, sempre stringendo gelosamente la matita f ra i denti. Non ve- deva l'ora di uscire dal palazzo e tornare nel terr eno abbandonato di

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West Street a studiare il modo di scrivere un messa ggio più esplicito. Le sue lettere in stampatello risultavano impossibi lmente grandi e tremolanti, ma con lo stesso distacco razionale che gli era solito quan- do decifrava i codici, affrontò il problema senza t imore. Sapeva che non poteva servirsi della scrittura manu ale o a stampa. Avrebbe dovuto trovare un altro sistema, adatto ai suoi denti malde- stri - un sistema che non richiedesse troppo spazio . Stizzito con quel collie che si ostinava a tornare, Gilroy appallottolò l'enigmatico e incomprensibile biglietto e lo gettò nel cestino, senza più farvi caso, salvo considerarlo un semplice sche rzo. Le sue lunghe dita dalle nocche larghe batterono ra pidamente l'ulti- ma pagina dell'articolo. Aggiunse in fondo una brev e fila di zeri e di trattini e, con un fascio di fogli in mano, andò da l direttore. Il capo studiò il primo paragrafo con attenzione, p oi scorse rapida- mente il resto dell'articolo. Pareva a disagio. --Non male, eh?--esultò Gilroy. --Eh, che cosa?--11 direttore rialzò la testa senza capire.--Oh, certo, molto buono. Molto buono, davvero. --Devo riconoscerlo--continuò Gilroy in tono ammira to.--Io mi sarei arreso. Capisce, niente su cui lavorare, solo un mucchio di dati fantastici senza capo né coda. Ora, all'improvviso, i piedipiatti raccol- gono un pazzo che si comporta come un cane e ha un' incisione come i ~- Catatonici~ Forse non è affatto più chiaro, ma a lmeno si comincia a ve- dere succedere qualcosa. Non so, ho molta fiducia. Arriveremo fino in fondo... Il direttore ascoltò distratto, sempre più sulle sp ine di frase in frase. ~ Hai visto l'ultima vittima?--I'interruppe. · 3~ Sicuro. Sono in buoni rapporti con il medico i nterno. Se non ~essi seguito tutta la storia fin dal principio, av rei detto che il tipo raccattato era davvero senza rotelle. Se ne va in g iro saltellando sul pavimento, annusa qua e là e fa un patetico tentati vo di abbaiare. Ma ha un'incisione alla base del collo. Proprio come g li altri: si vedono due punti cuciti da una mano esperta, esattamente a lla stessa distan- za dalla spina dorsale. E un catatonico, o comunque dobbiamo chia- marlo adesso... --Bene, la storia si sta delineando più rapidamente di quanto pen- sassi--disse il direttore, lisciando i bordi delle pagine di Gilroy con una cura solenne.--Ma--e qui la sua voce si abbassò rauca--be', non so come dirtelo, Gilroy. Il reporter aggrottò le sopracciglia e lo guardò in tralice.--Qual è il rospo, questa volta?--domandò disorientato. --Oh, la solita cosa, lo sai. Devo toglierti questa storia di mano. E un vero peccato, perché cominciava appena a girare per il verso giu- sto. Odio dirtelo, Gilroy, ma dopo tutto, accidenti , fa parte del gioco. --Davvero?--Gilroy posò di piatto le mani sulla scr ivania e vi si appoggiò risentito.--A chi abbiamo pestato i piedi, questa volta? A nessuno. L'ospedale non ha motivo di lagnarsi. Non ho potuto fare no- mi perché non ne avevo nessuno. Be', allora, da dov e arriva?

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Il direttore scrollò le spalle.--Non posso discuter e. E un ordine dal- l'alto. Ma ho una buona dritta da darti, per domani ... Furioso, Gilroy andò alla finestra a guardare nella strada che si scu- riva. Dietro quell'ordine, non poteva esserci l'amm inistrazione, ragio- nò incollerito: non ricevevano inserzioni dall'ospe dale. E quanto al gran capo, Talbot non interferiva mai con la politi ca del giornale, sal- vo quando doveva mettere a tacere qualche articolo compromettente su fatti criminosi. Ma eliminati i direttori, che d avano un dito all'opi- nione pubblica quando quella voleva tutto il bracci o, eliminata l'am- ministrazione, che scendeva in campo solo quando er ano in gioco le inserzioni, non poteva incolpare altri che Talbot. Tamburellò impaziente con le nocche contro il telai o della finestra. A che cosa mirava l'ordine del boss? Forse aveva un nuovo modo di pa- gare i traditori. Il reporter scartò subito l'idea: sapeva che Talbot non avrebbe scelto un metodo così dispendioso, a rischi o che trapelasse qualcosa, quando il vecchio sistema di sigillare un cadavere in un blocco di cemento e buttarlo nel fiume era ancora u na soluzione effi- cace ed economica. --Ci rinuncio--disse senza voltarsi.--Non riesco a capire che in- teresse ha Talbot. --Neanch'io--ammise il direttore. A quella confessione, Gilroy si girò.--Allora sa ch e è Talbot! --Certo. Chi altri potrebbe essere? Ma non prendert ela, ragazzO mio.--Si guardò intomo con cautela mentre parlava.- -Lasciamo ri- Dosare questa traccia dei catatonici. Domani potres ti scoprire che co- sa sta dietro al bollettino che Johnson ha trasmess o per telefono dalla City Hall. Gilroy scorse le parole scribacchiate sul biglietto . La sua smorfia prese una sfumatura perplessa. --Che diavolo è? Tutto quello che ci capisco, è che la A.S.P.C.A. e i cinofili stanno protestando con il sindaco contro l o sterminio organiz- zato dei collie bianchi e marroni. --Appunto. --E lei pensa che, naturalmente, dietro ci sia la b anda di Talbot?-- Quando il direttore annuì, Gilroy alzò le mani in s egno di disperazio- ne.--Questa faccenda di gangster supera la mia inte lligenza, capo. Di solito, riuscivo a capire dove mirassero. Sapevo pe rché un killer veni- va fatto fuori, o perché aveva compiuto un delitto; ma non mi vergo- gno a dirle che mi sfugge perché un capobanda vogli a mettere a tacere una storia sui catatonici, o mandi i suoi tirapiedi a sistemare dei collie innocenti. Me ne vado a casa... a ubriacarmi... E uscì infuriato dall'ufficio. Ma prima che i l direttore potesse solo scrollare le spalle, ritornò con un lampo negl i occhi infossati. --Che razza di idioti siamo, capo!--gridò.--R icorda quel collie, quello che è venuto con un pezzo di carta in b occa? E che noi abbiamo buttato fuori, si ricorda? Bene, quello è il c ane che la banda di Talbot vuole fare secco. Sta cercando di portarci dei messaggi! --Ehi, hai ragione!--Il direttore si alzò dal la sedia e si drizzò con aria incerta.--Dov'é? Gilroy agitò le lunghe braccia in un gesto si gnificativo. t --Allora, forza! Al diavolo cappotti e cappel li!

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si precipitarono nella sala dei redattori. I giornalisti del tumo di notte, ridotto all'osso, bighellonavano qua e là leggendo le carte prima di uscire per trascinarsi dietro qualche tracc ia inesplorata. --Mettete giù quelle carte!--strillò il diret tore.--Venite con me, tutti quanti. E li sospinse in branco, sconcertati e stizzi ti, fin dentro l'ascensore. All'ingresso dell'edificio, scrutò in su e in giù la strada. t~ --Non è qui in giro, Gilroy. Bene, voi, speci e di vagabondi, dividete- vi e battete le strade intomo, continuando a f ischiare. Quando vedete un collie bianco e marrone, fategli un fischio . Verrà lui da voi. Ora F~ muovetevi e fate come vi ho detto. si allontanarono di malavoglia.--Dobbiamo pro prio fischiare?-- I~- fece eco un cronista preoccupato. 1~ --Sì, fischiate--ingiunse Gilroy.--Dimenticat e la vostra dignità. r9 ~ischiate! Si sparpagliarono emettendo quegli acuti segn ali che dovrebbero ri- hiamare i cani. I radi passanti nel quartiere degli affari a quell'ora rda erano profondamente interessati e incurio siti, ma Gilroy, incu- rante, lasciò il direttore intento a fischiare pres so il palazzo del gior- nale e andò a zufolare verso West Street. Lasciò al le spalle gli striduli richiami che giungevano in un soffio dal fiume e fr ugò le tenebre che si addensavano lungo l'ampia superstrada. Per un'ora indagò gli scuri anfratti tra i moli, ba ttendo con cura la sua zona. Non trovò nulla- solo qualche portuale ch e scaricava i ca- mion e il traffico ridotto dei quartieri periferici : cani randagi che fru- gavano qua e là e qualche disgraziato ridotto alla fame. Nessuna trac- cia del collie bianco e marrone. Rinunciò quando cominciò ad avere fame. Ritornò qui ndi al palazzo, sperando che gli altri avessero avuto miglior fortu na, irritato con se stesso per non aver seguito il cane quando ne aveva avuto la possibilità. Il direttore era ancora là che fischiava a tutta fo rza, in un capannel- lo di curiosi in fiduciosa attesa che capitasse qua lcosa. Anche gli altri giornalisti stavano tornando. --Trovato niente?--chiese il direttore, interrompen do per un atti- mo i suoi sforzi. --Niente. Non si è visto qui? --Non ancora. Oh, tornerà di sicuro, su questo non ho dubbi.--E si mise di nuovo a fischiare vigorosamente, ignorando gli sguardi e le of- fensive osservazioni degli astanti, ma rivolgendo u n ringhio agli scon- fitti reporter quando lo superarono lentamente rien trando nel palazzo. Nella relativa quiete della città, sopra gli acuti del suo direttore, Gilroy udì un rapido tambureggiare di passi. Guardò sopra le teste dell'accolta di bighelloni. Apparve un cronista che correva a tutta velocità, f acendo del suo meglio per lusingare, con le labbra ormai secche, u n cane che si av- vicinava come un fulmine. --Eccolo che arriva--gridò Gilroy. Si fece strada t ra la calca e con le lunghe gambe coprì in un lampo la distanza che l o separava dal col- lie. Nella sua eccitazione, emetteva a caso soffi s fiatati tra i denti, ma I'animale puntò ugualmente dritto su di lui. Dalla bocca, Gilroy gli strappò uno sporco pezzo di carta. E subito il cane sparì, in direzione dei moli, mentre una nera automobile di malaugurio scendeva lungo la strada.

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Gilroy si diede all'inseguimento poco convinto, poi si fermò e guar- dò il foglio che aveva in mano. Per un attimo, male disse la scarsa luce, ma quando il direttore gli venne a fianco imprecand o perché si era la- sciato sfuggire il cane, il giornalista gli porse i l fantastico messaggio. --Quel cane sa badare a se stesso--disse.--Legga qu esto. Il direttore, accigliato, diede un'occhiata al fogl io: --Be', che mi venga un accidente, è una barzelletta ? --Una barzelletta un corno! --Be', io non ci capisco niente. Gilroy si guardò in giro come cercando qualcuno che li aiutasse. _ Non deve capirlo. E un messaggio in codice.--Ruot ò su se stesso, t puntando un enorme dito nocchiuto sul suo diretto re.--Conosce qualcuno capace di decifrare i codici, i crittogram mi? --Uhm, vediamo, la polizia, o i G-men... Gilroy sbuffò.--Darlo ai piedipiatti prima di saper e cosa dice!-- Con cura infilò il foglio con i rudimentali segni a matita nel taschino interno della giacca e abbottonò il cappotto.--Lei stia qui fuori, ca- po. Io tornerò con la traduzione. E tenga gli occhi aperti per il nostro amico. Prima che il direttore potesse aprir bocca, Gilroy partì a grandi fal- cate. Nella sala degli schedari della biblioteca della Qu arantaduesima Strada, Gilroy si stipò nella cabina del telefono e compose un numero. Aveva gli occhi indolenziti e un mal di testa che l o stordiva. I ragiona- menti serrati gli spremevano sempre il cervello. Av eva una mente in- tuitiva, non ponderosamente analitica. _ Ufficio direttivo, per favore--disse al centralin ista notturno. _ Dev'esserci qualcuno. Non m'importa se è il diret tore amministra- tivo in persona, voglio parlare con qualcuno in que ll'ufficio. Aspetterò in linea.--Ripiegato in una forma conveniente, si l asciò andare con- tro la parete.--Pronto, chi parla?... Oh, bene. Sen ti, Rothbart, sono Gilroy. Fammi un favore, eh? Tu sei il più vicino a lla porta d'ingresso. Troverai il capo lì fuori. Mandalo al telefono e pr endi il suo posto fino a che non ha finito di parlare con me. Mentre sei l à fuori, sta attento, se arriva un collie bianco e marrone. Prendilo, se si fa vedere, e portalo dentro... D'accordo?... Grazie. Gilroy tenne il ricevitore contro l'orecchio, diver tendosi stancamen- te a individuare i rumori che gli giungevano attrav erso il filo. Non aveva più fretta, né badò al secondo nichelino infi lato prima che il di- rettore venisse finalmente all'apparecchio. --Che c'è, Gilroy? --Niente, capo. Per questo ho chiamato. Ho consulta to un libro sui codici militari, qualche libercolo per bambini e un a storia della critto- grafia nel tempo. Ho trovato alcuni buoni codici, m a nessuno sembra aVer pensato a un sistema basato sulla punteggiatur a. Mai visto il co- -~dice cifrato dei Confederati? Accidenti, un vero capolavoro... non ne I ~Sono venuti a capo fin dopo la Guerra Civile! Gl i antichi Greci arroto-

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I .lavano strisce di carta intorno a dei bastoncini identici. Quando le ~Strisce venivano srotolate, i messaggi non avevano nessun senso, e in- rCe, intorno ai bastoncini, le parole andavano tutt e al loro posto. --Fa~la finita--inveì il direttore.--Hai scoperto q ualcosa di uti- le? --Certo. Tutti dicono che il grande segreto è la ta vola della frequen- za: le lettere che vengono usate più spesso delle a ltre. Ma, d'altra par- te, dicono che nei messaggi brevi come il nostro, g li indizi importanti, come le parole brevi sul genere di "e" e "a", i dig rammi come "io", Uil", e perfino trigrammi come "dal" o "sul" spesso vengo no omessi per in- tero. --Bene, molto interessante. Cosa intendi fare adess o? --Non so. Forse rivolgersi alla polizia, dopo tutto . --Niente da fare--rispose con fermezza il direttore .--Chiedi a un bibliotecario di aiutarti. Gilroy afferrò al volo l'ispirazione. Sbatté giù la cornetta e si avviò a grandi passi verso il banco per la consultazione. --Dove posso trovare qualcuno che s'intende di crit togrammi?-- chiese stridulo. L'impiegato consultò educatamente i colleghi.--Il c ustode della sa- la dei manoscritti è molto bravo--rispose quando to rnò.--In fondo all'atrio... Gilroy gli gridò un ringraziamento e si lanciò in u na corsa scompo- sta, senza più badare all'impiegato che gli ingiung eva di camminare. Giunto alla sala dei manoscritti, tempestò al cance llo finché il custode lo fece entrare. --Dia un'occhiata a questo--gli ordinò il giomalist a, gettando il biglietto su un tavolo. 11 custode lo guardò incuriosito.--Oh, un crittogra mma, eh? --Già. Riesce a capirci qualcosa? --Be' sembra molto ben fatto--rispose il custode co n prudenza --ma sóno vent'anni che decifro questo genere di co se.--Sedettero al tavolo nella sala deserta. Per un po', il custode t enne gli occhi inchio- dati sul foglio scarabocchiato. --Cinque simboli-- disse infine. --Punto e virgola, punto, virgola, due punti, virgo lette. Tredici singo- le parole, ciascuna con un numero pari di simboli. Devono averli usati in combinazioni di due. --Questo l'avevo già capito--gli assicurò Gilroy.-- Ma che cosa dice? Il guardiano rialzò la testa con aria offesa.--Mi d ia una possibilità. Il codice di Bacone non è stato risolto per tre sec oli. Gilroy emise un grugnito. Non aveva tanto tempo a d isposizione. --Ci sono solo tredici singole parole--proseguì il custode, intrepi- do a dispetto del precedente baconiano.--Impossibil e usare i criteri di frequenza, i digrammi o i trigrammi. --Anche questo lo sapevo già--rispose rauco Gilroy.

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--Allora perché è venuto da me, se sa già tutto? Il giornalista scostò di scatto la sedia.--Okay, no n le darò più fasti- dio. --Cinque simboli per rappresentare 26 lettere. Impo ssibile. Deve essere simile al codice dei nichilisti russi. Loro potevano rappresen- tarne solo 25- La lettera mancante è la uqn O la "j n, con molta probabi- lità, perché tutt'e due si usano di rado. Bene, le dirò cosa ne penso. --Che cosa?--domandò Gilroy tutt'orecchi. --Bisognerà ragionare a pnon, o come si dice. --Come vuole--sospirò il giornalista.--Basta che lo decifri. --La radice quadrata di 25 è 5. Chiunque abbia scri tto questo bi- glietto, deve avere composto un quadrato di lettere , di cinque lettere per lato. Mi sembra ragionevole.--Il custode annuì e sorrise ilare. --Le combinazioni possibili in un quadrato di 25 so no... dunque... 625. I doppi simboli devono indicare le linee orizz ontali e verticali. Combinazioni possibili, 25. Totale delle combinazio ni...uhmm... 15.625. Non molto promettente. Se c'è una parola ch iave, dovremo cercarla sul dizionario, finché non la troviamo. Co mbinazioni possibi- li, 15.625, moltiplicate per i vocaboli inglesi...s empre che la parola chiave sia inglese. Gilroy si alzò.--Non lo sopporto--gemette.--Tornerò fra un'ora. --No, non se ne vada--gli disse il guardiano.--Lei mi è di grande aiuto. Non credo che dovremo esaminare più di 625 c ombinazioni al massimo. Faremo in un attimo. Parlava, ovviamente, in senso relativo. Codice di B acone: tre secoli- codice confederato: 15 anni; codice russo di guerra : mai violato. I crit- tografi devono guardare all'eternità. Gilroy sedette, mentre il custode disegnava un quad rato: abcde; f g h i j " klmno, p r s t u . vwxyz: La prima combinazione di due simboli, due punti e v irgola, corri- r, spondeva a una "aN, leggendo la prima colonna da ll'alto, a partire dal ~- punto e virgola in cima, e per traverso, dal pun to e virgola a destra. La --~ seconda combinazione, un punto e virgola e una virgola, corrisponde- É ~ra a una "k". Il custode proseguì a quel modo fi no a che storse la faccia e Spinse verso il giornalista la traduzione incompl eta: akddd fz kyoiztd r eztzkprepr 1 --Ha qualche senso per lei?--chiese ansioso. = Gilroy contrasse la gola, incapace di parlare. 1i~ 103 F --Potrebbe essere polacco--dichiarò il crittografo- -o giappone- se.

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L'angosciato reporter scappò via. Quando tomò un'ora più tardi, dopo aver mangiato e vagato per la città, masticando nervosamente qualche sigaretta, t rovò il custode trincerato dietro una barriera di fogli ammonticchi ati. --Va un po' meglio?--gli chiese. L'altro era troppo assorto per alzare lo sguardo o rispondere. Spian- do sopra la sua spalla, il reporter vide che aveva predisposto un altro quadrato. I fogli sul tavolo erano coperti dalle ch iavi via via scartate; a un calcolo approssimativo, doveva aveme tentate u n centinaio. Alla figura su cui stava lavorando era giunto per s istematica elimi- nazione: aveva tenuto il quadrato originario, cambi ando tuttavia la posizione dei segni d'interpunzione. Scartata quell a sistemazione, aveva mutato il reticolo alfabetico e, dopo averlo messo alla prova, aveva rimescolato ancora una volta i simboli. Pazie nte e cocciuto, il custode infine aveva formato questo sistema: zuo je, ytnid . x s m h c; wrlgb" vpkfa: Senza fretta, contò a partire dal punto e virgola i n alto e dal punto e virgola sulla destra, fermandosi alla "mn. Gilroy, che lo seguiva, annuì a quel risultato. Fu più veloce del vecchio guardia no nell'interpretare il punto e virogla e la virgola, una "o". Il punto e il punto e virgola, ri- petuti due volte, corrispondevano a una doppia "Sn. Prima parola. moss Il giomalista si raddrizzò e respirò a fondo. Poi s i ripiegò e contò in- sieme al custode, in verticale e in orizzontale, co mponendo l'intero messaggio che il vecchio aveva sbarrato ogni due si mboli. Il biglietto recitava. I; /:J ;t ;"/~ J n/::l I ;l " / moss ha operato I.J;J;.I J:;l J ....I::I;J.J ; 1;,1 catatonici talbot lo ;J / ~ J ~ nl / J J;; finanzia proteggetemi J ~ ;J n~;J da loro 4 _ Mmh--mormorò il guardiano--questo avrebbe s enso, se sapes- si che cosa significa. Ma Gilroy gli aveva strappato il foglio di ma no. Il cancello sbatté al- le sue spalle. Mentre tornava all'ufficio in taxi, il giomal ista non era troppo gon- golante. Bussò al divisorio in vetro.--Si sbri ghi. Ho già fatto il giro turistico della città. Se il cane era stato eliminato, pensava, addi o alla storia sui catato- nici! Il cane era il suo solo anello con I aut ore dello scritto in codice. Wood scivolò lungo le buie stradine dietro i m ercati di frutta all'in- '~ grosso in West Street. Bidoni malconci e casse di merce andata a male offrivano provvidenziali ostacoli e ripari, ne l caso i gangster di Talbot

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lo seguissero. Sapeva che doveva allontanarsi dalla zona del fiume. I banditi dove- vano averlo individuato, ora avrebbero chiamat o il quartier generale di Talbot per chiedere rinforzi. Con le loro v eloci automobili, potevano pattugliare i confini del quartiere in cui lui si aggirava e serrare le file fino a intrappolarlo. Ma più importante era ch e i reporter fossero stati mandati ruori a cercarlo. Che avessero o meno decifrato il suo semplice codice, non contava granché; Gilroy infine sapeva che lui cercava di comunicare, e questo era il punto principale. J L'animalesco e infallibile senso di orientame nto lo guidò nel labirin- l to di cupe viuzze fino alla zona più vicina al giornale. Guardò oltre L l'angolo e studiò la strada da una parte e dal l'altra: I'automobile nera della banda non si vedeva. Doveva però correre allo scoperto per un r centinaio di metri illuminati in pieno dai lam pioni, prima di arrivare all'ingresso del palazzo. ,~ Chiamò a raccolta i potenti muscoli delle zam pe, quindi si lanciò sul marciapiede di cemento. L'ingresso si avvicina va. Le sue zampe si al- zavano e abbassavano come stantuffi, abbrevian do il tratto critico più rapidamente di quanto fosse concesso a un esse re umano e di questo, Wood era grato. Avvistò un uomo che si teneva impaziente pres so la porta. All'ulti- mo momentO, rallentò la corsa balzando verso l a spessa lastra di cri- stallo. Eccoti!--gridò il direttore del giomale.--De ntro, presto! . E spalancò la porta. S'infilarono all'intemo poi, requisito un ascen- ore, corsero attraverso la redazione fino all' ufficio in fondo. Ragazzo, spero che non ti abbiano visto! Sar ebbe la fine per tutti ~direttore si torceva adesso dietro la scrivani a e di tanto in tanto ~` ~ 105 dava una malevola occhiata all'orologio, imprecando per la lunga as- senza di Gilroy. Wood si stese ansimando sul freddo pavimento. Si aspettava che ormai il suo messaggio fosse stato de cifrato e aveva per- fino nutrito la speranza di essere riconosciuto per un essere umano in un corpo canino; ma ora si rese conto che Gilroy do veva ancora essere impegnato nell'opera di decodificazione. In ogni modo, per un poco era al sicuro. Fra non mo lto, il reporter sarebbe tornato e allora avrebbero capito cosa gli era successo. Fino a quel momento, sarebbe stato paziente. D'un tratto, alzò la testa in ascolto. Aveva ricono sciuto il caratteri- stico passo del giornalista, quasi un metro a ogni falcata. Poi la porta sbatté e si chiuse alle spalle di Gilroy. --Il cane è qui, vero? Dia un'occhiata a quello che le ho portato! E gettò un quadrato di carta sul tavolo. Mentre il direttore leggeva avidamente, Wood scrutava la sua faccia, ignorando l'abbondante hamburger scartato da Gilroy. Era stranito dall'int eresse più che nor- male mostrato dal reporter nei suoi confronti; ma, forse, il direttore avrebbe compreso. --E così di questo si tratta! Moss e Talbot, eh? Or a è molto più chia- ro. --Adesso vedo l'interesse di Moss--osservò Gilroy.- -Lui è il solo da queste parti che potrebbe fare un'operazione del genere. Ma Tal- bot... non riesco a capire il suo gioco. E chi ha m andato il biglietto?

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Come ha avuto la notizia... e dove si nasconde? Wood quasi impazzì per la rabbia. Lui poteva spiega re: sapeva tutto quello che c'era da sapere sull'interesse di Talbot per gli esperimenti di Moss. Il problema della comunicazione era stato risolto, Moss e Tal- bot erano stati denunciati, eppure lui era egualmen te lontano dal ria- vere il suo corpo originario. Doveva scrivere un altro messaggio cifrato, più lun go, questa volta, e più esplicito, rispondendo alle domande poste da Gilroy. Rabbrividì. Per farlo, sarebbe dovuto andare incontro alla band a di Talbot, e il suo quadrato era nell'angolo di quel terreno abbandonat o: sarebbe stato troppo buio... --Dobbiamo farci guidare da lui fino all'autore del messaggio~ disse Gilroy risoluto.--E il solo modo in cui possi amo incastrare Moss e Talbot. Così, tutto quello che abbiamo è un' accusa senza nessu- na prova legale. --Dev'essere da qualche parte nei dintorni. Gilroy fissò Wood.--E quello che penso anch'io. Il cane è venut° qui e ha abbaiato per convincerci a seguirlo. Quand o gli abbiamo dato la caccia, è tornato con un biglietto scarabocchiat o mezz'ora dopo. pOI ha portato il messaggio in codice entro un'ora. L'a utore deve essere molto vicino. DODO che il cane avrà mangiato, potre mo...--Deglutì sonoramente e levò lo sguardo stralunato verso il d irettore poi, sceso dal bordo della scrivania, frugò nel lungo pelo sul collo di Wood. _ Guardi qui, capo, un pezzo di cerotto chirurgico. Quando il cane ha chinato la testa per mangiare, è rimasto scoperto. _ E tu pensi che sia un catatonico.--Il direttore s cosse la testa con un sorriso di commiserazione.--Sei matto, Gilroy. _ Forse lo sono. Ma mi piacerebbe dare un'occhiata sotto il cerotto. Il cuore di Wood martellò furioso. Sapeva che la su a incisione era identica a quelle dei catatonici e, se avesse potut o vederla, Gilroy avrebbe subito capito. Quando il giornalista cominc iò a tirare il cerot- to, cercò di sopportare il dolore tormentoso, ma do vette ritrarsi con uno scarto. La ferita era recente, ancora scoperta, e i peli ab barbicati erano fer- mamente incollati al cerotto. Lasciò comunque che G ilroy riprovasse, ma era una sofferenza troppo intensa, e poi aveva p aura che l'incisio- ne si squarciasse. --Smettila--disse il direttore impressionato.--Ti m orderà Gilroy si raddrizzò.--Potrei toglierlo con un po' d i etere. --Non penserai davvero che sia stato operato? Moss non opera i ca- ni. Probabilmente si è cacciato in una zuffa, o uno dei pistoleri di Tal- bot l'ha preso di striscio con un proiettile. Il telefono squillò insistente.--Vorrei ugualmente vedere cosa c'è sotto--disse il reporter mentre il direttore stacca va la cornetta. Di fronte al crollo repentino delle sue speranze, Wood s'incolpò per aver resistito a Gilroy. ·~ --Che c'è, Blaine?--chiese il direttore, e rima se in ascolto, scuren- dosi in viso.--Okay. Stai lontano, se non vuoi corr ere rischi. Chiama

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la redazione e detta il pezzo.--Abbassò la cornetta e disse a Gilroy: --Guai, un sacco di guai. Le automobili della banda di Talbot incro- ciano nel quartiere. Blaine aveva paura d'incontrar le. Non so come potrai far passare il cane. Wood era allarmato. Lasciò a mezzo il suo pasto e p rese ad agitarsi in direzione della porta, con un uggiolio involonta rio Gilroy lo guardò incuriosito.--Giurerei che ha capi to quello che lei ha detto. Ha visto com' è cambiato? --E il loro modo di reagire alle voci--rispose il d irettore. --Bene, dobbiamo farlo arrivare dal suo padrone--ri fletté Gilroy, mordendosi la guancia.--Io posso riuscirci, se lei mi aiuta ~_ . Certo che ti aiuterò. Ma come? p -~--Venga --Wood e il direttore attraversarono la redazione attac- I ~ti alle rapide calcagna del fantasmatico reporte r. In silenzio, aspet- i l~ono tutti quanti l'ascensore, quindi scesero ne ll'atrio.--Restate !~U ViCino alla porta--disse Gilroy.--Quando darò i l segnale, uscite corsa. --Quale segnale?--gridò il direttore, ma il reporte r era già in stra- da fuorivista. I due aspettarono emozionati. Entro pochi minuti, u n taxi si fermò presso il marciapiede e Gilroy aprì la porta, sedut o all'interno, ma sul chi vive. Guardò l'angolo alle sue spalle: per un p o', tutto rimase quie- to, poi una nera automobile banditesca scivolò lent a e inquisitiva ol- tre il taxi. La canna di un mitra balenò nella luce gialla. Il giornalista aspettò fino a che, dopo poco, la vettura svoltò in West Street. Allora agitò frenetico le braccia. --Salite!--ordinò seccamente.--In West Street! Il direttore prese Wood tra le braccia, spalancò la porta e schizzò a bordo. Il taxi partì d'improvviso. Wood si accucciò sul pa vimento, treman- do disperato. Aveva dato fondo alle sue risorse ed era lontano come non mai dal riavere il suo corpo. Si aspettavano ch e li conducesse dal suo padrone: acora non avevano capito che lui aveva scritto il bigliet- to. Dove doveva portarli, come convincerli che era l'artefice del mes- saggio? --Credo che qui sia abbastanza lontano--disse Gilro y rompendo il silenzio. Picchiettò sul vetro divisorio. L'autista si fermò. Giornalista e direttore scesero, seguiti con qualche incertezza d al cane. Gilroy pagò l'autista e gli fece cenno di andarsene. Nel quieto isolamento della grande arteria commerciale, si chinò per tutta la s ua statura fino al li- vello di Wood.--Avanti, ragazzo! A casa! Wood era in preda al panico. Riusciva a pensare a u n solo posto do- ve condurli. Partì al piccolo trotto, in modo da no n affaticarli. Tenen- dosi accosto ai muri, attraversando di volata le st rade, puntò cauto verso la parte bassa della città. I due uomini lo seguirono dietro i mercati frontegg ianti la super- strada, verso un terreno più intemo. Il cane girò i ntorno alle profonde e malsicure fondamenta di un edificio demolito, sca valcando mucchi di spazzatura, fino a uno spazio sgombro, protetto dall'ombra, in fon- do allo slargo. Qui si fermò in attesa.

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Gilroy e il direttore si guardarono intorno nelle t enebre.--Venga fuori!--gridò rauco il giornalista.--Siamo amici. V ogliamo aiutar- Quando non giunse risposta, i due esplorarono il te rreno abbando- nato, accendendo diversi fiammiferi per illuminare gli angoli scuri delle fondamenta_ Wood li osservava in preda ad emo zioni confuse. Frugando tra le pile di rifiuti e i muri crollanti della costruzione, per- devano solo tempo. Per quanto gli permetteva il buio, individuò il luo go dove aveva di- segnato il quadrato per la codificazione. Rimase lì fermo ed abbaiò a più non posso. I due umani si affrettarono a lascia re la loro inutile ri- cerca. --Deve aver visto qualcosa--bisbigliò il direttore. Gilroy protesse un fiammifero nelle mani a coppa e spostò la luce avanti e indietro nello spicchio triangolare dello spazio libero, quindi scrollò le spalle. _ Non è qui--disse il direttore.--Sta indicando il terreno. Gilroy abbassò il fiammifero. Prima che la fiamma t occasse terra, lo lasciò cadere con un grido, agitando le dita brucia cchiate nell'aria fre- sca. Con un mormorio comprensivo, il direttore ne a ccese un altro. _ E questo che stai cercando, un gruppo di lettere in un quadrato? Wood e Gilroy si avvicinarono all unisono. Il repor ter accese a sua volta una fiammella e, alla sua luce, ispezionò con cura il rozzo retico- lo. _ Torno fra un secondo--disse. Era troppo scuro per vederlo in faccia, ma Wood sentì la sua voce, secca e vibrante .--Prendo una tor- cia elettrica. _ Che cosa faccio, se il tipo viene fuori?--domandò subito il diret- tore. --Niente. Non verrà. Non cammini sopra il quadrato. Gilroy svanì nella notte. Il direttore accese un al tro fiammifero e studiò il terreno con la cura di un cacciatore di c ervi. _ Che cosa diavolo avrà visto?--si chiese.--Quel ra gazzo...-- Scosse la testa scorato e lasciò cadere il fiammife ro. Mai in vita sua Wood aveva conosciuto una simile ec citazione. Che cosa aveva scoperto Gilroy? Si trattava solo di un altro elemento col- laterale, come quando aveva capito che i gangster d i Talbot gli davano l~ la caccia, o aveva cominciato a sospettare la su a vera identità? Aveva risposto che l'autore del biglietto non sarebbe com parso, ma quelle parole potevano significare tutto e niente. Con tut te le forze, Wood cercò un sistema per dimostrare in modo inequivocab ile chi realmen- te era. Ma trovò solo un piano puramente negativo: avrebbe seguito il ggerimento di Gilroy. A ogni minuto che passava, il direttore sentiva cre scere la sua colle- ra: cambiava posizione contro il muro di mattoni, o passeggiava intor- no, fino a che, quando il giornalista tornò precedu to da un vivido cono E di luce, scoppiò:--Falla finita, Gilroy. Non poss o sprecare tutta la

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~otte. Anche se scopriamo cosa è successo, non potr emo stamparlo... Il giornalista l'ignorò e squadernò il raggio scint illante della sua ,~ torcia elettrica a cinque pile sopra il quadrato magico. E `~ Ora, guardi bene--disse. Osservò intento Wood, che obbedì ualmente al suo ordine e si accostò al ginocchio de l direttore, scru- ~ndo il terreno.--Il tizio che ha fatto questo quad rato è stato molto CautO ha rivolto la schiena verso il muro, tenendo sott'occhio il terre- ~P di fronte, in modo da non farsi prendere di sorp resa. Il quadrato è eSciato rispetto a noi. No, aspetti!--esclamò, come il direttore si spostò per osservare il quadrato dalla sua base.--N on voglio che vi lasci le sue impronte. Guardi lì in fondo, dove dov eva trovarsi quello che l'ha tracciato. Il direttore guardò.--Che cosa vedi?--domandò disor ientato. --Be', il terreno è umido e piuttosto morbido. Dovr ebbero esserci delle orme. E ci sono. Solo che non sono umane! Il direttore si schiarì la gola.--Stai scherzando! --Gestatt--recitò Gilroy quasi a se stesso--I'inter o è più grande della somma delle sue singole parti. Noi abbiamo un insieme di fatti sconnessi, senza nessun legame apparente fra loro. Poi, salta fuori un elemento, che non pare più importante degli altri, ma d'improvviso va al suo posto, e noi abbiamo il quadro completo. --Che cosa stai farneticando?--bisbigliò allarmato il direttore. Gilroy si abbassò per tutta la sua estensione e rac colse un mozzico- ne di matita giallo, che rigirò in mano, prima di p assarlo al direttore. --Questa è la matita che il cane ha rubato prima ch e lo buttassimo fuori. Può vedere i segni dei suoi denti sui lati, dove la stringeva. Ma ci sono dei segni anche intorno alla punta. Può darsi che io sia pazzo...-- Prese dalla tasca lo sporco messaggio in codice e l o lisciò.--Ho visto queste macchie nel momento stesso in cui ho guardat o il biglietto, ma allora non significavano niente per me. Che cosa ne dice? Il direttore esaminò docile il foglio alla luce del la torcia elettrica. --Potrebbero essere le impronte dei palmi... --Sì, di un bambino--lo gelò Gilroy.--Solo che non lo sono. Tutti e due sappiamo che sono le impronte di un paio di z ampe, le stesse che si trovano in fondo al quadrato. Lei sa a che cosa sto pensando. Guardi come ci ascolta, il cane. Senza alzare la voce, Gilroy voltò la testa e disse come di passata: --Ecco che arriva quello che ha scritto il bigliett o, proprio dietro il cane. Involontariamente, Wood si girò verso il terreno ne l buio, ma nep- pure i suoi acuti occhi poterono distinguere una qu alunque persona nella penombra. Quando li levò verso il giornalista , fissò in pieno due grigi occhi spaventati. --Eccola sistemato--disse Gilroy con un tono di voc e spaventoso. --Così quello è il loro modo di reagire alle voci, eh? Niente da fare, ca-

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po. Abbiamo un licantropo fra noi, grazie a Moss e Talbot. Wood abbaiò e saltellò felice intorno alle chilomet riche gambe di Gilroy. Aveva capito! Ma il direttore rise, una risata perfettamente norm ale, divertita, e tuttavia poco convinta.--Tu perdi tempo a scrivere per i giornali, Gilroy... --Okay, signor intelligentone--rispose infuriato il giornalista- --La pianti di ridacchiare e mi dia la risposta a q uesto che ora le dico I 10 Il cane viene nella redazione e comincia ad abbaiar e. Io pensavo che stesse solo cercando di indurci a seguirlo, salvo c he non ho mai sentito un cane abbaiare con versi lunghi e brevi prima d'o ra. Lui è corso su per le scale, superando tutti gli altri piani - I'u fficio amministrativo, gli uffici per la pubblicità e così via - fino alla redazione, perché lì vo- leva arrivare. Noi lo cacciamo fuori. E lui torna c on un biglietto scrit- to alla meglio, dove dice: «Io sono un uomo«. Quell e quattro parole oc- cupavano tutta la pagina- Perfino un bambino che im pari a scrivere non ha bisogno di tanto spazio. Ma se lei tenesse u na matita fra i denti e cercasse di unire le barre delle lettere, scriver ebbe con dei caratteri più o meno simili a quelli sul foglio. "Il cane aveva bisogno di un sistema alfabetico più ridotto, così ha escogitato un codice elementare. Ma aveva perso la sua matita. Allora, ne ha rubata una delle nostre. Poi è tornato indiet ro, stando bene at- tento alle automobili di Talbot. "Non ci sono impronte di piedi in fondo a questo qu adrato, solo le orme di un cane. E ci sono due impronte sul messagg io, dove ha pog- giato le zampe sul foglio mentre scriveva. E per tu tto il tempo ha con- tinuato ad ascoltare ogni parola che dicevamo. Quan do ho detto in to- no distratto che l'autore del biglietto era dietro le sue spalle, lui si è voltato di scatto. Ebbene?" Il direttore era tutt'altro che convinto.--Un ottim o addestramen- to... --Per essere una persona che rispettavo, ha decisam ente il cervello di una gallina. Qui... non so come si chiami--disse a Wood.--Che co- sa farebbe se Moss fosse qui? Wood ringhiò. --Lei ci dirà dove trovarlo. Non so come, ma è stat o abbastanza in- telligente da pensare a un codice, quindi può anche trovare un altro modo per comunicare. Allora ci dirà che cosa è succ esso. Per Wood, fu il momento del trionfo supremo. E vero , non aveva an- cora il suo corpo, ma ormai era solo questione di t empo. La sua gioia alle parole del giornalista fu abbastanza violenta da scuotere la pro- saica mente poco immaginosa del direttore. --Ancora non ci crede--I'accusò Gilroy. --E come potrei?--si lamentò il direttore.--Non so neppure per- ché ti parlo come se fosse possibile. (~ilroy frugò in un cumulo d'immondizia, da dove re cuperò un pez- zetto di legno. Rapidamente, scrisse in piccolo le lettere dell'alfabeto

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iP una singola riga. Poi, gettato il bastone, si tr asse da parte e puntò la prcia elettrica.--Ora sillabi quello che è successo . Wood balzò avanti e indietro davanti all'alfabeto, fermandosi via a davanti alla lettera del caso, che indicava con i l muso rivolto verso ~rra. 1~1 --t-a-l-b-o-t v-o-l-e-v-a u-n c-o-r-p-o g-i-o-v-a-n -e m-o-s-s h-a d-e-t-t-o c-h-e p-o-t-e-v-a p-r-o-c-u-r-a-r-g ~ e-l -o. --Be', che io sia dannato!--esplose il direttore. Dopo quell'esclamazione, scese il silenzio. Si sent iva solo il battito delle zampe sul terreno morbido, un ansito d'eccita zione e il rauco re- spiro degli uomini. Wood aveva vinto! Gilroy sedeva alla macchina per scrivere nel suo ap partamento. Wood stava di fianco alla sedia e osservava i tasti che scattavano veloci. Ma il direttore misurava nervosamente avanti e indietr o il pavimento. --Ho sprecato metà della serata--si lamentava--e se stamperò questa storia verrò buttato fuori. Be', accidenti, Gilroy, come pensi che la prenderà il pubblico, se non riesco a creder ci neanch'io? --Mmh--spiegò il giornalista. --Ti stai giocando il posto. Lo sai questo, vero? --Non mi importa granché--rispose Gilroy senza alza re lo sguar- do.--Wood deve tornare nel suo corpo. E non potrà f arlo, a meno che l'aiutiamo. --Ma non ti suona ridicolo? "Deve tornare nel suo c orpo." Immagi- na cosa diranno gli altri giomali di questa frase! Gilroy si agitò impaziente --Non la vedranno--affer mb deciso. --Allora perché diavolo stai scrivendo l'articolo?- -domandò il di- rettore allibito.--E perché non vuoi che torni in u fficio? --Calma! Fra un minuto avrò finito.--Inserì un altr o foglio, che le sue dita volanti coprirono rapidamente di nere paro le accusatorie. Wood dischiuse la bocca in un sorriso canino in ris posta al sorriso del giornalista, quando abbassò lo sguardo verso di lui , assentendo fidu- cioso.--Praticamente stai già camminando sui tuoi p iedi, amico. An- diamo. Allorché Gilroy s'infilò il cappotto svolazzante e si ficcò un cappello malconcio sulla testa spigolosa, Wood si preparò a schizzare fuori, ma il direttore indugiava:--Dove state andando?--chies e diffidente. --Da Moss, naturalmente, a meno che lei abbia in me nte un posto migliore--rispose il reporter. Wood non tollerava il pensiero di tardare oltre e c ominciò a tirare I'altro per i pantaloni. --Puoi scommetterci che conosco un posto migliore. Ehi, piantala Wood... vengo, vengo. Ma accidenti, Gilroy! Sono le dieci passate, e

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ancora non ho fatto niente. Abbi cuore e vedi di fa rla finita in fretta Strattonato per il braccio dal giornalista e tirato per la gamba da Wood, il direttore accompagnò i due, pur senza cess are le sue proteste 1 12 Alla porta, comunque, nascose il cane mentre i l giornalista chiamava un taxi. Quando Gilroy fece segno che la strad a era sgombra, attraver- sò di corsa il marciapiede con il collie in br accio. t Gilroy diede l'indirizzo all'autista. Come lo sentì Wood aprì la boc- ca in un ringhio silenzioso. Era solo a breve distanzá da Moss, con due eloquenti portavoce in grado di articolare le sue richieste e, se neces- sario, mobilitare l'opinione pubblica in suo f avore! Che cosa poteva fa- re Moss contro una simile forza? Risalirono per la Settima Avenue e lungo il C entral Park West. Solo il direttore aveva l'impressione che andassero a tutta velocità; Gilroy e Wood si agitavano irritati a ogni semaforo r osso. Nella strada di Moss, Gilroy avvertì l'autist a di rallentare. La casa del chirurgo era sorvegliata da due pigre auto mobili nere. --Scendiamo all'angolo--disse Gilroy. Si rifugiarono nell'androne di un palazzo di camere ammobiliate. --E adesso?--domandò il direttore.--Non possi amo farci strada a forza. Wood scosse la testa. Nessun ingresso dal ret ro. --La sola via è attraverso i tetti--stabilì G ilroy. Sporse la testa e studiò gli edifici tra loro e la casa di Moss. --Questo è alto sei piani, quello dopo, cinque, quello a destra della cas a di Moss, sei, e la casa di Moss, tre. Dovremo salire e scendere per le sc ale antincendio ed entra- re dal tetto. Pronti? --Suppongo di sì--rispose il direttore con to no fatalista. Gilroy saggiò la porta. Era chiusa. Scelse qu indi un campanello a caso e suonò vigorosamente. Seguì un breve sil enzio, poi la serratura scattò. Il giornalista spalancò la porta e cor se su per i gradini, facen- E~ doli a quattro per volta. --Chi è?--gridò una donna giù per la tromba d elle scale. La superarono di galoppo.--Ci scusi, signora- -le gridò Gilroy. --Abbiamo suonato il suo campanello per sbagli o. ~ La donna parve contrariata e impaurita, ma il giornalista la preven- LL ne con un sorriso e un gaio gesto della mano m entre filava via. La porta del tetto era chiusa con un robusto gancio dall'occhiello ar- rugginito. Gilroy l'aprì a forza con il palmo, e si ritrovarono su un tet- E to incatramato, gelido e nero sotto il cielo c operto della notte minac- CiOsa, Scoperta insieme a Wood la scala antincendio che portava al tetto essivo~ Gilroy si cacciò l'amico sotto il br accio sinistro e si lanciò -~ sopra i gradini infissi nel muro. Questa è follia!--esclamò il direttore.--No n ho mai fatto una >sa così assurda nella mia vita. Perché non s iamo un po' più furbi e d~iamiamO i piedipiatti? --Siì?--lo rintuzzò Gilroy senza fermarsi.--E quale sarebbe la ~a accusa? I 13 --Contro Moss? Be'... --Ci pensi mentre cammina. Gilroy e Wood erano già sul tetto vicino e aspettav ano sulle spine che il direttore scendesse. Il direttore scese, ma i suoi pensieri vagava- no altrove.

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--Puoi accusarlo di quello che ha fatto. Ha trasfor mato un uomo in un cane. --Farebbe una grande impressione in un atto di accu sa. Se lo scor- di. Guardi solo di camminare in punta di piedi. Que sto maledetto tet- to scricchiola e rimbomba come un tamburo. Avanzarono sulle lamine di metallo incatramato. Sot to, potevano sentire risuonare i loro passi più pesanti nelle ca mere vuote. Le zampe del collie ticchettavano in un balletto ritmato. Qu ando proseguirono a cavalcioni di un basso muro tra i due edifici, Wood annusò l'aria, in cerca dei nemici che si annidavano dietro i comigno li, le feritoie e le porte. Di tanto in tanto, spinto da un fuggevole so spetto, Gilroy dirige- va il raggio della torcia elettrica avanti a sé. In fine, salirono per una scala di acciaio verso il palazzo a sei piani vicin o alla casa del chirur- go. --E accusarlo di rapimento?--domandò il direttore m entre guar- davano oltre il muro verso il tetto di Moss. ~- --La prego, non stia a seccarmi. Il corpo di Wood è nel reparto os- servazione dell'ospedale. Come proverà che Moss l'h a rapito? Il direttore annuì nel buio e pensò a un altro capo di accusa. Gilroy puntò la torcia elettrica in pieno sul tetto vicino che apparve comple- tamente sguarnito. --Vieni, Wood--disse infilando la torcia elettrica nella cintura. Prese il cane sotto il braccio sinistro ma, per ser virsi della mano de- stra nell'ascesa, dovette stringere in una morsa il corpo dell'amico. Wood era grato solo di non poter guardare il tetto tre piani più sotto, stretto com'era nella presa. Respirava con un ranto lo sibilante. Quan- do il giornalista si tagliò la mano su una squama a guzza di verniCe rinsecchita, sentì un nodo in gola. --Va tutto bene--lo rassicurò Gilroy in un bisbigli o.--Ci siamo quasi. Sopra di loro, Wood scorgeva il direttore scendere pesantemente per l'insicura scala imbullonata che, tra le piastr e di ancoraggio, on- deggiava lamentosa staccandosi dallo sporco muro di mattoni. Un piolo dopo l'altro, scesero adagio, Gilroy afferran dosi a ogni appiglio, Wood sospeso a mezz'aria e impotente, entrambi con il cuore in gola quando la scaletta scricchiolava sotto il loro peso . Infine, quando abbassò il piede e, di sotto, trovò il solido tetto, Gil- roy sorrise trionfante nel buio. Wood sgusciò dalla sua morsa. Poi il di- rettore, imprecando, li raggiunse e li seguì fino a lla scaletta sul retr°, .~ ma, questa volta, si offrì di portare lui il can e. Mentre si calavano in- certi lungo il muro, Wood ne sentiva tremare i musc oli. Lui stesso non aveVa nulla da perdere, se non una miserabile vita animalesca, eppure non era del tutto immune dalla paura, di fronte ai pericoli nascosti che affrontavano- Si sentiva comprensivo verso quel direttore di gior- nale che, invece, aveva tutto da perdere, e neppure credeva per intero alla sua vera identità: doveva essergli riuscito be n duro accettare la scoperta di un uomo in un collie apparentemente nor male! Wood fu depositato sulle sbarre di ferro, poi il gi ornalista si unì a lo- ro in gran fretta e diede uno strattone al lucernar io. La finestra era chiusa. _ Ho bisogno di un piede di porco per aprire--mormo rò Gilroy

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mentre additava i bordi del telaio.--Non ha un colt ello con sé? Il direttore si frugò distrattamente le tasche e ne trasse un mazzo di chiavi, oltre a svariati mozziconi di matite, pezze tti di carta, fiammi- feri e, in ultimo, una limetta per le unghie di poc o prezzo nella sua fo- derina. Gilroy ne usò la punta per sgrommare la vec chia intelaiatura, scheggiando agevolmente lo stucco, fino a liberare il bordo superiore e i lati. I --Ora--disse in un sussurro--scostatevi un poco e state pronti a prenderlo. rnserì la limetta contro il bordo superiore e solle vò il vetro dal te- laio. La lastra rimase sospesa, poggiandosi sugli a ltri tre lati: il gior- ~: nalista la prese per i bordi e la tolse di mezzo senza rumore. --Andiamo.--Gilroy si calò a ritroso entro il telai o vuoto.--Mi passi Wood. Quando si drizzarono nella stanza buia, sotto lo st esso tetto di Moss Wood avvertì con un senso di euforia la vicinanza d el solo uomo che odiava, colui che poteva restituirgli il suo corpo. --Ci siamo!--pen- sava.--Ci siamo! - --Gilroy--incalzò il direttore--potremmo accusare Moss di vivi- sezione. E vero--bisbigliò il reporter. Gli altri due sentir ono la maniglia tremare nella sua mano e si voltarono timorosi. --Ora dove andiamo?--proruppe il direttore in preda al panico. ,~ --Siamo qui--rispose freddo Gilroy.--Tanto vale che andiamo fi- p- no in fondo. La porta si aprì, una pallida luce fioca entrò timi damente. Guarda- ono il lungo, stretto e squallido corridoio che si stendeva verso le sca- nel centro della casa. In fondo a quei gradini, avr ebbero trovato ~oss. ~ LaCutO olfatto di Wood avvertì subito l'odore del nemico. Il chirur- E era stato in quella stanza non molto tempo prima. tScivolò accucciato intorno al pianerottolo in cima alle scale e scese 115 gradino per gradino. Gilroy e il direttore si tenev ano alla ringhiera e al muro, poggiando gran parte del peso sulle mani. Sce sero per la stretta spirale su cui Clarence aveva incontrato le acumina te zanne fatali, giù fino al corridoio a pianterreno, dove il suo corpo grasso era stramazza- to in mezzo al sangue. Wood sentì a distanza il breve e nervoso picchietti o di un bastone, presto zittito da un collerico sibilo imperioso, qu asi impercettibile perfino per le sue orecchie. Guardò esultante Gilro y con una scintilla negli occhi cupi e un sogghigno selvaggio della boc ca che scoprì la ros- sa lingua penzolante nella bianca trappola mortale dei denti. Aveva

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individuato i rumori e il luogo da cui provenivano. Moss e Talbot era- no in una stanza sul retro della casa. Incu}~rò le spalle robuste e avanzò adagio, le zamp e rigide, I'aria si- nistra di tutti i cacciatori di carne quando calano in un'imboscata sul- la loro preda. All'esterno della porta chiusa, si a ccucciò, i muscoli rac- colti per il balzo, le orecchie prudentemente appia ttite contro la testa slanciata. Ma quelle orecchie sentivano le voci sof focate che sfuggiva- no ai torpidi sensi dei due uomini. --Si sieda, dottore--diceva Talbot.--Il camion sarà qui tra poco. --Non mi preoccupa la mia salvezza personale--repli cò secco Moss.--E solo che odio l'inefficienza, specialmente quando lei affer- ma... --Be', non è colpa di Jake. Sta tornando da un lavo ro. Wood poteva vedere l'impercettibile sogghigno sulla rosea faccia le- vigata del medico.--Lei può andarsene in qualunque momento, da qui a sei mesi, ma la sua avidità non si acquieta, vero Talbot? Non ha saputo resistere alla tentazione di un guadagno, e in un simile fran- gente! --Oh, non perda la testa. I cata-come-si-chiamano n on possono par- lare e il cane probabilmente sta rovistando fra i b idoni della spazzatu- ra. Che cos'ha da ridire? --Io sto cambiando residenza per motivi puramente p recauzionali. Lei sottovaluta l'intelligenza umana, per quanto li mitata dalle preca- rie capacità di espressione di un cane. Wood guardò i suoi compagni con un sogghigno. Il di rettore, con la faccia bianca come un lenzuolo, era raggelato dall' ansia. Gilroy, con una pistola nella mano destra, tese la sinistra ver so la maniglia. Il di- rettore, involontariamente, fece un movimento per f ermarlo, ma la porta, più rapida, si aprì di scatto verso l'intemo . Wood e Gilroy si pararono sulla soglia, sinistri ne l loro tetro silen- zio. Talbot guardò appena l'arma. Aveva guardato tr oppe canne di pi- stole, per esserne impressionato. Ma quando i sUoi occhi si posaronO su Wood, lasciò ricadere la mascella in un tremito senile. I suoi polmo- ni, costantemente in lotta, si contrassero. Lanciò un alto grido angO- scioSo e si lacerò freneticamente la camicia, p er liberare il torace dalla pr essione che lo schiacciava. --Una lezione pratica per lei, Tal bot--commentò Moss impassibi- le.-- Mai sottovalutare un nemico. Gilroy perse il suo gelido distacco.--Non lo lasci soffocare. L'aiuti. --Che posso fare?--Moss scrollò le spalle.--Angina pectoris. O si tira fuori da solo dalle convulsioni, o non ce la fa. Io non posso aiutar- lo. Ma cosa volete, voi? Nessuno gli rispose. Inorriditi, osse rvavano Talbot imporporarsi nella sua agonia, incapace ormai di urlare, mentre si strappava la ca- micia sul petto. Gilroy abbandonò la mano co n la pistola, ma il chirur- go non tentò affatto di scappare. L'aria vib rò nel naso rapace del vec- chio, che si abba tté in un mucchio contorto. Wood si sentì male. Sapeva che i medici, per autoconservazione, do- vevano indurirsi, ma solo un mostro di b rutale insensibilità poteva ignorare la spaventevole morte di Talbot come se neppure succedesse sotto i suoi occhi. --Oh, via, non è così brutta-- commentò Moss con tono acido.

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t Wood alzò stranito lo sguardo da quella sorta di bambolotto di pez- za verso gli occhi duri e intrepidi del chir urgo, che non fece un gesto per difendersi, o per chiedere aiuto alla squ adra di gangster sul fronte della casa. Con disumana condiscendenza, Moss fissava i tre intrusi. --Manda all'aria i suoi piani --replicò tra i denti Gilroy. Moss alzò le spalle, urbano, delicat amente sdegnoso.--Che diffe- renza fa la sua morte per me? Non ci ho mai tenuto alla sua compa- gnia. --Forse no, ma i suoi soldi sembrava che le andassero a genio. Ora è uscito di scena. Non può più impedirci di stampare tutta la storia.-- Gilroy prese dal taschino un dattiloscritto r ipiegato e lo porse a Moss. Il chirurgo lo lesse con interesse, appoggi ato con indolenza contro il E murO. Giunto alla fine del breve articolo, rilesse il primo paragrafo quindi, educata mente, lo ridiede a Gilroy. --E molto chiaro--disse.--Sono accusato di aver scambiato le identità di un uomo e di un cane. Lei descriv e perfino quella che sareb- be la mia tecnica. --"SarebbeD!--ruggì Gilroy se lvaggiamente.--Intende negare? E Naturale. Non è tutto troppo f antastico?--Moss sorrise.--Ma non è questo il punto. Anche se ammettessi ciò di cui mi accusa, come ensa che potrei essere condannato sulla ba se di simili prove? Il solo S testimone~ a quanto pare, è il cane che l ei chiama Wood. Sono ammes- a testimoniare in tribunale, i cani? No n ricordo di preciso, ma ne ~ood era strabiliato. Non si aspettava ch e Moss rigettasse sfaccia- pente le accuse. Un uomo comune sarebbe crollato, davanti all'evi- ~za. 117 Punto sul vivo, perfino il direttore, che si teneva in disparte, azzar- dò:--Abbiamo le prove di una vivisezione illegale! --Ma non le prove che sia stato io il chirurgo. --Lei è il solo a New York che potesse compiere l'o perazione. --Veda un po' quanto la porterà lontano una simile prova. Wood ascoltava con rabbia crescente. In qualche mod o, avevano permesso che Moss dominasse la situazione e si sche rmisse dalle loro accuse con fredda, sarcastica dialettica. Nessuna m eraviglia che non avesse tentato la fuga! Si sentiva perfettamente al sicuro. Wood rin- ghiò fissando con una smorfia di odio il medico, ch e lo guardò sprez- zante dall'alto in basso. --E va bene non possiamo tascinarla in tribunale--c oncluse Gil- roy, mentre irr;gidiva il dito sul grilletto.--Non è questo che voglia- mo, comunque. Quella sua deliziosa curiosità scient ifica può indurla a operare Wood e trasferire la sua identità nel suo c orpo. Il chirurgo non mutò l'espressione altera e, con sb alorditiva noncu- ranza, osservò l'indice di Gilroy che si tendeva. --Ebbene, parli--proruppe il giornalista, agitando minaccioso l'arma. --Non può costringermi a operare. Tutto quello che può fare, è uc- cidermi, e io sono indifferente alla mia morte come a quella di Tal- bot.--Il sorriso di Moss si allargò e si torse agli angoli, rivelando i denti in un ringhio che era l'immagine speculare, c ivile e afflnata, di quello di Wood.--Questa sua operazione comunque mi interessa. La-

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vorerò per il mio solito compenso. Il direttore spinse Gilroy verso l'interno e chiuse di fretta la porta. --Stanno arrivando--annunciò in un fiato.--I gangst er di Talbot. In due passi, Gilroy mise il chirurgo fra sé e la p orta, schiacciando rudemente la pistola contro l'incrollabile schiena di Moss.--Mettete- vi dall'altra parte, voi due, in modo da restar nas costi dalla porta quando si apre--ordinò. Come si ritrasse insieme al direttore, Wood sentì i passi lungo il cor- ridoio, quindi un breve silenzio, poi un grido aspr o:--Ehi, capo! Il ca- mion è arrivato. --Dica loro di andarsene--ordinò Gilroy con voce so ffocata. --Sono nella seconda stanza nel retro della casa--l i avvertì Moss. Gilroy gli piantò nella schiena la canna della pist ola.--Se lo vuole lei. Le ho detto di mandarli via! --Non oserebbe uccidermi fino a che non avessi oper ato. --Se non ha paura, perché vuol farli venire? Dov'è lo spasso? La porta si spalancò. Un gangster fece per entrare, ma si arrestO, mentre i suoi occhi, avvezzi alle battaglie, guizza vano dal corpo con- torto di Talbot verso Moss e quindi verso Gilroy, c he si levava incom- bente dietro il medico. Con un rapido movimento cir colare, una pisto- la balzò dalla fondina sotto la sua ascella. --Che è successo al capo?--domandò con voce rQca. --Metti via la pistola, Pinero. Il capo è morto di un attacco di cuore. La cosa non dovrebbe sorprenderti, se l'aspettava d a un giorno al- I'altro. --Già, lo so. Ma com'è entrato quel tipo? Moss si agitò impaziente.--E stato qui tutto il tem po. Rimanda in- dietro il camion. Non trasloco più. Ci penso io, a Talbot. Il gangster sembrò incerto ma, in mancanza di un al tro comandan- te, obbedì all'ordine di Moss.--D'accordo, se lo di ce lei.--E chiuse la porta. Quando Pinero ebbe percorso tutto il corridoio, Mos s si voltò di fronte a Gilroy. --Vedo che non ha paura... non poi tanta!--esclamò il reporter. Il medico ignorò quell'uscita tagliente.--Dov'erava mo rimasti? Ah, sì. Mentre lei se ne stava lì tremando, io ho a vuto tempo di ripen- sare alla mia offerta. Opererò gratis. --Può scommetterci!--Gilroy fece ondeggiare la pist ola. Moss arricciò il naso.--Quella non ha nulla a che v edere con la mia decisione. Non ho alcum timore della morte, e non h o paura delle vo- stre prove. Se sceglierò di operare, sarà solo perc hé l'esperimento - m'interessa.--Wood colse lo sguardo assorto di Mo ss, uno sguardo di

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scherno che s'indurì con un riflesso poco prometten te.--Ma natural- mente--soggiunse il chirurgo mellifluo--io opererò di sicuro. Insi- sto per farlo! La minaccia nascosta non sfuggì a Wood. Appena si f osse trovato sotto il bisturi di Moss, sarebbe stata la fine. Un a deviazione fortuita della lama, una minima, ben calcolata negligenza ne lla miscelatura del gas anestetico, e il medico si sarebbe liberato dell'accusa sostenen- do che non era in grado di portare a termine l'oper azione: dunque, non poteva essere lui il vivisezionista. Wood arret rò, scuotendo con ~- violenza la testa da una parte all'altra. --Wood ha ragione--disse il direttore.--Lui la sa p iù lunga sul F ~ Conto di Moss. Non uscirebbe vivo dall'operazio ne. ~ . Gilroy aggrottò la fronte sconcertato. La pisto la nella sua mano era F~ un inutile strumento di costrizione; perfino Mos s sapeva che non l'a- vrebbe usata... non poteva... per loro, era prezios o solo da vivo. Aveva F voluto indurlo a operare. Ebbene, pensò, era rius cito nel suo scopo. Moss si era offerto di effettuare l'intervento. Ma tutti e quattro sapeva- ' .~ no che, sotto il suo bisturi, Wood era condann ato. Abilmente, il chirur- go aveva trasformato la loro vittoria in una disfat ta completa. E allora che diavolo facciamo?--esclamò con foga il reporter. --Che cosa ne dici, Wood? Vuoi correre il rischio, o tirare avanti den- tro la pelle di un cane? Wood si ritrasse con un ringhio. --Almeno, è ancora vivo--osservò con tono fatalista il direttore. Moss sorrise, con vellutata ironia protestò che avr ebbe fatto del suo meglio per restituire Wood alle sue norrnali sembia nze. --A parte gli eventuali incidenti--schiumò Gilroy.- -La racconti a un altro, Moss. Andrà avanti così com'è e lei avr à quello che le Spet- ta. Lanciò un cupo sguardo a Wood, con un cenno signifi cativo della te- sta verso il medico. --Andiamo, capo--disse, conducendo il direttore olt re la porta che subito richiuse alle loro spalle.--Questi due v ecchi amici voglio- no restare soli, hanno un sacco di cose di cui parl are... Immediatamente, Wood balzò davanti all'uscio e lì s i accucciò, ter- ribile nella cieca espressione di odio dello sguard o maligno, puntato sul chirurgo. Per la prima volta, l'atteggiamento d i placida indifferen- za di Moss s'incrinava. Guardingo, il medico strusc iò a palmo a palmo lungo il muro verso la porta. D'improvviso, si rend eva conto che quel- lo era un animale... Wood avanzò, tagliandogli la ritirata. Con il pelo ritto, la testa in- cassata fra le spalle squadrate, le gengive lustre sopra le zanne ricur- ve, il cane procedeva rigido, con un ritmo lento e inesorabile. Moss lo guardava angosciato, e al contempo guardava la porta con _~ un penoso rimpianto. Ma ecco lì Wood, che via via r iduceva lo spazio per l'attacco. Il medico si portò le mani alla gola per ricacciare... I

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I suoi nervi crollarono. Non poteva parlare con cal ma a due folli oc- ~ ì chi animaleschi, allo stesso modo che con un uomo a rmato di una pi- ~ j stola. Schizzò di lato e corse verso l'uscita. Wood si lanciò verso le gambe turbinanti, che si ab batterono su di lui, facendo precipitare Moss a capofitto sul pavim ento. Il medico in- crociò le braccia sotto la testa, per proteggere la gola, ma il cane calò le zanne sull'orecchio e lo strappò in un rivolo ti nto di rosso. Con un grido, l'altro portò di scatto le mani alla faccia, cercando di alzarsi senza abbassare la guardia, ma Wood gli azzannò le dita. Le mani del chirurgo cedettero. Era in ginocchio, a desso, impotente a respingere i rapidi assalti mirati, e quei denti come coltelli... Wood esultava. Un minuto prima, quella rosea faccia liscia era alte- ra e beffarda. Ora si alzava e si abbassava freneti ca al livello dei suoi occhi, contorta da una paura dilagante, mentre il s angue vivido scor- reva dalle guance fino a poco prima scrupolosamente ripulite. Per un istante, la pallida gola balenò scoperta, mo rbida e inerme. Con un balzo, Wood la colse di sbieco e l'avvinghiò fra i denti. La car- ne bianca si lacerò facilmente. Ma una struttura os sea schioccò fra le sue mascelle mentre proseguiva sullo slancio. Moss rimase là in ginocchio, dopo che Wood aveva co lpito, con la faccia contratta dal dolore e allibita, le mani flo sce ai suoi fianchi. La gola riversava un fiotto rosso. Poi il volto si prosciugò fino a scolorirsi in un biancore spettrale, e Moss cadde a terra. Aveva perso, ma aveva anche vinto. Wood era co ndannato a vivere tutta la sua esistenza in un corpo di cane. E n on poteva neppure spera- re di campare per il tempo che gli sarebbe spet tato. La vita media di un cane è di quindici anni. Gliene restava una decina. Nel suo corpo umano, Wood aveva avuto difficol tà a trovare un la- voro. Era stato un esperto di codici, ma gli es perti di codici, i venditori e gli apprendisti operai non hanno posto in un mondo dove i mercati si contraggono. Le agenzie di collocamento sono sa turate da un'offerta esuberante di menti umane alloggiate in robusti corpi, volenterosi ed esperti. La stessa normale intelligenza umana nell'eleg ante corpo di un col- lie aveva un assai più alto valore di mercato. Era una rarità, un feno- meno da contemplare a bocca aperta dopo aver pa gato un biglietto per un simile pnvilegio. --Gli uomini hanno sempre avuto una passione p er i tipi bizzar- ri--filosofeggiava Gilroy quella sera, mentre a ndava con Wood verso il teatro, dove il cane sapiente era stato inga ggiato.--I tipi bizzarri, che procurano un blando divertimento, vengono p agati per intrattene- re il pubblico. Quelli veramente buffi hanno on ori e potere. Pensaci, Wood. Io non riesco a immaginarmelo. Quando ci libereremo del no- ~ stro amore per i tipi strambi e li restituiremo al posto che compete lo- .F ro, avremo un gran bel mondo. E Il taxi si fermò in una via laterale, all'ingr esso del palcoscenico. Mi- rabolanti cartelloni gialli e rossi, grandi com e il murale di una catte- drale, tappezzavano le pareti del teatro, dove faceva bella mostra un'immagine ritoccata di Wood con un sorrisetto affettato. --Perdinci!--esclamb senza fiato l'autista.--A spettate che lo sap- piano i miei marmocchi. Ho portato in macchina il Cane Parlante! Di- co, non è un onore, eh? Dá tutte le parti, i pedoni si fermavano strab iliati, i taxi si fermava- no con un rispettoso stridio di freni, finché u na torma di ammiratori calò sul divo. ~, --Non è carino?--strillavano le donne.--E che aria intelligente!

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'~ --Sicuro--Wood sentì ancora vantarsi il suo au tista.--Io l'ho portato qui. Com'è?--La voce del tassista si ab bassò a un tono confi- denziale. _ Be', il tipo con lui, il suo manage r, credo, gli parlava nello sso modo con cui io parlo con voi. Come se cap isse ogni parola. - Ma certo che capiva--asserì bellicoso un asco ltatore. Ma va là--almanaccava un altro.--L'hanno add estrato, come n-tin-tin~ solo un po' meglio. Ma di sicuro è furbo. Cosa non darei, ~er averlo I ~n ~ 121 La squadra di polizia del quartiere del teatro irru ppe attraverso il groviglio del traffico e aprì un passaggio fino all a porta del palcosceni- co. --Dovreste vergognarvi--diceva un agente.--Tutto qu esto chias- so per un botolo! Wood scoprì le zanne minaccioso, e quello si ritras se impaurito. --Tipo intelligente, eh?--lo schernì la folla.--Cre di che non capi- sca? Era un siparietto studiato da Wood e Gilroy. Riusci vano sempre a trovare una spalla nelle vesti di un poliziotto zel ante, né la folla man- cava mai di rispondere. Neppure all'interno del teatro quella celebrità era al sicuro dall'ec- cesso di entusiasmo dei suoi ammiratori. I suoi col leghi nello spetta- colo si ostinavano a grattargli la schiena, che pur e non gli prudeva, tu- bando e gorgogliando con straordinaria stolidità. Le riprese del thriller a Hollywood erano terminate . Ora, mentre an- davano in scena i numeri di apertura, Wood se ne st ava insieme a Gil- roy lontano dalle quinte, per quanto permetteva la costruzione del teatro. --7.000 testoni alla settimana, vecchio mio--rimugi nava il mana- ger.--E solo per fare qualcosa che qualunque babbeo del pubblico potrebbe fare con la metà dello sforzo. Non è un be ll'andare? Nell'anno trascorso, né l'uno né l'altro erano rius citi ad abituarsi al crescere delle cifre nei libretti bancari. Film, es ibizioni, annunci pub- blicitari, articoli romanzati nelle riviste... tutt o per compensi astrono- mici. Ma Wood non avrebbe mai potuto guadagnare abbastanz a da ri- comprarsi il corpo umano in cui aveva fatto la fame . --Okay, Wood--bisbigliò Gilroy--ci siamo. Sul palcoscenico, furono accolti da applausi tambur eggianti. Wood fece il suo numero usuale di malavoglia, identifica ndo gli oggetti che venivano nominati dall'impresario, in un mucchio di oggetti messi in pila. Alcune maschere scesero lungo i corridoi fra i post i, raccogliendo le domande che gli spettatori avevano scritto su pezze tti di carta, quindi le passarono a Gilroy. Afferrata una bacchetta con la bocca, il cane si mi se di fronte a un cartello ricoperto di grandi lettere poi, a fatica, indicò, carattere per

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carattere, le risposte alle domande dei suoi fan. I l pubblico, per lo più, gli chiedeva previsioni sul futuro, informazioni su ll'andamento del mercato o sulle corse. Solo pochi saggiavano seriam ente la sua intelli- genza. Trafitto dalla bianca luce dei riflettori puntati, Wood compitò mec- canicamente le banali risposte. Gran parte della su a amarezza si era 122 dissolta; in suo luogo, era subentrato un cupo sens o di sconfitta, con un~opaca accettazione della sua vita canina. Il suo conto in banca ave- va sei cifre a sinistra del puntino dei decimali - più di quanto avesse mai sognato perfino come a una possibilità fantasti camente lontana. Ma nessun chirurgo poteva restituirgli il suo corpo , o aumentare la sua aspettativa di vita, ridotta a meno di dieci an ni. D~improvviso~ la scena si cancellò davanti ai suoi occhi - Gilroy, l~imponente cartellone con le lettere dell'alfabeto , la greve bacchetta che reggeva in bocca, lo spazio nero punteggiato da pallide facce me- ravigliate, perfino la luce bianca che lo fissava.. . Giaceva in una branda in una lunga corsia. Né la se nsazione delle li- sce coperte sopra e sotto di lui, o il peso stesso delle coperte sul suo corpo disteso aveva l'illusoria consistenza dei sog ni. E poi, totalmente snodato dalla mano, il suo indice si mosse secondo la sua volontà. La sua unghia grattò il lenzuolo co n un sonoro raspo vittorioso. Un interno, che camminava per la corsia, guardandos i intorno alla ricerca della fonte di quel suono esultante, incont rò gli occhi di Wood, illuminati dall'avida fiamma profonda dell'intellig enza. Poi, i due oc- chi si abbassarono sul dito. --Lei sta tornando in sé--disse infine il giovanott o. --Sto tornando in me--rispose quieto Wood, prima ch e la nuova scena svanisse e sentisse Gilroy ripetere la domand a che gli era sfuggi- ta. Sapeva, ora, che il corpo e la mente erano tutt'uno . Moss si era sba- gliato; l'identità era qualcosa di più di una picco la ghiandola, qualco- sa che andava al di là del corpo. La forzata divisi one creata dal chirur- go era innaturale; il tessuto trapiantato stava ven endo assorbito e ri- modellato. In qualche modo, Wood si rendeva conto c he quei rinveni- menti nella sua identità naturale sarebbero continu ati, ancora e anco- ra, fino a divenire uno stato permanente, fino a ch e fosse ridiventato un essere llm:~n-~ j~o originale Matter of Form. ione di Pietro Ferrari. 123 Cornell Woolnch IL CORPO DI JANE BROWN Le tre del mattino. L'autostrada è vuota sotto una luna crudele. Mac- chie d'olio fanno luccicare l'asfalto come un nastr o di seta blu. La not- te è totalmente silenziosa tranne per un ronzio che si sente salire da dietro un'elevazione del terreno.

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Due altre lune più luminose, poste una accanto all' altra, compaiono di colpo sul rialzo, esplodono due ventagli d'argen to accecante a gran- de distanza davanti a loro. Fari. Il ronzio ora si è fatto un rombo. L'au- tomobile corre a velocità tanto pazza da oscillare a destra e a sinistra. La strada è diritta. La via è lunga. La notte è bre ve. L'uomo ingobbito sul volante è teso; tiene gli occh i fissi, senza sbat- tere le palpebre, sul bordo del tappeto nero che i fari gli srotolano da- vanti. Ha occhi simili a due pezzetti di carbone, v iso abbronzato, ca- pelli bianchi. E magrissimo, ma vi è una forza stra ordinaria nelle dita ossute che serrano il volante, nelle mascelle irrig idite, sbiancate dalla tensione. L'ago del tachimetro oscilla un po' al di sopra dei centoventi... Il retrovisore rispecchia una donna giovane e stanc hissima che dor- me sul sedile di dietro. Ha le gambe raggomitolate sotto il corpo e si è drappeggiata intorno una coperta dalla vita in giù. Una mano guanta- ta di nero è tenuta per il polso dalla cinghia appe sa alla fiancata del veicolo e penzola completamente rilassata. La donna ondeggia nel sonno con tanta mollezza, con una mancanza di rifle ssi così totale da far quasi pensare a un'assenza di vita. Porta un minuscolo cappellino dal quale parte una f ine veletta. Il vento gliela preme contro il viso. Il naso di lei v i forma sotto una picco- la protuberanza. In quel punto la veletta dovrebbe gonfiarsi per il re- spiro della donna, e invece s'incava come se lei lo stesse succhiando at- traverso le labbra semiaperte. Nel sonno infatti ti ene la bocca dischiu- sa. 124 La luna soltanto segue l'automobile nella sua corsa sfrenata, sogghi- gnando la tiene d'occhio chilometro per chilometro, come dicesse: "Non ti perdo di vista!" Una manciata di puntini luminosi emerge dalla notte più avanti. Un paese o un villaggio posto a cavallo dell'autostrad a. L'ago del tachime- tro comincia ad abbassarsi- L'uomo guarda la ragazz a nello specchiet- to, un po' preoccupato, come se la cittadina dinanz i a loro costituisse un esame da superare. Un segnale illuminato balza loro incontro. ATTENZIONE! INCROCIO PERICOLOSO--RALLENTARE L'uomo annuisce torvo, come se trovasse giusto l'ag gettivo; solo, non nel senso in cui è inteso sulla segnalazione. Le luci s'ingrandiscono, si rivelano lampioni che o cchieggiano tra gli alberi. Improvvisamente ai due lati della strad a compaiono dei ~: marciapiedi. Vetrine buie li fiancheggiano. Con un gesto istintivo l'uomo abbassa la luce dei s uoi fari. | -~ Un grosso autobus che va per la sua strada gli si para davanti. L'uo- mo mette la freccia, si prepara a sorpassarlo. E al lora si produce una complicazione. Proprio dinanzi a loro la strada è t agliata da un pas- saggio a livello. Forse nessun treno è passato per tutta la notte fino al mattino. Cinque minuti prima, cinque minuti dopo e lui avrebbe evita-

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,~ ~ to quel ritardo. Ma nell'esatto istante in cui l'automobile e l'autobus il- luminato si avvicinano affiancati, un campanello si mette a suonare, una barriera zebrata da cui pendono due lanterne ro sse si abbassa e la strada è bloccata. I due veicoli sono costretti a f ermarsi l'uno accanto all'altro mentre una lunga processione di carri mer ci passa loro da- E vanti, interminabile. Quasi simultaneamente un gr osso furgone di lat- 1~ taio è emerso dietro la macchina dell'uomo da un a strada laterale, in- |~ chiodandola dove si trova. t Le luci dell'autobus illuminano l'automobile e ca dono sulla donna dormiente. L'unico passeggero che esso contiene è s eduto accanto al fi- nestrino proprio dalla loro parte. Gli occhi di lui cadono oziosamente sulla macchina, vedono la donna e restano fissi su di lei, come farebbe- ro gli occhi di qualsiasi uomo. Ma il guidatore dell'automobile si impietrisce in u na rigidità tre- n~enda. Le nocche gli si sbiancano. Tiene gli occhi incollati al retrovi- ~le, fissi al passeggero che guarda la donna. Qualc osa di luccicante gli Lscende dalla fronte, s'impiglia tra le rughe del v iso: una goccia di sudo- i~Poi una seconda, una terza. Il petto si alza e ri cade pesantemente ~to la giaCca~ l'uomo respira come se stesse corren do. asseggero non distoglie gli occhi dalla donna. Prob abilmente il 125 suo sguardo non ha alcun significato particolare. L ui non ha nient'al- tro da guardare: perché non dovrebbe guardare una d onna, anche se lei dorme? Si capisce che dev'essere molto bella so tto quel velo? E poi certi uomini ci nascono, con la mania di fissare le donne. Ma mentre i carri merci continuano a sfilare e quel lo sguardo non si stacca dal suo obiettivo, una delle mani dalle nocc he sbiancate si stac- ca dal volante, striscia sotto la giacca, vi s'insi nua profondamente. E quando ricompare stringe un'automatica. Gli occhi dell'uomo non si sono mai staccati dal re trovisore, dall'im- magine della faccia del passeggero sull'autobus. Pa re che lui aspetti che una certa espressione compaia su quella faccia, un'espressione che tradisca un certo dubbio. E pare che sia pronto a f ar qualcosa con la pi- stola se quell'espressione dovesse comparire. Ma il lunghissimo treno merci finalmente è passato, il campanello tace, la barriera si rialza. Il guidatore dell'auto bus innesta la marcia, la linea di finestrini illuminati scivola in avanti . La pistola svanisce, la mano che l'aveva tenuta ritorna vuota sul volante. Un momento dopo l'autobus svolta, portandosi via il passeggero. L'a utomobile riprende la corsa. L'uomo dalla faccia rugosa emette un lungo sospiro di sollievo, si asciuga il sudore. Corre, corre nella notte lungo la strada diritta, s otto la luna che lo spia. La donna ondeggia e sogna, il velo incavato s ulle labbra. I Comincia una lunga salita e l'automobile non rispon de bene quando l'uomo preme l'acceleratore. Lui guarda l'indicator e della benzina: il serbatoio è quasi vuoto. Per un momento l'abbronzat ura si cancella dalla sua faccia. Ma dopo tutto è su una strada pri ncipale, che gli im- porta se la benzina finisce? Non deve fare altro ch e parcheggiare da una parte e aspettare che qualcuno lo prenda a rimo rchio. Perché quel- I'ombra di panico sul suo viso? Continua a guidare sfruttando le ultime gocce di ca rburante che gli rimangono. Avanza a zigzag da un lato all'altro del la strada per com-

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battere l'inclinazione che potrebbe fermarlo. 11 mo tore sputacchia e si riprende; ormai l'auto è prossima alla cima. Se sol o ce la fa a raggiun- gerla, può discendere dall'altra parte in folle. L'auto si affaccia finalmente alla cresta. Davanti, la strada corre in discesa per qualche chilometro e in distanza un gra ppolo di luci indica un distributore. L'uomo sente la forza di gravità i mpadronirsi della macchina e un momento dopo scende a tutta velocità a motore spento. Il distributore è vicinissimo, le sue luci sfolgora rono come un'aurora boreale sullo sfondo della campagna buia. Lui non o sa evitarlo, ma la tensione di nuovo lo afferra mentre si tuffa nella zona illuminata. Fissa ansioso il retrovisore. Si chiede se deve abbassare le tendine, ma deci- de di no. Non c'è nulla che stuzzichi la curiosità come delle tendine suggestivamente abbassate. t~ ~ Frena. Un inserviente arriva di corsa. Cinque--dice l'uomo, e fissa immobile l'altro che a ttacca il tubo al serbatoio. Lo fissa per tutto il tempo. La pisto la è ricomparsa, nasco- sta sotto un lembo della giacca. L'inserviente gli si fa accanto.--Una pulita ai fin estrini, capo? L'uomo stira le labbra nel tentativo di un sorriso. --Li lasci stare. L'inserviente sogghigna a sua volta e i suoi occhi passano dal guida- tore alla ragazza nel retro dell'auto, indugiano su di lei per un istante. ~: --E stanca morta--dice l'uomo al volante.--Ecco, tenga il re- E~ sto.--La macchina esce dalla luce rivelatrice, s i addentra di nuovo nell'ombra. Lo sbigottito inserviente le grida dietro:--Ehi cap o, ma questo è un biglietto da venti dollari... ~! L'automobile ha ripreso la sua corsa folle. Il g uidatore ha un sobbal- ~` zo. Che è quel suono scoppiettante alle sue spal le? Un piccolo faro ro- ~- tondo, unico, gli sta correndo dietro. Se l'uomo era stato spaventato dall'autobus e dalla stazione di servizio, quale pa rola può descrivere la sua faccia ora che vede nel retrovisore un poliziot to della strada che lo segue? La pelle tesa in una maschera da teschio, le labbra contratte, reprime a fatica l'impulso di accelerare, nel tenta tivo di distaccare il poliziotto. Accosta a destra, frena, si ferma. Di n uovo estrae la pistola, la nasconde sotto la coscia con l'impugnatura legge rmente sporgente, pronta, dal lato più lontano dal finestrino. Quindi resta immobile stringendo i pugni. ~, La motocicletta lo sorpassa, fa un giro, torna i ndietro. Il poliziotto scende, gli si avvicina, pianta un piede pesante su l predellino. Si china a guardare l'uomo. |~ --Che fretta ha signore? Stava facendo i centoci nquanta. , --Centosessanta--corregge l'uomo dalla faccia rug osa, con una calma pericolosa che non è possibile scambiare per umiltà. --Bene, qui il limite è cento. Mi faccia vedere la patente. Il guidatore gliela porge con la sinistra; la destr a è appoggiata alla COScia, sfiora un pezzo di metallo nero. r,~ Il poliziotto legge chinandosi ancora di più pe r utilizzare le luci del

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Cmscotto. La sua arma d'ordinanza è dietro il fianc o: se dovesse impu- ~- gnarla in fretta, la cornice del finestrino gli darebbe impaccio ai gomi- ~ ti.--Anton Denholt. Medico, eh? Mi meraviglio di lei, con la sua pro- F, fessione dovrebbe avere più buon senso! Ed è del lo stato confinante :eh? Voi di lì date più fastidi degli altri . Bene, ora è nel mio stato; non ce ~I'ha fatta a oltrepassare il confine laggiù... Denholt guarda avanti nella strada come se non aves se mai visto pri- ~ma il segnale del confine.--Non ci stavo provando- -dice con la stes- Fa~oce atona. poliziottO annuisce.--Magari no--ammette.--Ma perch é cor- ~te a centosessanta? Forse Denholt non ce la fa più ad aspettare che l'a ltro scopra la ra- gazza nel sedile dietro, forse i suoi nervi sono in un tale stato di tensio- ne che preferisce attirare l'attenzione su di lei l ui stesso e farla finita. Fa un cenno con la testa.--A causa sua-- dice.--Il tempo stringe. Il poliziotto sbircia la donna immobile.--E malata, dottore? -- chiede, con voce più gentile. Denholt risponde:--E un caso di vita o di morte.--S ta dicendo la verità, una verità più assoluta di quanto il polizi otto possa immagina- re. Prende un'aria di s~cusa .--Perché non I 'ha detto subito ? C'è un buon ospedale a Rawling. Deve esserci passato circa un'o ra fa. Come mai non ce l'ha portata? --Non ce n'è bisogno. Posso cavarmela dove la sto p ortando, se mi lascia andare. Voglio che arrivi a casa prima che i l bambino... Il poliziotto emette un lungo fischio.--Non mi mera viglio che stava bruciando le gomme!--Chiude il suo blocchetto, porg e la patente a Denholt.--Vuole una scorta? Farà prima. La mia rond a finisce al con- fine, ma posso fare una chiamata... --No, grazie--fa Denholt cortese.--Siamo vicini orm ai. L'automobile scivola via. Ora nell'atteggiamento di Denholt c'è una sorta di fatalismo mentre accelera di nuovo. Che al tro gli può succede- re dopo quel che è già successo? Di che altra cosa può aver paura... or- mai? A sessanta chilometri dal confine lascia la statale e svolta per una via secondaria. Dopo un poco comincia a salire, add entrandosi nei pri- mi contrafforti di una catena di montagne. Il paesa ggio cambia, diven- ta solitario, selvaggio. Cominciano ad apparire dei boschi. Ora ogni co- struzione fatta da mano umana è sparita, tranne la strada. Denholt svolta di nuovo, per un sentiero di terra b attuta, molto ripi- do e in disuso. S'inerpica per una lunga salita. Le curve sono numerose e pericolose, in alcuni punti i rami degli alberi g raffiano il tetto i fian- chi della macchina. Lui deve andare più lentamente, ma sembra che conosca la strada. Una cinta di filo spinato emerge di colpo dal nulla , comincia a sno- darsi parallela al miserabile sentiero. Altissima, fitta, irta di spunzoni, tale da impedire il passaggio a qualunque essere tr anne che ai più pic- coli animali. Strana una simile necessità di tener lontani gli estranei in un posto così remoto dal mondo. Un cancello appare, chiuso dai robu- sti chiavistelli. Un cartello nella parte superiore viene illuminato dai

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fari: PROPRIETA PRIVATA. VIETATO L INGRESSO. Una sc ritta abbastanza co- mune, ma strana su quella montagna sperduta. Magari un tantino si- nistra. L'uomo scende, apre il cancello. Subito un suono la cerante di sirena esplode dagli alberi vicini. E un segnale d'allarme collegato al cancel- lo. Urla paurosamente nell oscurità e nel silenzio. Anche quella pre- cauzione è strana, anormale, sembra dettata dall'id ea fissa di un fana- tico. La macchina passa, si ferma. Luomo richiude il canc ello. La sirena tace e il silenzio, per contrasto, pare assordante. L'automobile ripren- de a salire finché i fari non illuminano una casa d i tronchi, simile in tutto e per tutto a un capanno da caccia. Ma non ha un aspetto acco- gliente, anzi c'è in essa qualcosa di malaugurante, di spaventoso: tanto appare cupa, dimenticata, segreta. Il tipo di casa che ha mascelle per ingoiare... che non risputerà mai, lo si avverte, o gni essere vivente che vi entrerà. Il tetto è una pustola purulenta sotto la luna lebbrosa. E le luci dei fari contro il fianco della casa s'interse cano formando un ovale che pare un teschio luminoso. L'uomo scende di nuovo e va verso la tettoia che ri para la porta prin- cipale. Si sente un rumore metallico e un'apertura nera sbadiglia sul- I'oscurità. Lui vi si addentra, mentre la macchina col motore ancora acceso e la signora dormiente lo attendono obbedien ti. Dentro si accende la luce giallo-verdastra di una l ampada a petrolio, deborda dalla porta rendendo anche più scuri i tron chi neri degli albe- ri. La casa pare più spettrale che mai. L'ombra dell'uomo lo precede verso l'automobile. Or a è pronto a ri- cevere la paziente signora. Spegne il motore, apre lo sportello del retro e tende le mani all'intero. Scioglie il polso penzo lante dalla cinghia, to- glie la coperta, attira il corpo di lei tra le brac cia e lo porta dentro, sor- reggendolo con la delicatezza di chi reca un fardel lo prezioso. Si sbatte la porta alle spalle col calcagno e il mondo estern o viene inghiottito dall'oscurità. Attraverso la casa lui porta la donna a una dipende nza invisibile dal di fuori e molto diversa dal resto della costruzione. Le pareti non sono di tronchi ma di mattoni intonacati che devono essere stati trasportati in quel ;uogo inaccessibile con gránde spesa e fati ca. C'è anche la cor- ~te elettrica, fornita da un generatore. Dal soffit to grandi riflettori ffondono un'abbagliante luce bianca. Lo stanzone ha banchi di ferro mato carichi di fiale piccole e grandi, storte, bru ciatori. C'è una ta- ~la operatoria di zinco, vetrine di strumenti. E un 'intera parete è oc- ~pata da una doppia fila di gabbie, ciascuna conten ente un coniglio. uomO entra svelto col suo fardello, lo depone sulla tavola operato- ~- La donna non si muove. Lui va a chiudere la port a, tira i due chia- vistelli in alto e in basso. Si toglie giacca e cam icia, indossa un camice bianco da chirurgo. Toglie da una vetrina una sirin ga ipodermica, la lascia cadere in un contenitore pieno di soluzione antisettica, vi accen- de sotto una fiamma. Poi torna alla tavola. Il corpo della ragazza è rimasto nella posizione ch e ha tenuta per tutto il lungo viaggio: girata di fianco, le gambe ripiegate sotto di sé, un braccio proteso, la mano penzolante come quando era trattenuta per il polso dalla cinghia. Denholt si acciglia app ena. Cerca di raddriz- zare le membra irrigidite che gli resistono, non ri esce. Comincia allora a fare ciò che deve con una fretta convulsa, come s e ogni momento che passa fosse insieme un ostacolo e una sfida...

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E lo è. La rigidità cadaverica si è insediata. La r agazza dormiente è morta da lunghe ore... Denholt comincia a strapparle gli indumenti di doss o. Cappello e ve- letta, abito nero, scarpe, biancheria volano sul pa vimento. La ragazza evidentemente è stata bellissima, e dove va essere molto giovane. Il rossetto che si era messa da viva color isce ancora le labbra semiaperte. Il corpo è snello e perfetto e non pres enta ferite. Questo è importante. Denholt corre a prendere una bottiglia di alcool, ne inon- da la carne candida. Pesca l'ipodermica dal liquido bollente, la riempie da una fiala che contiene un siero incolore, gira meglio che può la figura inerte a faccia sotto, espone la nuca. La punta all'ago si posa all a base del collo. Den- holt alza brevemente gli occhi al soffitto come in preghiera, infila l'a- go, preme il pistone. Indietreggia, lascia cadere a terra la siringa. Che si rompe, ma non gliene importa. Se fallirà, non vorrà mai più usarn e un'altra. La minuscola puntura dell'ago si chiude come farebb e nella came vivente: rimane visibile, un infinitesimo puntino n ero. Lui vi preme un tampone di ovatta, temendo che la sostanza che ha i niettata possa co- lar via. Trema da capo a piedi. I secondi si allung ano, diventano minu- Fuori dev'essere ormai l'alba, ma il laboratorio no n ha finestre. De- v'essere l'alba, e il corpo sulla tavola ha esalato l'ultimo respiro... da quando? La ragazza è dipartita da questo mondo, mor ta come se fosse vissuta un milione di anni fa. Grandi cose ha fatto l'uomo nella sua sto- ria; però mai quando il cuore di un suo simile ha c essato di battere, mai quando la scintilla della vita si è estinta è s tato capace di rianima- re l'argilla mortale col più comune e più misterios o degli elementi: lo spirito vitale. E quell'uomo crede di avere un simi le potere... Iui solo al mondo, lui solo~ Sono passati cinque minuti che sembrano un secolo. Nel corpo e nel viso di lei nulla è cambiato. Lui solleva il tampon e, perché le dita gli dolgono a causa della pressione esercitata. E allor a... Il puntino nero è sparito. La pelle si è richiusa s ulla puntura. Den- holt cerca di dirsi che il fatto è dovuto all'umidi tà del siero, alla pres- sione delle sue dita; ma sa bene che solo la vita p uò rendere di nuovo elastica la pelle, null'altro. Però vuol proteggers i da una delusione, di- ce a voce alta:--C'è ancora. Sono io che non lo ved o più, ho gli occhi annebbiati. Barcollando va a prendere uno specchietto, torna al la tavola. Gira lievemente la testa di lei, accosta il vetro alle l abbra irrigidite. Qualco- sa offusca lo specchio, qualcosa di quasi impercett ibile dapprima e poi di più distinto. --Il sudore della mia mano--sussurra lui. Ma sa che non è vero. Lascia cadere lo specchio come la siringa, il crist allo si rompe in cento pezzi. Ma ormai gli ha detto tutto ciò che poteva. Rimane da sentire il cuore. Se è stato il respiro a d appannare lo specchio, il cuore deve battere. Lui la gira completamente, supina. La sua mano le d iscende lenta- mente sul petto, si ritira come scottata. Ha sentit o non solo le pulsazio- t ni, ma il calore. Il calore che si sta diffondend o pian piano dalla regio-

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ne del cuore, scacciando il gelo marmoreo che impri giona le altre parti del corpo. Il torace si alza e si abbassa. Il cuore è vivo, tornato alla vita nel cadavere; e la vita si sta diffondendo! Quasi tramortito dallo sbigottimento... anche se ha dato la vita per quello, nella ferma fede di poterci arrivare, di ve derlo accadere un gior- no... Denholt cade in ginocchio, nasconde il viso t ra le mani, singhioz- za come se gli si spezzasse il cuore. La gioia ecce ssiva e il dolore estre- mo sono spesso indistinguibili nelle loro manifesta zioni. In quel mo- mento Denholt è un uomo profondamente umile, del tu tto terrificato, rimpiange quasi ciò che ha fatto... ha infranto una legge divina e lo sa. Orgoglio e trionfo e la glorificazione di sé che pu ò giungere alla follia 3 verranno dopo. Dopo un poco si rialza. Lei ha bisogno di aiuto, di cure, o può perder- E la di nuovo. Con i conigli gli è capitato spesso, finché non ha imparato quel che c'è da fare. Le calde onde irradianti part ite dal cuore sono ar- rivate in tutto il corpo di lei, ora, e lui sa che sono di un calore anorma- le. Un colorito vermiglio, il cupo rossore della fe bbre ha sostituito la li- vidità della morte, specialmente sul torace, sul co llo, sul viso. Ci vuole ~` una temperatura da fornace come quella per costr ingere il sangue sta- gnante a circolare di nuovo. Le mette un termometro . Quarantuno, quarantadue~ una febbre che può tornare a ucciderla per la seconda r volta. Ma la morte dev'essere cremata in quel rog o e nuova vita infusa l calor bianco, perché quella non è una nascita bio logica, ma un pro- 1" ~ esso chimico |~ Deve lavorare in fretta. Apre la porta in un frigorifero, ne toglie dei secc hi di ghiaccio che ha preparato. Avvolge il corpo di lei in un lenzuolo d i gomma, le ammuc- chia intorno il ghiaccio. Le prende la temperatura in continuazione. Dopo dieci minuti è scesa di parecchio. Il ghiaccio si è andato fonden_ do come se fosse stato posto vicino a una stufa acc esa. Ma il cuore e i polmoni di lei funzionano ancora, il primo pericolo è superato, il pro- cesso di rivivificazione di per sé non l'ha distrut ta. Un lungo gemito le sfugge dalle labbra, il primo suono della sua secon da vita; il primo mo- vimento è un agitarsi febbrile. Lei è in delirio. M a il delirio è l'antitesi della morte; è la lotta dell'organismo per sopravvi vere. Il laboratorio ha fatto per lei quanto poteva; ora è di cure mediche che lei ha bisogno, come in una comune malattia. Lu i l'avvolge in una coperta, apre la porta, la solleva dalla tavola ope ratoria e va a deporla sul letto in una stanza della casa vera e propria. Per tutte le lunghe ore di quel primo giorno le sie de accanto, contan- do ogni suo respiro, tastandole il polso, propinand ole qualche goccia di digitale per sostenere il cuore, facendole inghi ottire qualche cuc- chiaio di latte e brandy di tanto in tanto. Lei bru cia di febbre. Lui aspetta di vedere il secondo e più grande mistero r ivelarsi a lui, più grande di quello al quale ha già assistito. La ragi one le tornerà in pie- no, o il cervello resterà morto e inerte nell'organ ismo ormai tornato al- la vita? La ragazza sarà un essere inarticolato, id iota, che sarebbe sta- to meglio non far rivivere? O ricorderà chi era, ci ò che le è accaduto nella prima vita... sarà la prima al mondo a valica re il ponte della mor- te, a rivelare ai vivi cosa li attende dall'altra p arte del sipario d'om- bra? Per tutta la giornata la reazione febbrile indotta dal siero continua. Lei non riacquista la conoscenza, ma vive. E innega bile che vive! Verso la sera la febbre aumenta un poco, ma questo è norm ale, ogni dottore

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lo sa. Alle dodici della seconda notte, più di vent iquattr'ore dopo la sua , morte, I'ansare di lei s'interrompe di colpo e, pri ma ancora che lui rie- sca a rendersene conto, la ragazza ha spalancato gl i «chi. Ha ripreso conoscenza! Le palpebre si abbassano, si rialzano, lui vede per la pri- ma volta il colore di quegli occhi. Sono azzurri. O ra gli occhi azzurri che hanno visto la morte sono fissi nei suoi: calmi , sereni, per nulla spauriti. Le prende in fretta la temperatura. Normale. Il sie ro è stato accetta- to dal suo organismo. Ora resta da sapere la rispos ta al secondo miste- ro. In termini magici, lui le ha ridato l'anima ins ieme al corpo? In ter- mini scientifici: le memorie della passata esistenz a si sono trasferite nella nuova o le cellule cerebrali sono danneggiate in modo irreparabi- le? ,, Gli occhi azzurri lo fissano, lo fissano. Lui dice piano, come avesse paura del suono della sua stessa voce:--Buona sera. Gli occhi azzurri continuano a fissarlo. Lui aspett a, tremando. Ripe- ', te ancora:--Buona sera, bella signora. Il viso di lei si contrae. I grandi occhi spalancat i si riempiono di la- crime che presto cominciano a sgorgarle sulle guanc e. Le labbra che hanno conosciuto il rossetto, le sigarette e i baci degli uomini si spor- gono in un broncio infantile. Ne sfugge un vagito l amentoso, il vagito di un neonato. Il suono lamentoso e inarticolato ch e ogni balia cono- sce. Per lui il disappunto è terribile: la faccia magra si fa livida, le mani si aggrappano ai braccioli della poltrona, il petto si gonfia in un lungo sospiro. Ma dopo un poco si domina, tira fuori dal taschino l'orologio d'oro, lo fa dondolare davanti a lei. La luce della lampada lo accende di riverberi. Le lacrime cessano, il piagnucolio s' interrompe. Ora gli occhi di lei s'illuminano d'interesse. Tende verso l'oggetto le mani dal- le unghie laccate, sorride. Lo stringe, mormora--Da !--ed emette gorgoglii di piacere. Il danno non è completo, la r agione le è rimasta, almeno al suo stadio primario; perché se lei fosse una neonata la sua reazione rivelerebbe una precocità straordinaria. L e facoltà di lei sono intatte. E andata meglio di quanto lui credesse. Dovrà insegnarle a parlare e a camminare di nuovo, come si fa coi bambini, ecco tutto. L'intelligenza è sopravvissuta , la memoria no. La memoria di lei è restata nella tomba. Lui mormora:- -Il suo corpo ha vent'anni, ma lei è nell'infanzia della sua nuova v ita. La chiamerò No- va.--Si stropiccia gli occhi con le mani. Esausto dalla lunga veglia scivola in ginocchio acc anto al letto, si ad- dormenta col capo reclinato sul bordo. Su di lui la mano della risorta si protende verso i folti capelli bianchi, le dita vi si afferrano mentre lei gorgoglia beata... L'aeroplano è un rottame, e mentre ne striscia fuor i nella pioggia dirot- ta, Penny O'Shaughnessy si chiede vagamente come fa a essere ancora Vivo. Se lo chiede vagamente, ma brevemente, non è tipo da indulgere in speculazioni. Un ennesimo colpo di fortuna, deci de. Per tutta la sua vita di adulto ha continuato ad averne uno dopo l'a ltro, ininterrotta- mente. Anche il suo nomignolo deriva da ciò. Gliel' hanno dato dal giorno che fu awistato arrivare in volo dai Caraibi dopo che un uraga- no particolarmente demoniaco aveva portato lo sconq uasso nelle Pic- cole Antille. --Mi ci sono arrampicato sopra e ho aspettato che s i calmasse-- a~Veva Spiegato lui atterrando tra le rovine dell'a eroporto.

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Un penny falso rispunta sempre fuori--aveva borbott ato qual- Fmo con voce incredula. ~. 133 Chi altri ha avuto l'aereo colpito dal fulmine come è successo a lui poco fa, mentre volava alla cieca nella tempesta, c osì che ha perso un'ala, eppure è riuscito ad atterrare vivo, anche se sul fianco di una montagna tra i boschi, e a spegnere il motore al mo mento dell'impatto in modo da non essere arrostito nel rogo dell'appar ecchio, e a strisciar- ne fuori con solo una spalla mezzo slogata e un sac co di lividi? Buttarsi col paracadute non poteva perché stava volando trop po basso, nella speranza di sbirciare tra le nubi qualche punto abb astaza piatto da consentirgli l'atterraggio; e comunque non gli va d i buttarsi col para- cadute, odia sprecare un buon aeroplano. Questo le cui parti sono sparpagliate sul fianco de lla montagna non è più tanto buono però, deve ammetterlo. La prima c osa che fa è cer- carsi in tasca, tirarne fuori una zampa di coniglio e stropicciarla due volte. Poi si rizza, zoppica a qualche distanza dal rottame, si volge a guardarlo. Quasi all'istante la folgore che già lo ha colpito una volta in aria si abbatte su un albero vicino con un gran rim bombo e una piog- gia di scintille. Il tronco si spezza, cade con rum oroso fruscio di foglia- me e appiattisce completamente quanto è rimasto del l'aereo. --Va bene, va bene, quel mio povero aggeggio non vi andava-- brontola O'Shaughnessy rivolgendosi agli elementi i n generale. --L'avevo già capito la prima volta! Si allontana à testa bassa per proteggersi un poco dalla pioggia che forma come una solida cortina tutt'intorno. Non ha la minima idea di dove si trova, perché da buoni quaranta minuti prim a del disastro sta- va volando alla cieca. L'inclinazione del terreno g li dice che è su una montagna. Si dirige quindi in discesa; uomini e cas e si trovano di soli- to nelle valli. Il suolo è un mare di fango; lui non tanto cammina quanto scivola sui tacchi da un albero all'altro, aggrappandovisi perché altrimenti cadrebbe a capofitto chissà quante volte. L'acqua g li penetra i vestiti, risveglia i tagli e i lividi di cui è coperto; la s palla gli pulsa e in quella tenebra fitta non si vede nulla. --Questa sarebbe proprio la sera adatta per un bel pisolino a casa propria!--borbotta. I tronchi si confondono col buio che li circonda e si fa sempre più dif- ficile distinguerli. Lui scivola alla cieca tendend o le braccia in avanti; con la speranza d'incontrarne uno che lo fermi prim a che lui si spiacci- chi nel fango a faccia in avanti. Ne manca uno comp letamente... o forse non c'era affatto... Io sdrucciolone nel fango acce lera, lui agita folle- mente le braccia per mantenere l'equilibrio e infin e va a sbattere con- tro qualcosa che taglia e punge. Una barriera di fi lo spinato. Il colpo gli vuota i polmoni di tutta l'aria che co ntengono e una delle perfide punte ha mancato di poco il suo occhio sini stro, lacerandogli invece il sopracciglio. Ma peggio ancora, il suo sc ontro con quella dan- nata cosa ha scatenato un segnale d'allarme tra gli alberi. L'urlo della sirena annega il rumore della pioggia. I suoi vestiti sono stati afferrati in uma dozzina di posti diversi, insie- me a un bel po' della sua pelle. Imprecando riesce a liberarsi e come le vibrazioni della recinzione si calmano, I'allarme c essa. Prende selvag-

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giamente a calci il filo e questo trae qualche urle tto addizionale dalla sirena. Per un minuto è troppo occupato a controllare i nuo vi danni subiti per procedere a investigare l'inospitale barriera. Ed ecco che una luce fioca, dilavata dalla pioggia, avanza verso di lui dall'altro lato della re- cinzione, zigzagando incerta come se il suo portato re non vedesse bene dove va... --Che diavolo...--qualcuno vive dunque in quel post o dimenticato da Dio? La luce gli si ferma proprio davanti dall'altr o lato della barriera, e dietro lui vi scorge una figura avvolta in un m antello, col cappuccio ca- lato sugli occhi. O'Shaughnessy deve essere pra ticamente invisibile, avviluppato com'è dalla pioggia e dal buio. --Roba sua--ruggisce, agitando il pugno verso il filo.--Guardi cosa mi ha fatto! Venga fuori e le Una voce musicale gli risponde da sotto il cap puccio.--Chi è? Che fa lì? --Una ragazza!--balbetta O'Shaughnessy, e la c ollera svanisce dalla sua voce.--Scusatemi, non potevo saperlo. Non è mia abitudine dare in escandescenze in questo modo, ma sono s tato infilzato in un L sacco di parti.--Ora la vede, la fissa per un l ungo attimo. Intorno alla ventina e molto bella, è evidente. Lei si accos ta alla barriera e i suoi oc- chi azzurri lo guardano calmi.--Poco più sopra sono precipitato con I'aeroplano; mi aveva colpito un fulmine --Che cos'è un aeroplano?--Chiede lei stupita. Lui resta a bocca aperta e le indirizza un'occ hiata di rimprovero, pensa che non è il momento di scherzare. Sta as pettando un invito a ri- E pararsi; diamine, non si rifiuterebbe a un cane con quel tempo e in E quel posto solitario. Ma non viene. E --Non ha una casa?--chiede lui finalmente. Lei annuisce e gocce di pioggia cadono dal bor do del cappuccio. --Certo, è lassù.--Lui le ha rivolto una domand a e lei ha risposto, tut- to qui. Lui scatta con crescente impazienza:--Bene, no n vuole lasciarmi entrare un momento? Non la morderò!--Crede prop rio che lei stia re- citando~ che lo prenda in giro, perché la sua v oce è quella di una ragaz- za di città, non ha l'accento campagnolo. Lei è sgomenta, non sa che fare.--Il cancello è chiuso e le chiavi le ".,ha lui. Nessuno è mai venuto qui, non so come regolarmi. Non posso chiedere a lui perché è in laboratorio, e non è per messo disturbarlo quando lavora. --Bene, non ha almeno un telefono? --Che cos'è un telefono? Ouesta volta O'Shaughnessy esplode. Quello che è tr oppo è troppo. --Ma chi diavolo si crede di essere? E va bene, si tenga la sua casa. Io non sono un mendicante. Sarebbe troppo chiedere alm eno da che par- te sta la più vicina strada o fattoria, o non le va di dirmi nemmeno que- sto? --Non lo so--fa lei.--Non sono mai uscita fuori da questa....--in- dica la recinzione.--Non sono mai stata neppure dov e sta lei. Lui sta cominciando a capire che lei non cerca di r idere alle sue spal- le. C'è un mistero in lei e in quel posto, ma quale sia non riesce a imma- ginare.--Chi vive qui con voi?--Chiede curioso. --Papà--risponde la ragazza semplicemente.

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La sua assenza è già stata notata, perché una voce allarmata grida. --Nova! Nova! Dove sei?--Una seconda lanterna viene verso di loro, zigzagando lesta nell'oscurità. Una figura indistin ta emerge, si arresta spaventata alla vista dell'uomo ritto oltre la barr iera, la lantema qua- si scivola da una mano tremante.--Che c'è? Chi è le i? Come è arrivato qui?--C'è quasi panico in quelle domande. nA papà non piace la compagnia" pensa O'Shaughnessy . NVorrei sa- pere perché". Spiega la sua situazione in poche par ole. L'uomo si accosta, fa cenno alla ragazza di allonta narsi come se O'Shaughnessy fosse qualche animale pericoloso nell a gabbia di uno zoo.--E solo?--Chiede guardando furtivamente attomo . A O'Shaughnessy non è mai mancata la grinta trattan do con altri uomini, anzi.--Chi pensa che avessi con me, la Squa driglia Lafayet- te?--sbotta seccato.--Perché tanti misteri, signore ? Ha la coda di paglia per qualche motivo? O ha impiantato quassù u na distilleria clandestina? Che ne direbbe di offrire riparo a uno straniero, o le pesa troppo?--Si spazza via dal viso le gocce che ne gro ndano, con aria di- sgustata. La ragazza è rimasta lì fissandoli incerta. L'uomo con la lantema fa una risatina forzata.--Non abbiamo niente da nascon dere, non ab- biamo paura di niente. Si sbaglia.--protesta. Ma il suo tono alle orec- chie sperimentate del pilota è più falso di un nich elino di piombo. --Per tutto l'oro del mondo non vorrei che lei se n e andasse di qui a di- re in giro che c'è qualcosa di strano nella nostra proprietà. Si sa come chiacchiera la gente, in un lampo si metterebbero a girare da queste parti spiando... "Ah, questo gli brucian pensa O'Shaughnessy. L'uomo ha tirato fuori una chiave, sta togliendo in fretta i chiavistel- li. Tanto in fretta che ora sembra quasi aver paura che il pilota se ne vada prima che lui riesca a aprirgli il cancello.-- Ehm... non mande- ranno una squadra di soccorso a cercarvi quando non la vedranno arri- vare all'aeroporto? O'Shaughnessy scatta ancora:--Nessuno mi aspetta da nessuna parte. Il mio era un volo privato, I'aereo apparten eva a me. Che crede, che io sia il fattorino di qualcuno o uno di quei p iloti da passeggeri?-- Sputa per mostrere il suo disprezzo, la sua indipen denza. Negli occhietti neri che lo fissano passa un breve lampo, come se l'uomo trovasse molto soddisfacente ciò che lui ha detto. Spalanca il cancello.--Venga--invita con tardiva premura.--Veng a, entri! No- va, toma a casa, sarai fradicia; e ricordati di chi udere qu~lla porta! So- no il dottor Denholt, signore, e per favore non cre da che ci sia nulla di strano in me e in mia figlia. --In verità mi pareva--risponde il pilota con franc hezza, e entra. Scuote il capo al rinnovato frastuono della sirena. Denholt svelto richiude il cancello, rimette i chia vistelli facendo così tacere l'allamme.--Solo una comune precauzione, sia mo così tagliati fuori dal mondo qui--spiega. O'Shaughnessy non fa altri commenti: ora è in casa di quell'uomo. Ha una ferrea norma di condotta, come gli arabi: ma i abusare del- I'ospitalità. Dice il suo nome, si stringono brevem ente la mano. Ouella

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del dottore è snella e forte, una mano da chirurgo; ma anche morbida e flessibile. C'è come un ammonimento di slealtà in q uella pieghevolez- za. Conduce l'ospite inatteso nella casa illuminata, ch e sembra molto ·i accogliente al pilota, calda, asciutta e allegra nonostante la semplicità del mobilio rustico. La ragazza si è tolta il mante llo col cappuccio; O'Shaughnessy la vede nel soggiomo che attizza il f uoco accoccolata davanti al caminetto di mattoni, mentre Denholt lo guida nella pro- pria camera da letto. Vede ora che ha lunghi capell i d'oro, piccoli piedi ~ ~ infilati in mocassini di pelle morbida, corpo s nello e flessuoso in un !. abitino di lana da poco prezzo. E.~ All'estremità opposta della stanza c'è una port a chiusa e sprangata. Gli occhi acuti del pilota notano subito due partic olari. La porta è di r~ metallO e non combacia proprio bene con gli stip iti. Un filo di luce la ~, incomicia~ troppo intensa per essere altro che l uce elettrica. Strano: elettricità da una parte, lampade a petrolio dall'a ltra. Risente la ragazza: "Lui è in laboratorio e non è p ermesso distur- -~ barlo quando lavoran. ~, Risente l'uomo: "Ricordati di chiudere quella po rta". Dice a se stesso. "Vorrei sapere cosa c'è làn. 2 Nella camera di Denholt si toglie gli indumenti f radici, rivelando un po muscoloso, ma coperto di lividi, graffi e tagli. Il suo ospite fa una orfia mentre lo esamina.--Si è conciato bene! Megli o disinfettare, quel filo spinato può essere arrugginito. Aspetti u n momento.--Porta i vestiti bagnati alla ragazza. O'Shaughnessy aggrotta le sopracciglia. Ancora un p articolare so- spetto. "Perché non mi cura in laboratorio, dove ce rto sono tutti i suoi attrezzi e la luce è migliore? Bah, non ci pensiamo ." Denholt ritorna con acqua calda, cerotti, alcool. I l pilota sobbalza al tocco bruciante del disinfettante, abbozza un ghign etto mortificato. --Ne ho avute abbastanza per stanotte, credo. A Sha nghai una volta mi feci strappare un molare da un dentista del luog o: la sua idea di anestetico era di farmi agitare un ventaglio davant i alla faccia da sua figlia mentre lui si dava da fare con cric e tenagl ie. --Si è messo a gridare? --No, mi vergognavo di fronte alla ragazza. Si accorge che Denholt lo fissa da capo a piedi, se mbra misurare il suo corpo snello e forte, dalle spalle ampie, nudo. --E un ragazzo ro- busto--commenta disinvolto. Ma un brivido gelido at traversa la schiena del pilota nell'osservare lo sguardo che ac compagna quelle pa- role. O'Shaughnessy si chiede cosa mai significhi. O forse tutti i medici vi guardano in quel modo, come soppesandovi, quasi voi foste proprio ciò che hanno in mente come soggetto per qualche es perimento? --Già--risponde, e c'è un briciolo di sfida nella s ua voce.--Penso d'essere in grado di difendermi discretamente, in c aso di necessità. Denholt continua a guardarlo con aria calcolatrice.

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Quando siedono a cena al rozzo tavolo di pino nel c alore del fuoco che fiammeggia nel carninetto, lui rivestito di indumen ti presi in prestito da Denholt, gli è possibile studiare la ragazza da vicino. Non c'è niente di strano in lei: tutta vibrante di animazione giov anile, il bel visetto colorito dall'eccitazione di avere un ospite, gli s iede davanti divoran- dolo con gli occhi come se non avesse mai visto pri ma un estraneo. Ma nel parlare e nel muoversi dimostra perfetta coordi nazione, armonia, ritmo, equilibrio, comunque si voglia chiamarlo. E una ragazza nor- malissima, eccezionale solo nella bellezza. Il vecchio invece ha negli occhi una luce strana, l a sua conversazione e i suoi gesti sono spasmodici e sconnessi. Forse g li anni di solitudine e d'isolamento gli hanno fatto quell'effetto, lui pen sa. "E va bene, questi sono affari suoiU si dice O'Shau ghnessy. "Ma per- ché tiene una così bella bambina sequestrata quassù ? Mai sentito no- minare un aeroplano, un telefono... Che sta cercand o di farle? E una dannata vergogna!U Denholt lo coglie a fissare la ragazza.--Mangi--inv ita premuroso. --Mangi ragazzo. Ha bisogno di rimettersi in forza dopo quello che ha passato. Il pilota sorride e obbedisce. Eppure qualcosa nel tono in cui l'uomo ha parlato, nel modo con cui lo squadra, lo fa sent ire come un vitello che debba venire ingrassato per il macello. Ma perc hé? Non capisce. Il fulmine continua a fiammeggiare fuori delle fine stre quasi ininter- rottamente; su e giù per la montagna si ode un ince ssante rombo di tuoni, così profondo che al pilota pare a volte di sentirselo risuonare nella cassa toracica. Il rumore della pioggia sul t etto non si è calmato un minuto. Denholt ora fissa il suo piatto, immerso in chissà quali pensieri. O'Shaughnessy si rivolge alla ragazza per interromp ere il silenzio. --E da molto che vive qui? --Due anni. Lui aggrotta la fronte. E allora come fa a non sape re cosa siano un aeroplano, un telefono?--E prima dov'era? --Sono nata qui--fa lei timidamente. Lui pensa di non aver capito bene.--Mi sembra un be l po' più vec- chia di due anni--ride. Lei pare invece incerta, come se l'idea non le foss e mai passata per la mente.--Non riesco a ricordare più in là di così--s piega lentamente. _ La primavera scorsa, e un'altra primavera prima, quando stavo im- parando a parlare e a camminare... sono due anni, n o? Da quanto tem- po ha imparato lei? Lui non può rispondere; un boccone di coniglio gli è andato di tra- verso e per poco non lo soffoca. Ma non è quell'inc idente che gli fa riz- zare i capelli alla base della nuca, che gli fa pas sare un brivido di paura nel cuore. --Basta, Nova--dice secco Denholt. Appare teso, ner voso, la for- chetta gli cade nel piatto come se avesse avuto un sobbalzo.--Nel cas- settone della mia camera troverai... ehm, delle sig arette per il nostro ospite.--E appena lei è uscita, il dottore si china verso O'Shaugh-

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nessy.--Meglio che le spieghi. Lei non è completame nte... a posto.-- Si sfiora la fronte.--Ecco il perché della barriera e di tutto il resto. La tengo segregata qui con me; è più umano. Non prenda troppo sul serio ciò che lei le dirà. Al pilota non va d'impegnarsi su questo punto, nepp ure con un mo- nosillabo~ Rivolge solo un lungo sguardo al suo osp ite senza dir niente. La Spiegazione sembra ragionevole, non c'è dubbio, ma lui non riesce a dimenticare i limpidi, sani occhi della ragazza. Se li paragona a quelli di Denholt~ di una fissità indagatrice, morbosa, qu asi famelica... Do- Vesse decidere lui chi è il pazzo in quella casa, s a chi sceglierebbe. An- ora una volta quel brivido gli corre su per la schi ena, la carne gli si aggriccia sotto gli abiti presi in prestito. Dopo l'interludio hanno ben poco da dire l'uno all' altro, così siedono davanti al caminetto fumando mentre la ragazza in c ucina lava i piat- ti. Le fiamme proiettano le ombre dei due uomini su lle pareti, lunghe e oscillanti. Quella di Denholt pare quella di un mos tro che emetta fumo dalle narici. O'Shaughnessy sorride all'idea. Butta via la sigaretta.--Bene--dice--pare che l'ura gano voglia andare avanti tutta la notte. Inutile aspettare che passi, mi conviene andarmene. Il dottore sussulta, poi sorride.--Non starà pensan do di lasciarci ora? Passerebbe il resto della notte a girare senza meta là fuori nel buio! Aspetti fino a giorno, magari per allora il t empo si sarà calmato e almeno avrà luce. Abbiamo una stanza in più, non da rà fastidio. Dalla soglia la ragazza implora, quasi spaurita:--O h, per favore non se ne vada, signor O'Shaughnessy! E così bello averla qui. E aspetta la sua risposta. Il pilota guarda lei, poi il vecchio. Quindi incroc ia le lunghe gambe. --Allora rimango--dice calmo. Denholt si alza.--Ho un lavoretto da finire... qual cosa che ho lascia- to a metà quando... quando il suo arrivo mi ha inte rrotto. Se vuole scu- sarmi per qualche minuto... Ma può andare a letto q uando vuole.-- Poi, con un'occhiata alla porta della cucina.--E ri cordi ciò che le ho detto. La ragazza torna dopo che il dottore è uscito, gli siede timidamente davanti dall'altra parte del tavolo sparecchiato. S tudia il viso di lui con occhi socchiusi, come se non avesse mai visto p rima un viso d'uo- mo . --Sono felice che rimanga--mormora alfine.--Lo desi deravo tan- to, perché... be', forse se lei è qui io non dovrò farmi l'iniezione. O'Shaughnessy socchiude le palpebre lievemente.--Ch e iniezio- ne?--chiede con lentezza quasi sonnolenta. Lei agita una mano.--Non lo so, so solo che devo fa rmela. Circa una volta al mese. Lui dice che se le trascuro mi succe derà qualcosa di brutto. E domani sarebbe il giomo della prossima se lei non fosse ve- nuto.--Lo fissa con occhi patetici.--A me non piacc iono perché dol- gono orribilmente, e dopo mi fanno sentire tanto ma le. Una volta ho cercato di scappare, ma la barriera mi ha fermata. Un brillio come d'acciaio si accende negli occhi de l pilota.--E cosa ha fatto lui quando l'ha ripresa?--La bruna mano vi rile sul tavolo si flette appena.

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--Oh, nulla. Mi ha solo parlato, ha detto che era n ecessario che io le facessi, mi piacessero o no. Ha detto che lui me le fa per il mio bene. E che se lasciassi passare troppo tempo tra l'una e l 'altra... --Che succederebbe? --Non si è spiegato con precisione. Qualcosa di orr ibile, ha detto. 140 J O'Shaughnessy ringhia quasi tra sé e sé . Dunque la droga eh? Ecco probabilmente perché lei non ha memorie risalenti a più di due anni prima e di tanto in tanto dice cose così strane. Ma a rifletterci no, non può essere. Le iniezioni sono troppo inf requenti. E non le farebbero tanto male, se si trattasse di droga. E poi, se fossero le iniezioni a pro- vocarle la perdita di memoria, perché le i dovrebbe aver dimenticato solo il passato più remoto ricordando in vece benissimo quello più re- cente? O'Shaughnessy non se ne intende d i medicina, ma ha girato il mondo e ne ha viste parecchie. Specie in Oriente e in Sudamerica ha notato i segni di circa ogni tipo di dro ga che esista sotto il sole. Nova non ne presenta alcun sintomo. E fresca come la pioggia che cade al di fuori. Le rivolge una domanda per assicurarsi:--Fa dei sog ni... sogni pia- cevoli... dopo aver fatto una di quelle iniezioni? --No--rabbrividisce lei.--Mi sento come se avessi i l fuoco addos- so. Una volta mi svegliai e avevo tanto ghiaccio in torno... Non si tratta di droghe, quindi. Forse lui ha giudi cato male Denholt: forse lei ha davvero bisogno di quel trattamento. L a sua idea è che si tratti di un vaccino o di un siero. Magari la ragaz za ha avuto qualche orribile malattia che le ha tolto la memoria e l'us o delle membra due anni prima, e quelle iniezioni servono ad accelerar e la sua guarigione, a impedire una ricaduta. Eppure Denholt ha cercato di fargli credere che lei è pazza, e questo assolutamente non è vero. No, in quella casa si ordisce qualcosa di segreto... e di malvagio. Lo di mostrano la cinta di filo spinato, l'allarme. Perché poi tenere la ragaz za sequestrata quas- sù, mentre potrebbe ricevere cure e attenzioni molt o migliori... am- messo che ne abbia bisogno... nei moderni ospedali di qualche grande città? --Ma è proprio vero che ha imparato a camminare e a parlare due anni fa? --Sì--risponde lei.--Adesso le mostro qualcuno dei libri dove ho imparato.--Torna con uno sgualcito sillabario. Lui lo sfoglia. "G come gatto. Il gatto vede il top o..." Chiude il libro, più in alto mare che mai. 3 --Era grande come adesso quando le ha i nsegnato a camminare? ` --Sì. Portavo questo stesso vestito, ec co perché ne sono sicura. Per lo più ho imparato da me. Lui mi metteva sul pavimento laggiù e poi deponeva un pezzo di zucchero su una sed ia dall'altra parte della stan- za e mi incoraggiava a camminare per and arlo a prendere. Se striscia-

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ti~ vo sulle mani e sulle ginocchia non me l o dava. Dopo un poco sono riu- SCita a reggermi in piedi --Basta!--fa lui. Si sente mancare il f iato.--Giusto a immaginar- selo c'è da diventare pazzi! E qui... qui intorno s i respira davvero aria di follia! E io so da parte di chi. Non da parte su a! Dio solo sa cosa le ha ~' ~ 1 41 fatto quell'uomo nei primi vent'anni della sua vita , per farle dimenti- care tutto ciò che dovrebbe sapere... Lei non risponde, sembra non capire quanto le sta d icendo. Ma la durezza della sua voce le fa paura, è evidente. Lui vede che può farle più male che bene facendole sapere che le altre per sone non sono come lei. E una donna adulta ed è stata tenuta qui in co ndizioni di schiavitù, di servitù mentale... questo è il massimo che lui r iesce a capire. E l'uo- mo capace di far questo a un altro essere umano è u n mostro e un ma- niaco. Con voce rauca di pietà e di collera le chiede:--Mi dica, non ha mai visto in vita sua nessun altro uomo tranne me e il dottore? --No--mormora lei.--E per questo che lei mi piace t anto. --Non ha mai visto una ragazza... qualcuno come lei , che le faccia compagnia? --No solo lui. Nessun altro. Lui scatta in piedi come se non riuscisse più a sop portare quella con- versazione, fa qualche giro intorno alla stanza, to rna alla sedia, la sbatte per terra e si rimette a sedere. Lei lo fissa timidamente, non dice nulla, ma ha gli occhi incupiti dal- la paura. Lui appoggia i gomiti sul tavolo, la guar da e riflette. In qual- che modo sa che la porterà via con sé quando se ne andrà, e si chiede se ne ha il diritto. Che farà di lei in seguito... Ia lascerà in giro come un agnello in mezzo ai lupi? O la trascinerà con sé da un bar a una cantina a un bistrò, quando non sarà in aria a rischiare la pelle per qualche si- gnore della guerra cinese o per un fuorilegge del N icaragua? Quello è il suo genere di vita... Almeno qui lei ha la pace, un a certa sicurezza. Si sentono scattare i chiavistelli alla porta del l aboratorio. Vede gli occhi di lei volgersi da quella parte, ma lui non s i volta. Sulla parete opposta l'ombra oscillante di Denholt appare più mi nacciosa che mai. E un pazzo, un criminale, un samaritano... che cosa ? Comunque ha as- sunto il ruolo di Dio nei confronti di questa ragaz za... in qualche oscu- ro modo che lui, O'Shaughnessy, non riesce a intuir e... e non ne ha il di- ritto. Meglio per lei le cantine e i locali malfama ti del tropico. Se c'è nerbo in lei, non la toccheranno. Qui non ha neppur e la possibilità di mettere alla prova la propria tempra. Il suo affrettato sussurro lo raggiunge mentre Denh olt si sta chiu- dendo dietro la porta.--Non lasci che mi faccia un' altra iniezione. Forse se glielo chiede lei, acconsentirà! --Non gliene farà altre dopo l'ultima!--Asserisce l ui deciso. Il dottore si accosta al tavolo, li guarda sospetto so. Poi un sorriso gli sfiora le labbra.--Ancora alzato, eh? Bene, che ne direbbe di un bel punch caldo per noi due prima di andare a letto?

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Nova fa per alzarsi, ma lui le accenna di restare s eduta.--Lo prepa- ro io. A O'Shaughnessy non sfugge quel maneggio. Fissa l'a ltro in viso e aspetta un poco prima di rispondere:--Perché no?--s porgendo un poco il mento. Denholt va in cucina. Il pilota lo vede versare whi sky in due bicchie- roni, aggiungere zucchero. Di tanto in tanto il dot tore gli lancia uno sguardo obliquo, con una specie di ghigno soddisfat to in faccia. O'Shaughnessy dice piano alla ragazza, che continua a berlo con gli occhi:--Vada lì dov'è appeso il mio giubbotto ad as ciugare. Nella ta- sca interna troverà una busta impermeabile piena di carte. Tiri fuori le carte e mi porti la busta senza farsene accorgere. Introduce quella specie di sacchetto impermeabile s otto la camicia, la riabbottona, allarga il colletto. Quindi si chin a in avanti, pianta i go- miti sul tavolo e il mento sulle mani. Le braccia p iegate gli nascondo- no il petto e il collo. Mormora con voce strascicat a qualcosa che lei non capisce... un'altra delle cose incomprensibili che dice di continuo: --Posso sentire l'odore di un narcotico a un miglio di distanza. Denholt arriva coi bicchieri fumanti, le dice:--Meg lio che tu vada a dormire, Nova, è tardi e hai bisogno di riposo. E p er domani sai. Lei rabbrividisce a quelle parole, lentamente si ri tira sotto l'occhio imperioso di Denholt, ma prima lancia uno sguardo d i supplica a O'Shaughnessy. Una porta si apre e si richiude dall a parte del retro. Denholt però ha notato quello sguardo.--Non so cosa vi stesse di- cendo la mia pupilla...--comincia. Ma il pilota non ha voglia di mostrare le sue carte .--Niente, dotto- re, proprio niente--dice.--Perché? C'era qualcosa c he poteva dirmi? --No, no naturalmente--si affretta a rispondere l'a ltro.--Solo che, sa, ha delle allucinazioni su iniezioni, roba del genere. Ecco per- ché non le permetto più di entrare in laboratorio. Una volta lei mi ha visto fare un'iniezione a un coniglio e si è impres sionata. Sarebbe per- fettamente capace di venirle a dire che è a lei che ho fatto l'iniezione, e quel che è peggio ci crederebbe sul serio. Beviamo, su... Porge all'ospite uno dei bicchieri. O'Shaughnessy l o prende con una mano, tiene l'altra ripiegata sotto il mento. Alza appena il bicchiere: --Beviamo a domani. Lo sguardo penetrante di Denholt lo trafigge per un istante. Poi il vi- so dell'uomo si rilassa in un lento sorriso di deri sione.--Beviamo a stanotte--ribatte.--Chi è sicuro del domani? Il pilota tiene il bordo del bicchiere accostato al le labbra, dopo un poco lo si vede orizzontale... e vuoto. Ma dev'esse re proprio stanco, for- se gli trema la mano, si è bagnato di punch il coll etto... La luce giallo~verdastra della lampada del dottore si allontana dalla orta della camera da letto che O'Shaughnessy dovrà occupare. La 143 stanza è totalmente buia, I'oscurità è tagliata sol o dall'occasionale ba- gliore dei fulmini fuori della finestra alta e stre tta. Ma sono meno fre- quenti ora, anche la pioggia sta rallentando.

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O'Shaughnessy giace supino sulla branda zoppicante. Non si è spo- gliato. Denholt gli ha detto, forse allusivamente: "Sono certo che sarà morto al mondo in pochi secondi ! " mentre se ne an dava. La prima cosa che fa il pilota, appena la luce della lampada svan isce completamente e si sente una porta chiudersi da qualche parte, è di togliersi da sotto la camicia il sacchetto impermeabile ora pieno e vuota re a terra il liqui- do che contiene. Il fruscio della pioggia ora più calmo comincia a c ullare i suoi sensi senza che lui se ne accorga. Il dolore dei lividi s i attenua, viene cancel- lato dal sonno che sta cominciando a vincerlo. Le p alpebre calano su- gli occhi. La prima volta che gli succede lui le ri apre, si costringe a te- nerle aperte per pura forza di volontà. Non un suon o, non un sussurro lo aiuta a restare sveglio. La solitaria casa di mo ntagna è mortalmente silenziosa, e al di fuori non si sentono che il mor morio della pioggia e l'ovattato rombo dei tuoni. La storia della ragazza comincia a sem- brargli un sogno, irreale, remoto, fantastico... Lo scricchiolio soffocato di un'asse del pavimento, appena fuori del- la sua porta, lo fa destare di colpo. In un primo m omento crede di esse- re ancora a bordo del suo aeroplano, annaspa con le mani per afferrare la cloche... Poi ricorda dove si trova. Quanto tempo è passato da quando Denholt l'ha accom pagnato lì? Venti minuti, mezz'ora, un'ora? Forse anche di più. O'Shaughnessy impreca silenziosamente contro se stesso per essers i abbandonato al sonno. Ma si è svegliato in tempo: se è l'uomo che sta arrivando... Dev'essere notte fonda. La pioggia è cessata, si se nte solo il picchiet- tare delle gocce che si staccano dalla grondaia. Un pallido lucore ar- genteo, fioco e spettrale, entra dal finestrino. L' alba? No, una tarda lu- na velata dalle ultime nuvole della tempesta. Lo scricchiolio si ripete, più vicino, più distinto . Sente qualcuno re- spirare. Disteso sulla branda tira su le ginocchia verso il torace, tende i muscoli, si prepara al balzo. Cos'avrà l'altro... u n coltello, una pistola, qualche mortale strumento chirurgico? Le braccia de l pilota si aprono in una bieca parodia di abbraccio. L'oscurità nasco nde i pugni serrati, il ghigno minaccioso della sua bocca .. Qualcuno è entrato. O'Shaughnessy ha sentito lo spo stamento d'aria che ha accompagnato quel passaggio furtivo, piuttos to che udire o ve- dere qualcosa. Nella stanza sussurrano passi felpat i. Una figura indi- stinta si muove, attraversa la pallida luce argente a troppo debole per rivelarla chiaramente, passa nella zona d'ombra nel la quale si trova. La branda sussulta, un corpo ne balza, due braccia si protendono ad afferrare. Risuona un lieve singhiozzo spaurito, me ntre la voce di O'Shaughnessy brontola piano una filza di energiche imprecazioni. La snella morbidezza del corpo che stringe lo ferma appena in tem- po, prima che possa far di più che imprigionarle le braccia e farla ri- manere senza fiato.--No, no--ansima lei--sono io.-- Le mani di lui ricadono. Con un lungo sospiro il pilota balza indietro, la reazione lo fa barcollare contro la parete per rimettersi in equilibrio.--Lei! Perché non si è fatta riconoscere? Stavo per... --Avevo paura che lui mi sentisse. E in laboratorio . Ha lasciato la porta aperta e io lo stavo spiando da fuori, nel bu io.. --Cosa vuol fare, le sta preparando un'altra di que lle iniezioni?

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--No, è per lei... Iui si prepara a farle qualcosa, non so che cosa! Ha portato lì il suo giubbotto, ne ha tolto tutte le c arte e le ha bruciate. Poi... poi ha acceso il fuoco sotto parecchi dei su oi alambicchi e ha messo a bollire una siringa come fa quando ha a che fare con me. Ma ha anche un laccio di seta, vi ha fatto un cappio e ne ha preso la misura intorno al suo collo, poi se l'è tolto e ha provato a lanciarlo e tirarlo stretto. Ha anche una cosa nera di metallo, con una canna... --Una pistola--dice piano O'Shaughnessy in tono di scherno. --Ha previsto tutto, eh? Un narcotico nel punch, un laccio, una pisto- la. Non ha per caso anche qualche bomba a mano? Lei gli appoggia le mani sul petto.--Non resti qui, per favore! Io E non voglio che le succeda nulla di male! Vada via prima che lui arrivi! E straordinariamente svelto e forte, doveva vedere come mi correva dietro la volta che cercai di scappare! Forse riusc irò a sgusciarvia sen- za che lui se ne accorga... Non rimanga così immobi le! La siringa stava già bollendo. L'ho vista!--Piange come se le si spe zzasse il cuore. --Perché non va? Lui siede invece sulla branda, lentamente infila le scarpe di tela che Denholt gli ha prestate. Poi allunga le braccia ver so di lei, se la tira da- vanti, la tiene ferma di fronte a sé. --Nova, ti piaccio?--le dice. --Mi piaci molto... moltissimo. Lui si passa le dita fra i capelli, arruffandoli.-- Ora ascoltami con ` attenzione. Vuoi sposarmi? --Che significa sposarti? --Mi venisse un accidente--mormora lui tra sé.--Ben e... vuoi sta- re sempre con me, andare dove vado io, dirmi spesso quanto sono bra- L` ~ VO e bello, tirarmi su quando sono depresso... e magari un giorno por- L tare il lutto per me? --Certo--dice lei piano.--Voglio starti sempre vici na. Se sposarsi è questo, è proprio quello che desidero. Lui le tende una mano.--Va alla porta, guarda il fa scio di luce che sbarra loro la strada, proveniente dalla porta del laboratorio.--C'è ualcosa che vuoi portare con te? Ma penso che avrai ben poco come uardaroba. Lui dove tiene le l~hi~vi~ --Quelle del cancello? Nel taschino della giacca, c redo, gliele vedo sempre prendere da lì. Ora non la porta però, si è messo il camice. Sarà nella sua camera da letto. --Bene, proveremo a rubarle. Non mi dispiacerebbe f are anche un occhio nero al tizio per l'occasione, ma non voglio esporti al pericolo. Anche se probabilmente lui con quella pistola avrà una mira da epilet- tico guercio da un occhio. Vienimi dietro. Scivolano fuori nell'oscurità, O'Shaughnessy davant i, la ragazza die- tro che si tiene in contatto con lui appoggiandogli lievemente una ma- no sulla schiena. Il corridoio è buio, ma in fondo è sbarrato da una fa- scia di sinistro biancore che attraversa il soggior no e il passaggio e si riflette su una parete. --Bisogna fare attenzione a queste assi--sussurra l ui.--E facen-

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dole scricchiolare che mi hai svegliato, e tu non p esi quanto me.--Il tocco delle dita di lei sulla schiena gli dice che la ragazza trema come una foglia.--Non aver paura. Sei con me ora. Un'asse rabbrividisce appena, lui ne balza via agil e come un gatto prima che faccia rumore. La sbarra di luce si appro ssima lentamente. L'oscurità della casa è tanto morale quanto fisica, lui pensa. Tintinnii lievi, suoni come di qualcuno che si stia affaccend ando provengono dal laboratorio ancora distante, magnificati dal silenz io. Il maniaco sta fa- cendo i suoi preparativi. Davanti a una porta le dita di lei fanno un segnale .--Qui?--mor- mora lui.--Resta accanto allo stipite, dove posso r itrovarti, vedo se riesco a mettere le mani sulla sua giacca. La trova dopo un sacco di cauti giri, navigando all a cieca. E appesa a un gancio sulla parete. Trova subito la chiave, ma probabilmente a lei parrà un secolo che lui è dentro. Scivola di nuovo fuori, allegro e fidu- cioso come gli capita sempre di essere quando si è messo in qualche pasticcio.--Eccola. Andiamo adesso. Un passo dopo l'altro avanzano nel silenzio e nell' oscurità, la sbarra di luce lontana è l'unica cosa visibile. Un'asse tr aditrice scricchiola sotto il piede di lui prima che possa ritrarlo. Res tano immobili ascol- tando il suono echeggiare intomo. Dal laboratorio n on si sente più niente. O'Shaughnessy attira la ragazza contro la p arete, vi si addossa con lei. Non un suono dal laboratorio. La sbarra di luce, fi no a quel momen- to ristretta, lentamente si allarga. Una sagoma vi si staglia, l'ombra di Denholt proiettata sul pavimento e sulla parete. Ri gido l'uomo si tiene sulla soglia, in ascolto. Sulle labbra di O'Shaughnessy è tornato il sorriso. Allunga una ma- no e afferra quella di lei in una stretta rassicura nte. Da molto tempo non prova più paura. Quando è stata l'ultima volta? Quando aveva di- ciassette, diciotto anni? Ogni tanto gli capita di pensare che è stata una perdita per lui... Ia paura dà sapore alla vita . Si chiede come ha fatto a smarrirla e se mai qualcosa, chissà che cos a, sarà capace di far- gliela tornare. Una cosa è certa, lei è spaventata per tutti e due e ce n'è d'avanzo: il polso esile batte follemente sotto le dita di lui. La sagoma si muove alfine, comincia a retrocedere n ella stanza illu- minata. Il rumore che l'aveva evocata non si è ripe tuto. Tornano i suo- ni come di chi si sta affaccendando. Solo la sbarra di luce è rimasta lar- ga, pericolosa da attraversare senza farsi scoprire . Oramai ci sono qua- si arrivati, possono sentire il respiro di Denholt nel laboratorio. O'Shaughnessy si ferma, attira Nova di fronte a sé. Le preme sul palmo la chiave del cancello.--Voglio essere sicuro che t u arrivi laggiù, a qualunque costo. Tira un respiro profondo e attrave rsa la zona illumi- nata. Non aver paura, ci sono io alle tue spalle. Lei scivola avanti, spia attraverso la porta aperta . Apparentemente Denholt le volta le spalle. In punta di piedi, agil e, lei oltrepassa la bar- riera luminosa. Dall'altra parte si ferma, si volta ansiosa, aspetta che L lui la raggiunga~ Un istante dopo lui le è al fianco. Passando davant i alla porta ha ve- duto di scorcio una figura vestita di bianco china davanti a uno scaffa-

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le, intenta a riempire una siringa ipodermica. Sull o sfondo ci sono due tavole operatorie, non una sola. Una è evidentement e improvvisata: delle tavole poste su due sedie e coperte da un'inc erata. "Per me e per lei" pensa il pilota. "L'individuo non scherza". Lei lo tira per un braccio, ma lui di colpo le resi ste, s'immobilizza. La ragazza si volge a guardarlo.--Vieni, vieni! Da un minuto all'altro ormai... La mia zampa di coniglio. Lui ce l'ha lì dentro, è nel mio giubbot- to. Non posso andarmene senza. --Ma ti ucciderà! ~3 --Sì, lui e dieci altri. Va' alla porta, bambi na, e comincia a lavorar- tela. Voglio che tu sia fuori tiro se quello cominc ia a sparacchiare. Io vado a riprendermi il mio portafortuna, lo rivoglio assolutamente.-- Deve strapparsi alla lettera le dita di lei dal bra ccio, spingerla per met- terla in moto. Finalmente lei si allontana con un g emito soffocato di protesta Lui aspetta finché non sente dei fruscii v enire dalla porta. Ma un chiavistello stride sciaguratamente mentre lei l o tira e di nuovo nel laboratorio cade un improvviso, preoccupato silenzi o. O'Shaughnessy, i muscoli tesi come corde di pianofo rte, si fa sulla soglia illuminata senza fretta, con aria indifferen te. Tende una mano verso l'uomo in camice bianco che si è girato a fro nteggiarlo.--Il mio giubbotto, dottore. Me ne vado. Denholt ha messo giù la siringa piena. La pistola c he la ragazza ha menzionato è sul tavolo, ma già sotto la sua mano.- -Così crede di an- dársene? E proprio sciocco, amico mio. Sarebbe stat o meglio che dor- misse, come io avevo provveduto a farle fare. Nient e timore allora, niente agonia. Non si sarebbe accorto di morire. --Anche così non ci sarà timore né agonia.--Il pilo ta calmo prende il giubbotto, ne tira fuori la zampa di coniglio e la ripone nella tasca dei calzoni.--Un'altra volta non abbia tanta fretta di bruciare le mie carte--dice--o le farò girare la testa a ceffoni. La pistola è ora spianata contro il suo petto. Fuori nel buio la pesante porta d'ingresso si apre con un lungo cigo- lio. Denholt svelto fa un passo in avanti. O'Shaugh nessy non si muove, gli blocca la strada. Un fruscio di passi in corsa, leggeri, si allontana all'esterno, volando sul terreno fangoso. --Chi è? --Chi vuole che sia? La ragazza. La porto con me. Il viso di Denholt si trasforma all'improwiso in un a maschera di sgomento:--Non può!--urla.--Non sa cosa significa, pazzo! Non può riportarla nel mondo con lei! Lei deve star qui , ha bisogno di me!--La voce si alza stridula, disperata.--Nova! To rna indietro! --Questo lo dice lei, io non ci credo.--Anche O'Sha ughnessy ha al- zato la voce. Si sposta per mettersi proprio davant i alla pistola, vuole impedire che l'altro gli scivoli al fianco. --Mi lasci passare o le sparo. Non volevo danneggia rle la pelle o fe- rire un organo vitale, ma se mi ci costringe lo far ò! E allora nulla potrà riportarla indietro, capisce, nulla potrà riportarl a indietro! Resterà morto!

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Il pilota è immobile, teso, lo misura con gli occhi . E un giocatore: sente che Denholt è riluttante a sparargli e conta su quella riluttanza, per quello che vale. Invece di allontanarsi dall'ar ma fa un passo in avanti, poi due... Tra gli alberi gocciolanti esplode la sirena di all arme. Dunque lei ha aperto l'ultima barriera, ce l'ha fatta! Ai lati del collo di Denholt le corde si tendono, r ivelano al pilota che i muscoli dell'indice hanno ricevuto l'ordine di prem ere il grilletto. Lui si getta da una parte. Le due figure per un attimo appaiono saldate in- sieme da una sbarra fiammeggiante di luce, rumore e fumo si produco- no dopo. O'Shaughnessy non sente dolore ma sa che è stato colpito e che non deve permettere all'altro di colpirlo ancor a. La mano che 148 stringe la pistola è serrata nella sua, dieci dita obbedienti a due cervel- li impugnano una sola arma. Fa fuoco ancora e ancor a e ancora... cin- que, sei volte. Il pilota intanto colpisce la testa di Denholt con la mano libera. I due barcollano allacciati come in una folle danza. Into rno a loro è una pioggia di vetri rotti. Il fumo degli spari, la pol vere bianca che si stacca dalle pareti colpite dalle pallottole aleggiano int orno a loro come una nebbia. O'Shaughnessy finalmente strappa la pistola ormai inoffensi- va dalle dita dell'altro, la lancia lontano. Altro vetro che si rompe, e questa volta è accompagnato da un odore acido, pung ente, che fa lacri- mare gli occhi. Lo scricchiolio degli alambicchi po lverizzati sotto i lo- ro piedi fa sembrare che stiano lottando sulla sabb ia o sulla neve indu- rita. Ora O'Shaughnessy si accorge che non può colpire co l braccio sini- stro, i messaggi del suo cervello arrivano alla spa lla e lì si bloccano. Usa allora il braccio per tenere Denholt, colpisce col destro. Il dottore pare cercare qualcosa alle proprie spalle, tiene la mano dietro la schie- na e quando ricompare è stretta intorno a un oggett o lampeggiante. Un bisturi o roba del genere. O'Shaughnessy si scioglie dall'awersario, balza ind ietro. Un colpo vibrato verso l'alto gli manca per poco il torace. Afferra la mano prima che tomi a riabbassarsi, la torce. Qualcosa cade a terra con un tintin- nio. Allontana l'oggetto con un calcio, indietreggi a per darsi lo slancio e avventa alla mascella di Denholt un pugno devasta nte. Il dottore bar- colla, scivola sui vetri, cade a terra stordito. O'Shaughnessy sente la spalla pulsargli dal dolore. Ansima:--Ora sono riuscito a ficcarglielo in testa che la porto con me?--Si gira e si avvia a passo un tantino malfermo verso la porta. Denholt tenta vanamente di rialzarsi, balbetta:--La sta portando alla morte! L'allarme continua a suonare, chiamandolo. Il pilot a esce dal labora- torio, si tuffa nell'oscurità, trova la porta apert a. L'aria fresca e umida della notte tarda lo avvolge. Si volta e vede Denho lt stagliato sulla so- glia del laboratorio dove è riuscito a trascinarsi. Si sostiene allo stipi- te, barcollando, tende verso di lui una mano in ges to di maledizione... o di avvertimento. --Ricordi quello che le dico. La sta condannando a morte. Oggi è il tredici giugno. Ricordi questa data, la ricordi ben e! Ha poco tempo...

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poi saprà, saprà anche troppo presto! E tornerà da me, con lei... a stri- · p SCiare, a supplicarmi di aiutarvi! Sì, v'ingino cchierete davanti a me... L; sarà la mia rivincita! --E allora potrà spararmi, se le riuscirà--ringhia il pilota da sotto gli alberi. --Non la sta portando verso la vita, ma verso la mo rte... Ia morte più spaventosa che possa toccare a un essere umano! 149 La voce urlante si perde in altre folli imprecazion i ma ormai lui è lontano, può vedere Nova che lo aspetta tremante da vanti al cancello aperto. Lui sguazza verso di lei sul terreno fangos o, tenendosi una ma- no sulla spalla ferita. Le sorride e con la sua cal ma voce strascicata le dice, abbastanza forte da farsi sentire al di sopra della sirena ora tre- molante, scarica:--Salve, signora O'Shaughnessy. Or a ce ne andiamo davvero. La prende per un braccio. O'Shaughnessy indugia nel bar della Palmer House, a Chicago, con un uomo che si chiama Tereshko. A un certo punto si sc usa e va a una cabi- na a telefonare al suo appartamento in North Side. --Perché non portiamo anche sua moglie a cena?--ha detto Te- reshko.--Al Chez Paree, magari. Possiamo parlare di affari anche a suon di musica. --Splendido--ha risposto lui. Dopo tutto le transaz ioni d'affari so- no una specie di guerra: chi ha più colpi li spara. E la luminosa, straor- dinaria bellezza di Nova O'Shaughnessy equivale a u n'intera batteria di cannoni. Se lui è disposto a usarla per abbaglia re il diffidente genti- luomo col quale sta cercando di accordarsi, ciò non significa che l'ap- prezzi di meno lui stesso. Così dice al telefono:--Nova, vieni a raggiungermi al Chez Paree. Ho con me un uomo. Cerca un pilota ed è disposto a sborsare parec- chio, così fatti più bella che puoi. Prendi un tass ì, tesoro.--Nova si orienta ancora male nelle strade di città.--Oh, un' altra cosa. Se mi fa qualunque offerta inferiore agli ottomila, tu mi da i un'occhiata come per dire "Ma vaneggia?" Hai capito? E non dire una parola di... di quel posto sulle montagne. Al Paree ordinano un tavolo per tre. Hanno già bevu to parecchio, e a Tereshko comincia a fare effetto. Non è proprio sbr onzo, ma si fa più ciarliero. Si sta lasciando un po' andare, insomma. --Ha molta esperienza nel localizzare zone minerari e dall'alto? --No, so volare e basta. Ma per quel che ho capito lei vuole solo che la porti, in modo da guardarsele lei stesso. E ques to lo so fare, posso ga- rantirglielo. Tutto quello che mi serve è la direzi one generale e la ben- zina che occorre. E evidente che l'ostacolo non consiste nei soldi. T ereshko deve aver- ne fino alle orecchie, lo porta stampato addosso, a nche se nel vestire è pacchiano, volgare. La sua esitazione... e O'Shaugh nessy è buon giudi- 150 ce delle motivazioni altrui... pare derivi da un ec cesso di cautela, come

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se volesse accertarsi con chi ha a che fare prima d i mettere le carte in tavola. Ormai non può dubitare che lui sia un pilot a abbastanza esper- to da portarlo dovunque voglia andare, dopo i ritag li e i documenti che gli è andato sciorinando davanti per tutto il pomer iggio. --Naturalmente una cosa mi interessa più di tutte-- Tereshko ta- sta il terreno offrendo all'altro una sigaretta da un astuccio di platino col fermaglio di smeraldi.--Ed è che la nostra miss ione rimanga strettamente fra noi due. Nessuno deve sapere quale ne è lo scopo e la destinazione. Nessuno, capite? Neppure quando l'avr emo portata a termine. --Posso garantirle anche questo. Non sono un chiacc hierone. --No, mi sembra il tipo che si fa i fatti suoi... e cco perché l'ho cerca- ta, in primo luogo.--Molto poco saggiamente ordina un altro cock- tail. Ora appare ancora più rilassato.--A questo punto po sso confessar- le--ammette--che la localizzazione di zone minerari e era una sto- ria. Il metallo che cerco è già stato estratto e co niato, solo che l'hanno seppellito di nuovo. E si trova esattamente in dire zione opposta a quel- la che vi ho detto. Non in Canada, ma in uno degli isolotti della costa della Florida. O forse in una delle Bahamas. Suppon go che ciò le forni- sca qualche indizio. Ma tanto pare proprio che sia l'uomo che fa per noi, così non importa che sappia tutto. --Un tesoro di pirati? --Sì e no--dice Tereshko.--Certo che era davvero di un pirata, ma risale al tempo del proibizionismo e non a quell o del capitano Kidd. Ormai avrà capito a chi mi riferisco. O'Shaughnessy non ne ha la minima idea, ma non gli costa niente la- sciare che l'altro lo ignori. --Lui tanto non uscirà fino a... vediamo...--Un bri llante grosso co- me una noce fiammeggia mentre lui conta sulle dita. --Fino al 1948, o forse è il '50? Diavolo, era un grand'uomo e tutto quanto il resto--ora ha un tono come volesse giustificarsi--ma al resto di noi proprio non potete dar torto. Dopo tutto si diventa vecchi. Lui la sua parte l'ha avu- ta, perché noi non dovremmo prenderci la nostra? E dentro già da due anni, perché dovremmo aspettare ancora? --Allora non si tratta di roba vostra? --Non è neanche sua!--scatta l'altro.--E roba di ne ssuno. Non L, appartiene più neanche ai fessi ai quali lui l'h a scucita, perché gli pro- pinava alcool di legno a quattro dollari al dito. --Dipende dai punti di vista--osserva O'Shaughnessy senza com- l~i promettersi~ --E da quale altro punto di vista vorrebbe vedere l a cosa? Forse che a roba è utile a qualcuno, seppellita com'è da qual che parte? Non ci 151 sarebbe stato bisogno di prendersi tante scocciatur e se solo... Vede, le banche non andavano bene, né le cassette di sicurez za o roba del gene- re, perché i suoi guai erano... guai col Governo. E lui probabilmente se li stava aspettando. Noi no, ma lui sì, per forza. Infatti proprio poco

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prima che arrivassero, lui andò in crociera nelle a cque della Florida col suo yacht. Solo lui e un piccolo equipaggio, e. .. oh, sì, una ragazza con la quale se la faceva in quel periodo. Nessuno di r~oi, neppure uno di noi. Pensammo che fosse strano, perché lui era u n ragazzo che ama- va la compagnia. Fino a quel momento gli sarebbe pa rso di prender freddo se non ci avesse avuti sempre intorno. Ma su ccede una cosa an- cora più strana. Prima di tornare indietro si ferma rono all'Avana. Lui e la sua dama scendono a terra e a nessuno degli altr i viene permesso di sbarcare. Poi, a un improvviso ordine di lui, lo ya cht riparte... senza che lui e la ragazza tornino a bordo. Pare che dove sse passare a pren- derli a Bimini, più tardi. Invece non fu più rivist o, un pezzo di legno bruciacchiato venne ripescato parecchio dopo col su o nome sopra. Si presunse distrutto in mare da un'esplosione e non u n'anima a bordo sopravvisse. Buffo, no, mandarlo avanti così mentre avrebbe potuto aspettare quei due in porto? --Buffo, sì, ma non molto da ridere.--approva O'Sha ughnessy. --E proprio mentre noi stavamo tirando fuori cravat te nere e pre- parandoci a ordinare corone arriva un telegramma da lui: USpero non vi siate preoccupati, io sto benissimo, torno in ae reo, non è stato un f terribile incidente?" Trenta giorni dopo esatti lo Zio Sam gli salta al 3 collo e...--Riunisce le dita di una mano, vi depone un bacio, le svento- la.--E quanto crede che troviamo, dopo che il fumo si è dileguato? Cinquemila dollari. Diavolo, lui non andava mai in giro senza portare di più nel portafogli! Ho ragione o no? Ogni altro indizio che abbiamo seguito da allora si è rivelato infruttuoso. Ce ne abbiamo messo di tem- po a capitare su quello giusto, ma adesso credo pro prio che ci siamo. Ora pensa di poterci aiutare a fare il buco alla ci ambella? Il pilota fa una spallucciata.--Non c'è niente di d ifficile. Io posso portarla a spasso per un mese o due, tutto il tempo che vuole. Bisogna prendere un mezzo anfibio, naturalmente. C'è un par ticolare, per l'ap- parecchio deve darmi un anticipo. Io ho perduto il mio due settimane fa, è stato allora che mi sono fatto male alla spal la. Non si metta in mente che sia stata colpa mia... mi ha baciato un f ulmine. --Ci pensiamo noi all'aereo--assicura Tereshko.--Si dia un'oc- chiata in giro e prenda quello che ritiene migliore per la missione, e quando torneremo potrà tenerselo come mancia. UE quanto tempo mi lasceranno per godermelo?" pensa O'Shaugh- nessy che non è un ingenuo. Ma la cosa non lo impen sierisce, c'è già 5, stata gente che ha cercato di sbarazzarsi di lui do po essersene servita... f e non ce l'ha fatta. Anche questo tizio se ne accor gerà. --La gallinella potrebbe farvi da guida non sarebbe più comodo? Avete pensato a mettervi in contatto con léi?--dice a voce alta. --Se ci abbiamo pensato?--brontola l'altro.--La por ta della cella non si era neanche richiusa alle spalle di lui quan do cominciammo a far pressione sulla ragazza. Solo che ci andammo tr oppo pesanti. Ci eravamo fatta un'idea sbagliata di lei. Purtroppo e ra una di quelle ra- gazzine innocenti, non sapeva niente di quello che faceva lui finché il coperchio non saltò in aria... forse lo credeva un capitano d'industria o cose del genere. Sulle labbra di O'Shaughnessy appare un sorrisetto assolutamente, sarcasticamente incredulo. --No, le assicuro che non ce l'ha data a bere--affe rma Tereshko. --Era proprio una ragazza così. Lui del resto ci di ceva che con lei era una cosa seria... sa cosa voglio dire. Lei non era la sua pupa... Iui la

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chiamava la sua madonna. --La madonna delle distillerie clandestine--ride il pilota. --Voleva sposarla. Era una ragazzina del resto, avr à avuto diciotto anni. Bene, fra il trauma che ebbe quando seppe con chi si era messa e noi che cominciammo a farle pressioni, la povera ga llinella finì male. Disse che non sapeva niente di quel che era success o durante quella crociera. Così la chiudemmo in garage al buio per t utta la notte, per- ché la paura la inducesse a parlare. Le facemmo pau ra, come no, tanto da farla tacere per sempre! La nostra solita fortun a... Lui non le aveva mai permesso di tagliarsi i capelli, diceva che era no troppo belli così lunghi, che la facevano sembrare un angelo. Così le i con una forcina scassina le macchine, ce n'erano sei... accende i m otori e respira mo- nossido fino a lasciarci la pelle. Con un gattino i n braccio che lui le ave- va regalato. --Particolare commovente.--O'Shaughnessy si accigli a per sim- patia, non verso di loro ma verso la ragazza tortur ata e sola nel garage. Tereshko ghigna. --Già, non è vero? Di tutti gli sporchi trucchi! La dovemmo lasciar nascoSta lì tutto il giorno. Quando si fece buio la tirammo fuori, la por- tammo lontano molte miglia e la lasciammo da qualch e parte. Non ho mai letto che abbiano trovato il cadavere. Seppure l'hanno trovato non devono esser riusciti a sapere chi era lei, non se n'è mai vista una parola sui gior... --Ecco mia moglie--interrompe il pilota alzandosi. L'ha vista al di Sopra della spalla di Tereshko entrare dalla strada proprio in quel mo- mentO. Si arresta un istante, si guarda intorno. Li localizza e si avvia erso il loro, indirizzandogli un sorriso tutto per lui- e diamine, è una bellezza da mozzare il fiato. Tereshko le volta le spalle. Si alza anche lui e si volge, preparandosi a salutarla. O'Shaughnessy dice:--Nova, ti presento il signor Vi ncent Tereshko. Il bicchiere dell'uomo cade a terra con un tintinni o. Tereshko barcol- la all'indietro, la spalliera bassa della sedia lo urta alla schiena, lui vi si rovescia sopra battendo la nuca sul sedile imbot tito, quindi lui e la sedia rotolano insieme sul pavimento. Istantaneamen te si rialza e dal- le labbra gli escono grida strozzate che è difficil e intendere come paro- le.--No, no! Via da me! Non sei vera! Agita le braccia come per respingere un avversario invisibile, quindi si volta e corre via. attraverso il ristorante, si precipita in strada. Gli altri due c'impiegano un poco a rimettersi dall o sbalordimento. --Bene, mi venisse... Ma l'hai visto? Cosa gli ha p reso? Un minuto pri- ma sta qui a parlare con me, un minuto dopo impazzi sce. --E stato a causa mia--dice lei stupita, ancora fis sando l'uscita. Lui scuote la testa impaziente a quella sortita.--Q uando mai, co- m'è possibile che fosse per causa tua? Sii ragionev ole. Non sei ancora abituata alla gente, ogni volta che qualcuno ti gua rda pensi che in te ci sia qualcosa che non va.--Dopo tutto lui non è real mente in grado di dire chi o che cosa Tereshko abbia visto. --No, è stato per causa mia--insiste lei, turbata.- -Stava guar- dando me; dritta in faccia! Ho qualcosa di strano? Devo proprio aver-

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lo, perché stasera è la seconda volta che mi succed e. Lui sobbalza stupito.--La seconda? Che vuoi dire? --Proprio adesso, fuori della porta. C'era un uomo seduto in una berlina ad aspettare qualcuno. Quando sono uscita d al tassì si è volta- to a guardarmi e poi... poi si è messo a gridare co me l'uomo di qui e ha messo in moto correndo via a centocinquanta all'ora , come se avesse visto un fantasma... O'Shaughnessy fa una faccia sbalordita. --Girati un po'. Lasciati vedere--dice. Lei esegue. --Sei una me- raviglia da tutte le parti. Non c'è proprio niente in te che possa far im- pazzire di paura degli uomini fatti. Lui deve aver visto qualcuno che ti stava dietro. Andiamo a casa e al diavolo tutto. Pa re che l'affare sia an- dato all'aria, e per me va bene così. Puzzava tropp o fin dall'inizio. Passano settantadue ore, la calma prima dell'uragan o. Poi, la terza sera dopo l'incidente, a lui capita di tornare al l oro appartamento pri- ma del solito. Non ha quasi più denaro e ha girato tutto il giorno cer- cando di ricavare qualcosa dai suoi contatti. Ma no n sembra che per il momento ci sia grande richiesta di piloti mercenari , soldati di fortuna dell'aria. E adesso lui ha una donna di cui prender si cura... Appena svoltato l'angolo la vede in piedi di fronte all'edificio. Sta evidentemente cercando un tassì. Ne chiama uno con un cenno, e sta per entrarci quando lui la chiama:--Ehi, Nova! Dove vai?--e arriva di corsa. Lei sembra stupita di vederlo. Non confusa, solo st upita. --Scusami se ho tardato tanto. Non volevo farti asp ettare così. Per questo hai cambiato idea e sei tornato qui? Non sei mica arrabbiato con me? Lui chiede:--Di che parli? Perché dovrei essere arr abbiato? --Perché ti ho fatto aspettare più di mezz'ora prim a di raggiunger- ti. --Ma chi ti ha detto di raggiungermi? Lei è più stupita che mai.--Ma tu me l'hai detto di prendere un tas- sì e venire a... Lui si guarda intorno, perlustra la strada con gli occhi. --Vieni, saliamo--disse.--Mi scusi autista non ci s erve più.--E sopra:--Che altro ti ho detto? --Di venire il più presto possibile, solo questo. --Ma hai riconosciuto la mia voce al telefono? --Non ho mai sentito la voce di nessuno tranne la t ua, quindi ho pensato che fossi tu. Parevi molto lontano però. --Be', non ero io. E mi chiedo chi fosse. Nova, tes oro, ascoltami: do- po di ciò non devi più uscire sola. Ti darò una par ola d'ordine che use- remo al telefono d'ora in poi. Filo spinato, te ne ricorderai? Se non mi sentirai parlare di filo spinato saprai che non son o io.

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--Va bene, caro. La sera dopo, al suo arrivo, trova difficoltà a ent rare. La chiave fun- ziona, ma lei ha messo qualcosa contro la porta per bloccarla, forse una sedia sotto la maniglia. L'ostacolo non lo trat tiene molto a lungo. Entra e lei è lì, ritta in mezzo alla stanza e trem a come una foglia. |~ --Perché hai fatto questo?--domanda lui.--E ch e è quel buco nel- la porta, proprio sopra la serratura? Lei gli si getta fra le braccia, lo stringe.--Hanno telefonato ancora. Qualcuno ha detto che eri tu, ma io sapevo che non era vero perché non ha parlato di filo spinato. --Hanno cercato di nuovo di farti uscire? --No, no. Hanno detto: aAbbiamo un messaggio per te da parte di Benny". Chi è Benny? O'Shaughnessy la fissa soltanto, e gli occhi gli si restringono. --Poi hanno detto: aCosì ce l'hai fatta, eh?" Poi s i sono messi a ride- re e hanno detto: "Dove l'hai preso a rimorchio il fesso?" Ma di chi par- 1= lavano? --Di me--fa lui piano.--E poi? Lei scuote la testa sbigottita.--Io non capivo nien te. Hanno detto an- cora: "Bene, sei stata furba e ci hai presi in giro proprio bene. E stata ~- bella finché è durata, ma adesso non funzionerà più. Ci vediamo, bel- la". t --Nient altro? - Oh, caro, ero così spaventata. Non sapevo dove tr ovarti, sapevo 154 ~ _ ~ 155 solo che eri da qualche parte giù nel Loop. Ho chiu so la porta a chiave e mi sono nascosta nell'armadio, lasciando lo sport ello aperto di un fi- lo. Dopo una mezz'ora ho visto girare la maniglia, lentamente, come se qualcuno cercasse di aprire. Quando non ha funziona to hanno comin- ciato a suonare il campanello e una voce ha mormora to: "Sono io, bambina, fammi entrare, ho dimenticato la chiaven. Ma io sapevo che non eri tu. Mi sono rannicchiata in un angolo, diet ro i vestiti... Lui intanto ha tirato fuori la pistola dalla valigi a dove la tiene e la sta controllando, le mani un poco tremanti, scosso da una collera fu- riosa. Quella bimba indifesa che lui ama è il suo p unto vitale... Lei continua:--Poi si è sentito uno scoppio e qualc osa ha attraver- sato la porta ed è entrato qui. Non resistevo più, avevo paura che en- trassero e mi prendessero. Sono corsa fuori dell'ar madio, mi sono ar- rampicata dalla finestra sulla scala antincendio, m i sono introdotta nell'appartamento vicino e ho chiesto alla signora che ci abita di na- scondermi. Le ho spiegato che qualcuno stava cercan do di entrare nel nostro appartamento e lei ha detto che dovevamo chi amare la polizia, ma poi li abbiamo uditi che se ne andavano. Abbiamo sentito il calpe- stio dei piedi per le scale, erano parecchi, e poi l'automobile è partita. Camminando avanti e indietro e cercando di raccapez zarsi lui si batte la canna della pistola sul palmo e dice:--Sen ti piccola, non so proprio che faccenda sia questa, può magari essere un falso allarme, ma... Sparare un colpo di pistola contro la porta i n pieno giorno non è

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uno scherzo. Se solo riuscissi a capire di che si t ratta! Non mi pare que- stione che riguardi n2e. Sa il cielo che di nemici me ne sono fatti abba- stanza, ma non in questa nazione. Nova, dimmi la ve rità: sei mai stata prima a Chicago?--Le si ferma davanti e la guarda n egli occhi. --Mai, caro, mai, finché non siamo arrivati qui due settimane fa. Qui non conosco nessuno all'infuori di te. Credimi, credimi! Lui le crede, come potrebbe farne a meno? Ma allora di che si tratta? Se lui fosse ricco dire bbe che hanno tenta- to di rapirla per chiedere un riscatto. Un errore d 'identità? Va bene ma per chi la prendono? Tutta la faccenda è un enig ma. Si chiede se dovrebbe affidare alla polizia il compito di sbrogl iarlo. Ma cosa può dire ai poliziotti? Qualcuno si è fatto passare per me con mia moglie al telefono, qualcuno ha cercato di entrare nel mio ap partamento mentre ero fuori. Messa così è una storia un po' debole. E comunque lui è un individualista, abituato a sbrigarsela da sé. Quest o enigma rappresen- ta una minaccia per Nova, quindi preferisce trarla dagli impicci lui personalmente. Inaspettatamente Tereshko gli telefona quella sera. --Pronto, sono Tereshko, O'Shaughnessy--dice.--Sono in un bar di S tate Street. b Vorrei concludere quella transazione di cui abbiamo parlato. Non po- ~ tete fare una corsa qui? Sarà affare di una decina di minuti. ~i _ Che è successo l'altra sera? Pareva che qualcosa l'avesse spaven- tato. Una risatella insincera.--Quando mai! Ho avuto solo un accesso di nausea e ho preferito correre in strada. Lui accenna a Nova di avvicinarsi, le accosta il ri cevitore all'orec- chio e mormora:--E questa la voce che hai udito le altre volte? Lei scuote il capo in silenzio. Lui dice:--No, francamente non me la sento di concl udere l'affare, diamoci un taglio. Tereshko non sembra prendersela affatto, forse non si rende conto di quanto ha chiacchierato quella sera.--Mi dispiace, ma in fondo lei è giudice delle sue cose. Comunque, venga per un bicc hierino, tanto per separarci all'amichevole. Venga solo. O'Shaughnessy decide subito che andrà, vuole metter e in chiaro una cosetta. La prima sera Tereshko aveva insistito per ché Nova li raggiun- gesse. Adesso vuole lui solo. Forse quel che gli pr eme veramente è che lei resti sola in casa. Forse c'è lui dietro tutta la faccenda. E allora biso- gna assicurarsene. Dice:--Preparati.--E per strada, un paio d'isolati più lontano:--Non sei mai stata al cinema, eh? Be', adesso ci andia- mo. Compra due biglietti, l'accompagna dentro, le cerca un posto. --Adesso non ti muovere di qui finché io non torno a prenderti.--Co- me con una bambina. --Va bene, caro. Non c'è ombra di Tereshko nel bar dove avrebbero do vuto incontrar- si. O'Shaughnessy aspetta venti minuti, poi va a ri prendere Nova. Mentre salgono le scale della loro casa lui stringe la pistola che ha in

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tasca.--Adesso credo di sapere chi è il nemico--sus surra fra sé e sé --anche se non so per quale ragione. La porta dell'appartamento è aperta. I due si scamb iano un'occhia- ta.--Pensavo... ti ho visto chiudere a chiave quand o siamo usciti-- balbetta lei. --Verissimo--assente lui cupo. Entra per primo, la pistola in ma- no. Non c'è nessuno.--Forse erano ladri--dice lui. Lei si allarma.--I miei vestiti! Tutte le belle cos e che tu mi hai da- to!--Lui sorride a quella reazione così femminile, la vede correre al- l~armadio. Si volta stupita. --Manca qualcosa? --No, ma... non ricordo che ci fosse questo, prima. --Gli mostra un ~ abito di seta nera. Un grande giglio è stato appu ntato sulla scollatura. L ~ Forse c'era e te ne sei dimenticata. Lei carezza il fiore con le dita.--Ma è vero. Non v endono vestiti con ~fiori veri. Certo, lui lo sa. Sa anche di che cosa è simbolo qu el giglio. Comincia a fischiettare una canzonetta:--Chicago, Chicago... Il campanile di qualche chiesa dall'altra parte del fiume suona dodici rintocchi.--Hai preparato tutto?--chiede lui piano. --Allora porto giù le valigie. Tu spegni la luce. Lei obbediente gli scivola dietro per le scale.--No n so quanto lonta- no potremo arrivare con cinquecento dollari--riflet te lui--ma è cer- to che non posso più lasciarti qui sola di giorno, e neanche posso trasci- narti in giro con me per tutta la città. Forse poss iamo trovare una stan- za dall'altra parte di Chicago... Nel vestibolo lui depone a terra le valigie, le fa cenno di restare lì un momento. Si dirige alla porta, spia al di fuori. Ni ente. La strada pare morta. Ma di colpo qualcosa gli sibila accanto, uscendo da l nulla. Qualcosa urta il muro dietro di lui, rimbalza ai suoi piedi. Lui non si china a ve- dere cos'è, lo sa benissimo. Ha già visto un sacco di volte quel genere di giocattolini. Niente sparo, niente lampo che mostri da quale direzione è venuto. Stanno usando silenziatori, naturalmente. Non si è mosso. Pssss! Un'ape o una vespa gli sfior a la guancia, lo punge, fa uscire una goccia di sangue. Rimbalza anc ora contro il muro, gli cade ai piedi. Questi insetti notturni dawero s embra che abbiano intenzioni serie. Lui rientra, si ferma appena dietro la soglia, spia ndo sempre la stra- da. Se solo potesse vedere un lampo, rispondere! In tanto rimane mez- zo dentro e mezzo fuori della porta di ferro battut o e vetro pesante. Si ode un suono simile a una martellata e il vetro s'incrina circolar- mente, sbilenchi raggi di ruota lo percorrono facen do centro a un buco rotondo. Un altro proiettile cade nel vestibolo. Due mani si aggrappano alla sua giacca, lo tirano i ndietro.--Caro, caro, no! Ti farai uccidere se resti qui! Oh, pensa a me!

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--Quella lampadina... soffocane la luce con la tua borsetta. Voglio vedere se colgo almeno un lampo. Ma lei si rifiuta, gli dice di farlo lui stesso. E quando lo ha trascinato all'interno del vestibolo gli si aggrappa, lo strin ge con tutte le sue for- ze.--No! No! Non ti lascerò tornare là... vuoi mori re? Che ne sarà di me?--Lui si arrende alfine, sa che altrimenti dovrà tornare indietro con lei attaccata addosso. · --Va bene, va bene Dev'esserci un'uscita secondar ia da questa ba- racca. Ma alla fine del lungo corridoio seminterrato, appe na lui esce in avanscoperta... ecco di nuovo insetti notturni sibi largli intorno, rim- balzare dal muro.--Aspetta un momento!--ordina lui tagliando cor- to ai suoi gemiti di protesta.--Credo proprio d i aver sbirciato qualco- sa. Sul tetto della casa di fronte.--Le fa cenn o di indietreggiare.--La lampadina su, la lampadina!--Questa volta lei o bbedisce, il corridoio si oscura dietro di lui. Impugna la pistola e l'alza lentamente, resta immobile, faccia rivol- ta al cielo. Una scommessa da giocatore: la sua vita contro la possibili- tà di colpire un lampo sei piani più su. Il suo pollice sinistro cerca la zampa di coniglio nel taschino, I'accarezza dis trattamente. A un'esile favilla lassù, dietro il cornicione , risponde il tuono del suo sparo. Il muro si scheggia al di sopra della su a testa e poi una figura ne- ra cade goffamente dal tetto della casa di fron te, urta l'asfalto con un tonfo sordo, fuori vista dietro il muro di cint a. Ancora lampi da lì, sei in fila, e un suono co me di sassolini che gran- dinano dove si trovano loro due. Ma O'Shaughnes sy è già al riparo nel corridoio.--Non ce la facciamo. Ce n'è un altro lassù, stanno facendo le cose in stile. Torniamo nell'appartamento. Salendo le scale lei si prende il viso tra le mani.--Quella caduta Spero che fosse morto prima di arrivare a terra --Oh, quello ha pareggiato un po' i conti--fa lui cinico.--Chi di spada ferisce Notte in un appartamento di Chicago. Lui dice: --La porta è chiusa a chiave e ho la pistola. Tu cerca di riposare un poco, tesoro, qui c'è tuo marito che ti protegge. --Ma prometti che resterai qui con me, non sce nderai di nuovo. --Prometto. Così lei si sdraia vestita sul letto e si addo rmenta, mentre lui fa la guardia alla finestra dalle tapparelle abbassat e, la punta incandescen- te della sigaretta nascosta dalla mano. L'uomo del latte arriva e neanche si sogna che la canna di una pistola sia a un palmo da lui dietro la porta, quando s i china a deporre la bot- tiglia. Nova dorme come una bambina. Così passa la notte in quell'appartamento di C hicago. L Tre ore dopo l'alba sono pronti ad andarsene. Adesso c'è abbastanza L gente per strada da dar loro una possibilità. S e non ce la fanno adesso, non ce la faranno più. La rete che è stata gett ata su di loro la notte pri- ma si richiuderà appena farà di nuovo buio. Lor o vogliono sbarazzarsi di lui, ma vogliono lei viva. Di questo lui è s icuro. Ma prima d'incamminarsi lui dice:--Un tassì è rimasto fermo lag- 13; giù all'angolo da quando ha fatto giorno. Io giurerei che c'è rimasto ~, tutta la notte. E lì non c'è pubblico postegg io. k --Credi che siano... Ioro? --Non me ne frega un accidenti se sono loro o no, q ui ormai mi man- ca il fiato, devo uscire all'aperto! Resta dietro d i me, e se mi vedi cade- re continua a camminare. Non è la prima volta che m i sparano. Sono quel tale penny falso che rispunta sempre fuori, te ne sei dimenticata? Appena mette la mano sulla maniglia, però, s'irrigi disce di colpo, co- me se un qualche suono indefinibile gli fosse trape lato dall'interno.

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--C'è qualcuno fuori--alita. Lei rabbrividisce.--Troppo tardi! Lui le fa cenno di metterglisi alle spalle, le fa s cudo col proprio cor- po; allunga la sinistra e gira la chiave, tenendo l a pistola puntata.--E aperto--dice a voce alta.--Entrate a vostro rischio e pericolo. Per un minuto il battente non si muove, poi cominci a a strisciare verso di loro. --Più in fretta o sparo!--Ma è lui a spalancarlo de l tutto con un calcio. Due braccia alzate sono la prima cosa che vedono. E poi che non c'è nessuno dietro la figura solitaria. O'Shaughnessy s i fa un poco indie- tro. L'uomo è un orientale, un cinese. Porta gli occhial i e ha i capelli ta- gliati cortissimi. Il cappello gli è caduto accanto . O'Shaughnessy:--E questo il posto che cercava? --Sì, se vuole permettermi di asciugarmi la fronte. .. --Che c'è, ha caldo? --No, ma il calore della sua accoglienza... --Bene, entri e chiuda la porta. Ci sono state brut te correnti tutta la notte. Il visitatore s'inchina, nervoso.--Permetta che mi presenti. --Con tutto il piacere. --Il mio nome americano è Lawrence Lee. Sono qui pe r farle una proposta interessante. --Ne ho avuta già una, grazie, un paio di giorni fa . --Ho faticato molto a trovarla... --E faticherà anche di più a perdermi, se dietro qu esta faccenda c'è lei. --Io rappresento il generale Yang. Sono il suo agen te di reclutamen- to negli Stati Uniti. Ha ordinato parecchi ottimi a eroplani e ha biso- gno di un buon istruttore. La sua fama ha raggiunto le sue orecchie. Posso offrirle un posto nel suo stato maggiore? O'Shaughnessy mantiene la pistola puntata, ma con l a sinistra acca- rezza qualcosa che sta nel taschino.--Da come la me tte può essere davvero un'offerta interessante. Se ci mettiamo d'a ccordo... --Mille dollari americani la settimana. --Mi prende per un novellino? Sa che sono già stato in Cina. Sono Penny O'Shaughnessy di Winnipeg, il suo generale no n può trovare il mio pari da nessuna parte. I coolies nelle loro ris aie si prostravano quando io passavo nel cielo.--Che lui possa star lì a contrattare con questa spada di Damocle sospesa sulle ~oro vite è.. . be', fa parte del fat- to che è O'Shaughnessy.

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--Duemila forse? --Ora quasi ci siamo.--Si volta verso di lei che gl i è ancora alle spalle.--Di, lo facciamo questo viaggetto?--Poi riv olge un ampio sorriso al cinese.--Suppongo che a Yang non interes serebbe un pilota morto. L'emissario, del tutto privo di senso dell'umorismo :--Un pilota morto non potrebbe servire al mio padrone in modo s oddisfacente. --Bene, avrò forse qualche piccola difficoltà ad ar rivare vivo alla Northwest Station e non posso prometterle di farcel a.--Sente lei stringerglisi contro tremando.--Tuttavia ecco cosa le dico. Lasci due biglietti per San Francisco pronti per noi alla sta zione. Se non ci fac- ciamo vedere a reclamarli, potrà sempre farseli rim borsare dalle ferro- vie... e trovarsi un altro pilota. --Li vuole per il treno di oggi? Sarà fatto. I bigl ietti del vapore la aspetteranno a San Francisco agli uffici della line a N.Y.K. Gradisce un anticipo di mille dollari? O'Shaughnessy risponde in cinese:--Non potrei mai f erire con un rifiuto la sua generosità.--Poi in inglese:--Non si rimetta il cappello uscendo, così che si veda bene la sua faccia. L'agente esce inchinandosi.--Felici atterraggi. Quando si trovano di nuovo soli lui le dice:--Parte nza per Shan- ghai. Il Coast Limited parte alle undici, così abbi amo giusto un'ora per farcela. --Ma come faremo a uscire di qui? --Ancora non lo so, ma ci riusciremo.--Lui torna al la finestra, sbircia nella strada fra le tende tirate.--Ecco Con fucio che se ne va senza che nessuno faccia caso a lui, non lo hanno m esso in relazione con me.--Poi:--Chi è la grassona che passeggia su e giù con un bar- boncino? --Oh, è la signora dell'appartamento accanto, press o la quale ho cercato rifugio l'altro giorno. Porta sempre a pass eggio i cani tutte le mattine. --Cani? Io ne vedo uno solo. --Ne ha due. Ma deve portarli giù uno per volta, se no litigano. --Ci sono!--esclama lui.--Aspettiamo che risalga. --Che vuoi fare? --A portar giù il prossimo sarai tu. Voglio per pri ma cosa che tu ar- rivi alla stazione sana e salva e che tu salga su q uel treno. Io li tratterrò qui. Tu chiamami appena sei sistemata... allora ten terò di raggiunger- _ Lasciarti?--geme lei. --In questo equipaggio sono io che dò gli ordini. E ccoia che arri- va.--Va alla porta, la ferma, la fa entrare con lui . La donna ha roton- dit~ abbondantissime e capelli accuratamente ossige nati sotto un enorme cappello le cui ali le ondeggiano intorno al la faccia infantile. --Abbiamo bisogno di un favore. Devo far uscire mia moglie da que-

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sto edificio e non posso farlo apertamente... ci sp iano. Vuole prestarci il cappello, il cappotto e il cane? L'altro cane, i ntendo. --Felice di prestarle cappello e cappotto, ma Fifi. .. Ia mia piccola Fi- fi... chi me la riporterà? --Mia moglie lascerà tutto al capostazione per lei, potrà riprendersi ogni cosa dopo. Le assicuro, la sua vita è in peric olo. Vuole far questo per noi? --Sì--fa lei guardando Nova.--Credo di capire. Ero sicura di aver già visto la sua faccia da qualche parte... sui gio rnali, sapete. Mi dica, com'era lui? Era cattivo come dicono? Ho sentito di re che faceva met- tere gente coi piedi in blocchi di cemento... --Basta così--dice O'Shaughnessy--sta prendendo un granchio. Per lo scambio bastano due minuti. Il cappello a la rghe tese nascon- de tutto tranne il mento di Nova. Lui le lega un pa io di cuscini intorno con lo spago, uno davanti e l'altro dietro sotto il cappotto, e intanto chiede scusa:--Senza offesa. --Oh, per carità--sospira la donna.--Lo so che sono grassottella. La cicciona resta nel loro appartamento, pensa che sarebbe una buo- na idea se "gli altri" la vedessero passare avanti e indietro dalla fine- stra, così da esser sicuri che Nova è ancora là. Qu indi sollevano un po- co le tende. Lui accompagna nel vestibolo Nova e il cane. Il loro com- miato è un misto di commedia e di tensione.--Io res to un momento dietro la porta e ti copro con la pistola. Non aver paura. Imita quel suo modo anatresco di camminare. Va' piano e bada al ca ne, come fa lei. Aspetta di arrivare a un paio d'isolati almeno da q ua, prima di acciuf- fare un tassì. E qualunque cosa succeda, non lascia r cadere quei cusci- ni sul marciapiedi. --Mio caro, mio caro, se non ti farai vedere io mor irò. --Ci sarò, tesoro. La grossa figura scivola fuori della porta, saltell a a passettini dietro il cane che tira il guinzaglio. Lui la segue con gl i occhi da dietro la por- ta semichiusa finché può, quindi torna sopra di cor sa, a guardarla dal- la finestra. Il cane si ferma. La figura sotto il cappellone asp etta con pazienza. Camminanounaltropoco,dinuovosifermano.--Dannatocane !--Im- preca lui, sudato dall'ansia. Finalmente, tra passe ttini e fermate, a tap- pe quasi impercettibili lei gira intorno all'angolo e lui non la vede più. Ora i suoi occhi sono fissi sul tassì immobile. Lei è scomparsa anche dalla loro vista. Se hanno qualche sospetto, se si mettono in moto per seguirla... Scorrono i minuti lenti e tesi. Lei ormai dev'esser e abbastanza lon- tana e quelli non si sono mossi. Ormai Nova dovrebb e essere sana e salva in tassì, in corsa verso la stazione. Quindic i minuti dovrebbero bastarle ampiamente, anche considerando il traffico e i semafori. Ce l'hanno fatta! Siede e fuma, aspetta pazientemente. La grassona è ancora lì con lui. Per lei è un romanzo con la R maiuscola, lo as sapora con più deli- zia di una scatola di cioccolatini.

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Ma di colpo, prima quasi che lui se ne accorga, ecc o che sono passati diciassette minuti e lei non chiama, e la sua calma lo abbandona a ogni boccata di fumo che esala. Venti minuti. Butta via la sigaretta, passeggia ner vosamente su e giù per la stanza.--Dovrebbe aver già telefonato, a quest'ora--dice. --Già--assente la grassona.--Non ci vuole tanto ad arrivare alla Northwest Station da qui. Venticinque minuti. Mezz'ora.--Forse il telefono è guasto.--Ma no. Lui scuote il pugno verso l'apparecchio, arde d i rabbia impotente. Adesso balza verso la porta come un leone incolleri to. Da una parte della sua faccia c'è una striatura di sudore.--Non avrei dovuto la- sciarla andare da sola... accidenti a me! Qualcosa è andato male. Non ce la faccio più!--dice con voce strozzata.--Vado d a lei... --Ma come farete a... --Spiccherò la corsa e sparerò se cercano di fermar mi.--E si pre- cipita fuori, con la grassona che gli ripete sollec ita:--Resto io qui. Se lei chiama. Le dirò che state andando... Attraversa il vestibolo con due ampie falcate, si g etta contro la porta come un centrattacco impegnato in un'azione. E il m odo migliore. Tiene la pistola in tasca: pronta, impugnata. Spare rà attraverso la fo- dera se necessario. Sbatte da parte il battente sen za rallentare e corre lungo la parete dell'edificio, testa e spalle abbas sate. Era dawero il tassì. Non ne proviene alcun suono, a lmeno non da tanta distanza, solo un lieve fumo azzurrino vi si diffonde intorno; po- trebbe essere quello dello scappamento se il motore fosse acceso. Lun- go la parete che sta costeggiando lo seguono lunghe file di schizzi... polvere e frammenti di muro... ognuno mezzo metro d ietro di lui, col- pendo il posto dove si trovava un secondo prima. Ma non lo raggiun- gono mai. Svolta l'angolo incolume, si gira fulmineo, spara u n colpo contro il tassì ora come aureolato di nebbia. Ha messo in mot o, si sta allontanan- do dal marciapiedi. Un tintinnio di vetri: probabil mente ha colpito il parabrezza. Vede la macchina oscillare come ubriaca e pensa che forse la pallottola ha danneggiato anche qualche altra co sa oltre al vetro. Quindi spicca la corsa lungo la strada senza aspett ar di vedere altro. In vista non c'è nulla che possa essergli di aiuto. .. un camion che avan- za lentamente, il furgone di una lavanderia. Ma la musichetta di una radio si sente da qualche parte dietro l'angolo: la radio di un tassì? Ci arriva in volata, si precipita all'interno e mette in moto il tutto quasi nello spazio di due sole note della canzone. E al v olanté lui stesso. Il guidatore sbuca costernato dal retro con in mano delle carte da gioco, strilla:--Ehi! Che le piglia? --Se non le va, si arrampichi davanti e guidi lei. Ho fretta, non ave- vo tempo di abbassare la passerella. --E questi altri? Nel retro del tassì ci sono altri due o tre autisti che lui ha rapiti men- tre giocavano a carte. --Gli facciamo fare un giretto.--A distanza di due isolati l'altra

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macchina è apparsa e sta accelerando. Mentre il gui datore gli si ar- rampica in grembo, O'Shaughnessy lo ammonisce:--Que ll'altro tassì là dietro non deve accostarcisi. Faccia quello che vuole, vada a zigzag, voli, ma non lo lasci avvicinare! O ci rimetterà le gomme. L'altro è allarmato.--Che ha combinato? Non mi piac e questa fac- cenda!--Ma esegue una curva che quasi li fa cappott are. Una serie di altre curve da capogiro e una combinaz ione di semafori in loro favore... è certo che la zampa di coniglio sta facendo gli straor- dinari... e si sottraggono dawero all'inseguimento. Mancano dodici minuti e mezzo alla partenza del tre no quando lui balza giù dal tassì alla Northwest Station, getta u na banconota da cin- quanta nel finestrino e si tuffa all'interno. Lo fermano alla barriera.--Biglietti, prego! --Non ne è stato lasciato uno per me? --No. --Allora mia moglie deve esserseli portati tutti e due in treno. L'ha per caso vista? Una bella bionda con un gran cappel lo... --A me le bionde sembrano tutte carine, oggi almeno non ne ho vi- sta una brutta. --Fratello, la sua vita amorosa non mi interessa, t utto quello che voglio è andare a vedere se posso trovarla... --Ehi, tornate indietro! Oh, I'agonia di quel selvaggio precipitarsi a capof itto in un vagone dopo l'altro gridando invano.--Nova! Nova!--Nessun segno di lei. Si precipita sopra di nuovo, a un chilometro al min uto, buttando qua- si a terra l'impiegato per la seconda volta. Otto m inuti al treno, ora. Allo sportello dei biglietti:--Due per la Costa... O'Shaughnessy... sono stati ritirati? --No, eccoli qui che la stavano aspettando. Non li ha ritirati ! Allora non è mai arrivata qui ! Sette minuti per tro- varla, in quella maledetta città! Di nuovo fuori de lla stazione si guarda attorno, non sa che fare. Sgomento e pericoloso... eppure impotente. Pronto a fare qualunque macello, ma ignorando da do ve cominciare. Istintivamente tocca, com'è sua abitudine, la zampa di coniglio. Ed ec- co, come il genio evocato dalla lampada di Aladino, un fattorino dal berretto rosso gli si accosta. Uno fra i molti che dardeggiano qua e là nella stazione, ma quello giusto, proprio quello gi usto fra tutti! --Tassì, capo? _ No. Un momento, ragazzo. Una signora bionda con u n gran cap- pello... hai visto una persona del genere arrivare qui nell'ultima mez- z'ora? _ Aveva un cagnolino tutto ricciuto? --Sì ! Sì!--Afferra il fattorino per le sp alle .--Dimmi che ne è stato di lei, per amor di Dio! Il ragazzo ride. --Le è successo un guaio, poveretta. Aveva dimenticato a casa i sol-

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t di per il tassì e il conducente non ha volu to sentir ragioni. L'ha presa per un braccio e l'ha portata al posto di p olizia. --Quale? _ Quella della stazione, credo. Ed è là che la trova quando fa irruzione d ue minuti dopo, seduta su una panca sotto l'occhio del sergente di se rvizio, cane e tutto. C'è an- che il tassista. --Abbiamo cercato di metterci in comunicaz ione con lei, giovanot- to.--Il sergente si schiarisce la gola con aria di complicità, gli strizza I'occhio, gli fa capire che non lo metterà nei guai. La moglie che parte in vacanza, un'altra donna che risponde al telefono: lui capisce. --Non ci siamo riusciti. t --Quanto devo? Abbiamo il treno in partenz a. --Due dollari e venti--dice il tassista. --Ecco. Tenete il resto per il disturbo Eccoli di nuovo correre all'entrata della stazione, sbarazzati del ca- ne e dei cuscini. Hanno tre minuti. Lui non si accorge che proprio in quel momento sta accostando al marciapiede un tassì dal parabrezza ~ fracassato. t ~ Non c'è bisogno di essere lettori del pensi ero perché quelli capisca- ' ~ no che direzione prenderanno le loro prede. Se intendono scappare dalla città, andranno a una delle stazioni. Così prima hanno perlustra- to quella di La Salle Street, ora sono arri vati a questa. Lui la trascina attraverso l'immenso atrio a volta a tutta velocità. r Un urlo improvviso dietro di loro:--Eccoli !--Cinque uomini li inse- guonO, uno con una benda insanguinata intor no al capo. ~j~ O'Shaughnessy non osa parlare, la stazione è piena di gente. Neppu- re i loro inseguitori DosSono, Però: non pe rché si preOcCuDinO di colPi- re qualcuno che non c'entra, ma perché stanno corre ndo troppo in fretta per mirare. Un facchino viene buttato da una parte, uno dei pi- stoleri inciampa nella valigia che quello ha lascia to cadere, ruzzola sul pavimento lucido eseguendo una magnifica caprio la. Sulle loro te- ste gli altoparlanti tuonano:--Coast Limited: Kansa s City, Denver, Salt Lake City, San Francisco, in carrozza. Lui la spinge attraverso la barriera che si sta chi udendo, getta i bi- glietti all'impiegato. Uno sparo e si vede la figur a in uniforme ripie- garsi in due: pure l'impiegato ancora tenta di tene r chiusa la barriera. Succede un putiferio: urla, gente che corre, polizi otti della stazione che convergono agitando i manganelli. Ma una figura è sgusciata via dalla confusione, li segue di corsa, la pistola in mano. Tereshko. O'Shaughnessy la issa in un vagone.--Prendi posto, bambina. So- no con te fra un minuto.--Il treno sta già sussulta ndo. La pistola di Tereshko fa fuoco, la pallottola port a via la L di El Do- rado, il nome della carrozza scritto a lettere d'or o e che scivola pian piano dietro le spalle del pilota. Tereshko non ha la possibilità di spa- rare un'altra volta. O'Shaughnessy gli è sopra d'un balzo, avventa un pugno che incontra a metà strada la mascella dell'a ltro mentre si pre- cipita verso il treno. L'uomo cade di schianto sull a piattaforma. La pi- stola gli cade di mano. O'Shaughnessy gli rivolge un saluto burlesco.--Ho u n treno da prendere, se no ti avrei conciato davvero!--Si volt a e afferra il corri- mano del penultimo vagone, si issa a bordo. Tereshk o fissa con occhi annebbiati il Coast Limited che si allontana. O'Shaughnessy si lascia andare, un po' stanco, sul sedile accanto a Nova. Apre le braccia, lei gli si abbandona sul pet to, lui la stringe con protettività feroce:--Tu sei la mia ragazza, per se mpre. Che si provi- no a toglierti a me!

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Pochi minuti dopo che il suo Bellanca ha baciato la pista dell'aeropor- to municipale di Shanghai, O'Shaughnessy è già al t elefono e chiede del Broadway Mansions, il residence dove abitano lu i e Nova. Sono sette settimane che manca dalla città, sette settim ane trascorse sulle montagne rosse dello Szechuan, il "selvaggio west" della Cina, pilo- tando intorno il grande generale Yang, buttando per lui qualche bom- ba e trasportando nell'interno parti di mitragliatr ici da Ichang, dove i trasporti fluviali s'interrompono. Non è un ufficiale o un combattente nell'esercito d i Yang, no: solo un pilota mercenario che rischia il suo apparecchio e il suo collo, pa- gato in dollari americani e che si prende una licen za di tanto in tanto. Come ora. Sette settimane è un sacco di tempo. E ancora vestito della tuta sgualcita e sporca, ner a di grasso con la quale è partito, ma sotto porta una cintura rigirat a due volte intorno al petto e una volta intorno alla vita, imbottita d i belle aquile d'oro solide aquile sostanziose, non più di corso legale a casa, ma buone co- me sempre in tutte le altre parti del mondo. Quindi cimila dollari; il suo salario di duemila dollari alla settimana e una gratifica di mille dollari per aver liquidato un carro armato il cui a spetto era antipatico a Yang. Niente male, un salario di duemila la setti mana. Ma sette set- timane è un sacco di tempo, da qualunque parte lo s i consideri. La voce di lei gli risuona all'orecchio vibrante di ansia. Ogni volta che il telefono suonava, Nova sperava che fosse lui ... ora finalmente è lui davvero. --O'Shaughnessy.--Un poema d'amore in una parola. L ei spesso lo chiama cosi. --Sono appena atterrato e porto con me quindicimila dollari di eli- sir di lunga vita. Apri la doccia, tirami fuori lo smoking e preparati per le celebrazioni! Si trattiene appena il tempo di veder sistemare il suo aereo come si deve, poi acciuffa un tassì all'entrata dell'aeropo rto.--Il quartiere bianco. In fretta. --Certo, capo--sorride il guidatore. Shanghai è più sofisticata di Chicago.--Salti dentro. La città è cambiata dall'ultima volta che ne è part ito, lo sente nel momento stesso che arrivano in periferia, attravers ano i congestionati quartieri dei nativi e passano il ponte al di là de l quale c'è il quartiere bianco. Shanghai si sta preparando per la sua distr uzione, senza sa- perlo. E una città che danza sull'orlo della tomba. Nell'aria c'è una tenSione elettrica, mai si è vista intorno tanta ga iezza, tanta eccitazio- ne. Le strade che convergono nel Bund sono uno sfol gorare d'insegne al neon vistose, accecanti, che alternano gli ideog rammi ai caratteri latini a vista d'occhio. Ingorghi di traffico a ogn i incrocio, vigili che sofffiano nei loro fischietti, marciapiedi affollat i, l'urlo dei sassofoni ~ dai locali notturni, e nel cielo le febbrili stel le d'oriente e i riflettori in- r~ crociati delle navi da guerra ancorate nel Whang -poo. E la città giu- sta, la notte giusta per avere la più bella ragazza del mondo e quindi- cimila dollari tutti in una volta. Davanti a una gioielleria di lusso lui dice:--Ferma un momento.

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Balza dentro, esce con un solitario in tasca. Il grattacielo del Broadway Mansions gli sta davant i. Lui conta le fi- nestre fino al decimo piano, ne conta tre dall'ango lo. Illuminate, in at- ~tesa di lui. Butta all'autista cinque dollari. L'ascensore sembra strisciare, lui avrebbe voglia d i saltarne fuori e spingerlo. Una coppia inglese guarda con disapprova zione la sua tuta sporca. Il ticchettio dei passi di lei dall'interno si confonde con la lun- ga falcata di lui nel corridoio. --Riconoscerei i tuoi passi anche con un tampone ne lle orecchie! --Sta' attenta, ti macchierai di grasso da capo a p iedi. Entrano abbracciati, parlando insieme.--Pensavo che non tornassi mai, stavolta! --Diamine, come ti sei vestita in fretta. Ti trovo già pronta per usci- re. In realtà non lo è, sono i guanti che lo traggono i n inganno. Lei porta uno scintillante abito d'argento, lunghi guanti bia nchi, ma è in panto- fole. E ha ancora i capelli sciolti. Lui ride.--Ma come, ti metti i guanti prima delle s carpe? Un'ombra le oscura il viso per un istante, ma subit o lei si rischiara, arrossisce.--Oh, saperti finalmente tornato mi ha c osì scombussola- ta... Lui fa la doccia in fretta, salta nello smoking. La sorprende proprio nel momento che lei sta litigando con un paio di sc arpine d'argento... appena in tempo per afferrare l'espressione agonizz ante che sbianca quel viso così bello. Ma eccolo ridiventare immedia tamente sereno. --Che c'è... troppo strette? Mettine un altro paio. --No, no, non è questo, mi vanno bene. E solo che h o i piedi un po' gonfi, fa tanto caldo. Lui abbandona l'argomento. --Suvvia, dove vogliamo andare? Astor House, American Club, Jockey Club?--Di nuovo ride quando la vede inondarsi di costoso profumo, vuotandosi lette ralmente addosso la bottiglia.--Oh, a proposito, forse sarà meglio c he ci trasferiamo da un'altra parte. In questa casa ho l'impressione che ci siano dei proble- mi con le fognature, si sente un odore strano qui d entro... come di pu- trefazione... Ora per un fuggevole istante il viso di lei è strav olto dall'espressione disperata dei condannati. Nova gli si aggrappa al b raccio con selvag- gia urgenza.--Andiamo, andiamo. Usciamo, caro. E un a notte così bella e tu sei di nuovo qui con me e... Ia vita è t anto breve! L'atmosfera di tensione elettrica che pervade la gr ande città sull'or- lo dell'abisso è più percettibile che mai nel cabar et tenuto da russi bianchi dove vanno a finire. Si chiama, non del tut to incongruamente, New York. Infatti non pare per nulla di essre in Ci na. Una bionda pla- tino dagli occhi a mandorla ha appena finito di gua ire, con un accento da Mott Street, I'ultimo successo di Broadway. O'Shaughnessy riconduce Nova al tavolo scusandosi:- -Lo sapevo di non essere proprio tagliato per ballare, ma non credevo di essere un tale disastro finché non ti ho guardata in faccia p oco fa. Avevi un'e-

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spressione come se stessi sul cavalletto di tortura . Perché non me l'hai detto, bambina... --No, non eri tu, caro...--ansima lei fievolmente.- -Sono... sono i miei piedi che mi stanno uccidendo. --Però ho qui qualcosa che ti guarirà. Ci siamo vis ti poco ultima- mente, signora O'Shaughnessy, ma ora che sono torna to... vedrai co- me apprezzo la mia splendida moglie.--Tira fuori di tasca il solitario da tremila dollari, glielo mostra.--Togliti il guan to, tesoro, e fammi vedere che figura fa questo faro sulle tue belle di ta... Il viso di lei è una livida maschera di angoscia. L ui le prende la de- stra.--Su, togliti il guanto. Il gesto fulmineo, terrorizzato con cui lei gli sot trae la mano la tra- disce. Il sorriso si cancella lentamente dalle labb ra di lui.--Che suc- cede... non vuoi il mio anello? Stai cercando di na scondere qualcosa, con quei guanti? Li portavi quando ti sei pettinata , li portavi perfino quando hai messo la cipria... Che c'è sotto? Toglil i, lasciami vedere. --No, caro, no! La voce di lui si fa dura.--Sono tuo marito, Nova. Sfilati quei guanti e laciami vedere le tue mani. Lei si guarda intorno agonizzante.--Non qui, amore mio! Oh, non qui ! I singhiozzi le lacerano il petto mentre cerca di t irarsi via un guan- to. Ha gli occhi brucianti di supplica.--Soltanto u n'altra notte, dam- mi soltanto un'altra notte...--sussurra con voce ro tta.--Ripartirai di nuovo da Shanghai tra così poco tempo! Non guard armi le mani, caro, se mi amn.. Il guanto scivola finalmente, cade sul tavolino e d i colpo lui sente un gelido orrore penetrargli il cervello, batterlo, sc onvolgerlo, annientar- lo. L'impatto spietato lo fa barcollare sulla sedia , tanto che deve ag- grapparsi ai braccioli per resistere alla vertigine . O_uello che vede è un artiglio... due delle dita ha nno le estremità già denudate di carne fino alla seconda falange; ad alt re due non ne aderi- Scono che pochi brandelli avvizziti, esangui, putre scenti. Solo il polli- ce è intatto, ma ha già un aspetto malsano, gonfio e floscio. La mano di un cadavere, la mano di uno scheletro... su un corp o vivo. Un corpo che solo poco fa era tra le sue braccia, sulla pist a da ballo. Un odore nauseante, la puzza del decadimento, della tomba, avvol- ge ora i due. Una donna indica la cosa dal tavolo vicino, urla. L 'ha vista. Si na- sconde la faccia, si rifugia contro la spalla del s uo compagno, rabbrivi- dendo. Ecco che anche lui la vede e di colpo il col letto della camicia pare essergli diventato troppo stretto. Anche altri vedono, a uno a uno. Una nube di terror e impalpabile sembra spandersi all'intorno, dalla cosa orribile c he giace lì, in piena uce, sul tavolo di O'Shaughnessy... Io scheletro al la festa! Smarrita lei mormora in quel silenzio sgomento:--Vo levi che met- tessi il tuo anello caro...--e lo fa scivolare sull 'osso denudato che sporge come una protuberanza nodosa dalla sua mano. L'anello è len- to, scivola alla base della cosa e vi rimane appeso , rutilante di baglio- ri. Un orrore inconcepibile, quel brillante sul dit o di uno scheletro.

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L'ipnosi si spezza; forse è lo scintillio dell'anel lo che provoca quel- l'effetto, liberandolo, restituendolo a una sembian za di controllo su se stesso. E così colposo e reale, così fuori posto. N on può parlare ma di colpo afferra Nova, I'attira a sé, le loro sedie si rovesciano, le coppe di champagne s'infrangono sul pavimento. Con un lembo della giacca lui avvolge e nasconde la cosa che è stata la sua mano, se la stringe al pet- to, trascina via la donna avvolgendola della protez ione del suo brac- cio. Passano lasciandosi dietro il bagliore di un a bito d'argento, un ali- to di gardenia, un soffio di decomposizione. La mor te è stata portata via da quel luogo dove i viventi si divertono. L'an ello scivola dalla scheggia d'osso insufficiente a trattenerlo, rotola dimenticato a terra. --Non così in fretta, caro--ansima lei.--Anche i mi ei piedi... sono così. E le ginocchia. Dopo, nel tassì che sfreccia attraverso le ironiche costellazioni che un'ora prima erano il Bund, lei dice:--La vita è st ata bella, comun- que, finché è durata. Solo starti vicina è stato... è stato tutto per me. Lui ripete ciò che ha già detto una volta:--Nessuno ti toglierà mai a me, nessuno! Il medico inglese dice:--Mi pare che non sia niente di buono, sa vecchio mio... O'Shaughnessy ringhia qualcosa tra le labbra livide . Il medico tedesco dice:--Non ho mai visto nulla di simile. Questo caso diventerà sensazionale! --Il caso magari sì, ma che ne sarà di lei? Questo m'interessa! --Caro signore... --Ho capito. Mandatemi la parcella. Il medico americano dice:--C'è un'infima possibilit à... quella che voi chiamereste mille a uno... che l'olio di chaulm oogra possa farle be- ne. --Ma non avevate detto che non era lebbra? --Non lo è infatti. Forse è un'oscura malattia cine se di cui nessuno di noi ha mai sentito parlare. Sembra che lei stia diventando un cada- vere vivente. Gli organi intemi sono intatti, per o ra, lo dimostrano gli esami; è la muscolatura esterna che si sta decompon endo. Se il proces- so continua... e pare che non possiamo far niente p er fermarlo... ci ri- troveremo con uno scheletro vivente! Allora, però, naturalmente lei morirà. Il medico francese... i francesi sono tipi razional i e quindi buoni dot- tori... dice:--M'sieu, temo che i miei colleghi non abbiano considera- to la cosa dal giusto punto di vista... Il viso sciupato di O'Shaughnessy s'illumina.--Cosa può dirmi? --Solo questo: non c'è speranza. Sua moglie è perdu ta. Se è un uo- mo compassionevole... noti, non le do questo consig lio come medico ma da marito a marito... vada in una fumeria d'oppi o di Chapei, ne compri una quantità sufficiente e...

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O'Shaughnessy risponde con voce soffocata:--Non son o uno che si dà per vinto. Non voglio abbandonare la partita. C'è una grande pietà negli occhi del medico.--Vada a Chapei, mon ami. Ci vada stasera. Lo dico per amore della sua s anità mentale. Che non resisterà alla vista di ciò che si presenterà a i suoi occhi tra qual- che settimana. Il pilota pronuncia due volte il nome di Dio, si na sconde il viso col braccio ripiegato. Il francese gli mette una mano s ulla spalla.--Mi rendo conto di ciò che ha tratto in errore gli altr i. Hanno cercato una malattia dove non esisteva malattia alcuna. Lei non è malata, è lo sta- to stesso della morte che la possiede. Come dire? Q uella carne che si va decomponendo, che imputridisce, è paradossalment e tessuto sano. Il microscopio non mente. Vede è come quando una pe rsona viene uc- cisa, diciamo, da una pallottola. Per tutto il rest o è sana, no? Pure gia- ce nella tomba e la natura dissolve la sua carne. E cco quel che abbia- mo qui: l'effetto senza la causa... Dopo qualche tempo O'Shaughnessy scopre la faccia, si alza, si av- via lento alla porta.--Lei almeno è onesto--dice.-- Bene, la scienza medica mi assicura che è come se lei fosse già mort a. Ma io non mi ar- rendo. C'è ancora un modo. Il dottore fa una spallucciata, sfiduciato.--Quale? A che modo pen- sa? A Lourdes? --E un modo spaventoso--risponde lui--ma ora è l'un ico. Barcolla fuori nel sole smagliante, erra senza meta , sprofondato nel- la sua disperazione. E a un certo momento si trova a tremare da capo a piedi, improvvisamente. Paura. Di nuovo ha paura, per la pirma volta da qua ndo era un ra- gazzino. Prova quella paura che aveva creduto di no n poter conoscere mai più. Quella paura che nessun'arma, nessun peric olo, nessun cata- clisma naturale sono stati capaci d'ispirargli fino a questo momento. Eccola ora che gli scorre gelida per le vene nell'a fa pomeridiana. Pau- ra per la donna che ama, l'unica paura che possa sg omentare total- mente un uomo coraggioso. Paura del modo, il modo di cui ha parlato al dottor e. Paura di ciò che esso implica. Alle sue orecchie risuona ancora la voce folle, urlante nelle tenebre:--Tornerete da me strisciando, a supp licare perché vi aimi! Quella sarà la mia rivincita! E la sua risposta! Oh, non è la certezza che la sua vita farà parte del prezzo che gli verrà richiesto a farlo tremare; né qualunque orrore, qualunque tortura che la mente di un pazzo possa es cogitare d'inflig- gergli per vendicarsi. Lui è pronto a sopportare tu tto col sorriso sulle labbra per dare a lei un'ora, un giorno, una settim ana di vita in più. Ma teme ciò che verrà dopo, ciò che lei dovrà affro ntare sola, senza di lui. La barriera di filo spinato che la imprigioner à con un maniaco, che la terrà rinchiusa come un animale in gabbia do po che lei ha cono- sciuto il mondo. Meglio se l'avesse lasciata lì com e l'aveva trovata... Ma il modo è quello e non ne esistono altri. E una volta raggiunta la decisione il tremore lo abbandona. Non vaga più sen za meta. Può guardare in faccia il destino senza paura. Ha in tasca i biglietti del piroscafo, quando torna al Broadway Man- sions. Su tutto il corridoio, dall'ascensore alla p orta del loro apparta- mento, indugia pesante una nuvola di profumo... per nascondere un

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odore molto diverso. Lei è distesa sul letto, sostenuta da cuscinit e un a cameriera cinese le fa vento. Lui sobbalza, si arresta sorpreso. Il folle tempo del suo sbi- gottimento sembra esser tornato indietro a quella t erribile notte, quando lui era arrivato dalle montagne dell'interno ... e non sapeva nulla ancora. Perché lei è bellissima come sempre m a anche compo- sta, serena, quasi sorridente, cancellati i segni c he la coscienza della fine orribile le aveva incisi sul viso. --E arrivata la maschera.--Dice lei con voce lievem ente risonan- te. E quella che porta e che lui vede: una riproduz ione perfetta dei suoi lineamenti, cesellata da un abilissimo artigiano ci nese dietro richiesta di lei. Ha implorato terrorizzata che gliela facess e fare prima che il suo viso diventasse irriconoscibile. Non per se ste ssa, ma per l'uomo che ora è lì e la guarda... I'uomo al quale la vita e l'amore hanno sorri- so e al quale la vita e l'amore, e il sorriso insie me, sono stati strappati. Con un gesto lui accenna alla cinese di uscire. Quando sono soli Nova chiede, indifferente come se volesse sapere che tempo fa:--C'è speranza? --Non qui.--Non è la prima volta che la domanda e l a risposta si ripetono, quindi non c'è più trauma. Lui vede un sacchetto di tela pesante sul comodino accanto al letto. --Cos'è? --Un altro agente di Yang è venuto mentre eri fuori . Ha lasciato dell'oro per te, e insieme la minaccia appena velat a che il tuo té sarà molto amaro se non ti ripresenti subito. Credono ch e tu voglia pian- tarli. Meglio che torni da loro, carissimo. --Neanche per sogno, tesoro. Ho venduto l'aereo. To rniamo negli Stati Uniti. Ti riporto da Denholt. Lei rimane in silenzio molto, molto a lungo. Lui la vede rabbrividi- re, irrefrenabilmente sotto la pesante vestaglia di broccato, come era successo anche a lui nella via assolata. Le siede accanto.--Nova, ormai sei con me da quasi un anno. Hai conosciuto tante ragazze della tua età, sai che nes suna di loro ha im- parato a parlare e a camminare tardi come te. Evide ntemente a te è accaduto qualcosa di grave, e un solo uomo al mondo sa che cosa sia e come rimediarvi. Quelle iniezioni... non capisci or a che lui con quelle ti manteneva in vita? Non abbiamo alternative: dobb iamo tornare da lui e avere il suo siero.--Amaramente tira fuori un a valigia e l'apre. Aggiunge:--Non fui così furbo come credevo allora. Avrei dovuto sa- perne di più. E questo che ci ha sconfitti... Discendono il Whangpoo fino allo Yangtse, fino al M ar della Cina. Ormai la loro è una corsa contro il tempo, una cors a contro la morte. E le probabilità paiono tutte contro di loro. Hanno d a valicare il più grande oceano della terra, quindi un intero contine nte da ovest a est. Ci vorranno come minimo tre settimane. Potrà lei so pravvivere tanto a lungo per pura forza di volontà? O hanno aspettat o, come sciocchi, finché non è stato troppo tardi? E poi, come posson o esser sicuri che il soccorso li attenda alla fine del lungo viaggio, pe rfino il soccorso che ambedue temono tanto? Forse Denholt se n'è andato: e come ritrovar- lo in tempo? O la sua pazzia può averlo sopraffatto . Forse in quello stesso istante lui è stretto in una camicia di forz a, il suo cervello anda- to. Sì, le probabilità a loro favore sono ben poche . Ma... almeno esisto-

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no. Lei è allungata su una sdraio sul ponte, avvolta fi no al mento in pe- santi coperte; il bellissimo viso della maschera tr a i capelli d'oro non sorride mai, non è mai triste, non cambia. Solo gli occhi sono vivi, e la voce. Lui segue sulle carte il loro progresso quoti diano. Torna a fare i calcoli cento volte al giorno, pregando di poter av anzare di qualche millimetro la linea in inchiostro rosso che segue i l percorso del piro- scafo. Kobe. Cattive notizie. Un giornale anglo-giapponese si è impadroni- E to della loro storia e l'ha stampata. Deve averla pescata da indiscre- zioni circolanti a Shanghai. La paura di lei emerge perfino attraverso la maschera.--Ecco. Lo sanno. "Bellissima donna in preda a una morte vivente. Il primo caso al mondo di simile mal e. Il marito la sta portando a casa..." ~ Un lungo singhiozzo profondo.--Non vedi? I giorna li americani se F~ ne impadroniranno, seguiranno la nostra storia m inuto per minuto, le E daranno la massima pubblicità. E c'è il tuo nome. Queui che volevano farci del male sapranno che si tratta di noi, sapra nno che stiamo tor- nando indietro. Aspetteranno che sbarchiamo, poi... non ce la faremo mai, mai. Oh, caro, torniamo indietro! Lasciami mor ire in Cina... che ~_ differenza fa? Ti ho già provocato abbastanza do lore, non lasciare che S io sia causa di... Lui la prende fra le braccia, la tiene stretta.--Se mbra proprio che tu non abbia una grande stima della mia abilità a p rendermi cura di noi due. Involontariamente lei tende una mano per carezzare il viso chino sul suo; ma subito ricorda e lascia ricadere l'arti glio inguantato. Passano i giorni. La storia si è sparsa ora, e il p iroscafo è un alveare ronzante di curiosità. La gente trova tutti i prete sti per accostarsi alla sdraio di lei, per passarvi davanti in modo da pote rsi poi voltare e sbarrare gli occhi. O'Shaughnessy sente due uomini scommettere che lei non raggiungerà viva San Francisco. Un pomerigg io Nova cerca di fumare una sigaretta per tenerlo un po' su. Aspira attraverso le labbra della maschera, il fumo esce dall'attaccatura dei c apelli, dalle tempie, da sotto il mento. Un cameriere a quella vista lasc ia cadere un vassoio di bicchieri pieni. Dopo di ciò lei non si muove pi ù dalla cabina. Tremila anni dopo sono a Honolulu. Collane di fiori e mandolini sul ponte, nella cabina in penombra un essere muto e im mobile, saturo di profumi, coperto di fiori freschi come se fosse già nella bara. E troppo doloroso oramai forzare i piedi scarnificati a regg ere il peso del corpo per più di pochi istanti alla volta, anche se sono awolti in bende. I giornalisti cercano di forzare l'ingresso per veder la. O'Shaughnessy deve usare i pugni per tenerli a distanza. Di nuovo in mare per l'ultima tappa del viaggio. Ta lvolta lui si chi- na su Nova, le sussurra come l'allenatore di un pug ile sfortunato che ha concluso la ripresa in svantaggio:--Puoi farcela . Solo un altro po- co, tesoro. Fallo per tuo marito.--Talvolta a notte alta sale sul ponte e scuote il pugno chiuso... a che? Al piroscafo, al l'oceano sconfinato, all'orizzonte che non si avvicina mai, alle stelle indifferenti? La zampa di coniglio gli è rimasta praticamente in mano per tutto il

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viaggio. E ormai completamente spelacchiata dallo s trofinio del suo pollice, che ha sviluppato quasi il tic di ripiegar si verso il palmo muo- vendosi come a carezzare qualcosa.--Ce la faremo, i o e te--sussurra lui, torvo, al suo portafortuna. Finalmente San Francisco. Gettano l'ancora nella ba ia... ce l'hanno fatta! Tutti e tre, lui, lei e la mascotte. Dietro la maschera risuona an- cora una voce: debole, senza fiato ma viva. E sono ancora vivi gli occhi nella doppia cornice delle ciglia, quelle vere e qu elle artificiali. Lui ha telegrafato dalle Hawai per fissare un aereo , che ora è pronto e lo aspetta all'aeroporto laggiù a Oakland. Riesce a far passare Nova, distesa in una barella, attraverso la massa solida di giornalisti che si accalcano sui ponti, giù per la passerella, mentre i flash lampeggiano intomo a loro come costellazioni. La solleva e la p orta in un'automo- bile in attesa davanti alla dogana, e ancora i gior nalisti sono intorno a loro come un branco di segugi latranti. C'è solo un uomo che non lo mitraglia di domande, non dice una parola... lancia solo una lunga oc- chiata al bellissimo viso sul corpo avvolto nel boz zolo di coperte che viene trasferito dalla barella alla macchina, e poi si tuffa nella più prossima cabina telefonica. O'Shaughnessy non gli è abbastanza vici- no da sentire che l'uomo fa una chiamata interstata le... Ecco l'aereo, con un secondo pilota per darsi il ca mbio con lui. Sono in volo verso est.--E non atterriamo né per la neve , né per la pioggia, né per la nebbia, né se il motore ci pianta, finché non si arriva a Loui- sville--dice O'Shaughnessy. Per tutta la giornata sfrecciano nello spazio.--Ha quella mappa del Kentucky che le ho chiesto di procurarmi? Infine localizza la montagna, vi traccia intorno un grosso cerchio. --Atterriamo qui, esattamente. --Ma su quale pista? Ce n'è almeno una? Sarà buio m olto prima che ci arriviamo--protesta il secondo pilota. --Atterreremo in quel punto-- è la risposta implaca bile di O'Shaughnessy--quando pure dovessimo far diventare questo aereo una catasta di stecchini. Qui, verso l'orlo del cer chio, dove questa stra- da secondaria si diparte dalla statale e sale verso ovest. E il punto più vicino che possiamo raggiungere. --Si metta in contatto radio con una delle città pi ù vicine, fissi una macchina che l'aspetti in quel punto, allora. Farà prima. --Già, ha ragione--annuisce lui. Comincia a chiamar e il capoluo- go della contea. Nova scuote la testa. Lui le si china accanto per s entire cosa vuole dirgli.--Se indichi per radio il posto dove vogliam o atterrare... può essere che tu lo faccia sapere anche a loro. E ci s aranno addosso... --Come possono batterci in velocità, a meno che non siano già nelle vicinanze? --Ma è questo il fatto, potrebbero esserci. Tu hai telegrafato da Ho- nolulu e hai chiesto una carta di questa contea. Lo ro possono aver in- tercettato il messaggio. E se ora si trovano nel ra ggio della nostra ra- dio, sapranno in che punto esatto dovranno trovarsi . --Ci si trovino e il diavoli li porti!--è tutto que llo che lui risponde.

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Manovra i pulsanti.--Pronto, Wellswille? Qui un aer eo privato in vo- ~ lo verso di voi con a bordo un passeggero mortalm ente malato. Abbia- t~j rnO urgente bisogno di trasporto a terra... Allò, qui Wellswille. Qui Wellswille. Non abbiamo c omodità ~adatte al vostro caso. --Non chiediamo un ospedale per il paziente. Ci ser ve solo un mez- 174 ~ 175 zo di trasporto. Voglio un'automobile nel punto dov e la statale dician- nove incrocia l'autostrada. --Be'... non saprei. --Avrà letto i giornali ultimamente--latra lui.--Io sono Penny O'Shaughnessy!... Sì, sì quello della ragazza in pr eda alla morte viven- te, se proprio vuole saperlo! Ora me la manda una m acchina dove le ho chiesto? --Vengo io personalmente. --Non vogliamo pubblicità, venga solo. Dovremmo ess er lì per le dieci. Inclini i fari verso l'alto per farci da gui da, continui ad accender- li e spegnerli a intervalli di due minuti, dovremo atterrare a buio pe- sto. Se ce la facciamo senza trasformarci in fritte lle, si tenga pronto a partire istantaneamente. Non ci venga meno, una vit a umana è in pe- ricolo e questa è la sua unica possibilità. Un'ora dopo il tramonto Louisville è un tappeto tem pestato di pun- tini luminosi, con lunghe linee occhieggianti che s e ne dipartono in li- nea retta come collane di perle scintillanti. Si di rigono a sudest, verso il confine col Tennessee. Alle nove avvistano una linea continua di punti lum inosi, dritta co- me una freccia. La seguono, volando ora così bassi che i fari di qualche macchina in viaggio per l'autostrada sembrano sfior are il ventre del- I'aereo. E dopo trenta o quaranta minuti appare una lucciola nella campagna buia. Si accende, si spegne, si accende, s i spegne... O'Shaughnessy afferra per le spalle Frazier, il sec ondo pilota, giubi- lante.--Ha visto? Mi dia i comandi! A me riuscirà.. . niente può andar- mi sbagliato ora! Girano in una spirale sempre più stretta, si abbass ano quasi a tocca- re il tetto dell'automobile in attesa.--Si tenga fo rte!--esclama lui e porta brevemente una mano alla tasca dov'è chiuso i l suo portafortu- na. La terra sale a incontrarli, liscia e nera come una lavagna. Un urto, un sobbalzo, ancora un sobbalzo, un breve tratto di corsa sul carrello, una frenata. Lui spegne il motore. L'automobile che li aspetta ha abbassato i fari per far loro da guida. E in un campo. Portando Nova a braccia, i due piloti vi si dirigono se- guendo un sentiero di luce. Il guidatore scende, ai uta O'Shaughnessy a sistemarla sul sedile di dietro. Ed ecco che una sa goma scura e immo- bile appare un poco più su, ombreggiata dagli alber i che la nascondo- no quasi completamente... si materializza come una seconda macchi- na, ferma, oscurata, apparentemente deserta. Frazier, che si è fatto da parte, di colpo grida:-- Ehi, qui nel fosso c'è il corpo di un tizio..

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--Pigliatela calma, fratello--esorta una voce. Un l ampo arancione parte da un punto proprio dietro la prima automobil e. Un'esplosione infrange la quiete della notte, e il pilota si pieg a verso la strada come se ci fosse una moneta e lui languidamente si china sse a raccoglierla. O'Shaughnessy non aspetta di vederlo cadere. Balza verso Nova, vuole strapparla da quella macchina che è una trapp ola. Ma al di so- pra del corpo di lei aleggia l'ovale sfocato di un altro viso, rivolto ver- so di lui. _ Neanche per sogno--dice una voce ironica.--Lei vi ene con noi. si ricomincia da dove c'interrompemmo quella notte. .. e stavolta non ci lasceremo imbrogliare! Un secondo lampo balza ora verso O'Shaughnessy. Per un'infima frazione di secondo il mondo intero pare immobilizz arsi. Poi si sente la detonazione della pistola, un urto immenso lo sq uassa in tutto il corpo come se fosse finito a capofitto contro un mu ro di pietra, e un oceano di dolore lo inghiotte. Una voce indistinta dice dall'ombra, mentre il suol o gli si alza velo- ce incontro:--Finitelo voialtri! Ormai mi succede d i non fidarmi più che siano morti dawero, anche se sembrano proprio c adaveri! Tre comete dardeggiano verso il corpo giacente a te rra. Frammenti di asfalto gli esplodono accanto alla tempia. Un fe rro rovente gli tra- passa il fianco, mentre qualcosa come una martellat a gli percuote la spalla. Sente la propria bocca aprirsi: forse tenta di dire qualcosa. Da lontano, molto lontano, due voci lo raggiungono: --Hai sentito E dove volevano andare? --Sì, e pare proprio una buona idea... Sopra di lui il motore ronzante scoppia in un ruggi to, I'aria che cer- ca di respirare gli viene sottratta, una nuvola di polvere e brecciolino lo avvolge. Vede una luce rossa allontanarsi; ecco, ora è sparita. Lui è solo, solo con il pilota che giace più lontano e un altro tizio che non ha mai visto, al quale ha solo parlato per radio. Vorrebbe tanto addormentarsi... morire... Io chiama no... ma non può. Qualcosa lo disturba, lo tiene sveglio. Q ualcosa che deve assolu- L tamente ricordare. Non si tratta di Nova né de l pilota, si tratta di quell'altro tizio, I'estraneo. Improvvisamente ricorda. Il tizio aveva una m acchina. L'aveva por- tata per lui. Adesso è morto, ma l'automobile è ancora lì, nascosta sot- ~ to gli alberi. L'ha vista con i suoi occhi. E Deve arrivare a quella macchina. Lui magari s arà mezzo morto, ma ~- la macchina può portarlo dove deve andare. E d eve andare da Nova, dovunque essa sia. F o Per prima cosa si rotola prono, e un mucchio di roba bagnata e cal- da gli esce dalla spalla, dal fianco e dal pet to. Questo gli fa capire che il suo corpo è ancora vivo, perché duole come un accidente. Si butta dalla parte sana, puntella a terra il braccio intatto che gli è rimasto per utilizzarne la spinta. E riusCitO a girarsi in cerchio e vede il tiz io, poi il pilota, poi l'auto- mobile. Comincia a trascinarsi in quella direz ione. Sa bene che è inu- tile tentare di mettersi in piedi. Si ferma accanto al pilota, lo tocca, lo scuote un poco. Frazier si muove appena, geme appena. O'Shaughnessy si muove centimetro a centimetro ver so l'automobi-

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le. Si muove come un verme, contraendosi e raddrizz andosi, contraen- dosi e raddrizzandosi; ma non come un verme sano, p iuttosto come un verme che qualcuno abbia schiacciato. Lascia dietro di sé una traccia umida sull'asfalto. E facile rizzarsi fino al predellino, ma arrivare attraverso chilometri di sportello lucido alla maniglia è un'altra cosa. Ci riesce, chissà come. Il finestrino è abbassato, per fortuna, una mano su lla cornice lo aiuta a sostenersi. Si lascia cadere sul sedile. La luce dei fari ora illumina in pieno i due corpi giacenti. La mac- china traballa, sbanda, si raddrizza. La corrente di aria fredda dai finestrini toglie u n po' di ragnatele dal suo cervello intontito. Ora sa dove quelli sono and ati, dove seguirli. "Hai sentito dove volevano andare?n ha detto la pri ma voce, e la se- conda ha risposto che sembrava una buona idea. Ecco finalmente il sentiero di terra battuta che s 'interseca con la strada e porta i segni del passaggio recente. Così ripido e pieno di cur- ve è difficile da percorrere con un braccio solo a tenere il volante La barriera di filo spinato ora corre da un lato d ella salita. Lui si chiede se Denholt sia ancora dietro quel riparo. Ma ecco che vede la cinta afflosciata a terra e una larga breccia al po sto del cancello, e sa come quelli abbiano fatto a entrare. Entra anche lui, frena solo quando la loro automob ile messa di tra- verso gli blocca la strada. Al di là appare pallida la sagoma della casa. Striscia fuori dal sedile, barcolla in avanti, si t rova sotto il porticato. Si aggrappa allo stipite della porta un momento. No n c'è nessuno di guardia. Non si sono neanche preoccupati di chiudere la por ta, tanto sono si- curi di aver lasciato tutti i possibili avversari m orti laggiù, all'incro- cio con l'autostrada. La luce bianca del laboratori o gli fa da guida. So- no tutti lì; mentre si trascina sempre più vicino l ui può sentirne le vo- ~ ci. Una è più alta delle altre, risuona stridula, m inacciosa. 3 --Non venire a dirci che non sai cosa vogliamo! Pe rché quella bar- riera di filo spinato e tutte quelle altre precauzi oni se quel che cerchia- mo non fosse qui? Perché questa ragazza, la Brown, correva qui a rot- ta di collo con quel fesso che dice suo marito? E p roprio il posto adatto questo, altro che! E noi sempre a pensare che fosse in Florida! Tipico del capo, davvero, andarsene in crociera da una par te per metterci su una falsa traccia, e spedire i baiocchi dall'altra. Era furbo, non c'è che dire, ne ha pensati un sacco di trucchi come questo . Ora fatti furbo tu, idiota! _ Nnr r' ~ n n~ l i, Non SO chi siate. cosa vo~lia te, ma non c'è de- naro qui. Solo... solo i risultati di una vita di.. . Per amor di Dio, state attento! La voce di Denholt. Già O'Shaughnessy è arrivato al la soglia e resta Iì senza che nessuno lo noti. Gli voltano la schien a tutti, anche Nova tenuta crudelmente ritta da due di loro. Solo Denho lt lo fronteggia, lé spalle al muro. Anche da dietro lui riconosce una di quelle schiene : è Tereshko. 10 Vicino al suo braccio c'è un alambicco colmo di liq uido incolore; I'ha appena sfiorato col gomito facendolo traballare. Ma come Denholt glielo indica, si china a guardarlo. La supplica fr enetica ha su di lui I'effetto opposto: si tratta di una cosa che quel v ecchio pazzo ritiene preziosa, quindi il suo impulso è di distruggerla i mmediatamente. Con gesto deliberato la spazza via dallo scaffale.- -Al diavolo la tua robaccia! Tutto questo è solo una mascheratura chi credi di fregare? L'alambicco s'infrange al suolo, il liquido si vérs a, si allarga, ormai

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irrecuperabile. Dalla gola di Denholt esce un grido strozzato, ango scioso. Il vecchio balza contro di lui che ha distrutto il lavoro di t utta la sua vita. La pi- stola di Tereshko esplode quasi con indifferenza, D enholt barcolla, si piega lentamente in ginocchio come un penitente in preghiera. Dopo un poco lo sentono mormorare:--Sì, è meglio co sì... ora.-- Si affloscia prono. Ora è O'Shaughnessy a gettarsi contro Tereshko, e i quattro che gli stanno dietro vengono sparpagliati dal suo assalto selvaggio. Nova ora libera, sta per cadere; si sostiene al bordo de lla tavola operatoria. I quattro si girano a guardare chi è il nuovo venuto e nella loro sbigotti- ta incredulità dimenticano di usare le pistole. Ter eshko cade all'indie- tro, la gola serrata dal braccio dell'assalitore ch e con l'altra mano lo Colpisce dove può, alla testa, alle costole. ~ La lotta dura ben poco: è troppo ineguale. I q uattro si riprendono r dalla sorpresa, gli si fanno addosso. I calci del le pistole piovono sul corpo di O'Shaughnessy, gli farmo lasciare la presa , lo schiacciano a terra. Tereshko trema di rabbia.--Non lui ancora!--protest a, come con- tro un'ingiustizia.--Accidenti, non fanno altro che morire e poi rial- zarsi e rimettersi a camminare! Che diavolo, usiamo forse pistole ad 5 aCqua? O questi qui hanno tutti nove vite? --Un momento!--E stata la maschera a parlare, e i c inque uomini 179 guardano stupiti il viso impassibile che li fronteg gia. Se anche prima non ha mai mentito, ora certo mente: così calma, co sì serena, per nul- la turbata da una scena simile.--Che volete da noi. .. da me? Perché ci braccate così? Che vi abbiamo fatto di male? Tereshko sogghigna:--Tu sei la ragazza di Benedetto , no? Sei Jane Brown, no? Lo dovresti sapere che vogliamo da te. N oi abbiamo fatto il suo sporco lavoro per sette anni, e alla fine se i arrivata tu a papparti il guadagno. Dove sono i soldi che lui ha accumulat o in quei sette an- ni, quando una percentuale su ogni bicchiere bevuto finiva dritta nelle sue tasche? Dov'è il milione e mezzo di dollari che sparì quando lui fu arrestato? --Io non ho mai visto né conosciuto questo Benedett o--dice lenta- mente la maschera. --Sgualdrina bugiarda! Quella è la faccia che lui h a baciato tante volte davanti a tutti noi. La faccia che si teneva sulla scrivania in una cornice di diamanti. La voce che lo chiamava Benny- tesoro. Gli occhi che piansero quando lui fu spedito in prigione... C erto! Tu sei Jane Brown e basta! Due mani guantate escono dal mantello che l'avvolge tutta, armeg- giano un poco dietro le orecchie, in mezzo ai capel li d'oro.--Guarda- temi più da vicino... e ditemi se sono la ragazza d i Benedetto... se sono Jane Brown!--La maschera cade, eppure si ripete ide ntica nel viso che c'è sotto, ancora intatto, solo più pallido. Quelli trattengono il fiato dalla sorpresa. Ma poi Tereshko dice nel silenzio:--Ebbene, portavi una maschera... e allora ?--Però la voce un poco gli trema. Le mani di lei scendono ai fermagli del mantello, n e afferrano i lem-

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bi per aprirlo. --Guardatemi ancora--esorta lei--e poi ditemi se mi riconosce- te! --No, Nova... no!--grida O'Shaughnessy da terra. La voce di lei si fa dolcissima.--Chiudi gli occhi, O'Shaughnessy... chiudi gli occhi e tienili chiusi, se mi ami. Perch é nessun amore po- trebbe sopravvivere a questo, nessun amore al mondo Docile, lui serra le palpebre. Sente il fruscio del mantello di lei, la corrente d'aria che provoca aprendosi. Vicino a lui risuona come un singhiozzo. Una pistola cade a terra. Poi un urlo s elvaggio, terribile... un improwiso pestare di piedi che corrono verso la porta. I cinque fuggono, fulminati dal terrore. --Via da me! Chi sei, chi sei? La voce di lei ha ripetuto la domanda... chiara, se rena, sepolcrale: --Ora... sono dawero la ragazza di Benedetto? Sono la ragazza di qualcuno? I passi impazziti risuonano sulle assi del porticat o. Una porta sbat- te. Il motore di un'automobile si accende... Ia mar cia stride, ingrana appena. Il rumore della macchina si perde in lontan anza. Poi all'im- provviso uno scroscio, un fracasso di lamiere infra nte vola nell'aria della notte. Fievole, ultimo, risuona un lamento di dolore e di morte... quindi cade il silenzio come un sipario sull'ultimo atto di un dramma. Nel laboratorio per lunghi minuti nessumo si muove. --Sono andati fuori strada--dice teso O'Shaughnessy . Apre gli oc- chi e vede Nova di nuovo chiusa nel mantello. Dev'e ssere davvero mo- ribonda, pensa, per aver spinto i vivi a fuggire co me pazzi verso la morte solo con la sua vista. Una pistola giace sul pavimento, è tutto quel che r esta dei cinque. Lentamente, penosamente O'Shaughnessy si trascina v erso Denholt, gli si accascia vicino, riesce a rivoltarlo. Gli oc chi dello scienziato lo fissano, ancora vivi. La voce del pilota è sorda, stridente:--Deve salvar la. Deve. Mi uc- cida se le ho fatto un torto... ma vede, gliel'ho r iportata, lei è il solo che possa fare qualcosa... Denholt, mi sente? Il morente annuisce, indica disfatto l'alambicco in franto, il liquido sparso al suolo. --Era quello?--O Shaughnessy lo scuote selvaggiamen te, terro- rizzato.--Dev'essercene dell'altro. Non può essere tutto lì! Non può dirmi come farne dell'altro? La voce dello scienziato alita fievolmente:--Non c' è tempo. --Non ha scritto la formula? Un debole cenno di negazione.--Avevo paura... non v olevo che me la rubassero. La mano di O'Shaughnessy ha riacquistato tutta la s ua forza quan- do si contrae sulla spalla di Denholt.--Non è possi bile. Non può dir- melo così... che lei deve morire. Che non c'è nient e, niente che lei con

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tutta la sua scienza e io con tutto il mio amore po ssiamo fare per lei... Proprio niente...?--Qualcosa come una mano gelida g li serra la gola. Piccoli aghi gli pungono le palpebre finché non si sente le ciglia umi- de. Nova, immobile, china lentamente il capo. Una mano stringe il braccio di O'Shaughnessy, una m ano sottile che una volta dev'essere stata molto forte.--Aspetti. S i chini, così potrà udirmi Stavo riempiendo un'ipodermica per uno dei c onigli... quan- do loro sono entrati. Non ricordo che ne é stato... Guardi intorno se riesce a trovarla. Se è intatta basta per una iniez ione... Faccia presto, si fa buio... me ne sto andando. Prima di guardare, prima ancora di muoversi, lui to cca il portafor- tuna che ha in tasca.--Aiutami--dice poi a Nova.--T u sai com'è, ne hai viste tante... Lei alza la testa, si fa da parte... ed ecco lì l'i podermica, sulla tavola peratoria E piena di un liquido trasparente, incolo re. Lui torna a chinarsi sul morente, gliela tiene dava nti agli occhi. --Sì, è quella. Tutto ciò che ne resta ora. Sarà pe rduto per sempre il mio siero, tra pochi minuti, quando me ne andrò. Lo porto via con me... dopo quel che ho visto stanotte della natura umana c'è un potere troppo diabolico in una scoperta simile... per noi è meglio il modo co- me la natura ha arrangiato le cose... --Devo sollevarvi? Crede di poter restare in piedi abbastanza a lun- go da... --Non c'è tempo.--Rivolge un debole cenno a Nova, l ei si awici- na.--Stenditi sul pavimento qui, dove posso raggiun gerti...--Poi a O'Shaughnessy:--Le tenga sollevati i capelli dalla base del collo. E mi regga il braccio... L'ago si solleva, la siringa cade vuota. Lui mormora, fissandola sfinito:--Un mese ora che s appiamo di non aver più speranza... Be', forse aveva ragione quel dottore francese... Ancora quella mano sul suo braccio.--Ascolti. Lei s tarà male, mol- to male, per ventiquattr'ore. La reazione. Le tenga impacchi di ghiac- cio intorno finché la temperatura non si abbasserà. Poi l'iniezione ar- resterà il processo di decadimento per un poco. Non può riparare ciò che è già distrutto... ma vi darò un poco di tempo. Un mese, forse più... Mi dispiace di non potervi dare altro... e soprattu tto di non potervi da- re nessuna speranza. Poi ciò che vi era in Denholt di umano e compassion evole muore. --Vede, dopo tutto ho fallito. Non l'ho riportata v eramente in vita. Qualcosa in lei era morto, è rimasto morto. Il sang ue stesso delle sue vene le portava la morte in circolazione nel corpo! Le iniezioni che le facevo controllavano, fermavano la putrefazione... non di più. &li occhi del pilota hanno un brillio cupo.--Non av eva il diritto. Non è stato giusto per lei né per me... e neppure-- sorride tristemente --per quei pistoleri impazziti che ora sono spiacci cati sulla sua mon- tagna. Ha cercato di ridare la vita, Denholt... e i l risultato è la morte. Le labbra livide si piegano a una smorfia ironica.- -Anche la mia-- sussurra il medico. Si drizza appena nelle braccia dell'altro, ora cerca penosamente di giustificarsi.--Se lei non fosse ven uto, O'Shaugh-

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nessy... chi può dirlo? Forse nulla di tutto questo sarebbe successo. Eppure lei ha rappresentato l'elemento umano... que llo che io non avevo contato. Sì, è stato il sangue che mi ha scon fitto... il caldo san- gue appassionato degli uomini e delle donne, fameli co e avido e vivo... quel sangue che non ho potuto restituire intatto al corpo di Jane Brown... La spalla di O'Shaughnessy pulsa di dolore e sangue gli cola giù per il braccio sotto la manica, giù per il polso e per la mano. Lui lo fissa come assente e ripensa alle ultime parole di Denhol t; poi di colpo una forza sovrumana lo invade, perché ora ha qualcosa d a fare. C'è un'au- tomobile fuori, e più sotto un aereo che aspetta. E c'è Nova, il viso pal- lido ora arrossato, acceso di febbre, le palpebre p alpitanti, il respiro affannoso. E c'è... sì, o Voi folli dei del Fato, c 'è O'Shaughnessy, I'uomo che ha ignorato la paura, almeno per se stesso, da quando aveva di- ciotto anni. Sì, tutte le tessere del mosaico sono ora riunite e il disegno che formano è chiaro nella mente di lui. Si sente la testa leggera, ma la sua volontà è infl essibile. Può star rit- to e muoversi con facilità, mentre poco prima potev a solo strisciare. Solleva Nova tra le braccia, barcolla appena, esce a passi lenti ma fer- mi e decisi. La testa bionda gli riposa sulla spalla. Lei ha gli occhi aperti.--Che facciamo ora?--chiede, con voce lievemente impastat a dalla febbre. --Che i,porta?--risponde lui. Non vuole dirglielo, non vuole che lei lo sappia ancora.--Sono qui con te, Jane. La chiama così per mostrarle che può pronunciare il suo vero nome con la stessa tenerezza, che non le rimprovera di e ssere Jane Brown. Ma lei non vuole. Quel nome non è il suo... --Il mio nome è Nova--dice ferma e grave.--Nova O'S haugh- nessy. Non dice altro mentre lui l'adagia nell'automobile o durante la di- scesa, e nemmeno quando la riporta sull'aeroplano c he è rimasto nel luogo dell'atterraggio. Poi lui va, ora barcollando un poco, a inginocchiar si vicino al pilota ferito. --Come sta? L'altro annuisce.--Non male, penso. Niente di grave . --Allora va bene--dice O'Shaughnessy. Spinge un fas cio di banco- note nella mano di Frazier, aiuta l'uomo a mettersi a sedere.--Devo prendere il suo aereo. Sono contento che stia megli o, perché avrei do- vuto comunque prendere l'aereo e mi fa piacere non doverla lasciare qui a morire. Può usare l'automobile per cercare so ccorso. Rughe di preoccupazione si approfondiscono agli ang oli degli occhi del pilota.--Mi sembra impazzitoche è successo lassù? E perché mi dà questo denaro? ~- --Per compensarla dell'aereo.....in caso..Be' in caso di disgrazia. Si rialza e se ne va, destreggiandosi sul terreno i neguale. Frazier pu- re si rimette in piedi e gli barcolla dietro.--Ehi, mi aspetti. L'elica... Dopo pochi minuti ha le mani sulle pale e dall'inte mo dell'aereo la

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Voce di O'Shaughnessy chiama:--Contatto!--Frazier d à il colpo alle pale, I'elica comincia a girare. L'uomo si getta al l'indietro e l'apparec- chio si avvia a balzi, tra il rombo del motore. In un modo o nell'altro O'Shaughnessy riesce a raff azzonare un de- collo compiendo una cabrata impossibile, e Frazier sta lì a guardare a - bOCca aperta, finché il nero del cielo e la dista nza non hanno cancella- to le piccole luci di posizione. --Pazzo--sussurra asciugandosi il sudore dalla fron te. Le dure mani di O'Shaughnessy stringono la cloche. Il tuono ora romba più del motore, i fulmini squarciano le teneb re. La pioggia co- mincia a frustare l'apparecchio. Lui ricorda un altro uragano, un altro aereo, un'al tra notte; e guar- da la ragazza che gli è accanto. Lei sembra che avv erta il suo sguardo, apre gli occhi; le sue labbra vorrebbero parlare, m a la febbre che la brucia non le lascia articolare le parole. Lui glie le legge negli occhi, tuttavia, e sono chiarissime, e tutto il cuore di l ei le accompagna. Non sono domande; esprimono solo coraggio e fiducia. --Ti ho portata io a questo--dice lui a quegli occh i.--Ora te ne traggo fuori. Qui non c'è più posto per noi. Le dita guantate si contraggono convulse sul polso maschile e paio- no chiedere: 4Sola? Devo andare sola?". Almeno lui questo immagina che lei voglia sapere, p erché risponde subito:--Con me, tesoro. Insieme, sempre. La pressione delle sue dita si rilassa, poi si rinf orza, più ferma ora, tranquilla e tranquillizzante. Così lei gli dice:-- Va bene, caro. Per me va bene. Il bel viso si annebbia davanti agli occhi di lui. Comincia a fischiet- tare una stupida canzoncina che del resto non riesc e a sentire, ma in qualche modo lo conforta. Ancora lampi, e più frago roso il rombo dei tuoni. Una ventata scuote l'aereo. La massa nera di una cresta di gra- nito, che sembra una gigantesca ondata sollevata da un tifone e solidi- ficata dalla mano di Dio, appare davanti a loro. La mano di lui cerca ora quella di Nova. Lei freme appena, ha gli oc- chi chiusi. O'Shaughnessy inclina in avanti la cloc he, il muso dell'ap- parecchio s'inclina; la montagna rocciosa e desolat a sembra proten- dersi verso di loro, ma in quei secondi i due sono soli, soli col cielo e l'uragano. Ci vuole coraggio e forza di volontà per mantenere la cloche così in- clinata, per tenere gli occhi aperti e fissare la p arete rocciosa, irta di pini, balzare loro incontro. Le labbra di lui sono serrate, il viso palli- dissimo. Pure, all'ultimo momento O'Shaughnessy rid e, un riso un po' folle... un riso di sfida, di addio sarcastico e in qualche modo anche di vittoria . --Eccoci, bambina!--grida fra i denti.--Ora vedremo come ci si sente a volare contro il fianco di una montagna! Solo l'uragano può udire il clangore dell'apparecch io che si fracassa contro la roccia... ma annega quel suono coi tuoni, come la folgore fa impallidire le fiamme che si alzano come lingue fam eliche dai rotta- mi.

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Titolo originale: Jat2e Brown's Bo~y Traduzione di AM. Francavilla, su licen~a di Arnold o Mondadori Editore John W. Camp~belt jr CHI VA LA? Là dentro puzzava. Un fetore strano, composito, che solamente le ba- racche coperte di ghiaccio di un campo antartico po ssono conoscere, composto di acido sudore umano e dell'odore greve, simile a quello dell'olio di fegato di merluzzo, che si leva dal gr asso di foca fuso. Un sottofondo di linimento contrastava con l'odore del muschio delle pel- licce inzuppate di neve e di sudore. Inoltre, I'odo re acre dello strutto bruciato, e quello animalesco - ma non del tutto sp iacevole - dei cani, diluiti dal tempo, stagnavano nell'aria. Persistenti odori di olio lubrificante contrastavan o nettamente con le tracce di quelli del grasso per i finimenti dell e slitte, e del cuoio. E tuttavia, in modo difficile da definire, al di là d i tutto quel fetore di es- seri umani e di ciò che li accompagnava - cani, mac chine, cucina - si avvertiva un'altra traccia. Era strana, faceva rizz are i capelli: era il debolissimo suggerimento di un odore che non rientr ava affatto tra quelli dell'attività e della vita. Eppure sembrava l'odore di un organi- smo vivente. Ma veniva dalla cosa che giaceva legat a con corde e tela cerata sul tavolo, e che lentamente, metodicamente, sgocciolava sulle assi massicce, bagnate e nude sotto la luce forte e non schermata delle lampadine. Blair, il biologo della spedizione, piccolo e dalla testa calva, allun- gava nervosamente la mano verso la tela cerata, fac endo trapelare il ghiaccio scuro e cristallino che stava al di sotto, e poi rimetteva a po- sto la tela, senza riuscire a stare fermo. I suoi p iccoli movimenti di an- sia repressa, simili a quelli di un uccellino, face vano danzare la sua ombra sulla fila di biancheria grigia e consunta ch 'era appesa al basso soffittO, e la cintura equatoriale di capelli cresp i e grigi che circondava il suo cranio calvo formava sulla testa dell'ombra una sorta di comica aureola. Il comandante Garry spostò di lato le ~ambe mollicc e di una tuta di maglia e si avvicinò al tavolo. Lentamente, il suo sguardo esplorò le fi- le di uomini ammassati come sardine nell'Edificio A mministrativo. Infine il suo corpo alto e rigido si raddrizzò, ed egli annuì.--Trenta- sette. Tutti presenti.--La voce era bassa, ma posse deva la chiara au- torità del comandante per natura, oltre che per gra do. "Voi conoscete a grandi linee la storia del ritrova mento effettuato dalla spedizione al polo secondario. Ho parlato con il comandante in seconda McReady, e con Norris, come pure con Blair e il professor Copper. C'è differenza di opinioni, e poiché essa r iguarda l'intero gruppo, è dunque giusto che sia il personale della Spedizione, al com- pleto, a decidere. "Ora chiederò a McReady di darvi i particolari dell a storia, poiché ciascuno di voi è stato troppo occupato con il prop rio lavoro per poter seguire con attenzione il lavoro degli altri. McRea dy?" Facendosi avanti dal fondo della stanza velato dal fumo, McReady parve una figura uscita da qualche mito dimenticato : una gigantesca statua di bronzo che prendeva vita e si metteva a c amminare. Torreg- giò con la sua altezza di un metro e novanta quando si fermò accanto al tavolo, e, dopo aver lanciato una delle sue occh iate caratteristiche al soffitto per assicurarsi che ci fosse ancora spa zio sotto le basse travi, raddrizzò la schiena. La giacca a vento, disadorna e di un chiassoso

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color arancione vivo, che aveva ancora addosso, non pareva tuttavia fuori luogo sulla sua massiccia figura. Anche laggi ù, un metro e venti al di sotto delle folate di vento che soffiavano su lle solitudini antarti- che sopra il soffitto, il freddo del continente di ghiaccio riusciva ugual- mente a penetrare, e spiegava la rudezza dell'uomo. Ed egli era come un uomo di bronzo: folta barba di bronzo rossiccio, folti capelli dello stesso colore. Le dita nodose e robuste che si stri ngevano, si allentava- no, tornavano a stringersi e poi a rilasciarsi sull e assi della tavola era- no color del bronzo. Anche gli occhi profondamente incassati sotto le massicce sopracciglia erano bronzei. La robustezza del metallo capace di sfidare il temp o parlava dai li- neamenti rugosi e pesanti del suo volto, e dal timb ro tonante della sua voce stentorea.--Norris e Blair sono d'accordo su u na cosa; I'animale che abbiamo trovato non era... di origine terrestre . Norris teme che in questo ci possa essere del pericolo; Blair dice che non ce n'è affatto. "Ma riprenderò dal modo, e dal motivo, che ce l'han no fatto trovare. A quanto si sapeva prima che noi venissimo qui, si aveva l'impressio- ne che questo punto si trovasse esattamente al di s opra del polo ma- gnetico sud della Terra. La bussola punta effettiva mente verso il bas- so, qui, come tutti voi ben sapete. Gli strumenti p iù raffinati dei fisici, progettati espressamente per questa spedizione e i suoi studi sul polo magnetico, hanno scoperto un effetto secondario: un influsso magneti- co secondario, meno potente, posto a circa 130 chil ometri a sudovest da noi. "La spedizione al polo magnetico secondario si recò a investigare. Non c'è bisogno di scendere nei particolari. L'abbi amo trovato, ma non si tratta della grossa meteorite o della montag na magnetica che Norris si era aspettato di trovare. I minerali ferr osi sono magnetici, naturalmente; il ferro lo è ancora di più... e cert e leghe speciali lo sono ancora più del ferro. Dalle indicazioni alla superf icie, il polo seconda- rio da noi trovato era piccolo; talmente piccolo ch e l'effetto magnetico da esso posseduto era assurdo. Nessun materiale mag netico immagi- nabile avrebbe potuto avere un simile effetto. Rile vamenti acustici eseguiti attraverso il ghiaccio indicavano che si t rovava a meno di trenta metri dalla superficie del ghiacciaio. "Credo sia bene spiegarvi la struttura del luogo. C 'è un ampio pla- teau, una spianata ininterrotta che si stende per p iù di 250 chilometri a sud della stazione, dice Van Wall. Egli non aveva né il tempo né la benzina per volare più in là, ma a quella distanza continuava a esten- dersi verso sud. E proprio in quel punto, dove si t rovava la cosa sepol- ta, c'è una catena montuosa sommersa dai ghiacci: u na parete graniti- ca irremovibile, che ha arginato il ghiaccio che av anzava dal sud. "E a 650 chilometri più a sud c'è il Plateau Polare Sud. Varie volte mi avete chiesto perché qui da noi faccia più caldo quando si alza il vento, e molti di voi lo sanno. Come meteorologo, i o avrei dato la mia parola che nessun vento potesse soffiare a meno 50 gradi, e che solo un vento di 10 chilometri all'ora potesse soffiare a m eno 45, senza riscal- darsi a causa dell'attrito con il terreno, la neve, il ghiaccio e l'aria stes- sa. "Ci accampammo laggiù sul bordo di quella catena di monti som- - mersi dal ghiaccio per dodici giorni. Scavammo il campo nel ghiaccio azzurro che costituiva la superficie, e riuscimmo a ripararci dalla maggior parte del vento. Ma per dodici giorni conse cutivi il vento sof- fiò a settanta chilometri all'ora. Salì fino a sett antacinque e scese alle volte fino a sessanta. La temperatura era meno 53 g radi. Salì a meno

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~- 51 e scese a meno 56. Era meteorologicamente imp ossibile, ma conti- nuò senza interruzione per dodici giorni e dodici n otti. "In qualche punto a sud, I'aria gelida del Plateau Polare scivola giù per una discesa di 6000 metri, valica un passo mont ano, passa su un ghiacciaio e si dirige a nord. Ci deve essere una c atena montana che le r~ fa da canale e da guida per 400 miglia, fino a c olpire il plateau liscio dove abbiamo trovato il polo secondario; poi, 350 m iglia più a nord, ~ raggiunge l'Oceano Antartico. · "Laggiù ogni cosa è coperta dal ghiaccio fin da q uando l'Antartide ·~ congelò venti milioni di anni fa. Laggiù non c'è mai stato il disgelo. ~, "Venti milioni di anni fa, I'Antartide cominciav a a congelarsi. Ab- biamo svolto indagini, meditato e costruito illazio ni. Ciò che pensia- o sia successo, si dev'essere svolto pressappoco co sì: qualcosa scese dallo spazio: una nave. L'abbiamo vista laggiù nel ghiaccio azzurro: un oggetto simile a un sottomarino, ma privo di tor retta e di timone di profondità, lungo novanta metri e largo quindici ne l punto più ampio. aEh, Van Wall? Dallo spazio? Sì, ma lo spiegherò me glio più avan- ti.n La voce ferma di McReady continuò: "Scese dall o spazio, spinta e sollevata da forze che gli uomini non hanno ancora scoperto, e chissà come - forse qualcosa, a quel punto, entrò in avari a - fu risucchiato dal campo magnetico della Terra. Giunse qui a sud, probabilmente fuori controllo, muovendosi in cerchio intorno al p olo magnetico. Questa è una zona selvaggia, ma quando l'Antartide si stava ancora congelando dev'essere stata mille volte più selvagg ia. Ci devono essere state delle tormente, delle valanghe, nuova neve ch e cadeva mentre il continente si copriva di ghiaccio. Laggiù i turbini dovevano essere particolarmente violenti, e il vento doveva gettare una cortina impe- netrabile di bianco sui bordi della montagna che or a è sepolta. "La nave urtò col muso il granito massiccio, e si s pezzò. Non tutti i passeggeri che erano a bordo furono uccisi dall'urt o, ma la nave si de- v'essere guastata irreparabilmente, il suo meccanis mo di pilotaggio si dev'essere bloccato. Era rimasto intrappolato dal c ampo magnetico della Terra, ritiene Norris. Nessuna cosa costruita da esseri intelligen- ti può scontrarsi con la morta immensità delle forz e naturali di un pianeta e sopravvivere. "Uno dei passeggeri uscì all'estemo. Il vento da no i osservato in quel punto non è mai sceso al di sotto di sessanta chilo metri all'ora, e la temperatura non ha mai superato i meno 51 gradi. E a quell'epoca il vento doveva essere ancora più forte. E la neve sce ndeva come una col- tre compatta. La cosa si dev'essere completamente p erduta dopo i pri- mi dieci passi." S'interruppe per un istante, e la sua voce profonda e ferma lasciò il posto al sibilo del vento che spazz ava il tetto, e al- l'inquieto, maligno gorgoglio dell'aria che vibrava nel camino della stufa. La tempesta: un vento di tempesta spazzava il terre no sovrastante In quello stesso momento, la neve raccolta dal vent o echeggiante veni- va spinta sotto forma di strati orizzontali, acceca nti, contro il fronte del campo sepolto. Se un uomo fosse uscito dai tunn el che collegava- no, al di sotto della superficie, tra loro gli edif ici del campo, quell'uo- mo si sarebbe perduto dopo dieci passi. Là fuori, l e dita nere e sottili dell'antenna radio s'innalzavano nell'aria per un c entinaio di metri, e

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sulla sua punta c'era il chiaro cielo notturno. Un cielo di vento sottile e sibilante che si precipitava senza interruzioni da un orizzonte all'al- tro, sotto il manto ondulato della vicina aurora. E lontano, a nord, I'o- rizzonte fiammeggiava dei colori strani, iracondi, del crepuscolo della mezzanotte. Questa era la primavera, a un'altezza d i cento metri sulla superficie antartica. Quanto alla superficie stessa... la superficie era la morte bianca. Morte portata da un gelo dalle dita sottili come ag hi, un gelo scacciato sempre più avanti dal vento, capace di risucchiare l'ultima briciola di calore da ogni cosa che lo possedesse. Il gelo... e la bianca nebbia della tormenta senza fine e senza posa, le fini, finissim e particelle di neve che sfioravano ogni cosa e l'oscuravano. Kinner, il piccolo cuoco dal volto segnato da una c icatrice rabbrivi- dì. Cinque giorni prima, era uscito alla superficie per andarsi a riforni- re a una scorta di carne congelata. L'aveva raggiun ta con un balzo, dal sud. La bianca, gelida morte che fluiva lungo il te rreno l'aveva acceca- to in venti secondi. Aveva cominciato a camminare i n cerchio, barcol- lando, incapace di ragionare. C'era voluta quasi me zz'ora perché alcu- ni uomini con corde lo trovassero in quella caligin e impenetrabile. Era facile per un uomo - o per una cosa - perdersi in dieci passi. --E a quell'epoca la tormenta era probabilmente anc or più impe- netrabile di oggi.--La voce di McReady richiamò con un sobbalzo l'attenzione di Kinner. La richiamò al gradito, umi do tepore dell'Edi- ficio Amministrativo.--E inoltre, a quanto pare, il passeggero della nave non era affatto preparato a ciò che incontrò. Esso congelò a meno di dieci passi di distanza dalla nave. "Noi scavammo nel ghiaccio per trovare la nave, e p er caso il nostro tunnel incrociò il corpo ghiacciato dell'...animale . L'ascia da ghiaccio di Barclay gli colpì il cranio. "Quando vedemmo di cosa si trattava, Barclay ritornò al trattore accese il fuoco, e quando il vapore fu a press ione inviò una chiamata per far venire Blair e il dottor Copper. Barcl ay era ammalato, in quel momento. Rimase malato per tre giorni, anzi. t UQuando Blair e Copper furono da noi, tagliam mo via l'animale e il blocco di ghiaccio che lo sigillava, come vede te; lo avvolgemmo in un telo e lo caricammo sul trattore per portarlo qui. Volevamo entrare in quella nave. i~ "Raggiungemmo il fianco della nave e vedemmo che il metallo non era di tipo a noi conosciuto. r nostri attrezz i non magnetici, di bronzo berillio non riuscivano a intaccarlo. Barclay aveva sul trattore alcuni utensili d'acciaio, e neppure quelli riusciron o a scalfirlo. Eseguimmo alcuni test che ci vennero in mente: provammo perfino con l'acido del- F~ le batterie, ma senza risultato. 'Dovevano conoscere qualche processo passivan te che permetteva al magneSiO di resistere in quel modo all'acid o, e la lega doveva essere Costituita almeno al novantacinque per cento d i magnesio. Ma non avevamo modo di saperlo, e così, quando scorge mmo il portello, ch'e- ,~ ra ancora semiaperto, tagliammo il ghiaccio che lo circondava. C'era del ghiaccio duro e cristallino all'interno della c amera stagna, in pun- ti che non potevamo raggiungere. Dalla piccola aper tura potevamo 189 vedere all'interno: c'erano soltanto metallo e attr ezzi: perciò decidem- mo di spaccare il ghiaccio con una bomba. "Avevamo bombe alla decanite e alla termite. La ter mite va bene per sciogliere il ghiaccio; la decanite avrebbe pot uto infrangere cose di valore, mentre invece il calore della termite si sarebbe limitato al

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ghiaccio. Il dottor Copper, Norris e io piazzammo u na bomba alla ter- mite da 10 chili, la innescammo e facemmo correre i l cavo di collega- mento lungo il tunnel, fino alla superficie, dove B lair e il trattore a va- pore ci attendevano. A un centinaio di metri, dietr o quella parete di granito, facemmo esplodere la bomba alla termite. "Il magnesio della nave prese fuoco, naturalmente. Il bagliore della bomba ci illuminò e poi si estinse, ma subito ripre se nuovamente a brillare. Corremmo indietro, al trattore, mentre a poco a poco il ba- gliore aumentava. Dal punto in cui ci trovavamo, po tevamo vedere che l'intero campo di ghiaccio era illuminato dal d i sotto da una luce insopportabile; l'ombra della nave era un grosso co no scuro, diretto verso nord, dove il crepuscolo era appena terminato . Durò ancora per un momento, e noi contammo ancora tre forme d'ombra , che poteva- no forse essere altri... passeggeri... Iaggiù conge lati. Poi il ghiaccio co- minciò a sgretolarsi e a cadere sulla nave. "Ecco perché vi ho descritto quel luogo. Il vento c he scendeva dal Polo era alle nostre spalle. Il vapore e la fiamma chiara come quella all'idrogeno furono spazzate via, formando una nebb ia di ghiaccio; il calore che fiammeggiava sotto il ghiaccio fu spinto via, in direzione dell'Oceano Antartico, prima che ci toccasse. Altri menti non saremmo mai tornati indietro, neppure con la protezione di quel costone di gra- nito che schermava la luce. "Eppure, anche in quell'inferno accecante, siamo ri usciti a vedere delle grandi forme aggobbite, alcune masse scure ch e si arrossavano. Per un certo tempo riuscirono perfino a resistere a lla furiosa incande- scenza del magnesio. Quelli, noi lo sapevamo, dovev ano essere i moto- ri. Segreti che se ne andavano in fumo in quel chia rore abbagliante... segreti che avrebbero potuto dare all'uomo i pianet i. Misteriose cose, che potevano sollevare e spingere quella nave... e che si erano saturate della forza del campo magnetico terrestre. Vidi muo versi le labbra di Norris, e mi buttai a terra. Non riuscii a udire le parole precise. "L'isolamento... o quello che era... aveva ceduto. Tutto il campo ma- gnetico, che avevano assorbito venti milioni d'anni prima, si scatenò improvvisamente. L'aurora della parte di cielo sovr astante abbassò la sua lingua su di noi, e l'intero pianoro si bagnò d i un fuoco gelido che copriva la vista. L'ascia che tenevo in mano divenn e rossa per il calore, e sibilò sul ghiaccio. 1 bottoni metallici dei miei vestiti mi bruciarono la pelle. E da dietro la parete di granito saettò v erso l'alto un lampo di colore blu elettrico. "Poi le pareti di ghiaccio crollarono sulla nave. P er un istante stri- dettero come quando si schiaccia tra due pezzi di m etallo il ghiaccio secco. "Per ore fummo ciechi, costretti a brancolare nel b uio, mentre i no- stri occhi riacquistavano gradatamente la vista. Sc oprimmo che tutti gli avvolgimenti elettrici, entro il raggio di un p aio di chilometri, era- no rottami fusi; la dinamo e tutte le apparecchiatu re radio, le cuffie e i microfoni. Se non avessimo avuto il trattore a vapo re, non saremmo mai riusciti a raggiungere il Campo Secondario. ~AII'alba Van Wall volò fino a noi dal Magnetico Pr incipale, come sapete. Tornammo alla base il più presto possibile. E questa è la storia di... quell'...animale." La folta barba bronzea di McReady indicò la co- sa posata sul tavolo. Blair continuava a muoversi nervosamente: le sue di ta minute e ossu- te si torcevano alla luce della lampada. Piccole le ntiggini scure sulle sue nocche scivolavano avanti e indietro quando, so tto la pelle, i mu-

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scoli si contorcevano. Alzò un angolo della tela ce rata e fissò con impa- zienza la cosa scura, incastonata nel ghiaccio, che vi era contenuta. Il corpo massiccio di McReady si raddrizzò. Quel gi orno aveva gui- dato per sessanta chilometri il trattore a vapore, tra scossoni e sobbal- zi, per giungere al Magnetico Principale. Perfino l a sua calma decisio- ne aveva dovuto cedere all'ansia di riunirsi nuovam ente con altri uo- mini. Tutto era troppo isolato e tranquillo, laggiù al Campo Secondario, dove un vento da lupi scendeva dal Polo , ululando. Un vento da lupi che ululava mentre egli dormiva: il s ibilo del vento e la maligna, indescrivibile faccia del mostro che si al zava minacciosa, co- sì come egli l'aveva scorta nel ghiaccio chiaro e a zzurrino, con un'a- scia da neve, di bronzo, conficcata nel cranio. Il gigantesco esperto di meteorologia riprese a par lare.--Il proble- ma è il seguente. Blair desidera esaminare la cosa. Farla sgelare, fare dei vetrini da microscopio con i suoi tessuti e cos ì via. Norris ritiene che ci siano dei pericoli, e Blair ritiene che non ce ne siano. Il dottor Copper è più o meno dell'idea di Blair. E Norris, o vviamente, è un fisi- co, e non un biologo. Comunque, ha fatto un'osserva zione che merita di essere esposta a tutti quanti noi. Blair ha parl ato di forme di vita microscopiche che, quando i biologi le trovano, son o ancora piena- _nnente vitali, perfino in questo luogo freddo e in ospitale. Queste forme di vita congelano ogni inverno e si sgelano ogni es tate - per tre mesi - e Continuan ~ viv~rP a l9l --L'osservazione fatta da Norris è questa: sgelando si, ritomano in vita. Ci devono essere delle forme microscopiche vi venti, associate a questa creatura. Ce ne sono con tutte le forme vive nti che conosciamo. E Norris ha paura che noi si possa scatenare un'epi demia, una malat- tia portata da qualche germe sconosciuto qui sulla terra se facciamo sgelare gli esseri microscopici che sono rimasti co ngelati laggiù per venti milioni di anni. °Blair ammette che simili microrganismi potrebbero conservare an- cora con sé il potere della vita. Cose prive di org anizzazione, quali pos- sono essere le singole cellule, possono conservare la vita per periodi sconosciuti, una volta completamente congelate. La bestia in sé è mor- ta come quei mammut congelati che ogni tanto si tro vano in Siberia. Le forme di vita organizzate, altamente sviluppate non sopportano il congelamento. "Ma i microrganismi potrebbero sopportarlo. Norris suggerisce che rischiamo di mettere in libertà qualche tipo di mal attia contro cui l'uomo, non avendola mai incontrata in precedenza, sarebbe total- mente privo di difesa. "La risposta di Blair è che ci possono essere dei s imili germi ancora vitali, ma che Norris ha completamente rovesciato i termini del pro- blema. Questi germi sono assolutamente non-immuni a ll'uomo. La nostra biochimica organica, probabilmente...n --Probabilmente!--La testa del piccolo biologo si s ollevò di scat- to, con un movimento simile a quello di un uccello. Il cerchio di capel- li grigi intorno alla sua testa calva si arruffò, c ome per la collera. --Ehi, basta dare un'occhiata... --Lo so--ammise McReady.--Quella cosa non è terrest re. Non sembra probabile che possa avere una biochimica suf ficientemente si- mile alla nostra da rendere anche lontanamente poss ibile un'infezione reciproca. Direi che non c'è pericolo.

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McReady fissò lo sguardo sul dottor Copper. Il fisi co scosse lenta- mente la testa.--Nessunissimo pericolo--affermò con aria di sicu- rezza.--L'uomo non può infettare o essere infettato da germi che vi- vono in forme relativamente vicine alla nostra come possono esserlo i serpenti. E i serpenti sono, vi assicuro--la sua fa ccia ben rasata fece un sorriso inquieto--molto più vicini a noi di quan to non lo sia... quella cosa. Vance Norris si fece avanti, irritato. Egli era rel ativamente basso in quella riunione di omoni, con la sua statura di un metro e settantacin- que o poco più, e la costituzione massiccia e musco losa lo faceva sem- brare ancora più piccolo. I suoi capelli neri erano ricci e duri come corti fili di ferro, e i suoi occhi avevano il colo re grigio dell'acciaio spezzato. Se McReady era un uomo di bronzo, Norris era d'acciaio. I suoi movimenti, i suoi pensieri, il suo portamento avevano gli impulsi rapidi, secchi, delle molle d'acciaio. I suoi nervi erano d'acciaio: duri, pronti ad agire, facili a corrodersi. Egli era certo del proprio punto di vista, ora, e s cattò in sua difesa con un caratteristico, rapido fiotto di parole smoz zicate.--Biochimi- ca differente, al diavolo. Quella cosa può essere m ortale, o, per Dio, può non esserlo, ma a me non piace affatto. Malediz ione, Blair, fa' ve- dere a tutti il mostro che ti stai accarezzando là sotto. Fagli vedere quella cosa schifosa, e lascia che decidano da soli se sono disposti a permettere che si scongeli qui, in questo accampame nto. "E a proposito di scongelarsi, poi. Se la vogliamo scongelare, deve venire scongelata in una delle capanne, questa sera stessa. Qualcuno... chi è di guardia questa sera? Magnetismo? ...no, Co nnant. Questa sera, raggi cosmici. Bene, ti tocca startene a tenere com pagnia a questa mummia di Blair che ha venti milioni di anni. "Togli la tela, Blair. Come diavolo possono sapere cosa stanno per accettare, se non possono vederla? Può benissimo av ere una biochimi- ca diversa. Non so che cos'altro abbia, ma so che h a molto che non mi va. Se si può giudicare dall'espressione della sua faccia--e non è uma- na, perciò non si può mai dire - era infastidita al massimo, quando è congelata. Infastidita, anzi, è un termine molto ap prossimativo per definire ciò che provava: approssimativo come dire che rivela un odio folle, pazzesco, insano. Nessuna delle due definizi oni giunge a sfiorare la realtà, neppure lontanamente. °Come diavolo possono capire, questi uomini, la cos a su cui stanno votando? Loro non hanno visto quei tre occhi rossi, e quei capelli blu che sembrano vermi che si agitano. Che si contorcon o... accidenti, con- tinuano a contorcersi anche in questo stesso istant e, dentro il ghiac- cio! °Nessuna cosa che sia stata mai generata dalla Terr a sarebbe riusci- ta ad avere un'espressione come quella: I'indescriv ibile concentrato, sublimato, di collera distruttrice a cui quella cos a ha atteggiato il pro- prio volto quando si è guardata intorno, in questa solitudine di ghiac- cio, venti milioni di anni fa. Folle? Era completam ente impazzita: una follia bruciante, fulminante! aAI diavolo! Continuo a fare brutti sogni da quando ho visto per la prima volta quei tre occhi. Incubi. Ho sognato che quella cosa si scon- gelava e tornava in vita... che non è stata morta, e neppure del tutto in- Cosciente~ per tutti questi venti milioni di anni, ma soltanto rallenta- ta, in attesa. E la sognerete anche voi, mentre que lla maledetta cosa che la Terra non riconoscerebbe mai come sua, conti nuerà a sgocciola- re e sgocciolare nella stanza dei raggi cosmici, qu esta notte.

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"E tu, Connant" Norris si girò di scatto verso lo s pecialista in raggi Cosmici °ti divertirai certamente a rimanere lì tut ta la notte, nel silen- zio. Col vento che soffia al di sopra di te, e quel la cosa che sgocciola..." ~, Tacque per un istante, e si guardò intorno. ; _ 193 NLo so. Dite che non sono scientifico. Ma adesso ec co la scienza: la psicologia Avrete incubi per un anno. Ogni notte, d a quando ho posa- to l'occhio su quella cosa, li ho. E per questo che la odio... sì, la odio proprio... e non la voglio tra i piedi. Rimettetela là da dove è venuta, e lasciatela nel ghiaccio per altri venti milioni di anni. Ho avuto degli incubi molto dettagliati: che non è fatta come noi - cosa che è ovvia - e che la sua carne è di tipo diverso dalla nostra, e che essa la può con- trollare. Che può cambiare la propria forma, e assu mere l'aspetto di un uomo, e mettersi in agguato per uccidere e divor are... "Non si tratta di un argomento logico. Lo so. Ma qu ella cosa, co- munque, non obbedisce alla logica terrestre. Forse possiede una bio- chimica aliena, e forse i suoi microbi hanno una bi ochimica differente. Un germe non può resistere alla nostra biochimica, ma voi, Blair e Copper, cosa mi dite di un virus? Un virus è solo u na molecola di enzi- mi, mi insegnate. Per operare gli occorre soltanto una molecola protei- ca di un corpo qualsiasi. aE come potete essere certi che, con tutti i milion i di varietà di vita microscopica che può ospitare, nessuna di tali vari età sia pericolosa? Che mi dite di malattie come l'idrofobia, la comune rabbia, che attac- ca qualsiasi creatura a sangue caldo, qualunque sia la sua biochimi- ca? E la psittacosi, la febbre trasmessa dai pappag alli? La tua biochi- mica è come quella dei pappagalli, Blair? E la putr efazione pura e semplice, la cancrena, allora? Questa non fa affatt o la schizzinosa, non guarda la biochimica!" Blair sollevò lo sguardo interrompendo i propri mov imenti nervosi quel tanto che bastava per incontrare per un istant e gli occhi incolleri- ti, grigi di Norris.--Finora, di tutto ciò che hai detto, I'unico male che si trasmetta sono i sogni. Posso arrivare ad ammett erlo.--Un sorrisi- no vagamente maligno, da diavoletto, si disegnò sul la faccia coperta di rughe dell'omino.--Ne ho fatti anch'io. Trasmett e l'infezione dei sogni. Che, senza dubbio, è una malattia estremamen te pericolosa!.. NE per quanto riguarda le altre cose da te elencate , i tuoi concetti SUl virus sono affetti da gravi errori. In primo luogo, nessuno ha dimostra- to che la teoria della molecola enzimatica costitui sca la vera - e l'uni- ! ca possibile - spiegazione. E in secondo luogo, fam melo sapere, quan- do ti prenderai il mosaico del tabacco o la ruggine del grano. Una pianta di grano è molto più vicina, come biochimica , al tuo corpo, di quanto non possa esserlo questa creatura di un altr o mondo. "E anche la rabbia che tu hai citato è un fenomeno assai circoscritto. Non puoi prenderla, né trasmetterla a una pianta di cereale o a un pe- sce: e il pesce è un discendente collaterale di un antenato comune a te e al pesce. Mentre questa cosa, Norris, non lo è af fatto." Blair indicò compiaciuto, con la testa, la massa deposta sul tav olo e coperta dalla t ~ r:~t~_ _ E allora scongela quella maledetta roba in una va sca di formali- na, se proprio vuoi scongelarla. Io avevo suggerito di... --E io ti ho detto che la cosa era priva di senso. Non si possono ac- cettare dei compromessi. Perché tu e il comandante Garry siete venuti

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qui a studiare il magnetismo? Perché non vi siete l imitati a studiarlo a casa vostra? A New York c è tutto il magnetismo ter restre che volete lo non potrei studiare il tipo di vita che questa c osa ha posseduto un tempo, se dovessi servirmi di campioni tenuti in fo rmalina: esatta- mente come VOi non potreste ricavare a New York il tipo di informa- zioni che vi occorrono. E se questa cosa venisse tr attata con la formali- na maz ptU, tn tutto il futuro, si pofrà averne un duplicato! La razza di cui faceva parte deve essersi ormai estinta, nei ve nti milioni di anni in CUi e rimasta congelata, cosicché, anche se fosse v enuta da Marte, noi non potremmo mai più trovarne un'altra. E... Ia nav e è distrutta. c e un solo modo m cui lo si deve fare, e questo è il miglior modo possibile Deve essere scongelata lentamente, con at tenzione; non in Il comandante Garry fece un passo avanti, e Norris indietreggiò borbottando irosamente tra sé e sé.--Credo che Blai r abbia ragione signori. Che cosa dite voi? Connant brontolò:--Ci sembra giusto, credo... solo che forse do- vrebbe starsene lui a fare la guardia mentre si sgela.--Fece un sorri- sino rassegnato, scostandosi dalla fronte un ci uffo di capelli rossi co- me una ciliegia matura.--Magnifica idea, anz i: che se ne stiá a far da balia al cadavere che gli è così simpatico! Garry sorrise. Una risata generale di assens o si diffuse a ondate tra i gruppo.--Penso che qualsiasi spettro qu ella cosa possa avere pos- seduto, debba già essere morto di fame da te mpo, se è rimasto da que- ste parti per tanti anni, Connant--disse Garry.--E tu mi sembri ca- pace di tenergli testa. Connant, detto anche l 'Uomo di Ferro, sarà cer- ° capace di tenere testa a qua lsiasi oppositore, credo! Connant si agitò nervosamente.--Gli spettri non mi danno molti pensieri. Comunque, diamo un'occh iata a quella cosa. Io E mpaziente, Blair stava già sciogliendo le c orde. Un singolo stratto- c- ne assestato alla tela cerata rivelò la cosa. Il ghiaccio si era un po' ,, Ci0 to a causa del calore della stanza, ed er a chiaro e azzurrino come un Vetro spesso, di buona qualità. Risplendev a umido e lucido sotto la ce aspra della lamp adina appesa al soffitto. a stanza, immediatamente, si fece muta. La cosa giaceva a faccia su, sulle assi grezze e unte del tavolo. L'as cia da ghiaccio era rotta na la sua punta era ancora conficcata in un cranio di forma strana occhi folli, pieni d'odio, brillavano di u na fiamma vivente, lucida rne sangue appena sgorgato, in una faccia contornata da un orribile rto nido di vermi: vermi blu, mobili, che strisciavano dove ci sa- e dovuto essere del pelo Van Wall, il pilota alto un metro e ottanta, fatto di 90 chili di nervi di ghiaccio, emise uno strano gorgoglio strangolato e scappò in corri- doio. Metà dei presenti guadagnarono le porte. Gli altri indietreggia- rono goffamente per allontanarsi dal tavolo. McReady rimase immobile a un capo del tavolo a osse rvarli: il suo corpo massiccio restò piantato solidamente sulle ga mbe robuste. Nor- ris, all'altro capo, fissava la cosa con occhi truc i, carichi di odio bru- ciante. Fuori della porta, Garry cercava di parlare contemporanea- mente con una mezza dozzina di uomini. Blair aveva con sé un martello da tappezziere. Il g hiaccio che rac- chiudeva la cosa si sfaldava facilmente sotto quell 'artiglio d'acciaio, liberando gradualmente ciò che teneva imprigionato da ventimila millenni... --Lo so che quella creatura non ti piace, Connant, ma non si può fare a meno di scongelarla ora. Tu dici di lasciarla sta re com'è adesso, fino al nostro ritorno alla civiltà. Certo, ammetto che la tua obiezione, che

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nel mondo civile potremmo fare un lavoro più accura to e completo, è ragionevole. Ma... come possiamo far attraversare l 'Equatore a questo blocco? Dovremo fargli attraversare prima una zona temperata, poi la zona equatoriale, e poi una buona metà dell'altra z ona temperata, pri- ma di arrivare a New York. Tu non sei molto entusia sta di dover rima- nere nella stessa stanza per una notte; però, che c osa consigli? Che metta quella cosa in ghiacciaia con i quarti di bue ?--Blair rialzò il capo, interrompendo per un attimo il suo minuzioso lavoro di scalpel- latura. Il suo cranio pelato e macchiettato di efel idi annuì trionfante. Kinner, il cuoco massiccio dalla faccia segnata da una cicatrice, ri- sparmiò a Connant la fatica di rispondere.--Ehi, st ammi ad ascolta- re, professore. Tu prova solo a ficcare quella roba in ghiacciaia con la carne, e, per tutti gli dèi che sono mai esistiti, io ci ficco anche te a te- nerle compagnia. Voialtri sapientoni avete già abus ato dei miei tavoli della mensa per metterci ogni cosa di questo campo che si poteva muovere, e io ho dovuto sopportarlo senza dire nien te. Ma provate a mettere una cosa come questa nella mia ghiacciaia f uori, o anche solo nella ghiacciaia qui dentro, e poi la vostra sbobba ve la cucinerete voi. --Ma, Kinner, questo è l'unico tavolo dell'Accampam ento Magneti- co Principale che sia abbastanza ampio per lavorare comodamente obiettò Blair.--Tutti noi te l'abbiamo spiegato. --Certo, e tutti voi ci avete portato qualcosa. Cla rk porta qui i suoi cani tutte le volte che si azzuffano, e li mette su l tavolo per ricucirli. Ralsen ci porta le sue slitte. Accidenti, I'unica c osa che non abbiate an- cora messo su questo tavolo è I aeroplano. E ci avr este messo anche quello, se soltanto aveste potuto inventare un modo per farlo passare nei tunnel. Il comandante Garry sorrise in direzione di Van Wal l, il massiccio capo pilota. La folta barba bionda di Van Wall frem ette in modo so- spetto mentre egli rivolgeva gravemente un cenno d' assenso a Kinner. _ Hai ragione, Kinner. Il reparto aviazione è l'uni co che ti tratti in modo corretto. _ In effetti, qui dentro a volte diventa davvero un po' troppo affol- lato--ammise Garry.--Ma temo che tutti noi proviamo la stessa sensazione, di tanto in tanto. Non c è molta privac y, in un accampa- mento all'Antartide. _ Privacy? E che diavolo è? Sapete, quello che dawe ro mi ha fatto piangere, è stato quando ho visto Barclay attravers are questa stanza a passo di marcia, salmodiando: "L'ultima asse del ca mpo! L'ultima as- se del campo!" e portarsela via per costruire quell a specie di casetta che si è fatto sul trattore. Accidenti, la luna int agliata nella porta che si è portato via mi è davvero mancata: più di quant o non mi sia man- cato il sole quando è tramontato. Ciò che Barclay s i portava via non era solamente l'ultima asse di legno. Si portava vi a l'ultimo pezzetto di intimità che esistesse in questo posto maledetto da Dio. Un sorriso si fece strada perfino sul volto arcigno di Connant, men- tre si alzava un'ennesima volta il bonario mugugno di Kinner. Ma su- bito si dileguò quando i suoi occhi scuri, profonda mente infossati, si volsero nuovamente verso la cosa dagli occhi rosso vivo che Blair scal- pellava via dal bozzolo di ghiaccio. Si passò una m anona tra i capelli lunghi fino alla spalla, e con gesto familiare spos tò una ciocca che gli cadeva dietro l'orecchio.--So che la baracca dei ra ggi cosmici diver- rà un po' troppo affollata, se dovrò starci seduto insieme con quella cosa--brontolò.--Perché non continui a togliere il ghiaccio che ha intorno, e nessuno verrà a ficcarci il naso, ti ass icuro, e poi non appen-

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di quella roba sopra la caldaia del generatore? Il calore è sufficiente. Riuscirebbe a scongelare un pollo, o perfino un qua rto di bue, in poche L ore. --Lo so--protestò Blair, posando il martello per po ter meglio ge- sticolare con le dita ossute coperte di lentiggini; il suo corpo minuto era teso dall'impazienza.--Ma tutto questo è troppo importante per Correre rischi. Non c'è mai stato un ritrovamento c ome questo; non potrà mai più essercene uno uguale. E l'unica possi bilità che l'uomo potrà mai avere, e occorre eseguire le cose nel mod o più esatto. } --Senti, ricordi quei pesci che abbiamo preso tem po fa, nel Mare di ~ Ross? Congelavano quasi nello stesso momento in c ui li Dosavamo sul 1~ ~ 197 ponte, e poi ritornavano in vita se li scongelavamo lentamente. Le for- me di vita inferiori non muoiono, se le si congela rapidamente e le si sgela con lentezza. Noi abbiamo... --Ehi, per l'amore del cielo! Stai dicendo che quel la maledetta cosa ritornerà a vivere!--strillò Connant.--Piglia quell a tua schifosa be- stia... No, ci penso io! La faccio a pezzetti così piccoli che... --No! No, sciocco.--Blair balzò davanti a Connant p er proteggere il suo prezioso ritrovamento.--No. Soltanto le form e di vita rnferiori. Per l'amor di Dio, lasciami finire. Non puoi sconge lare le forme di vita superiori e pretendere che rivivano. Aspetta un mom ento, ora... ferma- ti! Un pesce può riaversi dopo essere stato congela to, poiché è una for- ma di vita talmente bassa che le singole cellule de l suo corpo possono riprendere a vivere, e questo da solo basta a ripri stinare la vita. Ma ogni altra forma di vita, superiore a quella di un pesce, che si faccia scongelare allo stesso modo resterà morta. Anche se le cellule singole ritornano in vita, esse poi muoiono, poiché per viv ere hanno bisogno di organizzazione, di un'attività cooperativa. In o gni animale che non abbia subìto danni e che sia stato congelato rapida mente c'è una sorta di vita potenziale. Ma non può, non può, in nessuna circostanza, ridi- ventare vita attiva negli animali superiori. Gli an imali superiori sono troppo complessi, troppo delicati. Questa è una cre atura intelligente, giunta a un livello di evoluzione, che equivale a q uello a cui siamo giunti noi. O forse superiore. Ed è altrettanto mor ta quanto potrebbe esserlo un uomo congelato. --Come fai a saperlo?--chiese Connant, brandendo mi nacciosa- mente l'ascia che aveva afferrato un istante prima. Il comandante Garry gli posò una mano sulla spalla massiccia, per calmarlo.--Aspetta un istante, Connant. Desidero ch iarire un punto. Sono d'accordo: non scongeleremo questa cosa, se c' è la sia pur remo- ta possibilità che ritorni in vita. Sono d'accordo che è un essere estre- mamente spiacevole da avere tra noi, vivo; non avev o idea che questa remota possibilità di resurrezione potesse esistere . Il dottor Copper si tolse la pipa dai denti e solle vò il suo corpo mas- siccio, scuro, dalla cuccetta dove era rimasto a se dere fino a quel mo- mento.--Blair sta facendo un discorso tecnico. Quel la cosa è morta. Morta come i mammut che trovano in Siberia, congela ti. La vita po- tenziale è come l'energia atomica: c'è, è lì, ma ne ssuno può farla usci- re, ed essa certamente non si libera da sola, se no n in casi rarissimi: rari come il radium nella nostra analogia fisica. A bbiamo ogni sorta di prove che gli animali non rivivono dopo essere stat i congelati: neppu- re i pesci, parlando in generale; non esiste alcuna prova contraria, che cioè le forme di vita superiori possano rivivere, i n nessuna circostan-

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za. Che cosa volevi dire, Blair? Il piccolo biologo scosse il capo. La sottile coron a di capelli che face- va cerchio intorno alla sua pelata tremolò dell a collera del giusto. _ Volevo dire--cominciò in tono risentito--che le singole cellule potrebbero esibire talune caratteristiche che p ossedevano quando era- no in vita, se venissero scongelate nella debit a maniera. Le cellule dei muscoli umani sopravvivono per molte ore, dopo che l'uomo muore. Per il semplice fatto che sopravvivono, e che s opravvivono alcune al- tre cose, poche, comunque, come i capelli e le unghie, non potete cer- tamente accusare un morto di essere uno zombie o qualcosa di simile. "Ora, se io scongelerò questa cosa nel modo ad atto, forse avrò la possibilità di determinare il tipo di pianeta d a cui proviene. Noi non sappiamo, né potremmo sapere con alcun altro si stema, se sia prove- nuta dalla Terra o da Marte o da Venere o dal d i là delle stelle. "E per il semplice fatto che ha un aspetto div erso da quello del- I'uomo, voi non potete accusarla di essere malv agia, o crudele o chissà cosa. Forse l'espressione che vediamo sulla sua faccia è l'equivalente di una rassegnazione al destino. Il bianco, per i cinesi, è il colore del lutto. Se gli uomini possono avere usanze diffe renti perché non po- trebbe una razza, così diversa da noi, avere un codicé diverso per in- terpretare le espressioni del viso?" Connant rise piano, senza alcuna allegria.--Pa cifica rassegnazione al destino! Se quello è il meglio che riesce a fare quando si tratta di rassegnarsi, non credo di avere alcuna voglia d i vedere l'espressione che ha quando impazzisce di collera. Quella fac cia non è mai stata in- tesa perché esprimesse la pace. Anzi, non ha ma i avuto alcun pensiero filosofico corrispondente alla pace, nella sua natura. "So che adesso è il tuo beniamino, ma cerca di ragionare. Quella co- sa ha passato la sua adolescenza nel male, face ndo lentamente arrosti- re vivi i locali equivalenti dei gatti, e ha ra ggiunto poi la maturità ac- E compagnandosi con nuove, ingegnose torture." E --Non hai il minimo diritto di dire queste cos e--ribatté irosamen- te Blair.--Come puoi fare la benché minima affe rmazione a riguardo di espressioni facciali che per loro intrinseca natura sono completa- t mente diverse da quelle umane? Può darsi che no n esista neppure, l'e- quivalente umano di quei sentimenti. Si tratta solamente di un modo diverso con cui la Natura ha scelto di sviluppa rsi: un ulteriore esem- E pio della meravigliosa capacità di adattamento che troviamo nella j~ Natura. Cresciuta su un pianeta diverso, forse più aspro, essa ha una forma e connotati diversi. Ma è un figlio legit timo della Natura, esat- tamente come lo sei tu. Tu ora esibisci l'infan tile debolezza umana consistente nell'odiare ciò che è diverso. Sul suo mondo d'origine, essa probabilmente classificherebbe te come una most ruosità bianca smorta come la pancia di un pesce, con un numer o insufficiente di oc- chi e un corpo fungoide, pallido e gonfio di ga s. Solo perché la sua na- tura è diversa, non hai alcun diritto di afferm are che tale natùra è ne- cessariamente malvagia. 199 Norris proferì un unico, tonante:--Puah!--Abbassò l o sguardo sulla cosa.--Può darsi che le creature provenienti da altri mondi non debbano necessar2amente essere malvage soltanto per ché sono diverse, certo. Ma quella creatura lo era dawero! Figlia del la Natura, eh? Be', per l'Inferno, come doveva essere malvagia quella N atura! --Ehi, volete piantarla lì, voialtri rompiscatole, di polemizzare tra di voi? e volete decidervi a togliere quella roba d al mio tavolo?-- brontolò Kinner.--E metteteci un telo sopra. Ha un aspetto indecen- te. --Kinner mi diventa pudico--lo burlò Connant.

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Kinner guardò con la coda dell'occhio il corpulento fisico. La guan- cia sfregiata si torse, unendosi alla linea delle l abbra strette per for- mare un ghigno.--D'accordo, grand'uomo, ma di cosa ti lamentavi un minuto fa? Possiamo mettere quella roba su una s edia accanto alla tua, queta sera, se lo desideri. --Non ho paura della sua faccia--ritorse Connant.-- Non mi dà nessun particolare piacere fargli la veglia funebre , ma vedrò ugual- mente di farlo. Il sorriso di Kinner si allargò.--Già, già--fece. S i accostò alla stu- fa e cominciò alacremente a far scendere la cenere, seppellendo le schegge di ghiaccio. Blair si rimise al lavoro. - Clic - riferì il contatore dei raggi cosmici. - C lic, brrrp, clic. - Connant sobbalzò e lasciò cadere la matita. --Maledizione.--Il fisico lanciò un'occhiata all'in dirizzo dell'altra estremità della baracca, al contatore Geiger colloc ato sul tavolo ac- canto a quell'angolo, e si mise carponi sotto il ta volo dove stava lavo- rando, per cercare di recuperare la matita. Poi si rimise a sedere e ri- prese il lavoro, cercando di scrivere in modo più c hiaro. La sua calli- grafia tendeva ad avere sobbalzi e fremiti, all'uni sono con i suoni improvvisi, simili al verso di una gallina soddisfa tta, che emetteva il contatore Geiger. Il sibilo attutito della lampada a petrolio che usava per l'illuminazione, la mescolanza di gorgoglii e d i fanfare provenien- te dalla decina di persone che dormivano nel corrid oio della Casa Pa- radiso costituivano i rumori di fondo su cui s'inse rivano i chioccolii ir- regolari del contatore e il fruscio occasionale del carbone che si asse- stava nella stufa panciuta di rame. Oltre al debole , continuo d77p-drip-dr2p della cosa nell'angolo. Connant si strappo di tasca un pacchetto di sigaret te, ne batté il fon- 200 do in modo che una sigaretta saltasse fuori, quindi si piazzò fra le lab- bra il cilindretto di tabacco. L'accendino fece cil ecca, ed egli frugò rab- biosamente in mezzo álla pila di carte, per trovare un fiammifero. Fe- ce scorrere varie volte la ruota dell'accendino, lo lasciò cadere sul tavolo con un'imprecazione e si alzò per andare a p rendere con le mol- le, dalla stufa, un pezzo di carbone acceso. L'accendino funzionò poi al primo colpo, non appena egli fu ritorna- to alla scrivania. Il contatore emise una serie di chioccolii soddisfa tti quando una sal- va di raggi cosmici lo raggiunse. Connant si voltò verso il contatore per indirizzargli un'occhiata di stizza, e cercò di concentrarsi sull'in- terpretazione dei dati raccolti nel corso della pre cedente settimana. Il riepilogo settimanale... Poi vi rinunciò, arrendendosi alla curiosità, o al nervosismo. Prese la lampada dalla scrivania e la trasportò sul tavol o nell'angolo. Poi ri- tornò alla stufa e raccolse le molle. La bestia con tinuava a sgelarsi da diciotto ore, ormai. Egli la tastò con la molla, po nendo in quell'atto, un inconsapevole cautela: la carne non era più dura come le lastre di una corazza, ma aveva assunto una consistenza di go mma. Sembrava una massa di gomma bagnata, azzurra, coperta di luc cicanti goccioli- ne d'acqua simili a piccoli gioielli rotondi, alla luce della lampada a petrolio.

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Connant provò l'irragionevole desiderio di versare l'intero serbatoio di petrolio su quella cosa contenuta nella cassa, e di gettarvi la siga- retta accesa. Insensibili, i tre occhietti rossi lo fissavano trucemente, e i bulbi oculari color rubino rimandavano a lui i ra ggi di luce fumosi e- opachi. Comprese vagamente di avere continuato a fissare qu egli occhi per un tempo assai lungo, e addirittura comprese in mod o assai vago che insensibili, quegli occhi, non lo erano più. Ma que sto non gli parve im- portante: come non gli parve importante il faticoso lento movimento delle appendici simili a tentacoli che spuntavano d alla base del collo sottile, lentamente pulsante. Connant riprese la lampada e ritornò alla sedia. Si mise a sedere fissando le pagine di espressioni matematiche che a veva davanti a sé. Il chioccolio del contatore, adesso, era divenuto, stranamente, meno fastidioso; il fruscio dei carboni nella stufa non riusciva più a distrarre la sua attenzione- Il cigolio del pavimento di assi di legno, dietro d i lui, non interruppe il filo dei suoi pensieri, mentre egli scriveva in modo automatico il re- SOConto settimanale, riempiva colonnine di cifre e apponeva delle note di commento, col riassunto delle osservazioni Il cigolio delle assi del pavimento si fece piu vic ino. 201 Blair riemerse bruscamente dalle profondità del son no, agitate da in- cubi. La faccia di Connant galleggiava vagamente so pra di lui; per un istante gli parve la continuazione degli orrori sca tenati che gli erano apparsi nel sogno. Ma la faccia di Connant era rabb iosa, e un poco spa- ventata.--Blair... Blair, maledetto dormiglione, sv eglia. --Uhm?... Eh?--Il piccolo biologo si strofinò gli o cchi e le sue dita ossute e lentigginose si raccolsero a formare come il pugno mutilato di un bambino. Dalle cuccette adiacenti, altre facce s i sollevarono per fissarli. Connant si raddrizzò.--Alzati... e muoviti. Il tuo maledetto anima- le è scappato. --Scappato?... cosa?--La voce stentorea del capo pi lota Van Wall s'innalzò a un volume che fece tremare le pareti. D al fondo del tunnel di comunicazione, altre voci si misero improvvisame nte a urlare. I do- dici abitanti della Casa Paradiso si precipitarono d'improvviso nella stanza: Barclay, massiccio e quasi tondo in un enor me paio di mutan- doni di lana, portava con sé un estintore. --Che diavolo succede?--chiese Barclay. --Questa vostra maledetta bestia si è liberata. Mi sono addormen- tato una ventina di minuti fa, e quando mi sono sve gliato, la cosa non c'era più. Ehi, Doc, col cavolo che ci hai racconta to che quelle bestie non possono ritornare in vita. La maledetta vita po tenziale descritta da Blair ha sviluppato un potenziale del diavolo e ci è scappata sotto il naso. Copper lo fissò con occhi vacui.--Non era... terres tre --sospirò d'improvviso.--Io... io credo che le leggi della Te rra non siano valide per essa. --Be', si è messa in lista per una licenza e se l'è presa da sola. Dob- biamo trovarla e catturarla in qualche maniera.--Co nnant imprecò

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amaramente; i suoi occhi neri e infossati erano tor vi e incolleriti.--E un miracolo che quell'infernale creatura non mi abb ia divorato men- tre dormivo. Blair gli restituì lo sguardo, e i suoi occhi palli di furono improv- visamente pieni di paura.--A meno che... ehm... uhm ... dovremo sco- prirlo. --Scoprilo tu. Era la tua beniamina. Io ne ho più c he abbastanza; starmene seduto laggiù per sette ore, con il contat ore che ticchettava ogni pochi secondi, e voialtri dormiglioni qui dent ro a fare il coro dei russanti. Mi meraviglio di essere riuscito ad addor mentarmi. Vado al- I'Amministrazione. Il comandante Garry entrò in quel momento, chinando si per passa- re sotto I uscio. Era occupato ad allacciarsi la ci ntura.--Non ce ne sa- rà bisogno. Il ruggito di Van sembrava il suo aerop lano quando decol- la controvento. Allora, non era morta? --Non sono stato io a portarla fuori in braccio, di questo potete es- serne certi--ritorse Connant.--L'ultima volta che l 'ho vista, da quel suo cranio spaccato cominciava a uscire una poltigl ia verde, come quando si schiaccia un grosso bruco. Doc ha detto i n questo istante che le nostre leggi non valgono per quella cosa, no n è terrestre. Be', è un mostro ultraterreno, con un caratterino ultrater reno, a giudicare dalla faccia, e se ne va a spasso con la testa spac cata e il cervello che gli cola fuori. Sulla soglia comparvero Norris e McReady; dietro di loro, gli stipiti incorniciavano le facce di molti uomini tremanti.-- Qualcuno l'ha vi- sta venire da questa parte?--domandò Norris, in ton o innocente. --Alta circa un metro e venti, tre occhi rossi, cer vello che cola fuori... Ehi, qualcuno ha controllato che non sia uno scherz o di dubbio gusto? Se lo fosse, penso che tutti sareste d'accordo con me nel prendere il be- niamino di Blair e legarlo al collo di Connant come l'albatros nella ballata dell'antico marinaio. --Non è una burla--disse Connant, rabbrividendo.--O h, Dio, preferirei che lo fosse. Preferirei portarmela al.. .--S'interruppe. Un urlo selvaggio, sovrannaturale, echeggiò lungo i co rridoi. Gli uomini s'irrigidirono bruscamente. Metà dei presenti si vo lse verso quella di- rezione. --Credo che sia stata localizzata--terminò Connant. I suoi occhi scuri si posavano qua e là, animati da uno strano n ervosismo. Corse alla sua cuccetta nella Casa Paradiso, e quasi imme diatamente fu di ritorno con un pesante revolver calibro 45 e un'asc ia. Li brandì tutti e due con delicatezza, e si avviò lungo il corridoio in direzione del cani- le.--Andando in giro a caso, deve avere imboccato i l corridoio sba- gliato... ed essere finita tra i cani. Ascoltate, i cani hanno spezzato le catene... I guaiti semiterrorizzati della muta si erano trasf ormati nella confu- Sione selvaggia della caccia. Le voci dei cani rimb ombavano negli stretti corridoi, e insieme con esse giunse un bass o ringhiare intermit- tente: odio allo stato puro. Uno strillo di dolore; una dozzina di guaiti ringhiosi. Connant corse alla porta. A un passo da lui, McRead y, poi Barclay e :~ il comandante Garry lo seguirono immediatamente. Altri uomini si avviarono di corsa verso l'Amministrazione, e verso le armi: la capan- r~ na delle slitte. Pomroy, che si occupava delle c inque mucche dell'Ac-

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r Campamento Magnetico Principale, si avviò per il corridoio nella dire- zione opposta: aveva in mente un certo forcone dal manico lungo qua- si due metri e dalle punte assai sottili. Barclay si arrestò con uno scivolone, quando la mol e gigantesca di McReady fece una brusca giravolta e si allontanò da l tunnel che con- duceva al canile, svanendo in una direzione lateral e. Nel dubbio, il meccanico esitò per un momento, senza lasciare l'es tintore che aveva in mano, mentre decideva il percorso da seguire. Po i riprese a correre dietro le ampie spalle di Connant. Qualunque cosa M cReady avesse in mente, ci si poteva fidare che fosse capace di mett erla in atto. Connant si arrestò al gomito del corridoio. Il resp iro sibilò brusca- mente nella sua gola.--Gran Dio...--La pistola spar ò con fragore di tuono; tre assordanti, quasi tangibili ondate di su ono echeggiarono negli stretti corridoi. Poi altre due. Il revolver cadde sulla neve com- pressa del camminamento, e Barclay vide l'ascia da ghiaccio passare in posizione difensiva. 11 corpo massiccio di Conna nt gli ostruiva la vi- sta, ma dietro di esso egli udì qualcosa che miagol ava e, follemente, ri- deva. Adesso i cani erano più calmi: nel loro basso ringhiare c'era una mortale serietà. Zampe munite di artigli raschiavan o sulla neve indu- rita, catene spezzate sbattevano e tintinnavano. Connant bruscamente cambiò piede, e Barclay poté ve dere cosa ave- va davanti. Per un istante rimase impietrito, poi i l fiato gli uscì dalle labbra in una feroce bestemmia. La cosa si lanciò c ontro Connant, e le braccia poderose dell'uomo calarono l'ascia, di pia tto, su quella che sarebbe potuta essere una testa. Ci fu un terribile scricchiolio, ma poi la carne ridotta a brandelli, lacerata da una mezza dozzina di cani da slitta inferociti, ritornò di nuovo in piedi. Gli o cchi rossi bruciavano di un odio ultraterreno, di un'ultraterrena, insopprim ibile vitalità. Barclay volse contro di essa l'estintore; il getto accecante, corrosivo, di nebbia chimica confuse la cosa, la disorientò e, insieme con il sel- vaggio attacco dei cani - incapaci di provare per p iù di pochi istanti paura di qualsiasi cosa che fosse, o che potesse es sere, viva - la tenne a bada. McReady, aprendosi la strada in mezzo agli altri, s tava arrivando dal corridoio stretto, stipato di persone che non r iuscivano a vedere la scena. L'attacco di McReady aveva la decisione di q ualcosa di proget- tato con cura. Una delle torce a cherosene usate pe r riscaldare i motori dell'aereo era stretta nelle sue mani bronzee. La t orcia ruggì impetuo- samente quando egli svoltò il corridoio e aprì la v alvola. Il rabbioso miagolio salì di tono. I cani si ritirarono precipi tosamente dalla lancia di fiamma, lunga quasi un metro e di colore bluastr o. --Bar, prendi un cavo sotto tensione, portalo fino a noi in qualche maniera. E un manico. Possiamo folgorare con l'elet tricità questo... mostro, se non riesco a incenerirlo io.--McReady pa rlava con l'auto- rità di chi ha già in mente un programma d'azione. Barclay si avviò per il lungo corridoio, diretto all'impianto genera tore, ma già prima di lui Norris e Van Wall si erano messi a correre. Barclay trovò il cavo nell'armadietto dei pezzi di riserva dell'impian- to elettrico, nella parete del tunnel. La voce di V an Wall echeggiò in un grido di avvertimento:--Tensione!--quando la dinamo con motore a benzina, tenuta di riserva per i casi di emergenz a, entrò rombando in azione. Una mezza dozzina di uomini, intanto, si era già radunata laggiù; carbone e legna venivano infilati nel focol are dell'impianto elettrico a vapore. Norris, che bestemmiava con voc e bassa e monoto- na, lavorava con dita svelte e sicure dall'altra es tremità del cavo di Barclay, collegandola a una presa.

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I cani si erano ritirati, quando Barclay raggiunse il gomito del corri- doio: si erano ritirati di fronte a una mostruosità inferocita che lancia- va fiamme dai tre occhi rossi e pieni d'odio, miago lando per la rabbia di vedersi in trappola. I cani formavano un semicer chio di musi spor- chi di rosso, con una frangia di denti bianchi e sc intillanti, e uggiola- vano con malvagia bramosia che quasi uguagliava la furia degli occhi rossi. Calmo, McReady stava all erta nel gomito del tunnel: nelle mani aveva la torcia ancora ferocemente accesa, ed era p ronto a rimetterla in azione contro il mostro. Fece un passo di lato s enza distogliere gli occhi dalla bestia quando Barclay lo raggiunse. C'e ra un sorriso esile e tirato sulla sua scarna faccia bronzea. La voce di Norris lanciò un richiamo dal fondo del corridoio, e Bar- clay fece un passo avanti. Il cavo elettrico era fi ssato con del nastro isolante al lungo manico di una pala da neve: i due conduttori erano stati allontanati tra loro, e venivano tenuti alla distanza di un paio di spanne per mezzo di un pezzo di legno legato ad ang olo retto, di tra- verso, sull'impugnatura del manico. I fili di rame, privi d'isolamento, caricati a 220 volt, scintillavano alla luce delle lampade a petrolio. La cosa miagolò, s'immobilizzò per un attimo e poi cer cò di sottrarsi. McReady si accostò al fianco di Barclay. I cani dav anti a loro avverti- rono la natura del piano degli uomini con l'intelli genza quasi telepati- ca dei cani da slitta addestrati. Il loro uggiolio divenne più acuto, più sommesso, e i loro passi al rallentatore li portaro no più vicini al mo- stro. All'improvviso un enorme cane dell'Alaska, ne ro come la notte, si lanciò contro la cosa intrappolata. Essa si voltò c ome un turbine, col- pendo il cane con le zampe armate di artigli affila ti come sciabole. Barclay fece un balzo in avanti e affondò la sua ar ma. Un urlo sovru- mano, acutissimo, si alzò e si ruppe, soffocato. L' odore di carne brucia- ta si fece più aspro in tutto il corridoio; si alza rono volute pigre di fu- mo denso e grasso. L'eco del rombo della dinamo a b enzina divenne un tonfo cupo, all'altro capo del corridoio. Gli occhi rossi si velarono nella tremolante parodi a, sempre più rigi- da, di una faccia. Membra simili a braccia e a gamb e sobbalzarono e tremarono~ I cani balzarono avanti, e Barclay ritir ò la sua arma mon- ata sul manico di una pala. La cosa che giaceva sul la neve non si mos- se più, mentre i denti scintillanti la facevano a b randelli. 204 = 205 Garry si guardò attorno, nella stanza affollata. Tr entadue uomini: al- cuni ancora tesi per il nervosismo, appoggiati cont ro la parete; altri incerti e rilassati; alcuni seduti; molti, volenti o nolenti, costretti a ri- manere in piedi per mancanza di spazio, vicini come sardine. Trenta- due, più i cinque che si stavano occupando di ricuc ire le ferite dei ca- ni: trentasette in tutto, il personale al completo. Garry cominciò a parlare:--D'accordo, penso che sia mo arrivati tutti. Alcuni di voi... tre o quattro al massimo... hanno visto ciò che è successo. Tutti voi avete visto la cosa che è sul t avolo, e potete farvi un'idea generale. A beneficio di chiunque non l'ave sse vista, ora solle- verò...--La sua mano corse al telo cerato che copri ~a il rigonfiamento della cosa deposta sul tavolo. Ne usciva un acre od ore di carne brucia- ta. Gli uomini si affrettarono a dire che non ce n' era bisogno, e si agita- rono preoccupati. --Ho proprio idea che Charnauk non guiderà più ness una muta-- continuò Garry.--Blair vuole poter mettere le mani su questa cosa, per compiere degli esami più dettagliati. Noi vogli amo sapere che co- s'è successo, ed essere certi che adesso sia perman entemente, comple-

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tamente morta. Giusto? Connant sorrise.--Chiunque non sia d'accordo può ve nire qui a te- nerle compagnia per la notte. --D'accordo, allora. Blair, che cosa mi puoi dire d i essa? Che cos'era?--Garry si voltò verso il piccolo biologo. --Mi chiedo se l'abbiamo mai vista nella sua vera f orma natura- le.--Blair portò lo sguardo sulla massa ancora cope rta dalla tela ce- rata.--Può darsi che imitasse le creature che hanno costruito quell'a- stronave... ma non penso che sia la ~erità. Secondo me, quella era la sua vera forma. Quelli di noi che erano vicino al g omito del corridoio l'hanno vista in azione; la cosa che c'è sul tavolo è il risultato. Quando si è liberata, a quanto pare, ha cominciato a guard arsi attorno. L'An- tartide è ancora coperta di ghiaccio come lo era in tere epoche geologi- che fa, quando questa creatura la vide per la prima volta... e si conge- lò. Dalle osservazioni da me compiute mentre si sta va scongelando, e dai campioni di tessuto organico che in quella occa sione ho staccato e colorato, credo che fosse originaria di un pianeta più caldo della Ter- ra. Non poteva, nella sua forma naturale, sopportar e la temperatura. Non c'è alcun organismo vivente sulla Terra che pos sa vivere nell'An- tartide durante l'inverno, ma la miglior soluzione di compromesso so- no i cani. La cosa ha trovato i cani, e in qualche modo è riuscita ad av- vicinarsi a Charnauk e a ucciderlo. Gli altri cani hanno sentito il suo odore... o il suo rumore... non so, e si sono infer ociti, hanno spezzato le catene e l'hanno attaccata prima che avesse finito con Charnauk. La cosa che noi abbiamo trovato era in parte Charnauk, che stranamente era morto solo per metà, in parte Charnauk semidige rito dal protopla- sma di quella creatura, simile a gelatina, e in par te era un residuo del- la cosa che abbiamo trovato originariamente, fusosi , o qualcosa di si- mile, fino a raggiungere lo stato base del suo prot oplasma. --Quando i cani l'hanno attaccata, essa si è trasfo rmata nella mi- glior creatura da combattimento che le è venuta in mente. A quanto si direbbe, una bestia di un altro pianeta. --Trasformata--scattò Garry.--E in che modo? --Ogni organismo vivente è costituito di gelatina.. . di protoplasma cioè, e di minuscole, submicroscopiche entità chiam ate nuclei, che controllano la massa che li circonda, il protoplasm a. Questa cosa non era altro che una modificazione del piano universal e seguito dalla Na- tura; cellule, costituite di protoplasma, controlla te da nuclei infinita- mente più piccoli. Voi fisici potreste paragonarla. .. paragonare uma cellula isolata di qualsiasi organismo vivente... a un atomo; la massa dell'atomo, la parte che riempie lo spazio, è costi tuita dalle orbite de- gli elettroni, ma le sue caratteristiche sono deter minate dal nucleo atomico. "Queste considerazioni non s'allontanano in modo tr oppo radicale da ciò che già conosciamo. Si tratta solamente di u na modificazione che non abbiamo mai incontrato in passato. E altret tanto naturale, al- trettanto logica, quanto ogni altra manifestazione della vita. Obbedi- sce esattamente alle stesse leggi. Le cellule sono fatte di protoplasma, le loro caratteristiche sono determinate dai nuclei . "Solo che in questa creatura i nuclei cellulari pos sono controllare le cellule con un atto di votontd. Ha digerito Charnau k, e, mentre lo dige- riva, ha studiato ciascuna cellula dei suoi tessuti , e ha modificato le proprie cellule in modo da imitarla esattamente. Al cune parti della cosa... le parti che hanno avuto il tempo di cambia re fino in fondo...

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sono cellule di cane. Ma non hanno nuclei come quel li delle cellule di cane.n Blair sollevò un angolo della tela cerata. N e uscì una zampa di cane tutta lacerata, coperta di ispidi peli grigi. nQuesta, per esempio, non è affatto canina; è imitazione. Di alcune parti non sono certo, il nucleo si nasconde dietro un altro nucleo che imita quello delle cellule canine A tempo debito, neppure un microscopio avreb be potuto mo- strare la differenza." --E supponendo--chiese amaramente Norris--che avess e avuto tUtto il tempo che voleva? --Allora sarebbe diventata un cane. Gli altri cani l'avrebbero accol- ta tra loro. Noi l'avremmo accolta tra noi. Noi ste ssi l'avremmo accol- ta come uno di noi. Non credo che possa esistere un o strumento capa- ce di distinguerla: né il microscoDio. né i raoai X . né altro. E un mem- bro di una razza supremamente intelligente: una raz za che ha appreso i segreti più profondi della biologia, e li ha volt i a proprio uso. --E che cosa intendeva fare?--Barclay lanciò un'occ hiata alla tela cerata e ciò che si nascondeva sotto di essa. Blair sorrise, a disagio. L'ondeggiante aureola di capelli sottili che circondava il suo cranio pelato si scosse, accompag nando il movimen- to dell'aria.--Impadronirsi del mondo, immagino. --Impadronirsi del mondo! Proprio questo, tutto da solo?--Con- nant boccheggiò.--Mettersi sul trono come un dittat ore solitario? --No.--Blair scosse il capo. Il bisturi che aveva c ontinuato a strin- gere fra le dita gli cadde di mano; si chinò a racc oglierlo, cosicché, mentre parlava, la sua faccia rimase nascosta agli altri.--Divente- rebbe la popolazione del mondo. --Diventerebbe... Popolerebbe il mondo? Perché, si riproduce in modo asessuale? Blair scosse il capo e trangugiò.--E un... non ne h a bisogno. Pesava 38 chili. Chamauk ne pesava circa 40. Sarebbe diven tato Charnauk, e gli sarebbero rimasti 38 chili per diventare... o J ack, per esempio, o Chinook. Pub imitare qualsiasi cosa, ossia diventar e qualsiasi cosa. Se avesse raggiunto il Mare Antartico, sarebbe diventa to una foca... ma- gari due foche. Avrebbero potuto attaccare un'orca marina, e poi di- ventare due orche, oppure un branco di foche. O mag ari avrebbe preso un albatros, o un gabbiano, e sarebbe volato fino i n Sudamerica. Norris imprecò a voce bassa.--E ogni volta che aves se digerito qualcosa, e l'avesse imitato... --Gli sarebbe rimasto il proprio peso di partenza, per ricominciare di nuovo--terminò Blair.--Nulla potrebbe ucciderlo. Non ha nemi- ci naturali, poiché diventa qualsiasi cosa voglia d iventare. Se un'orca marina lo attaccasse, diventerebbe un'orca marina. Se fosse un alba- tros e un'aquila lo attaccasse, diventerebbe un'aqu ila. Signore, po- trebbe diventare un'aquila femmina. Tornare indietr o, fare il nido e deporre le uova! Sei sicuro che quella creatura infernale sia morta? --chiese il dottor Copper, piano. --Sì, grazie al Cielo--rispose il piccolo biologo.- -Quando hanno portato via i cani, io stesso sono rimasto lì, a co lpirla per cinque minu- ti con l'aggeggio per la folgorazione elettrica cos truito da Bar. Ormai è

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morta... e cotta. --Allora possiamo soltanto ringraziare che siamo ne ll'Antartide, dove non ha neppure un'unica, singola, solitaria fo rma di vita da imi- tare, tolti gli animali dell'accampamento. --Noi--fece Blair, con una risatina sciocca.--Potre bbe imitare noi. Un cane non riuscirebbe a percorrere seicentoc inquanta chilome- tri fino al mare; non c'è cibo. Non ci sono gabbian i da imitare in que- 208 sta stagione. Non ci sono pinguini, così nell'entro terra. Non c'è nulla che possa raggiungere il mare da questa località... eccetto noi. Noi ab- biamo il cervello. Noi possiamo farlo. Non capite?. .. Deve imitare noi... deve essere uno di noi... è l'unico modo in cui può servirsi di un aeropla- no... votare per due ore, e dominare... essere... t utti gli abitanti della Terra. Ha un mondo da raccogliere... se imita noi! --Ma non lo sapeva ancora. Non ha avuto la possibil ità di imparar- lo. Aveva fretta... era in pericolo... ha preso la cosa che ha trovato, la più vicina alla sua stessa taglia. Ecco... io sono Pandora... ho aperto il vaso! E l'unica speranza che può uscirne... è che n on c'è nulla che pos- sa uscirne! Voi non mi avete visto. Me ne sono occupato io. Ho risolto il problema. Ho rotto il magnete di ciascun aer eo. Non è rimasto un solo aereo che possa volare. Nulla può volare.- -Blair rise sciocca- mente e si accasciò a terra, piangendo. Il capo pilota Van Wall si tuffò in direzione della porta. I suoi passi erano un'eco che svaniva nel corridoio mentre i l dottor Copper si pie- gava senza fretta sul corpo del piccolo uomo st eso sul pavimento. Dal suo armadio all'altra estremintà della stanza, egli prese qualcosa e iniettò un'imprecisata soluzione nel braccio di Blair.--Forse ritorne- rà normale quando si sveglierà--disse con un so spiro, rialzandosi. McReady lo aiutò a sollevare il biologo e a tra sportarlo di peso su una cuccetta.--Dipende solo da questo: se riuscirem o a convincerlo che quella cosa è morta. Van Wall ritornò nella baracca, strofinandosi con aria distratta la folta barba bionda.--Non pensavo che un biologo potesse portare avanti fino in fondo una simile iniziativa. Si è dimenticato dei ricambi del secondo armadietto. Tutto a posto. Li ho ro tti io. Il comandante Garry annuì.--Mi domandavo della radio. ll dottor Copper sbuffò.--Non penserete che po ssa scappare via su '~ un'onda radio, vero? Se sospendessimo le trasmi ssioni, arriverebbero cinque spedizioni di soccorso nel giro di tre m esi. La cosa da farsi è quella di parlare, senza riferire niente. Ora m i chiedo se McReady fissò il medico con aria interrogativa .--Potrebbe essere come una malattia infettiva. Ogni cosa che abbi a assorbito il suo san- gue p Copper scosse il capo.--Blair ha dimenticato u na cosa. Sarà benis- i~ simo capace di imitare, ma deve possedere, alme no fino a un certo - punto, una propria chimica organica, un proprio metabolismo. Se non li avesse, allora diventerebbe cane, certo... ma re sterebbe un cane e niente di più. Deve essere un cane fasullo. E dunqu e lo possiamo sco- prire mediante prove sul siero. E la sua chimica, p oiché proviene da un altro mondo, deve essere così completamente, rad icalmente diver- sa, che alcune cellule, ad esempio quelle che raggi ungono l'organismo dalle gocce di sangue, sarebbero trattate come germ i patogeni dall'or- L~ ganismO del cane... o dell'uomo. --Sangue?... Una di quelle imitazioni sarebbe capac e di sanguina- re?--domandò Norris.

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--Certo. Nel sangue non c'è nulla di arcano. I musc oli sono compo- sti di acqua per il 90~o; il sangue è diverso solta nto in questo: ha qual- che centesima parte di acqua in più, e meno tessuto connettivo. Un'i- mitazione sanguinerebbe normalmente--gli assicurò C opper. Dalla cuccetta, Blair si rizzò bruscamente a sedere .--Connant... Dov'è Connant? Il fisico si recò accanto al piccolo biologo.--Sono qui. Che cosa vuoi? --Tu sei?--disse Blair, ridendo scioccamente. Tornò a sprofondare nella cuccetta, contorcendosi in mute risate. Connant lo fissò con occhi vacui.--Che? Sono io cos a? --Sei dawero lì?--Blair fu scosso da un accesso di risate.--Sei dawero Connant? Quella bestia voleva essere un uomo ... non un cane! Il dottor Copper si alzò stancamente dalla cuccetta e lavò con cura la siringa ipodermica. Il sottile tintinnio parve molt o rumoroso, nella stanza affollata, ora che la gorgogliante risata di Blair era finalmente cessata. Copper rivolse lo sguardo verso Garry e sc osse lentamente il, capo.--Non c'è speranza, temo. Non credo che riusci remo mai a con- vincerlo che la cosa è morta. Norris fece un sorriso incerto.--Non credo che rius cirete a convin- cere me. Oh, accidenti a te, McReady. --McReady?--Il comandante Garry distolse lo sguardo da Norris per fissare McReady con curiosità. --Gli incubi--spiegò Norris.--McReady aveva una teo ria sugli incubi da noi avuti alla stazione Secondaria dopo a vere trovato quella cosa. --E com'era?--Garry fissò McReady senza battere cig lio. Per lui rispose Norris, parlando inquieto, a scatti .--Che la creatura non fosse morta ma avesse una sorta di esistenza en ormemente rallen- tata- un'esistenza che le permetteva comunque di es sere vagamente cosciente del passare del tempo, e del nostro arriv o dopo infiniti anni. Io stesso ho sognato che era capace di imitare le c ose. --Be'--brontolò Copper--ne è capace. --Non fare lo stupido--ritorse Norris.--Non è quest a la parte che mi preoccupa. Nel sogno poteva leggere la mente; le ggere i pensieri e le idee e i modi di agire individuali. _ E cosa c'è di male? Mi pare che la cosa vi preocc upi più di un'al- tra, e cioè il pensiero di come sarà divertente ave re con noi un matto, in un campo antartico.--Copper indicò con il capo l a sagoma dor- miente di Blair. McReady scosse lentamente la testa.--Voi sapete che Connant è Connant: infatti egli non soltanto assomiglia a Con nant... cosa che, a quantO cominciamo a pensare, era capace di fare anc he la bestia... ma pensa come Connant, parla come Connant, si comporta con noi come si comporta Connant. E per farlo non basta solament e un corpo che as- somigli al suo, occorre anche la mente stessa di Co nnant, i suoi pensie- ri e i suoi caratteristici modi di agire. Pertanto, anche se da una parte

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voi sapete che la cosa avrebbe potuto assumere un a spetto simile a quello di Connant, dall'altra l'intera questione no n vi preoccupa mol- to, poiché voi sapete che la mente della cosa prove rrebbe da un altro mondo: sarebbe una mente completamente inumana, non potrebbe reagire e pensare e parlare come un uomo che conosc iamo, e non po- trebbe farlo in maniera così abile da ingannarci an che solo per un mo- mento. L'idea che quella creatura imiti uno di noi è affascinante, ma è irreale, poiché la cosa è troppo inumana per poterc i ingannare. Essa non possiede una mente umana. --Come ho detto in precedenza--ripeté Norris, fissa ndo McReady senza battere ciglio--tu riesci a dire le cose più infernali nel più in- fernale dei momenti. Mi fai il favore di completare il tuo pensiero... in un modo o nell'altro? Kinner, il cuoco della spedizione dal volto segnato da una cicatrice, era rimasto fermo accanto a Connant fino a quel mom ento. Improv- visamente si scosse e, attraversando l'intera lungh ezza della stanza af- follata, si diresse alla sua cucina, dove si mise r umorosamente a scuo- t tere la cenere dal focolare della stufa. --Alla cosa non servirebbe a niente--disse il dotto r Copper a voce bassissima, come se pensasse a voce--limitarsi ad a ssomigliare a t qualcosa che essa cerca di imitare; dovrebbe comp renderne le sensa- i zioni, le reazioni. E la cosa è profondamente inu mana; ha poteri di imi- ~ tazione che vanno al di là di qualsiasi concetto degli uomini. Un buon L attore, mediante l'esercizio, può giungere a imit are un altro uomo, i suoi modi di agire, in modo sufficiente a ingannare quasi tutti. Natu- ralmente~ però, nessun attore riuscirebbe a imitarl o in modo talmente t~` perfetto da ingannare uomini che sono vissuti c on la persona imitata nella assoluta mancanza di privacy che c'è in un ac campamento del- E I~Antartide. Ciò richiederebbe un'abilità superum ana. --Oh, ci sei arrivato anche tu?--Norris lanciò un'i mprecazione, a voce bassa. Connant, che era fermo accanto alla parete, da solo , a un'estremità [ della stanza, si guardò intorno ferocemente. con il viso nallidissimo Con una sorta di lentissima osmosi, gli uomini si e rano pian piano spostati verso l'altra estremità della stanza, e ad esso intorno a lui s'e- ra fatto il vuoto.--Santo Dio, volete starvene zitt i, voi due menagra- mo?--A Connant tremava la voce.--Che cosa sono, io? Una sorta di esemplare microscopico che voialtri state dissezion ando? Un verme talmente sudicio da doverne parlare in terza person a? McReady alzò lo sguardo su di lui; per un istante, le sue mani cessa- rono di torcersi lentamente.--Ci divertiamo moltiss imo. Peccato che non ci sia anche tu. Firmato: Tutti. "Connant, se ti pare di essere in una posizione inf ernale, basta che tu ti metta per un momento nei panni degli altri. Tu h ai l'unica cosa che noi non abbiamo: tu sai qual è la risposta. Ti dirò una cosa: in questo momento tu sei la persona più temuta e rispettata d i tutto il Campo Magnetico Principale." --Gesù; se tu potessi vedere i tuoi occhi--disse Co nnant, boccheg- giando.--Smettila di fissarmi, per favore! Che cosa diavolo intendi fare? --Ha qualche suggerimento, dottor Copper?--chiese a voce ferma il comandante Garry.--Questa situazione è impossibi le. --Ah, sì?--ritorse Connant.--Venite da questa parte , e guardate

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quella folla. Santo Cielo, sembrano esattamente la muta di cani dietro il gomito del corridoio. Benning, la pianti di agit are quella maledetta ascia da ghiaccio? La lama di bronzo cadde a terra con un suono metall ico quando il meccanico degli aerei, innervosito, mollò la presa. Si chinò all'istante e la raccolse, la soppesò lentamente, facendosela g irare tra le mani, mentre i sui occhi scuri si muovevano a scatti per tutta la stanza. Copper si sedette sulla cuccetta accanto a Blair. I l legno cigolò ru- morosamente. Lontano, in fondo a un corridoio, un c ane uggiolò per il dolore, e le voci tese degli addestratori dei cani si alzarono piano. --Un esame al microscopio--disse il dottore, pensos o--sarebbe inutile, come ci ha detto Blair. E già trascorso un tempo considerevo- le. Però un esame del siero risulterebbe conclusivo . --Esame del siero? Che cosa intende dire esattament e?--doman- dò il comandante Garry. --Se ho un coniglio cui è stato iniettato sangue um ano... che per i conigli è un veleno, naturalmente, così come è un v eleno il sangue di qualsiasi altro animale, escluso i conigli stessi.. . e le iniezioni conti- nuassero per qualche tempo, salendo continuamente d i dose, il coni- glio diventerebbe immune all'uomo. Se poi gli togli essimo una piccola quantità del suo sangue, e la lasciassimo sedimenta re in una provetta e aggiungessimo al siero trasparente una goccia di sangue umano, ci sarebbe una reazione assai appariscente, la quale d imostrerebbe che il sangue che abbiamo introdotto è umano. Se aggiunges simo sangue di mucca o di cane... o qualsiasi altro materiale prot eico diverso da un'u- nica cosa, cioè il sangue umano... non si verifiche rebbe alcuna reazio- ne. Questo sarebbe la dimostrazione definitiva. _ E mi puoi dire dove posso trovare il coniglio che ti serve, dotto- re?--chiese Norris.--Cioè, senza andare in Australi a: non vogliamo perdere tempo per arrivare fino là. _ so che non ci sono conigli in Antartide--disse Co pper, annuen- do col capo--ma il coniglio è solo l'animale che si usa di solito. Ogni altro animale, a eccezione dell'uomo, va ugualmente bene. Ad esem- pio, un cane. Ma la cosa richiederà alcuni giorni, e, data la mole della bestia, una grossa quantità di sangue. Due di noi d ovranno diventare donatori. --Posso offrirmi io?--chiese Garry, annuendo.--Mi m etterò im- mediatamente all'opera. --E per quanto riguarda Connant, nel frattempo?--do mandò Kin- ner.--Uscirò da quella porta e mi metterò a correre verso il Mare di Ross, piuttosto che cucinare per lui. --Potrebbe anche essere umano...--cominciò a dire C opper. Connant esplose in una serie di imprecazioni.--Uman o! Potrei an- che essere umano, accidenti a te, maledetto segaoss a! Ma cosa diavolo credi che io sia? --Un mostro--disse seccamente Copper.--E adesso chi udi il bec- cO e dammi retta.--Dal viso di Connant era scompars o ogni colore; si mise pesantemente a sedere quando l'accusa venne pr onunciata. --Finché non lo sapremo... e tu sai bene quanto noi che abbiamo degli ottimi motivi per mettere in dubbio la cosa, e solt anto tu sai quale po- trà essere la risposta... ci si aspetta logicamente che noi ti si metta sot- to chiave. Se tu sei... non umano... sei molto più pericoloso del povero

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Blair qui presente, e per quanto riguarda Blair mi occuperò io stesso di chiuderlo a chiave in modo che non possa uscire. Prevedo che il suo prossimo passo sarà quello di provare il violento d esiderio di uccider- ti, di uccidere i cani e probabilmente anche noi. Q uando si sveglierà, sarà sicuro che noi tutti siamo non umani, e nulla in Terra potrà cam- biare le sue convinzioni. Sarebbe più gentile lasci arlo morire, ma non possiamo farlo, è chiaro. Finirà in una delle barac che, e tu potrai ri- manere nella baracca dei raggi cosmici insieme con le tue apparec- chiature. Che poi è la cosa che faresti in qualsias i caso. Devo andare a preparare un paio di cani. Connant annuì, amaramente.--lo sono umano. Fa' in f retta con quell~esame. I tuoi occhi... Signore, se solamente tu potessi vedere i tuoi occhi, come mi fissano... Il comandante Garry osservò con ansia mentre Clark, l'addetto ai cani, teneva fermo il grosso eschimese bruno e Copp er dava inizio alle miezioni. Il cane non era eccessivamente ansioso di collaborare: l'ago 213 pungeva, e già al mattino aveva sperimentato la sua dose di cucito. Cinque punti suturavano una lacerazione che gli par tiva dalla spalla per giungere fino a metà del corpo, passando sulle costole. Una lunga zanna era spezzata a metà; la parte mancante si sar ebbe potuta trova- re semisepolta nell'osso della spalla della cosa mo struosa che giaceva sul tavolo dell'edificio Amministrazione. --Quanto occorrerà?--chiese Garry, stringendosi del icatamente il braccio. Era tutto indolenzito per la puntura dell' ago usato dal dottor Copper per estrarre il sangue. Copper alzò le spalle.--Non lo so, detto francament e. Conosco il metodo in generale e l'ho usato sui conigli. Ma non ho mai sperimen- tato con i cani. Sono animali grossi, goffi per que sto tipo di lavoro di laboratorio; naturalmente, i conigli immuni all'uom o, li forniscono opportuni laboratori: pochi sono i ricercatori che si prendano la fatica di prepararseli da sé. --Ma che cosa se ne fanno, laggiù?--chiese Clark. --La criminologia è un campo vasto. A dice di non a ver ucciso B, e che il sangue sulla sua camicia viene da un pollo. La polizia fa un test, poi spetterà ad A spiegare come mai quel sangue rea gisca con i conigli immuni all'uomo, e non con quelli immuni al pollo. --Che ne faremo di Blair nel frattempo?--chiese sta ncamente Garry.--Va benissimo lasciarlo dormire lì per un po ', ma quando si sveglierà... --Barclay e Benning stanno mettendo qualche robusto chiavistello sulla porta della baracca dei raggi cosmici--rispos e Copper, con un sorriso torvo.--Connant si sta comportando da genil uomo. Ho l'im- pressione che il modo con cui gli altri lo guardano possa contribuire a fargli desiderare un po' di privacy. Dio sa, come t utti noi, individual- mente, abbiamo pregato per un po' di intimità. Clark rise amaramente.--Adesso non più, grazie tant e. Fitta briga- ta, vita beata. --Blair--continuò Copper--dovrà a sua volta avere i ntimità... e chiavistelli. Avrà certamente in testa un piano ben dettagliato, quan- do si sveglierà. Avete mai sentito il modo per ferm are l'afta nei bovini, quello che usavano una volta?

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--Se non c'è afta, non ci sarà afta--Copper spiegò. --Potete sba- razzarverne uccidendo ogni animale che ne mostra i segni, e ogni ani- male che è stato vicino a un animale ammalato. Blai r è biologo, e co- nosce certamente questa vecchia storia. Inoltre ha paura di questa co- sa che abbiamo messo il libertà. Probabilmente avrà già chiara la risposta: uccidere tutto e tutti in questo campo, p rima che un gabbia- no o un albatros che si spinge all'interno con la p rimavera capiti per caso da noi e... si prenda la malattia. Le labbra di Clark si torsero.--Mi sembra logico. S e le cose doves- sero diventare troppo brutte... forse faremmo megli o a lasciare libero Blair. Ci impedirebbe di commettere suicidio. Anzi, potremmo fare un voto, un giuramento, che se le cose dovessero veram ente volgere al peggio, si provveda a fare una cosa simile. Copper rise piano.--L'ultimo uomo rimasto in vita a l Campo Ma- gnetico Principale... non sarebbe un uomo--spiegò.- -Qualcuno do- vrà uccidere quelle... creature che non desiderano uccidersi da sole, lo sai. Non abbiamo abbastanza termite per farlo tutto in una volta, e l'e- splosivo alla decanite non servirebbe a molto. Ho l 'impressione che anche i piccoli pezzi di una di quelle cose possano essere autosufficien- ti. --Se possono--disse Garry, pensoso--modificare il l oro proto- plasma a volontà, non pensa che si limiteranno a mo dificare se stessi trasformandosi in uccelli e poi se ne voleranno via ? Possono leggere tutto ciò che occorre sugli uccelli, e imitare la l oro struttura senza ve- nire direttamente in contatto con essi. Oppure imit are uccelli del loro pianeta. Copper scosse il capo e aiutò Clark a liberare il c ane.--L'uomo ha studiato gli uccelli per centinaia di anni, cercand o di imparare come costruire una macchina che volasse come loro. Non r iuscì mai a sco- prire il modo; infine, il successo gli giunse quand o rinunciò nettamen- te a quell'idea e si mise a cercare nuovi metodi. T ra conoscere il prin- cipio in generale e conoscere nei dettagli la strut tura dell'ala e del- I'osso e del tessuto nervoso c'è molta, moltissima differenza. E per ciò che riguarda gli uccelli di altri mondi, forse, anz i molto probabilmen- , te, le condizioni atmosferiche che abbiamo qui so no talmente diverse ~r da quelle che regnano laggiù che i loro uccelli non potrebbero volare. Anzi, forse quella creatura è venuta da un pianeta come Marte, con ~-~ un'atmosfera talmente rarefatta che non esiston o gli uccelli. Barclay entrò nella stanza, portando con sé un roto lo di cavo d'ac- ciaio per i comandi degli aerei.--Tutto fatto, Doc. La baracca dei rag- gi cosmici non può essere aperta dall'interno. E ad esso, dove mettia- mo Blair? Copper guardò Garry.--Non c'è nessuna capanna riser vata ai bio- logi. Non so dove potremmo isolarlo. @ --Che ne dice della baracca Est?--chiese Garry, d opo averci pen- sato per un momento.--Blair è in grado di badare a se stesso, oppure ha bisogno di... essere sorvegliato? L Ne è abbastanza in grado. Saremo noi, quelli da sorvegliare-- ~`. gli assicurò Copper, con amarezza.--Prenda una stufa, un paio di sacchi di carbone e qualche arnese per mettere a posto il tutto. Non c'è ~ pib stato nessuno dallo scorso autunno, vero? ·L Garry scosse la testa.--Se diventa rumoroso... m i pare che possa

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~ essere una buona idea. Barclay sollevò gli attrezzi che aveva con sé e fis sò Garry.--Se il brontolio che sta emettendo ora è una buona indicaz ione, passerà l'in- tera notte cantando. E le sue canzoni non ci piacer anno. --Che cosa dice?--chiese Copper. Barclay scosse il capo.--Non avevo voglia di ascolt are a lungo. Se vuoi, puoi ascoltarlo tu. Ma ho capito che quel mal edetto idiota ha fat- to tutti i sogni che ha fatto McReady, e qualcuno i n più, anche. Ha dor- mito accanto alla cosa, a ogni fermata che abbiamo fatto nel ritornare dal Polo Magnetico Secondario, ricorda. Ha sognato che la cosa era vi- va, e l'ha sognato in maggiori dettagli. E - che po ssa dannarsi l'anima - sapeva che non si trattava solamente di un sogno, o almeno aveva motivo di pensarlo. Sapeva che aveva dei poteri tel epatici che si stava- no vagamente ridestando, e che non solo poteva legg ere la mente, ma poteva anche proiettare i pensieri. Non erano sogni , vedi. Erano pen- sieri in libertà che la cosa proiettava, un po' com e Blair, in questo stes- so momento, sta proiettando i suoi... una sorta di mormorio telepatico nel sonno. Per questo sapeva così tante cose dei su oi poteri. Penso che tu, Doc e io non siamo così sensibili, se pensi di poter credere alla tele- patia. --Non posso farne a meno--sospirò Copper.--Il dotto r Rhine del- la Duke University ha mostrato che esiste, e ha mos trato che alcune persone sono assai più sensitive di altre. --Be', se desideri sapere un mucchio di dettagli, v a' ad ascoltare ciò che Blair comunica. Ha costretto la maggior parte d ei ragazzi a scap- pare via dell'Edificio dell'Amministrazione; Kinner continua a sbatte- re le casseruole come se fosse carbone che rotola l ungo uno scivolo. Quando non ha sottomano nessuna casseruola da sbatt ere, sbatte la cenere. --A proposito, comandante, cosa faremo questa prima vera, adesso che gli aeroplani sono in panne? Garry sospirò.--Temo che la nostra spedizione sia d estinata a esse- re una netta perdita. Non possiamo dividere le nost re forze in questo momento. --Non sarà una perdita... se continueremo a vivere, e riusciremo a uscire fuori da questa situazione--gli promise Copp er.--Il ritrova- mento da noi fatto, se riusciremo a metterlo sotto controllo, è abba- stanza importante. I dati sui raggi cosmici, il lav oro sul campo ma- gnetico e quello sull'atmosfera non subiranno gravi ritardi. Garry rise senza allegria.--Stavo proprio pensando alle trasmis- sioni radio. Riferire a mezzo mondo i meravigliosi risultati dei nostri voli esplorativi, cercando di ingannare persone com e Byrd ed Ells- worth nella madrepatria, facendo loro credere che s tiamo facendo qualcosa. CoDDer, serio, annuì.--Si accorgeranno che c'è qual cosa che non va. Ma uomini come quelli hanno abbastanza giudizio per capire che non cercheremmo di ingannarli se non avessimo una q ualche sorta di motivo, e aspetteranno il nostro ritorno per giudic arci. Penso che in fin dei conti la situazione risulterà la seguente: gli uomini abbastanza esperti per riconoscere il nostro inganno aspettera nno il nostro ritor- no. Gli uomini che non hanno fede e discrezione suf ficienti ad attende- re, non avranno neppure l'esperienza necessaria a s coprire un ingan-

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no. Noi conosciamo a sufficienza le condizioni di q ui per poter imba- stire un plausibile bluff. --Solo perché non inviino spedizioni di "salvataggi on--si augurò Garry.--Quando - e se - saremo in grado di uscire, dovremo informa- re il capitano Forsythe di portare con sé una scort a di magneti, quan- do verrà da noi. Se invece... no, per ora lasciamo perdere. --Se non potremo mai allontanarci, vuoi dire?--chie se Barclay. --Mi chiedevo se un bel racconto in presa diretta d i un'eruzione o di un terremoto via radio, con un opportuno finale son oro ottenuto me- diante un candelotto di decanite sotto il microfono , non potesse aiu- tarci. Nulla, ovviamente, riuscirà a tenere lontano la gente in eterno. Ma una di quelle eleganti, melodrammatiche scene ti po "ultimo su- perstite" potrebbe convincerli a non affrettarsi tr oppo. Garry sorrise, sinceramente divertito.--E anche gli altri uomini del campo si danno da fare per trovare simili idee? Copper rise.--Che cosa crede, Garry? Siamo sicuri d i poter vincere in definitiva. Ma non sarà una cosa troppo facile, penso. Clark alzò la testa e sorrise, distogliendo gli occ hi dal cane che, a forza di carezze, cercava di far tornare alla calma .--Sicuri, hai detto, dottore? Blair si aggirò inquieto per tutta l'ampiezza della piccola baracca. I suoi occhi scattavano e tremolavano lanciando vaghe occhiate sfug- r~ genti ai quattro uomini che lo accompagnavano: B arclay, alto un me- ,1~ tro e ottanta e pesante più di 80 chili; McRead y, un gigante bronzeo; il dottor Copper, basso, tozzo e robusto; e Benning, u n metro e settanta- Cinque di nervi d'acciaio. Blair si rannicchiò contro la parete più lontana de lla baracca Est: la sua roba era accumulata in mezzo al pavimento, acca nto alla stufa, e formava come un'isola tra lui e i quattro uomini. L e sue mani ossute Continuavano a stringersi e ad aprirsi, terrorizzat e. I suoi occhi chiari emolavano inquieti e la sua testa calva e coperta d i lentiggini guiz- zava da una parte all'altra con movimenti da uccell ino spaventato. --Non voglio che nessuno venga qui. Mi farò da mang iare da me-- disse, nervosamente.--Kinner può essere umano, ora come ora, ma ne dubito. Troverò una soluzione, ma non intendo ma ngiare nessun ci- bo che voi mi mandiate. Voglio scatolette. Scatolet te chiuse ermetica- mente. --Va bene, Blair, te le porteremo questa sera--prom ise Barclay. --Hai del carbone, e il fuoco è acceso. Farò un ult imo...--Barclay si fece avanti. Blair corse immediatamente a rifugiarsi nell'angolo più lontano. --Esci fuori! Sta' lontano da me, mostro!--urlò il piccolo biologo, e cercò di aprirsi la strada con le unghie nella pare te della baracca. --Stai lontano... stai lontano... non intendo lasci armi assorbire... non voglio... Barclay si rilassò e si tirò indietro. Il dottor Co pper scosse il capo. --Lascialo solo, Bar. Per lui sarà più facile contr ollarsi da solo. Dob- biamo occuparci della porta, credo... I quattro uomini uscirono. Con efficienza, Benning e Barclay si mi- sero al lavoro. Non c'erano lucchetti in Antartide: non c'era abbastan- za intimità per renderli necessari. Ma in ciascuno degli stipiti erano

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state awitate delle grosse viti, e cavo di scorta d egli aerei, un cavo d'acciaio intrecciato, estremamente robusto, venne legato tra le viti e teso forte. Poi Barclay si mise all'opera con un tr apano e un seghetto: in poco tempo aprì nella porta uno sportellino da c ui si sarebbe potuto passare nella stanza gli alimenti, senza necessità di aprire la porta. Tre spessi cardini presi da una cassa di provviste, due nottolini e una copiglia da dieci centimetri assicuravano che non v enisse aperto al- I'interno. All'interno, Blair si muoveva nervosamente. Tra sbu ffi e impreca- zioni a mezza voce, era intento a spingere qualche oggetto in direzione della porta. Barclay aprì lo sportello e diede un'o cchiata, mentre il dottor Copper cercò di sbirciare da dietro le sue s palle. Blair aveva spinto contro la porta la pesante branda. La porta, ormai, era impossi- bile ad aprirsi senza la sua collaborazione. --Non so, ma ho l'impressione che quel poveraccio a bbia ragio- ne--disse McReady, sospirando.--Se riesce a uscire, ha giurato di uccidere tutti noi, nessuno eccettuato, il più pres to possibile: progetto col quale non siamo molto d'accordo. Ma c'è qualcos a, dalla nostra parte di quella porta, che è ben peggio di un mania co omicida. Se si trattasse di scegliere tra i due, credo che verrei qui di persona a toglie- re il cavo che blocca la porta. Barclay gli sorrise:--Fammelo solo sapere, e ti far ò vedere il modo più svelto per toglierlo. Il sole tingeva l'orizzonte settentrionale di arcob aleni multicolori, sebbene tramontato già da due ore. Il campo di neve si stendeva a per- dita d'occhio verso nord, e scintillava, sotto quei colori fiammeggian- ti, con un milione di glorie riflesse. Basse montag nole bianche e tonde sull'orizzonte settentrionale mostravano la Catena Magnetica, che su- perava di poco la cima della tormenta. Piccole spir ali di neve spinta dal vento si allontavano dai loro sci mentre faceva no ritorno all'ac- campamento principale, a due miglia di distanza. Il dito scheletrico dell'antenna radio s'innalzava come un sottile ago nero sullo sfondo bianco del continente antartico. La neve sotto gli sci era come sabbia fina: dura e frusciante. --La primavera--disse Benning con amarezza--è giunt a. Non è divertente? Io aspettavo con ansia di potermi allon tanare da questo maledetto buco scavato nel ghiaccio. _ Non ci proverei, se fossi in te--disse Barclay.-- La gente che cercherà di squagliarsela di qui nei prossimi giorn i risulterà estrema- mente impopolare. _ Come va il tuo cane, dottor Copper?--chiese McRea dy.--Hai già qualche risultato? --In trenta ore? Magari ne avessi! Oggi gli ho fatt o un'iniezione del mio sangue. Ma penso che occorreranno altri cinque giorni. Non cono- sco a sufficienza il procedimento per fare più in f retta. --Mi chiedevo se Connant fosse... cambiato, ci avre bbe avvertito così in fretta dopo la fuga della creatura? Non avr ebbe aspettato un po' di più, in modo da darle maggiore possibilità d i assumere la nuova forma? Non avrebbe aspettato che finisse di dormire ?--chiese lenta- mente McReady. --Quella cosa egoista. Al vederla, non ti pareva ch e si ispirasse ai più alti principi di giustizia, no?--gli fece notar e il dottor Copper. --Ogni parte di essa è la sua totalità, ogni sua pa rte pensa a se stessa,

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immagino. Se Connant fosse stato cambiato, allora, allo scopo di sal- vare la propria pelle, egli avrebbe dovuto... ma i sentimenti di Con- nant non sono cambiati; sono perfettamente imitati, o sono i suoi. E chiaro che l'imitazione farebbe esattamente le stes se cose che farebbe Connant. _ Di', Norris o Van non potrebbero sottoporre Conna nt a qualche tipo di test? Se la cosa è più intelligente degli u omini, allora potrebbe ConosCere la fisica più di quanto si suppone possa conoscerla Connant, e loro due potrebbero accorgersene--suggerì Barclay . Copper scosse stancamente il capo.--No, se legge ne lla mente. Non puoi prepararle una trappola. Van ha già suggerito la stessa cosa la Scorsa notte. Sperava che rispondesse a certe doman de di fisica alle quali anche lui vorrebbe dare una risposta. Quest'idea di uscire a gruppi di quattro ci rallegr erà l'esisten- za disse Benning, guardando i propri compagni.--Cia scuno di noi terrà d'occhio i propri compagni per accertarsi che non facciano nulla 219 di... particolare. Gente, diventeremo proprio un be l gruppo di persone ispirate alla reciproca fiducia! Ciascuno guarda il vicino esibendo il massimo di fede e di fiducia... ora comincio a capi re cosa intendesse Connant quando diceva: ~Vorrei che potessi vedere i tuoi occhi~. Di tanto in tanto dobbiamo avere anche noi lo stesso s guardo, credo. Ognuno di noi si guarda attorno con uno sguardo del tipo: «Mi chiedo se gli altri tre non siano per caso...~>. Tanto per chiarire, non voglio che questo non si applichi anche a me. --Per quanto ne sappiamo, l'animale è morto, con qu alche residua perplessità a riguardo di Connant. Nessun altro è s ospetto.--McRea- dy fece lentamente questa asserzione.--L'ordine di stare sempre in "gruppi di quattron è soltanto una misura precauzio nale. --Mi aspetto che tra un po' Garry dia l'ordine di " quattro per cuc- cetta~.--Barclay sospirò.--Pensavo che già prima si avesse poca in- timità, ma da quell'ordine in poi... Nessuno osservava con tensione superiore a quella d i Connant. Una piccola provetta sterile, piena a metà di un liquid o paglierino. Una... due... tre... quattro... cinque gocce della soluzio ne chiara che il dottor Copper aveva preparato con le gocce di sangue prese dal braccio di Connant. La provetta venne scossa attentamente, poi collocata in un matraccio pieno di acqua pura e tiepida. Il termome tro lesse la tempe- ratura del sangue, un piccolo termostato scattò e p oi la piastra elettri- ca di riscaldamento cominciò ad arrossarsi, mentre le luci delle lam- padine si abbassavano un poco. 3~ Poi minuscoli fiocchi bianchi di precipitato cominc iarono a formar- ~a si e a scendere come neve all'interno del liquido p aglierino.--Signo- . re--disse Connant. Si lasciò cadere pesantemente in una cuccetta, ; piangendo come un bambino.--Sei giorni...--singhioz zò.--Sei giomi dentro quella baracca, chiedendomi se quel ma ledetto test mentisse. Garry si avvicinò silenziosamente a lui, e gli appo ggiò il braccio sul- la spalla. --~on poteva mentire--disse il dottor Copper.--Il c ane era im- mune all'uomo... e il siero ha reagito.

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--E... è a posto?--ansimò Norris.--Allora... l'anim ale è morto... morto per sempre? --E umano--disse Copper, con sicurezza--e l'animale è morto Kinner scoppiò a ridere, istericamente. McReady si voltò verso di lui e cominciò a schiaffeggiarlo metodicamente: uno , due, uno, due. Il cuoco rise, deglutì, pianse e infine si mise a sede re, strofinandosi la guancia e mormorando vaghi ringraziamenti.--Se avev o paura, Si- gnore, se avevo paura... Norris rise seccamente.--E credi che noi non ne ave ssimo, razza di scimmione? Pensi che Connant non ne avesse? L'edificio Amministrazione si rianimò come per un i mprovviso rin- giovanimento. Alcuni cominciarono a ridere, gli uom ini ammassati accanto a Connant parlarono con voci troppo alte, v oci convulse, ner- vose, che ridiventavano sollevate e amichevoli. Qua lcuno lanciò un suggerimento, e una decina di persone si diresse ag li sci. Blair. Blair poteva rinsavire... Il dottor Copper continuava a p asticciare con le sue provette, sollevato dal nervosismo, occupato a prov are varie soluzio- ni. Il gruppo di salvataggio diretto alla baracca d i Blair uscì dalla por- ta, con gli sci che battevano rumorosamente. Lungo il corridoio i cani emisero un rapido suono che stava a metà tra un gua ito e un uiulato, quando l'aria di eccitazione e di sollievo giunse f ino a loro Il dottor Copper continuò a pasticciare con le sue provette. Il primo a notarlo fu McReady: lo vide seduto sul bordo dell a cuccetta, con in mano due provette piene di liquido paglierino reso bianco dai fiocchi del precipitato. La sua faccia era più bianca dei f iocchi nella provetta, e dai suoi occhi, terrorizzati fino a un attimo pri ma, scendevano lacri- me silenziose. McReady si sentì trapassare il cuore da una gelida lama di paura che gli raggelò il petto. Il dottor Copper sollevò lo sguardo. --Garry--gridò con voce roca.--Garry, per l'amor di Dio, venga qui. Il comandante Garry si diresse rapidamente verso di lui. Il silenzio calò bruscamente sull'edificio Amministrazione. Anc he Connant alzò lo sguardo, si sollevò rigidamente in piedi. --Garry... i tessuti del mostro... anch'essi forman o il precipitato. Il testo non prova niente. Prova solo che il cane era anche immune al mostro. Uno dei due che hanno donato il sangue... u no di noi due, io e lei, Garry... uno di noi è un mos~ro. 10 i --Bar, richiama indietro quegli uomini prima che arrivino da Blair--disse piano McReady. Barclay si recò alla po rta- debolmente le Sue grida giunsero agli uomini rimasti nella sta nza, tesi e silenziosi ~>oi ritornO all'interno. --Stanno tornando--annunciò.--Non ho spiegato loro il perché. Solo che il dottor Copper ha detto di non andare. --McReady--sospirò Garry--adesso il comando è tuo. Che Dio ti possa aiutare. Io non posso farlo. Il gigante di bronzo annuì lentamente, fissando sul comandante Garry gli occhi profondi.

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--Potrei essere io--Garry aggiunse.--Io sono certo di non esserlo, ma non posso dimostrarlo a voi in alcun modo. Il te st del dottor Cop- per è andato in fumo. Il fatto che egli stesso ci a bbia mostrato che è inutile, mentre al mostro sarebbe stato utile che t ale inutilità non fos- se nota, sembra dimostrare che egli è umano. Copper si dondolò lentamente sulla cuccetta, avanti e indietro.--Io so di essere umano. Anch'io non ho modo di dimostra rlo. Uno di noi due è un bugiardo, perché quel test non può mentire , e il test afferma che uno di noi due lo è. Io ho dato la prova che il test è inutile, e questo parrebbe dimostrare che io sono umano, e ora Garry ha dato la dimo- strazione logica che io sono umano... una dimostraz ione che non avrebbe dovuto dare, se fosse il mostro. E un giro vizioso che gira... gi- ra... gira... La testa del dottor Copper, poi il suo collo e le s palle cominciarono lentamente a girare, al ritmo delle parole. Poi, br uscamente, stese la schiena sulla cuccetta, scoppiando in una fragorosa risata.--Non c'è bisogno di dimostrare che uno di noi è un mostro! N on c'è affatto biso- gno di provarlo! Ho-ho. Se siamo tutti dei mostri, il ragionamento fila lo stesso! Siamo tutti mostri... tutti... Connant e Garry e io... e tutti voi. --McReady--chiamò piano Van Wall, il capo pilota da lla barba bionda--tu avevi cominciato gli studi di medicina p rima di passare alla meteorologia, no? Puoi escogitare qualche test ? McReady si avvicinò lentamente a Copper, gli tolse la siringa dalla mano e la lavò accuratamente in una soluzione di al cool al 95 per cen- to. Garry rimase immobile a sedere, sul bordo della cuccetta, con il volto rigido come legno, sorvegliando Copper e McRe ady.--Ciò che Copper ha detto, è possibile--fece McReady, sospira ndo.--Van, vuoi aiutarmi, per favore? Grazie.--L'ago si piantò nell a coscia di Copper. La sua risata non si interruppe, ma lentamente si t rasformò in un sin- ghiozzo e poi in un sonno profondo quando la morfin a fece effetto. McReady si voltò di nuovo. Gli uomini che erano par titi per recarsi da Blair erano fermi all'altra estremità della stan za, con gli sci spor- chi di neve e gocciolanti; le loro facce erano bian che come i loro sci. Connant aveva in ciascuna mano una sigaretta accesa : da una traeva boccate, con espressione assente, e intanto fissava il pavimento. Il bru- ciore di quella che teneva nell'altra mano richiamò bruscamente la sua attenzione; egli la fissò, poi fissò stupidamen te quella da cui aspi- rava. Infine ne gettò una a terra e la calpestò len tamente con il tacco. 222 --Il dottor Copper--ripeté McReady--potrebbe avere ragione. Io 5o di essere umano... ma è chiaro che non posso dim ostrarlo. Ripeterò il test per mia personale informazione. Se un altro di voi vuole farlo, lo faccia pure a sua volta. Due minuti più tardi, McReady mostrò la provetta in cui il precipi- tato bianco si separava lentamente dal siero paglie rino.--Anche que- sta reagisce al sangue umano, e quindi nessuno dei due è un mostro. --Non pensavo che potessero esserlo--disse Van Wall , con un so- spiro.--Anche questa sarebbe stata una soluzione in soddisfacente per il mostro: scoprendolo, avremmo potuto uccidere i mostri nascosti tra noi. Ma perché il mostro non ci ha distrutto, m i chiedo? Sembra che sia libero tra noi. McReady sbuffò. Poi rise piano.--Elementare, mio ca ro Watson. Il

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mostro desidera avere disponibili delle forme di vi ta. Non può anima- re un corpo morto, a quanto pare. Si limita ad atte ndere... ad attende- re l'occasione più opportuna. Noi che siamo ancora umani, ci tiene di riserva. Kinner rabbrividì violentemente.--Ehi. Ehi, Mac. Ma c, io lo sa- prei, se fossi un mostro? Lo saprei, se il mostro m i avesse già preso? Oh Signore, io potrei già essere un mostro. --Lo sapresti--rispose McReady. --Ma non lo sapremmo noi.--Norris rise seccamente, quasi isteri- camente. McReady guardò l'ultima provetta di siero che ancor a restava. --C'è una sola cosa a cui questa maledetta roba può servire, però-- disse, pensoso.--Clark, tu e Van potete venire ad a iutarmi? Gli altri è meglio rimangano tutti insieme qui dentro. Tenetevi d'occhio tra di voi--disse con amarezza.--Ma badate a non combinare qualche guaio, se capite cosa intendo dire. McReady si avviò lungo il tunnel, in direzione del canile seguito da Clark e Van Wall.--Ti occore altro siero?--Domandò Cíark. McReady scosse il capo.--Test. Ci sono quattro vacc he e un toro, e quasi settanta cani, laggiù. Questa sostanza reagis ce soltanto al san- gue umano... e ai mostri. ~4cReady, ritornato all'edificio Amministrazione, s i recò silenziosa- ~ente al lavandino. Clark e Van Wall si unirono a l ui un istante più tardi. Sulle labbra di Clark era sorto un tic che l e contraeva in smorfie --Che cosa avete fatto?--sbottò Connant.--Altre imm unizzazio- ni? Clark fece una smorfia, poi sobbalzò per un singult o.--Immunizza- zioni. Già. Immuni, sicuro. --Quel mostro--disse con voce ferma Van Wall--è mol to razio- nale. Il nostro cane immune era perfettamente a pos to, e abbiamo pre- levato da lui un po' di siero per i test. Ma ora no n ne faremo più. --Non possiamo usare il sangue umano... su un altro cane?...--co- minciò Norris. --Non ci sono--disse McReady, lentamente--altri can i. E neppu- re vacche, devo aggiungere. --Non ci sono altri cani?--Benning appoggiò lentame nte le spalle allo schienale. --Sono molto cattivi quando cominciano a cambiare-- disse Van Wall, soppesando le parole.--Ma lenti. Quell'aggegg io per la scossa elettrica che hai fatto tu, Barclay, è molto effica ce. Resta solamente un cane... il nostro cane immune. Il mostro ce lo ha l asciato, in modo che potessimo divertirci con i nostri inutili test. Gli altri...--Sollevò le spalle e si asciugò le mani. --Le vacche...--Kinner deglutì a vuoto. --Anche quelle. Hanno avuto una bella reazione. Han no un aspetto molto ridicolo, quando cominciano a sciogliersi. Un a bestia non ha molte possibilità di scappare in fretta, quando è l egata con la catena da cani, e doveva essere legata, per la riuscita de ll'imitazione.

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Kinner si alzò lentamente in piedi. I suo occhi sba rrati corsero per l'intera stanza e giunsero a fermarsi, su un recipi ente di stagno posto nella dispensa. Lentamente, un passo dopo l'altro, si ritirò verso la porta, aprendo e chiudendo silenziosamente la bocca , come un pesce fuor d'acqua. --Il latte...--boccheggiò.--Le ho munte un'ora fa.. .--La sua vo- ce si spezzò e divenne un urlo mentre si buttava fu ori della porta. Uscì sulla banchina polare senza giacca a vento o abiti pesanti. Van Wall lo seguì per un istante con lo sguardo, pe nsosamente. --Probabilmente è impazzito senza rimedio--disse in fine--ma po- trebbe anche essere un mostro che fugge. Non ha pre so gli sci. Prepa- rate una di quelle torce degli aerei... non si sa m ai. L'esercizio fisico dell'inseguimento fece loro bene : era una cosa che andava fatta. Tre degli altri vomitavano tranquilla mente. Norris gia- ceva supino, con la faccia verdognola, e fissava se nza battere ciglio il fondo della cuccetta sopra la sua. --Mac, da quanto tempo le mucche... non sono più mu cche? McReady scosse le spalle, impotente. Si recò al sec chio del latte e cominciò a lavorare su di esso con la sua piccola p rovetta di siero. Il latte formò una nuvoletta all'interno della provett a, rendendo difficile dare un giudizio. Infine McReady rimise la provetta nella rastrelliera e scosse il capo.--Il test è negativo. Questo signi fica che erano muc- che al momento della mungitura, oppure, essendo del le perfette imita- zioni, che hanno dato del lattte perfettamente imit ato. Copper si agitò inquieto nel sonno ed emise un gorg oglio che stava a metà tra il ridere e il russare. Occhi silenziosi s i piantarono su di lui. --La morfina... su um mostro...--cominciò a chieder e qualcuno. --Lo sa Dio--disse McReady, alzando le spalle.--Agi sce su ogni animale terrestre a me noto. Connant, bruscamente, sollevò la testa.--Mac! I can i devono avere inghiottito pezzi del mostro, e i pezzi li hanno di strutti! I cani, ecco il posto dove era il mostro. Io ero chiuso a chiave. Q uesto non dimostra che io?... Van Wall scosse il capo.--Spiacente. Non dimostra n ulla su cib che tu sei; dimostra solo ciò che non hai fatto. --Non dimostra neppure quello-- disse McReady, sosp irando. --Siamo impotenti. Poiché non ne sappiamo abbastanz a, e siamo così nervosi, non riusciamo neppure a ragionare corretta mente. Chiuso a chiave! Avete mai visto come un globulo bianco attr aversa la parete di un vaso sanguigno? No? Emette uno pseudopodo. E poi te lo trovi di là... dall'altra parte della parete. --Oh--fece Van Wall, tristemente--le vacche hanno c ercato di sciogliersi, no? Avrebbero potuto sciogliersi del t utto... divenire sem- plicemente un filo di materia e scivolare sotto la porta per poi rico- struirsi dall'altra parte. Legarli con corde, no... non servirebbe neppu- re questo. E in un serbatoio sigillato non potrebbe ro vivere... --Se spari a uno nel cuore, e quello non muore, all ora è un mo- stro--disse McReady.--E il miglior test a cui riesc o a pensare, così

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su due piedi. --Niente cani--disse Garry, piano.--E niente vacche . Ora deve imitare uomini. E chiudere la gente a chiave non ri solve niente. Il tuo test potrebbe essere utile, Mac, ma temo che la cos a sarebbe un po' du- ra per gli uomini... F, Clark alzò lo sguardo dalla stufa, quando Van Wa ll, Barclay, McReady e Benning entrarono, scuotendosi la neve dagli abit i. Gli altri uomini E affollati nell'edificio Amministrazione continuar ono ostentatamente a fare ciò che stavano facendo: giocare a scacchi, a poker, leggere. Ral- sen riparava una slitta, sul tavolo- Van e Norris~ con le te~te vicino. leggevano dei dati sul magnetismo, mentre Harvey le ggeva ad alta vo- ce alcune tabelle. Il dottor Copper ronfava piano, sulla sua cuccetta. Garry stava lavo- rando con Dutton a un fascio di messaggi radio, su un angolo della cuccetta di Dutton e su una piccola frazione del ta volo della radio. Connant aveva occupato la maggior parte del tavolo con i fogli dei ri- levamenti dei raggi cosmici. Dall'altro capo del corridoio, nonostante le due po rte, si udiva abba- stanza forte la voce di Kinner. Clark posò rumorosa mente un bricco sulla stufa e rivolse silenziosamente a McReady un cenno del capo. Il meteorologo si avvicinò a lui. --Non è che mi dispiaccia cucinare--disse Clark ner vosamente --ma non c'è un modo di far tacere l'amico? Tutti n oi pensiamo che sarebbe preferibile toglierlo dalla baracca dei rag gi cosmici. --Kinner?--McReady indicò l'uscio col capo--Temo di no. Potrei dargli un narcotico, penso, ma non abbiamo riserve illimitate di mor- fina, e non è in pericolo di perdere la ragione. E semplicemente isteri- co. --Be', siamo noi che siamo in pericolo di perdere l a nostra. Tu sei stato via un'ora e mezzo. La cosa è andata avanti s enza interruzione, per tutto il periodo, e andava avanti già da due or e. C'è un limite, sai. Garry si avvicinò lentamente a loro, con aria di sc usa. Per un istante McReady colse una scintilla ferina di paura, di orr ore, negli occhi di Clark, e in quello stesso istante seppe che anch'eg li l'aveva negli occhi. Garry... Garry o Copper... era certo un mostro. --Se potessi farlo smettere, Mac, penso che sarebbe una buona poli- tica--disse Garry, parlando tranquillamente.--Ci so no già abba- stanza... tensioni, in questa stanza. Eravamo d'acc ordo che sarebbe stato meglio avere Kinner qui, poiché ogni altra pe rsona del campo è sotto costante sorveglianza.--Garry rabbrividì debo lmente.--E cer- ca, per l'amor di Dio, cerca di trovare un test che funzioni. McReady sospirò.--Sorvegliato o no, ciascuno di noi è teso. Blair ha sbarrato il portello, cosicché ora non possiamo aprirlo. Dice di ave- re abbastanza cibo, e continua a gridare: «Andate v ia, andate via... sie- te dei mostri. Non mi lascerò assorbire. Non voglio . Lo dirò agli uomi- ni quando arriveranno. Andate via.« E così... siamo andati via. --Non c'è qualche altro test?--chiese Garry, implor ante. McReady scosse le spalle.--Copper aveva perfettamen te ragione. Il test del siero sarebbe stato assolutamente decisivo se non fosse stato...

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contaminato. Ma ci è rimasto un solo cane, e ormai è immunizzato. --Con la chimica? Un test chimico? McReady scosse il capo.--La nostra chimica non è co sì progredita. Ho cercato col microscopio, lo sai. Garry annuì.--Il cane mostro e il cane vero erano i dentici. Ma... de- vi continuare. Cosa faremo dopo cena? Van Wall si era unito a loro senza far rumore.--Dor miremo a tur- no. Metà dormono, metà restano svegli. Mi chiedo qu anti di noi siano mostri. Tutti i cani lo erano. Noi pensavamo di ess ere al sicuro, ma in qualche modo ha preso Copper... o te.--Gli occhi di Van Wall si mos- sero inquieti.--Potrebbe avervi presi tutti... e tu tti voi, io eccettuato, forse ve lo state chiedendo, state facendo dei prog etti. No, non è possi- bile. Vi limitereste a saltarmi addosso. Io sarei i nerme. Noi umani, ho I'impressione, dobbiamo essere ancora in maggioranz a, in questo mo- mento. Ma...--e s'interruppe. McReady rise seccamente.--Stai facendo la stessa co sa che Norris ha rinfacciato a me. Lasciare a mezzo un'affermazio ne. «Ma se ancora uno cambia, questo potrebbe spostare l'equilibrio d elle forze.« La co- sa non lotta. Non credo che lotti mai. Deve essere una creatura pacifi- ca... nel suo irripetibile modo. Non ne ha mai avut o bisogno, perché ha sempre ottenuto il proprio scopo in altri modi. Le labbra di Van Wall si storsero in un sorriso mal ato.--Allora, tu seggerisci che forse ha già la maggioranza, e si li mita ad attendere... tutti si limitano ad attendere... tutti voi, per qu el che ne so io... atten- dere finché io, che sono l'ultimo degli umani, abba ndono la cautela per addormentarmi. Mac, hai notato i loro occhi, tu tti fissi su di noi? Garry sospirò.--Voi due non siete rimasti a sedere qui per quattro ore filate, mentre tutti i loro occhi silenziosamen te valutavano l'infor- mazione che uno di noi due, io e Copper, è certamen te un mostro... e che forse lo siamo entrambi. Clark ripeté la sua richiesta.--Non volete farlo ta cere? Mi fa im- pazzire. Almeno fategli abbassare la voce. --Continua a pregare?--Chiese McReady. --Continua a pregare--Grugnì Clark.--Non ha smesso un secon- do. Le preghiere non mi danno fastidio, se pensa ch e gli facciano bene, ma quello urla, canta salmi e inni e grida preghier e; pensa che Dio non riesca a udire bene, a questa distanza. :. --Forse Dio non ci riesce proprio--brontolò Bar clay--altrimenti egli avrebbe fatto qualcosa per questa cosa uscita dall'inferno. --Qualcuno finirà per sperimentare il test che dice vi, se non riusci- rai a farlo stare zitto--disse Clark, trucemente.-- Penso che un col- tello da macellaio in testa potrebbe essere un test altrettanto valido j~ che un proiettile nel cuore. Prepara la cena. Io vado a vedere cosa posso fare. Magari in qual- i~ che armadio posso trovare qualcosa di utile.--Mc Ready si mosse stancamente verso l'angolo che Copper usava come fa rmacia. Erano tre armadietti alti, di assi grezze e due erano chi usi con un lucchetto: I in essi erano depositate le medicine del campo. D odici anni prima, McReady si era laureato in medicina, aveva comincia to a fare pratica

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in un ospedale e poi si era indirizzato verso la me teorologia. Copper era un ottimo medico: un uomo che conosceva complet amente, in mo- do aggiornato, la sua professione. Più di metà dei farmaci disponibili erano completamente sconosciuti a McReady; molti de gli altri se li era dimenticati. Laggiù non c'era una grossa biblio teca medica, non c'erano a disposizione collezioni di giornali medic i da cui imparare le cose che aveva dimenticato: le cose che a Copper sa rebbero parse sem- plici, elementari, tanto che non le aveva giudicate meritevoli di essere incluse nella piccola biblioteca che si era portato e che era ridotta al minimo. I libri pesano, e ogni grammo dell'equipagg iamento era stato portato in aereo. McReady prese un barbiturico, speranzosamente. Barc lay e Van Wall gli stavano dietro. Un uomo non andava da ness una parte da so- lo, al campo Magnetico Principale. Ralsen aveva tolto dal tavolo la slitta, e i fisici si erano allontanati; al loro ritorno, la partita a poker si era interrot ta. Clark serviva il cibo. Il tintinnio dei cucchiai e i suoni attutiti del pa sto erano l'unico segno di vita della stanza. Non vi furono parole quando i tre ritornarono; semplicemente, tutti gli occhi si fissarono su di l oro con aria interro- gativa, mentre le mascelle si muovevano metodicamen te. McReady s'irrigidì bruscamente. Kinner urlava un in no religioso, con voce roca e spezzata. Guardò stancamente Van Wa ll, gli rivolse un sorriso tirato e scosse il capo.--Ehm-ehm. Van Wall lanciò una bestemmia e si sedette al tavol o.--Dovremo sopportarlo finché non gli mancherà la voce. Non pu ò continuare a gridare a quel modo per tutta l'eternità. --Ha la gola di bronzo e la laringe di ghisa--spieg ò ferocemente Norris.--Oppure, con un po' di licenza, potremmo di re che è uno dei nostri amici. In tal caso potrebbe andare avanti, r innovandosi la gola, fino alla consumazione dei secoli. Il silenzio precipitò bruscamente sull'accampamento . Per venti mi- nuti, tutti mangiarono senza pronunciare una parola . Poi Connant balzò in piedi, furente.--Siete qui immobili come u n mucchio di sta- tue di marmo. Non dite una sola parola, ma, oh, Sig nore, she occhi espressivi avete! Continuano a roteare come un sacc o di bilie di vetro rovesciate su un tavolo. Sbattono, si chiudono e fi ssano... e mormora- no cose. Voi ragazzi non potreste guardare da qualc he altra parte, per favore, tanto per cambiare un po'? "Senti, Mac, sei tu che comandi, adesso. Proiettiam o qualche film per il resto della notte. Li avevamo tenuti da part e per farli durare. Durare a che scopo? Chi potrà vedere quelle ultime bobine? Vediamo- le finché possiamo, e guardiamo qualcosa che, una v olta tanto, non so- no le nostre facce". --Buona idea, Connant. Io per primo sono disposto a fare tutto ciò che posso per cambiare la situazione. _ Alza il volume, Dutton. Forse riuscirai a superar e gli inni--sug- gerì Clark. --Ma non spegnere completamente la luce--disse Norr is, piano. --Le luci saranno spente-- disse McReady, scuotendo il capo. _ Proietteremo tutti i cartoni animati che abbiamo. Non vi dispiace vedere i vecchi cartoni animati, vero?

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--Bello, bello, un film per bambini, mi sento giust o in quello spiri- to.--McReady si voltò a guardare colui che aveva pa rlato: un tale magro e allampanato, originario del New England, ch e rispondeva al nome di Caldwell. Caldwell si stava riempiendo lent amente la pipa, e teneva su McReady un occhio un po' acido. Il gigante di bronzo fu costretto a ridere.--D'acco rdo Bart, hai vin- to. Forse non siamo proprio nello spirito adatto pe r Braccio di ferro e Topolino, ma è qualcosa. --Allora giochiamo alle classificazioni--suggerì le ntamente Cald- 1 well.--O magari voi lo chiamate in altro modo. Si fanno delle righe su un foglio di carta, e si segnano classi di ogget ti... animali ad esem- pio. Una riga per la U, e una per la S e così via. Come ad esempio "Umano" e "Sconosciuto". Penso che sarebbe un gioco più utile. La classificazione, ho l'impressione, è una cosa che i n questo momento ci serve più che il cinema. Forse qualcuno ha una mati ta per tirare le ri- ghe: per tirare le righe tra gli animali U e gli an imali S, tanto per fare un esempio. _ McReady sta cercando di trovare quel tipo di mati ta--gli rispo- se tranquillamente Van Wall.--Ma abbiamo tre tipi d i animali, qui, '~ come sai. Uno che comincia con M. E non ne vogli amo altri. --Matti, intendi dire. Uh-uh. Clark, ti do una mano con quei piatti, in modo che si possa cominciare lo spettacolino.--C aldwell si alzò lentamente in piedi. Dutton e Barclay e Benning, che si occupavano di al lestire il proiet- tore e gli altoparlanti, svolgevano il loro lavoro senza parlare, mentre ~ I'edificio Amministrazione veniva spazzato e i pi atti venivano lavati. '~ McReady si spostò lentamente fino a raggiungere Van Wall, e si sedet- te nella cuccetta accanto a lui.--Mi chiedevo, Van- -disse con un sorriso ironico--se dire o non dire le mie idee pri ma di passare al- I applicazione. Mi dimenticavo che gli animali S, c ome li chiama Caldwell~ possono leggere la mente. Ho una vaga ide a di una cosa che potrebbe funzionare. Ma è ancora troppo vaga per pe nsarci sopra. ~, Continua la proiezione, mentre io cerco di pensa re alla logica della co- sa. Lasciami questa cuccetta ~`* Van Wall alzò gli occhi e annuì. Lo schermo si sarebbe trovato prati- amente allineato alla cuccetta, e laggiù le immagin i lo avrebbero di- tratto di meno, in quanto sarebbero state quasi ini ntelligibili.--For- e dovresti dirci quello che hai in mente. Ora come ora, soltanto gli S conoscono il tuo piano. Potresti... diventare un S prima di passare al- l'azione. --Non occorrerà molto, se riuscirò a chiarirmi l'id ea. Ma non vo- glio che si ripeta la situazione: tutti mostri meno il cane del test. Fa- remmo meglio a spostare Copper e a metterlo nella c uccetta diretta- mente sopra la mia. Tanto, neanche lui guarderà lo schermo.-- McReady indicò col capo la forma di Copper, intenta a russare piano. Garry li aiutò ad alzare e a trasportare il dottore . McReady si appoggiò alla cuccetta e cadde in una so rta di trance per la concentrazione, cercando di calcolare possib ilità, operazioni, metodi. Quasi non notò che gli altri si distribuiva no in silenzio ai pro- pri posti, e che lo schermo s'illuminava. Vagamente , le preghiere folli,

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urlate da Kinner e i suoi inni striduli gli procura rono un senso di fasti- dio finché non entrò in funzione il sonoro. Le luci erano spente, ma le vaste zone dello schermo su cui erano proiettati i colori chiari riflette- vano abbastanza luce da permettere la visibilità. L a luce riflessa face- va scintillare gli occhi degli uomini, che continua vano a roteare senza posa. Kinner continuava a pregare, urlando, e la su a voce era un rauco accompagnamento ai suoni riprodotti meccanicamente. Dutton alzò il volume dell'amplificatore. Per così tanto tempo la voce del cuoco aveva contin uato a echeggia- re, che a tutta prima McReady fu solo vagamente con sapevole di una sorta di mancanza di qualcosa d'indefinito. Nella s ua posizone sdraia- ta, di fronte al corridoio che portava alla baracca dei raggi cosmici, la voce di Kinner l'aveva raggiunto con molta chiarezz a, nonostante il sonoro delle pellicole. Ora si accorse improwisamen te che la voce si era interrotta. --Dutton, ferma il suono--gridò McReady, rizzandosi bruscamen- te a sedere. Le immagini guizzarono ancora, mute e stranamente futili in quell'improvviso, profondo silenzio. Il vento ch e si andava alzando sulla superficie al di sopra di loro inviava malinc oniche lacrime di suono nei camini delle stufe.--Kinner si è fermato- -disse McReady, piano. --Per l'amor di Dio, allora riattacca il suono: pot rebbe essersi fer- mato per ascoltare--gridò Norris. McReady si alzò in piedi e si avviò lungo il corrid io. Barclay e Van Wall lasciarono i loro posti all'altra estremità de lla stanza per segurli. Macchie colorate si gonfiarono e si distorsero sul dorso della tuta di maglia grigia che Barclay indossava quando egli att raversò il fascio luminoso del proiettore, che era ancora in funzione . Dutton accese le luci, e le immagini cinematografiche svanirono. Norris era alla porta come aveva chiesto McReady. G arry sedeva tranquillamente nella cuccetta più vicina alla port a, costringendo Clark a farsi da parte. Molti degli altri erano rim asti esattamente do- v'erano. Solo Connant andava lentamente avanti e in dietro per la stanza, con un ritmo fisso e invariabile. _ Se non la pianti, Connant--sbottò Clark--faremo v olentieri a meno di te, umano o no che tu sia. La vuoi piantare di andare su e giù? --Scusa--il fisico andò a sedersi su una cuccetta, e si mise a guar- darsi pensosamente le dita dei piedi. Passarono qua si cinque minuti, cinque epoche geologiche, in cui l'unico suono era quello del vento, prima che McReady riapparisse alla porta. --Noi--annunciò--non abbiamo abbastanza fastidi, qu i. Qual- cuno ha cercato di aiutarci. Kinner ha un coltello in gola, e questo è il motivo che gli ha fatto smettere di cantare, probab ilmente. Abbiamo mostri, matti e macellai. C'è qualche altra M che t i viene in mente Caldwell? Se c'è, tra non molto incontreremo anche quella. --Blair è libero?--domandò qualcuno. --Blair non è affatto libero. A meno che non sia ca pace di volare. Se c'è qualche dubbio sull'origine del nostro gentile aiutante, questo può chiarire da dove è venuto.--Van Wall mostrò un colt ello lungo una trentina di centimetri e dalla lama sottile, avvolt o in un tovagliolo. Il manico di legno era mezzo bruciato, e le zone carbo nizzate avevano il caratteristico schema del ripiano della stufa della dispensa. 'L~ Clark lo fissò.--Sono stato io a bruciarlo, og gi. Mi sono dimentica-

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to di quel coltello e l'ho lasciato sulla stufa. Van Wall annuì.--E io ne ho sentito l'odore, ricord i? Sapevo che il coltello veniva dalla dispensa. --Mi domando--disse Benning, lanciando un'occhiata circospetta E agli altri uomini presenti nella sala--quanti alt ri mostri abbiamo? Se qualcuno si fosse allontanato dal suo posto, fos se andato dietro lo schermo~ fino alla dispensa, e poi alla baracca dei raggi cosmici, e poi fosse ritornato... perché è poi ritornato, vero? Sì , siamo tutti qui. Se S uno di noi ha potuto fare tutto questo... --Forse è stato un mostro a farlo--suggerì Garry, p acatamente. --C'è anche questa possibilità. --Il mostro, come tu stesso hai detto oggi, ha solt anto uomini da irnitare. Pensi che vorrebbe ridurre la sua... scor ta, diciamo?--Fece , ~notare Van Wall.--No, ci dobbiamo occupare di un normale delin- uente~ un assassino. Di solito lo chiameremmo un "i numano assassi- " penso, ma ora come ora dobbiamo stare attenti ai termini. Abbia- o degli assassini inumani, e adesso anche degli ass assini umani, o al- ~nenO uno di essi. --C'è un umano in meno--disse piano Norris.--Forse i mostri adesso hanno forze pari alle nostre. --Lasciamo perdere--disse McReady, sospirando e vol tandosi verso Barclay.--Bar, per favore, puoi prendere quel tuo aggeggio elettrico? Vorrei assicurarmi che... Barclay si avviò per il corridoio per prendere lo s trumento della fol- gorazione elettrica, mentre McReady e Van Wall torn avano alla ba- racca dei raggi cosmici. Barclay li raggiunse mezzo minuto più tardi. Il corridoio che portava alla baracca dei raggi cos mici faceva delle curve, così come quasi tutti gli altri corridoi del Campo Magnetico Principale, e Norris era di nuovo all'ingresso del tunnel. Ma tutti udi- rono, piuttosto attutito, l'improvviso urlo di McRe ady. Ci fu un sel- vaggio tonfo di colpi sordi: ssh-tunk, shluff.--Bar -Bar...--E un urlo selvaggio che sembrava un miagolio, e che tacque pr ima ancora che Norris, di corsa, raggiungesse il gomito del corrid oio. Kinner, o ciò che era stato Kinner... giaceva sul p avimento, tagliato quasi in due dal grosso coltello impugnato da McRea dy. Il meteorolo- go era appoggiato al muro, e il coltello che teneva in mano era sporco di sangue. Van Wall si agitava piano sul pavimento, gemendo, con la mano che meccanicamente si strofinava la mascella. Barclay, con un indescrivibile bagliore selvaggio negli occhi, cala va metodicamente l'arma elettrica che teneva in mano e colpiva... co lpiva... colpiva. Sul braccio di Kinner si era sviluppato uno strano pelame scaglioso, e la carne si era contorta. Le dita si erano accorc iate, la mano si era ar- rotondata, le unghie erano divenute artigli lunghi sette centimetri, cornei e color rosso mattone, duri come l'acciaio e affilati come rasoi. McReady sollevò il capo, fissò il coltello che stri ngeva in mano e lo lasciò scivolare a terra.--Be', chiunque sia stato, adesso può parlare. E stato un assassino inumano in un senso: nel senso che ha assassinato un inumano. Giuro su tutto ciò che c'è di sacro che Kinner era un ca- davere senza vita, steso sul pavimento, quando siam o arrivati. Ma

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quando la cosa ha capito che intendevamo pungerla c on la scossa elet- trica... è cambiata. Norris lo fissò con allarme.--Oh, Signore, se quell e cose sanno reci- tare! Starsene qui seduta per ore e ore, gridando p reghiere a un Dio che odiava! Urlare inni con voce spezzata... inni d i una chiesa che non ha mai conosciuto. Farci impazzire con le sue grida senza tregua... UBene, allora parli, chiunque sia stato. Lui non lo sa, ma ha fatto un favore al campo. E voglio sapere come diavolo ha fa tto a uscire da quella stanza senza essere visto. La cosa potrebbe servire per sorve- gliarci meglio." --Quelle urla... quei canti. Neppure l'altoparlante riusciva a vin- cerli.--Clark rabbrividì.--Era un mostro. --Oh--disse Van Wall, comprendendo a un tratto.--Tu sedevi ac- canto alla porta! Ed eri già quasi dietro lo scherm o. Clark annuì, confuso.--La cosa è tranquilla, adesso . E morta... Mac, il tuo test non vale niente. Era morta in qual siasi caso, mostro o uomo che fosse, era morta. MacReady rise piano.--Ragazzi, vi presento Clark, I 'unico di cui sappiamo che è umano. Clark, colui che dimostra di essere umano cer- cando di commettere un omicidio... senza riuscirci. E per favore gli al- tri cercheranno di evitare per un po' di tempo di d imostrare di essere umani? Credo che possiamo fare un altro test. _ Un test!--esclamò allegramente Connant, poi la su a faccia tornò a rabbuiarsi.--Sarà un'altra di quelle faccende all a "così è se vi pa- re.n --No--disse McReady, senza batter ciglio.--Guarda b ene e sta' attento. Vieni nell edificio Amministrazione. Barcl ay, porta il tuo ag- geggio. E qualcuno... Dutton... resta con Barclay p er assicurarti che lo faccia. Ciascuno tenga d'occhio il proprio vicino, perché, per l'inferno da cui questi mostri sono scaturiti, io ho effettiv amente qualcosa, e i mostri lo sanno. Diventeranno pericolosi! Il gruppo entrò bruscamente in tensione. Un'atmosfe ra di schiac- ciante minaccia era scesa su tutti. Gli uomini si f issarono con attenzio- ne; con maggiore attenzione di prima: I'uomo accant o a me è un mo- stro inumano? --Di che si tratta?--chiese Garry, quandQ furono di nuovo nella sala principale.--Quanto tempo richiederà? --Non lo so, con esattezza--disse MacReady, con voc e stridula. .l --Ma so che funzionerà, e non c'è possibilità d' equivoco. Dipende da una qualità fondamentale dei mostri, non dipende da noi. E stato ~in- ner a convincermi, proprio ora.--Rimase immobile ne lla sua solidità bronzea, finalmente di nuovo sicuro di sé. --Questo--disse Barclay, sollevando l'arma dal mani co di legno sormontato dai conduttori aguzzi e carichi--diverrà assolutamente neCessario~ mi par di capire. Il generatore elettri co non si fermerà sul più bello? Dutton annuì.--Il serbatoio è pieno, e il generator e a benzina è prontO a entrare in funzione. Van Wall e io l'abbia mo preparato per la proiezione cinematografica, I'abbiamo controllato a ccuratamente più

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volte, lo sai. Chiunque tocchi quei fili, muore--as sicurò trucemente. Io lo so perfettamente. Il dottor Copper si agitò vagamente nella cuccetta, strofinandosi gli · occhi con mani intorpidite. Si mise lentamente a sedere, batté le pal- pebre ancora pesanti di sonno e di morfina, e negli occhi gli comparve- ro gli orrori indescrivibili degli incubi generati dalla droga.--Gar- mormorò--Garry, ascolta. Egoisti... sono venuti dal l'inferno, e ~ono diabolicamente egoisti... io...--poi si lasciò ricadere nella cuc- etta e riprese a russare piano. _ L 2~7 ~ 233 McReady lo guardò, pensosamente.--Tra poco lo sapre mo--disse, annuendo lentamente.--Ma hai detto giusto, egoisti. Forse ci hai pen- sato nella sonnolenza, adesso. Non mi ero chiesto c he sogni tu potessi fare. Ma è giusto. Egoisti è la parola. E devono es serlo per forza, sai.-- Si voltò verso gli uomini della baracca: uomini tes i, silenziosi, che si fissavano con occhi da lupo.--Egoisti, e, come ha d etto il dottor Cop- per, ciascuna parte è un irltero. Ciascun pezzetto è autosufficiente, un animale in se stesso. "Questa frase, e un'altra, vi sveleranno tutto. Non c'è niente di arca- no nel sangue: è un normalissimo tessuto organico, esattamente come un pezzo di muscolo o un pezzo del Eegato. Ma non h a la stessa quanti- tà di tessuto connettivo, sebbene abbia milioni, mi liardi di cellule vi- venti.n La grossa barba bronzea di McReady si arricciò in u n crudele sorri- so.--Questo è sufficiente, in un certo senso. Io so no sicurissimo che noi umani tuttora superiamo di numero voi... altri. Voi altri che siete qui. E noi abbiamo una cosa che voi, razza di un al tro mondo, eviden- temente non avete. Non un istinto imitato, ma l'art icolo genuino, compenetrato nelle ossa, un autentico fuoco inestin guibile e trasci- nante. Noi lotteremo: lotteremo con una ferocia che voi potrete cerca- re di imitare, ma che non potrete mai uguagliare! N oi siamo umani. Noi siamo reali. Voi siete imitazioni, falsi fino a l cuore di ogni vostra cellula. "D'accordo. Adesso siamo alla resa dei conti. Voi l o sapete. Voi, con la vostra lettura del pensiero. Avete colto l'idea nel mio cervello. Ma non potete farci nulla. Siete lì immobili... "Basta. Il sangue è un tessuto. Devono sanguinare, e se non sangui- nano quando li tagli, allora, per Dio, sono falsi! Copie venute dall'in- ferno! Se sanguinano... allora quel sangue, separat o da loro, è un indi- viduo... un iru~i~iduo appena nato, un altro indivi duo a pieno titolo, esat- tamf~nte come gli altri, chR si sono staccati, tutt i, da un solo onginale, sono degli individui separati! "Hai capito, Van? Hai visto la risposta, Bar?n Van Wall rise molto piano.--Il sangue... il sangue non obbedirà. E un nuovo individuo, con tutto il desiderio di prote ggere la propria vita che ha l'originale: la massa più grande da cui si è distaccato. Il saugue si metterà a vivere... e cercherà di allontanarsi d a un ago rovente, ad esempio! McReady prese il bisturi dalla tavola. Dalla scansi a prese una fila di provette, una piccola lampada ad alcool, e un pezzo di filo di platino

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fissato a una bacchetta di vetro. Sulle sue labbra aleggiava un sorrisO di truce soddisfazione. Per un momento alzò gli occ hi su coloro che lo attorniavano. Barclay e Dutton si avvicinarono lent amente a lui, te- nendo pronto il loro strumento elettrico dal manico di legno. --Dutton--disse McReady--tu potresti metterti accan to al punto dove hai giumtato i cavi elettrici. Tanto per esser e sicuri che nessuna... cosa lo strappi. Dutton si spostò.--Adesso, Van, suppongo che tu vor rai essere il primo. Pallido in viso, Van Wall fece un passo avanti. Con delicatezza e pre- cisione, McReady gli tagliò una vena alla base del pollice. Van Wall fe- ce una piccola smorfia, poi tenne immobile il dito mentre un paio di centimetri di sangue si raccoglievano nella provett a. McReady rimise la provetta nella rastrelliera, diede a Van Wall un po' di allume per fermare il sangue e gli indicò la tintura di iodio. Van Wall rimase immobile a osservare. McReady risca ldò il filo di platino con la fiamma della lampada ad alcool, poi lo tuffò nella pro- vetta. Il filo sfrigolò piano. Per altre quattro vo lte ripeté la prova.--E umano, direi.--McReady sospirò e si raddrizzò.--Per ora, la mia teoria non ha ancora ricevuto una conferma, ma nutr o buone speran- ze, vi assicuro. "Tra l'altro, non fatevi distrarre da questi test. Abbiamo con noi al- cuni indesiderabili, non c'è dubbio. Van, per favor e, da' il cambio a Barclay all'arma elettrica. Grazie. A te, Barclay, e posso dire che mi auguro che tu resti con noi? Sei un ottimo ragazzo. " Barclay sorrise nervosamente; fece una smorfia quan do il bisturi lo tagliò. Infine, con un largo sorriso, riprese la su a arma. --Il signor Samuel Dutton... Barclay! Tutta la tensione accumulata si scaricò in quell'is tante. Per grande che fosse la parte d'inferno che i mostri avevano i n sé, in quell'istante gli uomini la uguagliarono. Prima ancora che Barcla y avesse la possi- bilità di muovere la sua arma, una ventina d'uomini si gettò sulla cosa che aveva assunto le sembianze di Dutton. La cosa m iagolò, e soffiò, e cercò di farsi spuntare le zanne... e poi rimasero soltanto cento pezzi Strappati e schiacciati. Senza coltelli e senza arm i, con solo la forza brutale di una squadra di uomini scelti, la cosa ve nne schiacciata, di- t laniata. Lentamente gli uomini si rialzarono, con gli occhi fiammeggianti, freddissimi nelle loro emozioni. Solo un bizzarro t ic alle labbra tradi- va una sorta di nervosismo. E Barclay si fece avanti con la sua arma. Brandelli di cosa fumarono e bruciarono con un odore acre. L'acido che Van Wall versò su ciascuna j, gOCcia di sangue sollevò fumi spessi e irritanti . McReady sorrise: i suoi occhi infossati erano lucid i e accesi e vivaci. --Forse--disse piano--ho sottovalutato le possibili tà dell'uomo andO ho detto che nulla di umano avrebbe potuto ugu agliare la fe- ia degli occhi della cosa da noi trovata. Rimpiango di non aver avu- ~° la possibilità di trattare queste cose in modo p iù adatto. Olio bol-

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235 lente... o piombo fuso per esempio o forse arrostir le a fuoco lento nella caldaia della turbina. Quando ripenso all'uomo che era Dutton... "Non importa. La mia teoria è stata confermata da.. . da uno che sa- peva? Bene, Van Wall e Barclay sono immuni. Io pens o, allora, che cercherò di dimostrarvi una cosa che già so. Che an ch'io sono umano." McReady tuffò il bisturi nell'alcool, accostò alla fiamma la lama af- filata, e poi si tagliò in modo esperto la base del dito. Venti secondi più tardi, distolse lo sguardo dalla scrivania e lo posò sugli uomini in attesa. I sorrisi che comparivano s ui loro volti erano aumentati: sorrisi amichevoli, eppure con qualcosa d'altro negli oc- chi. --Connant--disse McReady, ridendo piano--aveva ragi one. I ca- ni da slitta che hanno tenuto a bada la cosa in que l gomito di corridoio non erano certamente più feroci di voi. Chissà perc hé noi riteniamo che soltanto il sangue di lupo abbia diritto alla f erocia? Forse nella crudeltà spontanea il lupo ha la palma, ma dopo que sti sette giorni... Iasciate ogni speranza, o lupi che entrate qui dent ro! "Forse si potrà risparmiare del tempo. Connant, per favore, vuoi..." Anche ora, Barclay e la sua arma si dimostrarono tr oppo lenti. C'e- rano più sorrisi, meno tensione, quando Barclay e V an Wall termina- rono il loro lavoro. Garry disse con voce bassa e amara:--Connant era un o dei migliori di tutti noi... e cinque minuti fa sarei stato pron to a scommettere che era un uomo. Quelle maledette cose sono più che del le imitazioni.-- Garry rabbrividì e tornò a sprofondarsi nella cucce tta. E trenta secondi più tardi, il sangue di Garry cerc ava di ritrarsi dal filo rovente di platino, e lottava per uscire dalla provetta: lottava con la stessa frenesia con cui un'imitazione di Garry i mprovvisamente fe- roce, dagli occhi rossi, in via di dissoluzione, lo ttava per sottrarsi al- l'arma guizzante come un serpente che Barclay sping eva verso di essa, con la faccia pallida e sudata. La cosa nella prove tta urlò con una voce minuscola e metallica quando McReady la rovesciò su i carboni arden- ti della stufa. 14 --Abbiamo finito?--il dottor Copper guardò giù dall a cuccetta con occhi tristi, iniettati di sangue.--Quattordici... McReady annuì.--In un certo senso, se soltanto aves simo potuto evitare permanentemente la loro diffusione, mi piac erebbe avere qui con noi anche solo le imitazioni. Il comandante Gar ry... Connant.-- Dutton... Clark... --Dove le portano?--Copper indicò la barella che Ba rclay e Norris stavano portando via. --Fuori. Sul ghiaccio, dove hanno fatto a pezzi una quindicina di casse, hanno aggiunto mezza tonnellata di carbone e poi aggiungeran- no cinquanta litri di benzina. Abbiamo versato acid o su ogni goccia versata, su ogni piccolo frammento. I pezzi più gro ssi li inceneriremo.

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--Mi sembra un buon programma.--Copper annuì stanca mente. --Mi domandavo, non hai detto se Blair... McReady sobbalzò.--Ce ne siamo dimenticati! Avevamo tante al- tre cose da fare! Mi chiedo... pensi che potremo gu arirlo, ora? --Se...--cominciò il dottor Copper, e tacque signif icativamente. McReady sobbalzò una seconda volta.--Neppure un mat to. Ha imitato Kinner e la sua isteria religiosa...--McRea dy si volse verso Van Wall, seduto al lungo tavolo.--Van, dobbiamo fa re una spedizio- ne alla baracca di Blair. Van alzò gli occhi e lo fissò con espressione inter rogativa, poi la preoccupazione svanì per un istante dal suo volto, sostituita dalla sor- presa e dal ricordo. Poi si alzò, annuì.--Barclay. E meglio che venga anche Barclay. E stato lui a mettere i cavi, e può trovare il modo di en- trare senza spaventare eccessivamente Blair. Tre quarti d'ora, nel gelo dei 38 gradi sotto zero, mentre il sipario dell'aurora si gonfiava sopra le loro teste. Il cre puscolo durava quasi dodici ore, fiammeggiava a nord sulla neve che sott o i loro sci era si- mile a bianca sabbia cristallina. Un vento di circa dieci chilometri al- l'ora spingeva linee di neve in direzione nordest. Occorrevano tre quarti d'ora per raggiungere la baracca semisepolta dalla neve. Dalla piccola baracca non si alzava alcun filo di fumo, e gli uomini amretta- rono il passo. --Blair!--Barclay gridò nel vento, quando era ancor a distante un centinaio di metri.--Blair! --Zitto--disse McReady, piano.--E corri. Può darsi che voglia fa- re una lunga tappa. Se dobbiamo metterci al suo ins eguimento... sen- za aerei, e con il trattore fermo... t --Un mostro può avere la resistenza di un uomo? --Se si rompe una gamba, non resta fermo più di un minuto--os- servò McReady Barclay emise tutt'a un tratto un gemito soffocato e indicò qualcosa in alto. Confusa sullo sfondo del cielo illuminato dal crepuscolo, una ~i creatura alata volava in cerchi di grazia e legg erezza indescrivibili. randi ali bianche si inclinavano leggermente, e l'u ccello passava so- ~ra di loro in silenzio, incuriosito.--Un albatros- -disse Barclay, ~ianO.--Il primo della stagione. Chissà per quale m otivo si è spinto ~osì avanti nell'entroterra? Se c'è un mostro in li bertà ~ ~orris si curvò sul ghiaccio, e si aprì in fretta gli abiti pesanti, la 236 ~ ~7 giacca a vento. Poi si raddrizzò, con la giacca a v ento che sbatteva e con un'arma di metallo azzurrino in mano. L'arma ru ggì la sua sfida al bianco silenzio dell'Antartide. La creatura volante emise un grido roco. Le sue gra ndi ali si mosse- ro freneticamente, mentre una dozzina di penne si s taccavano dalla sua coda. Norris fece nuovamente fuoco. L'uccello o ra aveva preso a muoversi rapidamente, lungo una linea di ritirata q uasi retta. Gridò di nuovo, altre piume caddero al suolo, e con grand i battiti d'ali riparò dietro un costone di ghiaccio e scomparve. Norris si affrettò a raggiungere gli altri.--Non to rnerà indietro--

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disse, ansimando. Barclay gli indicò di tacere, e con la mano gli seg nalò qualcosa. Una luce azzurrina, stranamente intensa, usciva dalle f essure della porta della baracca. Dall'interno proveniva un basso ronz io, unito a un tic- chettio di utensili: i suoni, in qualche modo, pare vano trasmettere un messaggio di frenetica attività. McReady impallidì.--Che Dio ci aiuti se quella cosa ...--Afferrò Barclay per la spalla, e fece con le dita il gesto di tagliare dei fili, mo- strando l'intreccio di cavi che bloccava la porta. Barclay si tolse di tasca le pinze, e senza fare al cun rumore si ingi- nocchiò presso la porta. Il suono dei cavi che si s paccavano fece un chiasso indescrivibile nel silenzio dell'Antartide. Ad opporsi al rumore dei cavi c'erano soltanto lo strano, delicato ronzi o proveniente dall'in- temo della baracca, e i rumori di utensili metallic i. McReady spiò da una fessura della porta. Inspirò pr ofondamente e le sue dita si serrarono dolorosamente sulla spalla di Barclay. Il me- teorologo fece un passo indietro.--Non è...--spiegò molto piano --Blair. E inginocchiato presso qualcosa che ha pos ato sulla cuccet- ta... qualcosa che continua a sollevarsi. Qualunque sia l'oggetto su cui sta lavorando, è una cosa che sembra uno zaino... e galleggia. --Facciamo irruzione insieme--disse Barclay, deciso .--No, Nor- ris, resta dietro, e impugna quella tua arma. Può d arsi che la cosa sia armata... Insieme, il corpo massiccio di Barclay e la forza g igantesca di McReady colpirono la porta. All'interno, la cuccett a che era stata so- spinta contro il battente cigolò fortemente e andò in pezzi. La porta crollò a terra, scardinata, e gli stipiti si inclin arono verso l'interno. Come una palla azzurra di caucciú, una cosa balzò a ll'attacco. Una delle sue quattro braccia simili a tentacoli guizzò avanti, come un ser- pente nell'atto di mordere. In uma mano con sette t entacoli, un tubo metallico lungo venti centimetri, sottile e lucente , scintillò e si alzò puntandosi contro di loro. Le labbra della cosa, so ttili come linee, si spalancarono rivelando una dentatura da serpente, c on una smorfia di rabbia, mentre gli occhi rossi fiammeggiavano. 238 Il revolver di Norris rimbombò in quello spazio chi uso. La faccia stravolta dall'odio si contorse per il dolore, e il tentacolo si ritrasse bruscamente. L'oggetto di metallo lucente che tenev a in mano era un rottame frantumato, la mano dai sette tentacoli era una massa di car- ne maciullata da cui colava un liquido giallo-verda stro. La pistola ruggì ancora tre volte. Tre fori ciechi si aprirono al posto dei tre occhi, prima che Norris le scagliasse 1 arma sulla faccia. La cosa urlò con odio belluino, portandosi agli occ hi un tentacolo si- mile a una frusta. Per un istante strisciò sul pavi mento, sferzando sel- vaggiamente con i tentacoli, con il corpo che si co ntorceva. Poi si rial- zò, barcollando, mentre gli occhi ciechi si agitava no, ribollivano osce- namente, e la carne macellata sporgeva fuori in gru mi umidicci. Barclay si rimise in piedi e si tuffò in avanti con un'ascia da ghiac- cio. Una piattonata del pesante attrezzo schiantò i l cranio della cosa.

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Ancora una volta il mostro immortale cadde a terra. I tentacoli guiz- zarono ancora, e bruscamente Barclay si sentì avvol gere i piedi dalla stretta di una corda livida, vivente. La cosa prese a dissolversi mentre egli cercava di afferrarla: una striscia incandesce nte che gli mordeva la carne delle mani come fuoco vivo. Freneticamente cercò di togliersi di dosso quella materia, di tenere le mani dove non potessero venire colpite. La cosa accecata toccò e tirò gli abiti ro busti, pesanti, imper- meabili, cercando carne... carne da trasformare... La grossa torcia che McReady si era portato tossì p rofondamente. Poi ruggì la sua disapprovazione. Poi rise con un g orgoglio, ed emise una lingua di fiamma biancazzurra, lunga un metro. La cosa sul pavi- mento urlò, sbatté ciecamente i tentacoli che si co ntorcevano e si ince- nerivano nella rabbia della torcia. Strisciò sul pa vimento, rotolando- si, urlò e sobbalzò follemente, ma sempre McReady l e puntò la torcia sulla faccia, sugli occhi ciechi che bruciavano e r ibollivano inutilmen- te. Frenetica, la cosa strisciò e gemette. Da un tentacolo germogliò un crudele artiglio... e si accartocciò nel- la fiamma. Senza interruzione, McReady continuò la sua offensiva L truce e programmata. Inerme, folle, la cosa si ri trasse dalla torcia gor- t gogliante, dalla lingua carezzevole, sottile. Per un momento si ribellò, L urlando il suo odio inumano al contatto della nev e ghiacciata. Poi si ~; ritirO davanti al rovente soffio della torcia, i mmersa nel fetore della ~li propria carne bruciata. Disperatamente continuò a indietreggiare... ~ sempre di più, sulla neve dell'Antartide. Il vent o pungente la colpì, 1~ Spostando anche la lingua di fiamma; invano la c osa si dibatté, la- sciando sul suo cammino una scia di fumo nauseabond o e oleoso. McReady ritornò silenziosamente alla capanna. Barcl ay lo attende- va sulla soglia.--Altre?--gli chiese il gigantesco meteorologo. Barclay scosse il capo.--No. Si è suddivisa? - Aveva preoccupazioni di tutt'altro tipo--lo rassi curò McReady. --Quando l'ho lasciata, era un tizzone rovente. Che cosa stava facen- do? Norris rise seccamente.--Siamo proprio furbi, noial tri. Rompiamo tutti i magneti, così che gli aerei non volino più. Strappiamo dai trat- tori i tubi della caldaia. E poi lasciamo sola per una settimana, in que- sta baracca, quella cosa. Sola e indisturbata. McReady osservò più attentamente l'interno della ba racca. L'aria, nonostante la porta fosse aperta, era calda e umida . Su un tavolo al- I'altra estremità della stanza era appoggiato un og getto fatto di tubi a serpentina e di piccole elettrocalamite, di tubi di vetro e di valvole ra- diofoniche. Al centro c'era un pezzo di roccia. E d al centro della roccia proveniva la luce che permeava tutto l'ambiente: un a luce azzurrina, più chiara del bagliore di un arco voltaico. E dall a pietra veniva anche il debole ronzio. Su un lato c'era un altro meccani smo di vetro cristal- lino: un dispositivo soffiato con incredibile preci sione e delicatezza: piastre metalliche e una strana luccicante sfera ch e non pareva com- posta di alcuna materia esistente al mondo. --Che cos'è?--McReady si avvicino. Norris grugnì.--Lascialo com'è, per poterlo esamina re. Ma credo di poter indovinare. Si tratta di un generatore ato mico. Quella roba a sinistra... è una cosettina semplice semplice, che riesce a fare ciò che gli uomini cercano di fare con i ciclotroni da 100 tonnellate e altri grossi calibri. Separa i neutroni dall'acqua pesant e: acqua che preleva dal ghiaccio circostante.

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--E dove ha trovato... oh. Certo. Un mostro non può venire chiuso: né in una stanza, né fuori di essa. Ha rovistato gl i armadietti delle at- trezzature.--McReady osservò l'apparato.--Dio, che intelligenza de- ve avere quella razza.....................I --La sfera luccicante... credo sia una sfera di pur a forza. I neutroni possono passare attraverso ogni materia, e la Cosa voleva farsi una scorta di neutroni. Basta proiettare neutroni contr o il silicio... il cal- cio... il berillio... qualsiasi cosa, in pratica, e si libera energia atomica. Quell'oggetto è il generatore atomico. McReady prese dalla tasca un termometro.--Qui dentr o ci sono 50 gradi, nonostante la porta sia aperta. I nostri abi ti hanno tenuto lonta- no il caldo, in una certa misura, ma io comincio a sudare. Norris annuì.--La luce è fredda. Me ne sono accorto . Ma fornisce attraverso quell'avvolgimento il calore necessario per riscaldare l'am- biente. La cosa aveva tutta l'energia che si possa desiderare. Poteva te- nere questo ambiente tiepido e confortevole, nei te rmini in cui la sua razza pensa al tepore e al comfort. Hai notato la l uce, il suo colore? McReady annuì.--La risposta è al di là delle stelle . Da dietro le stelle, da un pianeta più caldo, che ruota attorno a un sole più lumino- so, più azzurro, sono giunte quelle cose. 240 McReady spostò lo sguardo sulla porta, sulla scia b ruciata e sporca di fumo che attraversava ciecamente la neve.--Non n e giungeranno altre, ritengo. E stato un puro caso che siano atte rrate qui, e la cosa è successa venti milioni di anni fa. Ma perché si sar à presa la briga di costruire tutto questo?--E indicò I apparato sul ta volo. Barclay rise piano.--Hai notato l'oggetto a cui sta va lavorando quando siamo entrati? Osserva.--Indicò il soffitto della baracca. Il meccanismo, simile a uno zaino e fatto di lamier ini presi da vec- chi barattoli di caffè, con cinghie pendenti e una cintura di cuoio, ade- riva al soffitto. In esso ardeva un minuscolo, rove nte cuore di fiamma sovrannaturale, eppure quella fiamma lambiva il leg no del soffitto senza danneggiarlo. Barclay lo raggiunse, afferrò d ue delle cinghie che pendevano e lo tirò in basso con una certa fatica. Se lo assicurò attor- no al corpo. Un piccolo salto gli fece percorrere u na lunga traiettoria da un capo all'altro della capanna. --Antigravità--disse McReady, piano. --Antigravità--annuì Norris.--Sì, li abbiamo fermat i senza ae- roplani e senza uccelli. Gli uccelli non sono arriv ati... ma avevano sca- tole di caffè e pezzi di apparecchi radio, e vetro, e l'officina durante la notte. E una settimana... un'intera settimana a dis posizione. Da qui all'America in un balzo solo, con l'antigravità ali mentata dall'energia atomica della materia. --Noi li abbiamo fermati. Un'altra mezz'ora... quan do siamo arri- vati stava legando le cinghie al suo apparecchio, i n modo da poterlo indossare... e noi saremmo rimasti isolati nell'Ant artide, a sparare a ogni essere animato che provenisse dal resto del mo ndo. --L'albatros...--disse piano McReady--pensi che... --Adesso che lo zaino era quasi finito? Con l'arma mortale che ave-

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va in mano? --No, per grazia di Dio, che evidentemente ci riesc e a udire molto bene, anche qui in Antartide, e grazie a un margine di mezz'ora, siamo riusciti a tenere per noi il nostro mondo, e anche gli altri pianeti del si- stema solare; e l'antigravità, sai, e anche l'energ ia atomica. Poiché le cose sono venute da un altro sole una stella al di là delle stelle. Le cose sono venute dal mondo di un soie più azzurro. olo originale: Where Goes There? aduzione di Riccardo Valla, su licenza di Editrice Nord 241 Murray Leinster BIVI NEL TEMPO Ripensandoci, sembra strano che nessuno, eccetto il professor Minott, avesse previsto in anticipo quel che sarebbe accadu to. Le indicazioni erano più che evidenti. All'inizio di dicembre, il professor Michaelson annunciò di avere scoperto che la velocità della lu ce non era un assolu- to: non poteva venire considerata invariabile. Natu ralmente, quello era uno dei primi indizi di quanto stava per succed ere. Una seconda indicazione si ebbe il 15 febbraio, qua ndo, alle 12 e 40, tempo medio di Greenwich, il sole diventò all'impro vviso di colore l bianco-azzurro e l'aumento enorme della radiazione fece aumentare la ji temperatura della superficie terrestre di 12 gradi in cinque minuti. Al termine di quei cinque minuti, il sole tornò alla r adiazione normale, senza altri sintomi di perturbazione. Naturalmente, seguì una gran ridda di pubblicazioni di aspiranti al- la fama scientifica, ma non si trovò una spiegazion e plausibile del fe- nomeno che giustificasse la totale mancanza success iva di perturba- zioni nella fotosfera solare. Un terzo, chiaro prodromo degli eventi di giugno fu quello che capi- tò il 10 marzo, quando la giraffa di sesso maschile del Giardino Zoolo- gico del Bronx, a New York, smise di mangiare. Nei nove giorni che se- guirono cambiò forma, assorbendo le proprie estremi tà, persino il col- lo e la testa, in una straordinaria massa a forma o voidale di carne e ossa, ancora vivente, che il decimo giorno cominciò spontaneamente a dividersi e che il dodicesimo giorno si scisse in d ue masse carnose leg- germente pulsanti. Il giorno dopo, nelle due masse apparvero delle pro tuberanze. Creb- bero, assunsero una forma precisa, e venti giorni d opo l'inizio del feno- meno, diventarono gambe,~olli e teste. E poi due gi raffe, entrambe di sesso maschile, si aggirarono nel recinto. Ognuna p esava un po' men° della metà dell'animale ori~inario. Avevano Dezzatu re identiche. E mangiavano e si muovevano e si comportavano come du e animali nor- mali, anche se immaturi. Un fenomeno simile fu segnalato dalla repubblica Ar gentina, dove uno stallone delle pampas stava riproducendosi nell o stesso straordi- nario modo, sotto gli occhi attenti degli scienziat i argentini. J Oggi sembra incredibile che gli scienziati del te mpo non avessero compreso il significato di queste stranezze. Oggi c onosciamo abba- stanza le tensioni che le produssero, anche se non si verificano più. Ma tra il gennaio e il giugno, le agenzie di stampa na zionali erano piene di dispacci dello stesso genere.

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Per due giomi il fiume Ohio scorse a ritroso. Per s ei ore gli alberi di Euclid Park a Cleveland agitarono pazzamente i rami come se fossero investiti da una tremenda tempesta, benché non spir asse un alito di vento. E a New Orleans, verso la fine di maggio, i pesci uscirono dal fiume Mississippi e nuotarono nell aria, poi "anneg arono" nell'aria che - inspiegabilmente li sorreggeva, si girarono a pan cia in su e galleggia- rono placidamente a un livello d'acqua immaginario, circa quattro metri e mezzo al di sopra dell'asfalto della città. Ma a quanto pare Minott fu I unico che intuì il sig nificato, oggi rela- tivamente chiaro, degli sviluppi successivi. Minott era allora docente di matematica presso il Robinson College di Frederi cksburg, Virginia. Sappiamo ora che egli previde con buona approssimaz ione ciascuno degli eventi che ancor oggi fatichiamo a spiegarci, benché essi abbiano influenzato la vita di tutti gli abitanti del piane ta - nonché, probabil- t mente, di altri pianeti dei quali non sospettiamo nemmeno l'esistenza. ~-r Minott non fece alcun tentativo di condividere con altri le sue sco- perte. A prima vista ciò può sembrare incredibile, ma in realtà un si- mile tentativo sarebbe stato inutile. Minott era un semplice assistente - non un vero professore - in quella che non si può definire altrimenti che un'oscura università di provincia. Non godeva d i particolare repu- tazione scientifica, e perfino i suoi colleghi di f acoltà e i suoi ex inse- gnanti dell'Università Johns Hopkins lo considerava no impulsivo, pre- suntuoso~ inaffidabile e bisognoso di un corso di a ggiornamento in buona educazione. Fargli abbassare la cresta sarebb e piaciuto molto a tutti quanti. Se Minott avesse reso pubbliche le su e teorie, con ogni robabflità nessuno le avrebbe prese in considerazio ne, neppure per onfutarle. Le sue ipotesi matematiche, oltretutto, erano così avanzate che pochissime persone al mondo sarebbero state in grado di capirle - propriO com'era avvenuto, all'inizio, con la Teoria della relatività di ~ Einstein - e non si sarebbe potuta escogitare nes suna verifica speri- ; ~lentale~ salvo attendere la spontanea perturbazi one cosmica che si I ~erificò più tardi. | ;~I Se anche avesse tentato di far valere i prodr omi - descritti in prece- ~enZa_ della perturbazione in questione come prove delle proprie teo- rie, con ogni probabilità Minott non avrebbe ottenu to altro che di farsi passare per matto. Eppure egli sapeva. Se a metterlo sulla strada gius ta fosse stato il re- soconto di Michaelson sulle variazioni della veloci tà della luce, che provò l'esistenza di irregolarità mai osservate in precedenza - tra l'al- tro la velocità della luce ha ormai cessato di pres entare qualsiasi ano- malia - o se altre violazioni delle normali leggi d ella natura avessero rappresentato il punto di partenza per le sue ipote si stravaganti, è una questione sulla quale non possiamo nemmeno congettu rare. Quel che è certo è che Minott aveva previsto ogni cosa prima che effettivamente accadesse. Aveva previsto tutto così bene da poter calcolare l'ammon- tare delle nostre possibilità di sopravvivenza, ris ultato pari a uno su quattro. La quale catastrofica previsione gli avreb be valso di essere su- bito zittito in malo modo, se l'avesse resa nota an zitempo. A ogni modo egli non fece alcun tentativo di metter e sul chi vive gli abitanti del pianeta Terra; si procurò invece vari libri e alcune rivoltel- le. Per fronteggiare il più grande pericolo mai cor so dall'uomo in qual- siasi luogo e in qualsiasi tempo, e tentare la più stravagante impresa che mente umana avesse mai concepito, fece preparar e dei panini im- bottiti. Può darsi che abbia avuto successo: non lo sapremo mai.

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Sulla vita di Minott, dalla nascita agli eventi in questione, siamo ab- bastanza bene informati. Era figlio di un agricolto re della Virginia oc- cidentale, e particolari manifestazioni di genio no n erano mai state os- servate in nessun ramo della sua famiglia. Aveva fr equentato una scuola di campagna che riuniva in un unico edificio le elementari, le medie e le superiori, rendendosi insopportabile a o gni e ciascun inse- gnante che ebbe a che fare con lui. Riuscì poi a is criversi all'Università Johns Hopkins di Baltimora, dimostrando lo stesso t alento nel render- si sommamente impopolare. Era dotato di un'intellig enza di prim'or- dine- di ciò non possiamo più dubitare - ma era cos ì smodatamente ambizioso, e così ardentemente desideroso di dimost rare questa sua qualità da suscitare noia e insofferenza dovunque a ndasse. E ormai ce- lebre un aneddoto riguardante la breve dissertazion e che presentò co- me prova scritta alla fine del primo anno, su una q uestione di calcolo delle probabilità. Non contento di avere risolto il problema in modo assolutamente non ortodosso, egli aggiunse il segue nte, sarcastico post-scriptum: Ciò che precede è ctò che ci si aspe tta da uno studente de- sideroso di ottenere un buon voto. Si dà il caso ch e sia anche incredibil- mente p~ertle. Una soluzione un po' più elegante po trebbe essere la se- guente... Dopo di che aveva riformulato il problema in termin i dei quali i suoi insegnanti non avevano capito una virgola, e ottenu to una soluzione che nessuna delle matematiche conosciute poteva giu stificare. La pro- va scritta era stata conservata Der caso, e doDo l' universale riconosci- mento del genio di Minott fu attentamente studiata. L'equazione di Mi- nott è ora considerata con riverenza, e ha rivoluzi onato il trattamento matematiCo di moltissimi aspetti della teoria delle probabilità. L'ispido carattere di James Minott ha causato al mo ndo una grande perdita. Egli era amareggiato per via della sua imp azienza, assillato dalla sua intelligenza, e palesemente dotato di un' ambizione incompa- tibile col ruolo di insegnante di matematica presso il Robinson College di Fredericksburg. Forse se il suo temperamento fos se stato più norma- le il mondo ne avrebbe guadagnato. E forse ne avreb be guadagnato an- che Minott. Ma è inutile abbandonarsi alle congettu re. Quel che è certo è che se egli non avesse bruciato i suoi appunti, l a notte di quel fatale - quattrO giugno, le nostre conoscenze matematiche sarebbero oggi così progredite da permetterci di inserire tutte le scie nze, senza eccezioni, in una nuova CorniGe unitaria. Già i pochi pezzi di carta superstiti rin- t venuti nel suo camino ci lasciano intravedere bar lumi di tale metateo- ~ia unitaria, turbando i sonni di filosofi e scienz iati: il loro valore è semplicemente inestimabile. Alcuni frammenti brucia cchiati sono in- sopportabili nella loro enigmaticità, ma gli appunt i più importanti Minott deve averli portati con sé, in qualche luogo impossibile da in- dovinare dove potrebbero benissimo aver dato frutto . Alle 7,30 del mattino del 5 giugno la cittadina di Joplin nel Missouri, stava destandosi dal suo buon sonno estivo. Sulle f oglioline d'erba brillava la rugiada e molti rami sfavillavano del d iadema intessuto dai a ragni mattinieri ai prirni raggi del sole. ~ella periferia più a est della città, un liceale u scì di casa sbadiglian- do e cominciò a darsi da fare con la falciatrice in giardino; ogni tanto guardava l'orologio perché temeva di arrivare tardi a scuola. Poco più | in là una scassatissima utilitaria stentava a met tersi in moto. Ci fu una detonazione di gas nel tubo di scappamento e dopo q ualche sternuto, lo Sconquassato motore si decise a muoversi. L'auto rimase ferma, con

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il motore al minimo, come in attesa. Dalle case si levavano alte le grida dei bimbi. Una lavandaia negra apparve tra gli albe ri di un giardino e , si diresse verso una fune per stendere i panni. D a una finestra si senti- va una radio che comandava: un, due, tre, quattro! Alte le braccia!... tre, uattro! Indietro quelle spalle, mi raccomando!... d ue, tre, quattro!. Poi, improvviso~ la radio chiocciò. Cominciò a emettere un acutissimo tridio meccanico che si trasformò in breve in uno s trano chioccolio. ~Poi fece un fracasso spaventoso: come se avessero messo in onda tutta FCI energia statica di diecimila folgori. E fu il s ilenzio. Il liceale si piegò sul manico della sua falciatric e. Cadde a sedere sul- |l erba rorida di rugiada nel momento stesso in cui la radio smetteva di ~are quel tremendo baccano. La lavandaia negra si a ggrappò treman- do al tronco dell'albero più vicino. Dal cesto dell a biancheria, rove- sciatosi al suolo, si sparsero sul prato umidi pann i variopinti. Tra le al- tissime grida di terrore dei bimbi, voci di donne s paventate gridavano: --Il terremoto! Il terremoto!--Dalle ville, dalle p alazzine della via si videro uscire, correndo, i pacifici abitanti di Jop lin. Uno uscì dalla fi- nestra e si lasciò scivolare giù per una colonna de lla veranda, e finì bocconi nel rosaio del suo giardino. Pochi secondi, e tutti erano in stra- da. E poi fu il silenzio. Un silenzio vuoto pauroso. No n c'era stato il ter- remoto. Non era crollata alcuna casa. Non s'era inc rinato nemmeno un camino e non s'era udito cadere al suolo un piat to, una lastra di ve- tro dalle finestre. La sensazione provata da tutte quelle persone non era quella di un effettivo movimento del suolo. Un movimento c'era stato, la terra s'era mossa, ma in modo che nessun uomo poteva imma- ginare. Quelle persone avrebbero saputo di quel mov imento solo dopo molto tempo. In quell'istante, non seppero far altr o che rimaner lì, a bocca aperta. A guardarsi l'un l'altro, stupefatti. E nel silenzio profondissimo fattosi improvvisament e tutt'intorno, in quel silenzio rotto soltanto dal vagito d'un neo nato, dal ronzio som- messo d'un motore d'auto, s'udì un altro rumore: il passo cadenzato delle fanterie in marcia. Lo accompagnava un clango r di metallo, un cupo sferragliare. E si sentì abbaiare un comando p ronunciato in una lingua che non era inglese. Da un capo d'una stradi na periferica di Jo- plin del Missouri, il 5 giugno, avanzava un folto d rappello d'uomini ar- mati di lancia e spada. Stringevano al petto lo scu do e vestivano il cor- to gonnellino dei soldati di Roma. Di sotto agli el mi guardavano intor- no a sé non meno stupiti dei cittadini di Joplin. A passo cadenzato, la milizia di Roma antica avanzava. Ogni soldato strin geva la lancia con l'aria di chi è abituato a servirsi di quell'arma. A un secco comando, la truppa si fermò. Un ufficial e basso, dal volto raggrinzito con una corta spada al fianco rivolse u na domanda agli sbalorditi cittadini, agitando la corta spada. Il l iceale trasalì. L'uomo incartapecorito ripeté imperiosamente la sua domand a. Balbettando, il liceale riuscì a pronunciare qualche sillaba e, uditala, il vecchio bor- bottò soddisfatto. Poi prese la parola, impaziente, ma compitando chiaramente. Sbalordito, il liceale si rivolse ai s uoi compatrioti e disse quasi incredulo:--Vuol sapere come si chiama la nos tra città. Parla latino. Sì, quello che ci insegnano a scuola. Dice che non ha trovatO questa città sulle sue carte e quindi non sa dove è andato a finire. Co- munque, ha annunciato di aver preso possesso di Jop lin in nome di Va- lerius Fabricius, imperatore di Roma e di tutta la terra. Dice--Conti nuò balbettando il ragazzo--che la sua è la prima d elle sei coorti della Quarantaduesima Legione di guarnigione a Messaglia. Laggiù a due

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giorni di marcia da quella parte--concluse, puntand o il dito in dire- zione di St. Louis. L'auto si mise improvvisamente in movimento. S'awen tò lungo la strada tra uno stridio di pneumatici. Chiese il pas saggio con un autori- tario colpo di clacson, e si precipitò verso i legi onari romani che l'a- docchiarono impietriti dallo stupore. Suonò nuovame nte il clacson, e I'auto continuò a dirigersi verso di loro. A un ordine fulmineo, i militi si scagliarono sull' auto con le lance in resta, agitando minacciosamente le spade. Sino a qu ell'istante, tutti gli abitanti di Joplin, nessuno escluso, avevano cr eduto che quegli ar- mati fossero un branco di comparse del cinema o un gruppo di buon- temponi mascherati, o qualche cosa d'altro, altrett anto pazzo, tuttavia comprensibile. Ma i soldati che si buttarono all'as salto dell'auto face- ~ano sul serio! L'aggredirono da ogni parte come se fosse una bestia strana e probabilmente feroce. Furono visti battagl iare con la macchi- na animati da disperato valore. Non recitavano, no! Non ci fu niente di fittizio ne l modo con cui pas- sarono a fil di lancia il povero signor Horace B. D avis che aveva sem- plicemente chiesto la strada per giungere in tempo al magazzino di co- tone presso il quale era capo contabile. Convinti c he il meschino si ac- cingesse a farli trucidare da quello strano mostro, s'erano affrettati, in~lece, a trucidare lui. Il liceale assisté al tri ste spettacolo sempre più pallido. Quando un uomo armato di spada si fece ava nti per mostrare al capitano la testa mozza del signor Davis, da un orecchio del quale pendevano ancora in modo grottesco gli occhiali, il ragazzo piombò svenuto a terra. L'alba del 5 giugno colse Cyrus Harding nell'atto d i deglutire frettolo- samente la prima colazione. Poco prima, e solo per pochi istanti, egli s'era sentito poco bene. Aveva avvertito una strana vertigine. Adesso, ' ~ inVece~ si sentiva proprio in forma. L'odore di fritto riempiva la cucina, sua moglie cucinava, e lui vuotava rumorosamente il piatto. Aveva mani ossute e callose e la sua espressione era comp iaciuta e soddisfat- ta. Lanciò un'occhiata al calendario, omaggio della Compagnia di mangimi e fertilizzanti di Bryan, Ohio, e disse:--O ggi lo sceriffo sven- de la roba di Amos. Spero di aggiudicarmi quei quar anta acri a nord per un boccone di pane. | --Te li aveva offerti da un anno!--commentò stanc amente la don- na. -~ --E vero!-- confermò ancor più soddisfatto Cyrus Harding. --Amos aveva anche mollato sul prezzo. Comunque, ne ssuno oserà ontrastarmi l'acquisto di quella terra, alla vendit a all'asta. Sanno che ~ni preme e sanno che posso diventare un vicino mol to pericoloso, se ~hi pestanO i piedi. Oh! Mi conoscono bene e la ter ra l'avrò a molto me- ~p di quel che me ne chiedeva Amos! Sperava di vend erla bene, per ti- r avanti ancora un anno! L'avrò a metà prezzo. S'alzò da tavola, asciugandosi la bocca con il dors o d'una mano e si diresse verso la porta. --Quel bracciante dovrebbe già essere avanti con l' aratura--com- mentò.--Vado a dargli un'occhiata e poi andrò all'a sta! E spalancata la porta della cucina rimase sbalordit o. Abitualmente quando apriva la porta, Cyrus si vedeva davanti l'a ia. Mai troppo in or- dine, a dire il vero, quell'aia si spalancava su un a pianeggiante distesa di campi, in quella stagione fittamente coperti di promettenti piante di granturco, sin dove si perdeva l'orizzonte.

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Ora lo spettacolo era del tutto diverso. Tutto era rimasto come pri- ma sino all'aia. Ma oltre era un sogno delirante. E normi, rigogliose fel- ci arboree lanciavano il loro fogliame a trenta met ri di altezza. Una fit- tissima trina di rami fronzuti formava un tetto d'i ncredibile consisten- za, steso a proteggere una giungla primeva quale ne ssun uomo al mondo aveva mai veduto. Al confronto di quella giun gla, le impenetra- bili foreste del Rio delle Amazzoni sarebbero sembr ate un parco. Era un inestricabile groviglio di vegetazione in cui la crescita era guerra, la guerra era vita, e la vita era un conflitto mortale e spietato. Nessun uo- mo avrebbe potuto avanzare neppure di tre metri in quella giungla. Se ne levava un fetore nel quale si mescolava il lezzo della decomposizio- ne, I'odore di linfe vegetali, il profumo di fiori dalle vivide corolle. Era la giungla che i paleobotanici ascrivevano al Carbo nifero: la giungla che aveva dato vita ai nostri giacimenti di carbone . --Non è possibile--disse con un filo di voce Cyrus Harding. La moglie non gli rispose. Non aveva visto. Stava r igovernando le stoviglie che erano servite alla colazione del suo signore e padrone. Scese gli scalini della cucina scosso e con gli occ hi sbarrati, dirigen- dosi verso l'assurda apparizione che nascondeva i s uoi campi. L'appa- rizione rimase, nonostante il suo avvicinarsi. A un a decina di metri di distanza si fermò, sempre a~tonito e con gli occhi spalancati, ancora incredulo, e per giunta assillato dal dubbio terrif icante di essere diven- tato pazzo. Poi qualcosa si mosse nella giungla. Un lungo collo serpentino, del diametro di quasi un metro alla base, che si riduce va allo spessore di una trentina di centimetri immediatamente dietro la testa della pro- porzione di un barile. Quel collo mostruoso si snod ò per sei metri, fin- ché non fu proprio sopra Cyrus Harding. L'uomo si v ide osservato da un paio d'occhi dallo sguardo freddo e inespressivo . La bestia spalancò la bocca e Cyrus Harding lanciò un urlo. Anche sua moglie alzò gli occhi. Guardò attraverso il vano della por- ta e vide la giungla. Vide le fauci del mostro che si chiudevano sul ma- rito. Vide socchiudersi gli occhi assenti di quel " qualcosa" che inghiot- tiva tossicchiando. Vide un rigonfiamento scivolar giù nel collo mo- struoso: dal tratto più sottile, proprio dietro la testa, sino alla seZione enorme che s'inseriva nel corpaccio nascosto tra la selva. Vide quella testa rientrare nella giungla e scomparire quasi is tantaneamente. La vedova di Cyrus Harding impallidì. Si mise il ca ppellino e con aria rassegnata uscì dalla porta che dava in strada . S'incamminò deci- sa verso la casa più vicina. Mentre procedeva, dice va a se stessa, con composteZZa:--Sapevo che sarebbe finita così. Sono impazzita. Mi chiuderanno in un manicomio. Ma almeno non dovrò pi ù sopportarlo. Non dovrò più sopportarlo! E alle 10,30 del mattino del 5 giugno, James Minott puntò le due pisto- le delle quali era armato su un gruppetto di studen ti. Dal suo viso era scomparsa anche l'ultima traccia dell'espressione s evera del docente le cui estreme facoltà di nuocere non vanno oltre l 'assegnazione di un cattivo voto. Sostituiti gesso e matita con due pis tole, continuava a sorridere gelido. Ma negli occhi gli brillava una l uce minacciosa. Tanto che le quattro ragazze del gruppo rimasero con il f iato mozzo dallo spavento. Anche gli studenti, abituati a vederlo so ltanto in classe, si re- sero conto in un baleno che James Minott non solo s apeva adoperare le armi, ma era deciso a servirsene. E guardarono il l oro assistente di ma- tematica con il rispetto pavido che ci ispira uno s cassinatore, un rapi-

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natore di trista fama o un assassino di professione . Agli sguardi dei suoi allievi James Minott era salito molto in alto. Trasformatosi al- l'istante in un capo, era diventato addirittura un despota, grazie alle sue rivoltelle. --Come vedete--disse Minott con voce piana--io avev o previsto la situazione nella quale ci troviamo. Da un moment o all'altro, inutile nascondercelo, tutta la razza degli uomini, noi com presi, può venir t spazzata via in modo così radicale che cercherest e invano di immagi- narlo. Potremmo anche sopravvivere: e io sono prepa rato a trarre il masSimO profitto dalla mia soprawivenza, se sopravv iveremo. E James Minott tacque, per osservare attentamente, l'uno dopo l'al- tro, gli studenti che l'avevano seguito per esplora re la foresta di se- quoie inspiegabilmente apparsa a nord di Fredericks burg. --So che cosa è successo--affermò gelido Minott.--E so anche quanto pUò accadere ancora. E so anche come comport armi d'ora in poi. Chi di voi è pronto a seguirmi, lo dica. Se c' è qualcuno che recalci- s. tra. Ebbene... La situazione non tollera ribelli o ammutinati! Sarò co- '~ Stretto a sparargli. Et _ Professore!--esclamò Blake innervosito.--Per p rima cosa si do- - - vrebberO accompagnare a casa le ragazze! --Le ragazze non torneranno mai più a casa!--disse Minott, cal- ~mo.--Non ci tornerà nessuno di voi. Non appena vi sarete convinti ~che Sono pronto a servirmi delle armi, vi dirò che cosa è successo e cosa 249 significa. Sono settimane che mi preparo ad affront are questa evenien- za. A mezzogiorno del 5 giugno, s'aprì la porta della p rigione. Entrò un uo- mo dal viso adorno di un bel paio di baffi. Indossa va una strana unifor- me grigia. Avvicinatosi al detenuto, gli batté gent ilmente la mano su una spalla. --Sono il dottor Holloway, medico militare--si pres entò con inco- raggiante urbanità.--Vuole avere la bontà di dirmi che cosa le è suc- cesso? Sono certo che si potrà accomodare ogni cosa . --... Ma... maledizione!--proruppe il prigioniero.- -Ero partito da Louisville, stamattina. Quando sono a metà strada m i piglia un capo- giro, un malessere strano e... Chi ne capisce nient e? Si vede che ho sba- gliato strada, perché a un certo momento mi guardo intorno e il pae- saggio mi sembra poco familiare. E poi salta fuori un soldato in unifor- me grigia e si mette a urlare. Io accelero e quello si mette a spararmi addosso. Fermo l'auto, e mi arrestano perché ho la bandiera america- na dipinta sull'auto! Sbattono in galera un povero diavolo che viaggia per la Compagnia Dolciaria Zio Sam soltanto perché. .. Ma uno non può esporre la bandiera della sua nazione? --Beh, nella sua nazione, sì--convenne il medico co n atteggiamen- to conciliante.--Ma dovrebbe sapere, signore, che q ui permettiamo di esibire solo la nostra bandiera! In sostanza ha violato le nostre leggi! --Vio... violato le sue leggi?!-- esclamò attonito il detenuto --Ma... E mai possibile che non si possa esporre la bandiera america- na negli Stati Uniti?! --Negli Stati Uniti, è padrone di farlo--disse il d ottore sorridendo.

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--E lei ha varcato il confine senza accorgersene, e videntemente. Vuole che glielo dica francamente? I nostri soldati l'han no scambiata per un pazzo! Sono convinto, invece, che si è trattato di un semplice errore... --Confine?--ripeté balbettando sbalordito il prigio niero.--Dove mi trovo? Non sono negli Stati Uniti, forse? Se non ci sono, dove diavo- lo sono finito? --A dieci miglia al di là del confine della Confede razione, vecchio mio!--esclamò il medico.--E sconfinato per errore e , me ne rendo perfettamente conto, non è stato per recarci offesa . La farò rilasciare immediatamente. C'è già abbastanza tensione tra Was hington e Rich- mond, senza l'ennesimo incidente di frontiera a irr itare le nostre teste calde. --Confederazione?--disse il prigioniero.--Non verrà a dirmi che allude agli Stati Confederati...? --Proprio a quelli, vecchio mio! Alludo agli Stati Confederati del- I'America del Nord! Che cos'altro credeva? --Io sono diventato matto!--dichiarò cupo il detenu to, deglutendo faticosamente.--Devo essere impazzito! Ma... E Gett ysburg? --Gettysburg? Certo! Vuole che non la ricordi? E le altre batta- glie?--Il dottore annuì con aria indulgente.--E ne andiamo giusta- mente fieri! Nel corso di quella battaglia, il fato della Confederazione si decise nel corso degli ultimi dieci minuti di lo tta! Più di una volta mi sono chiesto che cosa sarebbe stato di noi se la ca rica di Pickett fosse stata respinta. Ma due giorni dopo il vittorioso as salto di Pickett, I'In- ghilterra ci riconosceva ufficialmente, mentre la F rancia seguiva il suo esempio a una settimana di distanza. I crediti illi mitati accordati alla Confederazione in quei giorni, ci permisero di conc ludere vittoriosa- mente la guerra. Se ne era dimenticato? Ce la siamo cavata per il rotto della cuffia, in quell'occasione! Il prigioniero deglutì ancora. Guardò dalla finestr ella del carcere... Vide un grosso edificio sulla facciata del quale er a scritto a grandi let- tere: PALAZZO Dl GIUSTIZIA. Davanti c'era un'asta a ltissima. Vi garriva allegramente alla brezza meridiana la bandiera dell a Confederazione! La sera del 5 giugno, I'ufficiale postale di North Centerville, Massachu- setts, uscì dal recinto che lo separava dal pubblic o per ascoltare anche lui la Unovità". La panciuta stufa dello spaccio ir radiava una luce acco- gliente, sebbene poco necessaria. Prima di comincia re il suo discorso, il testimone oculare ridacchiò. --Dico sul serio, oh! Li ho visti doppiare il capo! Erano una trentina a bordo d'un barcone lungo diciotto o venti metri, che aveva intorno ai fianchi dei cosi rotondi... una specie di scudi! Re mavano come inde- moniati. Appena vedono la nostra città, rimangono l ì coi remi a mez- z'aria e fanno una faccia stupita che non vi dico. Vengono quasi a riva e appena ci scorgono si mettono a parlare un dialetto che nessuno capi- sce. Ohé! Non parlavano mica in americano, non parl avano! Il vecchio Peterson che è lì con un pesce che ha abboccato all 'amo in quel mo- mentO, appena li sente lascia andare la canna in ac qua. Poi tenta di ri- spondere a quelli là. Si capiscono, ma fanno una fa tica d'inferno. Al- lora quelli della barca virano di bordo e se ne van no. I casi sono due: o eranO attori del cinema che avevano voglia di prend erci in giro o quei ricconi dell'altra riva ne hanno inventata una nuov a per ammazzare la noia Roba da matti, vi dico! Da matti! Fatto sta ch e il vecchio Peter- Son sostiene che quei buffoni parlavano una specie di scandinavo anti-

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co O che so io. Ha raccontato che gli hanno detto d i essere venuti da Leifsholm~ o qualcosa del genere, giù lungo la cost a. Ma quel che è fan- tasticO è che sostenevano di non aver mai visto la nostra città! Buona questa no? Ma non è finita; perché dice che quelli là erano Vichinghi! Chiamávano Winland l'America e giuravano che... Bon tà divina! Che cosa succede ? ! Urla, invocazioni, ruppero improvvisamente la quiet e della notte. Da lontano, s'udì tuonare un fucile da caccia. Gli oziosi convenuti a scambiare quattro chiacchiere uscirono sul portico. In dodici punti di- versi della spiaggia si erano accesi alti falò. Ill uminavano di luce rossa- stra una decina di imbarcazioni dalla prua alta, ad oma d'un serpente, che s'avvicinavano alla riva velocissime, sotto l'i mpulso dei remi. Al chiarore delle torce, si vedevano corazze e spade a ccendersi di baglio- ri. Brutalmente ghermita da un omone dalla lunga ca pigliatura bion- da, una donna lanciò un grido di terrore. Corazza e d elmo del guerriero scintillavano orrendamente. L'aggressore rideva. Ad affrontare quel gigante biondo avanzò un uomo che indossava una tut a da lavoro. Brandiva minacciosamente una scure... 11 gigante lo abbatté con un fendente della spada g ià intrisa di san- gue, e lanciò un grido selvaggio. Gli vennero a pre star man forte altri guerrieri vestiti e armati come lui. 11 sacco e la carneficina ripresero con rinnovato fervore, mentre da un'altra imbarcazi one subito accorsa balzavano sulla spiaggia altri armati. Poco dopo, b alenavano i primi incendi... Tutto intorno al gruppetto, si levavano altissimi i tronchi degli alberi. Alberi giganti. Alberi magnifici. Svettavano nel ci elo, alti quarantacin- que, cinquanta metri, con un'aria di calma venerabi le che era a un tempo la prova più convincente della loro reale esi stenza, e l'aspetto meno accettabile della realtà affermatasi improvvis amente nelle im- mediate vicinanze di Fredericksburg, in Virginia. I l piccolo drappello di cavalleggeri s'era fermato, pavido in sella, acc anto a quelle mo- struose creature della foresta. Minott osservò con occhio critico i tre giovanotti e le quattro ragazze che facevano parte della sua comitiva di studenti del Robinson College. E Minott, ormai, non era più il docente che s'era o fferto di mettersi alla testa di una piccola spedizione uscita in espl orazione. Era quel che si dice un condottiero deciso a tutto. Alle otto e trenta del mattino del 5 giugno, gli ab itanti di Frederick- sburg avevano avvertito all'unanimità uno strano st ordimento. Era passato subito. Il sole brillava luminoso. Nulla, s embrava, era interve- nuto a mutare gli abituali aspetti dell'esistenza d i tutti i giorni. Dopo un'ora, tuttavia, la sonnecchiante cittadina ronzav a di eccitazione. La strada che portava a Washington, proprio quella che tutte le carte chiamavano Statale n. 1, era rimasta improvvisament e interrotta a circa tre miglia a nord. A tagliarne bruscamente il percorso era appar- sa, come per magia, una colossale, gigantesca fores ta. Le comunicazio- ni telegrafiche con Washington erano rimaste interr otte. Le stazioni radio della ca~itale non trasmettevano più. Nessuno , in tutta Frede- ricksburg, ricordava d'aver mai visto alberi così a lti come quelli della straordinaria foresta. Somigliavano soltanto a quel li di certe fotogra- fie delle gigantesche sequoie della costa del Pacif ico, ma... insomma! Non poteva essere! In un'ora e mezzo, Minott aveva trasformato in drappello di caval- leggeri un pugno di studenti decisi a veder da vicino la foresta. E non sfuggì a nessuno che Minott si sceglieva i comp agni con strana ocula- tezza. Tre giovani e quattro ragazze in tutto. Se li avesse lasciati fare, gli studenti si sarebbero pigiati nella sconqua ssata utilitaria apparte- nente a uno di loro, ma Minott aveva scartato q uest'idea. --Ci troveremo sbarrata la via all'altezza del la foresta--aveva ri-

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cordato Minott, sorridendo.--Non sarebbe più di vertente esplorarla a dorso di cavallo? Ci penso io, ai cavalli. Le cavalcature furono pronte di lì a una decin a di minuti. Scompar- se per andarsi a infilare i pantaloni da cavall erizze, al loro ritorno le ragazze avevano notato, molto soddisfatte, che oltre alle selle, i cavalli avevano anche capaci bisacce. Con il solito sor risetto, Minott era stato pronto a spiegare:--Dato che si parte per una s pedizione, è giusto at- trezzarci da veri esploratori. Nelle bisacce ho fatto mettere dei viveri. Quando saranno vuote le colmeremo di tutte le r arità botaniche che troveremo. E partirono. Le ragazze emozionate, i giovani compiaciuti e soddi- sfatti. Peccato che ad attenuare la loro gioia intervenissero di continuo le motociclette e le auto che li sorpassavano r ombando. I cittadini di Fredericksburg accorrevano in massa all'improba bile foresta. Nel punto in cui la statale era interrotta, si erano già ammassate au- tomobili a centinaia. Una vera folla di curiosi sbarrava l'occhio sui | tronchi altissimi della selva. I tronchi gigant eschi affondavano nella terra radici di grandezza mai vista. Qua e là, spiccava al suolo la mac- chia di qualche cespuglio. Ovunque, tra i tronc hi, spirava un senso di pace, di serenità profonda t Su tutto una sensazione di pace e assoluta ser enità e di eterno. Dalla folla dei convenuti si levava un mormorio somme sso. Si commentava, E si cercava di spiegareEra uno spettacolo impossib ile. La foresta pa- reva un miraggio. I cavalieri giunsero sul luogo, proprio quando una frotta di coraggio- si usciva dalla foresta nella quale aveva osato addentrarsi. Tornavano increduli, dubitando dei loro sensi, benché tut ti avessero le mani piene di rami, di foglie. Ce n'era uno che aveva racc olto una quantità di bac- 'L che mai viste sulla costa atlantica. Accortosi delle intenzioni di Minott, un agent e levò una mano per dare l'alt al drappello dei giovani. --Ehi!--disse.--Abbiamo sentito degli strani r umori venire da lì dentro, e sino a che non saremo sicuri di quel che sta succedendo, non lascio passare nessuno! --Saremo molto cauti--promise Minott.--Sono il pro fessor Mi- nott del Robinson College e guido i ragazzi che si propongono unica- mente di far raccolta di qualche specie botanica. E poi sono armato di pistola. Non potrà succederci nulla di male. E aveva spronato il cavallo. Ancora privo di ordin i precisi, il poli- ziotto aveva allora ceduto al desiderio di Minott c on un'alzata di spal- le. Ma aveva poi impedito a tutti gli altri di acce dere alla foresta per compiervi un'esplorazione. Pochi minuti dopo, gli o tto cavalli e i loro cavalieri erano scomparsi alla vista. Erano passate tre ore da quell'istante. Per tre or e, Minott aveva gui- dato il drappello puntando un poco più a sud della direzione nord est. Sino a quel momento non avevano incontrato animali pericolosi. Ave- vano osservato, in compenso, molte piante familiari . Avevano visto co- nigli in quantità, e in un caso una sfuggente forma grigia che Tom Munter, il laureando in zoologia, aveva supposto es sere un lupo. Lupi, nei dintomi di Fredericksburg non se n'erano mai vi sti. Neanche se- quoie, a dire il vero. E gli esploratori non avevan o trovato traccia di vi- ta umana, benché Fredericksburg si trovasse in una zona agricola, densamente popolata. In tre ore, i cavalli dovevano aver coperto alme- no quindici miglia senza che la foresta accennasse a finire. Il giovane Blake cominciò a protestare quando fu avvistata la sagoma gibbosa d'un animale che non poteva essere altro che un buf alo selvaggio, raz- za estintasi sin dal lontano 1820 a est delle Monta gne Rocciose. --Qui stanno succedendo un sacco di stranezze, sig nore--aveva cominciato il ragazzo imbarazzatissimo.--Per quel c he mi riguarda, sono pronto a continuare l'esplorazione, quanto vuo le, ma non dobbia- mo dimenticare le ragazze! Se non facciamo presto a ritornare, il pre- side ce la farà pagare cara!

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Era stato allora che Minott aveva puntato i revolv er sui ragazzi, an- nunciando tranquillamente che non sarebbe tornato i ndietro nessuno. E che egli sapeva che cosa era successo e che cosa potevano aspettarsi. E che sarebbe stato pronto a fornire qualsiasi delu cidazione, non appe- na i suoi ascoltatori si fossero convinti che era p ronto a usare la pistola in caso di ammutinamento. 5 --Ci affrettiamo a fare atto di sottomissione--si affrettò a dire il giovane Blake. Aveva stretto rigidamente le labbra, ma non aveva battuto ciglio. Venuto a mettersi prudentemente tra Maida Haynes e la canna delle pistole, continuò:--Vorremmo sapere in virtù di qua le strano feno- meno gli alberi di questa foresta, che dovrebbero t rovarsi a cinquemi- la chilometri di distanza da noi, crescono in Virgi nia. Quel che mi inte- ressa maggiormente, tuttavia, è questo: perché il s uolo sul quale si tro- va questa foresta nuova di zecca è rimasto topograf icamente lo stesso di prima? I rilievi si stendono nella direzione in cui si stendevano an- che ieri, ma, scomparso quanto vi si trovava ve ntiquattro ore fa, è sal- tata fuori questa incredibile foresta. _ Magnifico, Blake!--esclamò Minott approvando soddisfatto. --Sei un buon osservatore. Benché avessi le mie buone ragioni per la- sciarti a casa, ho preferito averti con me perc hé sapevo che sei un buon geologo. Saliamo in cima a quella collinetta, p rima. Dovremmo veder- vi il Potomac, se non mi sbaglio. Poi vi spiegh erò. Temo, tuttavia, che dovremo cavalcare ancora a lungo, oggi. Riluttanti, i cavalli si spinsero ansando lung o il pendio. Si procede- va fra tronchi giganteschi e folta boscaglia: i n tre ore non s'era incon- trata una sola strada tracciata dall'uomo. Gli avventurosi esploratori dovevano trovarne una in cima al colle. Era un viottolo stretto, tutto segnato dai solchi serpeggianti lasciati dai ca rri. I cavalieri ne seguiro- no il tracciato senza parlare. Dopo un quarto d i miglio di continui an- t dirivieni, il sentiero scendeva all'improvviso. Davanti a Minott e ai suoi compagni si stendevano le acque del Potoma c. Tutti i cavalieri, tranne uno, lanciarono grid a di stupore. Sulle rive del fiume c'era un abitato. Nel porticciolo si dondolavano alcune im- barcazioni. Natanti e navicelle apparvero anche più lontano: alcune risalivano faticosamente il fiume venendo dalla direzione di Chesapea- ke Bay, e altre che filavano veloci trascinate dalla corrente che andava verso valle. Ma non si trattava né delle barche né del villaggio che ci si aspettava di vedere sul Potomac.- 5 Il villaggio era piccolo e tutto cinto da mura di fango. Piccole figure d'uomini vestiti d'azzurro si muovevano indaffa rate tra i campi che circondavano l'abitato da ogni parte. Le costru zioni, la linea ricurva dei tetti e soprattutto la sagoma inconfondibil e di quello che non pote- va essere che un tempio, proprio al centro del villaggio fortificato, era- no cinesi. Le imbarcazioni in vista differivano dalle classiche giunche - unicamente nelle vele, che sembravano esser fa tte di tela, invece che di bambù. I campi tutto intorno alle basse mura di fango erano coltivati in modo assolutamente inusitato. Lungo il fiume , là dove la riva avreb- be dovuto ospitare le caratteristiche marcite d el Potomac, si vedevano intensive colture di riso. E all'improvviso, accanto ai cavalieri, spuntò un uomo. Oltre all'am- pio cappello che gli copriva il capo, indossava una camicia ampia, ara- bescata, di cotonina imbottita. Portava pantalo ni di cotone e calzava L un paio di zoccoletti. Era il prototipo del con tadino cinese. Lo sembrò ancor di più quando, rivolti gli ~7cchi a mando rla sulla piccola comiti- va di cavalieri, atteggiò il volto a un'espress ione di sommo terrore e prese a fuggire precipitosamente, gridando. Nel la fuga, aveva abban- L donato un pesantissimo bastone, alle due estre mità del quale aveva ppeso un paio di ceste colme di bacche raccolte nella foresta. E i cavalieri sbarrarono gli occhi. Che in que l momento ci fosse il Po- 255

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tomac, era perfettamente logico, normale. Ma quel v illaggio, quelle giunche cinesi che ne navigavano il corso... --Io devo essere impazzita--mormorò Maida Haynes co n la voce rotta.--O no? Minott alzò le spalle. Sembrava deluso, ma straname nte risoluto. --Niente affatto--disse.--Non è impazzita. E succes so semplice- mente che i cinesi sono stati i primi coloni d'Amer ica. Non è novità: si sa che i figli del Celeste Impero avevano spinto le loro giunche sin sulle spiagge americane bagnate dal Pacifico, assai prima di Colombo. Evi- dentemente vi hanno creato delle colonie. Non so... Forse hanno fatto per intero la traversata del continente, oppure son o arrivati qui facen- do il giro da Panama. Comunque sia andata, questo, adesso, è un conti- nente cinese. E a noi non serve. Continuiamo la cav alcata. Dal villaggio, avevano avvistato la figuretta del c ontadino che fuggi- va strillando. Si levò il clangore discorde di un g ong. Dai campi, fu un frenetico accorrere di uomini che andavano a rifugi arsi dietro le mura di fango che difendevano il villaggio. Cominciarono a scoppiare i pri- mi mortaretti tra un coro di grida minacciose. --Avanti!--ordinò Minott.--Sarà bene affrettarci. E fatta compiere una mezza giravolta alla cavalcatu ra, diede di sprone. Istintivamente, soltanto perché Minott semb rava essere il solo a sapere che cosa si doveva fare, gli studenti segu irono il docente. La cavalcata s'interruppe all'improvviso barcollare dei cavalli. I ca- valieri provarono un'acuta, strana vertigine. Non d urò più di qualche secondo, ma anche Minott impallidì un poco. --Vediamo un po' che cosa sarà successo, ora...--di sse con calma. --Le probabilità sono ancora abbastanza buone; avre i preferito tutta- via che le cose restassero a questo punto ancora un poco. Almeno quan- to bastava per provare qualche altro posto. Anche la folla dei curiosi che si accalcava ai marg ini della strada che conduceva a nord di Fredericksburg era stata colta da quel senso di vertigine accompagnata da nausea. Per poco più d'un secondo, tutti avevano sofferto un malessere indescrivibile che im pedì loro persino di vedere. Recuperata la vista, tra la folla fu il pandemonio. Si levaro- no esclamazioni di terrore e si determinò un fuggi fuggi generale a bor- do delle auto. Ma non erano pochi quelli che se la battevano a piedi. La foresta di sequoie non c'era più. Scomparsa. Sos tituita da una di- stesa squallida, biancheggiante. Semisepolti tra la neve, qua e là si ve- devano spuntare monconi d'alberi anneriti. A perdit a d'occhio si sten- deva una pianura ondulata, ammantata da una polvere bianca, scintil- lante... Pochi minuti, e tutto scomparve alla vista, dietro un denso banco di nebbia formatosi all'istante, non appena il tiepido mattino di giugno in Virginia venne a contatto, raggelandosi, con que lla immensa coltre di neve. Con altrettanta rapidità, tuttavia, i banc hi di neve comincia- rono a sciogliersi. E si videro le auto degli abita nti di Fredericksburg darsi a fuga precipitosa lungo la strada asfaltata inseguiti da una corti- na di nebbie che andava sempre più dilatandosi. Fiu miciattoli e tor- renti, alimentati da un costante afflusso d'acque i nattese, si gonfiaro- no spumeggiando tumultuanti... C'erano solo alberi radi e un'erba alta e rigoglios a, con steli simili a

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canne. Il suolo tremava ancora, e c'era nebbia. Al di là di qualche cen- tinaio di metri non si vedeva nulla. Eppure la topo grafia, per quanto riguardava valli e rilievi, non era cambiata. Ma vi dero un tapiro - ri- cordò loro, all'inizio, un elefante in miniatura - e altre creature simili a uomini, ma che uomini non erano. Allora due stude nti si misero in te- sta al gruppo, per controllare che qualcosa non si nascondesse nell'er- ba alta oltre un metro e mezzo; veniva poi Minott c on le studentesse, mentre il quarto studente fungeva da retroguardia. --Questo posto non mi piace--disse freddamente Mino tt.--Non mi piace per niente. Ma andremo avanti. Lucy Blair cavalcava al suo fianco. Minott le aveva mostrato come usare la rivoltella. Anche Maida Haynes cavalcava a ccanto a Minott, dalla parte opposta. --Cos'erano quelle cose che abbiamo visto?--chiese Lucy preoccu- pata.--Sembravano... esseri umani. Ma lo erano dawe ro? --Dipende dal significato che si dà alla parola "um ano"--rispose Minott.--Se ci si riferisce alla specie Homo sapie~ s--alla nostra spe- cie, cioè--allora probabilmente non lo erano. La fa miglia umana era composta un tempo da molte specie, come accade anco ra oggi agli equini e ai felini. C'erano l'uomo di Neanderthal, quello di Giava e via dicendo. L'Homo sapiens le ha spazzate via, nel mon do da cui veniamo. Ma nella porzione di spazio-tempo in cui ci troviam o lo scontro po- trebbe avere avuto un esito diverso. Maida Haynes si umettò le labbra. Era terribilmente tesa. --Antropologia!--esclamò con voce stridula.--Cosa c 'entra con quello che ci sta succedendo? Non capisco più nient e... Mi sembra di Sognare. Sì, deve... dev'essere tutto un sogno. --Anch'io ho l'impressione di sognare--disse Lucy.- -E ho anche molta paura. Ma nello stesso tempo è... affascinant e. Credo che finirò coll~abituarmi perfino alla paura. Almeno, lo spero . Uno dei due studenti dell'avanguardia si era messo di traverso. Avanzò un poco, con prudenza, poi tirò le redini, s pronb il cavallo e raggiunse al ~aloPPo il ~ruPpO di Minott. --Ci sono alcune... creature, laggiù, sdraiate nell 'erba. Sembrano... in attesa--disse balbettando.--La cosa strana è che assomigliano a... degli esseri umani. Cosa facciamo? Minott ci pensò su, imperturbabile. --Se avessimo deciso di restare--disse d'un tratto, senza tradire nessuna emozione--converrebbe caricarli e ucciderne un certo nume- ro, per dar loro una lezione difficile da dimentica re. Ma non abbiamo intenzione di stabilirci qui. Proprio non ne varreb be la pena. Non ab- biamo niente da guadagnare. Aggiriamoli. Se tentano di inseguirci ne abbattiamo uno o due. Harris si tuffò nell'erba alta e tornò in testa al gruppo, accanto al giovane Blake; poi entrambi mutarono direzione. Gri da bestiali si al- zarono dal punto che avevano deciso di evitare. Fig ure curve saltel- lanti, con capelli scuri lunghi e incolti si misero a correre cercando di intercettarli. Erano armate di lance e bastoni. Minott estrasse il revolver, prese la mira con cura e sparò sei colpi. Il primo degli inseguitori emise un urlo straziante, g li altri fuggirono ur- lando. Il ferito continuò a urlare e a dibattersi p er un po', infine emise

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un verso gorgogliante, e restò immobile. Minott ric aricò la rivoltella. --L'ha... L'ha ammazzato!--esclamò Maida Haynes ino rridita. --Poco ma sicuro--confermò tranquillamente Minott.- -Uccider- ne uno ha messo in fuga gli altri. Se ci avessero a ttaccato tutti insieme ne avremmo dovuti uccidere parecchi, e ciò avrebbe comportato un grande spreco di munizioni.--L'intelligenza non può servirci a molto, qui--aggiunse.--Non c'è molto da ricavare, da quest o paese di sel- vaggi. Non fece altri commenti. In lontananza l'aria calig inosa sembrava ancora più satura di umidità. Davanti a loro c'era un vero e proprio banco di nebbia, che sembrava prolungarsi indefinit amente sia verso destra che verso sinistra. Continuarono ad avanzare risolutamente. --Crede davvero che prima o poi incontreremo una ci viltà in cui sa- remo i benvenuti, professor Minott?--chiese all'imp rovviso Lucy Blair. --Certo che sì--rispose Minott asciutto.--Non ho or ganizzato questa spedizione senza avere in mente un progetto ben preciso. --E lei crede che potremo... che riusciremo a... --Conquistarla? Le assicuro che io la conquisterò. Mi basta essere accolto--essere accettato - da una comunità cultura lmente non trop- po progredita, o, per meglio dire, appena al di sop ra dello stato selvag- gio. Data questa premessa, potrò mettere a frutto n el modo migliore le mie specialissime conoscenze. Tutto quello che mi o ccorre è una socie- tà fluida, malleabile, non ancora prigioniera di un a gabbia istituziona- le di qualsiasi genere: finirò inesorabilmente col dominarla. Nella no- stra cultura gli uomini non pensano ad altro che a difendere quello che hanno già, sono meschini e prudenti. Non posso conc ludere nulla con gente simile. Datemi invece degli uomini che braman o ciò che ancora non possiedono, e io glielo farò avere! Li renderò prosperi come per magia. --Con la matematica?--chiese Lucy, incredula. Minott fece un sorriso vago. --Se vuole chiamarla così--rispose Minott in tono i ronico.--Per lei, probabilmente, la matematica non è che una con gerie di tecniche di calcolo applicabili agli aspetti quantitativi de lla realtà. La logica, ovviamente, è una forma di calcolo applicabile a no zioni non quantita- tive ma qualitative. Ma possono ben esserci--ci son o! - procedimenti di calcolo in grado di cogliere entrambi gli aspett i della realtà, e altri aspetti ancora al di fuori dell'opposizione quantit à-qualità. Ci sono, e io li ho scoperti. Ma nella nostra epoca non servon o a nulla. Mettereb- bero in discussione troppe false certezze, troppe o pinioni fatte passare per verità rivelate. Tuttavia funzionano, e con la stessa inesorabile effi- cacia della matematica e della logica formale. Vi a ssicuro che mi da- ranno lo stesso vantaggio, nei confronti dei membri di una qualunque cultura, che la capacità di eseguire le quattro ope razioni dà nei con- fronti dei membri di una tribù di selvaggi. Lucy Blair lo fissò perplessa. --Ipotesi scientifiche, teorie... Ma il suo modo di comportarsi è ben diverso. Posso dirle una cosa? Lei mi sembra um uom o terribilmente solo.

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--Lo sono sempre stato--confermò Minott in tono ama ro--e sem- pre lo sarò. Ma finalmente ho la possibilità di ott enere qualcosa, in cambio di tante sofferenze! Tutto ciò che mi occorr e è una popolazione i cui membri siano abbastanza turbolenti e ambizios i: io saprò pla- smarla, modificarla, governarla e guidarla verso... A questo punto s'interruppe. Lucy non sembrava affa tto scandaliz- zata. Incuriosita, domandò:--E noi che parte avremo in tutto ciò? --Mi aiuterete--rispose Minott.--Tutti voi. Non ave te altra scel- ta, ovviamente; ma la vostra ricompensa sarà più gr ande di quanto possiate immaginare. So bene di non dovervi costrin gere: non avete al- ternative. Ma alla fine sarete felici, ne sono sicu ro. --Ma è... pura follia!--protestò Maida, costernata- -Non... Non tornare mai più a casa... --Lei si sposerà, signorina--replicò Minott in tono pratico--e di tornare a casa non le importerà più nulla. Anche in questo, comunque, lei è assolutamente libera di scegliere. Anche se p robabilmente non troverà molto di suo gusto dei semiselvaggi; non pi ù di quanto possa trovarli di suo gusto uno qualunque di noi. Ma qual cuno che le piace fi- nirà col trovarlo, vedrà. Lucy e Maida si guardarono negli occhi. Erano in ot to: quattro stu- dentesse~ tre studenti, e... Minott. --Già--continuò il docente in tono che non ammettev a repliche --perché io sposerò una di voi. La più adatta ai mi ei piani. L'impera- trice del mondo dovrà essere molto intelligente. Dopo di che galoppò avanti. Il banco di nebbia dava nti a loro si sten- deva da un orizzonte all'altro. Quando i cavalli de gli otto vagabondi del tempo vi entrarono, I'aria diventò gelida tutt' a un tratto. Il ferryboat proveniente da Berkeley, in California , avanzava lenta- mente nella luminescenza biancastra. La sirena fisc hiava agli interval- li prescritti. In plancia, il capitano disse in ton o confidenziale al co- mandante in seconda:--Vuoi sapere una cosa? Ho appe na avuto la plU strana sensazione della mia vita. Proprio ora. Era come essere sbronzo e avere il mal di mare nello stesso tempo. --E tu vuoi sapere una cosa?--chiese il secondo.--L 'ho avuta an- ch'io. Proprio un momento fa. Sarà colpa della dige stione. Però è stra- no... --Che cosa? --C'era un gran via vai nella baia fino a un attimo fa. Sirene in con- tinuazione. E adesso, da qualche minuto, neanche un fischio. Ascolta! I due marinai tesero le orecchie. Udirono il rumore della sala mac- chine, che faceva tutt'uno con la sorda vibrazione della nave; udirono il brusio discontinuo di conversazioni che veniva d al ponte passeggeri, qualche metro sotto di loro. Udirono il ritmico sci acquio delle onde contro le fiancate del ferryboat. E nient'altro. No n sentirono nessun al- tro rumore. --Curioso--disse il capitano. --Maledettamente curioso--confermò il secondo.

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Il ferryboat continuò ad avanzare. La nebbia riduce va la visibilità a un raggio inferiore ai cento metri. --La cosa più buffa che mi sia mai capitata--disse il capitano in tono preoccupato. Allungò il braccio verso la corda della sirena, la tirò, e un lungo suono lamentoso si diffuse tutt'intorno. --Dovremmo esse- re vicini al nostro molo, comunque. Se soltanto... Sbuffando e tossicchiando una motolancia a vapore s bucò dalla neb- bia, e virò improvvisamente; gli uomini a bordo fis savano sbigottiti la mole imponente del ferryboat. La motolancia fece un giro completo in- torno all'enorme, lenta, tozza imbarcazione, e a un certo punto uno de- gli uomini che erano a bordo si alzò e prese a urla re a squarciagola qualcosa di totalmente incomprensibile. La motolanc ia completò il gi- ro; I'uomo urlò di nuovo. Indicò con un braccio la bandiera fissata alla poppa della piccola imbarcazione - una bandiera che il capitano e il secondo non avevano mai visto - ed emise una specie di ruggito. --Guarda quel tipo come dà fuori di matto! Vorrei s apere con chi ce l'ha--disse il comandante in seconda, perplesso. Im provvisamente si levò una leggera brezza, la nebbia cominciò a dirad arsi, e la zona di 260 cielo debolmente luminosa che avevano di fronte - il sole - divenne più luminosa, acquistò un contorno più definito. La brezza continuò a di- sperdere la nebbia, finché la chiara luce del gi orno permise loro di di- stinguere perfino il colorito paonazzo dell'uomo sulla motolancia, in- capace di rassegnarsi al fatto che le sue parole non ottenevano l'effetto voluto. Poi anche gli ultimi residui di nebbia si disso lsero, e si poté ammira- re la Baia di San Francisco in tutto il suo sple ndore. La Baia di San Francisco? Ma quella non era San Francisco! Gran parte degli edifici della città erano di legno. E la città era picco la. Piccola, piuttosto spor- ca con strade strette, lampioni a gas nelle stra de, e quattro mostruosi edifici simili a caserme al centro del porto. No b Hill era al suo posto, ma priva di edifici. E --Dio del Cielo!--esclamò il comandante in seco nda. Stava guardando un'enorme costruzione in legno, culminante in una cupola gigantesca e di forma strana, coperta di scanalature a spi- rale. Uno stendardo altrettanto strano sventolav a su alcuni edifici. C'e- t ra gente nelle strade, e c'erano veicoli a motor e, ma grossi, goffi e lenti. Gli occhi del secondo si posarono su un carro tr ainato da cavalli. Da t tre cavalli affiancati, per l'esattezza, ma adde strati in modo tale, o con le redini così tirate, che solo il cavallo centr ale guardava davanti a sé. I colli degli altri due erano torti verso l'estern o, secondo l'uso della Rus- sia zarista. Eppure, in un certo senso, tutto ciò era perfet tamente normale: ap- pena si ebbe a disposizione un interprete, il co mandante del ferryboat e il suo secondo furono duramente redarguiti, pe r essere entrati nel porto di Novo Skevsky violando praticamente tutt e le norme di ingres- so nei porti promulgate da Sua maestà Alexiei, Z ar di tutte le Russie. Le quali norme, essi appresero, erano fatte risp ettare con specialissi- mo zelo in Alaska, nonché negli altri territori russi situati sul continen- te americano. Gli otto cavalieri erano pallidissimi in volto. Quando tirò le redini del- la sua cavalcatura, persino Minott apparve visib ilmente scosso. Ma non meno determinato di prima. t --Sarete soddisfatti, adesso, spero--disse.--Bl ake, tu che sei il geologo della comitiva, guarda un po' la riva de l fiume. Non ti sembra Eamiliáre? Il giovane, esangue in viso, fece un cenno d'as senso. Indicando il Po-

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omac, disse:--Sì. Riconosco anche le cascate. Q uesta, professore, è la Sponda sulla quale sorgeva Fredericksburg, fino a stamattina. Lì c'era, o ci sarà, il Ponte Grande. E l'autostrada per R ichmond dovrebbe pas- are press'a poco lì. Dove c'è quella mastodonti ca quercia. L'albergo 261 Princess Anne dovrebbe essere dietro quel colle. A mio awiso, profes- sore, dovremmo aver compiuto un passo indietro nel tempo. Non so come, ma... A meno che non si sia invece balzati in pieno futuro. Sono ore che cerco di capire. Mi sembra di dover diventa r matto da un mo- mento all'altro... --Benissimo--approvò Minott freddamente.--Ci trovia mo sulla riva del Potomac nel punto esatto di Fredericksburg . Ma non siamo an- dati né avanti né indietro nel tempo, ragazzi. Sper o che abbiate notato il punto nel quale siamo usciti dalla foresta di se quoie. Ci deve essere una specie di "falla" lì. E sarà molto utile ricord arcene. Non ci trovia- mo nel passato, Blake--riprese Minott dopo una paus a.--E non sia- mo nemmeno nel futuro. Il nostro viaggio nel tempo si è compiuto late- ralmente; in una specie di oscillazione tra un sent iero e l'altro del tem- po. In questo momento, siamo capitati in, come dire , una linea del tempo in cui Fredericksburg non esiste. Allo stesso modo, poco fa ci trovavamo in un "punto" del tempo in cui i cinesi h anno preso possesso del continente americano. E adesso sarà bene fare c olazione. Minott smontò di sella. Le quattro ragazze si strin sero l'una accanto all'altra. A Maida Haynes battevano i denti. Blake si mise davanti ai cavalli. --Non perdete la testa--sussurrò.--Dovunque siamo, ormai sia- mo qui. Tra qualche minuto il professor Minott ci s piegherà ogni cosa. E dato che lui sembra perfettamente al corrente del fenomeno, possia- mo star tranquilli. Scendete da cavallo e mangiate qualcosa. Ho una fame da lupi! Vieni, Maida! Balzata a terra, la povera ragazza cercò di fare un a specie di sorriso. --E di lui che ho paura!--confessò al compagno in u n sussurro. --Più che ogni altra cosa, mi fa paura il professor e! Stammi vicino. Blake aggrottò la fronte. Minott disse, asciutto:-- Troverete dei pa- nini imbottiti nelle bisacce. E ci troverete anche le armi da fuoco. Vi consiglio di mettervi le pistole al fianco, ragazzi . Dato che la speranza di tornare al mondo che conosciamo appare inconcepi bile, ritengo giunto il momento di potervi affidare le armi. Il giovane Blake fissò Minott prima di cominciare l 'ispezione delle sue bisaccee. Contenevano due rivoltelle e una quan tità enorme di car- tucce. Ma c'erano anche numerosi libri ai quali era no state strappate le copertine. Dopo aver osservato da intenditore le due pistole, se le in- filò in tasca. Ripose i volumi. --Ti nomino comandante in seconda della spedizione, Blake--dis- se a questo punto Minott, con accento ancora più as ciutto di prima. --Non capisci niente, ma almeno vuoi capire. Non mi sono sbagliato quando ho deciso di portarti con me. Anche se avevo buonissime ragio- ni per lasciarti a casa. Siedi. Ti racconterò cosa è successo. Preannunciato da un brontolìo, dalla boscaglia vici na emerse sof- fiando un orsacchiotto bruno. Lo si vide attrav ersare velocemente una radura che aveva ospitato, sino a quel mattino, una ben fornita stazio- ne di servizio. Subito messo in allarme, il gru ppetto tornò alla calma.

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E, all'improvviso, le ragazze cominciarono a ri dere, quasi istericamen- te. Addentato tranquillamente un panino, Minott disse:--Purtroppo sarò costretto a esprimermi in termini matemati ci. Mi sforzerò, tutta- via, di farvi un'esposizione meno noiosa delle mie solite lezioni. Infat- ti, i recenti avvenimenti sono spiegabili unica mente in termini mate- matici, e, più precisamente, attraverso certi c oncetti di fisica matema- tica. Dato che voi siete soltanto degli student i universitari, mi vedo costretto a parlare in maniera molto semplice. Come se avessi davanti un branco di ragazzini di dieci anni UNon fare quella faccia, Hunter! Se hai avvist ato qualcosa che somi- glia a un indiano, tira fuori la pistola e spar agli. Taglierà la corda. Quel poveraccio, con tutta probabilità, non ha mai s entito parlare di un'ar- L ma da fuoco. Non ci troviamo più su un continen te cinese, ormai." Ansante, spaurito, Hunter armeggiò impacciatis simo intorno alle sue bisacce. E mentre il giovane si armava dell e pistole, Minott conti- nuò imperturbabile:--La natura ha subìto gli ef fetti di un sommovi- mento tuttora in atto. Il fenomeno, tuttavia, n on ha la forma di scosse 7 sussultorie o ondulatorie della terra e delle r occe: sono scosse sussulto- rie e ondulatorie di spazio e tempo. E qui, sar à bene fermarci un mo- mento a stabilire qualche principio fondamental e. Il tempo è una di- mensione, del quale passato e futuro sono due e stensioni, due comple- menti, così come, in un ordine di grandezze più familiare a noi, l'est è l'estensione opposta all'ovest. "Mentre si è soliti considerare il tempo come una retta, come un tun- nel, ci si guarderebbe bene dal commettere simi le errore quando si ha a che fare con grandezze d'uso quotidiano. Mi s piego subito: sappia- mo, per esempio, che Annapolis, King George, Cu rt, Norfolk si trovano ~- all'est rispetto a noi. Ma sappiamo che non ci si arriva puntando esclu- sivamente a est, per la semplice ragione che oc corre anche piegare a nord o a sud. Quando però ci capita di compiere un viaggio immagina- rio nel futuro, eccoci pronti a considerare il futuro una retta anziché una coordinata, un binano invece che una direzi one. Partiamo dal pre- Supposto che un viaggio nel futuro ammetta una sola destinazione. E questo è assurdo quanto pensare che occorra dir igersi soltanto a est, dimenticare che esistono nord-est e sud-est e t utta una quantità di _ punti intermedi.n Comprendo, professore--disse lentamente Blak e.--Ma non ve- do come 3 --..tutto ciò possa avere attinenza con la nost ra situazione attuale? -r Ebbene, ti sbagli!--lo interruppe Minott mostran do i denti in un lar- go sorriso. Addentò il suo panino e proseguì:--Imma giniamo che giunto a un bivio, indeciso sulla direzione da pren dere, io lanci in aria la monetina. Qualunque sia la scelta, sul sentiero che percorrerò attra- verserò certi luoghi, vivrò certe avventure. Le une e le altre non saran- no mai identiche a quelle che contraddistinguono il sentiero che io ho scartato. dChiaro quindi, che nel decidere per una delle due soluzioni che mi si sono presentate, io non avrò soltanto dato la prefe renza a queste o quelle caratteristiche topografiche, ma avrò scelto tra due diverse ca- tene di awenimenti, di vicende, di episodi. Avrò sc elto non solo tra due strade sulla superficie terrestre, ma anche tra due strade nel tempo. E così come due strade diverse mi condurrebbero a due diverse città, due sentieri diversi aperti sul futuro mi condurranno a due futuri comple- tamente differenti. Mentre il primo può portarmi al la ricchezza e al successo, il secondo può portarmi al più banale deg li incidenti stradali e lasciarmi il corpo martoriato, non solo su un biv io di un'autostrada della Virginia, ma anche su un bivio di un'autostra da nel tempo. In so- stanza, mi preme di farvi notare che i futuri nei q uali ci possiamo im- battere sono più di uno e che noi scegliamo il nost ro tra i molti futuri con maggiore o minore consapevolezza. Ma i futuri c he non avremo scelto di percorrere lungo le strade che non abbiam o imboccato esisto- no, e sono realtà. Come esistono e sono realtà le l ocálità lungo le strade

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che non abbiamo scelto. Noi non li vediamo quei fut uri, ma ne ammet- tiamo l'esistenza." Ancora fu Blake a protestare. --Tutto ciò--disse il giovane--è molto interessante . Ma non rie- sco a capire che cosa c'entri con quanto è successo . --Ma non capisci--ribatté Minott impaziente--che se esiste uno stato di cose simile nel futuro, deve essercene uno del geneFe anche nel passato? Non capisci che mentre si continua a parla re di tre dimensio- ni, ci si ostina ad ammettere un solo passato e un solo futuro, quando invece c'è la necessità teorica, dovrei dire matema tica, di ammettere l'esistenza di più d'un futuro? "Esiste um numero indefinito di futuri possibili. P otremmo incon- trarne uno qualsiasi a condizione di scegliere bene ai bivi che si aprono sul tempo. Come ci sono infinite direzioni verso es t, così ci sono infini- te direzioni nel futuro Se tu parti a centocinquant a chilometri di di- stanza a ovest di qui e ti dirigi all'est scegliend o le strade a caso, come fai quando devi scegliere tra le strade che si spal ancano sul tempo, puoi anche arrivare qui. Ammettiamo pure che tu sia giunto un po' a sud o a nord di questa località: sarai sempre a est , rispetto al tuo punto di partenza. Adesso prova a immaginare di aver pres o le mosse non già a centocinquanta chilometri di distanza all'ovest d i questo punto, ma a cento anni di distanza da questo momento!" Ancora brancolando nel buio, il giovane Blake mormo rò impacciato: _ Non so se ho capito bene, professore. In sostanza , lei sostiene che, ammessa l'esistenza di un numero imprecisato di fut uri, bisogna am- mettere anche che vi siano stati un numero imprecis ato di passati, as- sai diversi da quelli di cui si legge nei nostri te sti di storia. Ne consegue che debba esistere anche un numero incalcolabile di , come devo chia- marli, presenti... Inghiottito l'ultimo boccone del suo panino, Minott fece un cenno d'assenso.--Esattamente! E la convulsione subìta og gi dalla natura, ha fatto di quei presenti una mescolanza. Peggio, n e continua a sov- vertire l'ordine a intervalli. Gli Scandinavi un te mpo colonizzarono l'America. Nel susseguirsi degli eventi che hanno a ccompagnato il cammino compiuto dai nostri antenati quel tentativo di colonizzazio- ne è fallito. Ma lungo un altro cammino attraverso il tempo, le colonie scandinave si sono sviluppate. Sono divenute fioren ti. Così, sappiamo anche che i cinesi sono sbarcati sulle coste della California. Mentre lungo la pista di tempo seguita dai nostri padri ta le evento è rimasto privo di ulteriori conseguenze, stamattina siamo fi niti su di un sentie- ro del tempo nel quale i cinesi hanno colonizzato e conquistato il conti- nente americano, benché si sia potuto notare, dal t errore dimostrato dal contadino nel quale ci siamo imbattuti, che non sono riusciti a sterminare gli Indiani. "Da qualche parte, continua a esistere l'Impero rom ano, e non è im- probabile che abbia colonizzato l'America, come un tempo aveva sot- tomesso la Britannia. Da qualche parte, forse, suss iste ancora l'Era glaciale, e la Virginia è sepolta sotto una coltre di neve. Non mi stupi- rebbe certamente se apprendessi che da qualche part e esiste ancora il Carbonifero. E per avvicinarci un tantino a un pres ente che ci è mag- giormente noto, potrebbe darsi che in una determina ta strada del tem- po la disperata carica di Pickett alla battaglia di Gettysburg abbia con- dotto i sudisti alla vittoria; per cui, in questa l ocalità imprecisata del tempo gli Stati Confederati d'America sono ora una nazione indipen-

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dente, con un confine ben fortificato e un atteggia mento di bonaria su- periorità nei confronti degli Stati Uniti." A muovere obiezioni, a porre domande, era stato sol tanto Blake. Ma anche i suoi compagni avevano ascoltato Minott a bo cca spalancata. Preso il coraggio necessario, Lucy Blair disse:--Ma professor Minott, dove siamo adesso? --E probabile--rispose Minott sorridendo--che ci tr oviamo in un sentiero del tempo in cui l'America non è stata sco perta dall'uomo bianco. E non ne sono soddisfatto. Ci conviene anda re in cerca di qual- cosa di meglio. Vi vedete al riparo di una tenda in diana, vestiti di pel- li? E necessario trovare un ambiente che faccia meg lio al caso nostro. Spero che ci rimangano un paio di settimane, almeno , per questa ricer- ca A meno che spazio e tempo non vengano cancellati per intero dal fe- nomeno che ci ha ridotti al punto in cui siamo. 265 Tom Hunter si agitò a disagio. --Ma allora--disse--non abbiamo fatto un viaggio in avanti o al- l'indietro nel tempo... --No--ripeté Minott. E alzatosi, aggiunse:--A quant o sembra, quello strano senso di nausea che ci ha colti sareb be caratteristico dei movimentii laterali del tempo. Dovrebbe essere il s intomo che accom- pagna una oscillazione nel tempo. Comunque, in sell a, ragazzi. Andia- mo un po' a vedere che razza di mondi ci aspettano. Costituiamo un gruppo di gente ben preparata per una spedizione di questo genere. Hunter è il nostro zoologo. Blake è l'ingegnere e g eologo della compa- gnia e Harris--proseguì Minott, mentre l'interessat o, un giovane di statura assai bassa per la sua età, arrossiva viole ntemente nel sentirsi guardato da tutti--e Harris, a quanto mi si dice, è un buon chimico. La nostra signorina Ketterling è assai competente i n botanica e la si- gnorina Blair... Maida Haynes si alzò lentamente. --Dunque, professore, lei aveva previsto tutto quan to! E ciò nono- stante non ha esitato un attimo a trascinarci con l ei in un'avventura, che, sono sue parole, non ammette neppure in teoria il nostro ritorno a casa. Sapeva i pericoli a cui andavamo incontro, e ha deliberatamente scelto noi per compagni. Perché? Qual è il motivo c he l'ha spinta ad agire in questo modo? Minott balzò in sella. Sorrise. Un sorriso pieno d' amarezza. --Nel mondo che conosciamo, io non ero che l'oscuro assistente di matematica in un'università altrettanto oscura. Nel la migliore delle ipotesi, un giorno sarei stato titolare d'una catte dra. In questo mondo, invece, io sono il capo d'un gruppetto di giovani m olto intelligenti. Co- me avete potuto constatare, non ho soltanto pensato a fornirvi di armi: nelle vostre bisacce ci sono strumenti assai più im portanti per la no- stra attività futura. Ci sono dei libri! Continuere mo a vagare nel tempo sino a che non ci imbatteremo in un tipo di civiltà capace di accogliere le cognizioni tecniche di cui siamo ricchi. Se temp o e spazio non saran- no completamente annientati, noi vivremo in quel mo ndo e faremo buon uso della nostra scienza. --Perché?--disse Maida Haynes.--A quale scopo? --Per conquistarlo!--gridò Minott con insospettato vigore.--Sis- signori ! A noi sarà dato di dirigere un mondo, com e non è mai stato fat-

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to da nessuno. Da che tempo è tempo! Vi prometto ch e non appena avremo trovato l'ambiente adatto, sarete ricchi a m iliardi, avrete schiavi a migliaia, potrete soddisfare ogni brama d i lusso e di potere di cui è capace l'anima umana! --E lei, professore?--intervenne Blake con voce pia na.--Che cosa riserva per lei? --Il sommo potere!--dichiarò Minott con decisione. Sarò impera- tore del mondo! Minott spronò il cavallo e volse le spalle ai ragaz zi aprendo la caval- cata. Pallida, Maida Haynes accostò il cavallo a quello d i Blake. Afferrò un braccio del compagno con dita convulse. --Jerry!--sussurrò.--Ho paura! Ma Lucy Blair continuò a cavalcare, con un sorriso strano in volto. Il bambino corse gridando verso il villaggio.--Nonn o, nonno! Guar- da! Guarda gli uccelli!--E puntò l'indice mentre co rreva. Un uomo alzò pigramente lo sguardo e rimase di sass o. Una donna smise di lavorare e spalancò gli occhi. Verso ovest si stendevano le ac- que azzurre del Lago Superiore, e agli abitanti del villaggio capitava spesso di guardare in quella direzione. Ma ora, men tre il bambino cor- reva e awisava tutti di ciò che aveva visto, gli uo mini si meravigliava- no, le donne allibivano, gli altri bambini correvan o anche loro, e urla- vano e saltavano, eccitati dalla meraviglia degli a dulti. Sopra la grande, sparsa foresta di pini gli uccelli stavano arrivando. Giungevano in grandi distese scure, non dozzine o c entinaia, o mi- gliaia. Giungevano a milioni, in grandi nuvole nere che oscuravano il cielo. Solo due enormi stormi erano in vista quando il bambino aveva gridato la prima volta; ma prima che fosse arrivato a casa e avesse av- vertito i genitori ne erano arrivati altri quattro. E altri, incredibilmente numerosi, si stavano dirig endo verso il vil- laggio. L'oscurità calò bruscamente quando il primo stormo passò so- pra le case. Il rumore di quei milioni di ali era c osì forte che gli abitanti dovevano quasi gridare per esprimere la loro meravi glia, e chiedersi l'un l'altro cosa stesse succedendo. Tornò la luce del sole, e poi di nuo- vo I'oscurità, al passare del secondo stormo. La grandezza di ciascuna formazione si doveva misur are non in me- tri o in chilometri, ma in decine di chilometri. E a una formazione ne seguiva un'altra, e poi un'altra, e poi un'altra an cora... --Cosa sono, nonno? Devono essere milioni e milioni ! Da qualche parte arrivò lo sparo di una doppietta. Piccole forme scu- re cadevano dal cielo. Un altro sparo, e un altro. Una grandinata di pallini da caccia si alzò dal villaggio verso la di stesa di ali in movimen- . to, e piccoli corpi coperti di piume cominciaro no a cadere, piroettan- do, tra le case. Il nonno ne raccolse uno, e ne carezzò le piume arr uffate. Emise un'esclamazione, e rimase senza fiato.--E un piccio ne selvatico, quel- li che si usava chiamare piccioni di passo. Fino al '78 di questi uccelli ce n'erano a milioni. Ho sentito dire che nel Michi gan, in un solo anno,

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i~ ne abbatterono un miliardo! Così, almeno, diceva la gente. Adesso non Z. ce ne sono più. Sono scomparsi. Come il bufalo. No... Non ce ne sono più! E il cielo nereggiava sopra il capo del vecchio. Un o stormo largo quattro chilometri e lungo sette obbligò il villagg io ad accendere le lu- ci. L'aria era colma del battito delle ali. Il picc ione di passo era riap- parso in un continente dal quale mancava da oltre c inquant'anni. Stormi di colombi volavano alti in fitta schiera eg uagliando in nu- mero quelli che avevano fatto stupire Audubon nel 1 813: quando ne aveva contati a centinaia di miliardi nel Kentucky. E a stormi di cui si sarebbe tentato invano di contare i colombi selvati ci volavano puntan- do a occidente. Il sole era già tramontato, e l'ari a era ancora piena del loro volo. Parecchie ore dopo il tramonto, si senti va, incessante, il rom- bo di quelle ali. Un grande fuoco lambiva le pietre fra le quali l'av evano acceso. Inquie- ti, i cavalli brucavano le erbe vicine. Il profumo delle carni messe ad arrostire era molto invitante. Ma una delle ragazze non smetteva un istante di gemere battendo i denti, distesa su un l etto di foglie. Harris cucinava. Tom Hunter s'era messo a tagliare legna, mentre Blake mon- tava la guardia immediatamente al di là dell'alone rossastro della fiamma. Sbarrava gli occhi sull'oscurità che gli si spalancava davanti, con le pistole pronte in pugno. Minott studiava att entamente una car- ta topografica della Virginia e Lucy Blair faceva d el suo meglio per rin- cuorare la compagna piangente. --La cena è pronta--annunciò Harris. E pronunciò pe rfino quella frase timidamente, quasi in tono di scusa. Minott ripiegò la mappa, mentre Tom Hunter tagliava grosse fette di carne fumante. Porse la cacciagione ai compagni, se rvita su pezzi di corteccia ricoperti da foglie. Minott allungò la ma no e ne prese uno. Mangiò con ottimo appetito. Posata la carta topogra fica sembrava es- sersi liberato anche da ogni altra preoccupazione. Faceva sfoggio delle buone qualità di un buon capo. --l~arai il cambio a Blake, non appena avrai finito di mangiare, Hunter--disse.--Dopo disporremo i turni di guardia per la notte. A proposito, ragazzi: non dimenticate di caricare gli orologi. Sarà anzi utile regolarli. Hunter finì di mangiare in fretta e raggiunse Blake nel suo nascondi- glio. Scambiarono qualche parola a bassa voce. Venu to accanto al falò Blake prese la carne che Harris gli porgeva e comin ciò a masticare adocchiando ogni tanto la compagna malata. --Più che altro--commentò Minott--si tratta di una reazione allo spavento. Non ha che una semplice scalfittura, al b raccio. Non è un'e- sperienza comune, per una laureanda del Robinson Co llege, una ferita da freccia. Blake fece un cenno d'assenso.--Ho sentito rumori s trani, là fuo- ri--disse.--E benché non sia in grado di giurarlo, ho avuto la sensa- zione di essere spiato. A un certo momento m'è semb rato persino di udire una voce umana. --Niente di più facile--ammise Minott.--Comunque, s iamo usci- ti, ormai, dal sentiero di tempo in cui siamo stati assaliti dagli indiani. Ammesso che qualcuno dei nostri aggressori ci abbia seguito dovrebbe essere troppo stupefatto per costituire un pericolo .

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--Speriamo!--commentò Blake senza la minima cordial ità per Minott. Minott aveva deliberatamente cacciato un gr uppetto dei suoi allievi in una situazione dalla quale non c'era sca mpo. Peggio, il pro- fessore aveva messo insieme proprio quel gruppo di studenti, per tra- scinarli poi con sé all'awentura. Pur essendo dispo sto a riconoscere a Minott qualità di capo, Blake non sapeva dimenticar e il tiro mancino iniziale del docente. Comunque, non si proponeva af fatto di scalzare Minott dal suo ideale seggio autoritario. Ma quantunque fosse molto giovane, Blake sentiva an che un certo diritto al comando. Ed era maturo quanto bastava pe r costringersi a non rivelare le sue virtù di condottiero prima che Minott gli avesse fat- to conoscere con esattezza i suoi fini. Quanto c'er a ancora da aspettar- si, soprattutto. Tese l'orecchio, e dopo un poco di sse:--Credo di poter affermare che la sua lezioncina di stamani sia stat a ormai digerita, professore. Potrebbe dirci quanto può durare ancora lo strano sovver- timento di cui sono vittime tempo e spazio? Se ben ricordo, lasciata Fredericksburg, ci siamo diretti a cavallo verso il Potomac, e l'abbia- mo trovato territorio cinese. Tornati a Fredericksb urg ne abbiamo constatata la scomparsa. Al suo posto, invece, abbi amo incontrato un mucchio di Indiani che ci hanno lanciato nugoli di frecce, una delle quali ha ferito Bertha Ketterling a un braccio. Ed è stata una fortuna che ci trovassimo quasi fuori tiro. --Li abbiamo spaventati, poveracci--disse Minott.-- Quelli erano Indiani che non avevano mai visto un cavallo. E chi ssà come sono ri- masti impressionati nel vedere la pelle bianca dell e nostre facce! Natu- ralmente, appena hanno sentito i nostri spari e har mo visto uno dei lo- ro cadere ucciso, hanno messo le ali ai piedi. --D'accordo! Ma che cosa è successo a Fredericksbur g? Perché non possiamo tornarvi così come ne siamo partiti? r ~ _ Il sovvertimento di spazio e tempo non è ce ssato mai e continua tuttora--disse Minott, asciutto--ricorderete, spero , che abbiamo provato più d'una volta quella strana vertigine dur ante la giornata. E, ogni volta che abbiamo avvertito quel malessere, il terreno sul quale ci trovavamo subiva una di quelle oscillazioni di temp o. Ecco... Guarda qui! Minott si alzò per andare a prendere la mappa che a veva studiato si- no a poco prima. La aprì tutta, indicò una grossa l inea tracciata a mati- 269 ta e spiegò:--Questa è la carta della Virginia ai n ostri tempi. Il conti- nente cinese è apparso a circa cinque chilometri a nord di Frederick- sburg. La linea di demarcazione era costituita dall a foresta di sequoie. Mentre eravamo nel continente cinese, abbiamo prova to di nuovo quel- lo stordimento e siamo ritornati verso Fredericksbu rg. Siamo usciti dalla foresta di sequoie nello stessopunto da cui e ravamo entrati. Me ne ero assicurato. Ma il continente dei nostri tempi n on c'era più. "Ci siamo diretti a est e prima che raggiungessimo il confine della King George County c'è stato un altro brusco cambia mento della vege- tazione. Da interminabili pinete a canneti, alberi primitivi, tapiri, uo- mini scimmia che non sono proprio tipici di questa parte del mondo e di quest'epoca. Non essendoci apparso il benché min imo segno di ci- viltà, ci siamo diretti al sud Qui, siamo stati sal utati da un terribile nebbione che celava un'enorme estensione di terra c operta da nevi. E evidente che in un determinato sentiero del tempo l a Virginia si trova ancora nell'era glaciale." Blake annuì, ascoltò ancora e disse:--Ho visto che ha segnato sulla carta i tre lati, in un certo senso, d'una specie d i isola del tempo...

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--Bravo, Blake!--confermò Minott.--Esattamente! Nel corso del fenomeno che sovverte il tempo, si sono formate sul la superficie terre- stre delle zone che potremmo chiamare "fallen. In s ostanza, a scivolare periodicamente dall'uno all'altro cammino nel tempo , sarebbero aree abbastanza vaste che costituiscono delle unità ben delimitate. Mental- mente. io le immagino come degli "ascensori" a dive rsi "piani". Ci tro- vavamo sul piano Fredericksburg, ovvero in quella d eterminata sezio- ne del nostro cammino nel tempo. quando l"'ascensor en si è mosso. Partiti in osservazione a cavallo siamo capitati in pieno continente ci- nese. Mentre ci trovavamo lì, il piano dal quale er avamo partiti si è spostato nuovamente; è finito in un altro settore d el tempo: e quando abbiamo fatto ritorno nel luogo in cui avevamo lasc iato alla partenza la città di Fredericksburg, essa era finita in un a ltro piano di tempo. --Ascolti!--gridò Blake all'improvviso. Di lontano, all'estremo nord, veniva un sordo bront olio. Dopo qual- che istante, si spense. Improvvisamente, preceduto da un fracasso di rami spezzati, dalla vicina boscaglia spuntò un ani male mostruoso che venne a fermarsi, sul chi vive, nel riverbero delle fiamme del fuoco. Si trattava di un alce di proporzoni mai viste. Alla v ista di quella bestia colossale, gigantesca, una delle ragazze lanciò un urlo di terrore e l'a- nimale fece un brusco voltafaccia scomparendo tra u n rumore di rami infranti nel vicino sottobosco. --Mai visto un alce in Virginia!--commentò gelido M inott. --Ascolti!--gridò ancora Blake. Si udì nuovamente il sordo ruggito provenire da nor d. A mano a mano che si avvicinava, lo si riconobbe per il rombo di un aereo. Presto quel rombo crebbe di volume e diventò un boato possente. L'aeroplano pas- sò basso sul capo degli otto esploratori mostrando chiare, sfavillanti, le luci di posizione alle estremità delle ali e del la coda. Tornò a sorvola- re l'accampamento dopo aver compiuto una virata ass ai stretta. Poi tracciò una serie di cerchi sopra Minott e i suoi c ompagni, lasciando in chi l'osservava una strana sensazione di impotenza. Infine, si tuffò ver- sO terra... --E un aviatore dei nostri tempi--disse Blake con g li occhi fissi al- la sorgente del suono.--Avvistato il nostro fuoco, tenta un atterraggio di fortuna... Al buio! Il motore si spense e per un istante all'accam pamento non s'udì che lo scoppiettio della fiamma, il sibilo del vent o tra le asperità lontane. Poi, uno spaventoso scricchiolare di legno infr anto e un'esplosione Balenò vivissima la fiammata. Un soffio ruggen te, e l'incendio della benzina illuminò l'oscurità. --Fermi!--Tuonò Blake, balzando in piedi.--Har ris! Minott! Re- state a guardia delle ragazze! Andrò in aiuto d el pilota con Hunter! E scomparve nell'oscurità chiamando il compagn o a gran voce. I due ragazzi s'aprirono laboriosamente la via ne l sottobosco. Minott schizzò in piedi e tirò fuori le pistole. Di co rsa, irato, andò a occupare I'osservatorio che Hunter aveva appena abbandon ato. Lontano nella notte, si udì esplodere anche il serbatoio di riserva dell'aereo. La vampa della fiammata si fece int ollerabilmente vivida. Presto indebolito dalla distanza il rumore dei due ragazzi partiti in 3 aiuto dello sventurato pilota tra la boscaglia venne a cessare del tutto. Trascorse molto tempo. Moltissimo tempo. Poi, remoto, s'udì di nuo- vo uno scalpiccio nel sottobosco. La fiammata d i benzina diminuì d'in- tensità. Indistinte sagome umane avanzarono len tamente nel buio. Si trascinavano come se stessero trasportando qual cosa di molto pesan-

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te. Si fermarono nella zona immediatamente al d i là del riverbero ros- seggiante del fuoco del campo. Poco dopo, Blake e Hunter erano di ri- torno. Soli. L --E morto--disse laconico Blake.--Per fortuna è stato scaraven- tato lontano dall'apparecchio, prima che la ben zina prendesse fuoco. Ha ripreso coscienza pochi istanti prima di mor ire. Ha detto che il no- Stro fuoco è stato il solo segno di vita umana che gli è riuscito di vedere in molte ore di volo. L'abbiamo lasciato qui vi cino. Gli daremo sepol- tura domattina. Minott tornò a prendere posto accanto al fuoco accigliato in volto, vivamente incollerito. Ruppe il silenzio Maida Haynes che volle sape- re:--Che cosa t'ha detto, ancora, il pilota? L --Era partito da Washington, circondato da un a realtà simile se non identica a quella dei nostri tempi, verso l e cinque del pomeriggio. Infatti alle quattro e mezzo tutta la Virginia che si stende al di là del Potomac era scomparsa per lasciare il posto a una i mmensa foresta primitiva e quel poveraccio era uscito in volo di e splorazione. Tornato su Washington dopo un'ora, il pilota constatava la scomparsa della città. L'area che aveva ospitato la capitale gli er a apparsa avvolta da un immenso banco di nebbia sotto il quale si vedeva no biancheggiare nevi eterne. Deciso a seguire il corso del Potomac, a un certo punto ha scoperto numerosi villaggi costruiti su palafitte. A riva, lunghe imbar- cazioni dalla prua alta, arcuata. --Vichinghi!--escalmò Minott soddisfatto.--Scandina vi! --Non volendo atterrare, I'aviatore continuò a scen dere lungo il corso del fiume, costeggiando poi la baia. Cercava di raggiungere Bal- timora, ma non poté che verificarne la scomparsa. S vanita. A un deter- minato momento gli è sembrato di aver avvistato una città: ma rimes- sosi da un malore, non la vide più. Il pilota avvis tava il nostro fuoco mentre procedeva sempre a nord, preoccupato perché vedeva esaurirsi il carburante. Ha tentato l'atterraggio di fortuna: privo di luci, I'aereo è cappottato e il pilota è morto. --Poveretto!--esclamò Lucy angosciata. --Comunque--fece notare il giovane Blake--Washingto n si tro- vava ancora nel nostro presente alle quattro e tren ta, circa, di oggi. C'è, per quanto vaga, una speranza di poter far rit orno ai nostri giomi, forse... A mio awiso, dobbiamo piantarci ai margini di una di quelle zone che continuano a oscillare nel tempo. Dobbiamo montare la guar- dia ai limiti di una di quelle sottili strisce di t erreno, lungo le quali si verificano quelle che il professore definisce "fall e" del tempo! Appena avvertiamo un'oscillazione si parte in fretta e si dà un'occhiata in giro. Può darsi che sia molto improbabile capitare propri o nella nostra era, nella realtà dalla quale siamo venuti. Ma potremmo avere la fortuna di riuscire a infilarci in una realtà più vicina a noi di quanto non sia que- sta! Minott sostiene che da qualche parte continua a esistere la Confe- derazione degli Stati d'America. Saluterei con gioi a la possibilità di continuare a vivere tra la nostra gente. Con indivi dui che parlano la nostra lingua! Comunque vada, sarà sempre meglio ch e trascinarci tra Indiani primitivi, cinesi e scandinavi sino alla fi ne dei nostri giorni. --Meglio mettere le cose in chiaro sin da principio , Blake!--pro- ruppe Minott con violenza.--Gli ordini, qui, li imp artisco soltanto io! Non m'è sfuggito il tuo atteggiamento quando è cadu to l'aereo. Ti sei spinto al punto da permetterti di dare degli ordini a me! Per questa volta, passi! Ma ti renderai conto che qui non ci p ossono essere due ca- pi! Qui comando io! E farai bene a non dimenticarte ne! Blake accennò a slanciarsi, ma si trovò puntate con tro il petto le pi-

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stole del suo ex-professore. --Come osi proporci il ritorno ai nostri giorni?--c ontinuava Mi- nott frattanto.--Io non ci penso neppure lontanamen te! Prima di tut- to, è molto probabile che si finisca annientati tut ti quanti! Ma se ciò non fosse, se riusciremo a scampare a questo disast ro, sono decisissi- mo a trarne profitto! Non ho nessuna intenzione di ricominciare a dar lezioni di matematica a quattro studentelli del Rob inson College! --E con questo?--indagò gelido Blake.--Che cosa si propone di fare? --Niente! E quando ti avrò tolto le pistole obbedir ai ancora meglio ai miei ordini. Partiremo alla ricerca d'un periodo di tempo in cui l'A- merica è colonia vichinga. Non ci sarà difficile im batterci in quella zo- na di tempo, perché il fenomeno che turba la nostra terra continuerà ancora per qualche settimana. Trovato quanto cerchi amo, ci aggreghe- remo a una di quelle comunità vichinghe e, ristabil izzatosi nuovamen- te il tempo, procederò alla fondazione del mio impe ro! E se non farai quel che ti imporrò di fare, sarai abbandonato al t uo destino, mentre noi tutti continueremo il nostro cammino senza di t e! --Magnifico--sibilò Blake con calma offensiva.--E s e invece noi tutti preferissimo venire abbandonati al nostro des tino piuttosto che diventare gli strumenti mediante i quali si propone di costruire il suo? Minott sbarrò gli occhi per qualche istante sul rib elle. Tese le labbra e disse gelido:--Peccato, Blake! Con quel cervello m'avresti fatto co- modo. Purtroppo, non posso tollerare degli ammutina ti nelle mie file. Mi vedrò costretto a ucciderti. E gli puntò spietatamente una pistola contro. All'Accademia Britannica delle Scienze si stava svo lgendo una seduta straordinaria, indetta allo scopo di determinare co n esattezza le cause dei recenti, deprecabili awenimenti. Stanchissimi, tutti i membri del famoso consesso avevano gli occhi rossi e gonfi per il gran sonno. Ciò non bastava, tuttavia, a privarli del loro atteggia mento dignitoso, con- sci com'erano, soprattutto, dell'importanza dell'in carico loro affidato. In quel momento, aveva la parola un vecchio profess ore di fisica, ador- no d'un bel paio di candidi baffoni. Con appropriat a solennità, diceva dogmatico:--... Impossibile, signori, giungere a co nclusioni diverse. Gli eventi straordinari di queste ultime ore non po ssono trarre origine che da certi fenomeni verificatisi a carico di quel lo che deve essere il nostro spazio chiuso. Il campo gravitazionale di I0 79 particelle di ma- teria chiude lo spazio intorno a um simile aggregat o. Nessun cosmo può essere più grande. Nessun cosmo può essere più piccolo. E se pro- vassimo a raffigurarci la creazione di un simile co smo, vedremmo le sue galassie svanire nell'istante in cui la massa d ella 1079 particella si somma a quelle che erano già presenti in precedenza . "Comunque, il fatto che lo spazio si sia chiuso int orno a un simile co- smo non significa l'annichilimento di tale cosmo. S ignifica soltanto che esso si separa dal proprio spazio d'origine, si isola nello spazio- tempo a causa della curvatura dello spazio prodotta dal suo campo gravitazionale. E se ammettiamo l'esistenza di più aree di spazio chiu- so, ammettiamo come corollario l'esistenza di un ip erspazio che sepa- ra gli spazi chiusi; di coordinate iperspaziali che determinano le loro posizioni iperspaziali reciproche; di..." A voce alta, vibrante, un gentiluomo ancor più baff uto e canuto di quello che parlava interruppe dicendo:--Perdiana! N on ho mai udito tante buffonate!

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--Signore! --I'oratore fece una pausa e sgranò gli occhi.--Allude forse... --Alludo, caro mio! Sta pronunciando la più pazzesc a congerie di idiozie che abbia mai udito. Di questo passo, verrà a dirci che nel suo iperspazio gli spazi chiusi sono soggetti a iperleg gi, ruotano l'uno in- torno all'altro in iperorbite che obbediscono a ipe rgravitazione! Natu- ralmente, arriverà persino a parlare di periodiche oscillazioni iperter- restri, nonché di ipercollisioni e, perché no? di i percatastrofi! --Proprio così!-- replicò l'oratore dall'alto della sua tribuna. --Esattamente, caro mio! --Ah, sì?--disse l'altro.--Sappia allora che le sue elucubrazioni mi provocano la nausea! E a conferma che quanto aveva dettQ corrispondeva a verità, si piegò su se stesso. E non era il solo: tutta quanta la ve nerabile assemblea si torceva per un attacco di nausea accompagnata da sp iccata vertigine. Dopo di che l'Accademia Britannica delle Scienze sc iolse la seduta in preda a vero e proprio panico. Si diede a vergognos a fuga. Scomparsa improvvisamente la tribuna destinata agli oratori, nell'immensa aula che accoglieva il nobile consesso non ne era rimast a traccia. Al posto del seggio presidenziale c'era uno spazio vuoto. E in questo spazio ar- deva altissimo un falò. E intorno al fuoco di quel falò stavano ritti e mi- nacciosi certi individui primitivi, un branco di br uti veri e propri che somigliavano in modo strano ai vecchi uomini di sci enza che fuggiva- no precipitosamente da loro. I cavernicoli levarono alte urla alla vista di tanta veneranda canizie in fuga. Grufolando, agi tando minacciosa- mente nodose clave, i bruti si precipitarono nella sala dell'Accademia Britannica di Scienze. Si è saputo, poi, che riusci rono a mettere le ma- ni su una sola persona: un biologo assai noto per l e sue eccentriche teo- rie. A quanto sembra, se lo mangiarono. Non c'è da stupirsi se si ricorda che da tempo è am messo che le spe- cie estinte degli uomini di Neanderthal fossero ded ite al cannibalismo. Se lungo determinate strade del tempo queste specie riuscirono a ster- minare i loro rivali più intelligenti, se da qualch e parte, cioè, il Pithe- canthropus erectus ha avuto la meglio sull'Homo sap iens, ebbene... Iun- go quel settore di tempo il cannibalismo fa parte d elle regole della buona società. 274 Con un grido, Maida Haynes si lanciò davanti a Blak e. Harris, tuttavia, era stato ancora più svelto. Aveva appena terminato di tagliare una grossa porzione di cacciagione fumante e, senza abb andonare la sua solita aria timida di ragazzino che domanda scusa, la lanciò. Arrivò sulla mano di Minott che impugnava la pistola, colp endola con forza. L'arma cadde dalle dita ustionate del professore e Blake gli si piantò davanti, con una rivoltella in pugno. --Non faccia nemmeno il gesto di raccogliere quella pistola, profes- sore!--sibilò il giovane con il fiato mozzo, ma con estrema decisione. --Altrimenti, le sparo al braccio! Minott imprecb. Afferrò il revolver con la sinistra e se lo ficcò in tasca. --Pezzo di somaro!--gridò.--Credevi davvero che ave ssi inten- zione di ucciderti? Volevo farti paura. Mettertene in corpo tanta che ti bastasse per un pezzo! Quanto a te, Harris, sei pro prio un asino! E con

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Maida... faremo i conti in un altro momento! Ma la miglior punizione sarebbe che vi piantassi in asso, che vi lasciassi in balìa di voi stessi! Nel vedere Minott allontanarsi e scomparire nell'os curità, i ragazZi provarono un profondo senso di costernazione. Nel p unto in cui era ca- duto l'aereo, si vedevano brillare sinistre le ulti me fiammelle violacee dell'incendio. --Questo è il guaio--brontolò Hunter angosciato.--M inott è al corrente di tutto, mentre noi non ne sappiamo nient e. Se ci pianta, sia- mo fritti, ragazzi miei! --Già--concesse Blake.--E se rimane, magari è peggi o! --Lasciate che gli parli io!--propose Lucy Blair.-- A scuola, con me, è sempre stato molto carino. E poi, devi avergl i ustionato la mano, Hunter! Preceduta da una lunga ombra angolosa, la ragazza a bbandonò a sua volta il falò. Dopo qualche istante i compagni udirono Minott dire con voce aspra:--Torna indietro! C'è qualcosa che s i muove tra quegli arbusti! Non aveva ancora finito di lanciare il suo avvertim ento e già aveva fatto fuoco. Alla prima esplosione rispose un grido inumano di dolore e poi la pistola abbaiò ancora: tre, quattro volte. T ra un secco schiantarsi di rami, il vicino sottobosco si popolò improvvisam ente d'ombre in fu- ga. Al suo ritorno all'accampamento, Minott sogghig nava, sarcastico. --Che razza di capitano sei, caro Blake, che diment ichi i turni di guardia?--indagò sardonico.--Non avevi detto che t' era sembrato di udire delle voci? Stai tranquillo, ora! Gli Indi ani sono fuggiti, natu- ralmente. --Vuole che mi occupi della sua mano?--propose con voce esitante ~ Lucy Blair. --Che cosa pensi di fare?--ribatté Minott collerico . _ Ungerla con un po' di grasso--rispose la ragazza. --Gli Indiani ` 275 curano le scottature con quello d'orso. In mancanza di plantigradi, adopererò il grasso del capriolo che ha ucciso per cena. L'ustione riportata da Minott era di lieve entità. Il professore, tutta- via, permise alla ragazza di fare la crocerossina. Per far le cose per be- ne, Lucy chiese in prestito ai compagni qualche faz zoletto. Intorno al fuoco regnava un'atmosfera di profondo disagio. Non era un gruppo preparato alle avventure, addestrato ad affrontare ogni evenienza: tut- to era cominciato come una scampagnata di studenti. Mentre Lucy gli medicava la mano, il professore aveva uno sguardo t ruce. Harris aveva più che mai l'aria di domandare scusa, sapendosi co lpevole dell'ustio- ne inflitta a Minott. Bertha Ketterling continuava a piagnucolare sul suo giaciglio di foglie. Un po' meno di prima, fors e, perché nessuno si curava di lei. Blake fissava il fuoco con aria medi tabonda. I cavalli cominciarono a dar segni di inquietudine. Tra i lamenti, Bertha Ketterling starnutì un paio di volte. Lucy s i sentì bruciare gli occhi. E fu la prima ad accorgersi che l'esplosione dei serbatoi del- I'aereo aveva finito per appiccare l'incendio alla foresta. Mise in al- larme i compagni con un grido.

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Il velivolo era andato a fracassarsi al suolo a un buon miglio di di- stanza dall'accampamento. Violentissimo, I'incendio del carburante era però stato assai breve. E non c'era voluto molt o perché il fuoco tra- sformasse le ali e la fusoliera dell'apparecchio in un ammasso di rotta- mi carbonizzati. Il fuoco si era ridotto soltanto a pochi tizzoni rosseg- gianti. Quei tizzoni, ora, sembravano aver preso nu ova vita. Infatti, le fiamme s'erano illanguidite soltanto pe r diffondersi a poco a poco nel fitto sottobosco. Prima di slanciarsi ad accendere i rami del- le conifere, avevano serpeggiato a lungo al suolo. Spirava una brezza sottile, ma costante. E quando Lucy aveva alzato la testa per scoprire la provenienza del fumo che le faceva bruciare gli occhi, un tronco al- tissimo era già tutto un crepitio di fiamme. Si vid e il fuoco avventarsi famelico al suolo e in un baleno due, tre, dodici n uovi focolai si al- zarono ruggendo verso il cielo. Soffiando inquieti, i cavalli scalpitavano, agitand o la testa. --Harris!--comandò Minott sferzante.--Sella quelle bestie! Fai montare immediatamente le ragazze, Hunter! Deliberatamente, non degnò Blake del minimo comando . Tra l'ac- cresciuto rombo delle fiamme della foresta, il prof essore spiegò la mappa e la studiò calmo, a lungo. Non appena vide M inott infilarsi la carta in tasca, Blake, che nel frattempo aveva racc olto la cacciagione che era rimasta, balzò rapidamente in sella, spinge ndo poi la sua ca- valcatura accanto a quella di Maida Haynes. --Procederemo a coppie--disse Minott.--Ognuno di no i si assu- merà la responsabilità d'una ragazza. Aprirò la cav alcata illuminando il terreno con la mia torcia elettrica. Se riuscire mo a mantenere l'in- cendio alle nostre spalle, se si potrà evitare l'ac cerchiamento, dovrem- mo raggiungere il fiume Rappahannock prima o poi. Raggiunta la cima d'un piccolo colle, la spedizione si rese conto ap- pieno del pericolo che la minacciava: un chilometro in lunghezza al primo divampare, I'incendio non aveva tardato a ste ndersi tre volte tanto in larghezza. Al sopraggiungere dei cavalieri sulla sommità della collina, la fiamma stava scagliandosi rabbiosa nel più fitto d'una giun- gla inestricabile. Ruggiva guadagnando terreno con rapidità assai preoccupante. A sinistra degli otto avventurosi, la boscaglia scoppiet- tava paurosamente, avvolta da vampe sempre più elev ate. Quasi a prendersi gioco di coloro che già versavano in una situazione assai precaria, si levò improvviso e forte il vento . Tra i cavalieri comin- ciò a cadere, fitta, una pioggia di foglie ardenti, di ceneri calde e minu- scoli carboni rossi. Colpita su di una guancia da u no di quei lapilli, Bertha Ketterling lanciò un acuto grido di dolore. E il cavallo di Harris nitrì e scalciò sentendosi scottare all'improvviso da qualcosa. La ca- valcata dei fuggiaschi riprese subito, ventre a ter ra, fra i tronchi im- mensi della foresta ancora buia. Ridicolo era il po vero lume della tor- cia elettrica di Minott a confronto dell'immenso in cendio alle sue spal- le. Ma almeno illuminava loro la strada. Una "cosa" enorme, scura, goffa, colmava di sé lo s pazio compreso tra il monumento a Grady e il Palazzo delle Poste. Le l ampade ad arco ri- velavano l'oggetto per qualcosa che non avrebbe avu to il minimo dirit- to di presentarsi, sia di giorno, sia di notte, per le strade di Atlanta, in Georgia. L'autista di un taxi poco mancò di rimette rci una ruota, così brusca fu la sua inversione, nel tentativo di fuggi re. Il poliziotto che per primo la vide, diventò pallido come un lenzuolo e si precipitò al più vicino telefono per avvertire la centrale. Ma e rano successe troppe cose strane quel giorno per dubitare della sua salu te mentale, e troppe

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notizie incredibili da tutto il mondo erano state p ubblicate dal Journal perché potesse non credere ai suoi occhi; e se non ne avesse già viste ca- pitare di ben peggiori quel giorno, se i giornali n on fossero stati pieni delle ultime di cronaca più mirabolanti che si foss ero mai pubblicate, il povero tutore dell'ordine, in quell'occasione, a vrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per metter in dubbio la sua sanit à mentale. La "cosa" era un rettile mostruoso, repellente. Lun go venticinque metri, almeno una quindicina erano di collo e coda: il resto era corpac- cio flaccido e grinzoso. Non poteva pesar meno di v enticinque o trenta tonnellate, ma non aveva la testa molto più grande di quella d'un ca- vallo. E quella strana testina si muoveva tutt'into rno con espressione stolida. Non c'era dubbio: la "cosa" era in preda a vivo stupore. Era sbalordita. Appena mosse una delle zampe enormi si vide uno zampil- 276 277 lo schizzare al cielo nel punto in cui la bestia av eva infranto pavimen- tazione stradale e tubatura dell'acqua. Ma la Ncosa N non s'accorse del danno. Si muoveva indecisa, instupidita. Ed emanava un tanfo selvati- co e disgustoso. Immediatamente l'aria fu piena del gemito lamentoso delle sirene della polizia e del clangore intermittente delle ca mpanelle delle auto- pompe. Come sboccò nel piazzale, un'autoambulanza f u colpita in pie- no dalla possente coda del rettile. Finì contro un muro, fracassandosi. Ancora ignara del disastro del quale era stata la c ausa, la "cosan lan- ciò un grido di protesta. Un belato elevato all'enn esima potenza. E co- minciò a guardarsi intomo angosciata, come se si se ntisse presa in trappola tra le altissime case in mezzo alle quali era finita. Ma era troppo stupida per tornare sui propri passi. Di lontano, si alzò un grido, proprio mentre numero se auto della po- lizia, seguite da innumerevoli autopompe, si avvici navano alla prima delle "cose". Vigili del fuoco e forze di polizia c ircondarono l'enorme animale che continuava a dondolare incerto, incapac e di fuggire. Gof- fe, due "cose" più piccole della prima si affacciar ono con espressione bovina sulla piazza. Avevano anche loro teste minus cole e corpi masto- dontici. Una, muovendosi lenta e impacciata, posò u n'estremità su un autocarro dei pompieri. Animale e autocarro si rove sciarono e la "co- sa" lanciò un belato terribile, identico a quello d ell'altra. E poi, un pazzo aprì il fuoco. Altri pazzi furono p ronti a imitare il primo. Pallottole rivestite d'acciaio penetrarono a fondo nelle carni dei rettili. La polizia copriva di raffiche di mitr a i mostri. A sparare erano uomini di grande coraggio, uomini che non pot evano non aver notato l'immensa stupidità delle bestiacce uscite d all'enorme palude apparsa all'improvviso dove sino a poche ore prima si stendeva l'In- man Park di Atlanta. La mitraglia pungeva, feriva le carni delle tre cre ature primordiali che, sbalordite, lanciavano al cielo i loro raccapr iccianti belati, cer- cando, goffamente, una via di scampo. La prima, la più mastodontica, tentò la scalata d'una casa di cinque piani con il risultato di farla crol- lare quasi per intero, sventrata. Prima che che fossero tutte morte - o meglio, prima che cessassero di muovere le enormi membra, visto che le code cont inuarono a dime- narsi a lungo e il cuore ancora batteva spasmodicam ente quando furo- no caricate sui tre camion della nettezza urbana il giorno dopo - pri- ma, dicevamo, che fossero tutte morte, avevano raso al suolo tre isolati nel centro di Atlanta e ucciso diciassette persone.

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I mostri non avevano mai dimostrato il minimo atteg giamento ag- gressivo. Il loro unico pensiero era la fuga. Le di struzioni e i lutti di cui erano stati causa si dovevano ascrivere unicamente alla loro incom- mensurabile goffaggine, alla loro abissale mancanza d'intelligenza. Nell'affondare improvvisamente sino ai garretti in un terreno soffice spugnoso, i cavalli che si trovavano alla testa del drappello barcollaro- no. Quanto bastò perché Bertha Ketterling lanciasse un gridolino di terrore. Poi, nell'oscurità che li circondava, si u dì Blake dire secca- mente:--Riaccenda la lampada, professore! Credo che siamo finiti in mezzo a un campo arato! Alle spalle dei fuggiaschi, il cielo rosseggiava vi vido. L'incendio della foresta li tallonava ancora. Esteso lungo un fronte di parecchie miglia, lanciava scintille e vampe a tinger di rosso nugoli di fumo. Il fascio di luce della torcia illuminò il terreno. Era terra arata; terra resa soffice dalla mano dell'uomo. Ma quasi in risp osta alle esclama- zioni di sollievo dei suoi compagni, Minott illumin ò ancora quel terre- no per far notare, sarcastico:--Sapete che cosa son o queste? Coltiva- zioni di lenticchie! Avete mai sentito che se ne co ltivassero, in Virgi- nia? Sarà molto interessante stabilire con chi abbi amo a che fare. E fece compiere un brusco scarto al cavallo per pro cedere seguendo la direzione dei solchi. Con accento assai triste, Tom Hunter, commen- tò:--Andiamo male, ragazzi! Queste sono coltivazion i primitive: un aratro tirato da un solo cavallo farebbe solchi ass ai più profondi di questi! Da lontano brillava fioca una luce. I compagni di M inott l'avvistaro- no contemporaneamente. Obbedendo all'istinto, le ca valcature vi si diressero. --Andiamo piano!--ammonì Blake.--Non vorrei che fos simo ca- pitati addosso a dei cinesi un'altra volta! La luce splendeva a un paio di chilometri di distan za. Avanzarono cautamente. All'improvviso, i ferri del cavallo di Lucy Blair c olpirono una pietra, e il rumore parve fortissimo. Subito dopo lo stesso accadde agli altri cavalli. Una strada di pietre. Pietre squadrate. Un o dei cavalli soffiò impaurito, scalpitando. S'impennò agitando il collo , per non calpesta- re qualcosa che giaceva al suolo. La torcia elettri ca del professore cer- - c ava affannosa nel buio. --Soltanto i Romani--disse Minott--sapevano costrui re strade di questo genere. Soprattutto le strade cosiddette strategiche, militari. Tuttavia, non sapevo che Roma aveva scoperto l'Amer ica... ·t In quell'istante il raggio della torcia elettri ca si posò su una massa j~ scura. L'accarezzò, allontanandosene; tornò pe r soffermarvisi. A lun- ~t go. Una delle ragazze lanciò un grido soffocato, di spavento. Al suolo '' c'eranO due cadaveri. Uno vestiva l'elmo e la co razza delle fanterie di Roma antica. Un colpo d'arma da fuoco gli aveva squ arciato orribil- mente una metà del viso. Gli giaceva sopra, ucciso da un terribile col- P° di spada, un uomo che indossava una strana unifo rme di color gri- gio. Il fascio di luce frugò il suolo tutt'intorno. Altri corpi. Molti cada- 279 veri con la tenuta dei legionari romani. Tre o quat tro cadaveri con una divisa molto simile a quella dei soldati dell'eserc ito confederato.

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--Qui c'è stata una battaglia--commentò obiettivo M inott.--Gli uomini che popolano ancora il sentiero di tempo cui appartiene la Confederazione debbono essere usciti in esplorazion e per rendersi con- to della natura di fenomeni che a loro apparivano m olto strani. I Ro- mani, dato e concesso che di Romani si tratti, li h anno assaliti. Si vide qualcosa strisciare nell'oscurità. Il raggi o della lampada prontamente spostato da Minott lo illuminò. Era un uomo, sì. Ma era seminudo, e portava le catene, e aveva i segni di t remende percosse, so- pra altri segni di percosse più antiche. Era schele trito ed emaciato. Ed era marcato dalla ferocia insensata della disperazi one. Era stato bru- talizzato dalle sue sofferenze fino al punto di ess ere soltanto un uomo, e nient'altro. Troppo stordito per provare paura, il raggio della torcia elettrica gli fece soltanto socchiudere le palpebre. E Minott gli rivolse la parola. Come sentì il suono di una voce, il me- schino si gettò tra la polvere. Minott si rivolse a lui aspramente. La creatura, a capo chino, mormorò parole d'un latino barbarico che gli uscivano ancor più mutilate dal labbro screpolato e tumefatto. --E uno schiavo--annunciò Minott gelido.--Dice che improvvi- samente hanno visto degli stranieri venire dal nord . Allude probabil- mente ai Confederati che avrebbero aggredito e ucci so alcuni dei suoi guardiani. Lo schiavo lo nega, ma con tutta probabi lità cercava di fug- gire dalla fattoria presso la quale lavora. Come ve dete, tuttavia, noi non siamo stati i soli, in questi giomi, a farci so rprendere fuori dal no- stro tempo da una delle oscillazioni. La cavalcata riprese il cammino verso la luce che b rillava ancora lontana. --Che si fa, ora?--chiese Maida debolmente. --Si va alla fattoria e ci si informa!--rispose Min ott laconico. --Se la villa è in mano ai Confederati, potremo con tare senz'altro su di una buona accoglienza. Se invece ciò non è, vedr emo di cavarcela come meglio potremo. Comunque, è mia intenzione and armi ad ac- campare ai margini di una "fallan di tempo e varcam e i confini non ap- pena un'oscillazione fortunata ci porterà a tiro di una realtà di origine scandinava. Mi sarà molto utile accertare in qual l uogo e quando si siano visti degli scandinavi, se riuscirò a trovare qualcuno che sia in grado di dirmelo. Maida Haynes si strinse accanto a Blake. Il giovane le pose una ma- no sul braccio nell'intento di tranquillizzarla, me ntre continuavano a cavalcare in direzione della luce lontana. Alle spa lle della piccola spe- dizione, il fuoco dell'incendio illuminava vivament e la notte. A inter- valli qualche conifera resinosa levava al cielo fia mme altissime, abba- glianti, che bagnavano di luce rossastra i cavalli e i cavalieri in fuga. Gradualmente, tuttavia, la vampa si fece più contin ua, più stabile e in- tensa. Illuminò le mura bianche d'una grande villa, le sagome di qual- che fienile, un granaio. Infine, una costruzione en orme che ricordava stranamente una caserma. Ci si trovava nei pressi di una fattoria. Un latifo ndo romano con la villa del proprietario trasportata da chissà dove, proprio sul limitare di un territorio selvaggio. Sembrava, ricordò impro wisamente Blake, una illustrazione che aveva visto molto tempo prima su una rivista set- timanale. Quella d'una villa inglese d'origine roma na restaurata in modo che somigliasse il più possibile a quella anti chissima che i Ro- mani s'erano lasciati alle spalle quando avevano ab bandonato i Bri-

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tanni a vita selvaggia, e incolta. Nel passare acca nto a certi cumuli di fieno messi a seccare, Blake annusò, sospettoso. Maida gli venne vicino. Pronunciò qualche parola. L ucy Blair caval- cava accanto a Minott e ogni tanto lo guardava. Nel suo caratteristico atteggiamento di persona che domanda scusa, Harris s'era messo vici- no a Bertha Ketterling. La ragazza stava in sella d enunciando con chiari segni la sua stanchezza. Tom Hunter cavalcav a a lato di Minott, quasi a farsene proteggere, e aveva abbandonato a s e stessa la povera Janet Thompson. --Jerry--sussurrò Maida.--Che ne pensi? Che cosa ci capiterà adesso? --Non so. Ma non mi piace!--rispose Blake a bassa v oce.--Co- munque--aggiunse--non ci rimane che andare avanti. Strano! Mi sembra di sentire un puzzo di... Un nugolo d'uomini improwisamente usciti dal buio s i gettò pazza- mente sui cavalieri. Sembravano nudi selvaggi dai c orpi unti di sudore ed emanavano un tanfo ferino. Nell'aggredire il gru ppo a cavallo fece- ro tintinnare le catene. Li spronava da lontano una voce autoritaria che faceva seguire le parole da un sinistro schiocc ar di staffile. Prima che la zuffa fosse terminata si udirono unica mente due spari. Li aveva sparati Blake, che poi aveva voltato il ca vallo. Come sentì il cavallo abbattersi sotto di lei, Bertha Ketterling lanciò un debole gri- do di spavento. Si sentiva Tom Hunter parlare affan nosamente, quasi fosse in preda a un attacco isterico. Harris, prodi giosamente liberato dall'etemo complesso di timidezza che lo inceppava, pronunciava una sequela di imprecazioni orrende. Blake, soffocato da una quantità di corpi nudi che tentava invano di allontanare da sé, non trovò di meglio, a un certo punto, che rivolger la parola agli aggressori. Bastò il suono risentito di quella voce perché gli assalitori si allontanassero, tremanti, quasi istin tivamente. E alla luce di numerose torce apparse all'improvviso a illumina re il teatro della lotta, i prigionieri si videro attorniati da un gra n numero di schiavi in catene. Orrido miscuglio di tutte le razze della te rra, in ogni stadio di degradazione, serbavano nei confronti di coloro che reggevano le torce e impartivano gli ordini un atteggiamento succube, frutto della più di- sperata abiezione. Il padrone era basso di statura, obeso. Si drappegg iava in una specie di toga e la stringeva maldestramente a sé. La luce delle fiaccole illu- minò i prigionieri, ma illuminb anche i lineamenti debosciati, superbi e crudeli dell'uomo che possedeva gli schiavi e la villa. Dal suo atteg- giamento e dagli ordini che pronunciò in un latino stranamente cor- rotto, si capì che si considerava proprietario anch e dei prigionieri. Il deputato di Aisne-le-Sur si convinse di aver fat to proprio bene. Quat- tro passi all'aria aperta, di notte, a Parigi, è qu el che ci vuole per "tirar- si un po' su di cordan. Macché vertigini e nausea! Doveva essere stato lo champagne. Il fresco della notte gli aveva già f atto passsare quello strano malessere. L'unica cosa che non andava era c he il deputato non riusciva a capire dove fosse finito. Eppure, lui, P arigi la conosceva co- me le sue tasche, perbacco! Quelle strade erano str ane. E le case... An- che quelle gli sembravano inusitate. Eh, sì! Inusit ate come le lampade dell'illuminazione che ne facevano emergere dall'om bra le stranissi- me sagome architettoniche. Stupito e un po' inquiet o egli si sforzò di identificare il particolare sapore dell'atmosfera d i quelle case. C'era proprio da andare in bestia! A un certo momen to doveva pur

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tornare a casa da sua moglie! Il deputato scrollò l e spalle e non appena vide delle luci davanti a sé, vi si diresse di buon passo. Si trovò allora vicino a uno stupendo palazzo gentilizio, sfarzosam ente illuminato. Preceduta da un fragoroso risuonare di zoccoli, ecc o una scorta a ca- vallo che viene a disporsi ai due lati del portone. Si vede uscirne un giovane pallido accompagnato da un omuncolo grassot tello che gli ba- cia le mani come rapito da un'estasi. I cavalieri f anno ala al passaggio dei due che si dirigono a passo regale verso il coc chio. I due giovani uf- ficiali che li seguono hanno il petto che sembra un medagliere. E il de- putato, inconsciamente, comincia a notare che lui, quelle uniformi non ricorda di averle vedute se non... Anche il coc chio gli sembra una stranezza, ma... Un marziale sbatacchiare di tacchi, un balenare di sciabole sguaina- te nel saluto. Il giovanotto esangue si degna di la sciarsi baciare le mani ancora una volta dall'uomo grasso e finalmente sale in carrozza, segui- to dai due ufficiali. Non appena il cocchio si muov e, la scorta a cavallo dà di sprone, e i cavalieri appiedati balzano in se lla. In breve si dispon- gono tutt'intorno alla carrozza che si allontana. L'uomo grasso rimane un poco sul marciapiede davant i al suo palaz- zo e si stropiccia le mani, tutto soddisfatto. Il d eputato di Aisne-le-Sur sbarra gli occhi, sbalordito. Vede un passante che s'è fermato come lui a godersi lo spettacolo. E vestito in modo inconsue to e ostenta panni che si addicono stranamente alle case di quella via , alla scena che ha appena visto. --Pardon, m'sieur--balbetta il deputato.--Temo di n on riuscire a riconoscere questo luogo... Potrebbe... --La casa--risponde il passante sarcastico--è quell a di Monsieur le Duc de Montigny. Possibile che una persona non c onosca il nome di Monsieur le Duc? E soprattutto di Madame la Duchess e, di chi ella sia, e di dove abiti? Il deputato deglutisce con fatica e sbatte le palpe bre allibito. --Montigny?--dice.--Montigny?!--ripete angosciato.- -No!-- confessa.--E non so nemmeno chi sia quel giovanotto che si faceva fa- re il baciamano da... --Da Monsieur le Duc?--si sbalordisce il passante.- -Mon Dieu! Ma di dove viene lei, da non conoscere neppure Luig i XX?! Quello che ha veduto uscire da quel portone era il Re che avev a appena terminato di far visita a madame, la sua amante. --Luigi... Ventesimo?-- balbetta il deputato di Ais ne-le-Sur. --Io... non capisco! --Sciocco!--fa il passante, indignato.--Quello era il re di Fran- cia, che è succeduto a suo padre all'età di dieci a nni, e che da soli sei mesi regna senza aiuto del reggente... e che ha com inciato già a man- dare in rovina la Francia! La centralinista inserì la spina e recitò con voce malferma:--Dica il numero, prego!... Spiacenti, ma non possiamo darvi Camden... Sono cadute tutte le linee... Mi spiace, signore!...--Ri peté la manovra sotto un altro segnale luminoso e disse ancora:--Dica, si gnore!... Non pos- so darle Jenkinstown, signore. Le linee sono tutte abbattute! Sul quadro brillò un'altra luce.

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--Mi spiace, signore... Non posso darle Dover! Non posso darle New York! Ho tutte le linee gua... No, signore non poss o nemmeno inoltrar- gliela attraverso Atlantic City! Mi spiace! Lo so! Anche le compagnie telegrafiche non garantiscono più la consegna dei d ispacci! "...No! Signora, prego di non insistere! Non è colp a mia, ma non sia- mo più in grado di comunicare con Pittsburgh! ... I nterrotte le comuni- cazioni con Scranton signorina... No! Nemmeno Harri sburgh!" strillò la centralinista rabbrividendo. --Neanche Filadelfia, signore! Non abbiamo più rice vuto da Fila- delfia.... Non abbiamo più ricevuto da nessuna part e!... Abbiamo tenta- to di stabitire un ponte radio, ma non ci siamo riu sciti! Per qualche istante la povera capoturno si coprì il volto con le mani. Poi si concesse una chiamata personale. 282 ~ 283 --Ciao Minnie, sono io! Sì! Saputo niente. ancora?. .. Hanno mobili- tato tutte le forze di polizia? Ci sono dei combatt imenti in corso? ...Sparatorie?!... Ma con chi ce l'hanno, Minnie!? Per l'amor di Dio! Non lo sai?! ...Che?! Han tirato fuori persino le a utoblindo delle ban- che?! ...Ma perché? Che cosa succede?! Ho i genitor i laggiù, Minnie! Le porte del capannone degli schiavi furono chiuse con fragore. Dall'e- sterno vennero calate in sede le sbarre trasversali di legno. Intorno ai prigionieri s'addensò un'atmosfera densa e irrespir abile. Poi scoppiò un pandemonio di voci, punteggiato dal tintinnare d elle catene. Ovun- que si sentiva scricchiolare la paglia sulla quale stavano sdraiati, co- me bestie, gli schiavi. Una voce stridula superò la gazzarra delle altre voci; s'impose. Tra un più sommesso mormorio, tutti sembravano pre- starle ascolto. Maida, atterrita, disse:--Ho capito quello che sta dicendo quello lì. Parla una specie di latino, e sta raccontando agli altri schiavi della no- stra cattura. Bertha Ketterling lanciò un urlo raccapricciante ne l buio assoluto. --M'hanno toccata!--balbettò.--Un uomo! Da vicino, qualcuno parlò divertito. Scoppiarono al cune risate fra- gorose. Gli schiavi erano animali, secondo il conce tto romano. Tra un distinto scalpicciar di piedi e uno squillante tinn ire di catene, gli schiavi stavano awicinandosi agli studenti del Robi nson College. Ci si poteva divertire, con della gente non ancora degrad ata come loro! Si udì Lucy Blair mandare un grido soffocato. Un br usco, secco crac. Qualcuno che cadeva e poi altre risate. --L'ho sbattuto giù--disse Blake.--Harris! Hunter! Cercate intor- no a voi pietre, pezzi di legno. Qualunque cosa pos sa servirci come ar- ma. Gli schiavi tenteranno di malmenarci, e qui den tro, nella loro stes- sa tana, non c'è modo di indurli alla ragione! Qui comandano loro. An- che se ci accoppano, nel peggiore dei casi subirann o l'ennesima bastonatura. E poi ci sono le ragazze che... Dalle tenebre uno schiavo gli si buttò addosso grug nendo. Blake lo strapazzò urlando pieno d'odio. Ci furono dei somme ssi brontolii. Al- tre sagome indistinte s'avvicinarono ancor più ai p rigionieri. Ridotti allo stato di animali, gli schiavi si comportavano né più né meno come belve feroci nel loro covo. Provavano odio per i nu ovi venuti, non fos-

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s'altro perché erano stati liberi sino a poco prima , e non schiavi. Le ra- gazze, inoltre, erano pulite, atterrite... Preda, q uindi! Tutto intorno a Blake e ai suoi compagni era un sinistro clangore d i catene. L'aria era pestilenziale. Ed era buio come in fondo a un pozzo . Bertha Ketterling cominciò a gemere sommessamente. Si udì un colpo sordo calato con la forza su qualcuno. Allora si scatenò il fini- mondo di una zuffa accanita mentre Lucy Blair grida va aiuto ripetuta- mente... Ansando, gli studenti si battevano come le oni tra tonfi di corpi che cadevano riversi e rumore di colpi terribili. Bang. Bang. Bang. Spari da fuori, un'autentica scar ica di fucileria. Passi di corsa, in fuga. Altri colpi di pistola e l e sbarre di legno che chiudevano il portone dall'esterno caddero al suolo . Sulla soglia si af- facciarono molti uomini reggendo fiaccole: con urla di comando e fa- cendo schioccare gli staffili ordinavano agli schia vi di venire a com- battere un aggressore tuttora sconosciuto. Venivano chiamati fuori dalla loro tana, come cani dal canile. A smuovere i l branco riluttante entrarono quattro aguzzini che cominciarono a sferz are a dovere quanti capitavano loro a tiro. Fuori continuavano l e esplosioni. Men- tre un gruppo di schiavi si gettava nell'angolo est remo del baraccone gli altri si precipitarono fuori in cerca di scampo . Ma al suolo ne giace- vano tre che non avrebbero mai più potuto levare un lamento. Blake e Harris stavano appoggiati a una parete del covo: armati di due lunghe pertiche erano pronti a vendere cara la pelle. Quando la lu- ce delle fiaccole illuminò uno schiavo ucciso, ai s uoi piedi, Harris rias- sunse la sua aria di chi chiede scusa ma non mollò per questo il nodoso bastone. Hunter contendeva a due ragazze la protezi one offerta da Harris. Lucy Blair, pallida come una morta, stringe va in pungo un os- so scheggiato brandendolo come se fosse stato un pu gnale. Li raggiunsero gli staffili degli aguzzini. Blake r uotò ferocemente la clava; aveva il viso sfigurato da una sferzata. Poi una rivoltella abbaiò più volte dalla soglia. Gli studenti videro Minott con gli occhi iniettati di sangue, sparare con mortale precisione, le due m ani armate di pisto- la. Uno dei portatori di fiaccola cadde fulminato e la sua torcia si spen- se sfrigolando nel sangue. --Venite fuori!--urlò Minott.--Che cosa aspettate? Balbettando e lamentandosi come un ragazzino, Hunte r fu il primo a raggiungerlo. Tutto intorno era un pandemonio di urla e di grida scomposte. Un enorme granaio si sfasciava tra le fi amme di un incen- dio. S'udirono nuove nutrite scariche di fucileria e schiavi e aguzzini cominciarono a correre qua e là come impazziti. Alt re e più tremende detonazioni squarciarono la notte. --I cavalli sono ancora lì, nelle stalle--sibilò Mi nott, esangue in volto, ma deciso alla strage.--Non hanno ancora cap ito come si fa a dissellarli. Prima di dar fuoco al granaio, ho spar so tra la paglia alcune manciate di pallottole. Le sentirete esplodere a in tervalli più o meno regolari. Un uomo armato di staffile e di una corta daga si l anciò sul gruppo dei prigionieri evasi e Minott lo abbatté. --Mi dia una pistola!--urlò Blake.--Voglio... --Prima i cavalli!--gridò Minott. 285 Corsero verso un ampio cortile. Due revolverate e g li schiavi fuggiro-

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no. Appena fuori dal chiuso, i fuggitivi si piegaro no sulle selle, passan- do al galoppo davanti alla villa romana. In cima al la scalinata c'era un ometto in toga, che strepitava paonazzo di collera! Mostrò i pugni ai fuggiaschi, abbattendo a pedate uno schiavo che si rotolava gemendo ai suoi piedi, e urlò ordini con una voce piena di furia. A causa di quella rabbia bestiale, non provava nemmeno paura. Minott lo uccise a revolverate. Balzò di sella per strappargli la toga e la lanciò a Lucy. --Indossala!--impose feroce.--Potrei uccidere... Inutile mettere in dubbio le qualità di capo di Min ott. Fu lui a guida- re abilmente la ritirata dalla villa. I cavalieri f uggirono al nord, verso la foresta che faceva rosseggiare sinistramente il cielo~ Fermarono il galoppo al fiammeggiare altissimo di u n secondo gra- naio cui il primo aveva appiccato il fuoco. Alla fa ttoria regnava il di- sordine: morto il padrone, la confusione era divenu ta completa. Prese fuoco il tetto dell'immenso capanno che serviva da covile agli schiavi. Le grida di terrore di chi vi si trovava ancora rag giunsero persino i fug- giaschi ormai lontani. Tra il bagliore delle fiamme si vedeva una fuga generale di gente impazzita... Nacque una zuffa. Ci fu un pandemonio di urla belluine... Minott strappava ferocemente le vesti ai caduti del la stranissima battaglia tra militi romani e Confederati, venuti a conflitto lungo un impensato cammino del tempo. Blake si guardava alle spalle, e Minott raccomandò di far bottino d'armi e munizioni confed erate. Ammesso che fossero Confederati. Mentre Hunter, ancora tremante e in preda a terrore isterico, carica- va il suo cavallo dell'inusitato peso delle armi, g li otto provarono una volta di più un indescrivibile senso di nausea acco mpagnata da verti- gini. Davanti ai loro sguardi attoniti, la foresta in fiamme disparve co- me inghiottita dal nulla. Dalla profonda oscurità v enuta a prendeme il posto, il vento portò un lezzo di decomposizione, c ommisto all'umido acutissimo profumo di corolle mostruose. Un essere enorme, mortife- ro, latrò orrendamente dal profondo di una palude p rimeva. Emanava un puzzo insopportabile. Il City of Baltimore filava veloce sul mare illumin ato dalle prime luci dell'alba. Il capitano, in plancia, aveva la fronte corrugata per la preoccupazione. Gli si avvicinò il marconista con u n fascio di radio- grammi in una mano. Aveva gli occhi rossi per la gr ande stanchezza. --Forse, capitano--esordì con voce incerta--è stata tutta colpa dello strano malessere che m'ha colto a metà della notte. Non m'è riu- scito, per ore e ore, di captare il minimo segnale. A un certo punto ho persino pensato che si fosse guastato l'apparecchio e ho controllato tutto. Poi mi ha ripreso di nuovo la strana vertigi ne di poco prima e i segnali sono arrivati a frotte! Io non capisco prop rio... Comunque, qui c'è un po' del materiale che ho captato. E darei un milione per capire com'è possibile che un attimo di malessere mi abbia reso incapace di captare segnali per più di un'ora! --Mi sono sentito male anch'io!--disse il capitano. --Stai tran- quillo! Stordimento e vertigine. Ecco che cosa ho p rovato. E la stessa cosa è successa al timoniere e a tutti gli altri.. Fammi vedere i messag- --...notizie in breve... Metà Londra è scomparsa al le due antimeridiane di oggi... dalla motonave Manzanillo: il serpente m arino che questa notte aveva attaccato la nostra nave causando la morte di quattro marinai è ri-

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comparso e l'abbiamo speronato cinque minuti fa. Pa re che stia morendo. Abbiamo la prua mal ridotta e due paratie invase da lle acque... --... A tutti i naviganti! Attenzione! Awistati ban chi di ghiaccio a cin- quanta miglia al largo del porto di New York! --...notizie in breve. In Spagna, Madrid ha subito un inesplicabile cambiamento. Tutti gli edifici sino a poco fa ricon oscibili dau'aereo sono scomparsi. Svaniti tutti gli aeroporti. A chiese e cattedrali paiono essersi sostituite moschee. f n cima a un campanile sventol a una band iera con la mezzaluna... La popolazione europea di Calcutta sem bra essere stata mas- sacrata. La motonave Carib comunica che il porto ap pare deserto. Svani- to ogni segno di presenza europea. Sulle rive si ac calca una gran folla di indigeni in atteggiamento ostile... Il capitano della City of Baltimore si passò una ma no tremante sulla fronte e guardò imbarazzatissimo il suo marconista. --Sparks!--esortò poi con voce gentile.--Fatti dare un'occhiata dal medico, per favore. Ti faccio accompagnare da q ualcuno, vuoi? --Lo sapevo--brontolò amaramente Sparks.--Devo esse re im- pazzito improvvisamente! Eppure... io non sono rius cito a captare al- tro! Sorretto da un marinaio, il marconista si allontanò dal ponte di co- mando a capo chino. Dritto a prua apparve una nuvol etta di fumo ne- ro. La si vide ingrandire rapidamente. Sommandosi l a velocità delle due navi, l'altra imbarcazione fu ben visibile nel giro di mezz'ora. Lun- ga, bassa, era tutta dipinta di nero. Ma quel che s tupì tutti quanti fu il vedere che si muoveva a ruote! Ne aveva due serie: oltre alle solite ruo- te a pale in centro, ne aveva un altro paio più a p rua. E ruotavano più velocemente delle altre. Quando il capitano volle osservare quella nave più da vicino, poco mancò che si lasciasse cadere di mano il cannocchia le. A poppa del va- scello che si avvicinava, sventolava una bandiera b ianca e nera. Quan- do il vento la distese per intero si vide al centro un teschio con le tibie incrociate... La bandiera della pirateria di tutti i tempi! Tra il sartiame della nave pirata si levò una fila di bandierine da se- gnalazione. E il capitano della City of Baltimore l e osservò attentamen- te. --Accidenti!--mormorò.--Non capisco nulla! Non si s erve del co- dice internazionale, quella gente! Chi ne capisce n iente?! Tuonò un cannone. La prua della nave nemica si avvo lse in una fitta nube di fumo nero. Una grossa palla affondò alta ne lle sovrastrutture di dritta della City of Baltimore. Un attimo dopo e splose. --Sono impazzito anch'io!--strillò il timoniere. Un altro colpo di cannone. E poi un secondo e un al tro ancora. La strana vaporiera nera aprì il fuoco di bordata nell 'evidente tentativo di colare a picco l'avversaria. Si rovesciò in mare metà del castello di prua della City of Bakimore, tra un uragano di sord e esplosioni. A quella vista, il capitano tornò prontamente in sé . Lanciò rapidi or- dini. Nel far manovra, la nave si inclinò paurosame nte su se stessa. Poi si lanciò in avanti a una velocità assai superiore a quella di crociera. Le batterie della nave corsara raddoppiarono e trip licarono il fuoco. Tentò di sottrarsi all'urto quando era troppo tardi .

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La City of Baltimore la speronò in pieno. E fino al l'ultimo istante il suo capitano si credette improvvisamente impazzito. Troppo tardi, co- munque, per salvare la nave corsara! La City of Bal timore la tagliò in due. Il pallido grigiore delle prime luci dell'alba filt rava tenue tra l'incredi- bile intrico del fogliame. A terra, accanto al punt o in cui bruciava un povero fuocherello, non era più di un vago chiarore crepuscolare. La legna che bruciava, levava un'alta colonna di fumo. Hunter badava al fuoco, vestito d'un abito composto di male assortit i brandelli d'unifor- mi grigie. Harris si dava da fare pazientemente con un fucile nell'in- tento di comprenderne il funzionamento. Ma era un f ucile diverso da quelli che conosceva. L'otturatore non era affatto un otturatore, e inol- tre la canna non era rigata. Cercò invano di capire cosa mettesse in ro- tazione la pallottola. Anche Harris aveva sostituit o con il grigio dei Confederati il gonnellino che gli avevano dato prim a di scaraventarlo insieme ai suoi compagni tra gli altri schiavi. Min ott sedeva sorreg- gendosi il capo tra le mani, e guardava l'altra spo nda del fiume. Lucy Blair adocchiava Minott di tanto in tanto, lan ciandogli sguardi carichi di preoccupazione. A un certo punto non sep pe più resistere al- la tentazione, gli si andò a sedere vicino e lo tem pestò di domande. Le altre ragazze sedevano accanto al fuoco. Bertha Ket terling s'era ap- poggiata al tronco d'un albero. A capo riverso, spa lancava la bocca a un sonoro russare. Tutti, tranne Blake, erano scalz i. Tornato accanto al fuoco, Blake accennò con il capo al ruscello che scorreva poco lontano. --A quanto sembra, professore--fece osservare spera nzoso--sia- mo finiti ai margini d'una "falla di tempo". Mentre da questa parte del corso d'acqua siamo in pieno Carbonifero, di là ci si trova in un'era as- sai meno primitiva, per quanto arretrata rispetto a quella dalla quale proveniamo... Professore! Minott sollevò il capo e chiese:--Cosa c'è? --Siamo qui da ore--disse Blake--e non si è verific ato il minimo cambiamento della realtà che ci circonda. Che il fe nomeno dell'oscilla- zione sia terminato? Se così è avvenuto, e le "zone " di tempo rimango- no in queto stato di confusione, ci converrebbe and are in cerca di colo- nie o città abitate da nostri simili! --E se lo facessimo--rispose Minott con amarezza--q uanto dure- remmo? Siamo praticamente disarmati... mi rendo con to di essere un povero illuso - o di esserlo stato. Pensavo che dei giovani, perfino dei giovani del Robinson College, avrebbero voluto conq uistare ciò che ancora non avevano. Invece sono già pietrificati ne ll'ideale del cittadi- no modello. Gente simile è inutile al cento per cen to. L'incidente della villa romana l'ha dimostrato a sufficienza. Attacca ti, cos'hanno fatto? Si sono battuti a mani nude, ecco cos'hanno fatto. Bel modo di ragio- nare da bravi cittadini, da animali bene ammaestrat i! Ma a me non servono degli animali ammaestrati. Sono stato l'uni co ad avere il buon senso di usare le pistole. Non avevano il tempo di pensarci su, di pren- dere appunti, i signori studenti. E allora cos'hann o fatto? Si sono com- portati come dei mocciosi. Lucy mormorò di nuovo qualcosa. Minott si accigliò. --Faccio parte del corpo docente del Robinson Colle ge--proclamò con palese sarcasmo.--Si suppone che debba prenderm i cura dei miei studenti. E sa il Cielo se me ne sarei preso c ura! Li avrei trasfor- mati in principi e principesse, in duchi e marchesi , avrei messo nelle

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loro mani intere nazioni. Ma cosa possono valere si mili bazzecole, di fronte alla prospettiva di tornare a casa, laurears i e andare di porta in porta a proporre polizze d'assicurazione? Ebbene, c he ci tornino! Quasi senza accorgersene Blake aveva recuperato in parte il rispetto che nutriva per Minott. La cattura e la sprezzante riduzione alla condi- zione di schiavo avevano scosso tutta la sua sicure zza di sé. In prece- denza, si era sentito non soltanto un membro di una razza superiore, ma anche un individuo superiore di quella razza. Ne l venire ridotto in schiavitù era stato degradato e insieme disprezzato . La dignità offesa gli rodeva ancora, e la sua sicurezza si spezzava a l pensiero di non es- sere stato capace di fare altro che uccidere due mi serabili compagni di schiavitù~ senza peraltro riuscire a contribuire mi nimamente alla pro- pria libertà. Ora, per la prima volta, la sua voce riprese in parte il tono precedente. --Sappiamo--diceva Minott--che la forza di gravità incurva lo spazio. A furia di osservazioni, siamo riusciti a c alcolare con esattezza quale curvatura è prodotta da una determinata massa . Siamo quindi in grado di sapere quanta massa occorre a far sì ch e lo spazio si curvi in modo da chiudersi completamente, determinando un universo chiu- so, impossibile a scoprirsi nelle dimensioni a noi conosciute. Sappia- mo, per esempio, che se due masse gigantesche, due stelle gigantesche, dovessero scontrarsi, I'istante della loro collisio ne non condurrebbe a un immane cataclisma. Quelle due stelle si limitere bbero a svanire. Non cesserebbero però di esistere. Cesserebbero di esistere unicamen- te per quel che concerne il nostro spazio-tempo. La collisione delle due stelle creerebbe un suo proprio spazio-tempo. --Sarebbe un po' come infilarsi in una buca, tirand osela poi appres- so--mormorò con aria di scusa Harris.--Ho letto qua lcosa del gene- re su di una rivista, una volta. Fatto un breve cenno di assenso, Minott continuò in tono cattedrati- co:--Immagino ora che si siano formati due universi di questo tipo. L'uno e l'altro saranno invisibili dallo spazio e d al tempo nei quali si sono determinati. Ognuno d'essi continuerà a esiste re in un proprio spazio-tempo, proprio come succede al nostro univer so. Nondimeno, quei due universi debbono, necessariamente, continu are a esistere an- che in una specie... diciamo... di iperspazio: perc hé se ammettiamo che due spazi chiusi siano separati l'uno dall'altro, d obbiamo anche am- mettere che ci sia qualcosa tra l'uno e l'altro; qu alcosa che li separi. Al- trimenti coesisterebbero, sarebbero uniti. --Comunque--obbiettò Blake--lei ci sta parlando di concetti teo- rici, che non potremmo mai controllare con l'osserv azione. --Sì--rispose Minott.--Se ti riferisci alle osserva zioni che sono state pubblicate, comunque, se il nostro è uno spaz io chiuso, dovremo ammettere anche l'esistenza di altri spazi chiusi c ome il nostro. E non bisogna dimenticare che questi altri spazi dovrebbe ro essere, sono an- zi, altrettanto reali come lo è il nostro. --E con ciò?--volle sapere Blake. --Se esistono altri spazi chiusi simili al nostro, se questi altri e il no- stro esistono in un mezzo comune, I'iperspazio, cio è, che li tiene sepa- rati, dovremmo poterli paragonare... che so?... all e stelle e ai pianeti che conosciamo, che pur essendo separati l'uno dall 'altro si inauenza- no a vicenda. Poiché questi spazi chiusi sono separ ati da un iperspazio logicamente necessario, si dovrebbe poter concluder e che siano capaci di influenzarsi a vicenda tramite l'iperspazio.

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--Si dovrebbe quindi ritenere--mormorò Blake a bass a voce --che il fenomeno dell'oscillazione dei "tempi" sia stato indotto da qualcosa di simile all'attrazione che produce le no stre maree... se al nostro sole si avvicinasse improvvisamente un'altra stella, basterebbe l'attrazione esercitata da quelle due stelle per fa re andare a pezzi il no- stro pianeta! Lei dice che un altro spazio chiuso è awicinato al nostro nell'iperspazio... Beh... Ho le idee molto confuse, professore... --Ebbene, io questo fenomeno l'avevo previsto e ave vo calcolato a tre contro una le probabilità che spazio, tempo e u niverso compren- dente tutte le stelle e le galassie dei cieli andas sero cancellati in una so- la volta a opera di un fenomeno distruttivo capace di annientare per sempre persino il passato come se questo passato no n fosse mai esisti- to. Ma rimaneva ancora una probabilità, e io avevo cercato di sfruttar- la nel modo migliore. Avevo progettato... Alzatosi improvvisamente in piedi, Minott disse:--P er Giove! Si potrebbe ancora tentare! se voi non foste dei vermi . Abbiamo le armi, i libri, le formule... rl meglio di quanto è stato sc operto dall'uomo l'ab- biamo lì, nell'interno delle nostre bisacce! Ascolt atemi. Noi, adesso, attraversiamo quel torrente. Non appena si determin a un cambiamen- to della realtà attuale, qualunque sia quella nuova che verrà a pren- derne il posto, noi ci dirigiamo verso il Potomac! Andiamo là dove quell'aviatore aveva visto delle imbarcazioni scand inave sulla riva. Mi sono portato vocabolari inglese-sassone antico e vi ceversa. Ne ho an- che un paio di inglese-scandinavo antico e vicevers a. A quei primitivi ci presenteremo in atteggiamento pacifico. Diventer emo loro amici. Gli insegneremo quanto basta. Li guideremo, e attra verso di loro di- venteremo padroni del mondo. --Mi spiace, professore--mormorò Harris con il tono di scusa. --Ma ho promesso a Bertha che l avrei portata a cas a non appena se ne fosse presentata l'occasione, e debbo mantenere la parola! Forse ha ragione, ma io non ho la minima voglia di fare l'im peratore! Minott indirizzò al ragazzo un'occhiata carica d'ir a e di disprezzo. --E tu, Hunter?--indagò. --Be'. . Io... Farò quel che fanno gli altri... Cer to... preferirei tomare a casa mla... --Che somaro!--ringhiò Minott. --Io invece...--disse con decisione Lucy Blair.--A me piacerebbe fare l'imperatrice, professor Minott! Maida Haynes sbarrò gli occhi sulla compagna. Sbalo rdita, stava per parlare, ma preferì non intervenire. Con aria d istratta, Blake tirò fuori dalla tasca una pistola e si mise a osservarl a con aria meditabon- da, mentre Minott apriva e chiudeva i pugni in pred a a ira profonda. Gli si erano inturgidite le vene della fronte e res pirava forte, con affan- no. --Imbecilli!--strepitò.--Idioti! Non riuscirete a d iventare niente più che assistenti in qualche università di terz'or dine, e per questo sie- te disposti a buttare via... Improvvisa e violentissima una vertigine li colse d i sorpresa. Blake si sentì cadere la pistola di mano. Si guardò intor no e si trovò davanti una distesa di pini e di campi che gli sembrarono f amiliari. E c'erano anche molte case... Edifici da sempre conosciuti. C adde un silenzio di morte. Gli otto non osavano respirare. Poi Blake gr idò:--Ma quella...

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quella è... Ia King George Court House! Siamo nella King George County, in Virginia! Il nostro tempo è tornato! Acc identi, attraversia- mo di corsa il ruscello! Il giovane afferrò rapidamente Maida. La portò di p eso, tra le brac- cia, attraverso il minuscolo corso d'acqua. Minott gridò disperatamen- te:--Aspettate! Li guardò con una sorta di amara speranza.--Per l'u ltima volta! Vi offro ricchezza, potere, signoria. Tutto quanto un uomo può desidera- re. Blake, raggiunta la riva opposta, depose Maida tra l'erba del greto. Hunter sguazzava pazzamente tra le acque basse. Bla ke tornò a guar- dare il fiumiciattolo. Tremante, temendo di non far e in tempo, riunì in un sol nodo le redini dei cavalli e caricò le armi tolte ai Confederati ca- duti sulle selle. Condusse le tre ragazze alla riva opposta. Hunter non si vedeva già più. Correva a precipizio verso il vi llaggio. Blake fece at- traversare il letto del torrente ai cavalli. Minott guardava i fuggiaschi con l'occhio acceso di furibondo disprezzo. --Venga con noi, professore!--I'esortò Blake.--E me glio! --Dovrei tornare a fare l'assistente di matematica? --ruggì colleri- co Minott.--Mai! Rimango! Blake si soffermò a meditare. Minott era un uomo st rano, per certi aspetti insopportabile. Era stracciato. Era dispera to. Blake provò per- sino pietà, per lui, nel vederlo stagliarsi contro lo sfondo d'una giungla del Carbonifero: senza scarpe, con la barba lunga, eppure ancora in at- teggiamento di sfida! --Un momento, professore!--esclamò Blake. Strappò le selle a sei cavalli e ne caricò gli altr i due. Li prese per le redini e li ricondusse dall'altra parte. Accanto a Minott. Il professore continuava a osservarlo con odio sprezzante. --Ti laurerai--disse scandendo ogni parola.--Trover ai un lavoro, e passerai la vita a pagare bollette quando avresti potuto imbarcarti su un transatlantico di lusso. Sarai una pedina quando avresti potuto es- sere il re. Ma io non ci sto. Nossignore. Preferisc o morire... Con un'alzata di spalle, Blake riattraversò il cors o del torrente. Lucy Blair rimase a guardare la solitaria figura di Mino tt, con un'ammira- zione che probabilmente nessun altro aveva mai prov ato per lui. --Ha del coraggio, però...--disse, imbarazzata. Un senso appena percettibile di stordimento li cols e tutti per un atti- mo. Come il fenomeno fu passato, guardarono tutti a ll'altra riva, quasi istintivamente. La giungla era sempre lì. Immutata. Minott li fissava. Amaramente. --Debbo ancora dirgli una cosa!--ansimò Lucy treman te.--An- date pure. Non aspettatemi! La ragazza si buttò nel fiume. Tornò di nuovo a far si sentire l'imper- cettibile stordimento di poco prima. Lucy frustò il cavallo. Maida urlò: --Torna indietro, Lucy! Torna indietro! Sta per cam biare di nuovo! --E quello che voglio!--le rispose Lucy.--Ho deciso di rimanere...

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Lucy aveva già oltrepassato la metà del ruscello, q uando li sconvolse ancora una volta la tremenda, improvvisa vertigine. Il resto è noto. Per due settimane, si verificarono qua e là sporadiche oscillazioni del tempo. Ma non si tardò a notare ch e le "falle", per dirla con il termine trovato da Minott, stavano gradualme nte diminuendo di numero. Si è potuto calcolare che al culmine del fenomeno il cento per cento della superficie terrestre finì per trova rsi lungo un sentiero di tempo che non era il suo. Non si conosce un solo settore del globo che a un determinato momento non soggiacesse alle c onseguenze delle oscillazioni. I nostri scienziati, ormai, non si dimostrano più t anto dogmatici, nelle loro asserzioni. Tutti i sistemi filosofici s ono usciti scossi sino alle fondamenta dalle straordinarie esperienze causate d alla perturbazio- ne spaziale. Quelli che si consideravano sino a poc o fa i concetti basila- ri della botanica, della zoologia, della filologia, si sono dovuti adegua- re alle nuovissime cognizioni provocate dalle escur sioni laterali nel tempo. Naturalmente, per nostra fortuna, fu l'unica probab ilità su quattro, quella che si verificò alla fine: la terra sopravvi sse. Continua a vivere nel nostro tempo, quanto meno. I sei superstiti del la spedizione Minott raggiunsero la King George Court House appena un qu arto d'ora dopo che una delle ultime oscillazioni aveva portato via Minott e Lucy Blair dal nostro spazio-tempo. Per sempre. Blake e Harris si affannarono su- bito a trovare il modo di comunicare a tutto il mon do le notizie che avevano appreso. E la teoria di Minott varcò gli sp azi a cavallo delle onde corte della trasmittente radio di un dilettant e. Sfrondata delle osservazioni pessimistiche di Minott, la teoria ven ne raccolta ed elabo- rata da competenti. Servì soprattutto a impedire ce rte esplorazioni in forze, disposte in determinati settori della terra. Impedì, tra l'altro, che una spedizione punitiva si addentrasse in una " falla" di tempo si- tuata in Georgia, al di là della quale s'erano rifu giate alcune tribù di Indiani allo stato selvaggio, colpevoli di aver sco tennato i prigionieri. ~ece sì che non s'inviasse gran numero di incrociat ori a bombardare Leifsholm dalla quale era partito un attacco di Vic hinghi contro North Centerville nel Massachusetts. Una squadriglia di a erei da ricognizio- ne fu fatta tornare tempestivamente alla base, prim a che sorvolando una zona di giungle e paludi primeve nella Virginia occidentale rima- nesse isolata in un'altra èra per sempre. Accaddero però anche certi episodi che nessuno pote va prevedere. Si calcola che non siano meno di cinquemila i cittadin i degli Stati Uniti rimasti isolati per sempre in tempi che non erano i loro per aver obbe- dito al desiderio d'esplorare meravigliosi paesaggi improvvisamente apparsi davanti ai loro occhi. Molti debbono consid erarsi perduti. Al- tri, ne siamo certi, debbono essere venuti a contat to con altre civiltà in seno alle quali, forse, continuano a esistere. Per contro, c'era da aspet- tarselo, abbiamo fatto degli acquisti. Abbiamo con noi gli abitanti di altre strade del tempo. Nei pressi di Ithaca, New Y ork, stazionano un paio di coorti della Ventiduesima Legione Romana. Q uattro famiglie di contadini cinesi, uscite a raccogliere quella ch e sembrava una mes- se straordinaria di bacche, sono rimaste in Virgini a quando quella zo- na tornò definitivamente a far parte del proprio am biente. Nel Colora- do abbiamo un intero villaggio di Russi. E se c'è q ualcuno che la vuol vedere, c'è una colonia di francesi in fondo al Mid dle West. Le nostre pianure si sono arricchite nuovamente di fitti bran chi di bufali allo stato selvaggio. Ce ne sono non meno di duecentomil a accanto a un bel villaggio di Cheyenne che non avevano mai veduto un cavallo o un'ar- ma da fuoco. Un miliardo e mezzo di colombi di pass o hanno fatto ri- torno da chissà dove al Nord America.

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Ma le nostre perdite sono state sensibili. Oltre a coloro che si videro trasportati in altri tempi dopo essersi avventurati su terreni a loro sco- nosciuti e nuovi, non possiamo dimenticare la catas trofe di cui sono state vittime Detroit, Tokyo e Rio de Janeiro. Quel che è successo alle due ultime città riusciamo a capirlo. Cessato il fe nomeno che aveva causato le oscillazioni laterali nel tempo del nost ro globo, quasi tutte le sezioni terrestri tornarono a occupare il loro p osto nello spazio e nel tempo dei nostri giorni. Non tutte, purtroppo. Nel Tennessee orientale ci è rimasto un pezzo di giungla del Carbonifero. E del villaggio russo d el Colorado, nonché della colonia francese del Middle U7est abbiamo già parlato. In qual- che caso, comunque è successo che sezioni intere di sentieri oscillanti nel tempo sono andate a stabilizzarsi assai lontano dal loro punto di partenza. Così possiamo spiegarci la scomparsa totale di Toky o e di Rio de Ja- neiro. Là dove sorgeva Rio, oggi si vede una giungl a vergine. Appartie- ne è vero, alla nostra era geologica, ma risale ai tempi in cui Rio de Ja- neiro non era ancora stata fondata. Il posto già oc cupato da Tokyo è stato preso da una foresta di tipo assai primitivo. Botanici e paleonto- logi avranno da sudare quattro camicie a studiarla! Da qualche parte, tuttavia, non si sa dove nel tempo e nello spazio, Tokyo e Rio de Janei- ro continuano a esistere con i loro abitanti. Ma qu el che è successo a Detroit... Non siamo ancora riusciti a capire che cosa è accad uto a Detroit. Ve- nuta a trovarsi su di una sezione di globo in oscil lazione-nel tempo svanì dalla nostra epoca per poi farvi ritorno, ma. .. Gli abitanti di De- troit non sono tomati a noi con la loro città. L'ab biamo trovata deser- ta; priva delle centinaia di migliaia di individui che la popolavano e che dobbiamo ritenere dissolti, svaporati nell'aria . Si sono trovati, è vero, segni di lotta: ma a quanto sembra, devono at tribuirsi semplice- mente al panico. In complesso, si può dire che la g rande città di De- troit è tornata indenne, intatta al suo tempo e al suo spazio. Non è sta- ta messa a ferro e fuoco. Non è stata sottoposta a un immane saccheg- gio. Al suo ritorno, tuttavia, non vi si è più trov ato un solo essere vivente: neppure un gatto o un uccellino in gabbia. Questo, purtroppo, non riusciamo a capirlo assolutamente. Forse, se fosse tornato a noi, Minott sarebbe riusc ito a spiegarci que- sto fantastico mistero. Quanto ci rimane delle sue annotazioni è stato di enorme aiuto per noi, quando abbiamo cercato di chiarirci il feno- meno della perturbazione di cui è stato vittima il tempo Se siamo sta- ti in grado di abbozzare una teoria capace di spieg are quei fenomeni dobbiamo esserne grati agli incompleti appunti di M inott nonché alle spiegazioni che ci hanno fornito Blake e Harris sca mpati alla spedizio- ne di quell'audace. Tom Hunter, purtroppo, non rico rda quasi nulla delle lezioni impartite ai ragazzi dal professore e i dati che ci ha forni- to Maida Haynes, quantunque importantissimi, si rif eriscono a osser- vazioni che anche altri sono stati in grado di fare . Siamo tuttora incapaci di rispondere a una miriade di quesiti: ne sa- premmo di più se Blake non avesse consegnato a Mino tt le bisacce, po- co prima che partisse per la sua disperata spedizio ne senza ritorno. I nostri scienziati si affaticano con somma diligenza intorno ai dati nu- merici cne Minott riteneva poco importanti e che no i invece ci sforzia- mo di comprendere e integrare. E sono innumerevoli i pensatori di tut- to il mondo che rivolgono un nostalgico pensiero al le bisacce di cui è carico un certo cavalluccio che accompagna il viagg io di Minott e Lucy Blair, partiti alla conquista d'un mondo armati sol o di qualche pistola e di pochi libri di testo .

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Titolo originale: Sidewise in ~ime ~raduzione di Riccardo Valla. su licenza di E~itric e N(lr~l >q4 295 Harry Bates AHIME, TUTTO QUESTO PENSARE Ahimè, tutto questo pensare! Strettamente confidenz iale. (Questa è di- namite! Fare molta attenzione a chi lo legge.) Da: Charles Wayland. A: Harold C. Pendleton, Presidente della Sezione pe r la Salvezza Umana della Commissione Nazionale sulle Malattie Me ntali. Soggetto: Relazione sulla conversazione e sulle azi oni di Harlan T. Frick nella notte del 7 giugno 1963. Metodo: Ho usato il dittografo da tasca che tu mi h ai dato; e il mio rapporto è la trascrizione letterale della registra zione avvenuta, con la sola aggiunta di qualcosa di mio per renderla più c omprensibile. Note speciali: (a) Il rapporto, avallato da quello che è stato inciso sul dittografo, deve essere considerato solo come u n terzo della prova che il tuo "investigatore dilettante di nevrosi" Wa yland non è da consi- derare egli stesso oggetto di interesse psichiatric o, dal momento che questo incredibile rapporto può essere confermato i n tutti i dettagli da Miles Mateson, che era con noi quella notte, cos ì, come credo, dallo stesso Frick. (b) Fino a quando non deciderai sul da farsi, ho co nvinto sia Mate- son che Frick a mantenere un assoluto silenzio sui fatti e sulle conver- sazioni avvenute. Essi sono d'accordo e penso che c i si possa fidare. (c) Mi sento in dovere di dirti, fin d'ora, affinch é tu possa seguire in modo più approfondito il rapporto, che Frick sarà t rovato sicuramen- te sano di mente, ma che mai più il suo incredibile talento scientifico potrà essere utilizzato per il progresso delle scie nze. Come suo amico, ti consiglio di abbandonare ogni speranza di poterl o salvare, e di la- sciarlo invece proseguire per la strada che ha scel to, alla ricerca del piacere e della dissolutezza. Potrai sempre ricorda rlo come un grande scienziato morto. Lui è un uomo logico, ma è pur se mpre umano, e io considero lo spreco della sua vita come giustificab ile sul piano umano. ~_ tP nf~ rf~n ~ r~li r~ntr~ ~n~he tu. Rapporto. Gli strabilianti eventi della serata comi nciarono in un modo assolutamente normale al Lotus Garden, dove io avevo fissato una cena con Frick e il nostro comune amico Miles M ateson, chimico e autore di una recente, e quanto mai divertente, teo ria matematica sul- le variabili invertite applicate alle curve femmini li, teoria che Frick aveva espresso l'ardente desiderio di ascoltare. Avrei preferito osservare Frick da solo, ma non ero sicuro di riuscire a tenere vivo l'interesse della sua mente irrequiet a e vigorosa per la terza volta nel giro di due settimane. Dieci minuti di noia e le mie os- servazioni psicologiche sarebbero arrivate a una fi ne improvvisa e tu avresti dovuto trovarti qualcun altro per portare a vanti le tue indagi- ni psicologiche. Arrivai al tavolo che avevo riservato con quasi un quarto d'ora di

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anticipo per sistemare tutto, mettere il dittografo nella tasca, e rivede- re per l'ultima volta i miei piani. Avevo tre indiz i. Avevo scoperto (ve- di i miei rapporti del 26 e del 30 maggio) che quan do venivano pro- nunciate parole come ''cervellon, aprogresso dell'u omo" e "amore" lui manifestava delle reazioni emotive notevoli, insoli te e costanti. Eró si- curo che tutto questo era sintomo di qualcosa. E ho sperato di av- vicinarmi alle radici del suo comportamento anomalo con il solito me- todo di usare una lista memorizzata di parole, osse rvazioni e doman- de che io gli avrei fatto di tanto in tanto. Potevo solo sperare che Frick non avesse molta fami liarità con la psicoanalisi, così non avrebbe notato quello che st avo facendo. Confesso che per un momento, mentre aspettavo gli a ltri, ebbi la spiacevole sensazione che tutto questo non avrebbe portato a nulla, ma mi ricredetti subito. Uno non può fare altro che provare, e io vole- vo fare del mio meglio. Con chiunque altro, avrei p otuto tirarmi indie- tro, ma mai con Frick. Era il mio vecchio amico dai tempi dell'univer- sità, e valeva veramente la pena salvare una person alità di tale spicco! Ed era ancora così giovane, aveva ancora tanto da o ffrire all'umanità! Ancora una volta pensai a cosa avesse potuto altera re la sua mente in quel modo. Un fisico, forse il più brillante e c ertamente il più pro- mettente nel mondo, entra nel suo laboratorio dopo la laurea, e per undicj anni a mala pena mette il naso fuori dalla p orta. Nel frattempo, però, trova il modo di produrre una quantità di sco perte, nuove teorie e integraZioni di vecchie leggi fisiche, che prima non erano mai state uguagliate e ora, improvvisamente, lo stesso fisico esce dal laborato- rio, chiude la porta, dimentica tutte le sue respon sabilità e per due an- ni si dedica completamente, e con entusiasmo, a sci occhezze della vita mondana~ come il golf, i vestiti, i viaggi, la pesc a, i night club e via di seguito. Sconvolgente è una parola troppo debole pe r descrivere lo Spettacolo. Non riesco a pensare a niente che possa lontanamente ren- dere meglio l'idea. Miles Mateson arrivò con un minuto di anticipo, cos a che per lui era praticamente un avvenimento, e dimostrava quanto l' occasione di ce- nare con Frick lo avesse interessato. Miles ha quar antacinque anni, è basso, massiccio, pelato... ma non ho bisogno di de scriverlo. --Verrà?--furono le sue prime parole, prima di sede rsi dall'altra parte del tavolo. --Credo di sì--lo rassicurai con un sorriso notando la sua ansia. Sembrò rilassarsi un po', e tirò fuori dalla giacca da sera quell'abomi- nevole pipa che fumava dovunque e con chiunque, qua ndo più gli fa- ceva comodo, con disperazione del maitre che lo gua rdava accigliato. L'accese, tirò un paio di boccate, si appoggiò alla sedia sorridendo e ammise con franchezza:--Charles, mi sento come un r agazzo che sta per andare a cena con il preside della sua scuola. Lo potevo capire, in quanto molti scienziati si sen tivano allo stesso modo quando c'era di mezzo Frick. Sorrisi e lo pres i un po' in giro. --Non sarà mica che tu e la tua pipa vi farete inti morire da un sem- plice playboy? --No... non da lui, ma da quello di misterioso che c'è dietro il play- boy--fu il suo commento serioso.--Secondo te che co sa succederà? Dai, svelto prima che arrivi. Alzai le spalle. Naturalmente non ero molto in conf idenza con Miles. --Potrebbe essere una donna?--continuò.--Ma non ho sentito

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niente riguardo una donna. Un problema di lavoro? U na reazione da bambino viziato? Che sia diventato matto? Che cosa lo ha fatto cam- biare? Se solo lo avessi saputo! --Frick, più di qualsiasi altro uomo al mondo, ha t occato i limiti dello scibile umano--continuò quasi con tono lament oso--e voglio sapere come può un uomo di quel genere scambiare un futuro così brillante con un vestito da sera! --Forse sta solo rilassandosi un po'--risposi con u n sorriso. --Ah, sicuramente, si sta rilassando--mi rispose in tono sarcastico --da ben due anni! Mi resi conto che Frick aveva sentito tutta la conv ersazione, quando alzando lo sguardo lo vidi, molto elegante nel suo vestito scuro, sorri- dere divertito piegando la bocca da una parte, ment re si trovava die- tro il cameriere che gli mostrava il suo posto a se dere. Miles e io ci al- zammo, e dovevamo sembrare un po' confusi. Non erav amo sicuri, in- fatti che Frick avesse sentito. Ma lui non si mostr ò offeso, anzi tutto il cont;ario, sembrava di ottimo umore, dal momento ch e rispose gentil- mente ai nostri saluti, fece segno di riaccomodarci ai nostri posti e, do- po essersi seduto, si unì al dialogo. --Sì, per due anni. E lo farò per altri quarantadue . L'inizio così brusco della conversazione mi buttò f uori strada, ma mi ricordai di accendere il dittografo, e questo mi diede l'opportunità di chiedere qualcosa che in altre circostanze non a vrei mai osato chie- dere. --Perché? Ancora una volta non si mostrò seccato alla mia dom anda, ma inve- ce, sorprendentemente, si abbandonò a una lunga e s offocata risata che sembrava nascere dal profondo con inesauribile dolcezza. Rispose in modo enigmatico, divertito dall'imbarazzo che mo stravamo a ogni sua parola.--Perché l'uomo in questione è caduto in disgrazia. Per- ché il pensiero è arido e le emozioni sono dolci. P erché finalmente ho recuperato il mio senso dell'umorismo. Perché la pa rola "perchén, è molto pericolosa e rende la gente infelice. Perché ho avuto il piacere di vedere la futura degenerazione del cervello umano. Ecco perché!-- Rise, smise per un momento di parlare, quindi aggiu nse con voce bas- sa e con un tono che aveva un che di drammatico:--C i credereste? Ho posto fine al genere Homo Sapiens! Non era ubriaco, e come ti renderai conto in seguit o, neanche pazzo, anche se io, al momento, non ci avrei scommesso nea nche un soldo. Il suo comportamento era estremamente allegro. Era mol to divertito dalle nostre reazioni alle sue parole, si divertiva a impressionarci, e lo faceva in continuazione. Ora potrei dire che, secon do me, tutte le rive- lazioni di quella notte furono essenzialmente il ri sultato dell'improv- visa decisione da parte di Frick di metterci in dif ficoltà, e non alla mia presenza o alla mia intenzione di attaccarlo psicol ogicamente. L'espressione di Miles era costernata. Frick smise di ridere sommes- samente e, con i suoi occhi grigi luminosi, si dive rtiva alle nostre spal- le in silenzio. Poi aggiunse:--No. A rigor di termi ni c'è ancora del la- voro da fare. E questione di un solo omicidio. Mi s ono trastullato per un po' all'idea di commetterlo stanotte, e di termi nare così l'opera. A voi due piacerebbe esserne coinvolti?

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Miles sembrava fosse sul punto di scusarsi. Cominci ò a tossire, a sorridere a mala pena, lanciandomi delle occhiate i ncerte. Per quanto mi riguarda, avevo deciso di essere pronto a preven irlo nel caso in cui Veramente Frick avesse deciso di commettere un omic idio. Credo che questa determinazione disperata fosse molto visibil e sulla mia faccia in quanto Frick, che mi stava guardando, cominciò a ridere. In quei momento Miles rinvenne quel tanto che bastava per s orridere a sua volta e dire che in realtà stava scherzando. Disse: --Sono sorpreso dal 299 fatto che gente con un cervello come il tuo possa f are scherzi così fiac- chi. Alla parola Ucervello" per poco Frick non esplose. --Cervello!--esclamò.--Non io! Io sono stupido. Stu pido come quel sassofonista dai capelli impomatati laggiù! Lo so che in passato avevo del cervello, ma tutto questo ora è finito; è orribile, non pensia- mo più a queste cose. Vi dico che sono diventato st upido, felice, con- tento, e stupido! Miles non riusciva a capire Frick più di quanto non riuscissi io. E co- sì gli ricordò:--Tu avevi un quoziente intellettual e di 248... --Sono cambiato!--lo interruppe Frick. Era ancora e ccitato, ma si capiva che, dentro di sé, si stava divertendo parec chio. --L'intelligenza di una persona normale non può deg radarsi così tanto nel giro di pochi anni--obiettò Miles vivamen te. --Te l'ho detto... sono diventato scemo!--ripeté co n insistenza Frick. Le mie probabilità di successo dipendevano dalla po ssibilità di non abbandonare questo argomento. Gli chiesi:--Come mai sei arrivato a considerare una cosa così orribile il fatto di aver e del cervello? --Per aver visto ciò che ho visto e saputo ciò che so--citò. Miles cominciava a irritarsi.--Va bene allora... Io chiamiamo sce- mo?--disse guardandomi.--Visto che insiste in quest o stupido gio- co? Ora era il mio turno per farlo parlare un po'.--Nat uralmente, tu stai parlando riguardo certi concetti abbastanza en igmatici che esi- stono solo nella tua mente, ma qualsiasi concetto s ia, be', è assurdo. Le grandi capacità del cervello umano sono l'unica proprietà dell'uo- mo. Hanno ispirato il nostro progresso, ci hanno da to la possibilità di essere quello che siamo oggi, padroni di tutto il r egno animale, signori della creazione. Solo altre due cose lo hanno aiuta to: il lavoro umano e l'amore; ma anche queste fanno parte della nostra mente. Ti rendi soltanto ridicolo quando deridi questi valori. --Oh, I'amore e il progresso umano!--esclamò Frick ridendo. --Charles, ti dico che la mente sarà la rovina dell 'uomo.--Continuò con gran divertimento. --La mente sarà la salvezza della razza umana!--lo contraddisse con impeto Miles. --Tu commetti un errore molto comune, Miles--Frick rispose in modo ora molto più serio.--Sicuramente Charles ha r agione nel col-

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locare l'uomo all'apice della creazione, ma ha tort o nell'affermare che ci rimarrà per sempre. Rifletti. La Natura ha creat o la cellula, e dopo un po' di tempo la cellula è diventata un pesce; e in quel momento quel pesce diventò il signore della creazione. Il v ero primo padrone. Per un po'. Solo pochi milioni di anni. Perché un g iomo, un pesce usa 300 dal suo ambiente naturale, I'acqua, e si mise a str isciare e diventò un rettile. Un magnifico rettile. Il Tyrannosauros Rex era lungo quindici metri, e alto venti; aveva denti lunghi quasi trent a centimetri e ai pie- di aveva artigli terribili. Nessun'altra creatura p oteva resistergli: era veloce, enorme, potente e feroce, tui divenne il si gnore del creato. Che cosa successe al pesce? Era stato il signore del cr eato per un po', ma non è andato oltre. Che ne è stato invece del Tyran nosauros Rex? An- che lui è stato il signore del creato, ma lui, ahim è, si è estinto. "La Natura ha provato a dare al pesce la velocità, poi le dimensioni al dm ��� �d+`¯6+ÇÓ�����Ç�bc;{{x{{x+ Ç����� sw;{{{{{{{s{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{{y{{{{{{{{{{{{{ {y{{{{{{{{{{{{{{{y{{{{{{{{y9{{{{{{{{{{{{{{{{y;{{yy¹{{{{{{{äÇ@ ��" ���9¦¢¢9 � ûæ�?!?822 �8��>8����>�!> �0����! �>F9>- ���9>�0���-- ��9>���8�9>&9>��>�8��>8� 8 ����> ��&8�&��?��Iammatico:--Ci credereste? Ho posto fine al genere Homo Sapiens! Non era ubriaco, e come ti renderai conto in seguit o, neanche pazzo, anche se io, al momento, non ci avrei scommesso nea nche un soldo. Il suo comportamento era estremamente allegro. Era mol to divertito dalle nostre reazioni alle sue parole, si divertiva a impressionarci, e lo faceva in continuazione. Ora potrei dire che, secon do me, tutte le rive- lazioni di quella notte furono essenzialmente il ri sultato dell'improv- visa decisione da parte di Frick di metterci in dif ficoltà, e non alla mia presenza o alla mia intenzione di attaccarlo psicol ogicamente. L'espressione di Miles era costernata. Frick smise di ridere sommes- samente e, con i suoi occhi grigi luminosi, si dive rtiva alle nostre spal- le in silenzio. Poi aggiunse:--No. A rigor di termi ni c'è ancora del la- voro da fare. E questione di un solo omicidio. Mi s ono trastullato per un po' all'idea di commetterlo stanotte, e di termi nare così l'opera. A voi due piacerebbe esserne coinvolti? Miles sembrava fosse sul punto di scusarsi. Cominci ò a tossire, a sorridere a mala pena, lanciandomi delle occhiate i ncerte. Per quanto mi riguarda, avevo deciso di essere pronto a preven irlo nel caso in cui Veramente Frick avesse deciso di commettere un omic idio. Credo che questa determinazione disperata fosse molto visibil e sulla mia faccia in quanto Frick, che mi stava guardando, cominciò a ridere. In quei momento Miles rinvenne quel tanto che bastava per s orridere a sua volta omiamo indietro un attimo--dissi a Frick.--Mi sembra che tu 3 Stia facendo un'asserzione un po' troppo avventat a nel sostenere che la razza umana non è l'ultima, ma solo il più recen te esperimento del- la Natura. 1. Frick era sconvolto.--Ma vi siete dimenticati di quello che vi ho detto poco fa? Io ho posto fine alla razza umana! Miles sbuffò quasi con aria disgustata. Io ero alla rmato. Miles provò 301 a essere sarcastico.--Allora, tu e Madre Natura ave te deciso quale sa-

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rà il prossimo signore del creato? --Personalmente non ho niente da dire--replicò Fric k con finto candore--né immagino quale potrebbe essere. Potrei saperlo, ma du- bito che lo scoprirò mai. E più divertente non sape re... non credi? Seb- bene, se dovessi proprio indovinare--aggiunse--dire i che questa volta sarà il turno dell'istinto. Questo era decisamente troppo per Miles. Si alzò co me per andarse- ne, dicendo mentre rimetteva a posto la sedia:--Ne ho abbastanza. O sei totalmente pazzo o sei uno stupido presuntuoso. Personalmente credo che tu sia entrambe le cose! Ma Frick lo trattenne con un gesto, e con tono sinc ero gli disse: --Siediti Miles, non perdere la calma. Tu sai molto bene che non men- to né tanto meno che sono un presuntuoso. Prometto di provarti tutto quello che ho detto. Miles si rimise a sedere e cominciò a guardare Fric k con aria ironi- ca. --In ogni caso avete ragione a pensare che io sia u no stupido. Lo so- no stato. Il più grande di tutti! Ma non sono un pr esuntuoso. Sono così poco presuntuoso che ho deciso di farmi vedere da v oi nella situazione più ridicola possibile in cui uno stupido o una sci mmia senza coda ab- bia potuto trovarsi. "Darò in cambio la mia dignità per la vostra opinio ne e vedrete che non sono pazzo e poi ci faremo la più grossa risata possibile sulla raz- za umana! Va bene?n Miles mi lanciò uno sguardo che faceva chiaramente capire i suoi dubbi sulla sanità mentale di Frick. Frick, dal can to suo, avendo visto il disagio di Miles, rise e ci offri un altro stimo lo. --E così, incidentalmente, ci metterò dentro anche un omicidio molto interessante. Il nostro amico era completamente disgustato.--Siam o venuti qui per mangiare--disse.--Cominciamo e basta.--E mentre pronun- ciava queste parole prese il menu che era rimasto d avanti a lui per tut- ta la serata. Frick mi guardò. --Io non ho fame--disse--e tu? Non avevo fame. E gli feci cenno di no con la testa . --Possiamo andare noi due, allora? Esitai. Non ero molto ansioso di accompagnare, da s olo, un pazzo in una missione di omicidio. Ma intercettai lo sguardo di Miles, e, da gran signore quale era, disse che sarebbe venuto an che lui. Frick sorri- se blandamente. Dieci minuti dopo eravamo arrivati lungo la costa, dalle parti di Glen Cove, dove Frick ha la sua proprietà, e dove ci fec e strada fino a una stanza piccola e spoglia al secondo piano del suo a ppartamento dove era il laboratorio, che si trova a fianco della sua splendida casa. Men- tre eravamo lì ad aspettare, Frick entrò in una sta nza adiacente, da cui ritornò con due sedie, e poi con altri due viaggi, con una terza e con un vassoio con sopra un grosso thermos e un servizio d a tè per tre perso- ne. Dispose le sedie in modo che potessimo guardarc i in faccia, e mise

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il vassoio per terra vicino alla sedia che lui occu pava. --Per prima cosa occorre che vi racconti una storia un po' lunga-- spiegò.--La casa sarebbe più comoda, ma questa stan za è più adatta. Frick ora sembrava un altro uomo. La superficialità di prima era scomparsa: era teso, e sul suo viso austero comparv ero linee profonde; la sua testa imponente si era abbassata come se met tere insieme i suoi pensieri gli costasse fatica, pensieri che erano di fficili, e forse dolorosi per lui. Quando iniziò a parlare la sua voce era ca mbiata, era molto più dolce. Il mio dittografo era ancora acceso. --Charles e Miles--cominciò Frick.--perdonate il mi o comporta- mento di prima al Gardens. C'erano cosi tanti pensi eri nella mia men- te, e voi eravate così dannatamente scettici, che l a tentazione di so- praffarvi con quello che sapevo è stata troppo fort e. Non avevo nessu- na intenzione di farvi delle rivelazioni. Ve le ho fatte per impulso, ma non abbiate paura, comunque non me ne pentirò. Cred o... solo ora mi rendo conto di essermi portato addosso un peso molt o, troppo pesan- te... Quello che ho da dirvi potrebbe riempire un g rosso libro, ma cer- cherò di essere il più breve possibile. All'inizio non mi crederete, ma per favore non abbiate fretta, in quanto le prove a rriveranno in segui- to. Ogni singola cosa che vi ho detto è vera, inclu so l'omicidio che sto per commettere... Fece una pausa, e sembrò che volesse rilassarsi, co me se fosse stan- t co. Ombre sconosciute offuscavano il mio cuore. M iles lo scrutava, senza muoversi. Aspettammo. Frick si passò lentamen te il palmo del- la mano sugli occhi, poi sulla fronte, quindi la fe ce cadere e comin- --No--disse alla fine--non sono mai stato un presun tuoso. Alme- no non credo. Ma c'è stato un periodo in cui ero mo lto orgoglioso della mia intelligenza. Lavoravo, realizzavo cose che sem bravano impor- tanti; avevo l'impressione di controllare il diveni re delle cose. Credevo "L che il lavoro fosse tutto. Il cervello è il prim o giocattolo della vita, e con il mio cervello ~otevo tentare di tutto. Di tut to! Ho osato ~erfino yl realizzare un dispositivo che mi avrebbe dato la po ssibilità di guarda- re nel futuro! E quando ho pensato di averlo trovat o, ne ho cominciato la costruzione! Non l'ho mai finito né mai lo finir ò; ma il tentativo ha condotto Pearl da me... "Sì--aggiunse cDme per convincere se stesso--sono s icuro che se non avessi tentato, Pearl non sarebbe mai venuta qu i. Da una lontana dimensione temporale, in qualche modo, si è messa i n contatto con me... non chiedetemi come, perché non lo so. Comunq ue attraverso me ha deciso di entrare in quel piccolo spazio, che è il nostro tempo. "Ero sorpreso quanto voi. Stavo lavorando proprio i n questa stanza, che era allora molto più grande di adesso e ingombr a di strani aggeggi che ora ho tolto. Avevo lavorato febbrilmente per m esi; avevo la barba lunga, gli occhi rossi ed ero sporco... e poi impro vvisamente, eccola. Proprio là, dietro quella porta che vi sto indicand o. Era in un cilindro dorato scintillante che era sollevato da terra di c irca sessanta centi- metri. Per un momento rimase sospesa lì; poi lo sci ntillio scomparve e lei fece un passo verso il pavimento. aNon mi credete? Be', naturalmente non mi aspetto c he lo facciate. Ma ci sarà la prova. Ci sarà la prova. "Ero sorpreso e tuttavia non impaurito. Il mio visi tatore non era

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minaccioso. Era solo una giovane donna scalza, molt o snella, di altez- za media vestita con una camicia nera scintillante che le arrivava al ginocchió, non posso dire se fosse ben fatta. Forse il suo corpo era troppo esile, le labbra troppo strette, la testa tr oppo grande. Non era affatto graziosa. I capelli e gli occhi castani and avano bene, ma la faccia era insignificante e scialba, con una straor dinaria espressione di impenetrabilità e di intellettualismo. L'effetto che se ne ricavava non era normale, ma neanche troppo strano; era solo insolita, diver- sa... barocca. Mi parlò in inglese. In un inglese non idiomatico, con le parole mes- se insieme in qualche modo e con un accento che era atroce! Mi chiese in tono severo: ~<Le dà fastidio questa mia intrusi one?«. «Certo... certo che no! « Le risposi quando mi ripresi dallo choc d opo averla sentita parlare. «Ma sei reale, o solo un'illusione?« «Non lo so« mi rispose «questo è un grosso problema. Ha occupato l'attenzi one delle nostre più grandi menti per secoli. Mi scusi, signore.~ E con queste ultime parole si sedette comodamente sul pavimento, propri o, là, e sembrò cadere in meditazione! UPotete immaginare il mio stupore! Se ne restò sedu ta lì per due mi- nuti abbondanti, mentre rimanevo a bocca aperta a g uardarla. Quan- do si alzò, terminò la frase dicendo: «Non lo so. E davvero un proble- ma terribile«. "Cominciai a sospettare che qualcuno mi stesse face ndo uno scher- zo, anche se la cosa sembrava essere condotta con e strema serietà .KForse c'è un mago fuori« suggerii. «Io sono il ma go« mi informò. .~Oh, è tutto chiaro adesso« dissi ironicamente. «O forse no il destino è il mago« continuò come se fosse in dubbio. «O forse io sonó... è un pro- blema molto serio.« Dopo di che si sedette di nuovo sul pavimento e si rimise in meditazione! aMi avvicinai e la scrutai da tutti gli angoli e, d al momento che sem- brava dimentica di tutto al di fuori di se stessa, feci un rapido esame dell'aggeggio con cui era arrivata. Sembrava abbast anza semplice... una scatola piatta, circolare con un diametro di un metro e venti e profondo quindici centimetri, fatto di un metallo c olor verdino opaco. Un palo, dello stesso colore, era fissato al centro della scatola, si erge- va verticalmente ed era coperto da una lastra che c onteneva dei tasti e delle leve. Intorno al bordo della faccia superiore della scatola, c'era una smussatura di circa quattro centimetri ricopert a da qualcosa che sembrava essere vetro giallo. E questo era tutto... tranne per il fatto che quella cosa continuava a rimanere fluttuante ne ll'aria a circa mezzo metro da terra. UCominciai a essere un po' impaurito. Mi voltai ver so la ragazza e la scrutai di nuovo da cima a fondo. Era così sprofond ata nei suoi pensie- ri che osai toccarla. Era reale per davvero! "Il mio tocco la risvegliò. «Lei ha la testa più gr ande rispetto agli al- tri uomini« mi informò. «Chi sei?« le chiesi con cr escente curiosità. Mi disse un nome che mi ci vollero circa due giorni pe r ricordare, tanto era incomprensibile. Dirò subito che le diedi un al tro nome... Pearl... perché era così barocca... e la ricorderò sempre co n quel nome. U«Come sei entrata?« le domandai. Puntò il dito ver so la scatola. «Ma che cosa è quello?« volevo saperlo. «Voi non av ete un nome per quello« mi rispose «ritorna indietro a ieri, all'an no scorso, agli ultimi migliaia di anni... così.« U«Vuoi dire che è una macchina del tempo?« chiesi e sterrefatto. ~Puoi andare avanti e indietro nel tempo?« "«Sì« mi rispose. «Mi sono

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fermata qui perché tu sei come me.« U«Non è per caso che mi stai prendendo in giro, ver o?« chiesi in mo- do sarcastico, sentendomi ora più che mai vittima d i qualche scherzo cOlossale. «Oh no, non ti sto prendendo in giro« ri spose lei aridamen- "Ero molto scettico. «Che cosa vuoi qui?« le chiesi . «vorrei che tu mi mostrassi la New York attuale. Lo faresti, almeno per un po'?« «Se mi porti a fare un giro su quel coso, e se funz iona, ti farò vedere Utto quello che vuoi« le risposi io ancora più scet tico. Lei sembrava contenta di farmi fare un giro. «Vieni « mi ordinò. Flltrai cautamente nella scatola. «Stai qui e tieni ti a questa« disse Strandomi la barra che era in centro. Mi tenni e le i si mise di fronte a me. Mi rendevo conto di quanto fossi vulnerabile se questo fosse sta- to effettivamente uno scherzo. UaNon devi muoverti« mi avvertì. La rassicurai che non l'avrei fatto. aAllora, a quando vuoi tornare indietro?« aUna sett imana fa~ le dissi a caso, mentre una strana sensazione si insinuava l ungo la mia schie- na. «Va bene« decise, e ancora mi raccomandò di non muovermi poi le sue mani cominciarono a manovrare i comandi. UUn velo dorato scaturì attorno a noi e la stanza s i offuscò, poi sparì. Mi assalì uno strano silenzio, un silenzio che non era tanto al di fuori di me quanto dentro di me. Questo effetto durò solt anto un secondo, poi mi ritrovai di nuovo a guardare nella stanza at traverso il velo do- rato. Nonostante la luce soffusa potevo chiaramente distinguere la fi- gura di un uomo sdraiato sul pavimento mentre lavor ava alla parte inferiore di una strana macchina. UaMa quello sono io!« esclamai, e ogni più piccola parte del mio cor- po partecipava a quel miracolo. Così si poteva real izzare! Potevo star- mene lì a guardare me stesso dal di fuori! Ero rito mato indietro di una settimana. A quel me stesso, che ancora apparteneva al passato, e che poteva di nuovo tornarci! Mentre mi scrutavo, non c ontrollavo più i miei pensieri, né le mie emozioni e vidi accadere u na cosa che placò ogni mio dubbio al riguardo. UL'uomo sul pavimento si girò, si sedette, girò la faccia... Ia mia fac- cia, verso di noi e, perso nei suoi pensieri, genti lmente si toccò un pun- to doloroso sulla testa... un bernoccolo, di cui ne ssuno sapeva niente. Un trucco era da escludere. "Ma all'improvviso mi assalì un pensiero contraddit torio. E così chiesi a Pearl: aCome mai non ci vede, visto che st a guardando proprio dalla nostra parte? Non ho mai visto niente del gen ere~. aE solo nel prossimo stadio, al quale dobbiamo ancora arrivare, che potremo es- sere visti« lei mi spiegò mentre teneva ancora le m ani sui controlli. aln questo momento non siamo corporei. Questo stadi o è molto im- portante. Se cercassimo di materializzarci in corpi solidi, e non come entità, potremmo esplodere. Ora, torniamo indietro. Tieniti forte.« ULa stanza scomparve, e quello strano silenzio rito rnò; poi rividi an- cora la stanza, offuscata dal velo dorato. Improvvi samente il velo sva- nì, e la stanza ritornò chiara. Toccammo il terreno nello stesso giorno in cui eravamo partiti. ULe mie gambe tremavano a tal punto da non rimanere in equili-

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brio. Mi appoggiai al tavolo e il mio strano visita tore, invece, si sedet- te di nuovo sul pavimento, come era ormai sua abitu dine. Questa è stata la mia prima conoscenza di Pearl.n Frick si alzò e cominciò a camminare avanti e indie tro. Era ovvio che i pensieri nella sua mente cominciavano a causargli q ualche serio pro- blema. Nel frattempo pregavo che il mio dittografo funzionasse a do- vere ! Quando Frick si sedette di nuovo era più calmo. Le sue emozioni non potevano prendere il controllo della sua mente e della sua volontà per molto tempo. Con un leggero sorriso, e con un ampio gesto del braccio disse:--E questo era solo l 'inizio! S'interruppe di nuovo e poi con un altro risolino d ei suoi disse alla fine:--Ho mostrato New York a Pearl! Davvero!--Char les, Miles, questo è davvero troppo--ricominciò partendo per la tangente, scuo- tendo la testa--Di solito c'è la tendenza a ecceder e nei particolari ma io cercherò di evitarli. Forse un'altra volta. O ra voglio essere con- ciso. UBe', le ho comprato dei vestiti e le ho fatto vede re New York. E sta- ta un'esperienza molto interessante. In quanto lei non era proprio quella che chiameresti una provincialotta, ma un es sere barocco mol- to lontano nel nostro futuro. Aveva imparato la nos tra lingua e molte delle nostre abitudini; era straordinariamente cere brale e, nonostante il difficile lavoro nell'orientarsi in quello che l ei definiva la nostra ma- terialità, mostrò un'ingenuità deliziosa. "Le mostrai il mio laboratorio, e le spiegai le cos e che avevo fatto. Ma lei non sembrava molto interessata. Le feci vede re la mia casa, e anche le altre, e le spiegai come noi del Ventesimo secolo vivevamo. «Perché sprecate il vostro tempo comprando e manegg iando aggeg- gi?« Le piaceva la parola 'aggeggio' e divenne la s ua parola preferita. Con quella designava l'elettricità, il cambio dei v estiti, il volo, i pasti, le sigarette, la varietà dei mobili, anche il numer o delle stanze nella nostra casa. Mi diceva: «Tu sei superiore a questo tempo, perché non butti via tutti questi lussi materiali per vivere p iù completamente nel regno della mente?«. "Avrei voluto chiederle quale differenza di livello pensava esistesse fra la nostra civiltà rispetto alla sua, ma tutte l e volte che tentavo, di- ventaVa evasiva, e diceva che noi eravamo troppo pr imitivi per ap- re{{a �� ���ï � �i¦üÝ-"¦¯ÕÚæ_,¨ �õÚ��b����îýÝÝÙÕßÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝ+ÝÝÝÝÝÝÝÝÝÕÝÝÝÝÝÝÝÝÝýÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝýÝÝÝÝÝ¡ýÝÝÝÝÝÝÝÝÕÝÝÝÝÕÝÝÝÕÝÝÝÝÝݯìÝÝÝÝÕ§ÝÕ÷÷§÷ݵûªÂýµßýµ÷ß ������µ¹v÷÷µ± �q�ÖòÝ-ë>��µÓ̵ÞÌ@-@ÞÛÞÞ-@Ï-@µÛ-@+Ì+-_ZaVoi farete le vostre m entre io continuo! aCosì le mostrai New York. Mi chiese: «Come mai la gente va così di fretta? E davvero necessario che tutte quelle autom obili vadano avan- ti e indietro? Vivono dawero bene in queste condizi oni? Se gli Stati Uniti d'America sono dawero così grandi come dici t u, perché co- struite dei palazzi così alti? Come mai ci sono cos ì pochi ricchi, e così tanti poveri?«. E via di seguito, senza fine. "La portai al ristorante. «Come mai la gente impieg a un'ora di tem- po solo per mangiare?« Le dissi che la gente amava mangiare, ma que- sto non sembrava interessarla troppo «Ma se ci impi egassero solo un minuto, avrebbero più tempo da dedicare alla medita zione! « Non po- tevo fare altro che essere d'accordo. aPoi la portai in un night club. «Perché alcuni por tano le cose e altri le mangiano?« Le spiegai che i primi erano camerier i, gli altri dei

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clienti. «Anche i clienti fanno a turno nel portare il cibo?« Le risposi che forse un giorno questo sarebbe potuto accadere. «Quell'uomo è un cameriere cantante?« a«No, è solo un cantante melodico.« a«Come mai quegli uomini fanno così tanto rumore?« a«Perché le orchestre da ballo sono pagate per ques to.« a~<Deve essere molto dura per loro.« Le dissi che l o speravo proprio. N«Tutta questa gente sta facendo quello che tu chia mi 'ballare'?« "«Sì«. "«E gli piace?« a Sì a«Anche ai vecchi?~ n«Ne dubito.« "«E allora perché lo fanno?« Non lo sapevo. Alla fi ne mi chiese quasi sarcasticamente: «E non si fermano mai a riflettere ?«. A quel punto dovetti esprimere i mei dubbi al riguardo. aNella nostra piccola scampagnata a New York, lei s i rese perfetta- mente conto che c'era ben poca propensione alla med itazione in quel- la città. E fu la più grande sorpresa che la nostra civiltà potesse darle. Tuttavia, continuò ad abbandonarsi alla sua abitudi ne di cadere in profonda meditazione ogni volta che qualcosa di int enso, interessante o strano attirava la sua attenzione; ma la cosa più straordinaria era che per meditare si sedeva per terra, non importa d ove. Se nei paraggi c'era una sedia, allora si sedeva, ma se non c'era, allora cadeva pesan- temente sul pavimento, o se era fuori, si sedeva su l selciato della stra- da! Non era poi così tragico quando eravamo soli, m a una volta accad- de sotto la bandiera di Murphy, in Union Square, me ntre staYamo os- servando i muggiti di un oratore che parlava da sop ra uno scatolone, e ancora una volta da Macy's, mentre ci eravamo soffe rmati ad ascolta- re un dimostratore che ci metteva al corrente sugli ultimi preparati in fatto di cosmetica. Be', fu davvero imbarazzante! V erso la fine ero or- mai pronto a captare i segnali della sua 'caduta' e d ero quasi sempre pronto a sorreggerla! aNei sei giorni che impiegai per mostrare New York a Pearl, lei non mostrò altra emozione che non fosse quella di una c erta curiosità in- tellettuale; non sorrise neanche una volta, né camb iò mai quell'e- spressione altera che aveva all inizio. E questa, a mici miei, è stata la creatura che è diventata allieva e rappresentante d ell'amore! Tutto questo mi porta al tema principale, e quindi vi rac conterò in dettaglio, } le sue esperienze con l'amore, o con quello che l ei credeva fosse amore. "Durante i primi tre giorni non pronunziò mai quell a parola e, con quello che ora so di lei, posso dire con sicurezza che era molto frenata nel farlo. In quei tre giorni, aveva visto solo un' interpretazione di Ro- t 7neo e Giulietta, letto due romanzi che conteneva no appassionanti temi amorosi, e aveva osservato da ogni parte l'istinto che hanno i giovani di cercarsi l'un l'altro; aveva visto due coppie ch e si baciavano mentre ballavano, aveva visto la flotta arrivare in porto, i marinai che si diri- gevano verso Riverside Drive e aveva ascoltato non so per quante ore canzoni d'amore alla radio. aUn giorno, mentre ero nel mio studio, improvvisame nte mi chiese: «Ma che cos'è questo amore di cui tutti parlano?«. "Non sognandomi minimamente che il ruolo di amanti toccasse proprio a noi due, le risposi semplicemente che era una trovata della Natura per rendere attraenti gli esseri umani adult i gli uni agli altri, e assicurare così l'arrivo dei nuovi nati e il proseg uimento della razza

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umana. aQuesto sembrò coincidere con quello che anche lei pensava, ma quello che non riusciva a capire era la ragione per cui tutti si davano ianto da fare. Prendete il bacio, per esempio. Ques to succede quando un uomo e una donna si spingono l'uno verso l'altro toccandosi le lab- bra. Era piacevole? Le assicurai di sì. Poteva trat tarsi di un tipo di meditazione, dal momento che il bacio durava tanto tempo? Be', no, non esattamente. Potevo provare con lei? "Non sorridete ancora voi due... questo è niente! A spettate! In ogni caso non avreste voluto che io sciupassi le mie pos sibilità di andarla a trovare nella sua civiltà, vero? aBene, così ci baciammo. Lei era in punta di piedi, con la sua faccia L altera volta verso di me, con le braccia rigide l ungo i fianchi, quando E,p~ io mi chinai verso di lei, con il mio viso tra nquillo che guardava verso il suo, con le braccia rigide lungo i fianchi. Ci a vvicinammo l'uno ver- so I'altro, le nostre labbra si incontrarono, e rim anemmo così per un 1~ Po'. Poi, Pearl mi chiese quasi parlando con le sua labbra attaccate al- le mie: aNon è per caso tutto un imbroglio?«. Le as sicurai che era ;~ qualcosa del genere. Dopo un attimo disse: «Allo ra c'è un grande mi- stero qui, da qualche parte«. E accidenti se in que l momento non si rannicchiò sul pavimento e cadde in meditazione! No n potevo tratte- nermi dal ridere, quindi me ne andai nell'altra sta nza, e quando ritor- nai, poco dopo, lei era ancora lì a meditare sul no stro bacio. O tempo- ra! aQuel bacio capitò il terzo giorno, e lei ne rimase in tutto sei, e per tutto il tempo della sua visita nel nostro tempo, n on disse una parola di più su questa cosa chiamata amore... che poi io capii essere un mi- stero per la sua mente, in quanto mi faceva un gran numero di doman- de su qualsiasi cosa immaginabile. "Ma lo avevo capito anche da un'altra cosa. Durante i tre giorni che seguirono quel bacio, moltissime volte si avvicinò alla mia radio e la sintonizzò su trasmissioni di canzoni d'amore. Si s aturò abbastanza bene di amori, stelle e amor mio, blu e tu, di giug no e di luna. Che orri- bile amalgama di logori clichés deve aver aleggiato nella sua mente... troppo mentale! Che strana concezione devono averle dato sull'amore! Ma adesso basta per quanto riguarda questo periodo. Ora avete un'i- dea. Avete visto Pearl a New York alle prese con l' amore. Per sei notti, da quando mi apparve per la prima volta, restai vic ino alla base ro- tonda della sua macchina del tempo, e questa volta decisi di accompa- gnarla. Non so dire quanto tempo avanti nel futuro, ma credo all'in- circa tre milioni di anni." Frick fece una pausa, si alzò e, senza chiederci se ne volevamo ancora, versò del tè freddo dal thermos che era vicino alla sua sedia. Questa volta ne aYevamo davvero bisogno. In quel momento ero sul punto di credere a tutto e così penso anche Miles. Non impiegammo molto tempo a bere e, rinfres cati ed estrema- mente desiderosi di sapere che cosa avrebbe detto d opo, ci piegammo in avanti e ci perdemmo di nuovo nella straordinari a storia che Frick stava raccontando. --Il viaggio nel futuro durò un lasso di tempo che a me sembrò non più lungo di trenta secondi, e credo che debba esse re stato istantaneo per il tempo necessario a fermare la macchina esatt amente al giorno prestabilito. Come prima, il passaggio fu un period o di ineffabile si- lenzio; ma ero certo che per tutto il tempo Pearl a veva mantenuto sal- di i controlli. All'improvviso vidi che eravamo in una stanza poco illu- minata, con uguale velocità il velo dorato scomparv e e ritornò la luce

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del giorno. Eravamo arrivati. "Scesi dalla macchina e mi guardai con cu riosità in giro. Eravamo in un'enorme stanza i Cui muri erano divisori che si protendevano for- se per trenta metri verso un soffitto altissimo. Tutto quello che potevo vedere era fatto da un'orribile sostanza tipo melma, color giallo me- tallico e tutto sembrava essere costruito in maniera approssimativa. 3 "La luce entrava da grandi finestre che erano s u tutti i lati. La parte della stanza in cui eravamo arrivati era vuota , conteneva solo la mac- china del tempo. Questa volta notai che era saldamente appoggiata al pavimento... un pavimento molto sporco. "Credo che sia superfluo descrivere il tremendo sta to di eccitazione e di curiosità in cui mi trovavo. Essere l'unico uo mo del nostro tempo ad aver viaggiato nel futuro ! Essere I unico uomo ad aver avuto la pos- sibilità di vedere la razza umana nella sua splende nte maturità! Quale onore, fortuna e gloria erano cadute su di me! Ogni atomo del mio cor- po stava vibrando e fremendo in quel momento! Stavo per assaporare I'atmosfera di quel luogo e ricordare ogni cosa che colpiva la mia men- te. "Sentivo di avere molte domande da fare, ma Pearl m i aveva proibi- to di parlare. Mi disse che lì intorno c'erano dell e persone molto atten- te alle quali dovevo rimanere nascosto; e ora la pr ima cosa che fece fu quella di mettersi un dito sulle labbra scrutando n el corridoio che por- tava all'esterno. Si fermò ad ascoltare per un minu to, poi uscì e mi or- dinò di seguirla. E così feci... ma rimasi stupefat to nel vedere che il corridoio era ricoperto da uno strato di polvere sp esso tre centimetri! "Come era possibile che un palazzo così imponente e situato in una fase così avanzata del tempo fosse così malridotto? "E sicuramente quel palazzo era importante, per osp itare un'inven- zione meravigliosa come la macchina del tempo! "Ma non c'era tempo per porsi delle domande, in qua nto Pearl mi portò rapidamente verso la parte più lontana della grande sala. Ogni nostro passo smuoveva nuvole di polvere che fluttua vano da ogni par- te. I~na rapida occhiata dietro di noi mostrò quant a ce ne fosse e come tutto fosse nascosto sotto questa coltre. Il corrid oio era abbastanza ampiO, e correva per tutta la lunghezza del palazzo da una parte fino al centro. A varie distanze c'erano delle porte, tu tte chiuse, e alla fine - del corridoio girammo a sinistra, trovandoci subi to di fronte una por- ~`_ ta alta e ampia. Era aperta e invasa dalla luce del sole. Per un secondo S~ Pearl mi trattenne mentre scrutava tutt'intorno, poi, prendendomi ,e, per mano, mi portò nel nostro nuovo mondo del f uturo. "Che cosa ti saresti aspettato di vedere, Charles? E tu, Miles? Forse palazzi a forma di torre, attraversati ai piani più alti da autostrade ae- ree? E folle di persone dagli strani comportamenti e vestite in modo 'i Curioso? E misteriosi, potenti mezzi aerei? E pa rchi? E fiori? E un uso í.r~ sfrenato di marmo sintetico? Be', niente di tu tto questo. I miei occhi 311 vedevano un comune, mediocre, piatto, enorrne campo . In lontananza si intravedevano macchie di alberi, dell'erba selva tica, cespugli, e una quantità di margherite. E questo era tutto! "Il mio primo pensiero fu che Pearl avesse fatto qu alche errore con il periodo di tempo, e quando cercai il suo viso e mi resi conto che que- sto era proprio quello che lei si aspettava che io le chiedessi, mi al-

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larmai. Tuttavia interpretò male i miei pensieri e mi disse: ~<Non avere paura~. Mi portò verso un angolo del palazzo da dov e guardò furtiva- mente in giro e, apparentemente soddisfatta da quel lo che aveva visto, cominciò ad avviarsi e mi fece segno di seguirla. P oi parlò: ~Ci siamo«. "Davanti a me si stendeva lo stesso paesaggio che a vevo visto nel- l'altro posto, tranne che qui il campo era occupato da un blocco qua- drato di scatole metalliche, sei per ogni parte, di stanti l'una dall'altra circa cento metri. "Credo di essere stato lì a bocca aperta per un po' . Non riuscivo a ca- pire e lo dissi a Pearl. Il tono della sua risposta mi giunse come una sorpresa nel momento stesso in cui la sentivo: «Non capisci?« mi chie- se. «Che cosa vuoi dire? Che non era questo che ti aspettavi?« "In qualche modo riuscii a parlare. «Ma dov'è la tu a città?« "«Lì~ rispose con un ampio gesto del braccio in dir ezione delle sca- tole metalliche. "«Ma le persone dove sono?« esclamai. "«Sono lì dentro.« "«Ma io... io... deve esserci qualcosa di sbagliato !« balbettai. Quelle cose non sono una città, e non possono contenere di eci persone ciascu- na! "«Ne contengono solo una ciascuna« mi informò con t ono dignitoso. "Ero completamente sbalordito. «Quindi tutta la tua gente ammon- ta a...« "«Solo a trentasei persone, o meglio trentacinque i n quanto uno di noi è appena morto.« "Credetti di vedere un tranello in questo. «Quanti ce ne sono di voi che non sono qui?« "«Solo noi giovani... quattro contando anche me« mi rispose con semplicità. E poi aggiunse: «E naturalmente i due c he non sono anco- ra nati«. "Tutto quello che aveva detto prima mi aveva fatto girare la testa. Ora quello che avevo appena sentito mi aveva fatto venire un attacco di nausea violenta. Attaccandomi all'ultima speranz a scoppiai: «Ma questa è solo una piccola comunità, il nucleo della città è per caso da un'altra parte?«. U«No« mi corresse subito «questo è l'unico centro d ella nostra civil- tà. Tutti gli esseri umani sono raggruppati qui.« M i guardò con quel suo sguardo impenetrabile. «Come sei primitivo« mi disse come pro- babilmente direbbe uno zoologo guardando un verme. "«Capisco che ti aspettavi dei numeri più grandi, m olto più grandi. Ma credo che da un selvaggio come te non ci si poss a aspettare altro, una preferenza per la quantità piuttosto che per la qualità. Noi qui ab- 3 biamo la qualità« continuò in tono di superiorità «la migliore che esi- 3 ste, da diecimila generazioni. La Natura privileg ia la quantità ai livel- li di evoluzione più bassi, concedendo la perfezion e a superuomini co- me sono i miei compagni qui, e ci ha concesso il do no più ricco che è la

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qualità. E non è tutto. Con la qualità siamo riusci ti flnalmente a otte- nere la semplicità, e nell'apoteosi dell'umanità so no questi i risultati massimi . « "Tutto quello che potevo fare era pensare che quest a semplicità va- leva troppo poco." Frick si fermò qui, si mise a ridere, e si alzò.--M i aveva veramente messo a posto. E da quel momento... vi assicuro ami ci miei... che la co- sa cominciò a divertirmi--Fece due passi nella s tanza, ridendo silen- ziosamente, poi appoggiandosi con una spalla con tro il muro ricomin- ciò di nuovo il racconto. --Pearl si sentiva terribilmente in cattedra, i n quel momento, ma subito si calmò e prese in considerazione che co sa poteva propormi co- me passatempo. Molto educatamente si scusò con m e se la sua civiltà non poteva offrire un gran che ai miei occhi. Pe r lei era evidente che la gran mole di attività intellettuali di quel post o sarebbero sfuggite alla mia comprensione. "Le chiesi allora se c'era la possibilità di da re un'occhiata al suo gruppo mentre era in azione, e alla mia domanda rispose che i suoi compagni non si riunivano mai in gruppo, né perd evano tempo facen- do qualcosa, ma che comunque non sarebbe stato d ifficile mostrarmi uno o due di questi onorevoli cittadini. t "Naturalmente le dissi che non volevo che lei c orresse dei rischi e si mettesse nei guai, ma lei mi assicurò che non c' era nessun pericolo. I guardiani del posto... che erano i tre giovani che aveva appena nomi- nato, erano tranquilli da qualche parte, e per quan to riguardava gli adulti disse: «Non saranno comunque in grado né di sentirti né di ve- derti«. Allora me ne mostrò due, e... apriti cielo! " =~ Frick si mise a ridere e non poté continuare. `~ Miles, al contrario, stava riflettendo sui cambi amenti di umore di Frick e sorrideva in anticipo quando questi rideva. Credo che anch'io facessi la stessa cosa. Eravamo entrambi sotto l'in cantesimo di Frick. --Mi scortò attraverso un campo aperto fino alla sc atola più vicina, e mi ricordo che mentre camminavo mi si attaccò all a caviglia un ric- |~ ~ cio di castagna che mi fermai subito a toglier e. Da una distanza rav- ~i Vicinata mi resi conto che le scatole erano quad rate e misuravano qua- I si tre metri ed erano fatte dello stesso orribile materiale giallo usato I nel palazzo. La parte più alta da ogni lato aveva una doppia fila di fes- 312 ~ 313 sure orizzontali, e nel mezzo di ogni lato frontale c'era una porta mol- to ben strutturata. "Mi ricordavo di quello che Pearl mi aveva appena r accontato, e cioè che non sarebbero stati in grado né di vedermi né di sentirmi, e quindi mi spaventai quando seo{a dIsl¦#̦ḑ¦#Ï`2 �`4|Ó`##ô ��À-ç¦---øÿ �� $ÝÝÝÝÝÝÝýmÝ+--ÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝÝ)iÝÝÝÝÝÝ--ÝÝýÕ-ÝÝÝÝÝÝÝõõõõ¶ýÕß ����rvÍ· �äÇ��bµ¾y<BÉ� ��É�Ç�+ìï{|Ö` �C�C¦zA¦ �@ ` �Ø¢¦é <\Y&þÀ{g{sú ôKy�r{A ±�) �3+�I �½q�ø cúy �Ks#K+úôyq �ø) �c+I �s{q �3{øø) �ôKk øú�hS#K+úû del palazzo da dove guardò furtiva- mente in giro e, apparentemente soddisfatta da quel lo che aveva visto, cominciò ad avviarsi e mi fece segno di seguirla. P oi parlò: ~Ci siamo«. "Davanti a me si stendeva lo stesso paesaggio che a vevo visto nel- l'altro posto, tranne che qui il campo era occupato da un blocco qua- drato di scatole metalliche, sei per ogni parte, di stanti l'una dall'altra

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circa cento metri. "Credo di essere stato lì a bocca aperta per un po' . Non riuscivo a ca- pire e lo dissi a Pearl. Il tono della sua risposta mi giunse come una sorpresa nel momento stesso in cui la sentivo: «Non capisci?« mi chie- se. «Che cosa vuoi dire? Che non era questo che ti aspettavi?« "In qualche modo riuscii a parlare. «Ma dov'è la tu a città?« "«Lì~ rispose con un ampio gesto del braccio in dir ezione delle sca- tole metalliche. "«Ma le persone dove sono?« esclamai. "«Sono lì dentro.« "«Ma io... io... deve esserci qualcosa di sbagliato !« balbettai. Quelle cose non sono una città, e non possono contenere di eci persone ciascu- na! "«Ne contengono solo una ciascuna« mi informò con t ono dignitoso. "Ero completamente sbalordito. «Quindi tutta la tua gente ammon- ta a...« "«Solo a trentasei persone, o meglio trentacinque i n quanto uno di noi è appena morto.« "Credetti di vedere un tranello in questo. «Quanti ce ne sono di voi che non sono qui?« "«Solo noi giovani... quattro contando anche me« mi rispose con semplicità. E poi aggiunse: «E naturalmente i due c he non sono anco- ra nati«. "Tutto quello che aveva detto prima mi aveva fatto girare la testa. Ora quello che avevo appena sentito mi aveva fatto venire un attacco di nausea violenta. Attaccandomi all'ultima speranz a scoppiai: «Ma questa è solo una piccola comunità, il nucleo della città è per caso da un'altra parte?«. U«No« mi corresse subito «questo è l'unico centro d ella nostra civil- tà. Tutti gli esseri umani sono raggruppati qui.« M i guardò con quel suo sguardo impenetrabile. «Come sei primitivo« mi disse come pro- babilmente direbbe uno zoologo guardando un verme. "«Capisco che ti aspettavi dei numeri più grandi, m olto più grandi. Ma credo che da un selvaggio come te non ci si poss a aspettare altro, una preferenza per la quantità piuttosto che per la qualità. Noi qui ab- 3 biamo la qualità« continuò in tono di superiorità «la migliore che esi- 3 ste, da diecimila generazioni. La Natura privileg ia la quantità ai livel- li di evoluzione più bassi, concedendo la perfezion e a superuomini co- me sono i miei compagni qui, e ci ha concesso il do no più ricco che è la qualità. E non è tutto. Con la qualità siamo riusci ti flnalmente a otte- nere la semplicità, e nell'apoteosi dell'umanità so no questi i risultati massimi . « "Tutto quello che potevo fare era pensare che quest a semplicità va- leva troppo poco."

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Frick si fermò qui, si mise a ridere, e si alzò.--M i aveva veramente messo a posto. E da quel momento... vi assicuro ami ci miei... che la co- sa cominciò a divertirmi--Fece due passi nella s tanza, ridendo silen- ziosamente, poi appoggiandosi con una spalla con tro il muro ricomin- ciò di nuovo il racconto. --Pearl si sentiva terribilmente in cattedra, i n quel momento, ma subito si calmò e prese in considerazione che co sa poteva propormi co- me passatempo. Molto educatamente si scusò con m e se la sua civiltà non poteva offrire un gran che ai miei occhi. Pe r lei era evidente che la gran mole di attività intellettuali di quel post o sarebbero sfuggite alla mia comprensione. "Le chiesi allora se c'era la possibilità di da re un'occhiata al suo gruppo mentre era in azione, e alla mia domanda rispose che i suoi compagni non si riunivano mai in gruppo, né perd evano tempo facen- do qualcosa, ma che comunque non sarebbe stato d ifficile mostrarmi uno o due di questi onorevoli cittadini. t "Naturalmente le dissi che non volevo che lei c orresse dei rischi e si mettesse nei guai, ma lei mi assicurò che non c' era nessun pericolo. I guardiani del posto... che erano i tre giovani che aveva appena nomi- nato, erano tranquilli da qualche parte, e per quan to riguardava gli adulti disse: «Non saranno comunque in grado né di sentirti né di ve- derti«. Allora me ne mostrò due, e... apriti cielo! " =~ Frick si mise a ridere e non poté continuare. `~ Miles, al contrario, stava riflettendo sui cambi amenti di umore di Frick e sorrideva in anticipo quando questi rideva. Credo che anch'io facessi la stessa cosa. Eravamo entrambi sotto l'in cantesimo dprimitivO- 315 "«Posso ascoltare i suoi pensieri, naturalmente« fu la risposta. "Questa sorprendente affermazione mi portò a un'alt ra serie di do- mande e quando le ebbi terminate arrivai alle segue nti conclusioni: il tizio e i suoi simili non potevano sentirmi perché la lunghezza d'onda del mio pensiero era troppo corta per i loro ricevi tori; che Pearl quan- do parlava e pensava come me si situava, per la ste ssa ragione, a un li- vello inferiore a loro; e che Pearl condivideva con i suoi simili il potere di sintonizzarsi quando voleva su meditazioni o con versazioni priva- te. U«Noi utilizziamo questo potere telepatico« aggiuns e lei «nell'edu- cazione dei nostri giovani. Specialmente i bambini piccoli, quando non sono ancora nati. Gli adulti fanno a turno nell 'insegnamento dalle loro celle. Io sono stata una bambina prematura... di solo 11 mesi... quindi ho perso la maggior parte dell'insegnamento prenatale. Ecco perché io sono diversa dagli altri che sono qui, e anche inferiore. Tut- tavia dicono che ero incompleta fin dal momento del concepimento.« ~Le sue parole mi fecero andare lo stomaco sottosop ra, e la visione di quel cadavere informe non mi aiutò per niente. C omunque resistet- ti, e feci del mio meglio per assorbire ogni dettag lio. UMentre ero così preso da tutto questo, vidi una co sa fantastica. «L'orrida piccola fessura che era una bocca sotto l a testa del padrone di casa lentamente si apri, mostrando una cavità sc ura e senza denti; e non appena si aprì del tutto, sentii un rumore secc o dietro le mie spal- le e saltai da una parte, in tempo per vedere un pi ccolo oggetto grigio lanciato da una scatola attaccata al muro, che dopo aver descritto un arco molto ampio nell'aria si andò a depositare nel la bocca aperta del nostro gentiluomol .i U«Ha bisogno anche lui di sostentamento« mi spiegò Pearl. aQuelle pallottoline contengono il suo cibo e la sua acqua. Naturalmente non

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ha bisogno di molto. Sono lanciati da un meccanismo sensibile alla forza delle sue onde mentali.« "«Fammi uscire« dissi. "Uscimmo nella calda e chiara luce del sole. Come s embrava dolce e familiare quel campo! Mi sedetti sull'erba e presi una margherita. Non era per niente diversa da quella del mio tempo, a casa mia. UPearl si sedette vicino a me. U«Ora abbiamo una cella vuota« mi disse «ma uno dei nostri giovani è pronto a riempirla. Ha dovuto aspettare fino a qu ando abbiamo in- stallato un contenitore nuovo più grande per il cib o... uno che potesse durare settantacinque anni senza dover essere riemp ito. Lo abbiamo appena finito. Naturalmente, è il più giovane della nostra comunità che si prende cura dei più anziani preparando per l oro le pallottoline di cibo e facendo qualche altro lavoro di routine. Fanno questo fino a quando le forze glielo consentono, e quando non pos sono più andare in giro... allora hanno l'onore della maturità e posso no prendere posto in una delle celle.« "«Ma come diavolo è possibile che creature come... come quelle lì dentro possano avere dei bambini?« "aOh~ SO che cosa vuoi dire, ma hai un'idea sbaglia ta« fu la sua ri- sposta immediata. «Questo compito li riguarda quand o sono ancora relativamente giovani. Dall inizio i giovani sono a llevati in incubatri- ci.« "Ho sempre avuto lo stomaco delicato... e lei insis teva nel metterlo alla prova! "«Da noi ci vogliono quindici mesi, al momento ne a bbiamo due che stanno per nascere. Li vuoi vedere?« Le dissi che l i avrei visti, ma che non mi sarebbe piaciuto. "«Ma prima« le chiesi <~se non ti dispiace fammi ve dere un altro dei vostri adulti. Io... io... non posso ancora crederc i.« "Disse che lo avrebbe fatto. Questa volta una donna . Ci alzammo e mi condusse a un'altra cella. "Non entrai. Rimasi fuori e diedi un'occhiata all'o spite attraverso la porta. Assolutamente orribile! Se quella era una do nna, fu in quel mo- mento che pensai che bella cosa sarebbe stata e qua nto piacevole... prendere nelle mani il collo di quelle due imitazio ni umane per un mi- nuto... UMa dato che ero un visitatore fidato, non dovevo i ncoraggiare tali pensieri. Così chiesi a Pearl di portarmi alle incu batrici. Avevamo ap- pena lasciato il blocco di celle e stavamo girando l'angolo del palazzo, quando Pearl mi prese per un braccio e mi tirò indi etro. Apparente- mente aveva avuto una premonizione proprio in tempo , in quanto tre tipi bizzarri uscirono dalla porta principale del p alazzo dove noi ci stavamo dirigendo. Tutti e tre vestivano dei camici oni neri scintillanti come Pearl ed erano, naturalmente, i boccioli del g enere umano in pie- na perfezione. "Il primo mi colpì per la sua imponenza, non aveva l'aspetto ema- ciato del vecchio esteta, con la sua grossa testa p elata che oscillava precariamente sul suo collo orrendo mentre si muove va. Il secondo...

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credo fosse una ragazza, era più piccola, più giova ne, forte, ma segui- L va il più anziano a rispettosa distanza nello ste sso modo orripilante. Il E` terzo della serie era un uomo, poco più di un ba mbino, che per poco non cadeva seguendo gli altri nella sua interpretaz ione personale di quellO che doveva essere l'atto del camminare. "Si avviarono direttamente verso il campo, ma dovet e sapere che quel piccolino, decisamente un mostriciattolo, brut to come il peccato, fece una cosa che mi fece venire le lacrime agli oc chi. Non appena arri- vO al limite del campo, e mise i piedi sull'erba, s i chinò penosamente e L prese una margherita... e cominciò a guardarla co n fare preoccupato mentre trotterellava al seguito degli altri! 3~6 ~ 317 "Ero molto sollevato dal fatto che non ci avessero scoperto e così an- che Pearl. Non appena furono a una distanza di sicu rezza, lei mi sus- surrò: « Dovevo essere prudente. Possono vedere e i due più giovani an- che sentire~. "«Che cosa ci fanno qua fuori?« chiesi io. «Fanno u na lezione di me- tafisica« e quasi contemporaneamente alle sue parol e il primo si se- dette pensieroso in mezzo al campo... seguito dal s econdo e persino dal più piccolo! aII più alto« mi spiegò Pearl «è q uello che prenderà il posto nella cella vuota. E meglio che lo faccia al più presto. Sta diven- tando pericoloso per lui camminare ora. Il suo coll o è troppo debole.« UCon attenzione riprendemmo il cammino verso il pal azzo, ma que- sta volta Pearl mi portò dall'altra parte del corri doio. Qui la polvere era spessa come nel primo, tranne nel centro della stanza, dove molte impronte di piedi testimoniavano un gran passaggio. Arrivammo alle incubatrici. NE lì vidi. Li vidi. Mi costrinsi a guardarli, ma v i assicuro che fu uno sforzo! lo... io credo che sia meglio non descriver li. Sapete, è una mia stranezza. Erano meravigliosi. Vetro e tubi contort i. Ce n'erano due in ciascuna. In stadi differenti. Me ne andai subito. Ritornai alla porta, e in pochi minuti mi sentii meglio. "Naturalmente Pearl aveva dovuto seguirmi e aveva c ercato di por- tarmi indietro, e notai una cosa divertente. La vis ta di quei bambini che dovevano nascere aveva avuto su di lei uno stra no effetto materno lo giuro! Lei partava di loro... e prima di questo aveva timidamente suggerito, nel suo solito modo secco, se potevamo b aciarci, solo che si era dimenticata la parola e lo chiamò strofinio. Mi o Dio! Be' ci siamo strofinati... esattamente come prima... e questo ca ri amici, fu l'inci- dente che portò direttamente alla distruzione dell' esemplare dell'Ho- mo Sapiens! "Non potreste mai immaginare quello che successe do po! Era come fare uno, due e tre, e il gioco è fatto. Pearl e io ci toccammo le labbra. Sentii un grido labile e strano dietro di me e mi g irai di scatto. Vidi al- I'entrata uno accanto all'altro le tre creature che io credevo placida- mente fuori nei campi dediti all'insegnamento vidi la faccia del più vecchio contorcersi, la sua testa vacillare. Sentii un colpo secco, e poi in un batter d'occhio si accasciò sugli altri due e , quando la polvere si riassestò di nuovo, vidi i due giovani fiori della perfetta umanità in una pila orribile, perfettamente immobili, ognuno d i loro con il collo rotto! Erano gli ultimi rappresentanti della loro r azza e ora erano

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morti, e io ne ero stato la causa involontaria! "Ero terrorizzato, ma pensate che la loro morte abb ia avuto un qualche effetto su Pearl? Che abbia mostrato la ben ché minima emo- zione? Niente affatto. Lei cercava di razionalizzar e tutto. Natural- mente, era dispiaciuta... così almeno aveva detto.. . il ragazzo più alto era un essere così perfetto e magnifico!... un filo sofo nato... ma era suc- cesso, e non c'era nient'altro da fare se non rimuo vere i corpi, ora era solo compito suo avere cura delle incubatrici e di quel cimitero di dot- "«Ma prima« mi disse «sarà meglio che io ti riporti indietro alla tua civiltà. « "aNo!« risposi e inventai un mucchio di scuse per c ui sarebbe stato meglio per me rimanere ancora un po'. Ora che non c 'era più nessuno che potesse scoprirmi, ora più che mai non me ne vo levo andare. C'e- rano per lo meno un centinaio di cose che volevo st udiare... il vecchio esteta, come funzionava, le condizioni del mondo al di fuori e così 3 via... ma in particolar modo, lo confesso, volevo esaminare quello che conteneva quel palazzo. Se lì si poteva costruire u na macchina del tempo, doveva contenere altre meraviglie, segreti c he io avrei potuto imparare e riportare indietro con me. "Uscimmo fuori alla luce del sole, e discutemmo, e la mia guida si produsse in molti accovacciamenti e conseguenti med itazioni, e alla fine vinsi io. Sarei rimasto altri tre giorni. "Nel pomeriggio del primo giorno, qualcosa andò sto rto con le incu- batrici a Pearl venne da me di corsa per dirmi nel suo modo molto 3 particólare che i due occupanti, ovvero le ultime speranze della razza umana, erano morti. Lei non lo sapeva, ma io avevo manomesso i mec- canismi dell'incubatrice. "Avevo ucciso quei mostri non ancora nati... Charle s, Miles beviamo un'altra tazza di tè..." Frick si diresse verso il thermos che conteneva il tè, lo versò per noi, lo ripose sul pavimento e si rimise a sedere. Rimanemm o tranquilli per un po' e il mio dittografo prova che, ancora una vo lta, non fu proferita alcuná parola. Non cercherò di descrivere i miei pe nsieri, tranne che questa interruzione nella tensione mi stimolò ancor a di più ad ascol- tare il seguito del FacConto. Quando Frick ricominciò improvvisamente a parlare, lo fece con molta più asprezza e rabbia. --L'Homo Sapiens era diventato una caricatura ridic ola e disgusto- sa!--esclamò.--Non ho deciso di uccidere quei mostr i impulsiva- mente né prima, né tantomeno dopo.con gli ultimi om icidi. Le mie ~t azioni erano responsabili, le mie decisioni pres e dopo ore di conside- 3 razioni estremamente chiare e serene, decisi di a ccettare ogni respon- I sabilità~ e ancora oggi le accetto! 318 ~ 319 "Ora voglio fare un'affermazione alla quale prima d i tutto voglio che voi crediate. Nel momento in cui decisi di ucci dere quei piccoli mostri, e così di porre fine al genere umano, mi as pettavo di portare Pearl con me nel mio tempo, per stare insieme. Ques ta era la decisione

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che avevo preso per lei. Ma il suo futuro non preve deva questo. Così Madre Natura decise di farmi fare la figura del più grande idiota di tutti i tempi. Ma ricordate, per essere giusti con me, che il corso degli eventi cambiò dopo la mia decisione. aVi ho detto prima che Pearl aveva reagito nel suo solito modo cioè impenetrabile, alla morte dei giovani della sua raz za. E sicuramente fu così. Quando ripenso a quei giorni, mi sembra ch e mostrò molto po- co delle sue emozioni, una dose davvero infinitesim ale. Tutta la sua emotività era orientata verso di me. Voi potreste c hiedermi come mai lei differisse sia nei comportamenti... sia fisicam ente dai suoi simili. Posso solo dedurre che l'enigma della sua struttura personale fosse racchiusa nelle condizioni della sua nascita. Come lei stessa aveva det- to, era 'incompleta'. Qualcosa era andato storto co n l'incubatrice - era nata dopo solo undici mesi - era perciò prema tura di quattro, aveva ricevuto l'insegnamento prenatale per un temp o minore rispet- to agli aldrm¿0e¦afepq¦BNM=N+I¦©1¥! Øì � �JH@`@·��Ä+��8�©��$×l×M¥²_Ìn\-n^+# �,¦É 0���.IüÇù 2����-¶\B ��¦ñÚÊ1õ`X ���� ��� & �Þ�ׯé�ê��ÄO é�ê�ä��0I-rã@ ���ÄOÇ� Oé�ëé ê�ëê�ÇÄA¤êOé�é�é �é�ÄOî�êOü+ �ê�Ä�ÇOçÇ�üÄ�ÄOÄOüäÇ�Ä�êppüÄOÇ �é�ÄOëê�¤üprima di questo aveva timidamente suggerito, nel suo solito modo secco, se potevamo b aciarci, solo che si era dimenticata la parola e lo chiamò strofinio. Mi o Dio! Be' ci siamo strofinati... esattamente come prima... e questo ca ri amici, fu l'inci- dente che portò direttamente alla distruzione dell' esemplare dell'Ho- mo Sapiens! "Non potreste mai immaginare quello che successe do po! Era come fare uno, due e tre, e il gioco è fatto. Pearl e io ci toccammo le labbra. Sentii un grido labile e strano dietro di me e mi g irai di scatto. Vidi al- I'entrata uno accanto all'altro le tre creature che io credevo placida- mente fuori nei campi dediti all'insegnamento vidi la faccia del più vecchio contorcersi, la sua testa vacillare. Sentii un colpo secco, e poi in un batter d'occhio si accasciò sugli altri due e , quando la polvere si riassestò di nuovo, vidi i due giovani fiori della perfetta umanità in una pila orribile, perfettamente immobili, ognuno d i loro con il collo rotto! Erano gli ultimi rappresentanti della loro r azza e ora erano morti, e io ne ero stato la causa involontaria! "Ero terrorizzato, ma pensate che la loro morte abb ia avuto un qualche effetto su Pearl? Che abbia mostrato la ben ché minima emo- zione? Niente affatto. Lei cercava di razionalizzar e tutto. Natural- mente, era dispiaciuta... così almeno aveva detto.. . il ragazzo più alto era un essere così perfetto e magnifico!... un filo sofo nato... ma era suc- cesso, e non c'era nient'altro da fare se non rimuo vere i corpi, ora era solo compito suo avere cura delle incubatrici e di quel cimitero di dot- "«Ma prima« mi disse «sarà meglio che io ti riporti indietro alla tua civiltà. « "aNo!« risposi e inventai un mucchio di scuse per c ui sarebbe stato meglio per me rimanere ancora un po'. Ora che non c 'era più nessuno che potesse scoprirmi, ora più che mai non me ne vo levo andare. C'e- rano per lo meno un centinaio di cose che volevo st udiare... il vecchio esteta, come funzionava, le condizioni del mondo al di fuori e così 3 via... ma in particolar modo, lo confesso, volevo esaminare quello che

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conteneva quel palazzo. Se lì si poteva costruire u na macchina del tempo, doveva contenere altre meraviglie, segreti c he io avrei potuto imparare e riportare indietro con me. "Uscimmo fuori alla luce del sole, e discutemmo, e la mia guida si produsse in molti accovacciamenti e conseguenti med itazioni, e alla fine vinsi io. Sarei rimasto altri tre giorni. "Nel pomeriggio del primo giorno, qualcosa andò sto rto con le incu- batrici a Pearl venne da me di corsa per dirmi nel suo modo molto 3 particólare che i due occupanti, ovvero le ultime speranze della razza umana, erano morti. Lei non lo sapeva, ma io avevo manomesso i mec- canismi dell'incubatrice. "Avevo ucciso quei mostri non ancora nati... Charle s, Miles beviamo un'altra tazza di tè..." Frick si diresse verso il thermos che conteneva il tè, lo versò per noi, lo ripose sul pavimento e si rimise a sedere. Rimanemm o tranquilli per un po' e il mio dittografo prova che, ancora una vo lta, non fu proferita alcuná parola. Non cercherò di descrivere i miei pe nsieri, tranne che questa interruzione nella tensione mi stimolò ancor a di più ad ascol- tare il seguito del FacConto. Quando Frick ricominciò improvvisamente a parlare, lo fece con molta più asprezza e rabbia. --L'Homo Sapiens era diventato una caricatura ridic ola e disgusto- sa!--esclamò.--Non ho deciso di uccidere quei mostr i impulsiva- mente né prima, né tantomeno dopo.con gli ultimi om icidi. Le mie ~t azioni erano responsabili, le mie decisioni pres e dopo ore di conside- 3 razioni estremamente chiare e serene, decisi di a ccettare ogni respon- I sabilità~ e ancora oggi le accetto! 318 ~ 319 i occhi. Non appena arri- vO al limite del campo, e mise i piedi sull'erba, s i chinò penosamente e L prese una margherita... e cominciò a guardarla co n fare preoccupato mentre trotterellava al seguito degli altri! ano modelli di bellezza soggettiva, e quindi modelli di utilità. M i persi in tutto quel ragionare. La informai, comunque, che anch'io potev o essere conside- ratO come una specie di esteta, e che avevo provato a me stesso che avano e che erano intollerabili; e come sarebbe sta to facile ster- minarli... come era sottile il loro legame alla vit a! «Niente da fare. Una volta provai anche a usare il mio umorismo più triviale. Qui c'era la soluzione a tutto il problem a. Se solo fossi stato in grado di farla sorridere! Mi fece spiegare quello c he avevo detto. Que- sto sembrò darle più materiale su cui pensare e il risultato fu che si accoccolava così frequentemente che quasi diventavo matto. Credo che ci debba essere una lealtà nascosta negli esser i umani, in quanto anche in quel breve periodo di tempo, Pearl, priva di sentimenti come era normalmente, ribadì ostinatamente la sua idea c he ai vecchi fosse permesso di vivere la loro esistenza innaturale. "Non cercai di persuaderla. La forzai. Che lo avess ero voluto o no. Quella notte lei mi diede il suo permesso. Il quart o giorno mi svegliai di ottimo umore. Questo era il giorno in cui sarei diventato il signore del creato! Non ero per niente disturbato che la mi a prima eredità fos-

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se quella di assumere l'ufficio di alto esecutore. Mi recai gioiosamente da Pearl e le chiesi se anche lei avesse fatto dei piani per la giornata. E la risposta fu affermativa. Mentre facevamo colazio ne su un dannato prato che sembrava segatura, parlammo dei vari meto di di sterminio. "Oh, ero veramente in uno stato d'animo meraviglios o! Per provare a Pearl che ero un giusto esecutore, mi offrii di c onsiderare i casi di ogni filostatico separatamente, per risparmiare que lli per i quali si sa- rebbero trovate circostanze attenuanti. "Cominciammo con il mostro maschile del primo giorn o. Davanti a lui nella cella chiesi a Pearl: «Che cosa puoi dire di buono su questo presunto esteta?«. "«Ha un'anima meravigliosa.« "«Ma guarda il suo corpo!~> "«Tu non sei in grado di giudicare!« esclamò. aE an che se il suo cor- po fosse in decomposizione? La sua mente è eterna. "«A che cosa sta pensando?« Pearl cominciò a pensare. Dopo un minuto disse: «A un buco nel ter- reno«. a«Puoi interpretare i suoi pensieri per me?« le chi esi. "«E difficile, ma ci proverò.« Dopo poco cominciò a parlare con tono inespressivo. «E un buco. E c'è qualcosa che riguar da questo buco... una volta sono rimasta con una gamba in un buco... mi sono tirata fuo- ri. Sì, c'è qualcosa... di ineffabile... così... ch iamato... aria... nei... bu- chi... profondità... Sì, questa è l'idea di un buco ... buco inverso infini- to...« "«Così va bene!« dissi e spinsi il ricettacolo di t anta sapienza im- provvisamente in avanti. Ci fu un rumore secco, com e un ramo che si spezza, e il ricettacolo cominciò a dondolare da un a parte all'altra contro le costole. "«Giustizia è fatta!« gridai. "La prossima era la vecchia donna. «Che cos'ha di b uono questa?« "«E una madre« mi rispose Pearl. "«Più che sufficiente!« esclamai e il colpo della m ia mano fu subito seguito da un altro rumore secco. «Giustizia alla d onna che diede i na- tali all Homo Sapiens ! « Quello che seguì era un r ottame orrendo, peg- gio di quelli visti precedentemente. «Che cosa di p ositivo puoi dirmi di lui?« "«E un grande scienziato.« "«Puoi interpretare i suoi pensieri?« UPearl si accasciò come al solito e poco dopo comin ciò a parlare: «Forza della mente... come è potente... sì, potente ... Ia base di ogni co- sa vivente... è davvero tutto... non il vivere... m a il pensare... in diretta proporzione... non c'è niente... mmm, tutto è relat ivo, ma tutte le cose messe insieme fanno l'unità... perciò abbiamo un'un ità relativa... o meglio dal momento che è l'altra metà dell'inverso. .. i due messi insie-

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me fanno un'altra unità e così abbiamo l'equazione; un'unità relativa è uguale a un'unità di relatività... sembra avere u n senso, Einstein era un primitivo. Sono d'accordo con Wlyxzso. Era più i ntelligente di Yutwxly. E con questo si dimostra che la mente vinc e sempre sopra la t materia...«. « Dimostrato! « esclamai urlando, mentre con un cra c partiva un al- tro collo. «Giustizia è fatta. Avanti il prossimo." t "Questo, come mi disse Pearl, era un metafisico « Oh Dio« gridai «non mi dire che in mezzo a tutti questi super meta fisici c'è uno spe- cialista e anche di più. A che cosa sta pensando?« "Ma questa volta la povera Pearl era dubbiosa. «A d ire la verità non siamo molto sicuri se lui pensi o no, o se è vivo o morto. Qualche volta riceviamo dei pensieri così deboli che non siamo si curi di averli vera- mente sentiti, secondo alcuni c'è il vuoto più asso luto.~ "«Prova« le ordinai. «Prova con tutte le tue forze. Ogni uomo morto deve avere la sua possibilità di essere ucciso.« «E così provò. In qualche modo, disse lei: «Credo d awero che sia vi- vo... la verità... aria... la verità saldamente rad icata nell'aria... ah, di- ramaZioni lussureggianti che vanno in profondità ne lla terra... ma non li tocco, quindi posso solo attaccarmi alle radici. .. D. Il suo collo fece crac. 4Spezzai il collo a un'altra dozzina. Ogni volta er a più facile. Poi Pearl mi presentò quello che era il tesoro della co llezione. La sua testa aVeva la circonferenza di un cesto da pallacanestro . "«Che cosa mi puoi dire di buono di lui?« "«E il più grande di tutti noi, e ti prego di rispa rmiarlo. Non so qua- le Sia la sua specialità, ma tutti qui lo considera no così eminente!« «A che cosa sta pensando?« 4«Questo è il problema« mi rispose «nessuno lo sa. Sin da quando è natO, non ha mai parlato. Sbava e basta. Nessuno è mai stato in grado di trovare dei segni di attività cerebrale. Lo abbi amo messo in una cel- la molto presto. Uno di noi ha suggerito che fosse un idiota idrocefalo fin dalla nascita, ma è stato un errore di giudizio , perché il resto di noi è sempre stato certo che la sua mancanza di vita è solo apparente. Le sue meditazioni sono semplicemente al di sopra dell a nostra sensibili- tà grossolana. Senza dubbio lui riflette sui proble mi più importanti dell'infinito.~> "«Prova, anche lui ha diritto alla sua possibilità. « ~Pearl provò, ma invano e così, con un crac, si rup pe anche questo collo. "E così continuai. Uno per uno, in rapida successio ne, e con un gu- sto che ancora ora mi sorprende quando ci ripenso, liberai la terra da questi nemici pubblici. In quel momento il sole era alto nel cielo, il la- voro era completo ed ero diventato il prossimo sign ore del creato!" ''L'effetto del lavoro mattutino si fece sentire su Pearl che cadde in pro- fonda meditazione per parecchie ore. Quando emerse dai suoi pensie- ri, sembrava sempre la stessa, ma dentro qualcosa e ra cambiato, come ora mi rendo conto, o forse qualcosa si era acceler ato, e quando questa accelerazione ebbe raggiunto un certo picco, la mia sciocca ambizione

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fu vergognosamente sconfitta. Ah, si prese una bell a bruciatura! E che scottatura! Altro che allegro e serio... ero ben co tto su tutti e due i lati. "Ma la consapevolezza della mia umiliazione finale venne più tardi e all'improvviso. I miei pensieri non erano assolut amente concentrati su un simile pericolo, ma sul milione di cari disce ndenti nei cui salotti ci sarebbe stato appeso un mio ritratto, quando Pea rl uscì dalla sua meditazione prolungata. "Avevo deciso di essere estremamente gentile con le i. un padre mo- dello anche se non un amante perfetto... così, quas i come un cortigia- no, la scortai nel campo vicino a una grossa pietra , sulla quale pronta- mente si sedette e in modo molto efficente mi chies e che cosa volevo. Credo che rimase contrariata quando le dissi che vo levo solo parlare con lei di alcuni preparativi relativi alla nostra futura civilizzazione, ma non fece nessun commento, mi fece dipingere un q uadro suggesti- vo delle nostre possibilità, e fu concorde con me s ulla linea da tenere con i vari piani che avevo formulato. "Avevo fretta. Le chiesi se voleva tornare indietro nella mia civiltà per avere una cerimonia come si deve. aPensavo che questa offerta fosse un gesto delicato da parte mia. Lei rispose con quello che equivaleva a un diritto sacr osanto del cuore. Mi- rispose severamente: «Sì, Frick, ti sposerò, ma pri ma devi farmi la corte ~, . "Osservate ora, Miles, e anche tu, Charles, la mia rapida ascesa alla più alta vetta della stupidità umana. lnnumerevoli altri uomini avreb- bero speso la loro vita cercando di arrivare a ques ta altezza vertigino- sa, pochi avevano quasi raggiunta la cima. Ma io, s ignore della crea- zione, ancora non c'ero arrivato. E... dato che non c'era niente altro da fare, cominciai a corteggiarla! "«Tieni la mia mano« mi disse... e io le tenni la m ano. Intanto lei pensava. «Dimmi che mi ami« mi chiese. E io le diss i che l'amavo. «Ma guardami in faccia quando lo dici« pretese... e io guardai quella faccia priva di espressione, con quelle labbra sott ili che mi ricordava- no sempre una pietra simile al vetro, e le dissi an cora che l'amavo. Mi resi conto che era ancora persa nei suoi pensieri, ed ebbi l'impressione che stesse cercando di capire le sue sensazioni. «B aciami« mi ordinò, e quando lo feci scivolò sul terreno in trance! "«C'è del mistero in questo, da qualche parte« mi d isse quando la sollevai da terra. «Devo pensarci su molto profonda mente.« "Ma io continuavo ad avere molta fretta! Così le di ssi... che Dio mi perdoni... che lei si stava chiaramente innamorando di me! E che den- tro di lei c'era qualcosa... non potevo immaginare cosa... che incorag- giava questa idea. Stavo battendo il ferro fino a q uando era... non completamente freddo! "«Oh, su« le dissi facendole fretta. «Vedi ben issimo che ci amiamo. Sposiamoci e facciamola finita.« « No, devi prima corteggiarmi« lei mi rispose, e io le feci notare che stava diventando troppo civettuola. t "«E anche per molto tempo« aggiunse. «L'ho sco perto nel tuo tem- po. Ci vogliono mesi.« aTutto questo era terribile! «Ma perché aspett are? Perché? Noi ci amiamo. Guarda Romeo e Giulietta. Non ti ricord i?« "«Mi piaceva di più quel giovanotto di nome Ru dy« mi rispose di- retta. "«Vuoi dire l'uomo che era al night-club?«

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"<~Sì« mi rispose. «Sembrava che cantasse solo per me.« ««No, non cantava, canticchiava!« la corressi irritato. - "«Va bene, canticchiava« disse «e ora tu cant icchierai per me, Frick.« Potete immaginare! Io e lei unici esseri tra t utti in un campo aperto e in piena luce del giorno! «Ma pensate che io canticchiai? Sì. Non mi ave te ancora visto ai miei massimi livelli! ', "«Di più« mi disse in tono astratto. «Credo d i sentire qualcosa.« Co- ~ sì canticchiai ancora per un po'. U«Canta qualcosa che fa rima con cuore e amore.« Ca ntai qualcosa in cui cuore faceva rima con amore. "«E adesso canta qualcosa con cui vero fa rima con sincero.« L'ac- contentai. U«Ora baciami ancora.« L'accontentai di nuovo! "Grazie a Dio si accasciò di nuovo in un altro pens iero! Scappai nel- la foresta mentre lei era incosciente, e non la riv idi se non il mattino seguente. "Cari amici, questo è il vergognoso esempio di comp ortamento che caratterizzò le mie due settimane successive!" "Io soffrivo. E quanto soffrivo! Eccomi lì,tutto co ncentrato all'idea di essere l'autore di una nuova civiltà, compiaciuto a l pensiero dei miei titanici progetti completati, e eccola lì, sicurame nte l'essere più straordinario cui desiderio umano potesse ambire, c he gelava la mia passione, e che spietatamente voleva essere cortegg iata! "Le tenni le mani per tutto quel tempo, diedi un'oc chiata ai suoi oc- chi mentre eravamo sulla tomba del vecchio idrocefa lo, canticchiavo delle canzoni per lei a mezzanotte, e potrei scomme ttere che tutto il vicinato era sotterrato proprio lì da anni, proprio negli stessi posti do- ve lei si accasciava a pensare nel bel mezzo di un bacio! "Lei aveva osservato molto da vicino... troppo da v icino, le tecniche dei preliminari dell'innamoramento come vengono att uate qui, nel nostro tempo, e in particolare gli effetti che ciò aveva sulle donne, e aveva bisogno ogni volta di concentrarsi profondame nte per stabilire se stava reagendo nella maniera corretta! UAh, ce n'era di cervello! Come sono felice di esse re stupido! "Cominciai a perdere peso e a essere sempre più sta nco. Mi resi con- to che il nostro corteggiamento poteva andare avant i per anni. Ma lei mi salvò proponendomi un'idea che le era stata sugg erita da un ro- manzo che aveva letto. Me la comunicò una mattina p iovosa, dicendo- mi che sarebbe stato meglio che io e lei non ci fos simo più visti per un paio di mesi. Aveva tante cose su cui riflettere, e tra l'altro era davvero molto dispiaciuta per i suoi compagni che erano mor ti senza neanche immaginare che la vita potesse contemplare una così gran quantità di quelle sane emozioni, che aveva imparato da me. "A quel punto avevo più fretta che mai di togliere la mia razza dal loro stesso potere, ma ero fisicamente così esausto che le mie proteste furono molto lievi, e così dovetti arrendermi. Face mmo tutti i prepa- rativi possibili e parlammo per l'ultima volta. Era chiaro a entrambi che sarei ritornato dopo due mesi e che l'avrei pre sa come moglie. Lei mi mostrò come far funzionare la macchina. Assestai i controlli e in un minuto ero di nuovo in questa stanza.

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"Ma la ingannai. E fu proprio così, in un certo sen so. Non aspettai due mesi. L'idea che mi venne fu quella di annullar e quel periodo nella macchina... così in un altro minuto stavo materiali zzandomi nei due mesi seguenti quando avrei dovuto sposarla! Ero mol to riconoscente alla macchina, in quanto quella prova mi aveva debi litato e aveva la- sciato la mia mente esaurita, e proprio non avevo i dea di come avrei potuto sopportare un periodo così lungo! Capite, av evo fretta! "Ah se solo lo avessi saputo! La catastrofe incombe va su di me! No- tate lá sua breve e veloce rapidità. "Quando arrivai, tutto era esattamente come prima. Il grande pa- lazzo era polveroso come prima, la comunità deserta , il blocco di quel- le morbose celle come le avevo lasciate. Solo i cam pi erano cambiati, trovai Pearl seduta in meditazione sulla tomba del grande idrocefalo. "«Sono sorpresa di vederti così presto« furono le s ue parole di ben- venuto «sembra che sia passata solo una settimana.« "«Sei stata bene, mia Perla inestimabile?« le chies i teneramente. ~Aveva cominciato a insistere perché la chiamassi c osì. Una volta, prossimo alla disperazione, lo avevo usato con un s ignificato diverso, e da allora mi aveva detto di usarlo tutte le volte che mi rivolgevo a lei...) L "«E stato un periodo di grande integrazione« mi rispose. «Infatti è stata un'esperienza molto preziosa. E sono giu nta alla conclusione che siamo stati troppo frettolosi nell'uccidere i miei prestigiosi compa- gni . « "(2uesto era dawero inquietante! Le dissi di venire a fare una pas- seggiata con me nei campi. Per ben tre volte l ei si accasciò al suolo in meditazione per delle cose a cui avevo soltant o accennato. "Capii che era sopraggiunta la crisi, e lo er a davvero. Feci uso di tut- te le mie risorse nell'ultimo tentativo di ott enere una vittoria imme- diata. Le presi le mani in una delle mie, le g ettai il braccio attorno alla vita, misi le mie labbra sulle sue, e le dissi in tono cantilenante: «Spo- sami adesso, cara! Non posso più aspettare! Ti amo, ti adoro, sono pazzo di te...« e accidenti, alla parola pazzo, lei si accasciò al suolo! ULa sollevai e ci provai di nuovo, ma, come u n orologio, alla parola 'pazzo' cadde al suolo di nuovo! L "Ero furibondo! Capite, dovevo fare in fretta ! Lei stava cambiando F; proprio davanti al mio naso! "Mi avvicinai alla macchina del tempo. Avevo intenzione di sapere ~`~ una volta per tutte quale sarebbe stato il mio futuro in rapporto a una potenziale razza umana. Preparai i comandi per l'anno successivo. , Questa volta trovai Pearl nella cella vuota . Era chiaramente più vecchia~ più avvizzita e più magra, e la sua t esta era diventata più grande. Sedeva sotto il baldacchino come aveva no fatto gli altri, e c'e- Sl ra un po' di polvere sui suoi vestiti "«E strano che tu venga in questo momento« mi disse con una voce rauca. «Stavo pensando a te.« "All'ultima parola lei chiuse gli occhi... così non poteva vedermi, ma solo pensarmi. Vidi che la scatoletta del cibo era piena. Con la dispera- zione nel cuore, tornai alla macchina. "Per qualche tempo esitai di fronte alla macchina. Ero così vicino alla fine. Il cambiamento era stato così veloce! A Pearl ci voleva un an- no, a me un'ora; e ancora le sue azioni erano così statiche, il suo carat- tere immutato, come se fossero stati pietrificati s otto il peso di millen- ni! Mi feci coraggio per quello che stavo per fare. Improvvisamente senza pensarci, saltai sulla macchina, impostai i c omandi avanti di settanta anni, e fui scaraventato nel futuro.

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"Vidi Pearl ancora una volta. A fatica la riconobbi nel mostro che se- deva sotto il baldacchino nella sua cella. Il suo c orpo si era raggrinzi- to. La sua testa era diventata enorme. Il suo naso era scomparso. La sua bocca era un'orribile, sottile crepa. Sedeva su uno strato di polve- re spesso, che ricopriva il suo stesso corpo. E puz zava di rancido da morire! "Era tomata a comportarsi come prima. Aveva superat o le differen- ze che l'avevano caratterizzata all'inizio, ed era al principio di quella strada nauseabonda che avrebbe dominato l'umanità n el futuro. NMentre stavo lì davanti a lei, le sue palpebre tre marono un pochi- no, e io capii che lei sapeva della mia presenza. E ra orribile. Ma il peg- gio doveva ancora arrivare. Anche la bocca si mosse . Si aprì e ne uscì un suono terribile. ~Dimmi che mi ami!« "Volai velocemente indietro al mio tempo!" 11 lungo racconto di Frick era terminato, ma le sue immediate conse- guenze furono di un orrore così improvviso che sia io che Miles non fummo in grado di muoverci dalle sedie. Nel silenzi o che ci circonda- va sembrava che la voce di Frick continuasse ancora , esuberante, ri- dente. aspra, flessibile come i suoi cambiamenti d' umore. Lui stesso crollò all'indietro nella sua sedia, a testa bassa, ormai senza energie. Rimanemmo così per dei lunghi minuti, ognuno con i propri pensie- ri, e ognuno con la certezza di quello che Frick av rebbe avuto intenzio- ne di fare e che noi non gli avremmo impedito. Fric k sollevò la testa e parlò. Tremavo all'idea di quello che avrebbe detto . --L'ultima volta le hanno lasciato cibo solo per ci nque anni. Dalle mie più remote profondità venne una voce che rispondeva: --Sarebbe un atto di pietà. ii --Per te--mi rispose Frick.--Io lo faccio perc hé lei è rimasta l'ul- timo disgustoso esemplare. Si alzò, ci fissò a turno con sguardo severo. --Volete venire anche voi? Nessuno dei due rispose. Lesse il consenso nei nost ri occhi. Sorrise sardonicamente. Si diresse verso la porta che aveva indicato, la ap rì con una chiave che aveva nella tasca, la tirò faticosamente verso di sé, entrò e accese una luce. Anch'io mi alzai e lo seguii, tremando, c on Miles dietro di me. _ Ho murato la macchina, non l'ho più usata da allo ra. Vidi la macchina. Era esattamente come lui l'aveva descritta. Rima- neva sospesa nel vuoto, alzata da terra di mezzo me tro! Per un mo- , mento mi mancò il coraggio di salirci sopra, e Fr ick mi spinse in qual- che maniera. Stava cominciando a mostrare l'eccitam ento che ci acco- munava per questo avvenimento eccezionale. Miles salì velocemente e anche Frick salì, con le m ani direttamente sui controlli.

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--Non muovetevi!--urlò... Ia stanza si offuscò di l uce dorata, poi più niente, e mi sentii pervaso da un silenzio inco mmensurabile. Improvvisamente ci fu ancora la luce dorata, e altr ettanto veloce- mente se ne andò. Eravamo in una piccola stanza scu ra. Era notte. Mi chiesi se lei sapesse che stavamo arrivando. Ci avvicinammo a lei silenziosamente, predatori nel l'infinito, il no- stro tappeto, nella polvere dci millcnni. 1,'na svo lta, una porta... e tro- vammo i campi addormentati sotto una pallida e gobb osa luna. Un angolo, una svolta... e vedemmo i trentasei sepolcr i dei mostri. Uno non ancora morto del tutto. Mi sembrava di essere i n un sogno. Ci addentravamo furtivamente attraverso l'erba alta . Frick in avanscoperta era come un animale veloce e rapido. Ci faceva da guida, attraverso l'erba umida che si attaccava alle no- stre gambe come per impedirci di raggiungere il nos tro scopo Cam- minavamo silenziosamente attraverso quei sepolcri. La Natura appro- vava; il suo cuore era esteso dappertutto, inconsap evole; e agli anni seguenti, non avrebbe importato nulla. Né avrebbe i mportato nulla alle mummie che erano nelle tombe intorno a noi. No n ora, con le loro teste appoggiate sulle costole. Solo a Frick import ava e anche tanto. ~ ~ Era il giovane agente dell'umanità prima della grande degenerazione. Fpx~,~ In maniera superba lui era giudice ed esecut ore. Rallentò vicino a un sepolcro dove c'era ancora uno di loro che non ~, era ancora morto. Si fermò, e io pregai. Fece un respiro profondo, pinSe la porta ed entrò. Spaventati, prima Miles po i io, lo seguimmo. La porta si chiuse dietro di noi. La tomba era come un pozzo d'inchiostro. Della polv ere invisibile mi saliva alla gola. C'era un terribile puzzo di st antio! Trattenni il fia- to, ma il mio cuore batteva furiosamente. Anche se in maniera leggera sentivo nel silenzio il battito degli altri due. Era possibile che un quarto cuore stesse battendo d ebolmente lì dentro? Rumori leggeri provenivano dalla mia sinistra. Un b raccio mi sfiorò da un lato, a tastoni. Udii un grido soffocato, cre do fosse Miles. Al più presto dovevo prendere una boccata d'aria fresca, t rattenevo il respi- ro. Aspettai, sforzando i miei occhi e cercando di guardare più avanti dove poteva essere un'oscurità più profonda attrave rso quel buio Silenzio. Forse Frick stava prendendo coraggio? Pot evo sentirlo mentre osservava al di là di me, atterrito da quell o che avrebbe visto. A un certo punto, la paura divenne intollerabile e in quel momento tutto finì. Ci fu un movimento, un rumore, un fiamm ifero acceso nel buio; per un secondo che sembrò durare un'eternità, guardai attraver- so un alone dorato di polvere, che si posava su una mostruosità mum- mificata... ma che muoveva le palpebre! Poi il buio ci riavvolse di nuo- vo, si sentì un rumore secco, come un ramo spezzato , e mi trovai a cor- rere con la Morte in persona alle calcagna attraver so il cimitero, in una corsa selvaggia verso il palazzo dove c'era la nostra macchina In pochi minuti eravamo di ritorno nel nostro tempo ; qualche atti- mo dopo Frick aveva distrutto la macchina e io ero fuori dal laborato- rio con l'immagine indimenticabile, mentre correvo, di Miles che die- tro di me urlava: aHa mosso le palpebre! Ha mosso l e palpebre!~ e

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l'altro, che camminava più indietro come un dio, al momento un po' stordito, allargando le braccia su quel cimitero or mai completato mentre diceva: asic /ransit gtona m~dt«. Titolo originale: Alas, All Thinking. Traduzione di Micaela Acocella. E.F. Russell e Leslie T. Johnson L'UOMO IN CERCA DEL FIJTURO La città venusiana di Kar risplendeva sotto la bocc ia capovolta di un alone azzurro. Era un giorno perfetto per una manif estazione cittadi- na sulla Terra dopo molti secoli. I cittadini appre zzavano la collabora- zione del tempo; Liberty Square traboccava di una f olla vociante e multicolore che turbinava dando luogo a disegni cal eidoscopici. Qual- cosa stridette nella volta spaziale; il caleidoscop io si fece uniforme- mente rosa quando mezzo milione di facce si levaron o al cielo. In alto nella stratosfera apparvero un paio di mati te metalliche che dall'estremità vomitavano fiamme rosso cremisi. Dag li ugelli dei mo- tori si irraggiavano verso il basso onde sonore che rimbalzavano sui timpani degli astanti. Le matite divennero più gran di; il cremisi si dif- fuse sulla superficie inferiore mentre i razzi fren anti spingevano al massimo. In breve gli oggetti si erano manifestati come lunghe navi spaziali affusolate. Si profilarono all'improvviso, enormi, e sprofondar ono dietro la massa possente degli edifici dell'università. Per u n attimo sembrarono indugiare, mentre gli oblò sui lati fissavano da so pra il bordo dei tetti la folla sottostante. Subito dopo erano svaniti. Ci fu uno schianto tre- mendo che riecheggiò seguito da un attimo di perfet to silenzio. La gran folla ritrovò la parola, ruppe in un brusio me ntre, simultanea- mente, si allungava in un flusso di individui che s i precipitavano lun- go University Avenue, verso l'aeroporto di Kar. La pista di atterraggio dell'aeroporto presentava u na scena di totale confusiOne~ Da un lato sostavano le navi spaziali c ircondate da una folla che urlava e si agitava. Il clamore era al ma ssimo, al punto che le guardie della città si erano disposte a cuneo e sta vano disperatamente facendosi largo attraverso una barriera di corpi. 11 gran vociare si fece più forte quando si capì ch e la nave più vicina StaVa per aprire il portello anteriore. 11 pezzo ci rcolare di metallo ruo- tò decisamente attorno al suo ingranaggio arretrand o sempre più al- I'interno, nell'ombra. Ancora una mezza rotazione e d era scomparso nella nave, mentre la forma di un uomo appariva nel cerchio di oscuri- tà. Dalla folla, i volti accesi, si levò un grido:--Uma s Karin! Urnas Ka- rin ~ Karin rispose alle ovazioni e alzò una mano per chi edere silenzio Metà della folla fischiò per chiedere silenzio, men tre l'altra metà con tinuava a schiamazzare. Quelli che fischiavano bias imavano quelli che schiamazzavano e questi a loro volta rispondeva no schiamazzan- do. Ci fu chi spintonò qualcuno e qualcun altro che si irritò. Una don- na svenne e crollò a terra mentre, dieci metri più in là, un uomo di pic- cola statura veniva colpito alla testa per ritorsio ne. D'un tratto cin- quanta persone diverse assunsero cinquanta diverse versioni di quello che per loro era un atteggiamento di minaccia. Un c ane nascosto guaì quando qualcuno lo calpestò e dalle retrovie della folla una voce stri- dula chiamò:--Woopsey! Woopsey!

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Subito la folla scoppiò a ridere; la tensione si er a improvvisamente dissolta e venne, infine, il silenzio. Karin saltò a terra seguito da una ventina di compa gni che emerse- ro dall'interno della nave. Lì vicino era stata sis temata una piccola piattaforma alta circa due volte un uomo. Karin vi montò su e coi suoi occhi penetranti percorse la folla. Una guardia in uniforme gli mise davanti una scatoletta di ebano montata su un tripo de. Karin fece cen- no alla guardia di andarsene, si piazzò di fronte a lla scatola e parlò --Amici miei--cominciò. La sua voce era piacevolmen te amplifi cata dall'altoparlante.--11 vostro meraviglioso ben venuto è già una ricompensa. Vi ringrazio, e di nuovo, anche a nome dei miei colleghi grazie! Ora sono sicuro che voi tutti scoppiate dal la voglia di sapere se questa spedizione ha fatto qualche sorprendente sco perta sul nostro ì~ Pianeta Madre.--Fece una pausa e sorrise mentre la folla gli comuni- 1 cava con un fremito che sì, scoppiava dalla voglia. --Ebbene, temo che la nostra storia sia davvero tro ppo lunga per essere raccontata nei dettagli. Basti dire che non abbiamo trovato al- cuna traccia della civiltà di quelli che erano i no stri antenati. Le gran- di città e le potenti macchine di un tempo si sono sgretolate nella pol- ; vere e sono state completamente cancellate dall'orm a del tempo. La vecchia Madre Terra è del tutto, e completamente, p riva d'aria, d'ac- qua, di vita. "Tuttavia una grande scoperta l'abbiamo fatta.--E q ui si fermò per un interminabile minuto.--Abbiamo ritrovato il corp o di un uomo preistorico! E stata davvero una scoperta sensazion ale. Là, in un mon- do tanto antico che ogni traccia dell'opera dell'uo mo è stata spazzata via, dove l'atmosfera si è disciolta nello spazio e persino la rotazione assiale è cessata, giaceva il corpo di quest'uomo. "Da un esame del cadavere è risultato il fatto appa rentemente im- possibile che aveva cessato di vivere da non più di cinquanta ore. For- tunatamente avevamo con noi, come parte del nostro equipaggiamen- to standard di pronto soccorso, una camera di norma lizzazione. Vi ab- biamo fluidificato il sangue e siamo riusciti a rip ortarlo indietro in condizioni tali da autorizzarci a sperare che gli e sperti del nostro Isti- tuto di Medicina e Chirurgia siano in grado di resu scitarlo. "Il corpo di quest'uomo è in perfette condizioni. L a causa della mor- te è stata, letteralmente, la mancanza di respiro. Sembra appartenere a un periodo risalente a diverse migliaia di anni p rima che i nostri an- tenati abbandonassero la terra agonizzante e si sta bilissero qui su Ve- nere, un periodo così remoto che le nostre registra zioni storiche non ne recano traccia. Pensate, la sua testa è coperta di peli e ha peli anche sul petto e sulle gambe! "L'abilità degli scienziati, in questa nostra epoca così evoluta, di far rivivere i morti nei casi in cui la morte non sia d ovuta a vecchiaia e non sia accompagnata da un serio danneggiamento org anico, è una meraviglia troppo nota perché le si debba dare anco ra rilievo. Forse ci sono qui persone che non sarebbero tra di noi se no n fosse per i mira- coli compiuti dai nostri uomini e donne più abili.. ." Venne interrotto da diverse grida di assenso. "Io credo che qui ci sia un'opportunità unica per l 'Istituto di ripor- tare in vita quest'uomo e permettergli di raccontar ci la sua storia con la sua viva voce. Se le mie speranze dovessero real izzarsi, intendo fare una richiesta ufficiale a Orca Sanla, presidente de lla commissione per

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la stereo-visione, che a quest'unico abitante di un pianeta da tempo morto venga concesso il permesso di comparire davan ti allo schermo della stazione stereo di Kar e spiegare al nostro m ondo circostanze che, per essere del tutto sincero, ci appaiono asso lutamente inspiega- bili.--Karin si voltò e fece cenno a un uomo alto e grosso che se ne stava in prima fila tra le schiere dei suoi seguaci .--A ogni modo, que- sta sera ci sarà per voi un programma. Olaf Morga, con l'aiuto di suo fratello Reca che si trovava nell'altra astronave, ha registrato tutte le immagini dei nostro viaggio dal momento in cui siam o partiti da Kar fino a quando abbiamo lasciato la Terra. Il filmato sarà inviato alla stazione S.K. e sarà trasmesso questa sera al tramo nto." Karin si era mosso per scendere quando si scatenò u na tempesta di - applausi. Una donna dal centro della folla gridò: --La cintura! = ~ Quella parola fu ripresa da mille altre persone . Prima ancora che . Karin avesse posato il piede sul primo gradino, l a folla intera stava gridando:--La cintura! Vogliamo la cintura! Morga e Karin si scambiarono un sorriso. Il secondo tornò al centro della piattaforma, slacciandosi con lentezza delibe rata la cintura di rnetallo flessibile che portava in vita. La tenne p enzolante per un'e- L Stremità, la folla danzava eccitata. All'improvviso la fece roteare sopra la testa e la scagliò in alto e lon- tano. La cintura volò, serpeggiando nell'aria dove la calca era ma giore. Quando cadde scattarono in una cinqúantina. Poi scomparve sotto un ammasso di esseri umani, che lottavano tut ti furiosamente per impadronirsi del souvenir così ottenuto. Rapide ad approfittare del diversivo, le guardie sg omberarono un sentiero che dalle navi spaziali raggiungeva la tor re di controllo. Ka- rin e il suo equipaggio, insieme con quello della n ave gemella, si preci- pitarono lungo il sentiero e dentro la torre. La fo lla sciamò fuori della pista dell'aeroporto, si riversò in un torrente var iopinto lungo Univer- sity Avenue e riempì, mettendole a dura prova, le s trade semoventi di- rette ai sobborghi. L'oscurità discese su Venere. Le stelle fisse su un cielo senza luna pe- netravano il velo spesso dell'atmosfera, disegnando pallidi bagliori di furtivo splendore sulle fiancate delle due astronav i interplanetarie che dormivano fianco a fianco, sulla pista coperta di r ifiuti. Due mesi dopo Bern Hedan, I'uomo che si era aggiudi cato la fibbia della cintura, stava cincischiando coi comandi del suo apparecchio stereoscopico e imprecava. Il nuovissimo schermo pa noramico di sele- nite mostrava, a colori naturali e con effetto trid imensionale, l'ultimo stadio di trasformazione nel ciclo vitale di uno st agno venusiano. La voce dl un annunciatore lasciava intendere che per i tirapiedi di Sanla un canto funebre suonato con un oboe asmatico era l 'accompagna- mento più adatto per le acrobazie trimestrali di un pesce con il capo --Per la morte della Terra!--sbottò, ricorrendo all 'imprecazione piU tremenda che la sua immaginazione potesse conce pire in quel mo- mento.--Pago cinquantacinque yogs subito e altri do dici a ogni alta marea per quest'apparecchio. Pago bollette della lu ce esorbitanti per farlo funzionare; verso diciotto yogs all'anno per il diritto di usare quello che ho comperato, o sto ancora comperando.-- Gesticolava e parlava ad alta voce. Gli piaceva molto parlare da solo Era attratto dalle opinioni dettate dal buo senso.- -E che cosa rice-

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viamo in cambio, mi chiede? Dimostrazioni figurate delle abitudini domestiche di babbuini venusiani col culo rosso con un sottofondo di lamentosi strumenti a corda. O le avventuare amator ie di una larva marina che fa la corte alla sinfonia per dieci armo niche del tale dei ta- h. Mah! 334 Girò rabbiosamente la manopola di selezione dei can ali che spunta- va dall'apparecchio dello stereo. Lo schermo si osc urò, si annerì, poi si schiarì e mostrò una nuova scena. Era un panorama d ella sala dei di- battiti della città di Nuova Londra. Due uomini sed evano su poltron- cine disposte su di un palco semicircolare di front e a un enorme audi- torium pieno di gente dalla platea ai loggioni. Un terzo individuo era in piedi sul palco di fronte a uno schermo stereosc opico. Bern Hedan notò che uno specchio appeso al muro dietro il palc oscenico provoca- va lo strano effetto di riflettere sul suo schermo domestico lo schermo trasmittente, dandogli un'immagine doppia delle tre figure sul palco. Il conduttore stereo stava dicendo:--Questa sera av ete ascoltato e assistito a un dibattito estremamente interessante e istruttivo sull'ar- gomento di un'altra Grande Migrazione. Voi tutti co noscete le ragioni che hanno costretto il genere umano a mettere in pr atica la scoperta dei mezzi con cui viaggiare nello spazio cosmico da ndo libero corso al- la migrazione di massa verso la nostra attuale dimo ra: Venere. I sinto- mi di una decadenza senile del pianeta, quali la pe rdita dell'atmosfe- ra, la perdita della velocità orbitale e della rota zione assiale, erano di- ventati così allarmanti che era evidente che le car atteristiche della Terra si stavano alterando troppo velocemente perch é l'umanità po- tesse adattarvisi. I giorni della Terra erano conta ti, almeno per quanto riguardava il genere umano. Venere presentava un ha bitat adatto per i nostri predecessori, per noi e per i nostri figli e nipoti. E i mezzi per andare su Venere erano disponibili. "11 tema di discussione stasera è stato, per dirlo in breve, 'La storia si ripeterà?'. Nel corso del tempo, a un certo punt o nel lontano futuro il destino del nostro pianeta sarà lo stesso di que llo della Terra. Può darsi che non ci faccia piacere pensarlo, ma è un f atto, un fatto perfet- tamente naturale, e inevitabile. Gli abitanti di Ve nere moriranno su Venere o ci sarà un'altra Grande Migrazione?n Con u na mano indicò I'uomo seduto alla sua destra. 4I pessimisti pensano che noi siamo condannati per le ragioni che vi ha spiegato, la più incontestabile delle quali è ch e il nostro prossimo approdo nello spazio è il pianeta Mercurio, e Mercu rio non è in nessun modO abitabile dagli essere umani.--Poi indicò il l ato opposto.--Gli ttimisti~ invece, sostengono che l'umanità non scom parirà mai dal reatO, soprattutto grazie al costante progresso sci entifico che, ha det- ~to, ci consentirà di perfezionare l'arte di naviga re nello spazio a tal ~punto che potremmo scegliere tra una dozzina di mo ndi molto prima ~che l'attuale diventi inospitale. Con ciò si conclude il dibattito tra Leet Horis di Kar e Reca Morga ~della Società dei Dibattiti di Nuova Londra." |- Rimase immobile a sorridere dentro lo schermo di trasmiss entre il pubblico applaudiva. --E ora veniamo all'avvenimento che tutta Venere ha atteso con la massima curiosità. Da quando l'Istituto di Kar è ri uscito a resuscitare l'uomo preistorico due mesi fa, il mondo intero è i n attesa di ascoltare la sua storia. Ci sono state critiche su questo rit ardo che, vi posso dire

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ora, era dovuto al fatto che il semplice ritorno in vita di quest'uomo non bastava a giustificare una sua immediata appari zione sul video. Aveva bisogno di un periodo di convalescenza, duran te il quale ha im- parato a parlare la nostra lingua. Troverete che si esprime con buona padronanza, e la ragione è che la sua lingua è risu ltata essere la radice della nostra. Bem Hedan regolò il tasto della luminosità del suo apparecckio in modo da rendere l'immagine del palcoscenico più nit ida. Spostò una poltrona di fronte allo schermo, vi si accomodò e a ccese il grattatesta automatico. Rabbonito dalla comodità dei cuscini e dalla delicata fri- zione del grattatesta, si dispose di buon grado ad ascoltare. Dopo essere stati inquadrati dal teleschermo, i due protagonisti del dibattito lasciarono la scena. L'annunciatore raggi unse allora il retro del palcoscenico, aprì una porta e, con aria solenn e, fece entrare l'uo- mo preistorico. L'uomo stava direttamente di fronte allo schermo e studiava duecentomila venusiani. Duecento milioni d i venusiani stu- diavano l'uomo. I venusiani erano leggermente delusi. L'oggetto del la loro attenzione non aveva l'aspetto di chi vive sugli alberi e si n utre di noci. Il capo era coperto di peli disgustosi. Ma, a parte questo, sem brava del tutto nor- male. Era alto un metro e ottanta; gli occhi scuri, vigili, il volto da in- tellettuale anche per il giudizio dei venusiani. Un silvoid ~carossa rica- mato gli pendeva dalle spalle; in vita portava l'in evitabile cintura ve- nusiana. Sembrava sentirsi completamente a proprio agio; era evidente che non concordava col pubblico nel dare a lla sua persona un valore di puro antiquariato. --Ho l'onore di presentarvi--cominciò l'annunciator e,--Glyn Weston, l'uomo del 2007 d.C., un'epoca che si situa circa settantamila anni prima della Grande Migrazione, ovvero centocin quantamila anni Un mormorio di sorpresa percorse le file compatte d i sedili --Glyn Weston ha raccontato la sua storia al consig lio dell'Univer- sità di Kar; ha dato un preziosissimo contributo al le pagine della sto- ria antica. Ora gli chiederò di ripetere per noi il suo racconto e sono certo che dopo che avrete sentito quello che ha da dirvi converrete che questa voce del passato ha narrato la storia più so rprendente che sia mai stata tra.cm~cczl Cll nllesti schermi. Glvn Wes ton. Amici miei--cominciò Weston, parlando con una voce piacevolmen- te modulata--c'è una cosa che devo dirvi prima di i niziare il mio rac- conto. Il più grande dono che Dio ha fatto all'uomo è la vita. Non pos- so dire che voi mi abbiate dato la vita, ma alle no tevoli capacità della vostra meravigliosa civiltà io devo la restituzione di ciò che mi era sta- to sottratto: la vita! Il debole e fallace potere d ella parola è del tutto inadeguato per esprimervi la gratitudine che provo. Desidero che ognuno di voi sappia quanto io abbia apprezzato ciò che ha fatto per me la scienza venusiana. (Un boato di applausi scosse l'auditorium. Il pubbl ico finì per con- vincersi che stava per ascoltare un uomo e non un s elvaggio.) --Come vi hanno detto, mi chiamo Glyn Weston. La mi a età non la conosco, e la ragione vi apparirà evidente più avan ti dalla mia storia. All'epoca che viene definita come mia, se mai un pe riodo storico si può chiamare così, ero un fisico. "Ho cominciato il mio lavoro all'età di 28 anni qua ndo fui abbastan- za fortunato da ereditare una grossa somma di denar o. Allora ero l'as-

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sistente del famoso professor Vanderveen astrofisic o all'Osservatorio di Glasgow. Per diversi anni il mio pallino era sta to lo studio dell'ope- ra di McAndrew, noto a tutti come 'l'uomo del raggi o mortale'. "McAndrew era uno scienziato del decennio precedent e. Il suo lavo- ro aveva sopravvanzato quello di certi matematici e fisici del Ventesi- mo secolo, più in particolare di Einstein, Graham, ~orrest, e Schweil. Era l'esponente più autorevole al mondo del concett o spazio-tempo e, come molti altri geni, egli morì dopo aver subito l 'incredulità dei suoi contemporanei, perché aveva sostenuto che sarebbe s tato possibile viaggiare attraverso il tempo, muoversi nel tempo v erso il futuro. "Schweil, che aveva lavorato in coppia con McAndrew , aveva dimo- Strato che il tempo non era un concetto indipendent e, bensì un aspetto del movimento. Non ci poteva essere tempo senza mov imento, né mo- vimento senza tempo. "Ciò potrebbe apparire piuttosto oscuro ad alcuni d i voi, ma in real- tà è molto semplice. Provate a immaginarvi il tempo senza il movi- mentO; pensate ai mezzi coi quali misurate il tempo . I due concetti non possono essere separati, in quanto sono semplic emente due aspet- ti diversi della medesima cosa. McAndrew dedicò la propria vita alla ~s Scoperta della vera relazione fra questi due asp etti e, se posso metterla CoSì, a definirne la 'differenza'. "Il suo lavoro fu coronato dal successo due anni pr ima della morte. Lavorando alla teoria secondo cui la velocità del m ovimento e il ritmo !`~ del tempo si mantengono costantemente paralleli , egli sviluppò un yl raggio col quale fece svanire una serie di oggetti. Sosteneva che il rag- gio faceva aumentare la velocità del movimento degl i elettroni, in mo- do che gli atomi vivevano il tempo a una velocità m aggiore e gli ogget- ti venivano proiettati nel futuro. Naturalmente gli risero in faccia. ''La sua scoperta veniva descritta nei termini più assurdi, quali 'il disintegratore automatico' e 'il raggio della morte '. McAndrew lasciò i dati della sua scoperta al solo scienziato che gli aveva creduto. Quello scienziato era Vanderveen, il mio superiore. "Vanderveen era sui cinquant'anni quando raccolse i l testimone che gli aveva passato il fallito McAndrew. Nel periodo passato con lui mi diede un costante, quasi paterno, incoraggiamento. Il mio interesse per il lavoro di McAndrew gli faceva immensamente p iacere. Quando ricevetti la mia eredità gli comunicai il mio desid erio di usarla per proseguire le ricerche là da dove si era fermato Mc Andrew "aWeston« mi disse, posandomi una mano sulla spalla «ho pregato perché questa fosse la tua ambizione. McAndrew, ahi mè, in me ha tro- vato un segugio troppo vecchio per imparare nuovi t rucchi. Ma tu... tu sei giovane.« "Così il seme era stato gettato. Ma Vanderveen non visse abbastanza per vederne il frutto. Ventidue anni dopo divenni l a cavia umana di un esperimento di viaggio nel tempo. Avevo allestito i l mio laboratorio nella regione selvaggia del Peak District nel Derby shire, in Inghilter- ra, dove potevo portare avanti il mio lavoro con in terferenze minime. Da questo laboratorio io avevo spedito nell'ignoto, presumibilmente il futuro, una moltitudine di oggetti, comprese anche diverse creature viventi come ratti, topolini, piccioni e volatili d omestici. In nessun ca- so ero riuscito a riportare indietro qualcosa che a vevo fatto svanire. Una volta partita, la cavia era sparita per sempre. Non ci fu modo di scoprire dove esattamente fosse finita. Non rimanev a altro da fare che rischiare e andarci io stesso.

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"A questo scopo progettai una camera a tenuta stagn a per viaggiare nel tempo e la feci costruire immediatamente. La ca mera era in grado di contenere il propulsore del raggio di Schweil-Mc Andrew, in una versione molto perfezionata, me stesso e una quanti tà di materiale che ritenevo necessario portare con me. Avevo allestito il propulsore in modo tale che l'intera camera, con tutto ciò che co nteneva, sarebbe svanita immediatamente non appena avessi acceso il raggio. Natural- mente sapevo che se quella camera mi avesse davvero trasportato nel futuro, sarebbe stato d'obbligo considerare la poss ibile alterazione dei contorni del terreno nel corso del tempo da me perc orso. Sarebbe sta- to considerato fare l'esperimento in un punto dove il suolo si sarebbe sollevato lasciandomi incastrato metri al di sotto della superficie ter- restre. Pertanto affittai un terreno sulla cima di una collina a una quindicina di chilometri a nord-ovest di Bakewell, un luogo molto so- litario ed equipaggiai le travi del tetto con un pa racadute di mia pro- gettazione per cautelarmi da un possibile fenomeno opposto. "Il 14 di aprile del 1998 d.C. tutto era pronto per il mio esperimento. I miei affari finanziari erano stati sistemati con più di una attenzione al futuro. La camera per il viaggio nel tempo, abbo ndantemente dota- ta di finestre e rassomigliante a una cabina telefo nica molto grande, stava al centro del campo dell'agricoltore Wright. Avvicinandomi a essa, ignaro di ciò che il Fato aveva in serbo per me, pensavo a che aspetto assurdo doveva avere, eretta così in mezzo ai solchi. Senza la minima esitazione aprii la porta, entrai e la richi usi a chiave, azionai il dispositivo per purificare l'aria, diedi un'ulti ma occhiata alla Terra, immersa in una fresca atmosfera primaverile, e abba ssai la leva del propulsore." --La sensazione di essere sotto l'influenza dei rag gi era stranissima. La mente sembrava svuotata di tutti i pensieri, tra tteneva soltanto ed esclusivamente le impressioni contrastanti di ruvid ità e di levigatez- za, viscosità e lucentezza, come se la stessa natur a della mia materia cerebrale oscillasse tra una sorta di fibrosità com e quella di una cara- mella tirata e una suadente morbidezza come quella di una palla di stucco arrotolata di fresco. Un velo di nebbia sces e fra me e il mondo che mi sforzavo di guardare. La nebbia era elusiva, intangibile. Qual- che momentaneo effetto ottico intervenne per sconfi ggere ogni mio sforzo di decidere se quella nebbia coprisse le fin estre della camera o i miei globi oculari. "Fui assalito da un panico improvviso e tirai la le va di accensione alla quale la mia mano destra era ancora aggrappata . Una sensazione di immensa stanchezza mi tormentb il corpo da capo a piedi, i miei vasi sanguigni frizzavano come se il loro contenuto fosse stato sosti- tuito con acqua minerale. La fugace nebbia fu strap pata via come il velo trasparente di una danzatrice orientale. Stavo malissimo. "La mia chiave scattò nella serratura. Uscii e mi g uardai intorno. Tutto sembrava esattamente come lo avevo lasciato. Il campo era an- Cora arato; qualche albero e i cespugli mostravano di essere consape- voli della primavera; il cielo era ancora nuvoloso, l'aria frizzante co- me prima. Il mio esperimento era fallito. "Quello che si incamminò verso il suo laboratorio a ttraverso i sen- tieri solitari era un uomo distrutto. Ricordo che g li uccelli cinguetta- VanO, ma io non li udivo, in quel momento; fiorelli ni precoci aggiunge- vano la loro dolce bellezza a questo mio mondo orri bile, ma io non li vedevo.

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"Maledicendo mentalmente la mia mancanza di previde nza per non aver parcheggiato l'auto nel campo in affitto, svol tai per un tornante e cominciai a risalire una collina che stava fra il c ampo e il laboratorio. Un bracciante della fattoria emerse da un sentiero alla mia sinistra avanzando faticosamente dietro di me. Accelerò il p asso, mi raggiunsé e mi chiese l'ora. Era un vecchio e aveva l'aria di essere un tipo loqua- ce. Pensai che la sua domanda fosse una scusa per a ttaccare bottone. Ciò nonostante presi la catena d'oro e guardai l'or ologio da poco prez- zo attaccato alla sua estremità. "«Mi dispiace, I'orologio si è fermato.« "«Anche il mio« rispose. «Vuol dire che la sentirò alla radio, quando arrivo a casa.,> Si accese una sigaretta e camminò su per la collina in silenzio per un breve tempo. «Che ne pensa del gran de volo dei missi- li?~ domandò all'improvviso. "Mi era difficile riprendermi e dovetti fare un gro sso sforzo mentale prima di potergli rispondere. In qualche modo riusc ii a ricordarmi del sensazionale volo attraverso la Manica di Robert Ca lir. Quello era sta- to salutato come il primo esperimento veramente riu scito di volo umano con un missile. Se ricordavo bene, il volo av eva avuto luogo al- meno un mese prima. La scienza dei razzi destava l' interesse di un nu- mero estremamente ristretto di persone ed era stran o che il vecchio mostrasse ancora dell'interesse per un avvenimento di un mese prima. Ma la buona creanza imponeva una risposta. '«Giusto un altro passo avanti nella marcia inevita bile del progres- so« replicai. '«Pensa che andranno sulla Luna?« "«Chi può dirlo« risposi evasivamente. °«Be', se ne parla; se ne parla« insisteva lui. «Gi usto l'altro giorno ho letto sul giornale che un certo professore ha st abilito quanto ci vor- rebbe per andare su Venere, come si potrebbe costru ire un missile adatto e quanto costerebbe. Ho sempre pensato che V enere fosse una donna nuda, non un pianeta. Ciò dimostra quanto la scienza sia pro- gredita da quando ero giovane io.« "«Ah, ma è il destino di tutti noi essere considera ti ignoranti rispet- to alle conoscenze più recenti« buttai lì per calma rlo. "«Dove si andrà a finire?« domandò lui, tirando una furiosa boccata alla sigaretta. «Prima i motori a vapore, poi le au tomobili, gli aerei e quegli auto... come diavolo si chiamano che sembran o mulini a vento e non hanno ali, aerei stratosferici. E ora i razzi ! Ricordo che quando ero ragazzo fece furore sui giornali Ginger Leacock quando circum... circum... fece il giro tutt'intorno al mondo senza fermarsi, in uno di quei pazzi vecchi aerei stratosferici. Da allora ha nno fatto il giro altre sei volte e non ne hanno ancora abbastanza! Per que sto hanno inco- minciato a impicciarsi con i razzi. Per cominciare un pazzo scatenato finisce sopra una casa e si rompe l'osso del collo. 'Martire della scien- za' lo hanno chiamato. Poi un altro idiota che vuol e diventare un mar- tire attraversa la Manica su un missile e si spezza entrambe le gambe. Per non essere da meno un altro scemo parte da Dubl ino e centra in pieno un grattacielo di New York spiaccicandosi tut to...« "«Bastal« lo interruppi «Di che diavolo sta parland o?«

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"«Razzi;> rispose, sorpreso. «E ora che possono and are di qui in Nuova Zelanda in ventiquattr'ore, comprese le soste , o diciotto senza, L quello che io ho da dire è« "«Mi vuole ascoltare?« gridai, afferrandolo p er le spalle. «Perdio, cosa sta dicendo?« "«Senza offesa, capo, senza offesa« disse ner vosamente, cercando di ritrarsi. «Non intendevo offendere nessuno, dav vero!« "«Ma certo che non sono offeso« tuonai. Poi, quando mi accorsi che il mio comportamento lo stava innervosendo, mi calmai e ripresi in un tono più basso. « Lei mi deve scusare, ma l'arg omento di cui stava par- lando è di estremo interesse per me, e per una serie di ragioni non ho più avuto modo di aggiornarmi. Stupidamente mi sono lasciato pren- dere dall'eccitazione quando lei ha fatto cenno al volo di un razzo su New York. Mi saprebbe dire quando ha avuto luog o? " « Be ', mi faccia pensare! « Apparentemente rassicurato, si fermò e si mise a guardare il cielo mentre scrutava nella sua memoria. «Per quanto mi pare di ricordare era l'estate del 2 004.« "«Che anno?« ~- "«112004« ripeté. "«E quando è stato questo grande volo di miss ili al quale alludeva b all inizio?« domandai facendo uno sforzo pazze sco per controllarmi. "«Ieri.« "«Senta, le potrà sembrare una domanda strana la mia« gli dissi ~ma sto abbastanza bene. Ho solo un lieve dist urbo di memoria. Dun- que mi dica, che giorno era ieri?« "Sembrava comprensivo, tirò fuori un giornale ripiegato dalla tasca siniStra, lo aprì apposta e me lo diede. Un ti tolo a nove colonne alto Cinque centimetri attraversava in alto la prim a pagina. Diceva: NUOVO IlMITE DEI RAZZI. E il sommario: IN NUOVA ZELA NDA IN 18 ORE--Lamson St schianta nelta Hawkes Bay. Non feci tanto c aso a questa notizia, per quantO fosse entusiasmante. I miei occhi cerca vano impazienti in ci- ma alla pagina. E là si trovava a chiare, inco nfutabili lettere: LA VOCE DEL GIORNO--22 maggio 2007. "Prima che il poveretto, spaventato a morte, potesse muoversi, lo avevo abbracciato e lo stavo baciando. Lanciai il giornale per aria e al 7 volo gli sferrai un ~ran calcio mentre stava per ricadere. Gridai a squarciagola e mi misi a ballare un fandango sulla strada. Il cappello cadde e rotolò diritto in una pozzanghera; la caten a dell'orologio saltò fuori e danzò al tempo. Il mio esperimento di viagg io nel tempo era nuscito! Per cinque minuti divenni pazzo da legare, mentre il mio compagno, dimentico della dignità dell'età e dei re umatismi, raggiun- geva al galoppo la cima della collina come un cervo inseguito dai cac- ciatori e scompariva dietro la cresta." --La notevole impresa di aver compiuto un breve via ggio nel tempo non ebbe su di me l'effetto che mi ero immaginato q ualche anno pri- ma. Non mi precipitai, rosso in volto e trionfante, a darne l'annuncio a un mondo esterrefatto. Al contrario, divenni diffid ente e riservato co- me tutti gli avari. Il mio desiderio di fama e il r ispetto per il mondo scientifico svanirono, sostituiti da una curiosità così insaziabile che l'oggi era ormai solo un momento per speculare sul domani. Il futuro mi aveva in pugno come una droga malefica. "Prima ero diffidente perché ero deciso a impedire che il mio lavoro cadesse in mani indegne. Ora il motivo era che avev o paura che mi ve- nissero sottratti i mezzi per soddisfare il mio des iderio di esplorare il futuro il più accuratamente possibile. "~otto ogni aspetto risultava altamente desiderabil e che io intra- prendessi subito la prossima avventura. La mia sort e personale era faccenda di poco conto; il mio denaro era al sicuro , ma non abbastan- za da resistere all'assalto del tempo. Giunsi alla conclusione che mi potevo permettere di ignorare la sorte delle mie fo rtune terrene. Non

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sembrava probabile che le potessi reclamare in un l ontano futuro. 4Nell'atmosfera silenziosa del laboratorio pieno di polvere ci pensai su. La camera del tempo doveva essere rimossa al pi ù presto. Sapeva il cielo quale strana storia avrebbe raccontato il mio interlocutore di prima, quali occhi curiosi e mani indiscrete avrebb ero esplorato l'og- getto sul campo di Wright. E a proposito di quello, non sapevo nean- che se apparteneva ancora all'agricoltore Wright. I l proprietario, chiunque £osse, avrebbe potuto cacciar via l'intrus o dalla sua proprie- tà a suo arbitrio. Quella notte stessa dovevo fare la prossima mossa. "Un'ora dopo il tramonto entrai nella camera del te mpo e chiusi a chiave la porta in previsione della mia seconda avv entura. Ero a sto- maco vuoto; nel laboratorio non c'era niente da man giare e io non ave- vo ingerito niente da ore. Mi consolai con una siga retta che aveva nove anni ed era ancora fresca! Pallide strisce di luce si allungavano dal cie- lo in direzione dello Staffordshire; la luna c rescente pendeva bassa e le stelle luccicavano distinte. La sigaretta c edette la sua ultima, fra- grante boccata. Schiacciandola sotto il piede, mormorai: «Addio 2007 ! « . "Con una mano sull'interruttore, esitai. L'ul tima volta la leva era stata abbassata tra i sei e i dieci secondi, p er quanto avevo potuto sti- mare, e avevo coperto nove anni. Dunque la dis tanza percorsa era pro- porzionale al tempo in cui la leva era abbassa ta? Sarei rimasto ucciso quando i raggi mi avessero portato al giorno c he la natura aveva fissa- to come quello della mia morte o, per quanto p otesse apparire logico o no, sarebbe stato possibile oltrepassarlo inde nne? Il silenzio rispose alle mie domande non pronunciate. Non c'era al tro da fare che sco- prirlo. Poteva essere un buon esito o il suici dio. Abbassai completa- mente la leva con esagerata determinazione. Il dado era tratto! "Non vi annoierò con un'altra descrizione del malessere che ho defi- nito nausea del tempo. I raggi entrarono in az ione per un periodo dieci volte superiore a quello della precedente occa sione: quasi un minuto. Poi lasciai la leva. Il corpo venne sottoposto a una potente, ma mo- mentanea tensione, ed ero già arrivato. La chi ave scattò nella serratu- ra e la porta si spalancò all'interno. Qualcos a mi afferrò per i piedi e caddi in avanti. Alzatomi scoprii che la camer a del tempo era sprofon- data di circa 15 centimetri nel suolo; avevo i ncespicato sul gradino di terra fuori dalla porta. Fu una fortuna non av er dotato la camera del tempo di una porta con apertura all'esterno: s arei rimasto in trappola. "Guardandomi attorno, la prima cosa che notai fu che il campo non ` era coltivato. Qualche misero alberello e qual che cespuglio esponeva- no gli ultimi brandelli di fogliame bruno. Il cielo era grigio, cupo e nu- ~, voloso. Conclusi che si doveva essere nel tard o autunno o già in inver- no. Non c'era anima viva mentre attraversavo i l campo verso il sentie- ro. 3 aMi imbattei in un muretto di pietra alto poc o più di un metro e vi salii sopra per scrutare il lontano orizzonte e il terreno tutt'intorno. Non c'era alcun segno di vita o di abitazione umana. Lo sguardo spa- ziò ansioso tutt'intorno, intravidi una forma inspiegabile a una di- stanza di circa sette chilometri. Mi tolsi gli occhiali, pulii le lenti e me Ii aggiustai bene sul naso. L'oggetto era un e norme emisfero di colore l~ grigiastro. "L'edificio, se di ciò si trattava, spuntava dalla cima della collina co- rne una verruca sul naso della terra. Si trova va nella direzione oppo- Sta a quella dove c'era, o c'era stato una vol ta, il mio laboratorio. Ero , affamato e il mio stomaco suggeriva che quell 'unica presenza artifi- ciale nel paesaggio prometteva cibo. Saltai gi ù dal muretto e mi dires- si con passo pesante verso il cocuzzolo lontan o. "Camminando speditamente per una buona oretta arrivai ad alcune centinaia di metri dall'oggetto, che si era rivelat o un'enorme gobba di

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cemento del diametro di circa trenta metri e alto c entocinquanta. Sul- la cima sembrava esserci un grande buco. Non ebbi i l tempo di fer- marmi a esaminarlo prima di avvicinarmi- rallentai il passo e una vo- ce si materializzò dall'aria dietro di me. Parlava con un accento curio- samente biascicato, simile più o meno a quello degl i scozzesi, secco e conciso. Disse:--Continua! Mi girai di scatto. Di fronte a me c'era un uomo ve stito di marrone scuro, I'abito a metà tra una tuta da ingegnere e u n'uniforme militare. Sul capo portava un elmetto, niente più che una cuf fia di metallo scu- ro; in pugno aveva un oggetto che somigliava solo l ontanamente a un fucile. Il suo abbigliamento era del tutto disadorn o e lo faceva assomi- gliare a una via di mezzo tra un soldato e un idrau lico. "«Da dove sei sbucato?« escalmai. "«Da sotto un cespuglio d'uva spina« disse lui, sor ridendo aperta- mente. «E tu?« "«Dall'anno 2007.« "«Addirittura! Allora il passato si rivolta contro di noi!« C'era una nota di sarcasmo nella sua voce, ma pareva un tipo intelligente. a«Mi devi credere« ribattei. «La mia storia è molto lunga, ma quan- do l'avrai udita, la troverai...« "«Molto verosimile!« intervenne. «Se sei un bugiard o migliore di tanti noi, vorrà dire che sei in gamba. Ora cammina . Ci potrai raccon- tare come hai fatto a salvare il mondo nel 2300 non appena saremo al- I 'interno. « 4«2300! Hai detto 2300?« Tentai di afferrargli il b raccio. "Mi puntò la bocca dell'arma contro lo stomaco. «Ce rto che ho detto 2300. Muovi i piedi un po' di più e la lingua un po ' meno. E, giusto nel caso che tu voglia continuare a giocare la parte de l Matusalemme, posso anticipare una tua domanda informandoti che q uesto è l'anno di disgrazia 2486?« "aSanto cielo! « urlai voltandomi e incamminandomi su per la colli- na. «Ho fatto un salto di quasi quattro secoli!« "«Dalla padella alla brace« fece il mio compagno. "«Perché? Cosa intendi dire?« "«Esattamente quel che ho detto« riprese, mentre il suo volto assu- meva un'espressione sardonica. «Può darsi che tu si a un bravo saltato- re, ma come selezionatore non vali proprio niente. Perché non hai fat- to un salto un po' più corto o un po' più lungo? Il saltatore che viene a finire in questo anno è pazzo. Diavolo, lo sapevo i n ogni caso che tu sei matto! « a«Sì, ma..« `` "«Cammina, saltatore, cammina!« ordinò. «Non voglio usare il mio fucile economico con un bianco, anche se è pazzo.« "«Perché chiami la tua arma un 'fucile economic o'?« gli domandai. "Lui emise un sospiro. «E va bene, se vuoi fare conversazione e fin- gere di ignorare le cose comuni. Si chiama così perché viene caricato di frecce avvelenate ad aria compressa e così si risparmia la spesa per

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I'esplosivo di cui hanno tanto bisogno altrove.« J "Stavo per chiedergli dove avessero bisogno di esplosivi e per quale scopo. quando scoprii che eravamo arrivati ai pi edi della montagnola di cemento e ci trovavamo di fronte a una porta laterale di metallo. "Il mio compagno toccò la porta e fece scorrere una piccola botola nel mezzo scoprendo uno schermo fluorescente die tro a essa. Si mise di fronte allo schermo e parlò: «Numero KH. 3285 1B4, con un signore dell 'anno 2007 « . --La porta si spalancò silenziosamente. Entrammo . Di fronte a noi c'era un lungo corridoio illuminato con luce ind iretta proveniente da fessure sui lati. Con passo sincronizzato, che m i irritava e che cercavo inutilmente di rompere, marciammo lungo il corri doio. In fondo svol- tammo a destra, avanzammo con passo militaresco lungo un altro cor- ridoio di cemento ed entrammo in una grande stan za. UUn individuo con la pelle come il cuoio e i ba ffi guardò su dalla sua scrivania. «Che cosa vuoi?« ringhiò. "«Cibo« risposi in fretta. "«Portagli del cibo« disse rivolto al mio custo de. E voltandosi verso di me: «Siedi«. "Per terra accanto a me c'era un grosso cubo di gomma rossa. Mi ci sedetti sopra con cautela. Era un cuscino gonfia to ad aria e ci si stava magnificamente. L'uomo dietro la scrivania si sp orse in avanti, accese uno strumento che aveva una vaga rassomiglianza con i vecchi regi- stratori Si lisciò i baffi e mi ispezionò. "«Nome?« domandò. U«Professor Glyn Weston.« "«Professore, eh? Di quale istituto di ricerca? « "«Prima all'Osservatorio di Glasgow. Da allora ho lavorato nel mio s laboratorio a circa quindici chilometri da qui. « "«Non ci sono laboratori nel raggio di venti ch ilometri« disse lui, acido. "«Il mio laboratorio si trovava a nove miglia d a qui nell'anno 2007« ribattei ostinato. "«Nt~l 2nn7! Ouanti anni hai allora?« "«Da un certo punto di vista ho superato da poco i cinquant'anni, da un altro ne ho quasi cinquecento.« "«Assurdo!« esclamò. «E evidente che è assurdo!« "«C'è una spiegazione a quest'apparente assurdità. Nel 2007 ero il primo uomo ad aver viaggiato nel tempo, cioè nel fu turo. Ero arrivato in quell'anno dal 1998. L'esperimento è stato ripet uto e questo è il ri- sultato: sono qua.« "«Ah!« Con l'indice si grattò il lato del naso ment re mi fissava in modo strano. «La popolarità dei racconti di fantasc ienza ci ha reso I argomento del viaggio nel tempo piuttosto familia re. Ma viaggiare nel tempo non è possibile.« ~'«E perché?« chiesi io. "«E illogico.« ' «La vita è illogica; i terremoti sono illogici.« «E vero« convenne. «Sotto certi aspetti è profondam ente vero. Ma puoi rassegnarti all'idea di stringere la mano di t uoi antenati alcuni secoli prima di essere nato?« "«No, quello sarebbe veramente illogico. I miei esp erimenti mi han- no dimostrato che il tempo può essere percorso solt anto in una dire-

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zione, e cioè in avanti, nel futuro. Non può esserv i ritorno, nessuna re- trocessione nel passato, neanche per la frazione di un secondo « "Si alzò in piedi, si allontanò dalla scrivania ver so una libreria ad angolo, cercò a lungo tra le file compatte di volum i e tirò fuori un gros- so tomo nero. Ne sfogliò rapidamente le pagine. ~ol tandosi verso di me, col libro aperto in mano, cominciò a interrogar mi. «Qual era la popolazione di Bakewell nel 2007~« "«Non posso risponderti« replicai. «Ho trascorso po chissimo tempo nel 2007. Ma nel 1998 era di circa 4500 persone.« "«Uhm. Chi era il premier della Gran Bretagna?« ~ « Richard Grierson. « "«Giusto! Clair trasvolò la Manica. Chi progettò il suo razzo?« "«Il ricercatore aeronautico tedesco Fritz Loeb.« "«Giusto di nuovo!« "«Ascolta« lo supplicai «Se quella che hai lì è una specie di enciclo- pedia cerca sotto la voce 'tempo' e guarda chi scri sse libri sull'argo- dSi inumidì un dito e cominciò a cercare tra le pag ine del suo libro. Lo appoggiò sulla scrivania e ne afferrò un altro c ercando anche tra le pagine di quello. Ne consultò altri quattro prima d i trovare quello che voleva. a«Eccoci qui. A proposito, io sono il capitano Hens haw« aggiunse, come per un ripensamento. «Fammi vedere... Schweil, Herman, filo- sofo olandese 'Der Vattelapesca'; Schweil di nuovo con un altro libro- McAndrew, Fergus, 'Le coordinate spazio-tempo'; di nuovo McAn- drew, 'La relazione tempo-movimento'; Weston Glyn.. . bene, che mi venga un colpo! Accelerazione atomica nella corrent e del tempo'; di nuovo: Weston, Glyn, 'La teoria di Schweil-McAndrew semplificata'. Un altro e un altro ancora; uno, due, tre, quattro, cinque, sei! Glyn We- ston: sei tu!« "«E posso provarlo« dissi, estremamente soddisfatto che fosse regi- strata la mia opera per cinque secoli. "«Come?« chiese il capitano Henshaw. "«La mia camera del tempo è in attesa di una tua is pezione in un luogo che ti posso descrivere come il campo di Wrig ht. Si trova a un'o- ra di cammino da qui.« "Una porta alla mia sinistra si aprì all'improvviso . Comparve un uo- mo in uniforme che spingeva un carrello di scintill anti tubi metallici montati su rotelle con pneumatici a forma di ciambe lla. Manovrava il carrello con destrezza e, girandolo di fronte al mi o sedile, sollevò un vassoio ricolmo dal piano superiore e, con l'aria i ndifferente di un esperto prestigiatore, tirò fuori quattro gambe tel escopiche dal fondo. Sistemato il congegno per bene, spiegò una tovaglia e si inchinò con un sorriso impudente. "«Devi aver fame dopo cinque secoli di astensione!« disse. E lan- ciando un ghigno verso Henshaw marciò fuori della s tanza. U«Per essere del tutto sincero con te« disse Hensha w, mentre comin-

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ciavo il gradito pasto « la tua storia è troppo rid icola perché le si possa credere, nonostante le prove che hai da offrire. Ad esso non pensare che io voglia darti del bugiardo, perché non è così. Tu tto quello che posso dire è che intendo sospendere il mio giudizio sulla vicenda finché non avrò avuto l'opportunità di ispezionare questa tua cabina magica, e L~ ho intenzione di andare a vederla subito dopo av er finito il mio turno di servizio, fra due ore." « Sarai il benvenuto« borbottai con la bocca piena, agitando la for- chetta nell'aria. " « Dopo che avrò ispezionato il tuo aggeggio farò un rapporto a Man- chester. Saranno i miei superiori poi a decidere co me trattarti.« "«Suona come una minaccia« osservai masticando rapi damente. "«E, giusto nel caso che la tua storia sia vera sot to ogni aspetto, c'è qualcosa che vorresti sapere?« "«Sì« risposi trafiggendo una patata. «Dove sono?« "«Ti trovi all'interno del N. 37 Fortezza di interc ettazione.« Si al- - lontanò dalla scrivania e cominciò a misurare la stanza a passi. [ "«N. 37 che?« domandai con improvvisa energia. "«Fortezza di intercettazione« ripeté. «Siamo in gu erra.« "«In guerra« feci eco debolmente. L "«La guerra più vasta e feroce che il mondo abbia mai conosciuto C'è da cinque anni ormai, e sembra che durerà per i prossimi cinque La decima parte della popolazione della terra è sa ta spazzata via, can- cellata. Metropolis, che ai tuoi tempi si chiamava 'Londra', non esiste più se non come un enorme ammasso di mattoni a pez zi, tegole e ce- mento che custodisce le ossa di quelli che aveva o spitato in vita. Se tu sei in grado di viaggiare nel tempo come dici vivr ai abbastanza da maledire l'invenzione che ti ha precipitato in que st'epoca.« L'espres- sione di Henshaw si fece amara, la voce rauca. "«Contro chi sta combattendo la Gran Bretagna?>~ domandai. Mi ero ormai quasi dimenticato della cena. "aNon c'è nessuna Gran Bretagna« rispose Henshaw. «Quel nome fu abbandonato due secoli fa. E non c'è neppure alcun Impero britanni- co. Ora ci troviamo in Inghilterra, uno stato indip endente che fa parte del Mondo Bianco, proprio come la Scozia, I'Irlanda , I'Australia, la Germania, la Russia e tutti gli altri che £anno par te del Mondo Bianco. Oggi la Terra si divide solo in tre parti: il Mondo Bianco, il Mondo Giallo e il Mondo Nero. Il Mondo Nero è il più picc olo e il più insignifi- cante dei tre. Comprende le cosiddette razze nere e d è neutrale, per il momento. Il Mondo Bianco e quello Giallo si stanno decimando l'un l'altro per imporre il proprio diritto a riprodursi senza riguardo per lo spazio disponibile. Ma sto disturbando il tuo pasto . Per favore, finisci di mangiare e io ti porterò nella sala del teleripr oduttore. Là ti potrò mostrare qualcosa della guerra. ''Con la mente turbata da un nugolo di pensieri pa sseggeri, mangia- vo in silenzio mentre Henshaw si muoveva irrequieto davanti alla li- breria, tirando fuori volumi e rimettendoli al loro posto. Poi la cena terminò. Bevvi l'ultimo sorso d'acqua, sgranocchiai l'ultimo fram- mento di biscotto e mi alzai. 3 "Henshaw fece cenno verso la porta dalla quale era vamo entrati. La attraversammo, percorremmo un lungo corridoio, oltr epassammo

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un'altra porta su per una scala a chiocciola e un a ltro corridoio al ter- mine del quale ci ritrovammo in una lunga stanza re ttangolare pro- prio sotto il tetto della fortezza. U~Questa è la stanza del teleriproduttore« disse H enshaw." --I muri e il pavimento della stanza erano ingombri di una massa di strumenti e apparecchiature. Quattro uomini si dava no da fare in quel guazzabuglio, occupati in varie attività, mentre ne l lato più distante altri due erano seduti a quello che mi parve un qua dro dei comandi di qualche genere. L'oggetto principale era un grande disco di vetro fissa- to in una cornice di metallo al centro del paviment o. Il disco era leg- germente inclinato rispetto all'asse orizzontale, a veva una superficie a specchio e somigliava moltissimo ai riflettori astr onomici dei miei tempi. "Henshaw tirò fuori una sedia da qualche parte. Dop o averla siste- mata vicino allo specchio, mi invitò a sedere e poi raggiunse gli uomi- ni al quadro di comando e tenne con loro una breve conversazione. Tornò indietro e si fermò accanto alla mia sedia. "«Il teleriproduttore risulta dall'aver permesso ag li sperimentatori dilettanti sulle onde corte di giocare con la telev isione. E dawero troppo complicato spiegarlo qui ora. Diciamo che vi ene diretto un raggio al cielo che trapassa gli strati di Heavisid e e Appleton e rimbal- za sulla strato di Grocott, a un'altitudine di circ a milleduecento chilo- metri. Il raggio poi torna alla terra e cattura la scena nel punto di im- patto. Rimbalza tutto intorno alla terra, registran do la scena ovunque vada il raggio a colpire; la prima impressione è la più forte e quando raccogliamo di nuovo il raggio non abbiamo grosse d ifflcoltà a sinto- nizzarci fuori dalla confusione delle scene sottost anti, lasciando le pri- me chiare e nitide. In questo momento gli operatori stanno cercando di angolare il raggio in modo da darci una visuale di Metropolis. I ri- sultati doYrebbero arrivare da un momento all'altro .« "Mentre stava ancora parlando il disco a specchio s i animò tutto di un colpo. Non fu preceduto da alcun offuscamento. U n momento pri- ma la superficie era completamente vuota tranne che per il luccichio, un momento dopo mostrava una scena con sorprendente chiarezza. Mi sporsi in avanti e guardai dentro il disco. "Una strada devastata, butterata di crateri frastag liati, attraversava un'area piena di cumuli di macerie. Per quanto guar dassi attentamen- te, non riuscii a cogliere un solo posto dove due m attoni fossero ancora attaccati, né potei vedere un solo mattone intatto. La scena conserva- va un'atroce uniformità, un miglio quadrato di pate tica evidenza. ,~ "Niente si muoveva in quella lugubre scena, no n un solo passo dove dieci milioni di persone avevano camminato; nessuna voce si levava dove un tempo i bambini gridavano durante i loro gi ochi. Mi venne un F groppo alla gola, quando mi resi conto che Metrop olis, la vecchia cara Londra, non esisteva più. Era ormai solo uma grossa cicatrice grigia Sopra quella che io mi immaginavo ancora come la ve rde dolce faccia L della terra; una cicatrice sull'anima dell'umanit à. "L'immagine sullo specchio mutava quando gli uomini nel fondo della stanza toccavano i comandi. Il lato più vicin o della strada sem- brava sollevarsi verso di me quasi per mostrarsi in maggior dettaglio. Scorsi delle ossa che sporgevano da un ammasso di s udiciume a circa cinquanta metri da un enorme cratere. Vicino alle g ambe c'era lo scheletro appiattito di un cane. Henshaw chinò il c apo in avanti, si

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t strOfinò il mento con un rumore aspro e stridulo e parlò. a«Hai di fronte uno degli incidenti più strazianti della guerra. Il ca- ne si è rifiutato di abbandonare il padrone colpito . Gli è rimasto vicino fino a lasciarsi morire di fame. Migliaia di person e hanno assistito al suo lungo atto di devozione protrattosi nel tempo a ttraverso il teleri- produttore, imprecando e versando lacrime impotenti . Il tenente d'a- viazione O'Rourke, disubbidendo agli ordini, ha fat to un estremo ten- tativo di salvare il cane quando ormai il ventre gl i era scomparso sotto le costole. Ma è stato abbattuto da una squadriglia dei Gialli. Il suo ae- roplano a reazione è nella polvere dell'Arco di Mar mo. Sia resa grazia a un prode gentiluomo!« "«I Gialli stanno vincendo?« domandai col cuore a p ezzi. "~<No, non direi. La macchina da guerra ha ormai ra ggiunto uno sta- dio di perfezione tale che nessuno vince e tutti pe rdono. Metropolis, o ciò che ne rimane, non è in condizioni peggiori di Kobe o Tokio. La campagna consiste in una serie di assalti distrutti vi seguiti da rappre- saglie altrettanto distruttive. Non ci sono state b attaglie prolungate come nel passato, ma solo un assestamento di rapidi colpi da parte dell'uno e dell'altro schieramento. La fine di ques ta grande città è il ri- sultato di uno di quegli attacchi. La fine di Tokio è stata la nostra ri- sposta. Vieni, andiamo a dare un'occhiata a questa tua camera del tempo.« NMi alzai, lasciammo la stanza del teleriproduttore , tornammo in- dietro lungo i corridoi e giungemmo alla porta di m etallo. Questa si aprì silenziosamente quando ci avvicinammo, rivelan do un piccolo veicolo aerodinamico che attendeva sulla strada. He nshaw faticò a si- stemare le sue lunghe gambe sotto il volante, mentr e io mi sedevo al suo fianco. Dopo aver sbattuto la portiera al suo f ianco, Henshaw pi- giò un bottone che spuntava dal mozzo del volante. Dal cofano fuoriu- scì un ronzio regolare e partimmo. "«Non prendere le immagini della televisione troppo a cuore« disse Henshaw manovrando il volante con destrezza. «Erava mo stati av- visati di quell'incursione dal nostro servizio di s pionaggio e siamo riu- sciti a evacuare in tempo i nove decimi della popol azione. Il decimo ri- manente è stato cancellato, ma i bollettini di mort e non sono stati così catastrofici come le immagini farebbero pensare.« a«Che cosa ha causato la distruzione?« chiesi. a«Bombe. Bombe altamente esplosive sganciate da aer ei nella stra- tosfera e anche da missili che volano a grande alte zza. Le prossime in- cursioni saranno su Manchester o Sheffield, poiché queste sono ormai le città meridionali più importanti e sono anche ce ntri dell'industria degli armamenti. La nostra fortezza fa parte della linea di fortificazio- ni posta sulle colline del Derbyshire per protegger e Manchester. Non posslamo impedire un'incursione, ma possiamo inflig gere una dura lezione con le nostre bombe a razzo e i nostri aero siluranti, che volano altissimi, rifornendosi alla Stazione Nord di Radia zione.« "«Il continente intero deve aver cercato di elimina rla!« azzardai. |~ a«Non tanto quanto penseresti« ribatté lui. «Le forze opposte hanno diretto le loro azioni di ritorsione contro quelli che considerano centri nevralgici del nemico; così Inghilterra e Giappone sono i bersagli pre- feriti. Nessuno dei due contendenti mantiene una fl otta aerea per sco- pi difensivi, ma per le rappresaglie. Ecco perché q ueste fortezze sono molto importanti: si tratta di una delle poche conc essioni alla difesa strappate alle autorità costituite, che invece ador ano la politica del- l'attacco, attacco e ancora attacco.«

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"Sterzò, evitò un muro di pietra nella curva e cont inuò con voce sempre più amara: «Non voglio pensare alla prossima incursione. Da varie fonti ci è giunta notizia che i Gialli hanno messo a punto una bomba disintegrante, il bel risultato di qualche sc ienziato ficcanaso che impegna il proprio tempo studiando il problema di come mante- nere la radiazione solare. A quanto pare la bomba c ade, scoppia, scon- volge la stabilità della materia circostante e ne c ausa l'estinzione. Questo processo non si prolunga indefinitamente, ma solo finché nella bomba dura l'energia originaria. Il processo mi è s tato ~lescritto come un 'riassestamento dell'equilibrio elettronico' e c redo che avvenga a una tale velocità che soltanto i migliori velocisti potranno scampar- la«. aL'auto salì sulla cresta della collina. Un campo a pparve in vista. Contemporaneamente scorgemmo la camera del tempo. S frecciammo verso di essa lungo un leggero pendio in discesa, i mboccammo una sa- litina altrettanto leggera e ci fermammo accanto al muretto dal quale avevo avvistato in lontananza la fortezza. Henshaw si contorse sul se- ,~ dile, tirò fuori un orologio e portò lo sguardo al quadrante. "«Quattro minuti. Non male considerato lo stato del la strada.« "«Hai tenuto una media di quasi cento chilometri al l'ora« gli dissi. «Che razza di motore è questo?« "«Elettrico. Funziona con pile Freimeyer ad alta po tenza che utiliz- ~Z zano placche in lega d'argento e tantalio.« Con un balzo oltrepassò il murettO e fissò l'oggetto in mezzo al campo. «Allor a quella è la cabina magica, eh? Andiamo a metterci una monetina.« "Scavalcai anch'io il muretto, montandoci sopra. In sieme ci av- viammO verso la camera. Henshaw si lisciava i baffi , sul volto aveva un~espressione di intenso interesse. Le zolle erano umide e scivolose sottO i nostri piedi. Avevamo percorso metà strada verso la camera t quandO un aspro fischio percorse le colline e rie cheggiò nelle valli. ' Henshaw si fermò di colpo. Il fischio cessò, poi seguirono sei brevi col- pi di sirena. L "Henshaw si voltò, mi agguantò per un braccio e m i tirò verso l'au- to. «Per il bottone di mandarino« ruggì, il volto p aonazzo dall'agita- t Zione. « Un'incursione! Hai sentito la sirena? Da lla fortezza ci segnala- 350 ~ 351 no un'incursione. Dobbiamo tornare immediatamente! Muoviti, per- dio! Non c'è un minuto da perdere.« "Corremmo verso il muro. A una ventina di metri da esso scivolai, barcollai in avanti con le braccia che roteavano im pazzite, scivolai di nuovo e caddi sulla schiena, picchiando talmente fo rte che rimasi sen- za respiro. Henshaw, che si trovava una mezza dozzi na di passi più avanti, tornò indietro e mi afferrò per le mani pro nto a tirarmi su. "~Guarda!« ansai debolmente, gli occhi che guardava no sbarrati verso il cielo. <~Guarda!« "A circa un miglio di distanza, diretta ad alta vel ocità verso di noi, avanzava una macchina aerea color oro a forma di pr oiettile, piccola, con ali tozze che spuntavano ai lati, una lunga cod a di fuoco che fuo- riusciva dal retro. Aveva un aspetto sinistro, terr ificante. Mi si raggelò

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il sangue. U«Per l'Ade! Un aereo da ricognizione dei Gialli~ g ridò Henshaw. «Ci ha individuato e vuole divertirsi un po'. Corri come il diavolo. Sia- mo già morti.« UCosì dicendo, mi sollevò con un colpo solo e mi ri mise in piedi. Mi aggrappai alla sua spalla. Ondeggiammo come una cop pia di ballerini di lento, scivolammo e finimmo di nuovo a terra. Se mbrava che qual- cuno scuotesse un pezzo di roccia in un colossale b arattolo. Si alzò al cielo un boato; un'ondata di aria calda investì i n ostri corpi supini. Ci rimettemmo in piedi. Il ricognitore ci aveva oltrep assati di un miglio e stava discendendo in picchiata con un grande cerchi o della morte. Il nostro veicolo era un rottame fumante. "«Sta tornando verso di noi« strillò Henshaw. «Siam o perduti. Non abbiamo scampo.« "«Cielo, aiutami« cominciai, poi mi bloccai: un pen siero mi aveva colpito. «La camera del tempo! Vieni. Ce la possiam o fare, con un po' di fortuna. Là saremo al sicuro.« --Mi voltai, puntai verso il centro del campo, le b raccia che spingeva- no come pistoni, attento a non cadere. Henshaw corr eva accanto a me, ansimando, la faccia livida. Nonostante il ritmo elevato, trovò il fiato per far mi una domanda. «A che ci serve entrare in quella roba là? La farà solo saltare per aria! «Aspetta e vedrai!« «Dietro di noi un rumore sempre più assordante ci r iempiva di ter- rore e ci faceva aumentare il passo. D'un colpo il ricognitore rombò so- pra le nostre teste seguito dalla sua scia di a ria rovente. Il fragore di un'esplosione ci raggiunse da qualche parte die tro a noi. Henshaw si guardò alle spalle. "«Una bomba disintegrante!« gridò. «L'onda si sta avvicinando a noi rapidissimamente. Corri! Corri! Come non ha i mai fatto prima!« L "Le gambe indolenzite aumentarono ancora la ca denza. La distanza totale dal muretto alla cabina era di soli cinq uecento metri. Ma non avrei mai creduto che una tale distanza potesse essere così penalizzan- te. Trenta metri ci separavano dalla camera del tempo; sembravano 3 trenta chilometri. In quest'ultimo tratto la di stanza già percorsa si fa- 3 ceva sentire; la coprimmo non di corsa, ma sbil anciati in avanti. "Henshaw, davanti a me, raggiunse la cabina e si mise a tirare di- 3 speratamente la porta, mentre una sensazione di calore mi penetrava le gambe da dietro. Henshaw si agitava eccitato tirando invano. Gli ansimai: «Spingi! Spingi!« e lui cadde a testa in giù all'interno. Una frazione di secondo più tardi entravo anch'io, vacillando, dalla porta spalancata, mi girai e vidi la terra che letter almente si fondeva e anda- va in ebollizione fino a un metro dal solco. Av evamo fatto appena in tempo. "Senza ulteriore indugio, chiusi la porta con un colpo e azionai l'in- terruttore del congegno del raggio. Lingue di f uoco si levarono in alto e ci apparvero dalla finestra; un velo di nebbi a le cancellò. Il corpo fre- mette con la sensazione che mi era ormai famili are, e mentre mormo- ravo una preghiera di ringraziamento, l'intera cabina si accasciò su un fianco. Picchiai la testa contro una sporgen za del muro. Strinsi di- speratamente la leva dell'interruttore e persi i sensi. "Non rimasi incosciente a lungo, o almeno cos ì mi sembrò. Ripresi i sensi, allungai una mano in cerca dell'interrut tore, lo trovai e lo chiu-

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t Si. UQualcuno disse: «Ahi! «. aMi misi a sedere di scatto. Ero in un letto! UPotete immaginarvi il mio stupore. Ero in un letto; non c'era il mi- nimo dubbio. Mi lisciai i vestiti e ne saggiai la consistenza, ne studiai E la tessitura e mi diedi un pizzicotto. Non c'er a dubbio: ero seduto in Un letto con addosso una camicia da notte di cr emisi. "Un movimento al mio fianco mi indusse a gira rmi da quella parte. Stropicciandomi gli occhi guardai di nuovo. In piedi accanto al letto, E con un'espressione di cortese premura, c'era un uomo completamente =- calvo che indossava un pagliaccetto color blu elettrico. Aveva la fronte Spaziosa, grandi occhi marroni, bocca e mento p iccoli, quasi femmini- li. Da una catenina che portava al collo pendev a uno strumento plac- Cato che, pensai, doveva essere quello che avev o tirato io e che aveva E~ cauSatO l"ahi!'. ULo fissai attentamente. Lui mi osservava pla cido e silenzioso. 352 ~ 353 "«Dove mi trovo?« chiesi debolmente, ricorrendo all a solita frase convenzionale. "«Sei a casa mia nella città di Leamore« rispose l' uomo con una vo- ce piacevolmente modulata «e l'anno è il 772 per il nuovo calendario oppure il 34656 per il vecchio. Hai fatto un salto nel vuoto di almenó 32000 anni!« "«Come fai a sapere che ho viaggiato nel tempo?« do mandai. "«Perché il tuo strumento per viaggiare nel tempo s i è materializza- to dall'aria pura di fronte agli occhi di una cinqu antina di cittadini. Hai scelto il centro di una strada molto trafficata come punto d'arrivo. Dozzine di persone sono state testimoni del fenomen o che, nel lontano passato, sicuramente sarebbe stato spiegato come so prannaturale. La nostra conclusione è stata che tu avevi viaggiato n el tempo: una con- clusione semplice, dal momento che la vostra impres a è già la seconda negli ultimi cinquecento anni. E poi il tuo compagn o ce I ha conferma- to...« a«Henshaw!« lo interruppi, rendendomi conto che non avevo fatto il viaggio da solo. «Henshaw dov'è?« "«Si sta facendo asportare i peli« fu la sorprenden te risposta. "«Asportare i peli! I peli! Perché? Che diavolo? Ri caddi in uno stato confusionale quando la conversazione prese questa p iega assurda. Mi diedi un altro pizzicotto per assicurarmi di essere sveglio. L'uomo con la tuta blu sorrise, notando l'effetto che avevano avuto le sue parole. Sedendosi sul bordo del letto, si abbracciò un gino cchio e continuò: «Il tuo amico sembra essere una persona abituata a prendere decisioni veloci. Non erano passati trenta minuti da quando i l tuo congegno per conquistare il tempo aveva fatto la sua teatrale co mparsa che lui ave- va già scoperto che, secondo le convenzioni di ades so, i peli vengono considerati antiestetici. Sembra che sia deciso a t utti i costi ad appari- re gradevole, e quindi se li sta facendo estrarre c on un metodo indolo- re. Gli stiamo togliendo i baffi e i capelli. La ba rba dovrà crescere an- cora un po' prima che possiamo intervenire anche su quella«. "«Bene, al diavolo!« esplosi. «Henshaw, quel defici ente! Lo sparo molti secoli più in là e che cosa gli viene in ment e? Corre in un salone di bellezza lasciandomi in un letto a morire.~, Per l'indignazione mi al- zai dal letto. «E per di più in una camicia da nott e rossa!«

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"11 mio interlocutore scoppiò a ridere forte. «Non c'è timore che tu possa morire per ora« mi rassicurò. «Ti sei preso u n brutto colpo, ma ti riprenderai molto presto. Quanto alla camicia da notte, come tu la chiami, te l'abbiamo messa dopo averti fatto un bag no, di cui avevi molto bisogno; nel frattempo ti abbiamo cercato dei vestiti adatti...« "«Cosa c'è che non va nei miei vestiti?« "«Sono stati bruciati. Anche quelli del tuo amico s ono stati bruciati. Il contenuto delle tue tasche è stato disinfettato; lo stesso per la tua ca- mera del tempo. Questo in cui sei approdato è un mo ndo molto igieni- co. Non abbiamo obiezioni al fatto che tu venga qui , ma non ammet- tiamo nel modo più assoluto le enormi quantità di g ermi di tutte le specie che vi portate appresso e che noi abbiamo fa ticato tanto a eli- minare. Ci piaci, ci piace anche il tuo amico, ma n on ci piacciono i vo- stri passeggeri.« a«Spiacente« dissi mortificato. a«Di nulla« rispose lui, rilasciando il ginocchio e alzandosi in piedi. «Forse sono stato troppo brusco. Sono io che mi dev o scusare.« Attra- versò la stanza e pigiò un bottone. Un pannello del muro scorse silen- ziosamente verso il basso. Dietro, in un vano, c'er a un guardaroba. Dall'interno trasse fuori un completo confezionato con una stoffa che rassomigliava alla seta e lo buttò sul letto. "Togliendomi con segreta soddisfazione la camicia d a notte rossa, cominciai a indossare il completo. La stoffa morbid a, quasi delicata, mi avviluppò piacevolmente il corpo lavato e rinfre scato. Non c'erano bottoni, nel vestito. Tutto si chiudeva con una spe cie di chiusura a lampo perfezionata. Mi infilai un indumento dietro l'altro, li chiusi bene e alla fine mi piazzai di fronte a uno specchi o a rimirarmi accon- ciato con quella tuta verde smeraldo, calze verdi e sandali dello stesso colore, un copricapo a tricorno messo di sghembo su lla testa. Fissai lo specchio e pensai che stesse riflettendo il più gra nde idiota vivente. a«Ti piace?« mi chiese lui. a«Non c'è male. Ora mi manca solo il gatto.« a«ll gatto?« ripeté perplesso. "«Sì. Assomiglio al garzone Dick Whittington.l« "«Dick Whittington« balbettò. "«Non puoi conoscerlo; lascia perdere.« Provai il t ricorno con un an- golo diverso; il risultato fu abominevole. Alla fin e mi rassegnai. Se tut- ti si vestivano in quel modo, un idiota in più non sarebbe stato notato. "«Bene, sono pronto, signor... signor...« a«Mi chiamo Ken Melsona« rispose. "«E io Glyn Weston.« Ci stringemmo la mano. Melsona aprì una porta, mi fece strada lungo un corridoio fino a un' altra porta, che sprofondò quando pigiò un bottone. Fuori c'era una strada. Conscia del mio abbigliamento, esitai. Melsona, vestito com e un Piccolo Bam- bino Azzurro, uscì arditamente. E io dietro di lui. " ' Dick Whittington (morto a Londra nel 1423), ricco mercante di Londra e sin- daco della città per tre mandati, è anche il person aggio di una popolare leggen- da inglese. Di lui si racconta che era un semplice garzone e che fece un'enorme fortuna mettendo in vendita l'unica cosa che possed eva: un gatto, che fu acqui- stato da un sultano il cui regno eta infestato di t opi. --Di fronte a me si aprì una scena talmente inaspet tata che mi fermai di colpo a bocca aperta. Tra i marciapiedi scorreva una strada semo-

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vente, piana, morbida in superficie, che fluiva reg olarmente da ovest verso est. Era divisa in tre sezioni, che andavano tutte nella medesima direzione, quelle esterne a circa dieci chilometri all'ora, quella di mez- zo a circa venti. Centinaia di persone abbigliate c on colori vistosi sta- vano in piedi sulla strada e chiacchieravano o pass avano da una corsia all'altra, tutti trasportati uno dietro l'altro com e una batteria di ber- sagli mobili in un tiro a segno. L'ampiezza totale della strada era di circa tre chilometri; la fiancheggiavano marciapied i fissi con disegni a mosaico. "In entrambi i lati sorgevano ville in mezzo a luss ureggianti giardi- ni ben coltivati. Ogni trenta metri, dai marciapied i spuntavano piante ornamentali di ogni dimensione e colore, potate con cura per dar loro le forme più disparate. Era veramente uno spettacol o grandioso, il mi- gliore che avessi mai visto. La strada si meritava il nome del viale del Paradiso. aMelsona si diresse verso la corsia più vicina dell a strada semovente e mi avvertì di guardare nella direzione del movime nto, mentre vi montavo sopra. Ci trasferimmo sulla corsia centrale e, stando in piedi, I'uno a fianco all'altro, scorremmo in direzione es t. Ero contento come un bambino alla fiera. UaFacciamo un paio di fermate« suggerì la mia guida . «Poi possia- mo andare a prendere il tuo compagno, ehm... Hensha w hai detto che si chiama, non è vero?« "Borbottai di si, mentre lo sguardo vagava indaffar ato sulla scena e accompagnava la folla di passeggeri della strada, c on la mente sedotta da tutte le novità. "Scorremmo per un buon chilometro e mezzo prima che Melsona, dopo aver richiamato la mia attenzione dandomi di g omito, trasbordò con destrezza sulla corsia lenta a destra, la attra versò e approdò al marciapiedi. Con me dietro, tagliò dritto verso un centro commerciale di una mezza dozzina di negozi, ed entrò in uno che esponeva un am- masso di merce che non ebbi il tempo di esaminare. Un uomo e una donna, tutti e due vestiti con colori sgargianti e tutti e due calvi, si fe- cero avanti premurosi quando noi entrammo. "aPer cortesia, servite questo signore~ disse Melso na indicando me con aria protettiva. a«Ma certamente, è un piacere« disse con affettazio ne il commesso uomo strofinandosi le mani con un sapone invisibile . c<Che cosa desi- dera il signore?« " « Soldi ! « dissi in fretta. "«Soldi!« pappagallò. «Che strana richiesta! Si può avere, natural- mente, ma deve fare domanda a un collezionista. "«E allora come diavolo posso...« J "«E tutto regolare« intervenne Melsona. «Tutto quel che devi fare è chiedere quello che vuoi. Se il negozio ce l'ha sarai accontentato. Se non ce l'ha, sicuramente qualche altro negozio n e è fornito.« "«Chiedete e vi sarà dato« recitai. L'idea mi s embrava folle, ma chi ero io per contestare il sistema economico di qu ell'epoca? 4Sigarette« dissi fiduciosamente. UNon avevo ancora finito di parlare che la comm essa schizzò verso uno scaffale, battendo di un passo il suo colleg a, acchiappò una dozzi- na di pacchetti di misura e forma assortite e li mise sul banco. Io assi-

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stevo stupefatto e deliziato. Erano pacchetti di sigarette. Ne presi uno dei più grossi. La donna desiderava sapere se po teva servirmi qualco- s'altro. Chiesi un portasigarette e lo ebbi. Le chiesi allora un accendi- no elettrico. Mi portò una copia dell'oggetto ap peso al collo di Melso- na e che io avevo scambiato per un interruttore. Dopo mezz'ora, in quel negozio uscii fuori convinto di essere fini to a Utopia. "Ci fermammo sul marciapiedi. Aprii il pacchett o di sigarette, mi misi il tanto sospirato rotolino cilindrico tra le labbra e Melsona mi mostrò come usare l'accendino. Aveva la forma di una pigna allunga- ta, di metallo e con la solita catenina. Bastava premerlo leggermente e nella parte più larga si apriva un coperchietto scoprendo di sotto un fi- lamento incandescente. Mi accesi la sigaretta e inalai il fumo fragran- te con una soddisfazione indescrivibile. "«Quanto dura questo qui?~ domandai osservando incuriosito la li- nea fluida dell'accendino. "«Tutta la vita« rispose Melsona. «E...« D'un tratt o guardò in alto L mentre un immenso frastuono rimbombò nell'aria da lle nuvole. t aGuarda, sta passando un aeroplano di linea trans globale.« "Sopra di noi veleggiava una sorta di titanico siga ro, color argento, avviluppato dalle fiamme, imponente. Le circostanze rendevano diffi- cile valutarne la giusta prospettiva. Stimai che il mostro dovesse esse- ir re lungo quasi un chilometro e mezzo, con un dia metro di circa cento- cinquanta metri. Lassù in alto sopra le nuvole sott ili, quasi trasparen- ti, era veramente uno spettacolo maestoso, con quel suo naso conico puntatO contro il sole che tramontava a occidente, mentre la coda vo- - mitava dardi di fuoco che si allargavano, impalli dendo fino a dissol- verSi in un enorme ventaglio di vapore. "Viaggiava a un'altezza di almeno dieci chilometri, ma le sue di- mensioni e la straordinaria limpidezza dell'aria re ndevano chiara- L mente visibili le file degli oblò sui suoi due la ti. Travolgendo tutta la ~ Città di Leamore con un bombardamento sonoro, sfr ecciò rapido verso ovest, facendo apparire, con la sua mole immane, co me formiche gli uomini che lo avevano progettato. "«Che te ne pare?« chiese Melsona con orgoglio. N«E stupendo... Meraviglioso!« "Un grido richiamò i nostri sguardi alla strada. Un uomo sulla cor- sia più lontana da dieci chilometri all'ora ci face va disperatamente se- gno, si precipitò verso di noi, saltò sul bordo del la strada di mezzo quella da venti chilometri, ed eseguì una mezza pir oetta. Con la stradá che sfrecciava in avanti sotto di lui cominciò a ro tolarsi in tutta la sua altezza nell'opposta direzione, falciando dozzine d i passeggeri. Sem- pre rotolandosi, uscì fuori da una mischia di corpi supini, attraversò la corsia e tentò di rimettersi in piedi proprio su l bordo. USi tirò su giusto per la frazione di un secondo, c on un piede sulla corsia di mezzo e l'altro su quella da dieci chilom etri; poi la differenza di velocità lo sopraffece. Scelse quella da dieci c hilometri e rovinò pe- santemente su di essa. Con gambe e pancia all'aria ci oltrepassò men- tre noi lo osservavamo esterrefatti. Quando fu a ci rca cinquanta metri riguadagnò la stabilità del marciapiede con una rep entina mossa acrobatica, si voltò e corse verso di noi. "Quando si avvicinò un po' di più mi accorsi che av eva la carnagio- ne più scura della maggior parte delle persone che avevo visto. La sua tuta era di un orribile color giallo fino alla vita e nero dalla vita in giù; le calze nere, le scarpe nere con bordini gialli. C alcato bene in testa aveva un cappello giallo a cupola bassa e con l'ala rialzata dal quale

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pendeva una nappina gialla che gli ciondolava sull' orecchio sinistro. "Ci raggiunse col volto raggiante di piacere e mi d iede una bella pacca sulla schiena. Lo osservai attentamente. Avev a tanti capelli quanti un uovo. U«Non ci posso credere« dissi io arcigno. "«SLento a crederci quando ti guardo« ribatté. ' U«E allora come hai fatto a riconoscermi?« "«Perché sei l'unico damerino di tutto il vasto mon do« Fece un pas- so indietro e mi ispezionò da capo a piedi. «L'unic o autentico Robin Hood, come è vero che sono qui e respiro. Ti piace la mia tenuta?« Al- largò le braccia e davanti a noi fece una piroetta. U«Preferirei non dovermi esprimere« dissi, volgendo lo sguardo da quel giallo biliare. «Le si può rendere giustizia s olo con parole volga- i "«Invidioso!« commentò, ridendo. «Personalmente rit engo che un simile abbigliamento dia colore all'esistenza. Se d ovessi trovarci un difetto direi solo che rende difficile distinguere le dame dai cavalieri. Dunque sei andato a fare acquisti, eh?« Mi piantò u n dito sull'accendi- no appeso al collo. «Che ne dici di questo mondo se nza denaro?« U«Visto che sei al corrente del denaro, o della man canza di esso, è evidente che anche tu sei andato a fare sPese« fu i l mio commento. U<~Per niente« ci rassicurò. «Ho fatto il gesto di pagare il parrucchie- re e quello è rimasto come fulminato. Allora ho sap uto del denaro. Mi ha confidato che avrebbe desiderato ardentemente po ssedere una mo- neta che avevo sgraffignato quando mi hanno preso i vestiti per bru- ciar;i. Quando ha visto che cosa avevo ha fatto tan to d'occhi: diciotto dollari e quarantasette centesimi di buon vecchio d enaro Bianco.« " « Denaro Bianco? « domandai io. U«Certo. Pensavi che non avessi denaro della mia ep oca? Ebbene, quel tipo ha cominciato a rovistare nel gruzzolo e ne ha tirato fuori una moneta da mezzo dollaro che era la più vecchia tra quelle che ave- vo là. Era contento come un cane con due code. Gli ho chiesto che cosa avesse intenzione di fare con la moneta. Non indovi neresti mai che co- sa mi ha risposto.« U«Che cosa?« lo incoraggiai. "~<Non sono riuscito a decidermi se sono io a esser e mentalmente de- ~iciente o se tutti quanti sono matti, all'infuori di me. Che tu ci creda o no, mi ha detto che voleva scambiare quel mezzo dol laro con un pesce di ~etro.« U«Un pesce di vetro!« gli feci eco, incredulo. U«Ora che diavolo ci fa uno con quello?« continuò H enshaw. «Un pe- sce vivo sarebbe già stato abbastanza insensato, un pesce morto sareb- be stato meglio, ma un pesce di vetro...« "«C'è una spiegazione« s'intromise Melsona. «Vedete , questo mondo ha raggiunto un tale progresso che uno dei problemi più grossi è come occupare la gente. Non c'è sistema monetario; si pu ò ottenere tutto, basta chiederlo. Tutto il lavoro, nell'industria e simili, vien fatto da volontari, ma i nostri sistemi sono talmente effici enti che non c'è mai abbastanza lavoro per tutti quelli che lo vorrebber o. Gli abitanti di

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questo mondo devono riempire una grande quantità di tempo libero in un modo o in un altro; di conseguenza il lavoro, un tempo una male- dizione, ora è un dono del cielo. "«Come trascorrono il tempo i nostri cittadini? Ve lo dico io. Un po' menO della metà si dedica alla scienza, un po' più della metà alle arti. La gente inventa o crea cose, e ognuno cerca di per sonalizzare la pro- L pria opera o di renderla superiore a quella degli altri. "«La gente mette a disposizione di coloro che li do vessero richiedere i prodotti non necessari della sua attività artigia nale, esponendoli nei negozi~ La vergogna più grande per ogni cittadino è quando un suo prodotto rimane in attesa per mesi in un negozio. I l trionfo maggiore | ~ quando ci sono talmente tante persone che richi edono una sua opera che deve essere ceduta con un'estrazione a sorte. "«La gente che colleziona le opere di qualche artis ta particolare o che desidera a tutti i costi acquisire uno dei suoi lavori ha tre modi per i~ farlo: olo ottiene da un ne~ozio chiedendolo, o, se l'artista è così famo- so che le sue opere non arrivano neppure al negozio , può iscriversi di- rettamente presso l'artista all'estrazione a sorte dei suoi la~rori, o, se anche l'artista è una collezionista, può barattarlo . Ciò spiega l'inten- zione del vostro uomo di scambiare una moneta con u n pesce di vetro. Le monete nella nostra era non sono rare, sono asso lutamente scono- sciute e, pertanto, per un collezionista, di incalc olabile soddisfazione. Uno dei più importanti collezionisti di questi vecc hi gettoni per il commercio è Torquilea, che è anche il migliore arti sta del vetro sulla Terra. Mi piacerebbe mostrarvi un esempio della sua opera. Venite con me.«n --Lasciandoci guidare da Melsona procedemmo lungo i l marciapiede nella direzione opposta del movimento della strada. Mantenemmo una vivace conversazione consistente essemialmente di domande di Henshaw e mie e delle risposte di Melsona. Apprende mmo che un si- stema di strade semoventi si irradiava come i raggi di una ruota dal centro di Leamore verso la periferia, che le strade andavano una fuori e una dentro la città altemativamente. Così chi vol eva spostarsi nella direzione opposta della strada o camminava sui marc iapiedi, o taglia- va attraverso una strada laterale verso la strada s uccessiva. Questa strada va verso il centro; se, per esempio, Melsona sta tomando a casa dal centro e non gli va di camminare, non deve far altro che prendere la strada accanto diretta fuori città. Vuol dire ch e entrerà in casa dalla porta sul retro. Tutte le strade larghe più di tren ta metri erano semo- venti, le strade più strette erano fisse. L'intero sistema di trasporti era assurdamente semplice. "Melsona ci spiegava che velivoli e auto private es istevano in gran ~ numero, ma non era concesso loro di entrare o sorvo lare le città. Il lo-, ro raggio d'azione era limitato ai collegamenti tra città. Avevamo ap- pena oltrepassato un caffè all'aperto. Non andammo molto oltre, di comune accordo ritomammo sui nostri passi, entrammo e chiedemm° un tavolo. "«...e quindi soltanto ai grandi aeroplani di linea diretti agli aerO- ~ porti delle città è concesso di sorvolare le aree a bitate« disse Melsona . concludendo la spiegazione. "«Cosa prendete?« "«Bistecca« disse Henshaw.

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"«Bistecca? Che roba è?« N«Came« disse Henshaw. Ieccandosi le labbra. e alle ntando la cint ,~ ra della tuta. Sul volto di Melsona apparve un'e spressione di ineffabile ~ disgusto. F "«Stavo solo scherzando« lo rassicurò Henshaw pro ntamente. Prenderò qualsiasi cosa tu mi suggerisca.« "L'espressione di Melsona dava a vedere che non pen sava che lo scherzo fosse dei migliori. Scarabocchiò qualcosa s ul taccuino incor- niciat° al centro del tavolo, schiacciò il pedale c he sporgeva dal pavi- mento- Il tavolo sprofondò di sotto lasciandoci a b occa aperta a con- templare il vuoto apertosi ai nostri piedi. Dopo un a breve attesa il ta- volo salì di nuovo e si fissò di fronte a noi con i cibi che avevamo ordinato sul piano. Cominciammo. Il gusto era stran o, ma soddisfa- cente. "Alla fine, sentendomi rinato, lasciai il tavolo e, coi miei due compa- gni, continuai lungo il marciapiede. Mi incantai a pensare quanto fos- E~ se strano che il mio pasto precedente fosse stat o solo poche ore prima ,~ (o era stato mille anni prima?). Avevamo cammina to per circa dieci minuti quando Melsona si fermò così di colpo che, a ncora immerso nei miei pensieri, andai a sbattergli contro. Ci in dicò il giardino di una F~ bella villa. E~ ~«Qui si trova un bell'esemplare dell'opera di T roquilea« ci informò. «Venite dentro a vederlo«. "Senza la minima esitazione spalancò il cancello ed entrò dentro il E giardino rassicurandoci che la nostra visita inte ressata veniva consi- E~ derata assai lusinghiera sia dall'artista, sia d al proprietario. Ci con- E~ dusse verso un oggetto che si levava nel mezzo d el prato. Lo osservam- mo in silenzio. Era divino; non c'era altro termine per descriverlo. | "Una massa di marmo colorato, onice, agata e lapi slazzuli ingegno- samente combinati si levava fino a tre o quattro me tri di altezza. Su di essa cadeva una cascata di vetro così realistica ch e si rimaneva colpiti dall'assenza di rumore. L'ingegno dell'artista era stato così superbo che persino le venature della pietra sottostante er ano state utilizzate ,~ per creare l'impressione di gorghi appena sotto alla superficie. Ferma- te nel vetro con una tecnica che non riuscii a capi re, erano bolle, om- bre e vaghi tremolii di luce che simulavano perfett amente i balletti ' dell'acqua. ULa cascata al fondo si riempiva in mulinelli e spr uzzi sulle rocce co- orate, mentre qua e là gocciolone luccicanti pendev ano da fessure e .~cavità Un paio di salmoni di vetro spiccavano un salto sopra la casca- ~ta. Guardando più da vicino vidi che erano sospesi a mezz'aria da una ~ete di fili. Ma erano stati modellati così accurat amente dalle dita del ~eniO che si stentava a credere che la bacchetta ma gica di qualche mo- ,~ernO Merlino non li avesse fissati per sempre cos ì quando erano guiz- ~anti di vita. E Henshaw si levò il suo cappelletto arrotondato e disse: «Di fronte a UUesto mi levo il carlrello!~. "«E stato indubbiamente un gran trionfo per Torquil ea~ ci raccontò Mensona. «Non meno di ventisettemila persone hanno partecipato al-

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I'estrazione a sorte per aggiudicarsi questo partic olare capolavoro.« "Guardò Henshaw con ardore. «Torquilea va matto per le monete antiche. Proprio l'altro giomo ho visto uno dei suo i lavori che presto verrà ceduto a qualcuno. Era una semplice boccia co ntenente un fon- do marino in vetro. Alla base c'erano sabbia e ciot toli, mentre sul fon- do in bella mostra stavano due gamberetti semitrasp arenti; da una piccola roccia cresceva una selva di alghe marine v erdi mentre su di essa si apriva un bell'anemone di mare con i tentac oli distesi. E una ri- produzione della natura talmente verosimile, talmen te meravigliosa che ci si aspetterebbe di vedere la superficie del vetro incresparsi co- me un'onda. Torquilea è la persona più felice del m ondo a sapere che il suo lavoro è così ansiosamente richiesto. Sono sicu ro che prenderebbe in considerazione uno scambio.~ "Henshaw intese al volo. Pescò una moneta e l'allun gò a Melsona raccomandandogli di ricavarne il massimo per conto di noi tre. L'aver costituito una società sembrò fare un immenso piace re a Melsona. Ac- cettò il regalo con gioia annunciando che avrebbe p arlato con Torqui- lea alla prima occasione. "Quando facemmo ritomo alla casa di Melsona per rin frescarci e dormire, l'oscurità era scesa ormai da diverse ore. Avevamo viaggiato su metà delle strade di Leamore, esplorato edifici e negozi, visto una quantità di meraviglie ed eravamo stati presentati a così tante perso- ne che ce ne ricordavamo soltanto un paio. Melsona, persistendo nel compito che si era assunto volontariamente di farci da guida alla cit- tà, ci aveva condotti in giro, dichiarando di esser e l'uomo più fortuna- to della terra perché il nostro arrivo gli aveva da to motivo di spendere un po' delle sue ore d'ozio. Conversando con noi ch e lo sollecitavamo con continue domande, ci mise al corrente di parecc hi fatti notevoli. "Innanzitutto scoprimmo che il giomo era molto più lungo che ai miei tempi, e che la rotazione assiale della Terra stava rallentando a un tale ritmo che gli scienziati avevano calcolato che dopo ventimila, trentamila anni si sarebbe fermata del tutto. Il fe nomeno datava dal- I'arrivo dell'lnvasore, evento che inaugurava il nu ovo calendario, se- condo il quale eravamo nel 772 n. c., dove le lette re n. c. stanno per 'nuovo computo'. "L'Invasore, apprendemmo, era un pianeta grande cir ca due volte Giove, che era venuto dallo spazio interstellare, s i era aperto un'orbita nel sistema solare ed era poi svanito nel cosmo. Er a passato tra le or- bite di Marte e quella della cintura di asteroidi, sconvolgendo con la sua influenza l'equilibrio del sistema, rendendo le orbite degli asteroi- di, di Marte e della Terra molto più eccentriche, c atturando e tratte- nendo presso di sé due membri del gruppo di asteroi di troiani. "Disse che Venere era stata raggiunta da astronavi circa cinquan- t~anni dopo il passaggio dell'Invasore, che i viagg i interplanetari era- no ancora così difficoltosi e rischiosi che la popo lazione su Venere non Contava più di ventimila anime e che per ogni indiv iduo che aveva raggiuntO il pianeta sano e salvo tre erano morti n el tentativo. "La popolazione della Terra era rimasta immutata ne gli ultimi dieci- mila anni; tutta la Terra riconosceva un govemo cen trale che aveva se- de a Osmia, e il sistema sociale era il Pallarismo. Scoprimmo che Osmia sorgeva nel luogo di quella che io avevo conosciuto come Costantinopo- ~ li, e che l"'ismon cui al momento si dava credito si basava sulle teorie di L un filosofo di nome Palla, che era vissuto circa nel 22800 v. c. r "Con lo stomaco riscaldato dalla cena recente, la mente piena di ri-

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cordi delle esplorazioni del giomo appena trascorso , andammo a let- to. Condiscendendo tacitamente ai miei gusti, il no stro ospite aveva lasciato sul mio letto quello che rassomigliava a u n costume da bagno nero. La camicia da notte rossa era stata trasferit a sul letto di Hen- shaw. Henshaw venne nella mia stanza per sapere com e stava, così ab- bigliato per il riposo. Mi addormentai mentre mormo ravo un com- mento che non poté udire." --I quattro giorni seguenti li annovero come i più piacevoli mai tra- Scorsi. Insieme con il nostro ospite viaggiammo mol to fino a sentirci completamente a nostro agio in quello strano mondo nuovo. La matti- na del quinto giorno stavamo viaggiando sulla corsi a centrale della Derb Highway verso la periferia della città, quando Melsona fischiò a un uomo anziano che stava camminando sul marciapied e nella dire- zione opposta. L'anziano si fermò, Melsona trasbord ò sulla corsia len- ta e poi sul marciapiede. E noi dietro. "«Il senior Glen Molcho~ ci presentò. aSenior è un titolo che noi at- tribuiamO alle persone di grande cultura« aggiunse come spiegazione. | «Come professore« suggerii io. " « Esattamente . Il senior Glynn Weston e il capit ano Henshaw. « Sor- ~ rise e noi a tumo ci stringemmo la mano. « Il sen ior è il nostro maggio- ,k re StoriCo. Pensavo che potesse essere particola rmente interessato a fa- re la vostra Conoscenza-« Henshaw fu rapido a cogliere l'occasione. Gli doman dò «Chi ha into la guerra tra Bianchi e Gialli del 2481-2486?« . t '«Le donne,> rispose prontamente il Senior. "«Le donne!« Henshaw sembrava sbigottito. U«La guerra durò nove anni, non cinque« continuò il senior. «Fu portata alla conclusione da un'organizzazione milit ante di donne che, innanzitutto, si rifiutarono di mettere al mondo al tri bambini, poi smisero di lavorare nelle fabbriche di munizioni co stringendo entram- bi i contendenti a ritirare un gran numero di solda ti per rimpiazzarle, e, alla fine, presero loro stesse le armi e assassi narono coloro che esse consideravano gli uomini-chiave del conflitto. Fu q uella guerra la cau- sa diretta del matriarcato su scala mondiale che pe r i tremila anni se- guenti esercitò il potere.« U«Be', sono uno sporco soldato!« esclamò Henshaw. "«Dunque lei è il famoso viaggiatore attraverso il tempo~j disse il se- nior, rivolto verso di me. «Ho sentito parlare molt o di lei nei notiziari. Ho saputo che lei sarà invitato al Convegno annuale degli scienziati che si terrà tra una settimana a Metro. Sarebbe mol to interessante se lei potesse portare con sé il suo apparato da viagg io.« "«Ora questa sì che è curiosa!« dissi. «Sono qui da diversi giorni e non mi è mai venuto in mente di chiedere che cosa n e è stato del con- gegno.« a«E al sicuro« rispose Melsona. «Mentre ti portavan o a casa mia, quello l'hanno tolto dalla strada. E stato poi recu perato e messo nel Museo della Scienza fino a quando non vorrai riaver lo.« "«Bene« proposi io. «Vi piacerebbe andare a vederlo ?« Tanto senior Molcho quanto Melsona furono entusiasti di poter vi sitare la camera del tempo. Tagliammo attraverso una strada laterale per andare a

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prendere una strada semovente diretta verso il cent ro, ci imbarcam- mo sulla corsia esterna da otto chilometri e filamm o verso la città. " « La cosa più curiosa dei viaggi nel tempo « diss i al senior « è come al- tera le idee. Per esempio, si potrebbe pensare che io abbia sconvolto le leggi della natura vivendo migliaia di anni. Tuttav ia, in quanto viaggia- tore nel tempo, io so che non è così. In realtà son o più vecchio di una set- timana circa di quando ho dato inizio al mio esperi mento. Ora so che la natura ha fissato la data della mia fine non in ter mini di anni secondo il computo degli uomini, ma in termini di anni della m ia vita. Morirò a un certo numero di miei anni dalla mia nascita, indipe ndentemente da co- me quel numero possa venire diviso o distribuito ne l futuro.« U«C'è un punto che, a mio parere, è ancora più curi oso« rispose il se- nior. «Com'è possibile che noi, con la nostra grand e civiltà, il nostr° enorme interesse per ogni ramo della scienza, non s iamo stati capaci di risolvere il problema che già fu risolto da due uomini che ci prece- dono di migliaia di anni?« U«Henshaw non l'ha affatto risolto« gli feci notare . "«Non mi riferivo a Henshaw, ma al suo predecessore .« "«Il mio predecessore?« non capivo a chi si riferis se. "«Ti ho detto che la possibilità di viaggiare nel t empo non ci era sco- osciuta« intervenne Melsona. «Ti ho anche detto, qu ando ci incon- trammolaprimavolta,cheeragiàstatoeffettuatoconsucce ssoprima.« UFrugai nella mia memoria e mi ricordai vagamente c he lui mi ave- va detto qualcosa di simile- Allora mi era sfuggito perché mi trovavo in uno stato confusionale. U«Quando spuntò fuori Schweil affermando che...« U< Schweil!« gridai con tutto il fiato che avevo in gola. «Ha detto Schweil?« U«Sì« rispose il senior, spaventato. «Quando Schwei l è comparso af- fermando che proveniva in origine dalla sua epoca, più o meno, tutti risero di lui e fu...« U«Mi dica« lo interruppi. «Da che anno diceva di ve nire?« U«Mi faccia pensare...« Studiò il pavimento e si mi se a riflettere. Non la finiva più. «Era il 1949, mi sembra.« U«E proprio così« urlai, tremando letteralmente dal l'eccitazione. «E così!« La gente intorno mi fissava come se fossi ma tto. Stavo dando spettacolo e non me ne importava niente. U«Lo conosceva?« chiese il senior, con un tono tran quillizzante. U«No. Morì alcuni anni prima che nascessi. O per lo meno fu creduto morto. Partì con il suo aeroplano privato con la ma nifesta intenzione di partecipare a un congresso scientifico a New Yor k. Scomparve. I rottami del suo aereo raggiunsero la costa della Nu ova Scozia un mese dopo. Era un tipo piuttosto eccentrico, non molto b en visto e alcuni suggerirono che si trattasse di un evidente caso di suicidio. Le sue teo- rie, e quelle dei suoi successori, furono utilizzat e da me. Che ne è stato L~ di lui? Dove si trova? Mi dica, per favore, tutt o quello che sa.«

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"Il senior pareva sopraffatto, trasse un lungo resp iro e disse: «Nel '~ 312 n. c., 460 anni fa, questo Schweil comparve nella periferia di Me- tro, la nostra grande città sul Tamigi, e sostenne di aver viaggiato at- traversO il tempo dal passato. Il suo congegno avev a la forma di una sfera di metallo scuro di circa tre metri di diamet ro. Nonostante le sue caratteristiche antiche, non venne creduto. La sua macchina fu esami- nata e dichiarata una burla. Si trovava nella sfort unata posizione di non essere in grado di provare le sue asserzioni, s e non dando una di- mostrazione pratica. E così si sarebbe allontanato dalle stesse persone L~ che doveva convincere, poiché ci disse che, sebb ene fosse possibile E~ Viaggiare nel futuro, non si poteva tornare indi etro nel passato«. U~Giusto« dissi io, pendendo dalle sue labbra. «Era molto amareggiato. A sentire lui la nostra era l'ottava epoca s che aveva visitato, e in nessuna era stato credut o. Alla fine emigrò su Venere portando con sé la sfera. Visse là per circa un anno e poi gli riu- ~Scì di convincerci che le sue affermazioni erano f ondate. Lo fece en- ando nella sua sfera e scomparendo di fronte agli o cchi di un mi- gliaio di coloni. Non è mai più tornato. Da allora non abbiamo più sa- uto nulla di lui.« "«E andato ancora avanti« dissi saltellando intorno come un gatto sui mattoni ardenti. «E andato ancora avanti. Oh, s e solo potessi in- contrarlo! Un uomo del mio tempo, un compagno adatt o per i miei viaggi... Lo devo incontrare! Lo deve assolutamente trovare! Mi sta aspettando da qualche parte nel futuro. Devo andare a cercarlo! La mia camera del tempo deve essere trasportata immedi atamente su Ve- nere!« Così dicendo, preso da un'agitazione folle, saltai sulla corsia centrale più veloce e corsi su di essa con un unico pensiero in testa: ar- rivare al Museo della Scienza il più presto possibi le e disporre per il trasporto della camera. "Lo sforzo della corsa doveva avermi placato la men te. Dopo mezzo chilometro mi trasferii sul marciapiede e attesi ch e gli altri mi rag- giungessero. Arrivarono uno dietro l'altro, senza f iato. Prima Hen- shaw, poi Melsona e il senior buon ultimo a gran fa tica. "Insieme entrammo nel Museo e Melsona domandò dov'e ra stata si- stemata la mia camera del tempo. Lasciandoci guidar e da lui la rag- giungemmo all'ultimo piano. A questo punto mi ero c almato abba- stanza da ricordarmi che i miei compagni desiderava no esaminarla. Aprii la porta e cominciai a spiegare loro il funzi onamento dell'appa- rato a raggio e le teorie su cui si basava. "La cabina sembrava aver subito danni leggeri. Gli angoli esterni erano fortemente rigati e ammaccati. Una delle fine stre era rotta. Tirai fuori le valvole e il tubo del raggio e li esaminai alla luce, rimettendoli a posto dopo aver constatato che erano ancora in co ndizioni eccellenti. "Ispezionai l'intero apparato, aggiustando un cavo qui e stringendo un morsetto là. Per diverso tempo girellai là attor no come una mam- ma intorno al suo bambino. Stavo per chinarmi a esa minare un con- tatto del vibratore McAndrews quando mi prese un se nso di nausea e il contatto cominciò a vibrare sotto i miei occhi.n --Mi raddrizzai, vidi le finestre inquadrare una se mitrasparenza in cui una vaga ombra danzava, ondeggiava e poi scompa riva come quando si estingue la fiammella di una candela. Fui preso dal panicO quando una nebbia ormai familiare mi appannò la vis ta. Capii che co-

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sa era avvenuto. In qualche modo il propulsore si e ra messo in azione "Presi a frugare affannosamente nella nebbia che mi avvolgeva in cerca dell'interruttore. Le sensazioni che si alter navano rapidamente~ di levigatezza e di fibrosità, mi annebbiavano il c ervello. Frugavo co- me un uhriaco in cerca di chissà cosa. Tiravo tutto aue!l~ rh~ l~ mia mano toccava. Spingevo oggetti invisibili che si ri fiutavano di spo- starsi. Montavo su cose che apparivano e subito sco mparivano. - "Per quanto tempo durò tutto ciò non saprei. Mi a ngosciai al pensie- - ro che il mio ultimo dolce mondo recedeva rapidam ente nell'irrevoca- bile passato. Cominciai a scalciare all'impazzata i n ogni direzione. Il frantumarsi di vetri seguito da una sensazione di f atica mi appagaro- no dei miei sforzi. La nebbia si diradò, lasciandom i intento a osserva- re una valvola rotta. La camera del tempo si era fe rmata. "Un pesante strato di vapore copriva l'interno dell e superfici dei ve- tri. La mia attenzione fu attratta da un forte sibi lo. Rimasi sbigottito nel vedere l'aria che usciva fuori attraverso l'ape rtura della porta soc- chiusa. Sbarrai immediatamente la porta, aprii il r ubinetto della bom- boletta di ossigeno di scorta, pulii il vetro dal v apore e guardai fuori. !~ "La scena che si presentò ai miei occhi era assa i deprimente: una li- scia e piatta distesa di sporcizia e polvere si est endeva senza interru- zione fino all'orizzonte. Il cielo da una parte ris plendeva di luce bian- ca, dall'altra tesseva una trama violacea scura e s inistra. Al primo sguardo capii che il mondo di quell'epoca era privo di aria, deserto, morto. Caddi preda dell'orrore al pensiero che le m ie ore erano conta- te. La morte mi attendeva fuori. E dentro! "Dopo qualche ora, con la preziosa bottiglia di oss igeno che ancora gocciolava, stavo guardando sconsolato fuori della finestra della mia stanza, notando che il cielo non era mutato minimam ente e che evi- dentemente ero bloccato in una zona di eterno crepu scolo. Proprio mentre stavo così alla finestra un istinto attrasse la mia attenzione sul lontano orizzonte. Là, con una curva maestosa, stav a planando una colossale nave spaziale, la fusoliera liscia e scin tillante, la coda ornata di piume di fuoco. Sentii un tuffo al cuore mentre seguivo la sua traiet- toria di volo fino a che s'immerse in un luogo d'at terraggio a me invi- sibile proprio oltre il bordo della terra. "Non mi venne da chiedermi perché una nave spaziale dovesse vola- re su un mondo senz'aria. L'idea che io potessi ess ere la vittima della mia stessa visione non mi venne mai in mente. Ripie gai un fazzoletto in modo da farne un tampone, lo compressi sul collo della bottiglia di Ossigeno ormai quasi vuota e aprii la porta. Tenend o il tampone schiacciato sul naso, corsi verso l'orizzonte... . "Mi sembrò di correre per interminabili chilometr i col petto ansante, il cuore che batteva e la testa che mi girava. La l ingua mi si era gonfiata in bocca, gli occhi mi sporgevano dolorosamente in fuori e non vedevo ' più. Non sapevo né mi importava se stavo correndo in linea retta o in ircolo. La cosa principale era continuare a correre . Caddi in preda al delirio- mi muovevo, mi muovevo, mi muovevo come un automa. 'Devo aver perso la bottiglia dell'ossigeno; devo e ssere caduto e i morto. Ma non me lo ricordo. Il mio ullimr~ rirr~ r~ lell~ TPrr:~ e Ch~ stavo fuggendo con piedi di piombo come chi è inseg uito da fantasmi

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in un incubo. Voi conoscete il seguito della mia st oria. Ripresi i sensi disteso nella sala di resuscitazione dell'Istituto di Kar col corpo dolo- rante e il polso che batteva in sintonia col battit o di un cuore meccani- co sospeso sopra il mio torace. "Che cosa avverrà ora? E giusto che lo sappiate. E mia intenzione tra- scorrere un po' di tempo a visitare il vostro bel m ondo. Desidero visi- tare i monumenti, studiare i vostri costumi. Con gr ande interesse ho appreso che l'enorme quantità di lavoro che è risul tata dalla Grande Migrazione ha causato molti mutamenti radicali risp etto al mondo che ho conosciuto per ultimo. Voglio leggere della Grande Migrazione per imparare tutto quello che c'è da imparare su qu esta straordinaria avventura epica della storia umana, per comprendere la natura dei cambiamenti che ha comportato come, per esempio, il vostro ritorno a un sistema monetario. "Poi mi metterò al lavoro e mi costruirò un'altra c amera del tempo. Lo voglio fare perché ho intenzione di ritrovare il mio contemporaneo Schweil. Abbiamo bisogno l'uno dell'altro. Vi piace rebbe sapere come penso di riuscirci? Lasciate che ve lo dica. "Farò una serie di brevi salti nel futuro e da quel li deriverò i dati ne- cessari per fare certi calcoli che, quando li avrò completati, mi consen- tiranno di partire per una data predeterminata. Se Schweil non sarà ancora ricomparso, gli lascerò un messaggio con un appuntamento più in là nel futuro, e poi partirò per quella data . Quando Schweil arri- verà e troverà il mio messaggio si metterà in viagg io anche lui per quella stessa data. E così ci daremo convegno in un futuro. "Non ho dubbi che il piano funzionerà, solo che a S chweil venga re- capitato il mio messaggio. Dovreste cercarlo. Sono sicuro che dall'ul- tima volta che si è saputo di lui è già ricomparso una dozzina di volte. Date le accoglienze che ha ricevuto in passato, e c onoscendone il ca- rattere, vi posso dire che è probabile che egli fac cia ritorno in segreto, senza pubblicità. "Voi potete essermi di aiuto. Tutto quel che vi chi edo è che mante- niate la mia storia e il mio messaggio per sempre v ivi!" L'annunciatore si avvicinò con passi felpati allo s chermo di trasmiS- sione. Il pubblico era una massa di occhi che fissa vano intenti una sola rlgura centrale. Con un movimento improvviso Glyn W eston, "l'uomo in cerca del Futuro«, lasciò la scena. Titolo originale: Seeker of Tomorrow Traduzione di Paola Rambaldi Stanley G. Weznbaum L'ARRIVO DELLA FIAMMA Il mondo Hull Tarvish si voltò indietro una volta sola, quan do fu giunto alla cur- va a gomito della strada. Il piccolo, basso cottage di pietra che era stato la sua casa era come l'aveva visto mille volte, inc omicia-to dai cedri. Sua madre lo seguiva ancora con lo sguardo, e due d ei fratelli minori lo stavano guardando dai fianchi della montagna. Alzò la mano in un ge- sto d'addio, poi la lasciò cadere, quando si rese c onto che ormai nessu- no di loro lo vedeva più: sua madre si era girata c on indifferenza verso la porta, e i due ragazzini avevano avvistato un co niglio. Tornò a vol- tarsi e riprese a camminare a grandi passi, scenden do il pendio che

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portava fuori dall'Ozarky. Passò davanti al luogo dove un tempo stava la grand e strada d'ac- ciaio degli Antichi, ormai ridotta a due lunghe str isce arrugginite ad una fila di tronchi putrefatti. Accanto c'era un mu cchio di pietre coper- te di muschio che era stato un edificio nei tempi a ntecedenti ai Secoli Bui, quando l'Ozarky faceva parte del vecchio stato del M'souri. I mon- tanari andavano ancora a frugarvi, in cerca delle p ietre squadrate, da usare nelle costruzioni, ma il duro metallo della s trada d'acciaio era troppO resistente e ostinato perché fosse possibile utilizzarlo, e in quei trecento anni le rotaie si erano arrugginite in sil enzio. Tutto questo Hull Tarvish lo sapeva, perché se ne p arlava ancora, la notte~ intorno ai camini. Gli Antichi erano stati p otentissimi maghi- le loro strade d'acciaio andavano dovunque, e dovunque c'erano le rovine delle loro città, erette - a quanto si diceva- per mezzo di una magia che evava i pesi. Giù nella valle - sapeva anche questo --gli uomini sta- Vano tuttora cercando quella magia: una volta un ca valiere si era fer- ato a passare la notte in casa Tarvish, e aveva rac contato che lontano ntano~ a Sud, il segreto era stato scoperto, ma nes suno ne aveva mai ~più sentito parlare. ~ischiettando tra sé, Hull si assestò sulla spalla la borsa di pezza, si- stemò più comodamente I arco, e continuò il suo cam mino. Era per questo che anche lui voleva raggiungere la valle; v oleva vedere com'era fatto il mondo. Era sempre stato un tipo irrequieto , diverso dai sei figli maschi Tarvish e dalle sei femmine. Quelli erano ve ri montanari: i figli erano grandi cacciatori, le figlie stolide e indust riose. Ma Hull no: non era pigro come i fratelli, né stolido come le sorel le. Era irrequieto, cu- rioso, sognatore. Perciò si avventurava fischiettan do nel mondo, ed era felice. La sera si fermò al cottage degli Hobel, al limitar e della montagna. Lontano, davanti a lui, si stendeva la pianura, e n ella lontananza, men- tre scendeva l'oscurità, si scorgeva il campanile d ella chiesa di Norse. Era un villaggio: Hull non aveva mai visto un villa ggio, o meglio non ne aveva mai visto altro che un campanile lontano, sim ile nella forma a un pino bianco e diritto. Ma aveva sentito parlare di Norse, perché qualche volta i montanari vi scendevano a comprare polvere e pallotto- le per i fucili... quelli che avevano i fucili, nat uralmente. Hull aveva solo un arco. Non capiva a cosa servisse ro i fucili: le pal- lottole e la polvere costavano denaro, e una frecci a faceva gratis lo stes- so lavoro, e senza bisogno di far fuggire la selvag gina per un raggio di un chilometro. La mattina dopo si congedò dagli Hobel che, come se mpre, lo giudi- carono un po' matto, e si avviò. Le gambe poderose, brune e nude si muovevano svelte sotto i calzoni laceri, i piedi sc alzi facevano un pia- cevole suush nella polvere della strada, il Sole di giugno batteva caldo sulla sua guancia destra. Hull era felice: non c'er a mai stato un mondo più piacevole, e perciò sorrideva e fischiettava, e sputava meticolosa- mente nella polvere, ricordando che portava sfortun a sputare verso il Sole. Era avviato verso l'avventura. E l'avventura arrivò. Hull era giunto ormai nella p ianura, dove gli, alberi erano più alti degli arbusti del territorio collinoso, e dove le rare fattorie erano grandi e prospere, con i campi ben c oltivati. Il sentiero era divenuto una strada carraia, tagliata e angolat a in mezzo alla fore- sta. E inaspettatamente un uomo... no, due uomini s i alzarono da un

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tronco sul bordo della via e si avvicinarono a Hull . Li scrutò: uno era al- to e aveva i capelli chiari come lui, ma non aveva la sua struttura robu- sta; I'altro era più basso di tutta la testa, e bru no. Abitanti della valle, sicuramente, perché il bruno aveva una tozza pistol a alla cintura con il calcio di legno come quelle degli Antichi, e l'arco dell'uomo più alto era fatto di lucente acciaio elastico. --Salve, montanaro,--disse il bruno.--Dove vai? --A Norse--rispose laconico Hull. --Cosa c'è nel sacco? --La mia lingual--ribatté il giovane. I Frase idiomatica del secondo secolo dell'Illumini smo. Avere ~la lingua nel saccon significava rifiutarsi di rispondere alle do mande (N.d.A.). _ Calma, calma--grugnì il biondo.--Non offenderti, montanaro. Siamo soltanto curiosi. Hai un gran bel coltello. V oglio fare un baratto. Con che cosa? Con un po' di piombo nel tuo gozzo--ringhiò il brun o. All'im- provviSo, la pistola tozza apparve nel suo pugno.-- Passalo qui, e an- che la borsa. Hull guardò con una smorfia prima l'uno, poi l'altr o. Alla fine scrollò le spalle, e si mosse come per scaricare il sacco. E poi, rapido come il guizzo di un serpente velenoso, il suo piede sinist ro sfrecciò avanti, col- pendo il bruno esattamente alla bocca dello stomaco , con tutta la po- tenza dei muscoli e del peso di Hull. L'uomo riuscì a emettere solo un grugnito soffocato ; si piegò su se stesso e cadde, mentre l'arma volava nella polvere, a cinque o sei metri di distanza. Il biondo si lanciò per recuperarla, m a Hull lo bloccò pas- sandogli un braccio poderoso intorno alla gola, e l o strattonò due volte: la breve lotta finì. Si avviò placidamente verso No rse con una tozza pi- stola carica al fianco, un lucente arco d'acciaio e lastico sulla spalla, e ventidue frecce tubolari d'acciaio nella faretra. Arrivò in cima a un dosso: il villaggio si stendeva davanti a lui. Spa- lancò gli occhi. Cento case almeno. Dovevano esserv i cinquecento abi- E tanti, più di quanti ne avesse visti tutti insiem e in vita sua. Proseguì, impaziente, guardando meravigliato la chiesa che to rreggiava come un albero altissimo, le finestre di pezzi di vetro recuperati dalle antiche rovine e meticolosamente rimessi insieme, la tavern a con l'insegna L dondolante: un uomo grasso in modo incredibile ch e impugnava un gi- gantesco boccale. Fissò le case, alcune delle quali avevano sul davanti i negozi, e gli abitanti, quasi tutti calzati di cuoi o. Hull non attirava molta attenzione. Norse era abitu ata ai montanari, e solo una o due ragazze volsero lo sguardo attento sulla sua figura po- derosa Ma questo lo mise a disagio; le ragazze dell e montagne ridac- chiavano e arrossivano, ma non fissavano apertament e gli uomini. Per- ciò ricambiò le occhiate con aria di sfida, facendo scorrere lo sguardo dalle cuffie alle corte gonnelle ondeggianti e ai s andali di cuoio, e le ra- gazze risero e passarono oltre. ` Norse non gli piaceva, decise. Mentre il Sole tra montava, le case in- combevano troppo vicine, come se volessero soffocar lo, e perciò si di-

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resse verso l'aperta campagna, per trovare un posto dove dormire. Al limitare del villaggio c'erano i resti di un'antica città, con le spettrali ' Inura sgretolate, verso occidente. C'erano fantas mi, lì, era naturale, erciO Hull passò oltre, trovò una zona boscosa e si sdraiò, chiudendo . l arcO e le frecce d'acciaio nel sacco, per prote ggerli dalla rugiada not- L~turna che li avrebbe arrugginiti. Poi si legò il sacco intomo ai piedi e al- ~le gambe, si sdraiò comodamente, e si addormentò c on la mano sul cal- io della pistola. Non c'erano animali pericolosi, n ei boschi, eccettuati i lupi che non attaccavano mai gli esseri umani nei mesi caldi dell'an- no; ma c'erano gli uomini, e loro non si ritenevano vincolati da quelle leggi stagionali. Si svegliò bagnato fradicio di rugiada. Il Sole lan ciava frecce dorate attraverso le fronde, e Hull aveva una fame tremend a. Mangiò I ultimo pezzo di pane scuro preparato da sua madre, toglien dolo dal sacco, e poi raggiunse la strada. C'era un carro che avanzav a cigolando pesan- temente, diretto verso il Nord; I'uomo barbuto dall 'aria mite fu lieto di dargli un passaggio, per avere un po' di compagnia. --Montanaro?--chiese. --Sì. --Diretto dove? --Nel mondo--rispose Hull. --Be'--osservò l'altro--è un posto molto grande, e quello che ho visto io somiglia molto a quel che c'è qui. Tutto, tranne Selui. Quella è una città. Sì, quella è una città. Ci sei mai stato ? --No. --Ci sono--disse il contadino, con tono d'importanz a--ventimila persone. Forse anche di più. E ci sono le rovine pi ù grandi che si siano mai ~riste. Ponti. Palazzi... alti quattro o cinque volte di più della Chiesa di Norse, anche se sono crollati. Il Diavolo solo s a quant'erano alti nei tempi antichi. --E chi ci viveva?--chiese Hull. --Non lo so. Chi poteva desiderare di vivere così i n alto che sarebbe occorsa una mattina intera per salirci a meno che u sassero la magia? Io non me la faccio molto con la magia, ma dicono che gli Antichi sapeva- no volare. Hull cercò d'immaginarlo. Per qualche istante vi fu silenzio, rotto soltanto dai tonfi lenti degli zoccoli dei cavalli. --Non ci credo--disse finalmente. --Neppure io. Ma hai sentito quello che stanno dice ndo a Norse? --Non ho sentito niente. --Dicono--fece il contadino--che Joaquin Smith ha i ntenzione di rimettersi in marcia. --Joaquin Smith! --Già. Lo conoscono anche i montanari, eh?

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--E chi non lo conosce?--ribatté Hull.--Allora ci s aranno com- battimenti nel Sud, immagino. Ho idea di andare a S ud. --Perché? --Mi piace combattere--rispose semplicemente Hull. --Ottima risposta--fece il contadino--ma a sentire quel che dice la gente, non ci sono molti combattimenti quando il Maestro si mette in marcia. Ha un incantesimo: c'è una grande strego neria a N~orleans~ dal più umile incantatore fino a Martin Sair, che è figlio del Diavolo in persona, o almeno così dicono. _ Mi piacerebbe vedere la sua stregoneria contro le frecce e le pal- lottole dei montanari--rispose Hull con aria truce. --Non c'è uno solo di noi che non riesca a centrare un occhio a mille passi, con il fucile. E a duecento con l'arco. --Senza dubbio: ma... e se la polvere s'infiamma, e i fucili sparano da soli prima ancora che lui abbia superato l'orizz onte? Dicono che ab- bia un incantesimo per questo... o lUi, o Margot la Nera. --Margot la Nera? --La Principessa, la sua sorellastra. La strega bru na che cavalca al suo fianco, la Principessa Margaret. --Oh... ma perché? Margot la Nera? Il contadino si strinse nelle spalle.--E chi lo sa? Così la chiamano i suoi nemici. --Allora la chiamerò così anch'io--fece Hull. --Be', non saprei--disse l'altro.--Per me conta poc o dover pagare le tasse a N Orleans o al vecchio, burbero Marcus O rmiston, I'Anziano del villaggio di Ormiston.--Puntò la frusta davanti a sé, e Hull scorse in distanza un gruppo di case, e il balenio di un f iumicello.--Ho ven- duto i miei prodotti in villaggi dell'Impero, e gli abitanti sembravano felici quanto noi, né più né meno. --Però c'è una differenza. La libertà. --E soltanto una parola, amico mio. Arano, seminano , mietono, pro- prio come noi. Vanno a caccia e a pesca e si azzuff ano. E in quanto alla libertà, sono meno liberi loro sotto il dominio di uno stregone, o io sotto quello di un vecchio rimbambito? --I montanari non pagano le tasse a nessuno. --E nessuno costruisce loro strade, o scava pozzi p ubblici. Dove pa- ghi poco ottieni meno, e io direi che le strade del l'Impero sono migliori delle nostre. --Migliori di questa?--chiese Hull, guardando l'amp iezza polvero- sa della strada. --E di molto. Presso la città di Memphis c'è una st rada di pietra soli- da: la spandono morbida, non so con quale magia, e poi la lasciano in- durire~ e cosi non c'è mai né fango né polvere. Hull rifletté.--Il Maestro--sbottò all'improvviso-- è dawero im-

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rnortale? Il contadino si strinse ancora nelle spalle.--E com e posso saperlo? ~i sono grandi stregoni, nei territori meridionali, e il più grande di tut- ti è Martin Sair. Ma so questo: ho vissuto sessanta due anni, e a quanto 1~ 1 icordo c'è sempre stato Joaquin Smith a Sud, e c'è sempre stato un Im- b~_ pero che inghiotte le città come una lepre ingh iotte le carote. Quand'e- ~,rO gioVane era lontano, adesso è arrivato vicino: la differenza è tutta lì. ~li uomini parlavano allora della bellezza di Margo t la Nera come ne Jparlano adesso, e anche della magia di Martin Sair . ~72 373 Hull non rispose, perché Ormiston era ormai vicina. Il villaggio era molto simile a Norse, ma stava accovacciato fra bas se colline: sulla cresta di alcune alture incombevano antiche rovine. Il suo compagnO fermò il carro, e Hull lo ringraziò, balzando a ter ra. --Dove andrai?--chiese il contadino. Hull rifletté un momento.--Selui--disse poi. --Be', è a centosessanta chilometri da qui, ma ci s aranno molti che potranno darti un passaggio. --Ho i miei piedi--fece il giovane. Si voltò di sca tto nel sentire una voce dall'altra parte della strada:--Ehi! Montanaro ! Era una ragazza. Una ragazza molto graziosa, dalla vita sottile, i ca- pelli color rame, gli occhi azzurri, ritta sulla po rta di una grande casa di pietra. ~ Ehi!--esclamò.--Sei disposto a lavorar e un po', in cam- bio della cena? Hull aveva di nuovo una fame da lupo.--Con piacere! --rispose. Alle sue spalle risuonò la voce del contadino.--E V ail Ormiston, la figlia dell'Anziano rimbambito. Fatti servire un pa sto abbondante, montanaro. L'ho pagato anche con le mie tasse. Ma Vail Ormiston non era disposta a chiacchierare t roppo con un montanaro vagabondo. Scrutò con aria d'approvazione la sua figura poderosa, gli mostrò i tronchi da fare a pezzi, e p oi rientrò in casa. E se anche sbirciò attraverso il più trasparente dei fra mmenti di vetro che formavano la finestra, e osservò il flettersi dei m uscoli delle grandi braccia nude mentre Hull lavorava d'ascia... be', l ui non se ne accorse. E così fu che quel pomeriggio si avviò verso Selui con lo stomaco sa- zio di un pasto abbondante e tre monetine d'argento in tasca, e il ricor- do della giovane donna era già sbiadito. Era più ri cco di quando era partito: adesso aveva in più le monete, la tozza pi stola al fianco, I 'arco e le frecce d'acciaio lucente, e il ricordo dei capel li cuprei e degli occhi azzurri di Vail Ormiston. Il vecchio Einar Tre settimane passate a Selui erano state utili per farla conoscere Ull po' a Hull Tarvish. Adesso non guardava più a bocca spalancata le rovi-; ne dell'antica città, protese verso il cielo, o gli enormi ponti crollati, e si sentiva a suo agio. Aveva trovato lavoro abbastanza facilmente in uD forno, dove i suoi muscoli erano utili; I'orario er a lungo, ma la paga munifica... cinque quarti d'argento la settimana. N e pagava due pe l'allo~io, e il cibo- quel po' che gli occorreva, a parte le Daanotte brU

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ciacchiate che riceveva gratis sul posto di lavoro - gli costava un altro j~ quartO; e così gliene restavano due da mettere v ia. Talvolta scommette- va sulla sua abilità di tiratore, e questo gli perm etteva quasi sempre di guadagnare qualche altra cosa. t Normalmente, Hull faceva amicizia in fretta: ma i l lungo orario glie- L lo impediva. Aveva soltanto un amico, un uomo inc redibilmente vec- chio che la sera si metteva sopra i gradini accanto al suo alloggio: il Vecchio Einar. Così, quella sera Hull uscì come al solito per raggiun- k gerlo, guardando le torri semidiroccate degli Ant ichi che splendevano nel tramonto. Su molte di esse erano cresciuti gli alberi, e tutte erano rivestite del verde dei rampicanti e dei muschi e d elle piante spuntate dai semi portati dal vento. Nessuno osava costruire fra le rovine, per- ché nessuno era in grado di prevedere quando sarebb e crollata una di quelle vecchie torri. --Chissà com'erano gli Antichi--disse Hull al Vecch io Einar. --Erano uomini come noi? E allora, come potevano vo lare? --Erano uomini come noi, Hull. In quanto al fatto c he volassero... be', sono convinto che sia una leggenda. Senti: c'e ra un uomo che avrebbe volato sulle terre fredde al Nord e su quel le al Sud, e anche at- traverso il grande mare. Ma in alcune versioni quel l'uomo è chiamato Lindbird, e in altre Bird, e quindi è facile capire l'origine della leggen- da. Le migrazioni degli uccelli, che ogni anno attr aversano la terra e i mari... ecco di che si tratta. --O forse era magia--suggerì Hull. --Non esiste, la magia. Lo dicevano gli stessi Anti chi, e io ho frugato in molti dei libri ammuffiti scritti in quella loro lingua bizzarra e arcai- ca. Il Vecchio Einar era il primo studioso che Hull ave sse mai incontra- ,~ to. Sebbene ve ne fossero molti, agli albori di quell'epoca brillante chiamata Secondo Illuminismo, quasi tutti erano nel l'Impero. John ,~ Holland era morto, ma Olin era ancora vivo, e Ko hlmar, e Jorgensen, e Teran, e Martin Sair, e Joaquin Smith, il Maestro. Grandi nomi... nomi di semidei. Ma Hull ne sapeva ben poco.--Tu sai leggere !--escl amò.--Questa è già una sorta di magia. E sei stato nell'Impero, addirittura a N'Or- leans. Dimmi, com'è la Grande Città? Hanno scoperto dawero i segreti degli Antichi? Gli Immortali sono veramente Immorta li? Come impa- rano ciò che sanno? -~ Il Vecchio Einar si assestò sul gradino, traendo sbuffi di fumo azzur- ro dalla pipa carica dell'aspro tabacco della zona. --Troppe domande non trovano risposte--osservò.--Debbo raccontarti l a vera storia del , rnondo~ Hull... Ia storia chiamata Storia? --Sì. Nell'Ozarky parlavamo pochissimo di queste co se. --Bene--dissse tranquillamente il vecchio.--Allora comincerò da quello che per noi è il principio, ma che per gl i Antichi fu la fine. Non so quali fattori, quali guerre, quali conflitti por tarono al mondo pos. sente che morì durante i Secoli Bui: ma so che trec ento anni fa il mon do raggiunse il suo culmine. Tu non puoi immaginare com'era, Hull Era un'epoca di città immense... cinquanta volte pi ù grandi di N'Or leans, con i suoi cinquantamila abitanti. Sbuffò di nuovo, lentamente.--Grandi carri d'acciai o CorrevanO

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rombando sulle strade di ferro degli Antichi. Gli u omini attraversava- no gli oceani, verso l'Est e l'Ovest. Le città eran o piene di ruote ronzan- ti e, invece delle tante, piccole città-Stato del n ostro tempo, c erano na- zioni gigantesche, con migliaia di città e cento mi lioni... centocinquan_ ta milioni di persone. Hull spalancò gli occhi.--Non credo che vi sia tant a gente al mon- do--disse: Il Vecchio Einar si strinse nelle spalle.--Chissà?- -ribatté.--I libri antichi, e sono troppo pochi... ci dicono che il mo ndo è sferico, e che al di là dei mari vi sono diversi continenti: ma neppu re Joaquin Smith può dire quante razze esistano oggi.--Un altro sbuf fo di fumo.--Be- ne, il mondo antico era così. Erano nazioni bellico se, così amanti delle battaglie che dovevano scrivere molti libri sugli o rrori della guerra per rimanere in pace, ma non ci riuscivano mai. Nell'ep oca che chiamava- no Ventesimo secolo vi fu tutta una serie di guerre , non piccoli conflitti come quelli che avvengono spesso tra le nostre citt à-Stato, e neppure come quella che scoppiò tra la Lega di Memphis e l' Impero cinque anni fa. Le loro guerre si diffondevano sul mondo come n ubi temporalesche, e venivano combattute fra milioni di uomini, con ar mi inimmaginabil i che scagliavano la distruzione a centinaia di chilo metri di distanza, e con le navi sui mari, e con i gas. --Cosa sono i gas?--chiese Hull. Il vecchio Einar agitò la mano, e l'aria smossa sfi orò la guancia bru- na del giovane.--L'aria è un gas--disse.--Loro sape vano avvelenare l'aria in modo che chiunque la respirava moriva. E combattevano ser- vendosi delle malattie, e la leggenda dice che comb attevano anche nel- I'aria, con le ali: ma questa è solo una leggenda, appunto. --Le malattie!--esclamò Hull.--Le malattie sono l'a lito dei Diavoli: e se dominavano i Diavoli, allora usavano la stregoneria, e quindi conoscevano la magia. --La magia non esiste--ripeté il vecchio.--Io non s o come si combattessero per mezzo delle malattie, ma lo sa Ma rtin Sair di N'Or- leans. Quello è il suo campo, non il mio: ma so che non è magia.--P°i riprese il racconto.--Perciò quelle grandi nazioni bellicose si scaglia rono l'una contro l'altra, perché la guerra, per lo ro, era più importante che per noi. Per noi è un po' un gioco rozzo, gioio so, pericoloso: ma per_ loro era una passione. La combattevano per una ragi one qualunque~ q anche senza altro motivo che l'amore per la battavl ia. A me piace combattere--disse Hull. ~ Sì, ma ti piacerebbe se significasse semplicement e l'annienta- nlento di migliaia di uomini al di là dell'orizzont e? Uomini che non ve- dresti mai? --No. La guerra deve essere combattuta corpo a corp o, o almeno a distanze non superiori a quelle che può coprire una palla di fucile. ~ E vero. Bene, verso la fine di quello che loro ch iamavano il Vente- simo secolo, la guerra scoppiò come un corno di pol vere gettato nel fuo- co. Dicono che ogni nazione combatté, e che le batt aglie si svolsero su mari e continenti. Non era solo una nazione contro l'altra, ma una raz- u contro l'altra, neri e bianchi e gialli e rossi, tutti impegnati in una lotta titanica.

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_ Gialli e rossi?--gli fece eco Hull.--Nell'Ozarky vi sono alcuni uomini neri chiamati Neg, ma non ho mai sentito par lare di uomini rossi e gialli. _ Io i gialli li ho visti--disse il Vecchio Einar.- -Vi sono alcune cit- tadine di uomini gialli sulle rive dell'oceano occi dentale, in una regio- ne chiamata Friscia. La razza rossa, dicono, è scom parsa, spazzata via dal morbo chiamato Morte Grigia, di cui i suoi memb ri cadevano vitti- me più facilmente delle altre razze. --Ho sentito parlare della Morte Grigia--disse Hull .--Quand'ero ragazzino, c'era un uomo vecchissimo, il quale racc ontava che suo non- no era vissuto ai tempi della Morte Grigia. Il Vecchio Einar sorrise.--Ne dubito, Hull. E accad uto più di due- centoCinquant~anni fa. Comunque--riprese--le grandi nazioni anti- che erano in guerra, e come dico, combattevano con le malattie. Forse qualche nazione scoprì il segreto della Morte Grigi a, o forse si produsse me una sorta d'incrocio tra altre malattie, non so. Martin Sair dice che le malattie sono cose vive, quindi può darsi ch e sia avvenuto que- sto. Comunque, la Morte Grigia si scatenò all'impro vviso nel mondo, colpendo tutti indiscriminatamente. Dovunque decimò gli eserciti, le ~`~ Città~ le campagne: di quelli che venivano colp iti, sei su dieci moriva- ~= no. Doveva esservi un grande caos nel mondo; non esiste un solo libro 5Shrnpato durante quel periodo, e solamente le legg ende raccontano co- i~e andò | ~ Ma la guerra si estinse. Gli eserciti si trovar ono all'improvviso sen- |-~ avversari~ e poi furono annientati prima di pot ersi muovere. Venne- colpite le navi in mezzo agli oceani, e andarono al la deriva, senza ~ipaggio~ naufragarono o entrarono in collisione co n altre. Nelle cit- i morti venivano ammucchiati per le strade, e i sup erstiti divennero ~de di ladroni vagabondi, e al terzo anno dell'epid emia, al mondo _llo rimaSti solo pochissimi governi stabili." E cosa pose fine all'epidemia?--chiese Hull. ~Ion so. Le pestilenze finiscono. Coloro che ne son o colpiti e non muoiono non possono ammalarsi una seconda volta, e coloro che ne so- no immuni non la prendono; gli altri... muoiono. La Morte Grigia spaz_ zò il mondo per tre anni; quando finì, secondo Mart in Sair, era peritO un essere umano su quattro. Ma per molti anni l'epi demia ritornò, in ondate sempre meno forti; sembra che soltanto una p estilenza del seco- lo decimoquarto degli Antichi, chiamata Morte Nera, l'abbia eguaglia- ta in tutta la storia. --I suoi effetti, però, erano solo all inizio. Lant ico sistema di tra- sporti era crollato, e le città soffrivano la fame. Bande fameliche co- minciarono a scorrere le campagne; e al posto di un 'unica guerra enor- me c'era un milione di piccole báttaglie. Le armi d egli Antichi erano dovunque, e le battaglie erano furiose, in verità, sebbene non si potes- sero paragonare agli scontri colossali del grande c onflitto. Un anno do- po l'altro le città decaddero, fino a quando, il qu into anno dopo la Mor- te Grigia, la popolazione mondiale si era ridotta d i tre quarti, e la civil- tà era finita. La barbarie ormai regnava nel mondo: ma erano soltanto barbari, non selvaggi. La gente ricordava ancora la possente civiltà an- tica, e dovunque si tentava di ricostruire le vecch ie nazioni. L'impresa

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non riuscì, perché mancavano i grandi capi. --E così doveva essere--disse Hull.--Adesso abbiamo la libertà. --Può darsi. Nel primo secolo dopo l'Epidemia, degl i Antichi era ri- masto ben poco, tranne le città in rovina, dove si annidavano bande di predoni che infestavano le campagne durante la nott e. Costoro s'inte- ressavano soltanto ai viveri e alle monete coniate delle vecchie nazioni e causavano danni incalcolabili. Pochissimi sapevan o leggere e nelle notti fredde c'era l'usanza di fare incursioni nell e antiche biblioteche in cerca di libri da bruciare: e per aggravare le c ose, il fuoco devastò le rovine di tutte le città, senza incontrare un ostac olo organizzato. Le fiamme si estinguevano spontaneamente, dopo aver di strutto libri di valore inestimabile. --Eppure a N'Orleans studiano, vero?--chiese Hull. --Sì, ci sto arrivando. Circa due secoli dopo l'Epi demia, cento anni fa, quindi, il mondo si era stabilizzato. Era molto simile a quello di og- gi, con minuscole cittadine agricole e vaste distes e di campagna deser- ta. Era stata riscoperta la polvere da sparo veniva no usati i fucili. e quasi tutte le bande di predoni erano state distrut te. E poi, nella citta- dina di N'Orleans, costruita alla periferia della v ecchia città, arrivò il giovane John Holland. --Holland era un tipo eccezionale, avido di sapere. Trovò i resti di un'antica biblioteca e cominciò lentamente a decifr are le parole arcai- che dei pochi libri sopravvissuti. A poco a poco al tri si unirono a lui, e via via che lentamente la voce si spargeva, arrivar ono uomini da altre regioni, portando i loro libri, e nacque l'Accademi a. Non c'era nessun° che insegnava, naturalmente: era soltanto un gruppo di studiosi che vi- 378 Vevano un'esistenza da comunità monastica. Non vi f urono tentativi di S~ruttare in modo pratico l'antica sapienza, fino a quando um giovane chiamato Teran fece un sogno.-. sognò di riattivare le macchine cente- narie di N'Orleans, e di ridare alla città l'energi a che corre nei fili! E che cos'è?--chiese Hull.--Che cos'è, Vecchio Eina r? ~ Non lo capiresti, Hull. Teran era un entusiasta; non si fermò ben- ché sapesse che non c'era carbone né petrolio per f ar fimzionare le sue macchine- Credeva che, quando l'energia fosse diven uta necessaria, sa- rebbe venuta; perciò lui e i suoi seguaci lucidaron o e limarono e salda- rono. E aveva avuto ragione lui. Quando ebbe bisogn o dell'energia, la trovò. "Fu il dono di un uomo chiamato Olin, che aveva sco perto l'ultimo, supremo segreto degli Antichi, I'energia chiamata a tomica. La diede a Teran, e N'Orleans divenne una città del miracolo, dove splendevano le luci e giravano gli ingranaggi. Gli uomini accorrev ano da ogni parte del continente per ammirare; e tra costoro c'erano Martin Sair e Joa- quin Smith, giunti dal Messico con la sorellastra d i Joaquin, satanica- mente bella, chiamata talvolta Margot la Nera. "Martin Sair era un genio. Trovò il suo campo nello studio della me- dicina, e passarono meno di dieci anni, prima che s coprisse il segreto delle radiazioni dure. Stava studiando la sterilità , ma trovò invece... I'immortalità! " --Allora gli Immortali sono veramente immortali--mo rmorò Hull.

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--Può darsi, Hull. Almeno, sembra che non invecchin o, ma... Bene, anche Joaquin Smith era un genio, ma di un tipo div erso. Sognava di riunificare i popoli del paese. Credo che il suo so gno sia ancora più grande Hull, la gente dice che si fermerà quando re gnerà su cento cit- tà, ma io credo che sogni un Impero americano, oppu re...--Il Vecchio Einar abbassò la voce.--Un Impero mondiale. Almeno, si servì del- l'immortalità di Martin Sair e la barattò con il po tere. Il Secondo Illu- minismo stava spuntando, e a N'Orleans il genio non scarseggiava. Joaquin Smith diede l'immortalità a Kohlmar in camb io di un'arma, I offri a Olin per la potenza atomica; ma Olin non era più giovane, e la rifiutò~ un po' perché non la voleva, e un po' perc hé non aveva molta simpatia per Smith. E così il Maestro s'impadronì d el segreto dell'ato- o a dispetto di Olin, e incominciò la Conquista. "N'Orleans, esposta direttamente all'influenza dell a personalità ma- gnetica del Maestro, era pronta a cedere, e lo fece con gioia. Lui radunò un esercitO e marciò verso Nord, e dovunque le citt à caddero o si arre- sero. Joaquin Smith è magnifico e gli uomini corron o a lui, le città l'ac- manO, e persino le mogli e i figli degli uccisi gli giurano fedeltà, ~uandO egli concede loro il perdono con quel suo mo do generoso. Solo ~,ua e là vi sono uomini che lo odiano rabbiosament e, e lo chiamano ti- ~no, e parlano di libertà.N 379 --Come i montanari--disse Hull. --Neppure i montanari possono resistere ai raggi io nici che Kohl mar riscoprì nei libri antichi, né al risonatore di Erden che fa esplodere la polvere da sparo a chilometri di distanza. Credo che Joaquin Smil riuscirà nel suo intento, Hull. Inoltre, non riteng o sia un gran mal_ perhé è un grande sovrano, un portatore di civiltà. --E come sono gli lmmortali? --Ecco, Martin Sair è freddo come la roccia delle m ontagne, e 1.. Principessa Margaret è simile a un fuoco nero. Pers ino le mie vecchie ossa ringiovaniscono quando la guardo; ed è meglio che i giovani non la guardino affatto, perché è senza cuore, implacab ile, spietata. In quanto a Joaquin Smith, il maestro... non conosco p arole capaci di de- scrivere um personaggio tanto complesso, eppure lo conosco bene. E mite, forse, ma enormemente forte, buono o crudele a seconda di quel che conviene ai suoi scopi, intelligentissimo, e pe ricolosamente affasci- nante. --Lo conosci!--esclamò Hull. E aggiunse, incuriosit o:--Qual è il tuo cognome, Vecchio Einar che conosci gli Immor tali? Il vecchio sorrise.--Quando nacqui--rispose--i miei genitori mi chiamarono Einar Olin. Il maestro in marcia Joaquin Smith era in marcia. Hull Tarvish era appog giato alla porta dell'officina di File Ormson a Ormiston, e guardava oltre i campi e i bo- schi in direzione delle azzurre montagne dell'Ozark y, a meridione. Era là che avrebbe dovuto essere, là con i montanari ma quando lo stancO messaggero a cavallo ebbe portato l'annuncio a Selu i, e Hull ebbe rag- giunto Ormiston, ormai era troppo tardi, e Ozarky e ra solo una provin- cia periferica dell'Impero in continua espansione, mentre il MaestrO era accampato lassù, sopra Norse, e mandava ambasci atori a Selui.

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Selui non intendeva cedere. Già le città della Conf ederazione di Se- lui, nata solo tre mesi prima, inviavano i loro uom ini, da Bloom'tom, da Cairo, persino dalla lontana Ch'cago, sulle rive del mare d'acqua dolce, Mitchin. Gli uomini della Confederazione odi avano i piccoli snelli, bruni ch'caghiani, perché non avevano ancor a dimenticato la di- sastrosa battaglia di Starved Rock; ma qualunque al leato contro Joa- quin Smith era il benvenuto. I ch'caghiani erano pe r giunta buoni com- battenti, e s'impegnavano sul serio, perché se il M aestro avesse pres° Selui, il suo Impero, si sarebbe esteso Dericolosam ente vicino ai mari d'acqua dolce, dall'oceano a Est fino alle montagne all'Ovest, e a Nord fino alla confluenza tra M sippi e M'souri. Hull sapeva che ci sarebbe stato da menar le mani, e se ne rallegrava. ~ra un peccato non aver potuto combattere nell'Ozar ky per la sua gen- te, ma Ormiston sarebbe andata bene. Quella era la sua patria, per il momento~ poiché aveva trovato lavoro presso File Or mson, il robusto fabbro, che aveva le spalle ampie quanto lui ed era più basso di tutta la testa. Era un lavoro piacevole per i suoi muscoli p oderosi, sebbene al momento non vi fosse nulla da fare. lq~,q lq c~mn ivna. tranquilla. Joaquin Smith era i n marcia e oltre il villaggio i contadini lavoravano ancora nei campi. Hull ascol- tò il lento Canto della Semina: Ecco che cosa occorre al buon terreno: prima l'aratro, quindi i semi in seno; poi con la zappa lavori indefessi, e pioggia per far crescere le messi. Ecco che cosa occorre all'uomo buono: delle promesse e dell'azione il dono; e poi la freccia, poi la lama vera, e il badile con la pala nera. Ecco che cosa occorre per la sposa: un'ortaglia curata e prosperosa; e poi la figlia e un figlio da curare, e il caminetto dove riposare. l~rr~ ch~ co ~ ~r~rro ~l hr ~ fj~l j~ Hull smise di ascoltare. I contadini cantavano, ma Joaquin Smith era in marcia, con gli uomini di cento città, con l a sua bandiera nera e il serpente dorato svolazzante. Quello, aveva detto il Vecchio Einar, era il Serpente di Midgard, che secondo la vecchia leggend a cingeva la Ter- ral. Era il simbolo del sogno del Maestro, e per un attimo Hull provò un fremito di simpatia per quel sogno. --No!--si disse.--La libertà è meglio, e tocca noi schiacciare la testa del Serpente di Midgard! Una voce suonò al suo fianco.--Hull! Hull Tarvish! Sei troppo orgo- glioso per notare l'umile gente comune? Era Vail Ormiston, con gli occhi viola che brillava no capricciosi sot- to i lisci capelli color rame. Hull arrossì: non er a abituato ai modi delle ragazze della valle, che flirtavano apertamente com e non avrebbero mai fatt~ le timide fanciulle montanare. Eopure lui ... be', in un certo I Nell~antica mitologia nordica, I'immane Serpente di Midgard era immerso nelle acque dell'Oceano e stringeva il mondo nelle sue spire. Simboleggiava il CaoS e l'ignoto che assediano la realta. Il serpent e è di per sé simbolo della totali- tà, SpeCie nella nota figurazione in cui si morde l a coda (N.d.T).

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senso gli faceva piacere, e Vail Ormiston gli piace va, e ricordava con gioia quando, due sere prima, era rimasto seduto a parlare con lei per tre ore buone, sulla panca accanto all'albero che o mbreggiava il pozzo di Ormiston. E ricordava la passeggiata per i campi , quando lei gli ave- va mostrato l'imboccatura di una grande fogna antic a, che si estendeva ancora, semisgretolata, per chilometri e chilometri sottoterra, in dire- zione delle colline, e ricordava che Vail gli aveva raccontato di quando da bambina, vi si era persa, e suo padre aveva pian tato gli arbusti di mirtilli che nascondevano tuttora l'apertura. Hull sorrise.--La figlia dell'Anziano parla di umil e gente comune? Tuo padre mi raddoppierà le tasse, se viene a saper lo. Vail scosse il casco di capelli metallici.--Lo farà di sicuro, se ti vede con questo bell'abito di Selui.--Le brillavano gli occhi.--Per chi l'hai comprato, Hull? Perché faresti meglio a rispa rmiare il tuo danaro. --Chi risparmia l'argento perde la fortuna--ribatté Hull. Dopotut- to, non era tanto difficile parlare con lei.--Del r esto, meglio un tuo sorriso dello scintillio del danaro. Vail rise.--Ma come impari presto, montanaro! Comun que, se ti di- cessi che ti preferisco vestito di stracci, con i m uscoli possenti che guiz- zano tra gli strappi? --Lo dici davvero, Vail? --Sicuro! Ridacchiando, Hull si portò alle spalle le grandi m ani. Vi fu il suono della stoffa lacerata, e un lungo strappo si aprì s ul dorso della camicia acquistata a Selui.--Ecco fatto, Vail! --Oh!--gemette lei.--Hull, sprecone! Ma è soltanto una cucitura che ha ceduto!--Si frugò nella borsa che portava al la cintura--La- scia che l'aggiusti io. Vail si chinò dietro Hull, ed egli ne sentì il resp iro sulla pelle, caldo come il Sole di primavera. Strinse i denti, fece un a smorfia, poi si buttò deciso su ciò che aveva da dire.--Mi piacerbbe parl are di nuovo con te stasera, Vail. Percepì il sorriso di lei, dietro le sue spalle.--D avvero?--mormorò pudicamente la ragazza. --Sì, se Enoch Ormiston non ti ha già chiesto un ap puntamento. --Me l'ha chiesto Hull. Il giovane sapeva che lo punzecchiava di proposito. --Mi dispiace, disse, laconico. --Ma... gli ho detto che aveva da fare--concluse Va il. --Hai da fare davvero? La voce risuonò come un bisbiglio.--No, a meno che non me lo dica tu. Hull proruppe in una grande risata.--E allora te lo dico, Vail.

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La sentì tirare la cucitura, poi chinarglisi sul co llo, ma soltanto per tranciare i fili con i denti candidi.--Ecco fatto!- -esclamò gaiamente la ragazza.--La camicia è rimessa a nuovo. ~; Prima che Hull potesse rispondere, si udì il cla ngore del maglio di Fi- le Ormson, e il tuono misurato del suo Canto della Forgia. Ascoltarono, mentre i colpi risonanti battevano il tempo. Oh-oh... oh-oh... oh! Io canto al risuonare d'ogni colpo... colpo... colpo! E il metallo già diventa tenero, mentre sonoramente soffia il mantice come l'orgia dei diavoli laggiù... giù giù! Come l'orgia dei diavoli laggiù! --Devo andare--disse Hull, sorridendo riluttante.-- Ho del lavoro da fare. --Cosa sta fabbricando File?--chiese Vail. Subito il sorriso di Hull svanì.--Sta forgiando... una spada! Anche Vail non era gaia come un momento prima. Su e ntrambi era ~, calata un'ombra, I'ombra dell'Impero. Là fuori, tra le colline azzurre dell'Ozarky, stava marciando Joaquin Smith. Era sera. Hull contemplava il riflesso d'una Luna c olor rame nei ca- pelli cuprei di Vail, appoggiandosi alla spalliera della panchina. Non era quella vicina alla pompa del pozzo: era già occ upata da due coppie ridenti, e sebbene loro fossero stati accolti di bu on garbo, Hull aveva preferito la solitudine. Non era più timidezza di m ontanaro, la sua, perché il suo carattere bonario gli aveva procurato molti amici nel vil- laggio di Ormiston: era la proiezione del malumore che aveva preso en- trambi al momento del commiato, e perciò adesso sed evano sulla pan- china accanto al cancello di Vail, alla periferia d el villaggio. Dietro di loro grandeggiava buia la casa di pietra: il padre di lei era in giro per la ,~ Città, a occuparsi degli affari della Confederaz ione, e i servitori aveva- no approfittato della serata libera per raggiungere la gente radunata sulla piazza del villaggio. Ma dall'altra parte del la strada brillava la luce gialla della lampada a olio, in casa di Hue He lm, il contadino che aveva portato Hull da Norse a Ormiston. Hull fissav a pensoso quella luce~ Mi piaCe combattere--ripeté.--Ma non so perch é, non è più ~-~ entusiasmante~ E come attendere l'avvicinarsi d i un temporale. --E come si può combattere la magia?--chiese Vail, timidamente, con un fil di voce. --La magia non esiste--disse il giovane, ripetendo le parole del , Vecchio Einar.--Non esiste. i --Hull! Ma come puoi dire una simile stupidaggine ? --Dico ciò che mi ha detto uno che sa. --Non esiste la magia!--esclamò Vail.--E allora dim mi che cosa dà il potere agli stregoni del Sud. Perché Joaquin Smith non ha mai perduto una battaglia? Che cosa ha sottratto il cor aggio agli uomini della Lega di Memphis, che sono buoni combattenti? E cosa... perché l'ho visto con i miei occhi... che cosa spinge per le strade i carri senza cavalli di N'Orleans, e cosa illumina quella città, la notte? Se non è ma-

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gia, che cos'è? --La sapienza--disse Hull.--La sapienza degli Antic hi. --La sapienza degli Antichi era magia--fece la raga zza.--Tutti sanno che erano maghi, stregoni e incantatori. Se H olland, Olin e Mar- tin Sair non sono stregoni, allora cosa sono? Se Ma rgot la Nera non è una strega, allora i miei occhi non ne hanno mai vi sta una. --Tu li hai visti?--chiese Hull. --Certo. Tutti, tranne Holland, che è morto. Tre an ni fa, durante la Pace di Memphis, mio padre mi portò con sé in viagg io per l'Impero. Li ho visti tutti, a N'Orleans. --E lei... cosa dicono di lei? --La Principessa?--Vail abbassò gli occhi.--Gli uom ini dicono che è bella. --Ma tu non la pensi così? --E anche se lo è ?--scattò la ragazza, in tono di sfida.--La sua bel- lezza è come la sua gioventù, come la sua vita... a rtificiale, conservata oltre il suo limite normale, congelata. Ecco... con gelata per sortilegio. E in quanto al resto...--Vail abbassò la voce, esit ante, perché neppure le franche ragazze della valle parlavano di certe c ose con gli uomini. --Dicono che abbia consumato una dozzina di amanti- -disse piano. Hull rimase sbalordito, scandalizzato.--Vail!--morm orò. Lei tornò su un argomento meno pericoloso, ma il gi ovane la vide av- vampare.--Non dire proprio a me che la magia non es iste!--dichiarò brusca. --Almeno--ribatté Hull--non esiste una magia capace di arresta- re un proiettile. Sì, e lo stregone che ne arresta uno con il cranio muore esattamente come un uomo onesto. --Spero che tu abbia ragione-- mormorò timidamente Vail. --Hull, bisogna fermarlo! Bisogna! --Ma perché ti scaldi tanto, Vail? Mi piace combatt ere... ma molti dicono che la vita nell'lmpero è molto simile a que lla che si vive altro- ve, e che poco importa a chi si pagano le tasse se. ..--All'improvviso s'interruppe, ricordando.--Tuo padre!--esclamò.--L' Anziano! --Sì, mio padre, Hull. Se Joaquin Smith prenderà Or miston, miO padre ne soffrirà più di tutti. Non incasserà più l e tasse, le sue terre ver- ranno divise, e lui è vecchio, Hull... vecchio. Che ne sarà di lui, allora- ?So che molti la pensano come te... come hai detto tu, voglio dire, e s° che si battono senza troppo impegno, e che il Maest ro s~impadronisce di una città dopo l'altra senza colpo ferire. E poi pensano che vi sia una magia nel nome stesso di Joacquin Smith, e lui pass a attraverso eserci- ti dieci volte superiori al suo.--Vail s'interruppe .--Ma non Ormi- ston!--esclamò, decisa.--No, a costo che siano le d onne a impugnare le armi! _ Non Ormiston--ammise Hull, gentilmente. Tu combatterai, Hull, vero? Anche se non sei nato q ui?

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_ Certo. Ho arco e spada, e una buona pistola. Comb atterò. Ma non hai fucile? Aspetta, Hull.--Vail si alzò e s gattaiolò via. 3 nell'oscurità. Dopo un momento ritornò.--Ecco. Ecco il fucile, e i l como della pol- vere, e i proiettili. Sai come si usa? Hull sorrise fieramente.--So colpire tutto quello c he vedo,--disse. _ Come tutti i montanari. _ Allora--mormorò Vail, con il fuoco nella voce--pi anta un proiettile nel cranio del Maestro. E anche uno tra gli occhi di Margot la Nera... per me! L --Io non combatto le donne--rispose lui. E --Non è una donna: è una strega! --Comunque, Vail, dovranno esserci due pallottole p er il Maestro, e soltanto le catene della prigionia per la Principes sa Margaret, almeno per quanto riguarda Hull Tarvish. Ma non ti bastere bbe vederla attin- gere acqua alla tua pompa, o lucidare le pentole de lla tua cucina?-- Cercava di assecondarla, di prospettarle immagini f antastiche per ri- sollevarle il morale. F Ma lei l'interpretò diversamente.--Sì--esclamò.-- Oh, sì, Hull, è meglio così. Se potessi sperare di vedere una cosa simile...--Si alzò al- I'improvviso, e lui la seguì fino al cancello.--Dev i andare--mormo- rò.--Ma prima, se vuoi, Hull... prima, puoi baciarm i. Di colpo, Hull tornò ad essere un montanaro timido. Appoggiò il fuci- f le alla staccionata con il corno appeso alla guar dia del grilletto. Si girò ,I verSo Vail, arrossendo con violenza, ma solo in parte d'imbarazzo: il re- Sto era felicità. La cinse con le braccia robuste e , frettolosamente, le sfiorò le labbra tenere. ~- --Adesso--disse, esultante--adesso combatterò, a costo di dover `~ caricare da solo l'esercito dell'Impero. La battaglia di Eaglefoot Flow Gli uomjnj della Confederazione continuarono a rive rsarsi a Ormiston er tutta la notte. ~li ometti bruni di Ch'cago e Se lui, quelli alti e bion- di delle regioni dello Iowa, dove sopravviveva anco ra il sangue olande_ se, mescolato all'immissione scandinava delle alte valli dei fiumi. Per tutta la notte vi fu lo sferragliare dei carri che portavano polvere da sparo e proiettili da Selui, e viveri, perché Ormis ton non era in grado di sfamare tante bocche. Era un magnifico esercito, fo rte di diecimila uo- mini, tutti combattenti esperti, addestrati in una dozzina di piccoli conflitti e nella sanguinosa Guerra dei Laghi e dei Fiumi, quando Ch'cago s'era portata via una grossa fetta dei terr itori di Selui. La resistenza doveva essere organizzata a Ormiston, e Norse, I unico abitato che si trovava ormai tra Joaquin Smith e la Confederazione venne abbandonata al suo destino. I comandanti avev ano esaminato ií territorio, e avevano concordato un piano. Cinque c hilometri più a sud del villaggio, la strada costeggiava un antico trat to della ferrovia, in- cassato nel terreno, fiancheggiato da banchine alte quindici metri, e coperto da fitti boschi per un chilometro a nord e a sud del ponte su Ea-

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glefoot Flow. Lì i comandanti avrebbero distribuito i loro uomini in fila per uno dove le alture erano scoscese ed elevate, ammassati in forza dove lo permetteva il terreno. Joaquin Smith doveva percorr ere la strada: non ce n'erano altre. Era una posizione ideale per un'i mboscata, e il piano era d'una semplicità magnifica. Tanta semplicità e tanta magnificenza non potevano fallire, dicevano, dimenticando di ave re a che fare con il massimo genio militare di tutta l'Età dell'Illumini smo. Era metà mattina quando gli esploratori inviati nel l'Ozarky tornaro- no con notizie da togliere il fiato. Joaquin Smith aveva ricevuto la sfida lanciata da Selui ai suoi ambasciatori, ed era in m arcia. Il Maestro era in marcia, e sebbene gli esploratori avessero viagg iato in fretta, a ca- vallo, da Norse, non poteva essere ormai molto lont ano. Le sue forze? Gli esploratori calcolavano che fossero quattromila uomini, tutti a ca- vallo, con gli altri mille ausiliari. Erano in cond izioni d'inferiorità nu- merica uno contro due! Ma Hull Tarvish ricordava di aver sentito par- Iare di altri scontri in cui Joaquin Smith aveva so praffatto avversari anche più forti. rl momento era vicino. Nella stanzetta accanto all' officina di File Ormson, Hull stava esaminando le sue armi, mentre V ail Ormiston, pallida, nervosa e adorabile, I'osservava attenta. Hull passò uno strac- cio oliato attraverso la canna del fucile che lei g li aveva consegnato, eli- minò una chiazza di ruggine dal cane, soffiò via un granello di polvere- Accanto a lui, sul tavolo, c'erano il corno della p olvere da sparo e le pal- lottole, e contro la sedia stava appoggiato l'arco d'acciaio. --Un'arma magnifica!--esclamò in tono d'ammirazione , prenden- do la mira lungo la canna. --Spero... spero che ti sia utile,--mormorò Vail co n voce tremula --Hull, bisogna fermarlo. Bisogna! Tenteremo, Vail.--Hull si alzò.--E ora che vada. Lei gli si mise davanti.--Allora, prima di andare, vuoi... baciarmi, Il giovane le si avvicinò, poi arretrò, allarmato, perché in quell'istan- te, accadde. Vi fu una serie di schiocchi debolissi mi, e Hull ebbe per un istante la sensazione di scorgere un brillìo di sci ntille azzurre sui can- delieri e sugli oggetti metallici nella stanza, e d i avvertire un bizzarro formicolio. Poi dimenticò tutte quelle cose strane e banali, quando il corno della polvere da sparo posato sul tavolo s'in cendiò ruggendo, e schizzi fiammeggianti esplosero intorno a lui come meteore. Per un istante restò immobile, impietrito. Vail url ava: il suo abito stava bruciando. Hull si mosse di scatto, sollevand ola, gettandola di traverso sul pavimento, e cominciò a spegnere le fi amme emanate. Poi L fece altrettanto con il fuoco che si era appiccic ato al tavolo e al pavi- mento; pestò con i piedi le fiamme, e finalmente le spense. si girò, tossendo, semisoffocato dal fumo nero, e s i piegò su Vail, che ansimava, quasi svenuta. La gonna s'era bruciata qu asi del tutto e per il momento era troppo sconvolta per nascondersi le lunghe gambe, seb- ~ bene a quei tempi non vi fossero al mondo donne p iù pudiche di quelle t delle medie regioni del fiume. Ma quando Hull si chinò verso di lei, si raggomitolò.

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--Come stai?--gridò lui.--Vail, ti sei bruciata? --No... no!--ansimò la ragazza. ~' --E allora, fuori!--scattò Hull, tendendo le bra ccia per sollevarla. --No... non così! Hull comprese. Staccò dal muro il grembiule di cuoi o da fabbro, glie- lo drappeggiò addosso, e la portò fuori, nell'aria più pura della strada. Fuori c'era il caos. Hull depose delicatamente Vail sui gradini e guar- dò quella scena tumultuosa. Gli uomini correvano gr idando, e dalle fi- nestre lungo la strada usciva fumo nero. A una dozz ina di metri di di- ,~ Stanza, un carro zeppo di polvere era esploso in un enorme fungo di fu- mo incenerendo cavalli e guidatore. Sulla veranda, dall'altra parte r delia strada, un uomo si contorceva, straziato da llo scoppio del fucile che aveva tenuto fra le mani. Hull comprese di colpo.--Gli scintillatori ! '--rug gì .--Gli scintilla- Eí tori di Joaquin Smith! Il Vecchio Einar me ne av eva parlato.--Si la- SCiò sfuggire un gemito.--Le nostre munizioni non e sistono più. La ragazza si controllò con grande fatica.--La stre goneria di Joa- | quin Smith--disse con voce spenta.--E così finisc ono anche le nostre " Speranze. risonatOri Erden". Congegno, ora antiquato, che pro iettava un campo d'in- uzione~ sufficiente a produrre minuscole scariche e lettriche negli oggetti me- tallici~ entro um raggio di molti chilometri. In qu esto modo accendeva le sostan- ze infiammabili~ come la polvere da sparo (N.d.A.). Hull trasalì.--Le nostre speranze? No! Aspetta, Vai l. Si preclpitò verso il gruppo che circondava il vecc hio Marcus Ormi- ston e i comandanti della Confederazione. Si fece l argo energiCamente e afferrò il vegliardo atterrito.--E adesso?--ruggì .--Cos'ha inten- zione di fare? --Fare? Fare?--Il vecchio non capiva. --Sì, fare! Glielo dirò io.--Guardò rabbiosamente i cinque. Andre_ mo fino in fondo. Capisce? Anziché polvere da sparo e fucili, useremo archi e spade; andranno benissimo, per la portata c he ci serve. Raduni i suoi uomini! Raduni i suoi uomini e mettiamoci in m arcia! E così fu. Hull marciò alla testa degli uomini di O rmiston, portando con sé il ricordo del commiato di Vail. Lo imbarazz ava venire baciato così, in pubblico, ma gli aveva dato una grossa sod disfazione veder l'espressione acida di Enoch Ormiston. Gli uomini di Ormiston erano i primi, sulla linea d i marcia del Mae- stro, e s'infiltrarono nelle postazioni nascoste da lla foresta, silenziosi come volpi. Hull si voltò a osservare lo stretto pa ssaggio, e si sentì com- piaciuto, perché nessuno avrebbe potuto accorgersi che lungo la strada deserta erano disposti diecimila combattenti. E per giunta conosceva- no bene i boschi e sapevano come muoversi, venuti c om'erano dalle al-

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te valli dei fiumi e dai mari d'acqua dolce. Dalla via di Norse arrivò al galoppo un cavaliere. Il vecchio Marcus Ormiston lo riconobbe, si alzò e lo chiamò. I due c onferirono: Hull poté udire le parole. Il Maestro aveva attraversato Nors e fermandosi solo il tempo sufficiente per far sapere all'Anziano che d' óra innanzi le tasse dovevano venire inoltrate a N'Orleans; poi aveva pr oseguito, senza fretta. No, non s'erano viste stregonerie, e il mes saggero non aveva ve- ~1 duto neppure la strega Margot la Nera: ma del resto si era allontanato prima che il Maestro arrivasse. L'informatore proseguì verso Ormiston, e gli uomini ripresero ad at- tendere in silenzio. Passò mezz'ora e poi, lieve e fioca nell'aria silenzio- sa, giunse una musica. Era un canto di voci maschil i. Hull ascoltò at- tento, e si sentì accapponare la pelle e rizzare i capelli, quando distinse le parole dell'Inno di Battaglia di N'Orleans: Regina delle città, splendida imperatrice dalle vesti di stelle imperlate guarda le nostre braccia che sorreggono le bandiere di guerra spiegate! Ascolta il nostro canto farsi forte, ardente come il fuoco della lotta: il nostro solo desiderio è morte, oppure llmpero del Mondo! Hull impugnò saldamente l'arco e incoccò la freccia . Sapeva che il loro piano era di lasciar passare indisturbato il n emico, fino a che l'in- tera colonna forse all'interno del tratto lungo il quale era spiegata l'im- boscata~ ma il rombo di quel canto lontano l'infiam mò, come una scin- tilla accende la polvere. E lontano, lontano, oltre il varco tra le due sCarpate, vide sollevarsi un polverone. Joaquin Smi th si stava avvici- nando. Poi... I'inaspettato. In seguito, Hull si disse che avrebbe dovuto essere prevedibile, che la reputazione del Maestro avrebbe dovuto far loro comprendere che un piano tanto semplice era destina to al fallimento. Ma in quell'attimo non vi fu tempo per pensieri tan to vani, perché al- I'improvviso, attraverso gli alberi alla sua destra , uomini agili, piccoli, vestiti di marrone, guizzarono come ombre lanciate alla carica, mentre i comi squillavano, i fischietti sibilavano. Gli esploratori del Maestro! Joaquin Smith aveva es attamente previ- sto l'imboscata. Immediatamente, Hull si accorse della debolezza del la Lega. Erano diecimila, certamente, ma erano sparsi su un tratto di oltre tre chilo- metri, e gli esploratori di Joaquin Smith avevano u n vantaggio nume- rico enorme, mentre il grosso dell'esercito si anda va avvicinando. C'e- ra un'unica possibilità: combattere, respingere gli esploratori, e riti- rarsi nei boschi. Finché esisteva l'esercito, anche se Ormiston fosse caduta, la speranza non sarebbe morta. Lanciò un grido, scagliò la freccia, mandandola bal enante tra le fron- de. Non era il posto più adatto per combattere con le frecce: il loro volo arcuato veniva sempre deviato dal groviglio dei ram i. Hull s'infilò l'ar- i. co sulle spalle e impugnò la spada: bisognava co mbattere corpo a cor- po il tipo di combattimento che faceva formicolare il sangue e faceva apparire gioiosa la vita.

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Poi la seconda sorpresa. Gli esploratori avevano es tratto le armi, piCCoíe pistole tozzel . Ma non sparavano proiettil i: raggi pallidi saetta- I vano tra foglie e rami, come lampi di fioca luce azzurra. Stregoneria? E ;- a che scopo? Hull lo scoprì subito. La spada divenne improvvisam ente rovente, e dopo un istante la sofferenza più strana che avesse mai conosciuta stra- ~ Ziò il suo corpo. Un formicolio interno, violento e pungente, che gli tor- L Ceva i muscoli e gli paralizzava i movimenti. Un secondo, e il trauma essò ma la sua spada giaceva fumigante tra le fogli e, e l'arco dfacciaio gli avev,a ustionato la spalla. Intorno a lui gli u omini urlavano di dolo- re, contorcendosi al suolo, o correvano a ritugiars i nel profondo della foresta. Hull maledisse quei raggi: guizzavano come la luce del Sole nel |~ grovigliO di fronde e di rami, dove non riusciva no a passare le frecce. t I raggi ionici di Kohlmar" . Due raggi paralleli di luce fortemente attinica io- iZzano un tratto d'aria, e lungo questi percorsi di gas conduttore può passare ~ Una corrente elettrica, abbastanza potente da ucc idere, o solo abbastanza inten- ; sa da infliggere so~ferenza (N d.A.). Eppure, a quanto pareva, nessuno degli uomini era r imasto ucciso Le mani erano ustionate dalle armi divenute roventi sotto i raggi az- zurri, i corpi erano straziati dalla tortura che, H ull non poteva saperlo altro non era che una scossa elettrica: ma nessuno era morto. La spe- ranza si riaccese, e il giovane si precipitò a trat tenere un gruppo che fugglva. --Alla strada!--ruggì.--Allo scoperto, dove le nost re frecce pos- sono volare libere! Carichiamo la colonna! Per un momento, il gruppo si fermò. Hull strappò da lle mani di un uomo una spada che non si era ancora surricaldata, e si voltò.--Segui- temi!--urlò.--Andiamo! Possiamo combattere! Udì, alle sue spalle, uno scalpiccio. I raggi saett arono di nuovo: ma Hull tenne la spada all'ombra del proprio corpo, st rinse i denti, e sop- portò la sofferenza che lo torceva. Si avventò: udì il suo nome gridato dalla voce tonante di File Ormson, ma egli rispose solo con un urlo d'in- coraggiamento e si lanciò sulla strada, in pieno so le. La testa della colonna era giunta nella gola, e ava nzava tranquilla- mente. Scorse un uomo dai capelli neri e dall'elmo d'argento su di una grande cavalla bianca, alla testa delle truppe, e a ccanto a lui una figura più snella, su uno stallone nero. Joaquin Smith! Ru ggendo, Hull si lan- ciò giù per la scarpata. Quattro uomini spronarono immediatamente i cavalli, mettendosi tra lui e l'uomo dall'elmo d'argento. Saettò un rag gio: la spada gli scot- tò la pelle, ed egli la scagliò via.--Fatevi sotto! --gridò.--Battetevi ! Stranamente, con una chiarezza bizzarra, vide gli o cchi degli uomini dell'lmpero: erano sorridenti, misteriosamente dive rtiti. Non c'era col- lera, né paura... solo divertimento. Hull provò un' improvvisa trepida- zione, si voltò indietro, fulmineo, e comprese la c ausa di quel diverti- mento. Nessuno l'aveva seguito: aveva caricato da s olo l'esercito del Maestro!

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Hull fu preso dalla collera più ardente che mai l'a vesse invaso. Ab- bandonato! Abbandonato da coloro per cui combatteva . Urlò la sua rabbia alle alture echeggianti, e si avventò sul ca valiere più vicino. Il cavallo s'impennò, raspando l'aria con le zampe. Hull tese le brac- cia poderose sotto il ventre dell'animale e spinse, con una convulsione dei grandi muscoli. Cavallo e cavaliere si rovescia rono all'indietro, e intorno al Maestro vi fu un turbinio confuso, mentr e un uomo Correva disperatamente, per sottrarsi agli zoccoli scalpita nti. Ma Hull intravi- de Joaquin Smith, immobile e sorridente in sella al la grande giUmenta bianca. Strappò dalla sella un altro cavaliere, e poi, con la coda dell'occhio, vide il giovane snello a fianco del Maestro alzare un'arma freddamen- te, metodicamente. Per un istante. Hull guardò nei gelid; occhi verdi, carichi di una spassionata minaccia di morte. Si ge ttò a lato, mentre un raggio sibilava fumando sulla polvere della strada. --No!--scattò Joaquin Smith, con una voce bassa che tuttavia ri- suonò chiara nella confusione.--Quel giovane è sple ndido!-- Ma Hull non aveva intenzione di morire invano. Si c hinò, con un uni- co balzo poderoso si avventò su, a metà della scarp ata, si afferrò a un ramo basso e si lanciò nella foresta. Si trovò di f ronte un esploratore sbalordito: lo scagliò dietro di sé, giù per il pen dio, e s'insinuò al riparo delle fronde.--Un guerriero saggio sa combattere l' orgoglio--bor- bottò tra sé.--Non è un disonore, per un uomo solo, fuggire davanti a un esercito. Hull era un montanaro. Fece silenziosamente il giro della foresta, evitando gli esploratori che spingevano l'esercito della Confederazione verso Ormiston. Sorrise cupamente, ricordando le pa role che aveva detto a Vail. Le aveva tradotte in realtà; aveva ve ramente caricato da solo l'esercito del Maestro. Margot la nera Hull fece un ampio giro nella foresta, e dovette ri correre a tutte le sue astuzie di montanaro per passare tra le file degli esploratori. Finalmen- te arrivò nei campi a oriente di Ormiston, e raggiu nse la strada, entran- do dalla direzione di Selui. Dovunque c'erano i segni della rotta. C'erano carri rovesciati: senza dubbio i conducenti avevano staccato i cavalli per fuggire. Pistole e fu- cili, quasi tutti scoppiati, erano sparsi lungo la via, e di tanto in tanto Hull superava neri mucchi fumanti e carbonizzati ch e erano stati carri di munizioni. Ormiston, comunque, aveva subito pochi danni. Vide i resti di un paio di baracche sventrate che erano servite come m agazzini per la polvere da sparo, e in fondo alla strada il tetto d i una casa fumava an- cora. Ma non c'era segno di carneficina, soltanto l a strada affollata in- dicava qualcosa d'insolito. Trovò File Ormson nel gruppo che stava guardando ve rso l'altra par- te del villaggio, dove la strada di Norse svoltava verso est. Hull aveva battuto in velocità la tranquilla marcia del Maestr o, perché proprio al- la curva c'era l'esercito risplendente: adesso si e ra fermato. Neppure gli esploratori erano entrati a Ormiston, perché an ch'essi erano lì, al- lineati in una schiera brunovestita, al limitare de i boschi, oltre i campi più vicini. A quanto pareva, non si erano preoccupa ti di fare prigionie- ri limitandosi a sospingere nel villaggio i difenso ri atterriti. Joaquin

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Sínith l'aveva avuta vinta una volta di più; aveva preso un centro abi- tato senza causare morti, o almeno con le sole perd ite causate dall'e- splosione dei fucili e della polvere da sparo. All'improvviso, Hull notò qualcosa.--Dove sono gli uomini della Confederazione?--chiese bruscamente. File Ormson volse su di lui un paio d'occhi cupi.-- Andati. Sono fug- giti a Selui, come topi spaventati nelle loro tane. --Fece una smorfia poi sorrise.--E stato un gesto sciocco il tuo a Eag lefoot Flow, Hull. Ur; gesto sciocco, ma coraggioso. Il giovane fece una smorfia sarcastica.--Credevo ch e gli altri mi se- guissero. --Sarebbe stato giusto, ma quei raggi infernali ci hanno tolto il co- raggio. E possono uccidere, non solo fare il sollet ico: quando è stato ne- cessario, davanti a Memphis, hanno ucciso. Hull pensò al giovane dagli occhi verdi.--Questo cr edo di averlo quasi imparato a mie spese--rispose sorridendo. In fondo alla strada vi fu un movimento. Hull socch iuse gli occhi per vedere meglio, e scorse l'elmo argenteo del Maestro . Era smontato, e si rivolgeva a qualcuno: era... sì, il vecchio Marcus Ormiston. Hull lasciò File Ormson, e si fece largo sino al limitare della folla che circondava i due uomini. Stava parlando Joaquin Smith.--E tutte le tasse ver ranno inviate a N'Orleans, incluse quelle sulle tue terre. Ne userò metà per mantenere il mio governo, ma l'altra metà ritornerà al tuo di stretto, affidato a un governatore che io nominerò a Selui, quando avrò pr eso anche quella città. Non sei più l'Anziano, ma per il momento pot rai raccogliere le tasse, nella misura che io prescriverò. Il vecchio Marcus era terrorizzato; Hull vedeva la sua barba oscillare come un nido di pendolino nella brezza. Eppure il v ecchio cercò astuta- mente di contattare.--Sei molto duro--gemette.--Hai lasciato Pace Helm come Anziano a Norse. Perché mi punisci? Perch é ho combattuto per conservare ciò che era mio? Perché questo t'inc ollerisce tanto? --No sono in collera--disse passivamente il maestro .--Non biasi- mo mai chi combatte contro di me; ma è mia abitudin e favorire gli An- ziani che cedono pacificamente.--Tacque un istante. --Queste sono le mie condizioni, e sono abbastanza generose. Erano generose davvero, pensò Hull, soprattutto per la popolazione di Ormiston, che riceveva dall'Anziano meno della m età del valore del- le tasse sotto forma di strade, ponti o pozzi. --Le mie... Ie mie terre?--balbettò il vecchio. --Conserva quelle che puoi coltivare--rispose Joaqu in Smith in to- no indifferente.--Le altre andranno ai fittavoli.-- Girò le spalle al vecchio, mise il piede sulla staffa, e balzò in sel la alla grande cavalla bianca. Hull poté vedere bene il conquistatore, per la prim a volta. Capelli ne- ri tagliati sotto le orecchie, freddi occhi grigio verdastri; e la bocca ave- va una vaga espressione ilare. Era alto quanto Hull , più snello, ma ave- va spalle possenti, e non dimostrava più di trent'a nni, anche se questo era merito della magia di Martin Sair, poiché erano trascorsi più di ot-

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tant'anni da quando era nato fra i monti del Messic o. Era vestito come ~m guerriero delle terre meridionali: un usbergo di argentee scaglie metalliche, corti calzoni di stoffa serica e lucida e coturni. 11 corpo bronzeo era simile a quello delle antiche statue ch e Hull aveva visto a Selui- non sembrava il demonio che molta gente dice va. Era un uomo dall'aspetto simpatico, a parte un'espressione vaga mente arrogante... no, non esattamente arrogante, ma fiera e sicura, c ome se fosse convin- to di essere guidato dal fato; e forse era davvero così. Joaquin Smith riprese a parlare, rivolgendosi quest a volta ai suoi uo- mini.--Accampatevi qui--ordinò, indicando la piazza di Ormiston. --E là--indicando un campo lasciato a riposo.--Non danneggiate le colture.--Spinse avanti il cavallo, seguito da una dozzina di ufficiali. --La chiesa--disse. Una voce tesa e stridula risuonò alle spalle di Hul l.--Tu! Sei tu, Hull! Sei tu!--Era Vail, pallida, con gli occhi pie ni di lacrime.--Dice- vano che eri...--Scoppiò in singhiozzi, aggrappando si a lui, mentre Enoch Ormiston li guardava torvo. Hull l'abbracciò.--A quanto pare ti ho delusa--diss e, tristemente. --Ma ho fatto del mio meglio, Vail. --Delusa? Non m'importa.--La ragazza si calmò.--Non m'im- porta, Hull, perché adesso sei qui. --E non è poi terribile come credevamo--la consolò lui.--Non è stato feroce come temevo. --Feroce!--gli fece eco Vail.--Tu credi alle sue pa role melliflue, Hull? Prima le nostre tasse, poi le nostre terre, e infine saranno le no- stre vite... o almeno la vita di mio padre. Non cap isci? Non è l'Anziano di un villaggio nemico, Hull... quello è Joaquin Sm ith. ~oaquin Smith! Ti fidi di lui? --Vail, lo credi davvero? --Certo che lo credo!--La ragazza riprese a singhio zzare.--Hai vi- Sto come ha già conquistato metà della cittadinanza con... la storia del- L le tasse. Tu non ti lascerai conquistare, vero, H ull? Io... non lo sopporte- ~- --Non mi lascerò conquistare--promise Hull. --Lui e Margot la Nera e la loro astuzia! Li odio, Hull. Io... guarda! ; Guarda! Il giovane si girò di scatto. Per un momento vide s oltanto il giovane che aveva rivolto verso di lui gli occhi carichi d' una minaccia di morte a Eaglefoot Flow, in sella al poderoso stallone ner o. Non era un giova- ne! All'improvviso vide che era una donna... o megl io una ragazza. Di- ciotto anni... venticinque? Non sapeva. Teneva il v olto girato dall altra parte, per scrutare la folla allineata sul lato opp osto della strada, ma la luce del tramonto cadeva sulla fiammeggiante chioma nera, così nera che aveva riflessi azzurri... un nero intenso, incr edibile. Indossava solo una corta giacca di pelle aperta sul davanti, e cor tissimi calzoncini, ma una gualdrappa proteggeva la snella eleganza delle gambe dal contatto con le costole della cavalcatura. C'era una strana grazia nel mondo in cui stava in sella, con una mano sul fianco, lascia ndo pendere le briglie. Il sangue della madre spagnola appariva soltanto ne lla carnagione lie- vemente olivastra, trasparente, e nello stupefacent e color ebano dei ca- pelli. --Margot la Nera!--bisbigliò Hull.--Spudorata! Mezz o nuda!

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Che cos'ha di tanto bello, quella? Come se avesse udito il suo bisbiglio, lei si voltò improvvisamente passando gli occhi di smeraldo sulla folla intorno a lui e Hull trovò la risposta alla sua domanda. La bellezza di Margot er a incredibile... au- dace, scandalosa. Non era solamente l'assenza di di fetti: era una bel- lezza ardente, fiammeggiante, positiva, con una sfu matura imbroncia- ta. L'ilarità della bocca del Maestro in lei era be ffa; le labbra perfette sembravano sempre sul punto di sorridere, ma d'un s orriso crudele e sardonico. La sua perfezione era spietata, ma era perfezione, persino nell'aria vagamente orientale conferitale dai capelli neri e dagli occhi verde- mare. E gli occhi incontrarono quelli di Hull; per lui, f u come se avesse udi- to uno scatto. Capì che l'aveva riconosciuto, mentr e passava distratta- mente lo sguardo sulla sua figura poderosa. Hull s' irrigidì, ricambiò lo sguardo con aria di sfida, scrutando con insolenza il corpo di lei, dalla chioma notturna ai piedini chiusi nei coturni. Lei, se pure fece caso a quell'occhiata, ne diede segno soltanto con il liev e sorriso ironico, men- tre avviava il cavallo verso Joaquin Smith. Vail, stretta a Hull, stava tremando e fu un sollie vo guardare i suoi occhi azzurri, profondi ma non misteriosi, la compr ensibile bellezza del visetto pallido. Che importava, se non aveva lo splendore insolente della mncipessa, pensò Hull. Era dolce e sincera e leale, e lui l'amava. Eppure non poté evitare che il suo sguardo seguisse ancora una volta la figura sullo stallone nero. --Ti... ti ha sorriso, Hull!--ansimò Vail.--Ho paur a. Ho terribil- mente paura. Nella mente di Hull, I'incanto stava lasciando post o a un'ondata d'o- dio per Joaquin Smith, per la Principessa, per tutt o l'Impero. Un'idea prese forma, lentamente, mentre guardava in fondo a lla strada, dove il Maestro era sceso di sella e stava entrando nella c hiesetta. Udì un mor- morio d'approvazione diffondersi tra la folla, già parzialmente conqui- Stata dalla promessa di distribuire le terre. Era s olo politica, il fatto cbe il Maestro entrasse nella Chiesa di Ormiston: u n gesto compiuto per la folla. Hull si tolse dalle spalle l'arco d'acciaio e lo pi egò. Era ancora elasti- co si era scaldato abbastanza per scottargli la pel le, non tanto da per- dere la tempra. «Aspetta qui ! « fece a Vail, e si avviò a grandi passi lun- go la strada, in direzione della chiesa. Davanti all'edificio c'era una dozzina di uomini de ll'Impero, e la Principessa attendeva, in ozio, sul grande cavallo nero. Hull attraver- sò furtivamente il camposanto, girò intomo, raggiun se il punto dove un groviglio di rampicanti saliva verso il tetto. A vrebbe retto il suo pe- Lo resse, e Hull si arrampicò fino alle gronde, poi sul colmo del tetto. Il campanile lo nascondeva alla vista degli uomini del Maestro, e nes- suno degli abitanti di Ormiston guardava da quella parte. Strisciò verso la base del campanile. Dovette lasci are il colmo e tra- scinarsi precariamente sulla ripida pendenza. Quand o fu sul bordo, ~erso la strada, si sporse a guardare, cauto. Strisciò verso la base del campanile. Dovette lasci are il colmo e tra- scinare precariamente sulla ripida pendenza. Quando fu sul bordo,

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verso la strada, si sporse a guardare, cauto. Il Maestro era ancora dentro. Involontariamente, Hu ll lancio un oc- chiata a Margot la Nera, incoccò la freccia e mirò alla sua gola eburnea. Ma non ne fu capace. Non se la sentì di scagliare q uel dardo. Sotto di lui ci fu un movimento. Joaquin uscì e bal zò sulla cavalla bianca. Era il momento. Hull si sollevò sulle ginocchia, sperando di restar e in equilibrio, no- nostante la forte I?endenza del tetto. Meticolosame nte, tirò indietro la freccia d'acciaio. Vi fu un grido. L'avevano visto. Un raggio azzurro gli straziò il corpo. Per un istante sopportò il dolore, poi lasciò andar e la freccia, sdruccio- lò verso l'orlo del tetto e cadde. Cadde sul terriccio molle, una dozzina di mani l'af ferrarono, lo ri- rnisero in piedi, lo spinsero fuori, sulla strada. Vide Joaquin Smith ancora in sella: la freccia scintillante era pianta ta ritta come una piuma sull'elmo argenteo, e sulla guancia scorreva un sottile filo di Ma non era morto, Joaquin Smith si tolse l'elmo, ac cennò agli uffi- ciali di scostarsi, e con le proprie mani si legò u na striscia di stoffa bianca intorno alla fronte. Poi volse su Hull i fre ddi occhi grigi. --Sai tirare con forza--disse. Poi un lampo gli pas sò negli occhi. --Qualche ora fa ti ho risparmiato la vita, no? Hull non disse nulla. --Perché--riprese il Maestro--cerchi di uccidermi d opo che il tuo Anziano ha fatto pace con me? Adesso fai parte dell 'Impero, e questo è tradimento. --~o non ho fatto pace~--ringhiò Hull. --Ma l'ha fatta il tuo capo, vincolando anche te. Hull non riuscì a distogliere lo sguardo dagli occh i smeraldini della Principessa, che l'osservava con una vaga espressio ne d'ironia. --Non hai nulla da dire?--chiese Joaquin Smith --Nulla. Il Maestro lo scrutò.--Sei nato a Ormiston?--chiese .--Come ti chiami ? Era inutile causare guai ai suoi amici--No--rispose Hull.--Mi chiamo Hull Tarvish. Il conquistatore volse la testa dall'altra parte.-- Rinchiudetelo-- ordinò freddamente.--Lasciate che si prepari come r ichiede la sua re- ligione e poi... giustiziatelo. Più forte del mormorio della folla, Hull udì il gri do d'angoscia di Vail Ormiston. Si voltò per soddiderle, vide che era tra ttenuta da due uomi- ni dell'Impero e si dibatteva per raggiungerlo.--Mi dispiace,--le gri- dò, gentilmente.--Ti amo, Vail.--Poi lo trascinaron o via, lungo la strada.

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Lo spinsero nel capanno degli attrezzi di Hue Helm, che aveva le mu- ra di pietra. Era stato svuotato, probabilmente per servire d'alloggio a qualche ufficiale. Hull si rialzò e restò ritto, pa ssivamente, nell'adden- sarsi dell'oscurità, dove un unico raggio di Sole r osseggiante s'insinua- va attraverso la porta vigilata da due soldati dell 'Impero. Uno dei due parlò.--Stattene buono, Erbaccial--diss e con l'accen- to strascicato di N'Orleans.--Prega, o fai quello c he devi fare. --lo non faccio niente--rispose Hull.--I montanari credono che una vita da giusto sia meglio di una fine da giusto , e comunque, uno spettro è sempre uno spettro. La sentinella rise.--E tu diventerai uno spettro. --Se lo diventerò--ribatté Hull, volgendosi lentame nte verso l'uo- mo--preferisco diventarlo... combattendol Balzò, all'improwiso, sparò un pugno poderoso contr o il braccio che reggeva l'arma, spinse uno degli uomini addosso all 'altro, li scavalcò con un salto, e si lanciò ~iori, nel crepuscolo. Me ntre si voltava per gira- re intorno alla baracca, qualcosa di duro lo colpì violentemente alla nuca, mandandolo a sbattere semistordito contro il muro. ' Erbaccia: termine con cui i Doministi (partigiani del Maestro) indicavano i ìoro oppositori. Aveva avuto origine da un commento di Joaquin Smith prlma della Battaglia di Memphis: «Anche le erbacce dei c ampi hanno preso le armi contro di me«. (N.dA.). Gli irriducibili Per un breve istante, Hull restò così, intontito, p oi i muscoli si ripresero dalla paralisi: si alzò in piedi, voltandosi di sca tto per affrontare l'av- versario. Sulla soglia le due guardie si dibattevan o ancora, ma proprio davanti a lui torreggiava un cavaliere in sella a u no stallone nero, fian- cheggiato da due fanti. Era la Principessa: gli spl endidi occhi verdi era- no luminosi come quelli di un gatto, nel crepuscolo , mentre lei ripone- va nel fodero una corta spada. Hull era stato abbat tuto da una piatto- nata di quella lama. Adesso, lei impugnava la tozza pistola lanciaraggi. Hull ricordò che non l'aveva mai sentita parlare, prima; ora la sent ì, una voce bassa e li- quida, eppure fredda, fredda come le acque di un to rrente invernale in- t crostato di ghiaccio.--Stai fermo, Hull Tarvish-- disse.--Bastereb- be un lampo di questa per tormentarti il cuore. Hull rimase zitto e immobile, con la schiena appogg iata al muro del- la baracca. Era certo che la Principessa l'avrebbe ucciso, se si fosse mosso: non poteva dubitarne, con quei gelidi occhi fissi su di lui. Ri- cambiò cupamente l'occhiata, e gli ritornò straname nte alla memoria una frase del Vecchio Einar.--Satanicamente bella-- I'aveva chia- l~ mata, e lo era davvero. L'inferno, o I'arte di M artin Sair, I'aveva pla- L smata in modo tale che nessun uomo poteva guardar la senza sentirsi scosso dalla falsa purezza dei suoi lineamenti... n essun uomo nelle cui vene scorresse il sangue. Margot riprese a parlare, gettando uno sguardo spre zzante sulle due guardie impaurite.--11 Maestro sarà soddisfatto--fe ce sdegnata-- di apprendere che un'Erbaccia disarmata è in grado di battere due dei suoi uomini.

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Una delle guardie balbettò:--Ma, Altezza, ci ha agg rediti inaspetta- tamente... --~on importa--I'interruppe lei, e si rivolse di nu ovo a Hull. Per la prima volta, il giovane si sentì veramente alla pre senza della morte, L quando lei disse freddamente:--Ho intenzione di u cciderti. --E allora uccidimi!--ribatté lui. --Ero venuta qui per osservarti morire--osservò con calma la Prin- Cipessa--M'interessa vedere gli uomini morire da co raggiosi o da vi- ~1 gliacchi o da rassegnati. Credo che tu morirai c oraggiosamente. Hull pensò che lo stava torturando di proposito.--M ettimi alla pro- va--ringhiò. --Ma credo anche--proseguì lei--che vivendo potrest i divertirmi più che morendo e...--Per la prima volta c'era un s entore di sentimen- to nella voce.--Dio sa se ho bisogno di divertirmi !--Poi il tono ridi- venne gelido.--Ti dono la vita. --Altezza--mormorò la guardia, timorosamente.--Il M aestro ha ordinato... --Annullo l'ordine--disse brusca la Principessa. Po i si rivolse a Hull.--Sei un combattente. Sei anche un uomo d'onor e? --Se non lo sono--ribatté lui--e se mento affermand o di esserlo, la menzogna non avrebbe molta importanza per me. Lei sorrise freddamente.--Bene, io credó che tu lo sia, Hull Tarvish Vai libero, sulla parola di non portare armi e sull a promessa di venire a farmi visita questa sera, nel mio alloggio in cas a dell'Anziano.--Fe- ce una pausa.--Ebbene? --Ti do la mia parola. --E io l'accetto.--Margot colpì con i talloni le co stole del grande stallone che s'impegnò e ruotò su se stesso.--Via, tutti!--ordinò --Voi due portate la tinozza e l'acqua per il mio b agno.--E si lanciò verso la strada. Hull si rilassò contro il muro, con un sospiro di s ollievo. Il sudore co- minciò a imperlargli la fronte gelata: i muscoli po derosi sembravano quasi indeboliti. Non temeva la morte, si disse, ma la tensione di af- frontare quegli splendidi diabolici occhi di smeral do e il freddo tor- mento della voce di Margot la Nera, e la certezza c hé lei lo irrideva persino quell'ultimo gesto noncurante con cui l'ave va liberato... Si rad- drizzò. Dopo tutto, paura della morte o no, amava l a vita, e questo ba- stava. S'incamminò a passo lento verso la strada. Dall'alt ra parte, le luci brillavano nella casa di Marcus Ormiston: si chiese se c'era anche Vail forse per servire la Principessa Margaret, proprio al contrario di quan- to aveva detto lui così poco tempo prima. Voleva ce rcare Vail: voleva usare come antidoto la sua fresca grazia contro il veleno tenebroso del- la bellezza che aveva fronteggiato. Poi, ál cancell o, indietreggiò all'im- provviso. Un gruppo d'uomini che portavano le unifo rmi dell'Impero veniva avanti; e tra essi, senza l'elmo e con la fr onte fasciata, c'era il Maestro.

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I suoi occhi si posarono su Hull. Si fermò di colpo e aggrottò le so- pracciglia.--Ancora tu!--esclamò.--Come mai sei anc ora vivo Hull Tarvish? --L'ha ordinato la Principessa. Il cipiglio svanì. --E così-- disse lentamente Joaq uin Smith --Margaret comincia a intromettersi un po' troppo s pesso. Immagino che ti abbia anche liberato. --Sì, in cambio della mia promessa di non portare a rmi Sul volto del conquistatore apparve una strana espr essione.--Be- ne--fece, quasi gentilmente--non avevo intenzione d i torturarti, ma solO di ucciderti per il tuo tradimento. Forse ti a ugurerai che i miei or- dini non fossero stati annullati.--Poi entrò nel co rtile della casa del- I~Anziano~ seguito dai suoi uomini silenziosi. Hull si avviò verso il centro del villaggio. Dapper tutto incontrò uo- mini dell'Impero, impegnati ad accamparsi; per le s trade passavano sferragliando i carri dei rifornimenti. Vide le fil e dei soldati che passa- vano lentamente davanti ai carri-cucina, e l'odore del cibo che aleggia- ~ra nell'aria gli ricordò che aveva una fame tremen da. Si affrettò a rag- giungere la sua stanza, accanto all officina di Fil e Ormson; e là trovò Vail Ormiston, pallida come la nebbia e con un'espr essione tragica ne- gli occhi. Era raggomitolata sul gradino, ed Enoch la teneva s tretta a sé. Enoch fu il primo a vedere Hull; spalancò la bocca e sbarrò gli occhi. Un grido strozzato gli uscì dalla gola. Vail alzò g li occhi, senza capire, lo fissò per un istante, senza espressione e poi, c on un gemito soffocato, svenne. Rimase priva di sensi solo per pochi istanti, quant i ne bastarono a Hull per portarla nella sua stanza. Adagiata sul le tto, lei gli teneva stretta la mano, finalmente convinta che era vivo. --Credo--mormorò--che tu sia immortale come Joaquin Smith, Hull. Non crederò mai più che tu sia morto. Dimmi, dimmi com'è acca- duto. Hull glielo riferì.--Grazie a Margot la Nera--concl use. Ma quel nome bastò a spaventa}e Vail.--Quella donna è il male, Hull. Mi terrorizza, con quegli occhi da strega e q uei capelli infernali. Non oso neppure andare a casa, per paura di lei. Il giovane rise.--Non preoccuparti per me, Vail. So no sano e salvo. Enoch intervenne.--Eccone uno per gli Irriducibili, allora--disse, in tono acido.--Avranno bisogno di lui. --Gli Irriducibili?--Hull alzò gli occhi, perplesso . --Oh Hull, sì!--esclamò Vail.--File Ormson si è dat o da fare. Gli Irriducibili sono ciò che resta dell'esercito... i cittadini migliori di Or- miston. La magia del Maestro non si spinge oltre il dorsale delle colli- ne, e oltre quelle ci sono ancora fucili e polvere da sparo. E l'incantesi- mo non regna più sulla valle. Uno degli uomini ha p ortato una tazza di polvere oltre il dorsale, e non si è incendiata. I cittadini migliori, pensò Hull, sorridendo. Vail intendeva, natural- mente, coloro che possedevano terreni e temevano di venirne privati,

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Come Marcus Ormiston. Ma a voce alta disse soltanto :--Quanti uomi- ni avete? --Oh, ce ne saranno centinaia, con i contadini, al di là delle colli- ne.--Vail lo guardb negli occhi.--So che c'è poca s peranza, Hull... ma dobbiamo tentare. Tu ci aiuterai, vero? --Certo. Ma i vostri Irriducibili possono solo cerc are di compiere nrr~ri~ Nnn nnc~;ono combattere contro l'esercito d el Maestro. --Lo so,lo so. Hull. E una speranza disperata. --Disperata?--fece all'improvviso Enoch.--Hull, non hai detto che questa notte Margot la Nera ti ha ordinato di p resentarti nel suo al- loggio? --Sì --Allora... ascolta! Porterai un coltello nascosto sotto I ascella. Pri- ma o poi, vorrà che tu rimanga solo con lei, e quan do questo awerrà, le pianterai il coltello in quel cuore senza pietà! C' è una speranza per te se ne hai il coraggio! --Il coraggio!--ringhiò Hull.--Assassinare una donn a! --Margot la Nera è un diavolo! --Diavolo o no, a che serve? E Joaquin Smith che co struisce l'Impe- ro, non la Principessa. --Sì--disse Enoch.--Ma metà del suo potere sta nell 'arte della strega Quando lei non ci sarà più, la Confederazion e potrà sterminare I eserclto, come un branco di anitre allo stagno! --E vero!--esclamò Vail.--Ciò che dice Enoch è vero ! Hull fece una smorfia.--Ho giurato di non portare a rmi. I --L'hai giurato a lei!--ribatté Enoch.--Questo non deve vincolar- --Ho dato la mia parola--disse Hull, con fermezza.- -Non ho l'abi- tudine di mentire. Vail sorrise.--Hai ragione--mormorò, e aggiunse, me ntre il volto di Enoch si oscurava:--E per questo che ti amo Hull . --Allora--grugnì Enoch--se non è il coraggió che ti manca, fai co- sì. Attirala alle finestre a ovest. Noi possiamo fa re appostare due o tre Irriducibili al limitare del bosco, e se lei passa davanti a una finestra con la luce alle spalle... bene, non potranno manca rla --No--disse Hull, stancamente.--Non combatto contro le donne, e non sono disposto a causare a tradimento la morte di nessuno, neppu- re di Margot la Nera. Ma gli occhi azzurri di Vail erano supplichevoli.-- Così non verrai meno alla parola, Hull. Ti prego. Questo non è trad ire una donna. Lei è una strega. E malvagia. Ti prego, Hull. Il giovane cedette, amaramente.--Proverò.--Aggrottò la fronte .-- Mi ha salvato la vita e... Bene, qual è la sua stan za? --Quella di mio padre. La mia è a ovest, e lei l'ha presa per la sua... Ia

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sua ancella.--Gli occhi di Vail sia annebbiarono pe r l'indignazione. --Noi--aggiunse--siamo ridotti a dormire in cucina. Un'ora dopo, quando ebbe terminato di mangiare, Hul l accompagnò Vail a casa, mentre Enoch sgattaiolava furtivamente verso le colline. Nel cortile erano state rizzate diverse tende, e tu tte le finestre erano il- luminate. Davanti alla porta stavano di guardia due uomini dell'Impe- ro; lasciarono passare subito la ragazza, ma fermar ono Hull senza ceri- monie. Vail si volse a lanciargli un'occhiata mesta , mentre si allonta- nava~ e lui affrontò cupamente le domande delle gua rdie. - --Cosa vuoi? Vedere la Principessa Margaret. Sei Hull Tarvish? Uno degli uomini si accostò e gli passò le mani add osso, per control- lare se era armato.--Ordini di Sua Altezza--spiegò, burbero. Hull sorrise. La Principessa non si era fidata trop po della sua pro- messa. Luomo finì di perquisirlo e spalancò la port a. Hull entrò. Non aveva mai visto l'interno della cas a, e per un mo- mento quello splendore l'abbagliò. Antichi mobili s colpiti, tappeti, pa- ralumi lavorati per le lampade a olio, e persino - per un istante non ca- pì che cosa fosse - un grande specchio di fabbricaz ione antica, dove lo fronteggiava la sua stessa immagine. Fino a quel mo mento aveva ViStO soltanto pezzi di specchi. Alla sua sinistra una guardia vigilava una porta ap erta da cui usciva- no delle voci. La voce del vecchio Marcus Ormiston. --Ma paghero. La comprerò con tutto ciò che possiedo.--Il tono era l amentoso. --No.--Una fredda decisione nella voce di Joaquin S mith.--Mol- to tempo fa ho giurato a Martin Sair di non concede re mai l'immortali- tà a chi non se ne fosse dimostrato degno.--La voce si colorò di sarca- smo.--Dimostra di meritarla, vecchio, nei pochi ann i che ancora ti re- Hull arricciò sprezzante il naso. Gli sembrava che vi fosse qualcosa di degradante nel modo in cui il vecchio piagnucola va davanti al vinci- tore.--La Principessa Margaret?--chiese, e seguì il gesto indicativo della guardia. Al piano superiore c'era un corridoio fiocamente il luminato: anche lì si trovava un uomo di sentinella. Hull ripeté la do manda: ma a rispon- dergli fu la voce liquida di Margaret.--Lascialo en trare, Corlin. Un paravento oltre la porta, celava l'interno della stanza. Hull gli gi- ro intorno, cercándo di farsi forza contro il ricor do della sconvolgente bellezza che ricordava. Ma le sue difese andarono i n pezzi, infrante dal trauma che l'attendeva. . Il paravento riparava la Principessa dallo sguard o della sentinella nel corridoio, non dagli occhi di Hull. Restò sconc ertato nel vederla nu- da, adagiata con assoluta indifferenza in una grand e tinozza d'acqua, mentre una donna grassa la lavava meticolosamente. Non poté evitare di far indugiare lo sguardo su quelle forme squisit e, poi si voltò e guar- dò fuori dalle finestre a est, sapendo di essere ar rossito violentemente fino alle spalle. --Oh, siediti--disse lei, sprezzante.--Avrò finito fra un momento. ~ ~ tenne vli occhi volti altrove mentre si sentiva lo sciacquio del-

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l'acqua e un asciugatoio frusciava bruscamente. Qua ndo udì accanto a sé i passi della Principessa, alzò lo sguardo, ince rto, ancora timoroso di ciò che avrebbe potuto vedere; ma adesso lei era co perta da una lunga vestaglia nera e oro che la faceva apparire più alt a, pur nascondendola appena con la sua trasparente delicatezza. Al posto dei coturni calzava sandali dai tacchi alti, che gli ricordavano le cal zature viste nelle anti- che iliustrazioni. La vestaglia nera e la casta, co rta chioma d'ebano le davano un aspetto di purezza quasi monacale, ma neg li occhi danzava- no i fuochi verdi dell'inferno. In fondo al cuore, Hull maledisse quella falsa aura d'innocenza, per- ché si sentiva di nuovo affascinato, nonostante le sue migliori intenzio- --Dunque--fece lei.--Puoi tornare a sederti. Sul ca mpo non esigo il rispetto dell'etichetta di corte.--Cli sedette d i fronte prese una si- garetta nera, e l'accese alla fiamma della lampada posáta sul tavolo. Hull spalancò gli occhi: era abituato a veder fumar e le donne, poiché ogni montanara aveva la sua pipa, e ogni casetta av eva il suo campicel- lo di tabacco: ma le sigarette erano una novità, pe r lui. --Ora--continuò lei, con un lieve sorriso ironico-- riferiscimi cosa dicono di me, qui. --Dicono che sei una strega. --E mi odiano? --Odiarti?--le fece eco Hull, pensieroso.--Come min imo, com- batteranno te e il Maestro fino all'ultima freccia. --Naturalmente. I giovani combatteranno... tranne q uelli che Joa- quin ha comprato con le terre dell'Anziano. Sanno c he, una volta incor- porati nell'Impero, non potranno più combattere. Ni ente più gioiose eccitanti guerricciole tra le città, niente più van terie e parate davanti alle belle ragazze di provincia...--S'interruppe.-- E tu, Hull Tar- vish... cosa pensi di me? --Io ti chiamo strega per altre ragioni. --Altre ragioni? --La magia non esiste--disse Hull, ripetendo le par ole che gli aveva detto il Vecchio Einar a Selui.--C'è soltanto la sc ienza. La Principessa lo scrutò attentamente.--Un pensiero saggio, per uno come te--mormorò, poi aggiunse:--Sei venuto dis armato. --Io mantengo la mia parola. --Me lo devi. Ti ho risparmiato la vita. --E~io--dichiarò Hull in tono di sfida--ho risparmi ato la tua. Avrei potuto piantare una freccia nella tua candida gola, quand'ero sul tetto della chiesa. Avevo già preso la mira. Lei sorrise.--Che cosa ti ha trattenuto? --Non combatto le donne.--Hull rabbrividì al pensie ro di ciò che doveva fare, perché smentiva le sue parole. 3 ~ ~ Dimmi--continuò la Principessa--era la figlia dell'Anziano la bella ragazza che piangeva disperatamente per te, s ulla piazza davanti alla chiesa? --Sì. --E tu l'ami?

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_ Sì.--Era l'occasione che aveva atteso, ma adesso gli era difficile Iì davanti a lei.--Vorrei chiedere un favore. --Chiedilo. --Vorrei vedere--disse e questa non era una menzogn a--la came- ra che avrebbe dovuto essere la nostra stanza nuzia le. La camera a ovest.--Poteva essere... avrebbe dovuto essere la v erità. La Principessa rise sdegnosamente.--Vai a vederla, allora. Per un momento, Hull temette, o forse sperò, che lo lasciasse andar solo. Poi lei si alzò e lo seguì nel corridoio, ver so la porta della camera a ovest. Tradimento Hull si soffermò sulla porta della stanza per lasci ar passare la princi- pessa. Per una frazione di secondo gli splendidi oc chi verdi balenarono, scrutandolo con aria interrogativa; poi lei arretrò .--Prima tu, Erbac- cia--ordinò. Il giovane non esitò. Si voltò ed entrò, sperando c he gli Irriducibili, se erano veramente in agguato al limitare del bosco , riconoscessero in tempo la sua figura poderosa e si trattenessero dal lo sparare. I capelli gli si rizzavano sul capo, mentre avanzava a passo deciso verso la fine- stra ma non accadde nulla. Dietro di lui, la Principessa rise sommessamente.-- Ho vissuto per troppo tempo fra gli intrighi di N'Orleans--disse.- -Diffido di te sen- za motivo, povero, onesto Hull Tarvish. Quelle parole lo torturarono. Si voltò, e vide la v estaglia nera che le aderiva al corpo mentre si muoveva: e come avviene talvolta nei mo- menti di tensione, captò un'immagine di lei, con i sensi così concitati da fargli sembrare che lei, lui stesso e il mondo f ossero bloccati nell'im- mobilità~ La ricordò per sempre com'era in quell'is tante, nell'atto di muovere un passo, gli occhi verdi addolciti dalla l uce della lampada, le labbra perfette atteggiate in un sorriso colorato d i malinconia. Poteva essere una strega e un diavolo, ma sembrava un ange lo dai capelli scu- ri: e in quell'istante il suo spirito si ribellò. --N ~ ridò. Ianci~n~nsi verso di lei, e colpendo le sDalle esili con entrambe le mani, in una spinta che la fece barcoll are nel territorio, la fece cadere seduta sul pavimento, accanto alla sent inella sbalordita La Principessa balzò subito in piedi, e nel suo vol to, adesso, non C'era plU nulla d'angelico.--Tu... mi hai fatto male!--si bilò --A mel Io ti ..--strappò l'arma alla cintura della guardia la puntò contro il petto dl Hull, scagliandogli contro l'azzurro raggio ronz ante. La sofferenza fu più atroce che a Eaglefoot Flow. L a sopportò stolida_ mente, reprimendo il gemito che gli saliva alla gol a; dopo un istante, la Principessa tornò a infilare l'arma, irosamente, ne lla fondina della sen- tinella.--Ancora un tradimento!--esclamò.--Non ti u cciderò Hull Tarvish. Conosco un modo migliore.--Si girò di scat to verso la trómba delle scale.--Lebeau!--chiamò:--Lebeau! Ci sono...- -Lanciò un'occhiata a Hull e continuò:--·Iy a des tirat~leM rs d~ns le bois Je vais a ~es ttrer en avant!--Era il francese di N 'Orlean s, incomprensibile per Hull quanto l'aramaico.

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La principessa tornò a voltarsi.--Sora!--chiamò, e quando la don- na apparve:--Lascia stare. Sei troppo pesante.--Poi si rivolse a Hull. --Ho intenzione--fece--di togliere gli abiti da Erb accia alla figlia dell'Anziano e di mandare lei davanti alla finestra Hull era stravolto.--Lei... lei era al villaggio!-- ansimò. Poi tacque nell udire un suono di passi al piano terreno. --Bene, non c'è tempo--fece la Principessa.--Quindi se devo...-- Si avviò a passo fermo verso la stanza a Ovest, si soffermò un momento e poi si pose davanti alla finestra Hull era sbigottito. La guardò mettersi in modo che la luce della lam- pada profilasse sul vetro la figura perfetta, e poi balzare indietro con tale violenza che la vestaglia le turbinò intorno. Aveva calcolato il tempo alla perfezione. Risuonaro no due spari quasi simultaneamente, e il vetro s'infranse. E poi , fuori nella notte ~i guizzarono a dozzine i raggi, ed esile e chiaro nel silenzio che seguì gli spari, salì un grido d'angoscia mortale, e poi un a ltro, e un altro ancora. La Principessa Margaret sorrise maliziosa, succhiò una goccia di sangue cremisi sgorgata da un dito ferito da una sc heggia di vetro.--Il tuo tradimento ricade sui tuoi amici--disse in tono irridente.--Inve- ce di tradire me, hai tradito loro. --Non ho bisogno che tu mi accusi--rispose Hull, cu pamente. --Sono io il mio accusatore e il mio giudice. Sì, e anche il mio giusti- ziere Non voglio vivere da traditore. Margaret inarcò le sopracciglia delicate e trasse u no sbuffo di fumo grigio dalla sigaretta che teneva ancora in mano.-- Hull Tarvish, così forte, morirà suicida--osservò, con indifferenza.-- Avevo intenzione di ucciderti. Debbo lasciare che tu sia vittima di te stesso? Hull scrollò le spalle.--Cosa m'importa? --Bene--fece lei, in tono pensieroso--sei più diver tente di quanto 404 ~ : mi aspettassi. Sei forte, sei ostinato, e peric oloso. Ti do il diritto di fare ciò che Yuoi della tua vita, ma...--Gli occhi verdi guizzarono beffardi ~ Se io fossi Hull Tarvish, vivrei nella speranza d i redimermi. Puol cancellare il disonore della tua debolezza con un a tto di coraggio. Puoi vendere la vita per la tua causa e, chissà, forse p er quella di Joaquin... o per la mia! Il giovane preferì ignorare quel tono beffardo.--Fo rse--rispose cu- P E allora perché hai avuto quel momentO di debolez za, Hull Tar vish~ Avresti potuto avere la mia vita. t _ Io non combatto le donne--disse lui, avvilito.- -Ti ho guardata... e sono diventato debole.--Una domanda prese forma n ella sua mente. --Ma perché hai rischiato la vita davanti alla fine stra? Avresti potu- to mandare cinquanta esploratori a battere il bosco . E stato un gesto coraggioso, ma inutile. Lei sorrise, ma i suoi occhi si socchiusero in un'e spressione astuta --Perché molti villaggi sono costruiti sopra le str ade sotterranee degh Antichi... le metropolitane, le fogne. Come potevo sapere se i tuoi sicari non potevano infilarsi in una tana e scomparire? Er a necessario co-

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stringerli a rivelarsi. Hull abbassò le palpebre per nascondere la scintill a che gli ardeva negli occhi. Ricordò all'improvviso l'antica fogna in cui si era smarrita Vail da bambina, e il cui ingresso era nascosto dai cespugli di ribes. Dunque gli uomini dell'Impero non la conoscevano! I mmaginò gli Irri- ducibili che la percorrevano armati di spade e arch i.. . sì e anche di fuci- L li ora che l'incantesimo non pesava più sulla val le. E all'improvviso balzavano al centro dell'accampamento, sorprendendo l'esercito del maestro nel sonno, alla sprovvista. Che piano per u n attacco di sorpre- --Altezza--disse cupo--non penso più al suicidio, e a meno che tu mi uccida ora, sarò un nemico implacabile dell'eser cito del tuo Impero. --Forse meno implacabile di quanto tu creda--rispos e lei, sommes- samente.--Vedi, Hull, gli unici tre che hanno saput o della tua debo- lezza sono morti. Nessuno può accusarti d'essere un traditore o un de- bole. --Ma lo posso io--rispose Hull.--E anche tu. --Io no, Hull--mormorò la Principessa.--Non biasimo mai un uo- mo che diviene debole per causa mia... ve ne sono s tati molti. Uomini forti come te, Hull: e alcuni di loro, il mondo li chiama ancora gran- j di.--Si girò verso la sua camera.--Vieni--disse c on voce diversa. Prenderò un po' di vino. Sora!--Mentre la donna gra ssa si allonta- nava, prese un'altra sigaretta e l'accese alla lamp ada, storcendo con sdegno il naso elegante alla vista degli insetti no tturni che le volavano intf~rnl~ --Che posto!--scattò spazientita. --E la casa più bella che io abbia mai visto--disse Hull, stolida_ mente. La Principessa rise.--E un tugurio. Non vedo l'ora di ritornare a N'Orleans, dove le finestre sono schermate, c'è acq ua corrente a volon- tà, e le luci non sono gialle e vacillanti e non es alano un calore soffocan- te. Ti piacerebbe vedere la Grande Città, Hull? --Lo sai che mi piacerebbe. --E se ti dicessi che puoi vederla? --Chi potrebbe impedirmi di entrarvi, se andassi in pace? Lei scrollò le spalle.--Oh, puoi visitare N'Orleans , naturalmente. Ma immagina che io ti offra la possibilità di andar vi come... ospite, di- ciamo, della Principessa Margaret. Cosa daresti, pe r questo privilegio? Perché si faceva nuovamente beffe di lui?--Che cosa mi chiederesti in cambio?--replicò guardingo. --Oh, la tua devozione, forse. O forse il tradiment o della tua piccola banda d'Irriducibili, che sarà una seccatura del di avolo togliere di mezzo qui tra queste colline. Hull alzò di scatto la testa, stupito che lei conos cesse il nome. Gli Irri- ducibili? Come... Margaret sorrise.--Abbiamo degli amici tra gli uomi ni di Ormi-

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ston Amici comprati con le terre--aggiunse sprezzan te.--Ma che ne pensl della mia offerta, Hull? Il giovane fece una smorfia.--Tu dici come ospite. Come debbo in- tenderlo? Lei si appoggiò al tavolo, fissandolo con gli squis iti occhi verdi, i ca- pelli fiammeggianti, nerazzurri, le labbra perfette atteggiate a un lieve sorriso.--Come preferisci, Hull. Come preferisci tu . La collera stava crescendo in lui.--Vuoi dire--chie se con voce rau- ca--che lo faresti per una cosa da poco, la distruz ione di una piccola banda nemica? Tu, con tutto l'Impero alle tue spall e? Margaret annuì.--Un disturbo risparmiato, no? --E l'onestà, la virtù, I'onore, per te contano cos ì poco? E uno dei tuoi mezzi abituali di conquista? Vendi abitualment e i tuoi favori per...? --Non abitualmente--I'interruppe lei, con freddezza .--Prima, de- ve piacermi quello con cui concludo l'accordo. Tu, Hull... mi piacciono i tuoi muscoli potenti, e il tuo coraggio ostinato, e la tua mente, lenta e limpida. Non sei un grand'uomo, Hull, perché la tua mente non ha il fuoco gelido del genio, ma sei forte, e mi piaci pe r questo. --Ti piaccio!--ruggì il giovane, alzandosi.--Eppure tu pensi che baratterò quel po' d'onore che mi resta, in cambio di... quello! Credi che tradirò la mia causa! Credi... Ebbene, ti sbagl i, ecco tutto. Ti sbagli! Lei scosse il capo, sorridendo.--No, non mi sbaglia vo, perché pen- savo che non avresti accettato. Lr --Oh, lo pensavi!--ringhiò Hull.--E allora, se a vessi accettato? Cosa avresti fatto? --Quello che ho promesso.--Margaret rise della sua espressione irata e incredula.--Non assumere quell aria così sc andalizzata, Hull. Non sono la piccola Vail Ormiston. Sono la Principe ssa Margaret di N'Orleans, chiamata Margaret la Divina da quelli ch e mi amano, e da quelli che mi odiano chiamata... Bene tu devi saper e come mi chiama- no i miei nemici! --Lo so!--scattò lui.--Margot la Nera, lo so! _ Margot la Nera--gli fece eco lei, sorridendo.--Sì , chiamata così per via di un poeta che una volta mi divertiva, e p erché ci fu un tempo un antico, grandissimo poeta francese chiamato Fran cois Villon, il quale amava una prostituta chiamata Margot la Nera. --Sospirò. --Ma il mio poeta non era un Villon: le sue opere s ono già quasi dimen- _ Un bel nome!--gracchiò Hull.--Un nome adatto a te . --Senza dubbio. Ma tu non capisci, Hull. Io sono un 'Immortale. Ho tre volte più anni di te. Vorresti che seguissi i p rincipi della mortale Vail Ormiston? --Sì! Con che diritto ti ritieni superiore a ogni m orale? Le labbra di Margaret smisero di sorridere, i profo ndi occhi verdi di- vennero malinconici.--Con il dirtto che mi dà l'imp ossibilità di agire diversamente, Hull--disse sottovoce. Un fremito d'e mozione colorò la sua voce.--L'immortalità!--mormorò.--Anni e anni e anni sempre

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eguali, a percorrere avanti e indietro il mondo per conquistarlo! Che m'importa della conquista? Io non ho il senso del d estino come Joa- quin che vede davanti a sé l'Impero... I'Impero... I'Impero, sempre più vastó, sempre più immenso. Cos'è per me l'Impero? E anno dopo anno ~ mi annoio, e ormai il combattimento, le uccisioni , il pericolo e l'amore r sono le sole cose che mi aiutano a respirare! La collera di Hull era svanita. La fissava sgomento , sconvolto. --E poi anche queste cose mi deludono!--mormorò lei .--Quando le uccisioni annoiano e l'amore stanca, che cosa re sta? Ho detto amore? Come può esservi amore, per me, quando so che,- se amo un uomo, do- vrò vederlo invecchiare, diventare grinzoso, debole , flaccido? E quan- do supplico Joaquin di concedergli l'immortalità, l ui mi ricorda osten- tatamente la sua promessa a Martin Sair: concederla solo a coloro che se ne sono già dimostrati degni. Quando un uomo ha dimostrato di es- serne degno, ormai è vecchio.--E proseguì, con voce tesa:--Ti assicu- ro, Hull, sono così sola e senza amici che invidio voi mortali! Sì, e uno di questi giorni mi unirò a voi! Hull deglutì.--Mio dio!--mormorò.--Sarebbe stato me glio per te restare fra le tue montagne con gli amici, un marit o e i figli. --I fi ~ li fece eco la Principessa, mentre gli oc chi le velavano di lacrime.--Gli Immortali non possono aver figli. Son o sterili. Non do- vrebbero essere altro che cervelli, come Joaquin e Martin Sair, non ess- seri dotati di sentimenti... come me. Qualche volta maledico Martin Sair e le sue radiazioni. Io non voglio l'immortali tà: voglio la vital Hull si trovò come preso in un turbine di pensieri. L'impossibile bel- lezza della giovane donna che gli stava davanti, gl i occhi verdi, ora te- neri e umidi e tristi, le labbra tremanti, lo scint illio d'una lacrima sulla` guancia... tutto questo lo faceva soffrire, gli fac eva dimenticare tutto --Dio!--mormorò.--Mi dispiace. --E tu, Hull... mi aiuterai... un po'? --Ma siamo nemici... nemici! --Non possiamo essere... qualcosa d'altro?--Un sing hiozzo la scos- se. All'improvviso un movimento delle belle labbra atti rò l'attenzione di Hull. Guardò, incredulo, nelle profondità verdi di quegli occhi. Era vero. C'era l'ilarità, là dentro. La principessa si era fatta beffe di lui! E quando si accorse che aveva capito, rise sommessame nte, con un riso che risuonò arpeggiando, come pioggia sull'acqua. --Tu .. . sei il diavolo!--esclamò Hull, soffocato. --Strega nera ! Vor- rei aver lasciato che ti uccidessero! --Oh, no--fece lei.--Guardami, Hull. Era un comando superfluo: non gli riusciva di disto gliere lo sguardo affascinato da quel viso squisito. --Mi ami, Hull? --Io amo Vail Ormiston--gracchiò il giovane. --Ma ami me? --Ti odio!

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--E tuttavia mi ami? Hull gemette.--Non è giusto--borbottò. Lei aveva compreso ciò che intendeva. Il giovane im precava contro le circostanze che avevano portato la Principessa M argaret - la donna più brillante di quell'epoca splendida, una delle p iù brillanti di ogni tempo - a esercitare tutto il suo fascino su un sem plice montanaro del- I'Ozarky. Non era giusto: il sorriso di lei l'ammet teva, ma era anche ca- rico di trionfo. --Posso andare?--le chiese, impassibile. Lei annuì.--Ma sarai un po' meno mio nemico, vero, Hull? Lui si alzò.--Farò alla tua causa tutto il male che potrò--disse. 3 --Non tradirò due volte. Ma gli parve che uno sconcertante guizzo di soddisf azione passasse negli occhi di lei alle sue parole. Tormento A mezzogiorno, Hull guardava la valle di Ormiston, dove stava mar- ciando Joaquin Smith. Al suo fianco, Vail s'era fer mata: insieme scru- tavano in silenzio la strada di Selui, nereggiante di cavalieri e di carri, avviati ad attaccare la città e i resti dell'eserci to della Confederazione. Ma Ormiston non era stata completamente abbandonata , perché tre- cento fanti e duecento cavalieri erano rimasti per occuparsi degli Irri- ducibili, agli ordini di Margot la Nera. Il Maestro non poteva permette- re che una grossa banda ribelle si riunisse senza o stacoli nel territorio di conquista; nell'Impero, nonostante l'odio recipr oco fra le città riva- li, esisteva una sorta di pace forzata. _ Il nostro momento verrà stanotte--disse sobriamen te Hull. --Non avremo mai un'occasione migliore: siamo in nu mero quasi eguale a loro, e abbiamo la sorpresa dalla nostra p arte. Vail annuì.--L'antica galleria è stata un'idea ardi ta, Hull. Gli Irri- ducibili stanno puntellando i tratti che crollano. Mio padre è con loro. --Non doveva. Sul campo non c'è posto per i vecchi. --Ma è la sua speranza, Hull. Non vive che per ques to. --Non è una grande speranza. Supponiamo che il colp o riesca, Vail. Che cosa significherà, se non il ritorno di Joaquin Smith e del suo eser- cito? Il buon senso mi dice che è un'impresa folle, e se non fosse per te e per la possibilità di combattere che finora non abb iamo avuto... bene, sarei tentato di riconoscere la vittoria del Maestr o. --Oh, no!--esclamò Vail.--Se il nostro successo sig nifica la fine di Margoot la Nera, non basterà? Inoltre, tu sai che i poteri del Maestro sono per metà opera della strega. Lo diceva Enoch.. . povero Enoch. Hull rabbrividì. Enoch era stato uno dei tre cecchi ni uccisi davanti alle finestre della casa, e le parole della ragazza gli ricordarono la parte che lui aveva avuto nell'episodio. Ma nel con tempo, quelle paro- le bruciavano anche per un'altra ragione, perché la visione della Prin- cipessa, che l'aveva assillato per tutta la notte, era ancora viva nella sua mente: e non poteva affrontare imperturbato il pensiero della sua morte. Ma Vail gli lesse in volto soltanto l'angoscia per la fine di Enoch. --Enoch--ripeté, sottovoce.--Mi voleva bene, in que l suo modo aci- do, Hull; ma da quando ti ho conosciuto, non ho più pensato a lui.

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Hull la cinse con un braccio, maledicendosi perché non riusciva a di- stogliere il pensiero da Margot la Nera, perché ama va Vail, ed era Vail che voleva amare. Qualunque fosse l'incantesimo che la Principessa aveva ~ettato su di lui, sapeva che era malvagia, s pietata, disumana- mente fredda... una fattucchiera, un diavolo. Ma no n riusciva a cancel- larsi dalla mente quella bellezza satanica. --Bene--sospirò.--Vada per stanotte, allora. Quattr o ore dopo il tramonto? Bene. Gli uomini dell'Impero, a quell'ora , dovrebbero esse- re addormentati, o a giocare nella taverna di Tigh. Preghiamo per la nostra polvere da sparo. --La polvere da sparo? Oh, ma non hai sentito quell o che ho detto a File Ormson e agli Irriducibili, tra le colline? Le cose che gettavano I incantesimo se ne sono andate: Joaquin Smith le h a portate a Selui. Ho spiato e ascoltato dalla porta della cucina, que sta mattina. --Gli scintillatori? Non ci sono più? --Sì. Ma li chiamavano rison... risatori... --Risonatori--fece Hull, ricordando le parole del V ecchio Einar --Qualcosa del genere. Erano due grossi barili di f erro, montati su basi snodate, tutti pieni di una magia che ronzava e ticchettava, e spaz- zavano la valle a nord e a sud, e a est e ovest, e verso Norse si sentivano gli scoppi e si vedeva il fumo di un edificio che b ruciava. Li hanno cari- cati sui carri e li hanno portati via, a Selui. --Non hanno attraversato la cresta delle alture con il loro incantesi- mo--~ disse Hull.--Gli Irriducibili hanno ancora la polvere da sparo --Sì--mormorò Vail, stringendosi a lui.--Dimmi--chi ese all'im provviso.--Cosa voleva da te, questa notte? Hull fece una smorfia: aveva detto ben poco a Vail di quella sera diso- norante, e temeva le sue domande.--Il tradimento--r ispose alla fine --Voleva che tradissi gli Irriducibili. --A te? Ti ha chiesto questo? --Credi che l'avrei fatto?--ribatté Hull. --Lo so che non lo faresti mai. Ma cosa ti ha offer to, in cambio del tradimento? Hull esitò di nuovo.--Una grande ricompensa--rispos e alla fine. --Sproporzionata al compito. --Dimmi, Hull, com'è da vicino? --Un demonio. Non è veramente umana. --Ma in che senso? Gli uomini parlano tanto della s ua bellezza, del suo fascino mortale. Hull... tu l'hai sentito~ --Io amo te, Vail. Lei sospirò, e si fece ancora più vicina.--Credo ch e tu sia l'uomo più forte del mondo, Hull. Il più forte. --E necessario che lo sia--borbottò lui, scrutando cupo la valle. Poi sorrise, debolmente, quando vide alcuni uomini inte nti ad arare, per- che la stagione era troppo avanzata per quell'attiv ità. Il vecchio Mar-

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~ Il campo del "risonatore Erden" penetra agevolmen te strutblre e muri ma viene bloccato da ostacoli naturali di un certo ril ievo, dalle colline e per mótivi sconosciuti anche da banchi di nebbia e da nuvole b asse (N.d.A ). cus Ormiston non voleva correre rischi; ricordando le parole del Mae- stro, stava arando ogni ettaro su cui un cavallo po teva trainare un ara- Vail lo lasciò a Ormiston e si avviò esitante verso casa. Hull lavorò un ~3 po' nell'officina, e quando il Sole cominciò a c alare, comprò una grossa pagnotta scura, una fetta di formaggio e una bottig lia del vino chiaro della zona. Stava terminando il pasto in camera sua , quando fu richia- mato da qualcuno che bussava alla porta dell'offici na. Era un uomo dell'lrnpero.--Hull Tarvish?--chiese br uscamente. Al cenno del giovane, continuò:--Da parte di Sua Al tezza--e gli con- segnò un foglio di carta nera, piegato con cura. Il montanaro lo guardò. Da un lato, a rilievo e in oro, c'era la forma d'un serpe che cingeva il mondo, mordendosi la coda ... il Serpente di Midgard. Infilò un dito nella piega, aprì il mes saggio, e socchiuse le palpebre, guardando i caratteri tracciati in oro sul foglio nero. --Questi scarabocchi non significano niente, pe r me--disse. L'uomo dell'Impero arricciò sprezzante il naso. --Lo leggerò io--fe- ce prendendo la missiva.--Dice: 'Segui il messag gero al nostro al- loggio', ed è firmato Margarita Imperii Regina, che vuol dire Margaret, Principessa dell'lmpero. E chiaro?--Restituì il foglio.--E da un'ora che ti sto cercando. _ E se non ci venissi?--ringhiò Hull. --Non è un invito Erbaccia. E un ordine. E Hull scrollò le spalie. Non se la sentiva di af frontare di nuovo Margot la Nera, soprattutto perché era a conoscenza del piano degli Irriducibi- li. La personalità complessa di quella donna lo sconcertava e l'affasci- nava; e temeva che in qualche modo, con qualche arte sottile, lei riu- . scisse a strappargli il segreto. La tortura non l'avrebbe costretto a par- lare, ma quegli occhi verdi potevano leggere la ver ità. Eppure... era F meglio andare senza far storie, anziché farsi tra scinare con la forza; con un grugnito di assenso seguì il messaggero. La casa era silenziosa. La stanza al pianterreno do ve aveva riposato Joaquin Smith era adesso deserta; salì le scale, pr eparandosi di nuovo al trauma della presenza di Margot la Nera. Questa volta, però, la trovò ~- vestita o semivestita secondo i criteri di Ormis ton, poiché indossava t soltantó i calzoncini corti e il giaco che portav a per cavalcare, ed era scalza Sedeva su una poltrona accanto alla tavola, con una fiasca di vi- no accanto e una sigaretta nera tra le dita. I cape lli erano come un ca- sco d'ebano, accanto all'a~lorio della fronte e del la gola, e gli occhi ver- di sembravano due smeraldi gemelli. --Siediti--gli disse, quando le fu davanti.--Ci hai perso tu, a tar- dare, Hull. Avrei cenato con te. --Per ritemprarmi le forze, mi bastano pane e forma ggio--bor- bottò lui. --Sembra di sì.--Un fuoco le danzava negli occhi.-- Hull, io sono forte come molti uomini, ma credo che quei tuoi mus coli possenti po- trebbero sopraffarmi come se fossi una timida ragaz za di provincia.

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Eppure... --Eppure cosa? --Eppure tu somigli molto ad Eblis, il mio stallone nero. I suoi mu- scoli sono quasi altrettanto forti, ma come faccio con lui, posso pungo- larti, spingerti, frustarti, e lanciarti al galoppo nella direzione che pre- ferisco. --Davvero?--scattò Hull.--Non provartici.--Ma era d iffici] o ~f- frontare l'incantesimo di quella bellezza ultraterr ena. --Invece credo che mi ci proverò--tubò gentilmente lei.--Hull, tu non menti mai? --No. --Allora dovrb farti mentire, Hull? Dovrò farti giu rare falsità tali che in futuro arrossirai sempre al solo ricordo? Do vrò farlo? --Non puoi ! Margaret sorrise e poi, cambiando tono, chiese:--Mi ami, Hull? --Amarti? Ti odio...--S'interruppe di colpo --Mi odii, Hull?--chiese lei, con gentilezza --No--gemette finalmente il giovane.--No, non ti od io --Mi ami allora.--Il viso era angelico, serio, puro , e persino gli oc- chl verdi erano dolci come il verde della primavera .--Dimmi, mi --No!--Lo sibilò rabbioso, poi arrossì al sorriso d i lei.--Non è una menzogna!--scattò.--La tua stregoneria non è amore lo non amo la tua bellezza. E innaturale, infernale; è il dono di Martin Sair. E una bellezza falsa, come tutta la tua vita! --Martin Sair c'entra ben poco con il mio aspetto-- rispose lei, dol- cemente.--Cosa provi per me, Hull, se non è amore? --Io... non lo so. Non voglio pensarci!--Strinse la mano a pugno. --Amore? Chiamalo amore, se vuoi, ma è un amore dia bolico che tro- verebbe soddisfazione nell'ucciderti!--Ma a questo punto il súo cuore si ribellò di nuovo.--Non è vero--concluse, avvilit o.--Non potrei ucclderti. --Supponiamo--proseguì la Principessa--che io prome tta di ab- bandonare Joaquin, di non esser più Margot la Nera, la Principessa del- I'Impero, di essere soltanto... la moglie di Hull T arvish. Tra Vail e me quale sceglieresti? Hull non rispose nulla per il momento.--Sei ingiust a--disse poi amaramente.--Ti sembra giusto paragonarti a Vail? L ei è dolce e de- vota e innocente, ma tu... tu sei Margot la Nera! --Comunque--continuò lei, calma--credo che farò il confronto Sora!--La donna grassa comparve sulla soglia.--Sora , non c'è più vi- 412 no- ~landa qui la 6glia dell'Anziano con un'altra b ottiglia e un secondo

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~- bicchiere. --Hull la fissò sgomento.--Cos'hai intenzione di fa re? ~- --Nulla di male alla tua piccola Erbaccia. Te lo prometto. _ Ma...--Il giovane tacque. I passi di Vail risuona rono sulle scale: poi lei entrò timidamente, portando un vassoio c on una bottiglia e un calice di metallo- Hull la vide trasalire, quand o lo scorse: ma poi si av- vicinò in silenzio, posò il vassoio sul tavolo e arretrò verso la porta. . --Aspetta un momento--fece la Principessa. Si alzò, si portò a flan- co di Vail, come per imporre a Hull di fare un c onfronto. Lui non poté L evitarlo: si detestò per quel pensiero, ma non s eppe scacciarlo. Scalza, la Principessa Margaret era alta esattamente qua nto Vail con i suoi sandali a tacchi bassi, ed era lievemente più sn ella. Ma i sorprendenti capelli neri e gli splendidi occhi verdi facevan o quasi sbiadire la ragaz- ~ za di Ormiston, e i capelli di rame e gli occhi azzurri parevano scialbi, L scoloriti. Non è giusto: Hull capiva che era co me paragonare la luce di una candela a un raggio di sole, e si disprezzav a perché restava a guar- E dare. --Hull--chiese la Principessa--chi di noi è la più bella? Il giovane vide le labbra di Vail fremere per l a paura, e restò chiuso in un ostinato silenzio. --Hull--insistette la principessa--chi ami, di noi due? --lo amo Vail!--mormorò lui. --Ma l'ami più di quanto ami me? Ancora una volta, egli dovette ricorrere al sil enzio. --Deduco--continuò sorridendo la Principessa--c he il tuo silen- zio signiLichi che ami di più me. Ho ragione? Hull non disse ulla. --Oppure mi sbaglio, Hull? Puoi dare alla picco la Vail la soddisfa- zione di rispondere a questa domanda. Perché, se non risponderai, mi prenderò la libertà di credere che ami di più me . E vero? Per Hull, era un torrnento atroce. Le labbra sb iancate si torsero per I'angoscia. e alla fine proruppe:--Oh Dio! E all ora, sì! ~1~ La Principessa sorrise dolcemente.--Puoi andare --disse a Vail, ~, che attendeva pallida e spaventata. Ma la ragazza esitò per un momento.--Hull--bisb igliò.--Hull, so L che l'hai detto per salvarmi. Non lo credo, Hull, e ti amo. La colpaè sua! --Taci!--gemette lui.--non insultarla. La Principessa rise.--Insultare me? Credi che p otrei sentirmi insul L tata da un po' di polvere che si trascina dalla culla alla tomba?--Girò ,~ sprezzante gli occhi verdi su Vail che, atterrit a, usciva a ritroso dalla porta. --Perché ti diverti a torturare?--gridò Hull.- -Sei crudele come J una gatta. Sei un demonio- 413 --Non è stata una crudeltà--disse dolcemente la Pri ncipessa --Era solo un modo per provare ciò che ho detto: ch e i tuoi muscoli po tenti sl sono abituati alla mia sella. --Se c'era bisogno di provarlo--borbottò lui. --Non ce n'era bisogno. Le prove bastano, anche in ciò che sta acca- dendo in questo momento, se ho calcolato esattament e il tempo. Mi ri- ferisco ai tuoi Imducibili che stanno passando attr averso l'antica fo- gna, per finire nella mia trappola, dietro la stall a.

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Hull restò allibito.--Tu... tu sei... tu del~i esse re una strega!--escla- --Forse. Ma non è stata la stregoneria che mi ha in dotta a farti bale- nare il pensiero di quella fogna, Hull. Adesso rico rdi che è stato un mio suggerimento, pronunciato ieri sera nel corridoio? Sapevo benissimo che avresti messo l'esca sotto il naso degli Irridu cibili. Il giovane era stordito.--Ma perché... perché...? --Oh--rispose lei, indifferente--mi diverte vederti recitare due volte la parte del traditore, Hull Tarvish. La trappola La Principessa gli si avvicinò, con magnifici occhi dolci come quelli di un angelo, la curva delicata delle labbra atteggiat e a un lievissimo somso imbronciato.--Povero, forte, debole Hull Tarv ish!--mormo- rò.--Adesso capirai il costo della debolezza. Io no n sono Joaquin, che combatte benignamente, con le armi dei suoi uomini regolate al mini- mo. Quando io vado in battaglia, i miei raggi sono al massimo, e la carne brucia, i cuori cedono. La morte cavalca al m io fianco. Hull l'udiva appena. La sua mente sconvolta lottava con un'idea. Gli Irriducibili stavano strisciando a uno a uno nella trappola ma non po- tevano essere tutti nella galleria. Se avesse saput o awertiríi I suoi oc- chi si posarono sulla maniglia della campana, nel c orridoio, accanto al- la guardia, la fune faceva squillare la campana di bronzo della torre per convocare le pubbliche assemblee, o per annunci are gli incendi Sarebbe stata la morte se l'avesse suonata, senza d ubbio: ma era un prezzo equo da pagare per l'espiazione. Il braccio robusto scattò all'improvviso, urtando l a Principessa e mandandola a sbattere violentemente contro il muro. Udì il suo fioco --O-o-oh--di dolore, quando cadde pian piano in gin occhio: ma or- mai Si era avventato sulla guardia sbalordita, l'av eva spinta oltre la ba- laustra del ballatoio, giù nella tromba delle scale . Poi tirò la fune, con tutto il suo peso, e la grande voce di bronzo tuonò , ripetutamente. Margot la Nera era già in piedi, e le scintille d'i nferno le brillavano ~ negli occhi: il suo viso era una bellissima masch era di furore. Molti uo- mini salirono correndo le scale con le armi in pugn o, e Hull tirò un'ulti- ma volta la fune e si girò per amrontare la morte. Mezza dozzina d'armi era puntata su di lui. --No... no!--ansimò la Principessa sforzandosi di r iprendere fiato. _ Prendetelo! Portatelo... nella stalla! ~- Si lancib correndo per le scale, muovendo svelte le incantevoli gam- be nude, con tonfi lievi dei piedi scalzi. I sei so ldati del'Impero, torvi in volto, spinsero Hull davanti alla guardia che, stor dita, si era messa a ~` sedere sugli ultimi gradini, e poi fuori, nella notte, dove balenavano lampi azzurri e risuonavano grida e spari. Dietro la stalla c era un relativo silenzio, comunq ue, quando i cattu- L ratori di Hull l'ebbero trascinato fin là. Una fi tta massa di figure scure era raccolta accanto all'imboccatura dell'antica ga lleria, dove gli ar- busti erano stati strappati e calpestati: erano cir condate da una fila de- gli esploratori brunovestiti. Diversi uomini giacev ano al suolo, e Hull

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sorrise lievemente, quando vide che alcuni erano uo mini dell'Impero. Poi il suo sguardo si posò sulla Principessa, che s i era fermata davanti a un ufficiale dai capelli bruni. --Quanti, Lebeau? --Centoquaranta o centocinquanta, Altezza. --Non sono neppure la metà! Perché non inseguite gl i altri nella gal- leria? --Perché, Altezza, uno di loro si è fatto crollare addosso i puntelli e il tetto, e ci ha bloccati. Adesso lo stiamo disseppel lendo. --E nel frattempo gli altri avranno lasciato la tan a.--Dove finisce la galleria?--La Principessa si avvicinò a Hull.--H ull, dove fini- sce?--Poiché egli tacque, aggiunse:--Non importa. N e uscirebbero comunque, prima che arrivassimo noi.--Poi si voltò di scatto.--Le- beau! Brucia quelli che abbiamo presi, e gli altri li liquideremo appena potremo.--Un mormorio corse tra la folla degli abit anti del villaggio t~ che si andava raccogliendo: gli occhi di lei, ve rdargentei nel chiaro di ~- Luna, si volsero in quella direzione.--E tutti i simpatizzanti--ag- giunse freddamente la Principessa.--Tranne quest'uo mo, Hull Tar- La gran voce di File Ormson si levò rombando dalla massa dei prigio- nieri.--Hull! Hull! Questa trappola è stata un'idea tua? ` Hull non rispose: fu Margot la Nera a farlo per l ui.--No--scattò.-- Ma è stato lui a suonare la campana. --Allora perché lo risparmi? Gli occhi verdi brillarono gelidi.--Per ucciderlo a modo mio, Er- baccia--disse in tono freddo, e fu come se un vento invernale avesse t ~lit~tn ir~ n ~ nl~tt~ rlrimaverile.--Ho un conto da regolare con lui. Gli occhi brillarono come smeraldi, fissandosi in q uelli di Hull Il giovane sostenne lo sguardo con fermezza e disse, a voce bassa:--Sei disposta ad accordare una grazia a un uomo che sta per morire? --Non è nostra usanza--rispose lei, indifferente.-- E la salvezza della figlia dell'Anziano? Non intendo farle alcun male --Non si tratta di questo. --E allora chiedi... sebbene io non sia propensa a concederti favori Hull Tarvish, che per due volte mi hai messo le man i addosso con la vio- lenza. La voce del giovane si abbassò in un sussurro.--Ti chiedo la vita dei miel compagni. La Principessa inarcò le sopracciglia, stupita, poi scosse la fiamma tenebrosa della chioma.--E come posso? Sono rimasta qui apposta per spazzarli via. Debbo liberare la metà che ho ca tturato, soltanto per distruggerla insieme al resto? --Ti chiedo le loro vite--ripeté Hull. Un bizzarro fuoco capriccioso danzò negli occhi ver di.--Proverò-- promise, e si rivolse all'ufficiale, che stava schi erando i suoi uomini in modo che il fuoco incrociato delle pistole non falc iasse le sue stesse file

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--Lebeau!--ordinò.--Aspetta un momento. Si diresse nel varco tra i prigionieri e i suoi uom ini. Con le mani sui fianchi scrutò gli kriducibili, mentre il chiarore lunare conferiva alla sua bellezza un'aura incredibile, ultraterrena. Nel la semioscurità not- turna non sembrava un demonio, ma una fanciulla, qu asi una bambi- na: e persino Hull, che aveva imparato a conoscerla bene, non riusciva a distogliere lo sguardo affascinato dalla sua pers ona. --Ora--disse lei, volgendo gli occhi sul gruppo--in cambio della mia promessa d'amnistia, quanti di voi passerebbero dalla mia parte? Un fremito percorse la massa. Per un momento vi fu un'immobilità assoluta; poi, molto lentamente, due figure si fece ro avanti, e il fremito divenne un mormorio rabbioso. Hull riconobbe i due uomini: avevano fatto parte dell'esercito della Confederazione: uom ini di Ch'cago, buo- ni combattenti ma semplici mercenari, pronti a camb iare bandiera co- me li spingeva l'umore o I'interesse. Il brusio deg li Irriducibili divenne un nnghio furioso. --Voi due--chiese la Principessa--siete uomini di O rmiston? --No--disse uno.--Veniamo entrambi dalle rive del M itchin. --Benissimo--proseguì lei, con calma. Con un movime nto rapido quanto il volo d'una freccia, si sfilò l'arma dalla cintura: il raggio az- zurro sibilò due volte, e gli uomini caddero con la faccia carbonizzata Dai corpi esalavano nere spire di fumo fetido. La Principessa si volse verso il gruppo sbigottito. --E ora --disse --chi è il vostro capo? File Ormson si fece avanti, con una smorfia tetra.- -Cosa vuoi da me? Tratterai con me? 1 tuoi uomini accetteranno i nost ri accordi? , File annuì.--Hanno poca scelta. --Bene. Adesso che ho eliminato i traditori dalle v ostre file, poiché io non tratto con i traditori, ti farò la mia offer ta.--Sorrise al fabbro. --Credo di aver servito bene me stessa e voi facend o così--fece sotto- voce, e Hull ansimò, scorgendo la dolcezza dello sg uardo che lanciava verso File.--Tu, con i tuoi muscoli forti e il tuo cuore di guerriero, se- guiresti una donna? La smorfia svanì nello stupore.--Seguire te? Te? --Sì.--Hull osservava, affascinato, come lei usava la voce, gli oc- chi, la bellezza ultraterrena intensificata dal chi aro di luna, per incan- tare il grosso File Ormson, dietro cui gli Irriduci bili prigionieri stavano tesi silenziosi.--Sì, seguire me--ripeté sottovoce- -Siete tutti valo- rosi, tutti, ora che ho eliminato i due vigliacchi. --Sorrise, malinconi- camente, quasi con tenerezza, alla tozza figura che le stava davanti. --E tu... tu sei un guerriero. --Ma...--File deglutì.--Gli altri... --Ti prometto che non dovrete combattere contro i v ostri compagni. Lascerò liberi tutti coloro che non vorranno seguir mi. E le vostre terre, poiché è per le vostre terre che combattete, no?, n on le toccherò, tranne quelle dell'Anziano.--Fece una pausa.--Ebbene? All'improvviso, risuonò la risata di File.--Per Dio !--imprecò.--Se

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dici davvero, non c'è motivo di combattere! Per qua nto mi riguarda, sono con te!--Si rivolse ai suoi uomini.--Chi mi se gue? 11 gruppo si agitò. Alcuni fecero un passo avanti, poi altri, e poi, con un grido, tutti quanti .--Bene!--ruggì File. Si por tò sul cuore la gran- de mano dura, nel saluto dell'Impero.--A Margot... alla Principessa Margaret!--gridò.--A una guerriera! Lei sorrise e abbassò gli occhi, quasi pudicamente. Quando le escla- mazioni si furono spente, lei si rivolse di nuovo a File Ormson.--Invie- rai messaggeri agli altri uomini?--chiese.--Che ven gano, alle stesse condizioni. --Verranno!--ruggì File. La Principessa annuì.--Lebeau--ordinò--richiama i t uoi uomini. Questi sono nostri alleati. Gli Irriducibili cominciarono a separarsi, disperde ndosi tra la folla degli abitanti del villaggio. La Principessa si avv icinò a Hull, sorriden- do con malizia della sua perplessità. Lui non sapev a se doveva sentirsi lieto o amareggiato. perché sebbene avesse accolto la sua richiesta di risparmiargli i compagni, I'aveva fatto solo distru ggendo la causa alla quale lui aveva sacrificato ogni cosa. Non c'erano più gli Irriducibili, ma lui avrebbe dovuto comunque morire per loro. --Morirai contento adesso?--chiese lei, dolcemente. --Nessuno muore contento--ringhiò Hull. --Ti ho accordato il favore che mi hai chiesto, Hul l. --Se ci si può fidare delle tue promesse--ribatté l ui, con amarezza. --Hai mentito con freddezza agli uomini di Ch'cago, e ti sei assicurata che gli Irriducibili non li amassero, prima di ucci derli. La Principessa scrollò le spalle.--Io mento, ingann o, imbroglio con ogni mezzo di cui dispongo--fece con indifferenza.- -Ma non infrango la parola data. Gli Irriducibili sono salvi. Alle sue spalle, alcuni uomini uscirono dall'imbocc atura della galle- ria, trascinando qualcosa di scuro. --L'Erbaccia che ha fatto crollare la volta, Altezz a--disse Lebeau La Principessa si voltò indietro, e sporse le labbr a delicate in una smorfia di sorpresa.--L'Anziano! Il vecchio rimbamb ito è morto co- raggiosamente.--Poi scrollò le spalle.--Comunque, g li restavano so- lo pochi anni da vivere. Ma Vail si fece avanti, con un gemito sommesso d'an goscia, e Hull la vide inginocchiarsi desolata accanto al corpo del p adre. Un fremito di pietà lo scosse, al pensiero che adesso era complet amente sola. Enoch era morto nell'imboscata, la notte prima; il vecchi o Marcus giaceva lì davanti a lei; e lui era condannato a morte. I tre che l'amavano e l'uo- mo che amava... tutti uccisi nel corso di due notti . Le rivolse un lento sorriso disperato di commiserazione, ma non c'era n ulla che potesse di- re o fare. E Margot la Nera, dopo averle lanciato un'occhiata, si rivolse a Hull.--E ora--disse, con voce ridiventata di ghiacc io--farò i conti con te!

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Il giovane l'affrontò, stordito.--Avrai la bontà di liquidarmi in fret- ta, allora?--mormorò alla fine. --Bontà? Per quanto ti riguarda, non conosco quella parola, Hull. Anzi, sono stata anche troppo buona. Ti ho risparmi ato la vita tre vol- te... una sua richiesta di Joaquin a Eaglefoot Flow , una davanti alla ba- racca, e una volta lassù, nel corridoio.--Si fece p iù vicina.--Non sop- porto la violenza, Hull, e tu mi hai messo le mani addosso due volte. Due volte! --Una volta l'ho fatto per salvarti la vita--disse lui.--E l'altra per rimediare al mio involontario tradimento. E ti ho risparmiato tre volte la vita anch'io, Margot la Nera... Una volta quando ti ho preso di mira dal tetto della chiesa, una volta salvandoti d all'imboscata nella stanza a ovest, e una volta solo mezz'ora fa, perch é avrei potuto ucci- derti a pugni, se avessi voluto colpirti abbastanza forte. Io non ti devo nulla. Lei sorrise freddamente.--Ben detto, Hull; ma morir ai lo stesso co- me vorrò io.--E gli voltò le spalle.--In casa!--ord inò e Hull s'in- camminò, tra le sei guardie che lo fiancheggiavano ancorá. La Principessa li Drecedette nella stanza al Diante rreno c:h~ ~r:l Ct~ta del Maestro. Sedette pigramente su un'antica poltro na, accese una si- garetta nera alla lampada, allungò le gambe snelle, fissando Hull. Ma il [ giovane, guardando oltre la finestra, poteva vede re la chiazza scura che era Vail Ormiston, inginocchiata e piangente accant o al corpo del pa- dre. --Ora--chiese la Principessa--come vorresti morire, Hull? --Di vecchiaia!--scattò lui.--E se non me lo permet terai, allora il L più rapidamente possibile. --Potrei accogliere la tua seconda richiesta--osser vò lei.--Po- Ii pensiero di Vail lo tormentava ancora. Finalment e disse:--Altez- za, hai il coraggio di restare sola con me? Voglio chiederti qualcosa che non direi mai alla presenza di altri. La Principessa rise, sprezzante.--Uscite!--intimò a lle guardie.-- Hull, credi che io abbia paura di te? Ripeto che i tuoi potenti muscoli e il tuo cuore ostinato sono come quelli di Eblis, lo stallone nero. Debbo dimostrartelo di nuovo? --No--mormorò il giovane.--Dio mi aiuti, ma so che è vero. Non sono all'altezza di Margot la Nera. --Non lo è nessun altro uomo--ribatté lei. Poi, con voce più som- messa:--Ma se mai incontrerò l'uomo che potrà vince rmi, ammesso che esista, avrà qualcosa di te, Hull. La tua forza grande e lenta, e la tua sincerità ostinata, e il tuo coraggio, ti assicuro. --Fece una pausa, e il suo volto era puro come quello di una statua di mar mo.--Perciò, di' '~ ciò che hai da dire. Che cosa vuoi chiedere? --La mia vita--rispose lui, bruscamente. Gli occhi verdi si splancarono per lo stupore.--Tu, Hull? Tu implori perché ti risparmi la vita? Tu?

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--Non per me--mormorò Hull.--C'è Vail Ormiston che piange sul cadavere di suo padre. Enoch, che l'avrebbe sposata e amata, è morto nell'imboscata di ieri notte, e se muoio io rimarrà sola. Ti chiedo la mia ~- vita, per lei. F~ --I guai di quella ragazza non hanno importanza per me--disse freddamente Margaret di N'Orleans. --Morirà, se non avrà qualcuno... qualcuno che l'ai uti a sopravvive- re a questi giorni di tormento. --Che muoia, allora. Perché voi mortali vi aggrappa te così dispera- tamente alla vita, comunque? Talvolta io stessa acc oglierei con sollie- vo la morte, e ho infiniti motivi di vivere più di voi. Che muoia, Hull, Come credo che morirai anche tu, fra pochi istanti! Posò la mano sul calcio dell'arma che portava alla cintura.--Ac- colgo la tua seconda richiesta--disse freddamente.- -La morte rapi- da. 10 Ancora il vecchio Einar Margot la Nera schiacciò con la mano sinistra la si garetta sul legno lu- cido del tavolo, ma la destra restò posata inesorab ilmente sull'arma Hull sapeva che ormai stava per morire, e per un at timo pensò di mori re combattendo, di farsi uccidere dal raggio mentre si scagliava cotro di lei. Ma scosse il capo; gli ripugnava l'idea di tentare un nuovo atto di violenza contro quella figura squisita che, strega o demonio che fosse aveva la spassionata purezza e la bellezza di una d ivinità. Era più faci- le morire passivamente, perdendo i propri pensieri nel fulgore di quel fascino ultraterreno. Lei parlò.--Muori, dunque, Hull Tarvish--fece dolce mente, e spia- nò l'arma. Una voce parlò alle spalle di Hull, una voce nota e gradita.--Distur- bo, Margaret? Il giovane si voltò di scatto. Era il Vecchio Einar , che sporgeva attra- verso la porta il viso rugoso e bonario. Rivolse un sorriso a Hull, spa- lancb la porta ed entrò nella stanza --Einar!--gridò la Principessa, balzando dalla polt rona--Einar Olin! Sei ancora al mondo~--La sua voce assunse di colpo un tono di profonda pieta.--Ma così vecchio... così vecchio! Einar le prese la mano libera...--Sono passati quar ant'anni da quando ti ho visto per l'ultima volta, Margaret... e allora ne avevo cin- quanta. --Ma così vecchio!--ripeté lei.--Einar, io sono cam biata~ Einar la scrutò.--Fisicamente no, mia cara. Ma a gi udicare dalle storie che si raccontano in tutto il continente, no n sei più l'allegra paz- zerella che N'Orleans adorava come Principessa Pegg y, e neppure la piccola, valorosa guerriera che chiamavano la Fanci ulla d'Orleans Lei aveva dimenticato Hull, ma le guardie che si sc orgevano oltre l'u- SCi0 semiaperto bloccavano ancora ogni via di scamp o. Il giovane ascoltava affascinato: era come se vedesse una Marg ot la Nera comple- tamente nuova.

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--Sono stata dawero la Principessa Peggy?-- mormorò lei. --Lavevo dimenticato... Bene, Martin Sair può vince re la vecchiaia ma non può arrestare il corso del tempo. Ma Einar.. . Einar, tu hai sba- gliato a nfiutare la sua offerta! --Vedendo te, Margaret mi chiedo invece se la mia s celta non sia stata molto saggia. La giovinezza è un'inquietudine troppo grande per sopportarla molto a lungo, e tu l'hai portata per p oco meno di un seco- lo. Che sarà tra altri cinquant'anni? Tra altri cen to, se l'arte di Martin Sair conserverà il suo potere? Che cosa diventerai? Lei scosse il capo; gli occhi verdi divennero profondi, dolorosi.--No F ~ _ Bene--fece quello placidamente.--Io sono ve cchio, ma soddi- sfatto Mi chiedo se tu puoi dire altrettanto. _ Avrei potuto essere diversa, Einar, se tu t i fossi unito a noi. Avrei otuto amarti, Einar. _ Sì _ ammise il vecchio, amaramente.--Era qu esto che temevo: e fu una delle ragioni del mio rifiuto. Vedi, io ti amavo davvero, Marga- ret: e preferii superare quel tormento, piutto sto che perpetuarlo. Era una malattia dolorosa, amarti, e ci aveva colp iti tutti, prima o poi. 'Col- piti dalla fiamma,' dicevamo.--Sorrise, pensos o.--E rimasto qual- cuno, oltre me, di coloro che ti amavano? --Soltanto Jorgesen--rispose lei, con tristez za.--Cioè, se non si è ancora ucciso nella sua ricerca del segreto de lle ali degli Antichi. Ma prima o poi si ucciderà. --Bene--disse Olin, in tono asciutto.--La mia vecchiaia può anco- ra farsi beffe della loro immortalità.--Poi pu ntò un dito nodoso verso Hull.--Che cosa vuoi da questo mio giovane ami co? Gli occhi di smeraldo lampeggiarono, e la Pri ncipessa sottrasse la mano alla stretta del Vecchio Einar.--Ho inten zione di ucciderlo. --Davvero? E perché? _ Perché?--La voce divenne gelida.--Perché mi ha percosso con quelle mani. Due volte. Il vecchio sorrise.--Non mi stupirei se ne av esse avuto ogni motivo, Margaret. La memoria mi dice che io stesso ho provato il medesimo _ Allora è stato un bene che non vi abbia ced uto, Einar. Anche se tu '. eri tu. --Senza dubbio. Ma credo che ti chiederò di p erdonare il giovane Hull Tarvish. --Conosci il suo nome? E veramente amico tuo? Il Vecchio Einar annuì.--Ti chiedo di perdona rlo. t --Perché dovrei?--chiese la Principessa.--Per ché pensi che una tua parola possa salvarlo? 3 --Sono pur sempre Olin,--rispose il vecchio, sostenendo lo sguar- do degli occhi verdi con i suoi, azzurri e sbi aditi.--Porto ancora il Si- gillo di Joaquin. L _ Come se questo bastasse a fermare n2e!--Ma il fuoco gelido si spense lentamente nel suo sguardo, lasciando d i nuovo il posto alla tri- Stezza--Ma tu sei ancora Olin, il Padre dell' Energia--mormorò la Principessa~ e con un gesto improvviso ripose l'arma alla cintura.--Lo risparmierò ancora una volta--fece; e poi, co n voce stranamente opa- ca:--Immagino che non l'avrei ucciso comunque . E una mia debolez- za: non sono capace di uccidere chi mi ama in un ce rto modo... una de- ~i bolezza che un giorno o I'altro mi costerà cara. Olin aggricciò le labbra in quel suo sorriso da tes chio, volgendosi al giovane che era rimasto in silenzio.--Hull--disse g entilmente--tu devi essere nato sotto una buona stella. Ma se hai intenzione di tentare

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ancora la tua sorte, ascolta il consiglio di questo vecchio.--Il sorriso divenne un ghigno.--Oltre le montagne occidentali v ivono ancora cer- ti felini cacciatori, poderosi e molto rari, chiama ti leoni che secondo Martin Sair non sono originari di questo continente , e fúrono portati qui dagli Antichi; li tenevano in gabbia, li ammira vano e qualche volta Ii addestravano. Non so se questo sia vero, ma ti d ico questo, Hull: vai a tirare la coda a un leone, piuttosto che sfidare di nuovo l'ira di Margot la Nera. E adesso, vattene. --Non ancora, Hull--scattò la Principessa.--Ho un c onto da rego- lare con te.--Poi si rivolse a Olin.--Dove hai inte nzione di andare ora, Einar? --A N'Orleans. Ho qualcosa da riferire a Jorgensen, e inoltre ho no- stalgia della Grande Città.--Fece una breve pausa.- -Ho visto Joa- quin. Selui è caduta. ' --Lo so. Questa notte parto per raggiungerlo. ~- --E ha mandato ambasciatori a Ch'cago --Bene!--esclamò lei.--Allora ci sarà da combattere .--I suoi oc- chi assunsero un'espressione sognante.--Non ho mai visto i mari d'ac- qua dolce--aggiunse, con aria malinconica.--Ma mi c hiedo se posso- no essere belli quanto il Golfo Azzurro, oltre N'Or leans. Il vecchio Einar scosse la chioma canuta.--Come fin irà, Margaret? --chiese gentilmente.--Dopo che Ch'cago sarà caduta poiché la pren- ~` derete... cosa accadrà? --Le terre oltre i mari d'acqua dolce, e quelle a e st, N'York, e tutte le città sulle rive dell'oceano. --E poi? --E poi l'America del Sud, immagino. --E poi, Margaret? --Poi? C'è ancora l'Europa, ammantata di mistero, e l'Asia, l'Afri- ca... tutte le terre note agli Antichi. --E dopo di esse? --Dopo--rispose lei, stancamente--potremo riposare. Il destino che incalza Joaquin non può sicuramente spingerlo o ltre i confini del mondo. --E così--disse Olin--vi aprite la strada combatten do intorno al mondo per poter riposare alla fine del viaggio. E a llora, perché non ri- posare adesso, Margaret? Devi usare il pianeta come guanciale su cui posare il capo? Il furore divampò negli occhi verdi di lei. Alzò la mano e colpì il vec- chio sulla bocca: ma leggermente, perché lui contin uò a sorridere --Sciocco!--esclamò.--Allora provvederò io perché v i sia sempre guerra! Tra me e Joaquin, se sarà necessario... o t ra me e chiunque... ` chi~nque~ purché io possa combattere!-- Si arrest ò, ansimando. F ` ~ Lasciami, Einar--fece con voce tesa.--Non mi piacciono le cose che tu mi ricordi. Il vecchio indietreggiò, sempre sorridendo. Si soff e}mò sulla soglia.

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Ti rivedrò primá di morire, Margaret--promise, e se ne andò. La Principessa lo seguì alla porta.--Sora!--esclamò .--Sora! Io parto! Hull odì il passo pesante di Sora, che entrò portan do un paio di mi- nuscoli coturni e un paio di lucenti guanti argente i, e subito se ne andò. Lentamente, quasi stancamente, la Principessa si vo lse verso Hull, che ancora non aveva permesso alla speranza di entr are nella sua ani- ma poiché aveva imparato a conoscere Margot troppo bene per fidarsi delía promessa strappata per lui dal Vecchio Einar. Sentiva solo il fa- scino che aveva sempre esercitato su di lui, l'inca nto degli incredibili capelli neri e degli occhi verdemare, di quella bel lezza ultraterrena. --Hull--chiese lei, gentilmente--che cosa pensi di me, ora? --Penso che tu sia una fiamma nera che divampa geli da nel mondo. Penso che tu sia spinta da un dèmone. --E mi odii tanto? --A ogni istante prego di poterti odiare. --Allora guarda, Hull.--Con le sottili dita guantat e gli prese le t grosse mani, se le posò intorno alla curva perfet ta della gola.--Ecco, ti do la mia vita. Basta che tu stringa con queste due mani poderose, e Margot la Nera sparirà per sempre dal mondo.--Tacqu e un istante. j --Debbo supplicarti? Hull ebbe l'impressione che un torrente di metallo fuso gli scorresse - nelle braccia, al contatto di quella pelle bianca . Le sue dita s'irrigidiro- no come barre metalliche, e nonostante la sua grand e forza non riuscì a esercitare la minima pressione su quella gola morbi da. E nelle profon- dità delle fiamme smeraldine che ardevano negli occ hi di lei vide anco- ra il balenìo del sarcasmo. - --Non vuoi?--disse lei, scostandogli le mani, ma tenendole strette nelle sue.--Allora non mi odii? . --Sai che non ti odio--gemette Hull. --E mi ami? --Ti prego--mormorò lui.--E necessario torturarmi a ncora? Non ho bisogno di altre prove del tuo potere. --Allora di' che mi ami. t --Il cielo mi perdoni--sussurrò Hull--ma ti amo! Margaret lasciò cadere le mani di lui e sorrise.--A llora ascoltami. Tu ami la piccola Vail di un amore più vero; e un m ese dopo l'altro il ri- cordo sbiadisce davanti alla realtà. Dopo qualche t empo, in te non re- Sterà più nulla di Margot la Nera, ma ci sarà sempr e Vail . Ora me ne va- do, e spero di non rivederti mai più, ma...--E i su oi occhi divennero d ghiaccio verde.--Prima di andarmene, regolerò il mi o conto con te Alzò la mano guantata.--Questo per il tuo tradiment o!--esclamò, e

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lo colpì selvaggiamente sulla guancia destra. Sgorg ò il sangue: sareb_ bero rimaste le cicatrici, ma Hull restò impassibil e.--Questo per la - tua violenza!--esclamò lei, e il guanto d argento gli lacerò la guancia sinistra. Poi gli occhi verdi si addolcirono.--E qu esto--mormorò lei --per il tuo amore~ Le braccia di Margaret lo cinsero, il suo corpo era caldo contro quello di lui, le labbra squisite bruciarono sulle sue. Pe r un momento, Hull eb be la sensazione di aver abbracciato una fiamma: po i lei se ne andò portandosi via una parte della sua anima. Quando ud ì gli zoccoli dello stallone, Eblis, scalpitare oltre la finestra, Hull si voltò e uscì lenta mente dalla casa, raggiunse Vail, ancora accovaccia ta accanto al corpo di suo padre. La ragazza si aggrappò a lui, gli ter se il sangue dalle guance: e stranamente, non parlò di suo padre, né d el fatto che Hull era stato risparmiato, ma di Margot la Nera. --Sapevo che avevi mentito per salvarmi--mormorò.-- Sapevo che non l'amavi. E Hull, che era incapace di mentire, la strinse a s é, senza dir nulla. Margot la Nera cavalcò a settentrione verso Selui, nella notte. Nel cielo, davanti a lei, vi erano ombre evanescenti ch e guidavano eserciti di fantasmi. Alessandro il Grande, Attila, Gengis K han, Tamerlano Napoleone, e più nitida di tutti, la regina guerrie ra, Semiramide. Tutti i possenti conquistatori del passato... e dov'erano dov'erano i loro im- peri, e dov'erano le loro ossa? Lontano, a Sud, c'é rano le tombe degli uomini che l'avevano amata, tutti, eccetto il Vecch io Einar, che vagava come un fioco spettro grigio nel mondo, per trovare la sua tomba - Al suo fianco, Joaquin Smith si volse, come per pa rlarle, spalanco gli _~ occhi e tacque. Non era abituato a vedere le lacrim e negli occhi e sulle guance di Margot la Nera.' J I Tutte le conversazioni attribuite in questa stori a alla Principessa Margaret sono riprese testualmente da un volume anonimo pubb licato a Urbs nell'ann° 186, e intitolato Gli amon della Fiamma Nera. E att ribuito a Jacques LebeaU, comandante della guardia personale della Fiamma Ner a (N.d.A.). Titolo originale: Daw~2 of Flame Traduzione di M. Gavioli, su licenza dl Fanucci Edi tore L Sprague de Camp DIVIDI E DOMINA L'ampio Hudson rifletteva il cielo azzurro primaver ile ed era punteg- giato di vele. I frutteti della valle splendevano d i fiori bianchi e violet- ti. Oltre il fiume incombeva Storm King, non propri o una montagna in confronto a quelle dell'ovest, ma pur sempre impres sionante per un abitante dello stato di York. Il paesaggio scintill ava del verde tenero delle foglie appena spuntate... e sir Howard Van Sl yck, secondogenito del Duca di Poughkeepsie, sperava in grazia di Dio di eliminare il pru- rito che sentiva sotto la corazza, senza arrivare a l punto di smontare metà dell'armatura e togliersela. Mentre l'imponente castrone nero arrancava sulla ci rconvallazione che da Albany Post Road aggirava Peekskill, il suo cavaliere pensava che partire da Ossining tutto bardato non era stata una cosa intelligen- te. Ma come poteva immaginare che improvvisamente a vrebbe fatto così caldo? L'imbottitura di gommapiuma delle piast re rendeva l'ar- matura soffocante. Goccioline di sudore gli scorrev ano sulla pelle; e poi, circa nei dintorni di Croton, era cominciato a nche il prurito. Sem- bra~ra proprio sotto il marchio dei Van Slyck, che, inserito nel piastro-

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ne, era l'unico ornamento di un'armatura per il res to semplicissima. Il marchiO rappresentava una foglia d'acero rossa entr o un cerchio bian- co, circondato dal motto dei Van Slyck, "Fagliela v edere". Due volte aveva cercato distrattamente di grattarsi , ed era stato ri- condotto alla realtà dallo stridere del metallo sul metallo. Forse una fumata lo avrebbe aiutato a non pensarci. Aprì uno scomparto della sella, prese pipa, tabacco e accendino e li accese. In realtà preferiva le Sigarette, ma la cenere si infilava nell'elmo. La circonvallazione oltrepassava i binari della Cen trale di New York ~;;ir ~_f~ward si fece da Parte per far passar e un autobus a sei ca- ~a ~ 425 valli che sferragliava, poi fece awicinare il caval lo al parapetto e guar dò giù. Sui binari attrassero la sua attenzione gli anelli lucidi di Ottone all'estremità delle zanne di un elefante che stava trainando una serie di vagoni; la spedizione pomeridiana per New York, pensò. Riconobbe che era un elefante indiano perché aveva le orecchi e piccole. Evidente- mente la Centrale aveva scartato l'idea di utilizza re gli elefanti africa_ ni. La Pennsylvania li usava perché erano più grand i e più veloci, però erano anche meno docili. L'anno precedente la Centr ale ne aveva pr~ vato uno a titolo sperimentale; glielo aveva detto il duca, che era un azionista importante della società. Durante il perc orso di prova l'ad- detto ai freni non aveva fatto attenzione e aveva l asciato che il vagone di testa urtasse le zampe posteriori dell'animale, col risultato che l'ele- fante ne fece deragliare due e avrebbe ucciso il pr esidente della com- missione, se fosse riuscito a prenderlo. Sir Howard riprese il cammino e notò con sollievo c he il prurito era cessato. All'incrocio della circonvallazione con la strada collegata a Bronx Parkway tirò di nuovo le redini. Qualcosa sta va discendendo la strada a lunghi balzi parabolici. Sapeva che cosa s ignificava. Bronto- lando infastidito smontò da cavallo. Mentre la cosa si avvicinava, si tolse la pipa di bocca e alzò il braccio destro per salutare. La cosa, che ricordava vagamente un canguro con un casco da foot- ball, li superò, apparentemente senza degnarli di u no sguardo. Sir Ho- ward aveva sentito parlare delle tristi vicende di quelli che avevano trascurato di salutare i saltatori, pensando di non essere visti. Non provava risentimento per l'obbligo di salutare la c reatura. In fondo, I'aveva fatto per tutta la vita. L'irritazione che sentiva era dovuta solo al pensiero di dover issare di nuovo i suoi 95 chil i di peso, più i 1~ del- I'armatura di acciaio al nickel-cromo, su un cavall o alto in una giorna- ta afosa. Per arrivare al castello di Peekskill bisognava ris alire Post Road per una decina di chilometri, e Sir Howard aveva tutta l'intenzione di scroccare una cena e una stanza per la notte al suo vicino. A metà di un tornante sentì un clacson. Lasciò la strada asfalta ta; dietro di lui arri- vava a tutta velocità una lunga torpedo nera. Smont ò la lancia di du- ralluminio dalla scarpa, e mentre l'auto sfrecciava via, l'insegna dei Van Slyck con la foglia d'acero sventolò e ricadde disegnando un arco. ~. Riuscì a intravedere gli occupanti; quattro saltato ri che sotto gli inevi- tabili elmetti assomigliavano vagamente a dei ratti enormi. Per fortu na non bisognava smontare da cavallo davanti ai sal tatori nei veicoli a motore, che passavano troppo veloci perché una rego la del genere fos- se praticabile. Sir Howard si chiese, come già tant i altri, come si viag- . giasse in un veicolo a motore. Certo, il modo per s coprirlo c'era: basta- va infrangere la legge. Purtroppo in quel modo il v iaggio era di sola an- data.

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'altronde non c'era dubbio che Dio sapesse il fatto suo quando sta- bilì che solo i saltatori potessero avere i veicoli a motore, gli esplosivi e tutt° il resto. Gli uomini erano stati cattivi, e D io aveva mandato i sal- tatori a dominarli. Perlomeno, questo insegnavano a scuola. Suo fra- tello Frank aveva dei dubbi, e li aveva confidati i n segreto a Sir Ho- ward. Frank aveva detto addirittura che una volta g li uomini avevano i veicoli a motore. Lui non sapeva; i saltatori sapev ano un sacco di cose, e se fosse stato proprio così, lo avrebbero insegna to a scuola. Eppure, Frank era in gamba, e non c'era da ridere su quello che diceva. Frank era strano, e scartabellava in continuazione vecchi e carte per scoprire cose di nessuna utilità. Sir Howard si stupiva di a ndare d'accordo con quel suo fratello maggiore così mingherlino, con cu i non aveva quasi niente in comune. Di sicuro si augurava che a Frank non succedesse niente prima che il vecchio raggiungesse i suoi avi . Sarebbe stato un bel fastidio ritrovarsi sul groppone l'amministrazi one del ducato, al- meno per il momento. Si stava divertendo troppo. Lasciò la strada asfaltata quando il castello di Pe ekskill divenne ViSi- bile oltre le cime degli alberi, presso il vecchio villaggio di Garrison. Si fermò davanti al portone e fischiò. Il custode sbuc ò dalla torretta col solito ritornello:--Chi siete, e che cosa volete?-- Poi disse:--Oh, sie- te voi, Sir Howard. Dirò a Lord Peekskill che siete qui.--Subito, il portone (una grande lastra di cemento armato con i cardini in fondo) si staccò dal muro, abbassandosi. John Kearton, il barone di Peekskill, era in cortil e e intanto gli zoc- coli del cavallo di Sir Howard facevano plop-plop s ul cemento. Si ve- deva che era appena rientrato da una partita di cac cia al fagiano, per- ché portava una vecchia giacca di cuoio e degli sti vali infangatissimi, e si appoggiava a una balestra leggera. --Howard, ragazzo mio!--esclamò. Era un uomo tarchi ato, con barba e capelli rossicci.--Togliti quella ferraglia e mettiti in borghe- se. Su Lloyd, porta la borsa di Howard nella prima stanza degli ospiti. Ti fermi qui stanotte, vero? Ma come no! Voglio sap ere qualcosa sulla guerra. La wAsc aveva un cronista alla battaglia di Mount Kisco, ma quando ha visto un paio di cavalli del Connecticut che venivano verso di lui, ha tagliato la corda. Dopo di che siamo riu sciti solo a sentire il rumOre del suo cavallo che se la dava a gambe e tor nava a Ossining. --Sarei contento di restare--rispose Sir Howard--se non ti di- sturbo... --No no, assolutamente. Vedo che hai sempre lo stes so cavallo. Io inVece cóme cavallo da guerra preferisco lo stallon e. --Saranno anche più vivaci--ammise il cavaliere--ma il buon veCchio fa quello che gli dico, che è la cosa più i mportante. Tre anni fa è stato terzo della sua categoria all'esibizione di White Plains. Prima che si facesse quelle cicatrici. Ma da' un'occhiata a questa sella: è un modello nuovo, veramente speciale. Guarda: radio in corporata, scom parti portaoggetti nell'arcione, tutto. Mi hanno fa tto anche lo sconto Sir Howard salì rumorosamente le scale dietro al su o ospite. La vi- siera di perspex trasparente della sua borgognotta era già sollevata slacciò anche la baviera e l'alzò, poi estrasse pia no la testa dall'elmo Sul viso squadrato portava la barbetta e i baffi ca ratteristici della sua classe sociale. Il naso non aveva affatto l'aria di un naso, per effetto dell'incontro con l'estremità di un falcetto. Ma lu i si era rifiutato di farsi fare una plastica, sostenendo che nella vita gli sarebbe capitato ben di peggio, e quindi operarsi sarebbe stato uno spreco. I capelli cor- vini rivestivano un cervello molto sviluppato, alqu anto arrugginito per il disuso. Quando si è in grado di disarcionare chiunque in tutto il

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ducato, di farlo finire sotto il tavolo a forza di bere, e si è in gamba con le ragazze, non si è molto stimolati a fare rifless ioni profonde. --E bella la tua armatura. Che cos'è, una Packard?- -osservò Peeks- --Già--rispose Sir Howard, togliendosi un bracciale .--Ha qual- che anno. Penso che prima o poi dovrò cambiarla con un modello nuo- vo. Il problema è che le armature nuove costano. Ch e ne pensi delle nuove Ford? --Mmm... Non so. Non so se mi piace quell'elmo tutt o di perspex. E vero che ti offre una visione totale. Ma se è abbas tanza robusto da resi- stere a un'ascia da combattimento, ti renderà anche pesantissimo, cre- do. E poi il perspex si graffia subito, specialment e in battaglia. --John, fa' vedere il tuo aggeggio--disse Sir Howar d, indicando la balestra.--E una Marlin, vero? --No, una Winchester dell'anno scorso. Ho fatto tog liere dal mio ar- maiolo quell'accidente di congegno per l'aggiustame nto del tiro, che non ho neanche mai usato. Per questo ha un altro as petto. Ma raccon- tami della guerra. I giornali riportano solo i fatt i nudi e crudi. --Oh, non c'è molto da dire--disse Sir Howard con f inta indiffe- renza.--Ho ucciso un uomo. Strano: mi sono trovato in mezzo a sei battaglie, ma per la prima volta mi sono reso davve ro conto di aver colpito un nemico. Quel bandito che abbiamo preso a Staatsburg non conta. Sai com'è, in battaglia: tutti che cercano d i colpirsi a vicenda, e non hai mai il tempo di vedere che danni hai fatto. NPerò non dovrei vantarmi tanto di questa uccisione . A Ossining ho firrnato perché il capo della città era mio cugino e pagavano bene. Il capo aveva messo insieme un duecento elementi di ca valleria pesante di Winchester, e come fanteria aveva i borghesi di Ossining e di Tarry- town. Aveva sentito che Danbury stava per ricevere un contingente di cavalleria pesante da Torrington. Così ci ha diviso in due ~rUDDi. con i ncieri nel primo soltanto. Io ero nel secondo, e co sì mi hanno fatto mettere da parte il mio stuzzicadenti. A proposito, è um arnese simpati- co è dell Hamilton Standard. E- 'Li abbiamo trovati proprio su un fianco di Moun t Kisco. I nostri ri- Cognitori avevano scoperto un'imboscata, senza poss ibilità d'errore; cavalli di frisia in fondo, cavalleria sui due lati , balestre dietro tutti i cespugli Il capo ci ha lanciato a sud, per distrugg ere uno dei loro corpi di cavalleria prima che l'altro potesse venire in a iuto. Sotto la nostra carica, la loro ala sinistra si è dispersa ancora p rima che arrivassimo, come se le stessero correndo dietro sei diavoli con le orecchie verdi. Io non riuscivo a vedere niente a causa delle lance da vanti al mio gruppo. Ma il terreno è abbastanza irregolare, sai, e non s i riesce a rimanere or- dinati in riga. La prima cosa che ho sentito è stat o un colpo sull'elmo, e poi che degli individui in camicia rossa con gli el mi a punta e lo scudo mi circondavano e miravano alle giunture dell'armat ura. Erano l'ala sinistra di Danbury. Non era riuscito a trovare la cavalleria pesante in Connecticut. Erano armati da granchio, e avevano i cosciali di maglia di ferro agganciati alla corazza. "Mi sono lanciato contro due di loro, ma tutte le v olte che l'ascia ar- rivava erano fuori portata. A quel punto, Paul Jone s ha quasi calpesta- to due camicie rosse. Ne ho colpito uno, ma aveva a lzato lo scudo in tempo. Non mi ero ancora ripreso, che l'altro, che non aveva lo scudo, afferrava l'asta con tutte e due le mani e cercava di strapparmela. Ave-

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vo paura di lasciarla andare, temevo che mi uccides se il cavallo prima che riuscissi a sguainare la spada. Mentre giocavam o a tira-e-molla, un granchio dall'altro lato, a sinistra, mi ha affe rrato la caviglia e mi ha spinto giù. Naturalmente sono caduto come un sac co di patate, pro- prio sopra al tipo che voleva la mia ascia. UPer un momento non ho visto niente, perché sono ca duto in un ce- spuglio. Quando mi sono tirato su non c'era più una camicia rossa in giro. Per loro eravamo degli ossi troppo duri, e se l'erano svignata ap- pena avevano visto le picche. Mi sono accorto di av ere ancora l'ascia in mano. Il danburiano era sotto di me, e la punta in fondo al manico gli si era conficcata in testa, sotto il mento. Era più cadavere dei trattati dell'anno scorso. Loro hanno lasciato una dozzina d i morti in quella boscaglia, noi abbiamo perso un uomo, colpito sotto l'ascella, e um paio di cavalli, uccisi dai dardi delle balestre. A bbiamo preso i loro ca- valli e alcune balestre. Sono rimontato in sella a Paul Jones e mi sono - Unito alla caccia. Naturalmente non siamo riuscit i a prenderli Li ab- biamo inseguiti fino al castello di Danbury, ma qua ndo ci siamo arri- vati loro erano già dentro a farci marameo e a tira re contro di noi con ~,- le baliste. " Siamo restati lì fuori per un paio di settimane, ma loro avevano ab- bastanza ~rovviste in scatola per resistere anni, e a minacciare un mu- ro di cemento alto venti metri non si ottiene granc hé. Così, alla fine il capo e Danbury si sono accordati per far giudicare la loro contesa suj pedaggi da una corte di saltatori e noi siamo torna ti a Ossining per la paga.J Mentre raccontava, Sir Howard si era tolto l'armatu ra e si era messO degli abiti normali. Era piacevole distendersi nell a libertà del tweed e del lino, con un calice in mano a guardare il sole che calava dietro Storrn King.--Certo, sarebbe stata tutta un'altra c osa--e abbassò la voce--se avessimo avuto le arrni da fuoco. Peekskill trasalì.--Non dire queste cose, ragazzo m io. Non pensarle neanche. Se loro venissero a saperlo...--Rabbrividì e inghiottì una bella sorsata di whisky e soda. Entrò un lacchè e annunciò:--Il signore di Matthews , con un mes- saggio di Sir Humphrey Goldberg. Peekskill ne fu contrariato.--Che significa? Non po teva scrivermi una lettera? Vieni, Howard, vediamo che cosa vuole. Trovarono il possidente nell'atrio, e aveva un'espr essione di cortese ferme~za. Si inchinò goffamente, e disse con distin zione eccessiva: --Lord Peekskill, Sir Humphrey Goldberg vi manda i suoi ossequi e desidera sapere che cosa diavolo intendesse dire vo stra signoria ieri se- ra chiamandolo babbuino doppiogiochista nella locan da dell'Orso Rosso! --Santo Cielo--sospirò il barone.--Dite a Sir Humph rey che, pri- mo, nego di aver detto queste cose; secondo, che, s e l'ho fatto, ero ubriaco; e, terzo, che anche se non ero ubriaco ora mi dispiace e lo invi- to a cena qui stasera. Il possidente si inchinò di nuovo e se ne andò, fac endo risuonare sul pavimento gli stivali da equitazione.--Hump è mio a mico--disse Peekskill--solo che abbiamo avuto una piccola discu ssione sul mio impianto elettrico. Dice che disturba la sua radio. Ma penso che potre- mo sistemare la cosa. E poi, lui è migliore di me c ome spadaccino. An- diamo a finire il whisky in biblioteca.

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Si erano appena seduti quando fu fatto entrare un r agazzo con l'uni- forme della Western Union. Guardò alternativamente l'uno e l'altro; poi si avvicinò a Sir Howard.--Van Slyck?--chiese, spostando la gomma da masticare nella guancia.--O.K. E da un po' che vi CercO Firmare qui, grazie. --L'educazione!--ruggì il barone. Il ragazzo ebbe u n moto di stu- pore, e poi di irritazione. Si inchinò profondament e, dicendo --sir Howard Van Slyck, la vostra magnifica eccellenza pu ò degnarsi di fir- mare questo... questo umile documento? Ormai erano entrambi irritati, ma Sir Howard firmò senza dire al- tro. Quando il ragazzo se ne fu andato, disse:--Cer ti borghesi orma sono diventati troppo spavaldi. ~ Già--replicò il suo ospite.--Avrebbero bisogno di una bella le- zione ogni tanto, per ricordarsi di stare al loro p osto. Ma... che c'è, Ho- ~F ~Nard? E successo qualcosa? Tuo padre? ~ No mio fratello Frank. I saltatori ieri sera lo h anno arrestato. E | Stato prócessato stamattina, condannato, e mandat o al rogo oggi po- "L'hanno accusato di aver compiuto ricerche scienti fiche." --Cerca di fartene una ragione, Howard. --Sto bene, John. --Però faresti meglio a smettere di bere quella rob a. --Va tutto bene, ti dico. Non sono sbronzo. Non mi posso sbronzare, ci ho già provato. Non mi gira neanche la testa. --Ascolta, Howard, rifletti. Dio sa che sarei felic issimo di averti qui finché ti va di restare, ma non ti sembra che dovre sti andare a trovare tuo padre? --Mio padre? Buon Dio, mi ero dimenticato di lui! S ono dawero un verme, John. Un verme schifoso. Il verme più schifo so che... --Su, non è vero, ragazzo mio. Adesso bevi questo; ti schiarirà le J idee E rimettiti l'arrnatura. Lloyd! Ehi, Lloyd! Porta qui l'armatura di Sir Howard. No, idiota, non importa se non hai anco ra finito di luci- darla! Portala qui! Sir Howard parlava con una certa esitazione; non sa peva come suo pa- dre avrebbe accolto la sua proposta. Non sapeva nep pure se fosse la co- sa giusta da fare. Ma la reazione del vecchio lo st upì.--Sì--disse stanCamente--Mi sembra una buona idea. Vai pure via per qualche mese. Quando non ci sarò più sarai duca, e non avra i molte possibilità di fare il galante, quindi dovresti sfruttare al me glio quello che hai. E poi non hai mai visitato il paese, tranne da qui a New York. Viaggiare allarga gli orizzonti, dicono. Non preoccuparti per me; ho da fare per due. "Ti chiedo una cosa sola, e cioè di non farti più c oinvolgere in queste F guerre locali. E di te che mi sono sempre preoccu pato, non di Frank, e non ne ho più voglia. Non mi interessa se la paga è buona. So che sei un briccone e un mercenario, e non mi dispiace; almeno non mi devo

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preoccupare che tu mandi in rovina il ducato. Ma se vuoi davvero gua- gnare dei soldi, potrai provare a dirigere la socie tà Scarpe Pough- keepsie, quando tornerai. Fu così che Sir Howard si ritrovò ad andare verso i l nord, un po~stupito di pensare a cose gravi. Per fortuna i saltatori no n avevano fatto troppe domande sul permesso di viaggio. Ma sapeva che lo a vrebbero tenuto d'occhio. Anche se non aveva fatto niente, era nell 'elenco dei sospetti a causa di suo fratello. Avrebbe dovuto stare attento . Viaggiare a cavallo lascia molto tempo per pensare. Sapeva di essere considerato solo un giovanotto prestante, energico e con la testa piut- tosto vuota, amante dell'azione. Era ora di metterc i qualcosa, dentro quella testa, se non altro nella prospettiva di ere ditare il ducato. Sentiva che nella sua visione del mondo qualcosa no n andava. Il ro- go era la pena giusta per i colpevoli di ricerche s cientifiche. Ma sentiva che la morte di Frank non era giusta. Tutto quello che i saltatori dice- vano era giusto, perché Dio li aveva messi al di so pra dell'uomo. Era giusto che lui, Howard Van Slyck, avesse l'obbligo di salutare i saltato- ri. Forse che i borghesi non dovevano salutarlo a l oro volta? Così si manteneva l'equità. Lui aveva il dovere di obbedire ai saltatori i bor- ghesi avevano il dovere di obbedire a lui. A scuola ti spiegavanó tutto. Analogamente, i saltatori erano obbligati da Dio a comandare su di lui e lui sui borghesi. Di nuovo, perfettamente equo. Solo che qualcosa non andava. Non riusciva a trovar e un difetto nel ragionamento che gli era stato insegnato; combaciav a tutto perfetta- mente come una lastra di acciaio Chrysler super-pes ante al silicio- manganese. Ma un difetto doveva pur esserci. Se ave sse viaggiato, te- nendo gli occhi bene aperti e facendo domande, fors e lo avrebbe trova- to_ Forse qualcuno aveva un libro che avrebbe fatto luce sul problema. I soli libri che gli erano capitati in mano erano d i favole che parlavano delle gesta eroiche dei cavalieri senza paura, oppu re testi semplici che spiegavano come gestire una cassa di risparmio o co me montare una scrematrice. Avrebbe addirittura potuto unirsi ai borghesi e sco prire il loro punto di vista sul mondo. Considerando il suo retroterra, Sir Howard non era particolarmente classista; niente da dire sui borgh esi, certi erano ad- dirittura simpatici, purché non si prendessero trop pe confidenze e non pensassero di essere al tuo stesso livello. Per uno della sua classe socia- le, queste considerazioni erano decisamente fuori d alla norma. Si contorse dentro il carapace da aragosta, desider ando di potersi grattare attraverso il metallo. Maledizione, doveva aver preso qualche insetto al castello di Poughkeepsie, dove non c'era no parassiti, anche se vi erano allevati normalmente. Colpa dei saltato ri. Cominciò a piovere, una pioggia scrosciante di prim avera Caratteri- stica dello stato di York, che poteva durare un'ora come una settima- na. Sir Howard tirò fuori il poncho e infilò la tes ta nell'apertura. Non si preoccupava per l'armatura, che era stata ripass ata per bene con la vaselina. Ma la pioggia, che cadeva proprio fitta, era una seccatura. Se alzava la visiera gli sferzava il viso, se l'abbass ava doveva tergere in Continuazione il perspex per vedere la strada. Sott o il poncho, l'acqua filtrava nelle giunture e rendeva le gambe tutte fr edde e appiccicatic ce. Non piaceva neanche a Paul Jones, che arrancava ciondolando la testa, e ogni tanto trottava riluttante. L'umore di Sir Howard non era dei migliori, quando, dopo un'ora, la

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pioggia cedette il posto a una pioggerella brumosa attraverso cui la ri- va dell'Hudson si distingueva a fatica. Stava avvic inandosi al ponte Rip van Winkle, quando un uomo a cavallo di fronte a lui gridò: Ehi ! Sir Howard pensò che volesse passare. Ma lo strano cavaliere restc fermo, urlando:--Credevi che tagliavo la corda, eh? E invece sono sta- to ad aspettarti, e adesso me la paghi! Si capiva dall'abbigliamento che era straniero. Ave va le gambe av- volte in una specie di pantaloni di cuoio, con larg he falde ai lati.--Co- sa diavolo volete dire?--replicò il cavaliere. --Lo sai benissimo, vigliacco figlio di un cane. Co mbatti da uomo, c devo tirarti giù le braghette e sculacciarti? Sir Howard aveva troppo freddo, era troppo fradicio e tormentatc dagli insetti per continuare quella discussione ass urda, soprattuttc perché scorgeva oltre il fiume la città di Catskill , dove avrebbe trovato whisky e fuochi accesi.--Bene, straniero, te la sei voluta. In guardia, plebeo!--Dalla scarpa estrasse la lancia e la mise in posizione oriz- zontale. Gli zoccoli del castrone rimbombarono sull 'asfalto. Lo straniero aveva buttato in una pozzanghera la gi acca di pelle di pecora, scoprendo una camicia di maglia; vi aveva b uttato sopra il cappello a larghe tese, rivelando una calotta d'acc iaio. Sir Howard ab- bassò la visiera, chiedendosi che tipo di attacco a vrebbe usato; nor aveva sguainato la sciabola che pendeva dalla sella . Con quel cavallo leggero avrebbe cercato probabilmente di schivare a ll'ultimo momen- to la punta della lancia... Il cavallo lo schivò agilmente; il cavaliere tirò l a lancia; la mossa er: stata una finta, e lo straniero si era messo al sic uro alla sinistra di Sir Howard Il cavaliere vide di sfuggita una corda che roteava sulla testa di quell'uomo poi qualcosa gli strinse il collo. Il mondo cominciò a turbinare, e l'ásfalto si sollevò, colpendolo con u n fragore terrificante. Per alzarsi in piedi dentro un'armatura bisogna ess ere a pancia in giù e far leva sulle ginocchia. Rotolò su se stesso e cercò di sollevarsi... ma fu tirato giù con uno strattone. Lo straniero av eva legato la cordc intomO a una sporgenza della sella. Il cavallo la t eneva tesa; ogni volta che il cavaliere si metteva in ginocchio faceva uno o due passi e lo ri buttava per terra. Quando era a terra non vedeva ch e cosa stava succe- dendo. Qualcosa gli immobilizzò il braccio destro p rima che riuscisse a ~f~u~erare l'arma. Rott~lando vide che lo stranie ro aveva oettato un al- tro cappio intomo al suo braccio. E con quest'altra corda arriVar dei nodi serpeggianti che gli legarono l'altro brac cio, le gambe, il collo finché non fu imbrigliato come un cerbiatto. --Adesso--disse lo straniero, awicinandosi con un c oltello da cac. cia in mano--vediamo come si sta dentro 'sti tubi d i stufa.----Alzò la visiera e restò senza fiato.--Come! Tu non sei lui! --Lui chi?--sibilò Sir Howard. --Quello che mi ha infilato nella mangiatoia dei ca valli. Uno gros- so, Baker, si chiama, a Catskill. Avete la stessa a rmatura, e anche la stessa bestia. Pensavo proprio che eri lui; con que sta luce e l'elmo non ti ho mica visto bene in faccia. E stato tutto uno sbaglio. Diavolo, rni dispiace davvero, mister. Non ti arrabbi se ti tiro su, eh?

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Sir Howard gli concesse di non arrabbiarsi . Il fat to era che alla colle- ra per la caduta ignominiosa provocata dai modi sle ali di quello stra- niero bizzarro si mescolava un'ammirazione riluttan te per la sua abi- lità, e una grande curiosità per i metodi che aveva usato. Lo straniero era alto e magro, con i capelli color paglia e aveva qual- che anno più di Sir Howard. Slegando le corde spieg ava:--Mi chiamo Haas, Lyman Haas. Vengo dal Wyoming, sai, dal Far W est. Qui c'è un sacco di gente che non sa cos'è il Wyoming. Ieri se ra a Catskill mi stavo facendo un bicchiere al Bar Grill di Luka, bello tr anquillo, quando sal- ta su 'sto Baker e comincia a litigare. Io sono un uomo pacifico, ma a me certe cose non mi piacciono. Insomma, si viene a lle mani e questo Baker e due suoi amici mi prendono e mi infilano ne lla mangiatoia dei cavalli, come ti dicevo. Ah, ecco perché ti ho scam biato per lui: il tuo ma}chio era nascosto sotto il poncho. Il suo è una testa di volpe. Così I imparo a non uccidere più nessuno prima di sapere c hi è. Spero di non ' aver ammaccato la tua bella armatura sul selciato. --Fa lo stesso. Un'ammaccatura in più o in meno non cambia gran- ché per questa vecchia armatura. In parte è anche c olpa mia. Avrei d~ vuto pensarci, al poncho. Haas fissava il marchio dei Van Slyck muovendo le l abbra.--Fa... glie...la... vedere--sillabò.--Cosa vuol dire? --E un'espressione che si usava tanto tempo fa, e s ignifica '~dagliele più che puoin, o qualcosa del genere. Sentite, Haas , vorrei andare da qualche parte ad asciugarmi. Non mi dispiacerebbe b ere qualcosa. Co- noscete qualche buon locale a Catskill? --Come no, conosco un bel posto. E un bicchiere non ci farà male- --Bene, devo comprare anche un antiparassitario. E poi, quand° avremo fatto tutto, forse potremo risolvere il vost ro problema con il si- gnor Baker. Il mattino seguente gli onesti abitanti di Catskill videro con stupore il signor Baker in persona, nudo e dipinto in modo osceno, appeso ma- ni e piedi a un lampione dell'incrocio principale. Essendo stato aPPeSO piuttosto in alto e imbavagliato efficacemente, non se ne accorsero fin- ché non fu giorno. Baker non superò mai quell'event o spiacevole; dopo qualche mese lasciò Catskill e si imbarcò per l'Ame rica Centrale su una goletta di commercianti di banane e lattice. _ Di' un po', How, vorrei sentire un po' di musica. Sir Howard non si era ancora abituato al fatto che Haas lo chiamas- se "How". Gli era simpatico, ma non riusciva a inqu adrarlo. Per certi versi si comportava da borghese. Se lo era, il cava liere pensò che la sua ~amiliarità avrebbe dovuto infastidirlo. Ma sotto a ltri aspetti... per esempio il suo autocontrollo. Oh, be', senz'altro l o schema delle classi sociali nel West era diverso. Accese la radio. --E un aggeggio simpatico, quello--continuò Haas. --Già. E carino quando si fa un viaggio lungo. Nell o stivale della lancia c'è il contatto per l'antenna, così lo stuzz icadenti fa da antenna. Invece, quando non ho la lancia, posso fissare il c ontatto all'armatura, che funziona quasi altrettanto bene. --C'hai una batteria nella sella?

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--Sì, una batteria piccola. Loro hanno una batteria vera, a carbu- rante, ma non ce la lasciano usare. Arrivarono in cima a un'altura; apparve il grattaci elo dell'Ufficio di stato di Albany. Era di gran lunga l'edificio più a lto della città, che an- cora non si vedeva. Si diceva che fosse stato costr uito molto tempo pri- ma, quando lo stato di York era un'unica entità pol itica, e non solo una vaga espressione geografica. Ora, naturalmente, era il quartier genera- le dei saltatori per tutto il nord della regione. S ir Howard pensò che quella torre scura e quadrata avesse un che di sini stro. Ma non era di- ventato cavaliere per dar voce a quelle caute strav aganze. Chiese ad Haas:--Come mai sei venuto fin qui? --Oh, volevo vedere New York. Tu ci sei stato a New York, no? --Sì, spesso. Però non sono mai andato molto a nord dello stato. --Quella era la cosa principale. Certo, c'era quel tipo... --Sì? Continua; di me puoi fidarti. --Be'... Non penso di avere problemi, visto che sia mo un bel po' lon- tani dal Wyoming. Lui e io stavamo a discutere in u n bar. Ora, io sono un uomO pacifico, ma a me certi discorsi non mi pia cciono, e quel tipo non li Stava mica facendo col sorriso sulle labbra. Così siamo andati jfiuori a finire la discussione con le sciabole. So lo che lui aveva degli iCi. Così imparo: prima di battermi con uno devo es sere sicuro che non abbia degli amici. Comunque, volevo vedere New York, e così ec- comi qui. Quando resto senza soldi, ne metto insiem e un po facendo giochetti con le corde nei locali. La settimana sco rsa a New York ho messo insieme seicento sacchi. Adesso li ho proprio finiti, ma ne faccio ancora. Da queste parti non ci sta nessuno che sa u sare una corda. --Perché?--chiese Sir Howard.--Che cosa è successo? Sei stato derubato? --Naa. Li ho spesi.--Lo disse con una tale noncuran za da far rab- brividire Sir Howard L'uomo del West lo guardò socc hiudendo gli oc- chi, con un abbozzo di sorriso.--Sai--continuò--io mi credevo che i signori e i cavalieri non ci badavano proprio ai soldi, che li buttavano come niente. E invece sei il tipo più attento ai so ldi che ho mai visto. Mi sta proprio bene. --Ti è piaciuta New York?--chiese il cavaliere. --Sì, proprio. C'è tante cose da vedere. Sono diven tato amico di un tizio che lavorava in una fabbrica di mobili e mi h a portato in giro. Mi piaceva stare a vedere le sedie e tutto il resto ch e venivano fuori dalla catena di montaggio; fanno zzz... Però il mio amico non ha potuto far- mi entrare nell'impianto elettrico. C'era un saltat ore di guardia Non fanno entrare nessuno, solo qualche vecchio dipende nte, e ho sentito che li esaminano con la loro droga tutte le settima ne per essere sicuri che non dicono a nessuno come funziona il macchinar io elettrico. "Ma dopo qualche settimana mi sono stancato. Troppi saltatori. Mi danno sui nervi, sempre a guardarti con quegli occh ietti neri come se ti leggessero nel pensiero. Certi dicono anche che lo fanno. Credo che do- po quello che mi hai detto di tuo fratello posso di rti cosa ne penso. Non mi piacciono." --Non ci sono i saltatori anche nel West?

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--Come no, ce n'è qualcuno, ma non ci danno mica fa stidio. Certo, bisogna obbedirgli, ma finché ci facciamo i fatti n ostri e paghiamo il tributo ci lasciano in pace. A loro non gli piace i l clima. E troppo secco. --Neppure da noi interferiscono molto nelle faccend e locali--disse il cavaliere--solo che le grandi città come New Yor k sono sotto la loro diretta amministrazione. Ecco perché laggiù ce n'è tanti. Certo, se... Ma te ne ho già parlato. --Già. E poi i prezzi delle bistecche da queste par ti sono un furto. Nel Wyoming, dove tiriamo su le bestie, mangiamo so lo quelle. E il tri- buto che incide, e costano tanto per le tariffe e i l pedaggi doganali. --Anche da voi ci sono le guerre? --Come no, ogni tanto noi e i Navvos ce le diamo. --I Navvos? --E gente che vive più a sud. Quasi tutti allevator i. Non sono Come noi. C'hanno la pelle scura, rossiccia, come Queeni e, e la faccia schiac- ciata. C'hanno anche i capelli neri come i tuoi. ~ Mi sembra di aver già sentito parlare di loro--di sse il cavaliere. [~ ~ L'anno scorso al castello è venuto un uomo che era stato all'Ovest. ~a queStO popolo con la pelle rossa li chiamava Nzi ani. --Davvero? Io credevo che la nzina era quella cosa che fa andare le macchine dei saltatori. Mi sta bene. Comunque, ogni tanto ci battiamo con i Navvos per questioni di pascolo e roba del ge nere. Più che altro tra arcieri a cavallo. Anch'io me la cavo mica male . Guarda.--Slaccib il lembo di una custodia di forma allungata appesa alla sella, che si ri- velb essere una faretra. Tirb fuori le due parti di un arco di acciaio. _ Piacerebbe anche a me di averci una sella con gli aggeggi come la tua per ficcarci la roba, invece di appendere tutto addosso a me e al ca- vallo come un albero di Natale. ~a per quello viagg io proprio leggero. Bisogna, se si ha solo un cavallino come Queenie. L 'arcione così alto ti serve soprattutto a non essere buttato giù da qualc he stuzzicadenti, vero?--Haas aveva unito le due parti dell'arco, che aveva un conge- gno per la mira proprio sopra l'impugnatura. --Vedi quel nodo in quel pino? Adesso sta' attento, yahuu!--La ca- valla balzb in avanti. Haas estrasse una freccia da lla faretra; I'arco vi- L brò. L'uomo fece tornare indietro la cavalla, la fece andare verso l'albe- ` ro e strappb la freccia dal nodo.--Forse non dove vo farlo--disse. --Ormai siamo propFio vicini ad Albany e forse c'è un regolamento per il tiro con l'arco in città. Che c'è da vedere ad Albany?--Tra le vec- chie case di legno a due piani era apparsa una dell e abitazioni esago- nali di vetro dei saltatori. --Non molto--rispose il cavaliere.--Per prima cosa devo andare all'Ufficio di Stato a far timbrare il permesso di viaggio. E tu? --Oh, io no. L'ho fatto timbrare a New York e adess o non devo più far rapporto finché non arrivo a Chicago. Perb ti a ccompagno. Finora mi sembra che nessuno dei due deve andare da qualch e parte. Prima di poter entrare aspettarono per un quarto d' ora sul marcia- piede di fronte al grattacielo, perché, naturalment e, non potevano pre-

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cedere qualche saltatore nell'ingresso. A Sir Howar d ormai il braccio rivestito di metallo faceva male a forza di salutar e. Gli passarono da- vanti due di quegli esseri, chiacchierando nella lo ro lingua incompren- sibile che sembrava un cinguettio. Avevano lo stess o odore del formag- S, gio molto maturo. Trasalì nel sentire uno dei du e parlare improvvisa- ~ - mente inglese.--Uomo!--squittì.--Perché non hai salutato? I - Sir Howard si guardb intorno, e vide che si era rivolto ad Haas, ri- masto inebetito con la sigaretta in bocca e l'accen dino in mano. Si ri- CompOSe, mise via sigaretta e accendino e si tolse il cappello.--Mi di- SpiaCe un sacco, vostra eccellenza, ma ho paura di non avervi mica vi- i sto. --Bada a come parli, Uomo--cinguettb il saltatore.- -Dispiacersi I non è una giustificazione. Sai che c'è una multa di cinque dollari per ·~ chi n~n C~l~lt~ I --Sì, vostra eccellenza. Grazie, vostra eccellenza, di avermelo riCor dato. --Comunque, dentro è vietato fumare--pigolò la crea tura .--Però siccome hai assunto un atteggiamento più rispettoso non darò seguitO alla cosa. E tutto, Uomo. --Grazie, vostra eccellenza.--Haas si rimise il cap pello e seguì Sir Howard dentro l'edificio. Il cavaliere lo udì borbo ttare:--Io sono un uomo pacifico, ma... Sir Howard trovò allo sportello dei permessi di via ggio un uomo con i baffi bianchi spioventi, che timbrò il suo docume nto e accolse la visi- ta senza commenti. L'uomo aveva la solita aria nerv osa e avvilita di tutti quelli che lavoravano in mezzo ai saltatori Mentre tornavano dove avevano legato i cavalli, Haa s disse sottovo- ce:--Di' un po', How, secondo te il saltatore che m i ha fatto quella parte voleva farsi bello con la sua ragazza? --Non hanno la ragazza, Lyman. Non hanno sesso. Meg lio, sono maschio e femmina contemporaneamente. Per fecondare le uova devo- no essere in due, ma le depongono entrambi. Sono de tti ermafroditi Haas lo fissò sbalordito.--Vuoi dire che...--Fece d ietro-front scoppiando a ridere sgangheratamente e dandosi dell e pacche sui pan- taloni di pelle.--Ragazzi, certo che mi piacerebbe averne un paio in gabbia! --How, mangiamo qui. Dalla finestra si vede la ferr ovia. Mi piace ve- q_ dere pa ssare gli elefanti. --Va bene, Lyman. Tanto, non è peggio di u n posto qualunque di Amsterdam. Al banco, gli avventori si fecero rispettosamen te da parte vedendo I'armatura.--Due Manhatta n--chiese Sir Howard. --Cannucce, signore ?--chiese il barista. 3 --No--brontolò il cavaliere, litigando c on l'elmo.--Sempre che riesca a togliere di mezzo questo affare. Ah!--Fina lmente la baviera si aprì.--Prima o poi dovrò prendere questo maledet to cappello e pulir- lo per bene. La cerniera è più sporca di un trogo lo di seconda mano. --Sai, How--disse Haas.--E uno dei moti vi per cui non mi sono

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mai piaciuti molto quei cappelli di ferro. Cioè, da mettere in testa... co- me vasi da fiori non ho niente in contrario. Ho sem pre pensato, metti per esempio che uno mi voglia offrire da bere, così , e io che devo tirare via visiere, sportelli, eccetera. Ora che sono pron to, quello può aver mbiato idea.--Bevve un sorso e fece un sospiro di c ontentezza. Voi yankee li sapete fare, i cocktails. Da noi i co cktails fanno così schifo che il veleno ce lo beviamo puro. ~ E un gran bel fiume, questo Mohawk--continuò.--Vo rrei poter dire lo stesso di certe città. Vengo da New York e ho attraversato il 1~ Connecticut; Ci sono delle città mica male in Co nnecticut. Ma il fiume è bello. Mi piace guardare le chiatte. Quelli che l e fanno andare li san- no guidare i cava ~ Qualcunó in fondo al banco esclamò:--E io protesto che è un'inde- i~ cenza!--Parecchi si voltarono verso di lui. Qual cuno cercò di zittirlo, ma lui continuò:--Sappiamo tutti che lo fa da anni, ma non ce lo deve sbattere in faccia in quel modo. Poteva almeno farl a passare da una strada secondaria, invece di trascinarla proprio pe r la via principale. --Chi l'ha trascinata in che via?--chiese Sir Howar d a uno accanto a lui. --Kelly è andato di nuovo a ragazze--rispose l'uomo .--Solo che questa volta la sua banda ne ha rapita una proprio qui in città. Poi I'hanno legata su un cavallo e Kelly ha guidato la processione fino in ~_ centro. Io ho visto tutto; lei si teneva diritta a cavallo come un soldato. Naturalmente non poteva parlare perché era imbavagl iata. Tutti era- no tristi. Penso che se qualcuno avesse avuto un ap riscatole sarebbe saltato addosso a Kelly, anche se lui aveva le sue aragoste. Io lo avrei fatto. --Eh?--fece Haas, inespressivo. --Vuol dire--spiegò il cavaliere--che se avesse avu to un'alabarda L o un'ascia da combattimento avrebbe affrontato Ke lly, nonostante lui ~osse protetto da una banda di uomini completamente armati. Un uo- mo armato a metà si chiama granchio. --Voi dell'Est parlate proprio strano--disse Haas.- -Chi è 'sto Kelly~ Sembra un duro. L'informatore osservò l'abbigliamento di Haas e il marchio di Sir Howard.--Siete stranieri, vero? Certo, Warren Kelly è un duro. For- nisce "protezione" ai cittadini. Sapete, o paghi, o ... Noi dovremmo far parte del feudo del barone Schenectady, ma lui sta sempre a New York e nessuno fa niente. Kelly ha un grande castello vi cino a Broadalbin, dove porteranno quella povera ragazza. Non ha titol i nobiliari, per | ~ quantO, di questo passo, non ci vorrà molto... Senza offesa per la nobil- ~_ tà--si affrettò ad aggiungere.--Signori, avete m ai pensato all'im- portanza di essere assicurati? Il mio biglietto da visita, se permettete. La mia società fa delle condizioni particolari per gli uomini d'arme... Sir Howard e Haas si guardarono, abbozzando lentame nte un sorri-

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so.--Proprio come nei libri--disse il cavaliere.--L yman, secondo me dovremmo cercare informazioni su questo castello e il suo proprie- tario superduro. Sei con me? 4~ J 439 --Come no, anzi, ti precedo. Ci sarà una ferramenta aperta dopo ce. na, vero? Voglio comprare della vernice. Ho un'idea . --Ci serviranno un sacco di idee, amico. Un castell o non si distrugge in un sofflo, sai. Ci vuole una strategia. Il rumore degli zoccoli del cavallo cessò sull'orlo del fossato, il cavalie_ re fischiò. Lo trafisse un raggio di luce provenien te dalle mura, accom- pagnato da un "altolà". La luce investì Sir Howard Van Slyck e la sua cavalcatura, ma c'era una differenza. I piedi di Pa ul Jones erano diven- tati bianchi, e sulla sua fronte nera era comparsa una gran stella bian- ca. Sul piastrone del cavaliere la foglia d'acero d ei Van Slyck era na- scosta da un cerchio verde con un triangolo nero al centro. Dalla lancia era sparito lo stendardo biancorosso. --Sono Sir William Scranton di Wilkes-Barre!--gridò il cavaliere. (Sapeva che la Pennsylvania nordorientale era piena di Scranton, e tra loro doveva esserci pure qualche William.)--Passavo da queste parti ho senhto parlare di Warren Kelly e gradirei fare l a sua conoscenza! --Aspettate qui--disse la sentinella. Sir Howard re stò ad aspetta- re, ascoltando il gracidare delle rane nel fossato e sperando che il suo falso nome reggesse all'ispezione. Era eccitato. Si era fatto qualche scrupolo di violare la promessa fatta a suo padre, ma aveva deciso che dopotutto, salvare una fanciulla in pericolo non si poteva obiettiva- mente definire "farsi coinvolgere in una guerra loc ale". I cardini del ponte levatoio cigolarono mentre si s rotolavano i cavi che lo reggevano. Il cavallo trotterellò nel cortil e. Un uomo dai linea- menti insignificanti disse:--Sono Warren Kelly. Pia cere.--L'uomo non era molto alto, ma era veloce nei movimenti. Av eva il naso lungo e occhi sporgenti, leggermente iniettati di sangue. A vrebbe avuto biso- gno di tagharsi i capelli. Sir Howard lo vide ammic care impercettibil- mente mentre gli stringeva la mano. Pensò: UMa come potrei schiac- ciare questo... Aspetta; se lo temono, dev'esserci un motivo. E assoluta- mente un farabutto, ma è furbo". Erano nel salone; Sir Howard aveva accettato di ber e qualcosa. --Come vanno le cose dalle vostre parti?--domandò K elly in tono in- differente. L'espressione non era né amichevole, né altro. Sir Howard apri al massimo la valvola del suo fascino ben noto , una dote non indif- ferente. Non voleva una pallottola tra le scapole p rima ancora di co- minciare. Riferì frammenti di pettegolezzi sentiti in giro per la Penn- sylvania, lodò il brandy del suo ospite, raccontò s torie incredibili delle vicende in cui dicevano fosse stato coinvolto Kelly . A poco a poco I'uo- mo si lasciò andare, e cominciarono a scambiarsi ra cconti. Sir Howard np,escò nella memoria i più sporchi, ma Kelly ogni volta ne aveva uno migliore. Qualcuno era un po' forte per il gusto ca ttolico del cavaliere~ i~ ma lui muggiva lo stesso in segno di apprezzamen to.--Adesso--dis- se Kelly con un sorrisetto gelido--voglio raccontar ti quello che ab- I! biam° fatto al tipo del banco dei pegni; è la st oria più divertente che tu abbia mai sentito. Sai l'acido nitrico? Be', abbiam o preso un tubo di

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VetrO, con dentro un po' di lana di vetro come stop pino... Qualcuno degli uomini di Kelly ammazzava il tempo a scoltando la radio e giocando a dadi- In un angolo stavano gioca ndo a bridge. Or- mai dovremmo esserci, pensò Sir Howard. Non devo gu ardare in alto come se stessi aspettando qualcosa. Se questo non f unziona... Non si faceva illusioni sulla possibilità di prendere la r agazza e farsi largo tra un mucchio di guerrieri esperti. Si sentì in alto un debole tintinnio di vetri. Kell y alzò lo sguardo, ag- grottò la fronte e continuò il suo racconto. Poi si udì di nuovo tintinna- re. Qualcosa precipitò, atterrando sul tappeto. C'e ra una freccia in ac- , ciaio con le penne di duralluminio. La punta era conficcata in un sac- chetto contenente una sostanza che bruciava con una fiamma azzurra, emanando una puzza incredibile, soffocante. --Che diavolo!...--esclamò Kelly, scattando in pied i.--Chi è lo spiritoso?--Prese in mano la freccia, storcendo il naso e tossendo. Si avvicinò al muro e sbraitò in un tubo di comunicazi one:--Ehi, voi, lassù! Qualcuno sta tirando qui dentro delle bombe allo zolfo. Prende- telo, imbecilli!--Una voce sorda disse qualcosa com e un:--Non si riesce a vederlo!--Un uomo scendeva di corsa le sca le con un'altra freccia in mano.--Senti, capo, un bastardo l'ha tir ata nella mia stan- za, attaccata a un sacchetto di zolfo... Ora erano tutti in piedi e bestemmiavano sfregandos i gli occhi. --Maledetti imbecilli...--Però servirà a disinfesta re. Gli scarafaggi stanno diventando...--Sta' zitto, scemo, lo zolfo n on puzza mica più di te!--Sir Howard, tossendo, si premette il fazzol etto sugli occhi che lacrimavano. Kelly soffiò tre volte nel fischietto più acuto che si fosse 3 mai sentito. Gli uomini entrarono in azione come una squadra di vigili del fuoco ben addestrati. Spalancarono delle porte nel muro; dietro a ognuna c'era un'armatura. Gli uomini le indossarono con un a rapidità che a Sir Howard parve incredibile.--Vieni anche tu, Wilk es-Barre?--dis- se Kelly.--Se lo becchiamo, ti faccio divertire. Vo glio provare un'idea che mi è venuta, scaglie di pigna roventi. Ehi, rag azzi! Venga con me solo il primo squadrone, gli altri restino qui. Sta te attenti: potrebbe es- sere un trucco.--A quel punto andarono nel cortile, metà di corsa, L metà a passo normale, dove i cavalli li stavano g ià aspettando. Monta- ronO in sella con un gran fragore metallico e rimbo mbarono attraver- ~_ sando il ponte levatoio. --Disperdetevi--ordinò Kelly.--Butler, tu prendi il ... --Yahuu!--si sentì gridare nel buio.--Farabutti nor disti! Ehi, Kelly, come si chiama tuo padre? Scommetto che non lo sai neanche tu!--Allora tutti si allontanarono sulla strada di Broadalbin, inse guendo un'ombra minuscola che sembrava galleggiare invece che ga loppare davanti a loro. Sir Howard trattenne leggermente Paul Jones, facend osi sorpassare dagli altri, imprecando nel frattempo ad alta voce per la lentezza del suo cavallo, e confondendolo. Quando gli altri arri varono alla curva era ormai in coda. Tirò con forza le redini e fece girare il cavallo sulle zampe posteriori... In tre minuti fu di nuovo al castello, imitando all a perfezione un uo

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mo barcollante sulla sella. L'armatura e Paul Jones erano spruzzati di rosso, che gocciolava a terra dalla sua scarpa sini stra.--Un'imbosca ta!--gridò.--Kelly è circondato da questo lato di B roadalbin! Ero ul timo e sono riuscito a fuggire!--Ansimava in modo c onvincente. --Fuori tutti, presto!--ln un attimo il castello vo mitò una massa di banditi. Di nuovo il castrone nero sembrava incapac e di restare al pas so con gli altri... Questa volta, appena raggiunto il castello, Sir How ard legò il caval- lo a un albero al di là del fossato. Dentro il cast ello dovevano essere ri- :~ masti alcuni servi, che sarebbero accorsi a prender e il cavallo e a fare domande se lo avesse portato all'interno. Anche le sentinelle dovevano essere di guardia. Cercando di vedere nel buio, sul le merlature non riu- scì a distinguerne neppure una. Ora o mai più. Graz ie a Dio avevano lasciato il ponte levatoio abbassato ~1 cortile era deserto. Anche l'atrio. Anche la sal a da pranzo. I~iami- ne, pensò, non c'è nessuno? Devo trovame almeno uno ! Si diresse verso la cucina in punta di piedi, precauzione alquanto i nutile, poiché l'ar- matura scricchiolava e strideva al minimo movimento . Dietro la porta un uomo grasso e sudaticcio con un gran cappello - bianco stava asciugando un bicchiere. Vedendo la sp ada restò a bocca aperta e fece per scappare, mentre il bicchiere and ava in mille pezzi. `~ --Non lo farai--ruggì il cavaliere, e in quattro fa lcate raggiunse il cuoco e lo prese per la collottola, puntandogli la spada sopra il rene de- stro.--Prova a squittire e sei morto. Dove sono tut ti? --S-sissignore, lo chef è a letto con il raffreddor e e gli altri sono an- - dati al cinema. --Lei dov'è? --Lei? Non so di chi... iik--La punta era penetrata per tre millime- ;~ tri.--E nella stanza degli ospiti al secondo piano. .. --Bene, fammi strada. Marsh! La stanza degli ospiti aveva una porta di quercia m assiccia, chiusa da una robusta serratura Yale. La serratura aveva u n supporto di bron- zo, ed era evidente che aveva soprattutto lo scopo di tenere qualcun° all'interno della stanza, piuttosto che all'esterno . Dov'è la chiave? Non lo so, signore... cioè, la tiene il signor Kell y... Sir Howard rifletté. Si era congratulato con se ste sso per aver pensa- to a tutto .. e adesso questo! Pensò che se avesse cercato di sfondare la porta ne avrebbe ricavato solo dei lividi, e non sb agliava. Non era ca- e di scassinare una serratura, ammesso che una serr atura a cilin- dro si potesse scassinare. Doveva fare in fretta. . in fretta... Erano gli zOCcoli dei loro cavalli? No, ma avrebbero potuto t ornare in ogni mo- mento. Se fosse successo qualcosa ad Haas, o se il secondo squadrone avesse raggiunto il primo... - Sdràiati a pancia in giù accanto alla porta--ordi no. - Sissignore... Non mi ucciderete, signore? Non ho fatto mica nien- --Per ora no.--Posò la punta della spada sulla schi ena dell'uomo. _ Una mossa, e mi ci appoggio.--Con la mano libera sfoderò il pu- gnale e cominciò a svitare le quattro viti che flss avano la serratura. Sperando che la lama così sottile resistesse... Ci volle un tempo interminabile. Appena l'ultima vi te uscì, la serra- tura cadde sopra il cuoco con un tonfo sordo. Sir H oward aprì la porta.

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--Chi siete?--chiese la ragazza, in piedi dietro un a sedia. Piuttosto alta, pensò. Era una cosa che gli piaceva. Indossav a il solito vestito fat- to a pigiama, e sembrava più sprezzante che spaurit a. I capelli chiari erano piuttosto corti, ed era più abbronzata di qua nto non fosse di mo- da. --Non ha importanza. Sono venuto a liberarvi. Su, p resto! --Ma chi siete? Non mi fido... --Volete uscire o no? --Aliora, basta ciance e venite con me. Kelly può t ornare da un mo- mento all'altro. Non vi mangio mica. Oop, maledizio ne, ci è riusci- tol--Il cuoco si era rimesso in piedi all'improvvis o, e le sue gr~da d'aiuto svanivano in fondo al corridoio.--Insomma, venite, perdiana! Quando furono nel salone, un uomo con mezza armatur a stava scen- dendo dall'altra scala, quella che portava al cammi namento delle sen- tinelle. Scendeva due gradini alla volta, tenendo u n'ascia da combatti- mento a pettarm. --State da parte!--Sir Howard diede una spinta alla ragazza, sbattendo giù la visiera. In cima alle scale apparv e un altro uomo; il primO aveva già attraversato metà della sala. Il pr imo fece un allungo con il suo apriscatole. Sir Howard spostò il peso d el corpo in modo da schivare la punta con la spalla; poi i loro corpi s i urtarono rumorosa- mente. Il cavaliere colpì col pugno destro la masce lla dell'uomo, usan- do il guanto massiccio come tirapugni. L'uomo si ac casciò, e l'altro gli fu Sopra. Era ancora più robusto di Sir Howard, e b randiva la scure co- me una sferza. La lama alla sua estremità sembrava quella di una mannaia; dietro la lama sporgeva un gancio, per dis arcionare i ca~/a lieri, e in cima c'era una punta lunga trenta centi metri. Sir Howard, schivando un colpo sul piede, pensò: "S e nel castello C'è qualcun altro, questa cagnara lo attirerà presto . La lama colpì il suo elmo in modo particolarmente sonoro; vide le stelle e si chiese se gli avessero rotto il collo. Poi il manico cominciò a r oteare per farlo in- ciampare. Barcollò e cadde su un ginocchio; stava a ppena riprenden_ dosi, quando vide che la punta era diretta verso la sua visiera. Si chinò e colpì. Non poteva sperare di trapassare la corazz a di duralluminio ma la lama affondò nei tendini della sinistra nuda dell'uomo. Ecco! Ma l'uomo lasciava cadere la scure e indietreggiava fuori dalla sua portata, schizzando sangue dalla mano ferita. La su a spada apparve con un wh~ip prima ancora che il cavaliere fosse ri uscito ad alzarsi in piedi. Allora ricominciarono. Finta-affondo-parata- risposta-inguar- dia-colpo di taglio-parata-colpo di punta-doppio-af fondo. Ting-clang- swish-bong-zing. Sir Howard, sudando, si rese conto di stare indietreg- giando. Un altro passo indietro, un altro... quell' uomo lo stava chiu- dendo in un angolo. Quell'uomo era uno spadaccino m igliore di lui Maledizione! La punta della sentinella era quasi ri uscita a infilarsi tra la baviera e il piastrone e a raggiungere la gola. Quell'uomo era spa- ventosamente bravo. Non si riusciva a colpirlo. Un altro passo indie- tro... non poteva farne altri, o si sarebbe ritrova to contro il muro. La ragazza aveva preso una seggiola vicino al tavol ino da gioco. In punta di piedi andò a sbatterla dietro le gambe del la sentinella, che strillò, alzò le braccia e cadde in modo ridicolo, con le mani dietro di sé sul pavimento. Sir Howard mirò al viso e premette c on tutto il peso del corpo; sentì la punta della spada che faceva scricc hiolare le ossa del cranio. --L'altro!--gridò la ragazza. L'altra sentinella er a carponi sul pa-

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vimento e cercava a tentoni la sua arma.--Non sareb be stato meglio ucciderlo? --Non c'è tempo. Correte!--Uscirono, clank, clank, clanlc, nel buio --Non... preoccupatevi... di lui--ansimava il caval iere--Quanto... ammiro... Ia... vostra... prontezza.--Maledizione! Stava quasi per ca- dere dal ponte levatoio.--Che... furbo... se... ade sso... annego... nel... f o s s a t o . --Santo cielo, devo aver dormito tutta la mattina! Per favore, che ore sono, signor cav~li.qr~ i' Sir Howard si guardò il polso, e gli venne in me nte che l'orologio era SottO la manopola e il bracciale. Era un bell'orolo gio, e il cavaliere, con il suo senso del risparmio, sarebbe inorridito all' idea di tenerlo scoper- to quando si prospettava un combattimento. Andò a v edere l'orologio incorporato nel pomo della sella.--Le undici e mezz o-- disse. Dormito bene? ~ Come un sasso. Ho l'impressione che il vostro ami co ancora non si sia fatto vivo, no? Sir Howard guardò tra i pini il paesaggio ondulato, sabbioso. Tutto era immobile, tranne qualche uccello ogni tanto.--N o--rispose ma non vuol dire. Dobbiamo aspettare fino al calare del buio. Se per allora non si farà vivo, allora andremo a... andrem o da qualche parte. Anche la ragazza si mise a guardare.--Vedo che per il vostro appun- tamento avete scelto una zona senza neppure una cas a in vista. Non... ehm... ho l'impressione che non ci sia niente da ma ngiare, vero? --No. Ho una fame che potrei mangiare un cavallo, e correre dietro al cavaliere. Possiamo soltanto aspettare. La ragazza guardò per terra.--Non è per guardare in bocca al sal- vator donato, se mi capite... ma... ho come l'impre ssione che non vo- gliate dirmi il vostro vero nome. Sir Howard tornò in sé, sbuffando.--Il mio vero... come diavolo a~ete fatto a saperlo? --Non offendetevi, ma col sole si vede che quel mar chio è stato ridi- pinto. Anche se l'armatura è tutta sporca di sangue . Sir Howard fece un gran sorriso:--Il sangue dei mis credenti è più bello di un tramonto, come dice un libro. Vi faccio una proposta: vi di- co il mio vero nome, se mi dite il vostro! 3 Ora toccava alla ragazza stupirsi, negare e inter rogarlo.--Sempli- ce, mia cara signorina. Dite di chiamarvi Mary Clar k, ma sulla cami- cetta sono ricamate le iniziali SM, e c'è una S sul fazzoletto. Giusto? --Oh, va bene, mi chiamo Sara Waite Mitten. E voi, furbacchione? --Avete mai sentito parlare dei Poughkeepsie Van Sl yck?--Sir Ho- ward le fece un resoconto della sua posizione in ta le nobile famiglia. Nel frattempo, Paul Jones si avvicinò e diede un co lpetto col naso alla ragazza~ che fece per grattarsi la fronte, ma allon tanò la mano.--E tui Come si chiama?--Il cavaliere glielo disse. --Da dove l'avete preso?

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--Oh, non lo so; è il nome dei cavalli di famiglia da molto tempo. Penso che una volta sia esistito un uomo che si chi amava così. Un uo- mo importante, voglio dire. --Sì--disse la ragazza.--Infatti. Era un personaggi o romantico, proprio uno di quelli che sarebbero andati in giro a liberare le fanciul- le prigioniere, ammesso che ce ne fosse qualcuna. A veva anche un cer- ~ to Senso dell'umorismo. Una volta, la nave di cui era il comandante era 444 ~ 44.5 L. inseguita dai nemici; la tenne fuori portata, sicch é i colpi di cann della nave nemica non riuscivano a raggiungerla. Jo nes mise un uon~ a poppa ordinandogli di rispondere a ogni colpo di cannone con uno di moschetto. Il moschetto era un tipo di fucile legge ro che si usava al. Iora. --Sembrerebbe un tipo in gamba. Era anche bello? --Be'--la ragazza inclinò la testa da una parte--di pende dai p ti di vista. Se si considera bella una scimmia, all ora Paul Jones era in- dubbiamente un bell'uomo. A proposito, ho notato ch e il colore del v~ stro Paul Jones sfregandolo viene via.--Mostrò una mano Sporca di i vernice. Al castrone non interessava essere né grat tato né aCCarezzatO- sperava solo che gli dessero qualche zuccherino Sic come non ne vede-~ va, si allontanò. Sally Mitten continuò:--La prima volta che vi ho vi- sto, ho pensato che foste soltanto un giovanotto gr ande, grosso e intra-~ prendente, senza particolari doti, tranne quella di tagliare a pezzi la gente che non vi va a genio. Ma il modo in cui è st ato concepito il pianoi e il fatto che abbiate notato le iniziali sui miei abiti sembrano dim~r strare una vera intelligenza. --Grazie. La mia famiglia non ha mai fatto molto af fidamento sUI mio cervello, ma forse li deluderò. Mi sono appena reso conto che no._ ci sarebbe stato bisogno di dirvi chi ero; avrei po tuto spiegare il mar- chio dicendo che l'armatura era di seconda mano. i. --Ma difficilmente avreste ridipinto il cavallo, an che se fosse stato~ pure lui di seconda mano, vero? --Dico, siete diabolica. Qualunque cosa io dica, ne avete sempr una migliore.--Rifletté un momento e chiese:--Per q uanto temp~ siete rimasta nel castello di Kelly? --Tre giorni. Tre giorni, eh? Potevano essere accadute molte cose in tre giorni. Ma se lei non gliene avesse parlato spontaneamente, ce rto non sarebb stato lui a chiederglielo. In effetti, nessuno dei due tornò più sull'arg~ mento. --E dove--continuò Sir Howard--avete trovato tutte le notizie s~ Paul Jones, sull'epoca in cui gli uomini avevano il fucile, e così via? --Soprattutto nei libri. --Libri, eh? Non sapevo che esistessero dei libri s u queste cose, i meno che i saltatori non li abbiano. Si parla del d iavolo... Piegò indietro la testa per guardare una macchina v olante che sbul

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fava sopra di loro, oscillando fino a diventare un punto nel cielo terSa Accanto a lui si sentiva un respirare affannoso. Si voltò verso la ragaZ za. Parlava piano e molto seriamente.--Sir Howard, mi avete fatto ID grande favore, e mi volete aiutare, vero? Ecco, qua lunque cosa succed non voglio cadere nelle toro mani. Piuttosto prefer isco tornare nel Ca stello di Kelly. ~ Ma che cosa...--si interruppe. Sembrava davvero s paventata. Non aveva avuto affatto paura di Kelly; era solo ra bbiosa, sprezzante, --Non dovete preoccuparvi--la rassicurò.--Loro non piacciono nche a me.--Le raccontò di suo fratello.--E ora--di sse--mi prendo un paio d'ore di sonno. Svegliatemi se si ve de qualcuno. Gli sembrava di avere appena trovato una posizione comoda, quan- do si sentì scuotere la spalla.--Sveglia!--diceva l ei--Sveglia... oh, . diamine... sveglia! --Haas?--borbottò, sbattendo le palpebre. --~Io, uno di loro. Ho continuato a scuotervi... Balzò in piedi così velocemente che quasi la fece c adere. La sonno- ~- lenza scomparve di colpo. i Il sole era basso all'orizzonte. Un veicolo a due ruote si stava av- vicinando al gruppo di pini attraverso la sabbia e l'erba. Sir Howard diede un'occhiata a Paul Jones, che brucava soddisf atto l'erba.--Inu- tile cercare di scappare--disse.--Ci vedrebbe, e qu elle moto sono più veloci di un fulmine in ritardo a un appuntamen to. Tre o quattro volte più veloci di un cavallo, comunque. Dovremo b luffare. Forse non sta cercando noi. Il veicolo si diresse proprio verso i pini, e ralle ntò, fermandosi, re- stando diritto sulle due ruote. Il tettuccio arroto ndato di perspex si aprì, e un saltatore uscì fuori senza fretta. I due esseri umani salutaro- no. Cominciarono a sentire il vago odore di formagg io della cosa. --Tu sei Sir William Scranton--cinguettò. Sir Howard non vide il motivo di negare un'affermaz ione tanto ov- via.--Sì, vostra eccellenza. --leri sera hai ucciso Warren Kelly. I --No, vostra eccellenza.--Gli occhietti neri e lu cidi sotto l'elmetto |- di cuoio sembravano perforarlo. Il muso appuntit o non tradiva nessu- na emozione. Le vibrisse da ratto tremolavano come al solito. --Non contraddire, Uomo. Sappiamo che sei stato tu. | Sir Howard aveva la bocca secca, e si sentiva le ossa di gelatina. |. Lui, che aveva combattuto in sei corpo-a-corpo s enza torcersi un ca- . pello, che aveva strappato un prigioniero di sott o il naso a un bandito, era terroriZzato. Le grinfie del saltatore erano ap poggiate al calcio del- ~la pistola nella fondina. Sir Howard, come la magg ior parte degli esse- _ ~i umani di allora, aveva il terrore delle armi d a fuoco. Non aveva idea

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~i Come funzionassero. Un saltatore ti puntava addo sso un aggeggio ~pparentemente innocuo, poi un lampo e uno scoppio, ed eri morto, ~n un foro netto nella corazza largo un dito. Tutto qui. Nessuna spe- ~anZa di resistere a delle creature che disponevano di un tale potere. E andO non c'è speranza di resistere, il coraggio è t anto raro che chi lo ~;siede può essere accusato di mancare di una rotel la. Provò a cambiare tattica.--Avrei dovuto dire, vostr a eccellenza~ ' che non ricordo di aver ucciso Kelly. Inoltre, I'uc cisione di un uornO : non è contro le leggi supreme.--(Si riferiva alle l eggi dei saltatori.) Il discorso sembrò fermare il saltatore.--No--squit tì.--Ma è ` inopportuno che tu abbia ucciso Kelly.--Si interrup pe, come per escogitare un pretesto per arrestarlo.--Hai mentito , dicendo di non aver ucciso Kelly. E le leggi supreme sono quello c he diciamo noi. _ ~ Una brezza leggera fece mormorare i pini. Sir Howar d, gelando, sentì ~| che tra loro stava passando la morte, e sogghignava . ~ ` Il saltatore continuò:--Qui c'è qualcosa che non va . Dobbiamo in . dagare su di te e sulla tua complice.--Sir Howard v ide con la coda dell'occhio che Sally Mitten aveva serrato forte le labbra. --Mostrami il tuo permesso di viaggio, Uomo. ~, A Sir Howard sembrava che a ogni battito del cuore dovesse spezzar- - glisi una costola. Si avvicinò a Paul Jones e aprì una tasca della sella ~ piena di carte. Frugando, scelse la circolare di un 'agenzia turistica che reclamizzava le attrattive delle Mille Isole. La po rse al saltatore. La creatura si chinò sul foglio. La spada del caval iere roteò in un lampo, fendendo l'aria. Ci fu un rumore carnoso. Sir Howard si appoggiò sulla spada, aspettando che le orecchie ~`3 smettessero di rombare. Sapeva di non essere mai st ato così vicino a - . svenire. La testa del saltatore era poco più in là, con gli occhi tondi fissi I ` nel vuoto. Il resto della creatura giaceva ai suoi piedi, con le membra che si contraevano impercettibilmente, ammucchiando la sabbia con le mani e i piedi. Per terra si allargava una pozza di sangue verdeaz- i zurro. Sulla sua superficie roteavano lentamente gl i aghi di pino. _~ La ragazza stava a guardare inebetita.--Cosa... Cos a facciamo -~ adesso?--chiese. Era poco più di un sussurro. - --Non lo so. Non lo so. Non ho mai sentito di un saltatore ucciso. 3 --Distolse lo sguardo affascinato dal cadavere, per guardare oltre le ~ dune.--Guardate, ecco Haas!--Il sangue ricominciò a scorrergli nel- b le vene con più calore. Lo straniero forse non sare bbe stato di grande aiuto, ma gli avrebbe fatto compagnia. L'uomo del West cavalcava spavaldo, sbattendo i cal zoni di cuoio contro i fianchi di Queenie. Gridò:--Ehilà, gente! Ci è voluto un sacCO |~ di tempo per togliere di mezzo quelle aragoste, com e si chiamano. Ho dovuto annegare...--Si fermò vedendo il saltatore, e fece un fischi prolungato.--Ma... che... mi... venga. Di', ragazzo , lo pensavo che ave- vi fegato, ma non ho mai sentito che qualcuno abbia fatto questo. Non ti piacerebbe provare qualcosa di più tranquillo, c he so, fare a botte ~ con un orso o fare un nodo a un fulmine?--disse con un sorriso forza--- to. --Sono stato costretto--disse Sir Howard. Lo sbigot timento dell°--

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straniero gli fece riacquistare la calma. Era monta to in groppa all° ~ i`` stallone selvaggio della ribellione, e non pote va fare altro che caval- ~rlo con la massima disinvoltura possibile.--Mi ave va chiesto il per- mesS° di viaggio, e sarei stato arrestato per infra zioni al marchio o Chissà che.--Presentò Sally Mitten, e fece un resoc onto degli avveni- I menti. --Dobbiamo sbarazzarcene al più presto--intervenne la ragazza. Quando sono di pattuglia, contattano via radio il c omando ogni ora circa- Quando questo non si farà sentire, gli altri cominceranno a cer~ carlo. --E come fanno, signorina?--chiese Haas. --Formano un cerchio intorno alla zona da cui hanno avuto l'ulti- ma comunicazione. e lo stringono sempre più, tenend o sotto osserva- zione l'area dall'alto. --Sembra ragionevole. Da quello che mi avete detto, questo era in missione ufficiale o che, quindi, i suoi compari av ranno un'idea di do- v'era quando è stato infilzato. Quindi noi siamo de ntro al cerchio. Co- me facciamo a sbarazzarcene? Se lo sotterrassimo... --Potrebbero usare i cani per localizzarlo--disse l a ragazza. --Be', allora, se solo potessimo buttarlo nel fiume o che. L'Hans Creek laggiù non è abbastanza profondo. Sir Howard osservava aggrottando la fronte una mapp a a grande scala che aveva comprato ad Amsterdam la sera prima .--Oltre quelle colline c'è il bacino di Sacandaga--disse, indicand o il nord. --No--disse Sally Mitten.--Dobbiamo eliminare anche il suo vei- colo. Non possiamo portarlo oltre la catena del Max on. Lo so io: but- tiamolo nel Round Lake. E a est di qui, non lo si v ede. --Dico, signorina, avete in testa la cartina di tut to il paese?--chie- se beffardo Haas. !~ --Ho vissuto qui vicino per quasi tutta la vita. Copriremo le mac- chie di sangue con della sabbia pulita e degli aghi di pino. E, Sir Ho- ward, farete il favore di ripulire la vostra spada alla prima occasione. --La piccola è in gamba, How--osservò Haas, smontan do di sella. --Solo che non è poi tanto piccola. Bisogna, gente. Voi prendetelo per la testa... cioè per le braccia; la testa è a parte . Non sporcatevi con quella roba blu. Forza! Che bello, questi aggeggi r estano dritti sulle ruote anche da fermi; così è più facile spingerli. L --Fate un po' di buchi nel perspex--disse Sally M itten.--Così af- fonderà più velocemente. --Che mi venga un colpo se questa non pensa a tutto --disse Haas, j CominciandO a dar di coltello nella carrozzeria. Sogghignava.--How, ! Se gli altri saltatori riescono a trovarlo, mi pi acerebbe sentire cosa di- no, cercando di capire cosa gli è successo. Se capi ssi la loro lingua I da canarini~ certo. Dite un po', signorina, avete pensato a come uscia- |~o da questo cerchio se cominciano a cercare prima che riusciamo a cappare? E da che parte si va?

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L ~ t ~ --Vi guiderò io, Haas. Penso di sapere come fare. E se voi due disp rati volete nascondervi, venite con me. Conosco il posto giusto. Dovre mo fare presto. Oh, non avete portato qualcosa da m angiare, vero? I.~n momento fa non avrei potuto mandare giù niente, ma adesso che quellO non c'è più ho di nuovo fame. E anche Sir Howard, c redo. --Non mi sono mica dimenticato, che mi venga un col po. Per strada mi sono fermato a prendere qualche panino. Pensavo che ormai dove. vate averci i crampi allo stomaco.--Tirò fuori un p aio di panini av. volti nel cellofan.--Saranno un po' asciutti. Per m igliorare il sapore potete metterci un po' del sangue che c'è sulla cor azza di How. La ragazza guardò le chiazze sull'armatura. Sogghig nando, Sir H~ ward tirò via un po' di quella sostanza rossa e app iccicosa, mezzo sec- ca, e si mise il dito in bocca. Sally Mitten deglut ì, sembrava sul punto di vomitare. Ma lo imitò.--Vi faccio vedere io, spi ritosi!--Cambiò espressione.--Marmellata di fragole!--Haas schivò, ridacchiando, il pugno di lei che passò a un palmo dal suo naso. --C'è un altro aereo. Certo stanno facendo un lavor o accurato. Qual- cuno riesce a vedere se sono già arrivati all'acqua ?--Era Sally Mitten I. ` che parlava. Erano in un boschetto di pini e guarda vano il bacino di Sacandaga disteso placidamente davanti a loro, a pe rdita d'occhio a destra e a sinistra. Un pipistrello disegnava preco cemente neri zig-zag nel crepuscolo. Sulla sponda più lontana c'era un v iavai come di for- miche; erano i veicoli dei saltatori. I fari si acc esero a uno a uno. --Se solo venisse buio più presto--continuò la raga zza.--Questa bravata dipende dal nostro tempismo. Sono quasi all 'acqua ormai. --Peccato che non ci siamo allontanati di più prima che CominciaS- . sero a cercare--osservò Haas.--Potevamo essere già fuori dal cer- chio. Di', How, pensa se ci incontriamo. Chi diciam o di essere? Sir Howard rifletté.--L'ultima volta mi hanno regis trato ad Alba- ny. Come destinazione ho dato Watertown e le Mille Isole. Ho detto che andavo là a pescare, e pensavo anche di farlo. E po i, i saltatori staran no cercando un certo William Scranton. Quindi, fors e farei meglio a es- sere me stesso. --Forse--disse Haas.--E poi, forse faresti meglio a toglierti quel-- marchio finto. O va via con l'acqua? --No, è uno smalto impermeabile. Per toglierlo ci v uole l'alcol- --Allora, perché non usi quella bottiglia di antido to che hai nel sella? r Cosa? Ma quello è un whisky di marca! Oh, be', mi s a che questo è mportante--Sir Howard tirò fuori la bottiglia a mal incuore. as nella bisaccia trovò una calza che era tutta un buco, decise che tanto era giusto da buttare via, e si mise al lavor o sul piastrone del ca- valiere.--Di' un po'--chiese--come pensi di riuscir e a nuotare per mezzo miglio dentro a quel coso? _ Infatti--rispose Sally Mitten--Ci spogliamo. _ Cosa?-- Il tono dello straniero, scandalizzato, e ra stridulo. _ Volete dire che facciamo il bagno nudi... tutti e tre?

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_ Ma certo. Non penserete di andare in giro con i v estiti bagnati con questo freddo, vero? O di incontrare un saltato}e e di dovergli spiegare come mai siamo tutti fradici? Haas riprese il suo lavoro, ridacchiando.--Be', che mi venga... Sa- pevo che gli yankee erano picchiati, ma... Ti sta b ene. Dite un po', si- gnorina, sicura che non possiamo scappare girando i ntorno al lago? _ Santo cielo, no. Laggiù saranno ancora più numero si. Partiamo dal principio che l'unico varco nel cerchio sarà qu ando raggiungeran- no la riva dall'altra parte, e si separeranno; metà di loro aggirerà le due estremità del bacino, per ricomporre il cerchio da questa parte. Se nel frattempo noi saremo in acqua, e sarà abbastanz a buio da non esse- re visti, ci troveremo automaticamente fuori dal ce rchio. _ Com'è che portiamo di là l'armatura di How? Il mi o cavallo è già abbastanza carico. --Faremo una zattera. Potete tagliare qualche pino giovane e legare i tronchi con le corde che avete. --Direi che si potrebbe. Ecco, How, la tua corazza è a posto. Mi sa che è troppo buio perché ci vedano, eh?--Si alzò in piedi, tirò fuori la sciabola e cominciò a sfrondare un arboscello. Il cavaliere fece lo stesso.--Vorrei avere qui un'a scia--disse. --Non volevo caricare Paul Jones con troppe cianfru saglie. Quanto dev'essere grande la zattera? --Quanto pesa l'armatura? --Venti chili. Poi c'è la lancia: non la faremo cer to sporgere come un ,~ albero maestro, e la spada, e i nostri vestiti. --Meglio &rla di quattro per quattro, con due trave rse. --Sbrigatevi--disse Sally Mitten.--Adesso sono sull a riva; vedo il riflessO delle luci sull'acqua. --Chi hai annegato, Lyman?--chiese Sir Howard. --Oh, quello... Mi hanno fatto passare un brutto qu arto d'ora. Era- ~no veloci, nonostante la ferramenta che c'avevano. E il piccoletto da- anti che dava ordini a tutti montava a cavallo come un diavolo. Aveva una torcia e me la teneva puntata addosso. Ho conti nuato ad andare anti finché Queenie non aveva più fiato, e vedevo c he quelli arriva- no. Allora... come si chiama quel fiumiciattolo che attraversa Broa- ~dalbin? . _ . 4 ~ 4~ 1 1 --Kenneatto Creek--rispose Sally Mitten. --Insomma, sono arrivato a un ponte sopra questo Ke nny... Kt~n neatto Creek... qui, How, tira forte questa corda.. . e sono entrato in a,~ qua. Ho trovato un posto tra gli alberi bello buio, con l'acqua che arr; vava alla pancia di Queenie. Allora, quando quelle aragoste sono an~' vate sul ponte, ho beccato con la corda il piccolet to davanti. E finito giù nel fiume che era una meraviglia. In tre metri d'acqua con l~arrn

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tura addosso. Peccato che ho dovuto tagliare quella bella corda e la. sciarla quasi tutta nel fiume, perché se la tenevo stretta quello poteva tirarsi fuori, e i suoi soci stavano già cercando d i capire come aveva fatto il capo a finire giù. Ho comprato dell'altra corda in un negozi~ tornando a Round Lake. Ma non mi piace. Non funzion a affatto come~ una delle nostre. Devo fare pratica. E tenere insie me la zattera non le farà mica bene. --Capisco--disse Sir Howard.--Ecco perché i saltato ri credono che io abbia ucciso Warren Kelly. Non sanno di te, ma sanno che io s~ no stato al castello, o perlomeno, che vi è stato u n certo William Scran- ton. --Vuoi dire che ho annegato il capo in persona? Non dirmelo! Penso ~ che adesso la zattera sia a posto. Sentite, signori na, la mettiamo sulla lii sella di How e voi la tenete ferma mentre noi guidi amo le bestie. Dieci minuti dopo sentirono un rumore metallico dav anti a loro Sir Howard disse sottovoce:--E una recinzione di filo d i ferro- sembra al- - ta circa tre metri. Credo che dall'alto non si veda --Che bello--disse Haas.--Dovevamo ricordarci che c i sono le re- cinzioni intorno ai bacini, se no le bestie ci fini scono dentro e muoiono. 5 Non è che qualcuno c'ha una tenaglia? --No--sibilò il cavaliere.--Dovremo usare il tuo co ltello da cac- cia. --Cosa? Ehi, non si può! Si rovina la lama! --Non si può fare altro. Ho rovinato la punta del p ugnale per aprire la porta della stanza della signorina Mitten, quind i non fare storie. Fu passato il coltello, e nel buio si sentirono i b rontolii soffocati del cavaliere che ansimava, e il rumore metallico dei f ili di ferro che si staccavano. --Bene--sussurrò.--I cavalli ci passano, se gli fac ciamo abbassa re la testa. Per favore, mi puoi togliere lo stuzzi cadenti dallo stivale? Erano passati dall'altra parte. Sir Howard disse:-- Lyman, vieni ~. qui e tieni questi fili mentre riannodo le estremit à. Inutile far sapere a loro da che parte siamo andati. --Piano--fece Sally Mitten.--L'acqua trasporta i su oni, sapete- Presto, i saltatori stanno andando verso le estremi tà del bacino. Lo ca- pisco dalle luci.--In effetti, sulla sponda più lon tana i puntini di luce si spostavano a destra e a sinistra. - Dico, signorina--piagnucolava Haas--non potrei te nermi le tande~ Sono un uomo costumato, io. O, affatto--rispose bruscamente la ragazza.--Se lo fate, vi I prendete una polmonite, e dovremo curarvi. E pOi c'è solo la luce delle 'I ~ Ho f-freddo--continuò l'uomo del West.--How ci metterà tutta l notte a tirarsi via quella roba i id due for me spettrali in piedi sopra di lui che si stringeva no le braccia intorno a1 petto e saltellavano per scaldarsi.--Andate avan ti e fissate le cor- ~ de disse.--Fra un momento ho finito. Devo stare a ttento a come

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5 metto i pezzi, altrimenti qualcuno va perso. Finalmente completarono i preparativi. La zattera, coperta di ac- ~ ciaio e di abiti, era ferma sulla sabbia, legata alla sella di Queenie con t_ una lunga corda. Un altra corda era legata a Pau l Jones. --Bene, vai!--Sir Howard batté il castrone sulla gr oppa ed entrò 1 in acqua. Lui e Sally Mitten tenevano una corda c iascuno. Haas faceva lo stesso con la sua. I cavalli non volevano nuotar e, e bisognò spingerli e tirarli. Ma alla fine arrivarono dove l'acqua era più profonda, tirando le corde con i loro carichi. Sir Howard stava pensando a com'era tiepida l'acqua che gli gorgo- gliava nell'orecchio, quando fu colpito da qualcosa all'occhio sinistro. --Maledizione--sussurrò.--Volete cavarmi un occhio? --Che cosa ho fatto?--gli rispose una voce davanti a sé. --Mi avete messo l'alluce nell'occhio. Perché non r estate dalla vo- _ Io sono dalla mia parte. Perché non tenete lontan a la faccia dal mio piede? --Dunque è così, eh? Adesso vi sistemo, signorina! Non soffrlte ll solletico~ no?--Si avvicinò in due bracciate. Ma la ragazza s'immerse Sott'acqua come una lontra. Tenendo la corda, il ca valiere alzò la ma- no per vedere meglio sull'acqua illuminata dalla lu ce delle stelle. Al- lora, due mani sottili ma incredibilmente forti lo presero per le cavi- glie e lo tirarono sotto. Quando riemerse, scuotendo fuori l'acqua dalla test a, udì Haas che 3 sibilava isterico:--Perdiana, smettetela di gioca re a pallanuoto! Fate più rumore di due balene sbronze! Tacquero A parte i rumori leggeri degli insetti e d elle rane, si udiva- no solo il respiro affannoso dei cavalli e lo sciab ordio dell'acqua. 3 Il tempo passava lentamente. La riva sembrava non avvicinarsi mai. E Poi apparve all'improvviso, e cominciarono a tocc are. Dopo la quiete, i L C avalli che sguazzavano nell'acqua bassa sembrav ano le cascate del Erano sdraiati sulla sabbia. Sally Mitten disse:--V edete?--Fece dei segni sulla sabbia.--Qui c'è il bacino. Noi sia mo qui. Io e la gente viviamo sugli Adirondacks. Adesso possiamo sa lire da que parte, vicino ai laghi di Sacandaga. C'è una bella strada che arriva Speculator e a Piseco. Ma proprio per questo c è mo lto traffico. La ge te va a pescare sui laghi di Sacandaga. Mentre noi vogliamo essere ~ sti il meno possibile. Sarebbe meglio restare da qu esta parte del fium; Sacandaga, e seguire il ramo ovest fino al lago di Piseco. A quel pun conosco una pista che porta da noi passando per i l aghi dei Cedri. E u percorso difficile, ma così saremo quasi sicuri di non incontrare nessu no. Di solito scendo ad Amsterdam facendo la strada di Camp Perkins di Speculator; c'è una vecchia strada che scende da l Jessup, in buon~ condizioni. Compriamo quasi tutto a Speculator- vad o ad Amsterdam solo una volta al mese, più o meno. Sarebbe veramen te un colpo di for

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tuna se fossi là quando...--Si interruppe --Come ci arrivate, ad Amsterdam?--chiese Sir Howar d.--Sem- bra un bel viaggetto. --Infatti. Ho una bici. Cioè, avevo una bici. L'ult ima volta che l'ho vista era ferma su un marciapiede di Amsterdam. Orm ai sarà sparita. E ho lasciato l'unico cappello decente nel castello di Kelly E un viag- giO di due giorni buoni. Noi ci metteremo molto di più, dato che non seguiamo le strade.--Cancellò accuratamente la cart ina.--Sarà me- glio cancellare le nostre tracce sulla spiaggia, e anche quelle dei caval- --Secondo voi, perché i saltatori si preoccupano ta nto per Kelly~-- chiese Sir Howard.--Di solito, non interferiscono n elle beghe tra --Non lo sapete? Lo sostenevano. Non apertamente; n on è così che _ fanno. La baronia di Schenectady si stava ingranden do troppo, così= misero in azione Kelly per smembrarla. Divide et im pera. --Come? --Dividi e domina. E il loro sistema: mantenere div isi gli uomini in . staterelli grandi come un francobollo sempre in lot ta fra loro, . --Mmm. Mi sembra che sappiate un sacco di cose su d i loro. --Li ho studiati per tanto tempo. --Ci credo. Ouello che dite mi dà molto da pensare. Dite, pensate ~ c e la vostra... ehm... gente accoglierà due strani eri con dei precedent terribili come i nostri? --Al contrario, Sir Howard... --Preferirei che lasciaste perdere il ''sirn. --Sì? C'è qualche motivo particolare~ --Be'. . non so come dirlo, ma... ehm .. mi sembra un po' stupid°- Voglio dlre, siamo tutti camerati. Ehm... tu e Haas siete in gamba , quanto me, per quel poco che ho potuto conoscervi. --Credo di capire.--Sorrideva calma nel buio.--Stav o dicend° 454 e tu e lui siete proprio le persone che cerchiamo; uomini che hanno ~sat° levare le mani contro di loro. Non ce ne sono moltn E una cosa che divide dagli altri, sai. Ti impedisce per sempr e di tornare come pri- ~entre parlavano, le stelle erano diventate più fio che. Ora un disco '~ giallo coperto di macchie sorgeva dietro l'oscur ità dell'orizzonte, sfio- rando loro la pelle con un sofflo di oro pallido. 3 --Santo cielo!--esclamò Sally Mitten.--Mi ero dim enticata della IunaI Bisogna che ci vestiamo e ce ne andiamo subit o. Grazie al cielo asciutta Lyman... Come, si è addormentato!--L'uomo era diste- so, con la testa appoggiata su un braccio, e respir ava fischiando legger- --Non si può biasimarlo--disse Sir Howard.--E il pr imo sonno dopo trentasei ore. Ma ci penso io.--Si chinò sopra la figura distesa e alzò il braccio, tenendo la mano aperta. Sally Mitt en gli afferrò il pol- Nol Fara più rumore di una fucilata! Lo sentiranno fino ad Am- sterdam!--Soffocò una risatina.--Ma sarebbe proprio un peccato sprecare un'occasione come questa, vero?

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--Zoppichi, Howard--osservò Sally ~litten. Era a ca valcioni del a L sella di lui, e aveva legato alle caviglie l'orlo dei pantaloni con delle stringhe Dietro di leij, l'armatura del cavaliere, con i pezzi ordinata- mente incastrati e legati insieme in un fagotto, er a sistemata sulla lar- ga groppa di Paul Jones. Il mucchio d'acciaio tinti nnava leggermente. --Niente affatto--disse lui.--Almeno, non molto. E solo un a tra vescica.--Camminava davanti al suo cavallo, aveva u n paio di stivali da equitazione da cui quattro giorni di marcia attr averso gli Adiron- dacks avevano cancellato ogni traccia di lucido, e usava la lancia come un bastone da passeggio un po' fuori misura. Si era tlrato sulle orec- chie un berretto rosso. Lyman Haas chiudeva il grup po, dondolando tranquillamente sulla sella e arrotolandosi una sig aretta. Anche se c e- rano quasi trenta gradi, tutti e tre portavano i gu anti (quelli di Sa y Mitten erano di qualche taglia più grandi) e teneva no rialzato il col et- E to della camicia. Si picchiavano continuamente il ViSO. --Solo un'altra vescica! Fermati subito, giovanotto , che la curiamo. Hai delle bende? Per oggi, basta camminare. Quei ca lzoni e quegli sti- vali vanno benissimo per cavalcare, ma non per camm inare da queste _ Non è niente, davvero. E poi, tocca a me camminar e. La tabella di marCia dice che devo camminare ancora una mezz'ora. --Tira fuori il lazo, Lyman. Vuol fare il testardo. --Meglio fare come dice la signora--disse Haas.--Ce rto, signori- na, in una delle tasche della sella ci sono lo iodi o e la garza. Quella li e una sella magica. Esprimi un desiderio, dici abraca dabra, premi un bottone~ e salta fuori tutto quello che vuoi. Ecco perché How c ha un cavallo fuori misura: una bestia normale non potreb be portare tutt; quella roba. A volte penso che faceva meglio a nole ggiare un elefante delle ferrovie. --Come il Cavaliere Bianco--disse Sally Mitten.--E io, invece che non ho neppure uno spazzolino da denti! --Come chi?--domandò Sir Howard. --Il Cavaliere Bianco. Un personaggio di un libro i ntitolato Attra verso lo specchio. Nel tuo equipaggiamento ci sono anche alveari e trappole per topi? Nel suo c'erano. --Dici davvero?--disse Haas.--Mi sa che quel tipo e ra un eccen- trico bell'e buono. Adesso, How, infila l'altro pie de in questa radice qui e io tiro. Uh!--Lo stivale si sfilò, scoprendo due grosse dita del piede che sporgevano da un buco nella calza.--Di' un po'- -fece l'uomo del West, annusando.--Sei sicuro che quel piede non è m ica morto? Male- dizione!--Si diede uno schiaffo sulla guancia. --Avrei dovuto dirvelo che è la stagione dei moscon i--disse Sally Mitten.--Spariranno nel giro di qualche settimana. --Non ho la trappola per topi--disse Sir Howard--ma ho un ra- soio meccanico e una mini-macchina fotografica, se possono andar be- ne. Ho anche un binocolo per gli uccelli. Sai, come passatempo vado in giro a cercare cucù dal becco giallo e usignoli dor ati. Mio fratello

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Frank diceva sempre che era il mio solo lato positi vo.--Si diede uno schiaffo sulla mascella, ornata da rivoli di sangue secco a causa delle punture d'insetto.--Forse avrei fatto meglio a tene re addosso l'arma- tura. Almeno avrebbe tenuto lontani gli insetti, se mpre che non punga- no attraverso l'acciaio.--Un altro schiaffo.--Quest o sentiero sembra proprio una giungla. Perché qualcuno non prende un' ascia e un falcet- to e non lo ripulisce? Sally Mitten rispose:--E proprio questo il punto. S e fosse un bel sentiero pulito, lo userebbero tutti, e noi non lo vogliamo. Abbiamo ad- dirittura piantato degli arbusti sui sentieri che n on vogliamo siano usati. Haas disse:--E il bosco più fitto che ho mai visto. Dalle mie parti è diverso. Gli alberi, tutti quanti, crescono belli l ontani, così ci puoi pas- sare in mezzo anche se non sei un serpente.--Accese la sigaretta e continuò.--E queste voi le chiamate montagne, eh? H o paura che voi yankee non sapete neanche come sono fatte le montag ne vere. Prende- te quel Mount Orrey che mi avete mostrato; in Wyomi ng non gli da- remmo neanche il nome, a un moscerino come quello. Dico, signorina, dobbiamo attraversare ancora molte paludi? Non capi sco come fai a girare di notte per questo paese senza cadere neppu re in una pozzan- ghera. Per me la gente qui c'ha le zampe palmate, c ome le anatre. --No--rispose Sally Mitten.--I laghi dei Cedri sono finiti. Se guardi oltre quegli alberi laggiù puoi vedere Littl e Moose Mountain. E là che andiamo.--Si diede una manata sul collo. Sally Mitten disse che sarebbe andata avanti ad avv ertire la sua gente. Poco dopo si arrampicava sul fianco ripido della mo ntagna, aggrap- pandosi ai rami e ai cespugli. I due uomini continu arono la loro lenta cavalcata a zig zag. Haas disse:--Che mi venga un c olpo se non era più facile tagliare attraverso la campagna, piuttos to che seguire que- sto cosiddetto sentiero. Sir Howard osservava la sagoma della ragazza che si allontanava sempre più, fino a diventare minuscola. Non vide al cun segno di abita- zioni umane. Ma dai pioppi sbucò un uomo, e poi un altro. Malgrado la distanza, il cavaliere distingueva gli abbracci e l e pacche sulle spalle. Fu punto da una sensazione strana, mista alla curio sità divorante sulla "gente" di quella misteriosa ragazza. Quando lui e Haas raggiunsero finalmente lo spiazzo dove si trova- vano i tre, lei stava ancora parlando animatamente. Si voltò appena smontarono da cavallo, e li presentò.--Questi--diss e--è il signor Elsmith, il nostro capo.--~idero un uomo sulla cinq uantina, con i ca- pelli sottili e biondicci, e miti occhi scuri dietr o le lenti. Strinse loro la mano con tutte e due le sue, in un modo che diceva più di tante parole. --E questi è Eli Cahoon.--Laltro era più anziano, c on i capelli bian- chi sotto il cappello di feltro più vecchio del mon do. Era vestito al mo- do dei tagliaboschi del nord, con i calzoni tenuti su da una bretella sola e arrotolati in fondo, e gli scarponi infangati.--L yman, ci hai chiama- ti yankees dello stato di York; Eli è un esemplare tipico. Viene dal Mai- Sir Howard aveva guardato tra i pioppi. ~lide che q uella che gli era sembrata dapprima una caverna era invece una casa a un piano, semi sepolta da tonnellate di terra che si confondeva co n il fianco della montagna, e mimetizzata ad arte con la vegetazione. Era assolutamen- te invisibile finché non ci si era sopra. L'uomo chiamato Eli Cahoon mosse la lunga mascella, aprì le labbra sottili che rivelavano dei denti gialli e storti, e sputacchiò una saliva marrone.

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--Ben fatto--disse--portare via la nostra Sally da quel castello la.--Aveva gli avambracci grossi e muscolosi, e si muoveva come un gatto. --Un giochetto--disse Haas.--Li ho solo insultati u n po' per farl arrabbiare~ e How è andato dentro a prenderla mentr e quelli mi corre- vano dietro. Sir Howard fu sorpreso di vedere che Elsmith si era già alzato e vesti to. L'uomo gli sorrise, mostrando due denti da scoi attolo. Chissà per ché, gli faceva venire in mente un simpatico conigl io. --Qui andiamo a dormire presto e ci alziamo presto- -disse.--E meglio che ti alzi se vuoi la colazione. Anche se n on vedo come potresti mangiare qualcosa dopo la cena di ieri sera. Sir Howard si stirò i muscoli. Era bellissimo dormi re in un letto ve ro, una volta tanto.--Oh, io posso mangiare sempre. Parto dal princi_ ; piO che un giorno potrei essere senza cibo, così è meglio approfittare di quel che c'è. Per la verità, stavamo per provare a fare un'insalata di scorza di betulla condita con un po' di melma quand o siamo arrivati E avremmo avuto ancora più fame, se Haas non avesse ucciso un cer- biatto durante il cammino. Durante la colazione Sir Howard, che allora non era privo di spirito d'osservazione, tenne occhi e orecchie bene aperti per cercare di capire la natura di quel ménage. Elsmith parlava come una persona benedu- cata, termine con cui il cavaliere indicava i membr i dell'avida aristo- crazia feudale cui apparteneva. In un certo senso, era vero. Sir Howard ~. decise che si trattava probabilmente di un nobile d ecaduto che aveva , ~3 fatto qualcosa contro i saltatori, e per questo viv eva nascosto. Sally Mitten lo chiamava zio Homer. D'altro canto, Elsmit h e la ragazza avevano qualcosa (la tendenza a usare parole incons uete e astrazioni 3; mentali) che li rendeva diversi da tutte le persone che il cavaliere ave- va conosciuto fino ad allora. Era evidente che Caho on che pronuncia- va il proprio nome in una sillaba sola, non era un gentiíuomo Ma nelle rare occasioni in cui apriva bocca, le sue osservaz ioni in stretto accen- to settentrionale mostravano un'acutezza penetrante che Sir Howard non Si sarebbe mai aspettato da un appartenente ai ceti inferiori. Dopo colazione Sir Howard ammazzò il tempo fumando la pipa e pensando al proprio futuro. Non poteva restare lì e approfittare indefi- nitamente dell'ospitalità di quella gente, salvatag gio o no. Era sicuro che da lui si aspettassero qualcosa, e si chiedeva che cosa. Non rimase in dubbio a lungo. --Vieni, Van Slyck--disse Elsmith.--Oggi piantiamo le patate. Sir Howard restò a bocca aperta, e il suo pregiudiz io classista tornò improvvisamente a galla.--Io piantare patate?--Era un'espressione più di stupore che di irritazione. --Certo, perché? Noi lo facciamo.--Elsmith sorrise impercettibil- mente.--Adesso sei in un altro mondo, sai. Avrai mo lte sorprese Se l'uomo avesse parlato in tono brusco, il cavalie re probabilmente sarebbe uscito e se ne sarebbe andato sdegnato. Cos ì, invece, la sua in- dignazione svanì sul nascere.--Credo abbiate ragion e. Ci sono tante cose che non so. Chinato umilmente sopra il suo solco nel campo di p atate, chiese a

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Elsmith:--Coltivate tutto da voi? ~ Quasi. Abbiamo qualche gallina, e tutti gli anni. alleviamo un le. Eli ogni tanto abbatte un cervo. Intomo alla mo ntagna c'è una rie di cassette di verdure; chiaramente sono ben na scoste. E sorpren- dente quanta verdura si può far crescere in uno spa zio così ristretto. Si coltivano le verdure nelle cassette? Mai sentito . ~ Oh, sì, molto tempo fa era praticato su larga sca la. Ma i saltatori hann° deciso che così si risparmiava troppa fatica, e l'hanno abolito. Non vogliono che la gente abbia troppo tempo libero , sai. Potrebbero VeQueste frasi, neila mente di Sir Howard facevano I effetto di un lam po attraverso una finestra che illuminasse per un a thmo una vasta campagna, di cui non avesse mai sospettato l'esiste nza. Chiese:--Siete lo zio di Sally? _ No. In realtà lei è la mia segretaria. Suo padre era il mio migliore amico. Fu lui a fondare tutto questo. Eli lavorava per lui, e restò con me quando il signor Mitten morì, sei anni fa. Nel pomeriggio, Elsmith annunciò che per quel giorn o avevano fini- to, e che doveva sbrigare della corrispondenza. In salotto, Sir Howard notò una serie di paesaggi dipinti ad acquarello ap poggiati contro una delle spoglie pareti di legno.--Li avete dipinti vo i?--chiese. --Sì. Arrivano a New Y~k di contrabbando, e un arti sta li firma e li vende come opera sua. --Mi sembra un trucchetto sporco. --No. E necessario. L'artista è un mio buon amico. Qui non ci servo- no molti soldi, ma dobbiamo pure averne, e questo è uno dei modi. D'inverno Eli mette le trappole per gli animali da pelliccia per la stes- sa ragione. "Senti, devo dettare delle cose a Sally per un paio d'ore; perché non dai un'occhiata a qualche libro?--Indicò gli scaffa li che ingombrava- ~; no quasi tutta la parete.--Vediamo... Direi ques to... e questo... e que- sti.~ I libri erano quasi tutti molto antichi. Le pagine giallastre sembra- vano essere state passate con una specie di vernice lucida. Come con- ~ servante pensò Sir Howard. Cominciò a leggere con una certa rilut- L tanza, piU che altro per cortesia verso l'ospite. Poi, una frase dopo l'al- tra attirò la sua attenzione, sorprendendolo. r~ Sobbalzò quando Elsmith gli fu davanti, e disse tranquillamente: sp _ Ti piacciono? Buon Dio, sono già passate delle ore? Temo di non e ssere andato moltO avanti. Non sono mai stato un gran lettore, e ho continuato a cerCare le cose nel dizionario. "Sinceramente, non so che cosa pensare. Se sono ver i, stravolgono tutto quello che ho sempre pensato. Prendete questo libro di Wells, per

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, esempio. Racconta le origini dell'uomo in modo co mpletamente diver- so da quello che ho imparato a scuola. Gli uomini c he si dedicavano la scienza... governi di cui non ho mai sentito par lare che amministra vano interi continenti... nessuna menzione dei salt atori... non riesc proprio a raccapezzarmici." --Me lo aspettavo--disse Elsmith.--Sai, Van Slyck, nella vita di molte persone arriva il momento in cui ci si guarda intorno, e si comin cia a sospettare che molte delle verità eterne impa rate sulle ginocchia - della mamma non sono né eterne, né vere. Allora si hanno due altern tive. Qualcuno decide di essere aperto, di osservar e, indagare, speri 3 mentare, e di cercare quale sia la vera natura dell 'uomo e dell'univer- so. Ma molti si sentono a disagio. Per eliminare il disagio, mettono a tacere i dubbi e si rifugiano nei dogmi della loro infanzia. Per evitare che il disagio si ripeta, arrivano a sopprimere, co n la violenza, quelli che non condividono le loro convinzioni. "Ragazzo mio, ora tu sei di fronte a questa scelta. Pensaci bene." Dopo cena, Sir Howard disse a Elsmith:--Uno di quei libri che ho let- to diceva qualcosa a proposito dell'importanza di o ttenere tutte le in- formazioni possibili prima di decidere qualcosa. E quello che ho visto e sentito in questa settimana mi fa pensare di non essere molto infor- mato, dopotutto. Per esempio, chi o che cosa sono i saltatori~ Elsmith si sedette comodamente e accese un sigaro.- -E una storia lunga. I saltatori apparvero sulla Terra circa trec ento anni fa. Nessuno sa da dove venissero, ma è quasi certo che provenis sero da un pianeta esterno al nostro sistema solare. ' ~1 --Il nostro che cosa? --Il... Immagino che tu abbia imparato a scuola che il sole gira in- ;~ tomo alla Terra, vero? Be', non è così. La Terra e gli altri pianeti che ve- ,~ diamo girano intorno al sole. Non voglio cercare di spiegartelo, ades so; qualcuno di quei libri può farlo meglio di me. Diremo solo che sono I venuti da un altro mondo, lontano, in una grande ma cchina volante "A quel tempo, le condizioni dell'umanità erano pre ss'a poco quelle spiegate negli ultimi capitoli di quei libri di sto ria. "I saltatori atterrarono in una regione pressoché d isabitata del Su- ~- damerica, dove non potevano essere visti da nessuno tranne che da qualche selvaggio senza importanza. Nella navicella spaziale non po- tevano esserci più di poche centinaia di saltatori. Ma, vedi, com'è logi- co aspettarsi, sono molto diversi dagli animali ter restri. In effetti asso- migliano a degli enormi ratti saltatori, ma le somi glianze sono piutto- sto superficiali. Un animale terrestre di quelle di mensioni deve avere uno scheletro interno, come i mammiferi, non estern o, come gli insetti e ha bisogno degli occhi per vedere, della bocca pe r mangiare, eccete ra. Pero, se tu avessi provato a dissezionare un sa ltatore, e io l'ho fatto, 460 ammifero- Anche il pelo è diverso; al microscopio S l vede che ogm .~ pelo si ramifica come uno scopino. Esistono anch e delle differenze chi- iche- hanno il sangue blu perché contiene una sosta nza detta emo- Cianina, come gli insetti, invece dell'emoglobina r ossa, come I uomo o la rana. Per questo non è possibile incrociare i sa ltatori con una specie qualsiasi di animali terrestri. "Tra quelli che, come me, hanno studiato i saltator i, alcuni pensano

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che il loro pianeta d origine sia molto simile al n ostro per quanto rl- guarda la temperatura, e che l'atmosfera sia più po vera di ossigeno. E anche più grande e quindi ha una gravità più forte, perciò i saltatori riesconO a fare suila Terra dei balzi tanto ampi. E ssendo più grande, ha un'atmosfera più profonda e più densa alla superfic ie della nostra. Ec- co perché le loro voci sono così acute; il loro app arato vocale è concepi- to per funzionare in un mezzo più denso. "Molti sanno già che sono bisessuali e ovipari; dep ongono uova delle dimensioni di quelle di un pettirosso. Crescono mol to rapidamente, e raggiungono quasi le dimensioni finali nel giro di un anno dalla cova- ta. E così che hanno conquistato la terra. Nella lo ro navicella spaziale c'erano centinaia di migliaia, forse milioni di uov a, insieme a delle in- cubatrici che sono state montate appena dopo l'atte rraggio. Trovando- si in una zona ricca di foreste, ed essendo vegetar iani, non ebbero pro- blemi di cibo. "A quel tempo, la loro scienza era molto più avanza ta della nostra, ma non tanto da non poter essere raggiunta, se gli eventi avessero se- guito il loro corso naturale. Ci voleva una scienza molto progredita per trasformare il legno, I'acqua e la terra del loro a mbiente naturale in ar- mi di conquista a grandissima scala. Ma il fattore sorpresa e il loro nu- mero enorme li aiutarono quanto la loro scienza. "Inoltre, c'era il fatto che agli uomini di allora sembrarono piu buffi che minacciosi; solo dopo un certo tempo furono pre si sul serio. Ma la gente smise di considerarli buffi quando conquistar ono tutto il Suda- merica dopo una settimana dalle prime notizie sul l oro conto, e da al- lora nessuno fece più quell'errore. L'Africa venne poco dopo. Le loro macchine volanti erano più veloci delle nostre, i l oro esplosivi erano più distruttivi, i loro fucili sparavano più lontan o e con maggiore pre- Cisione. Avevano anche tanti congegni particolari, come il raggio con- Vulsivo~ la bomba a protoni e la pistola lampo. "In effetti, questi congegni non sono così misterio si come si potrebbe pensare. Il raggio convulsivo emette un fascio di p ositroni pesanti, particelle-y~ di cui leggerai nei libri. Colpiscono il sistema nervoso del- L I uomo incrementando notevolmente tutti gli impul si motori nervosi. `4~ Per esempio, mettiamo che tu pensassi di alzare una tazzina di caffè per herlo. Il ~ensiero indurrebbe un le~ero impulso motorio nei nervi del braccio e della mano. Se tu volessi davvero alz are la tazzina, il cer vello dovrebbe inviare un impulso molto più forte. Ora, mettiamo che un raggio convulsivo fosse puntato contro di te, e tu pensassi soltanto di alzare la tazzina. I tuoi muscoli reagirebbero c on una tale violenza che ti tireresti in faccia la tazzina con il caffè e tutto. Vedi così che ii corpo umano diventa completamente incontrollabile s otto l'effetto del raggio. "Prendiamo invece la bomba a protoni. Una bomba pes ante una ton nellata ha una parte di ioni di idrogeno delle dime nsioni di una biglia che è llarma vera e propria. Il resto del peso è co stituito dalle bobine e dagli altri apparecchi necessari per mantenere inve rtito il campo elet- trostatico, in modo che gli ioni non si dividano pe r effetto della loro re ciproca repulsione. Nell'attimo in cui si interromp e il controllo del campo, gli ioni si separano di colpo. Hanno anche d elle difese contro queste bombe, nel caso che gli uomini ne rubassero una lo chiamiamo raggio X. In realtà, si tratta solo di un grande pr oiettore di raggi Roentgen, mille volte più potente di un'apparecchia tura medica. In- verte in anticipo il campo che circonda i protoni.

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"Ma torniamo al nostro racconto. L'Eurasia, L'Ameri ca del Nord, i continenti più popolosi resistettero per un certo t empo e si cominciò a pensare di poterli sconfiggere. Fu questo l'errore. I saltatori avevano soltanto interrotto l'attacco, per permettere alla loro seconda genera- zione di giungere alla maturità. Quando vogliono, p ossono essere in- credibilmente prolifici, e appena la prima nidiata ha raggiunto la ma- turità sessuale, depongono altri milioni di uova. R icorda che su un cer- to totale di esseri umani, solo un quinto ha l'età per combattere. Invece, tra i saltatori, praticamente tutti tranne i caduti sono in grado di attaccare. "Avevano un ulteriore vantaggio. Sembrano immuni a tutti i batteri terrestri conosciuti, pur avendo alcune malattie pr oprie. Purtroppo non Si può dire il contrario. E probabile che abbia no diffuso intenzio- nalmente molti dei loro batteri alieni, e uno di qu esti trovò nel corpo umano l'ambiente ideale. Causò un'epidemia chiamata pazzia blu. Una cosa veramente orribile. Quasi metà della popol azione umana morì. Insomma, così i saltatori hanno vinto.n Sir Howard chiese:--Da allora ci sono state altre e pidemie blu? --No. Pare che una parte della razza umana sia natu ralmente im- mune, e tutti quelli che non lo erano sono morti. P erciò oggi siamo tut- ti immunizzati, perché discendiamo dai sopravvissut i. I saltatori non ci hanno sterminati, pur avendone la possibilità, c osa alquanto ap- prezzabile. Sembrerebbe che dopo aver visto che la civiltà umana era a uno stadio piuttosto avanzato e aveva una capacit à produttiva enor- me, avessero deciso che sarebbe stato meglio colloc arsi come specie dominante, lasciando a tutti glí altri il compito d i coltivare i campi e ionare le macchine, mentre si godevano i loro diver timenti saltato- rii per esempio dare ordini. Forse hanno avuto piet à di noi, per quanto ·a difficile crederlo. In ogni caso, da allora hann o sempre seguito que- sto sistema---Guardò I orologio e si alzò.--Qui si va a letto presto, cai. Puoi stare alzato a leggere, se vuoi, ma io mi ritiro. Buona notte. Risalendo il sentiero che portava al campo, c'era u na radura, in mezzo alla quale c'era un ceppo. Su questo ceppo era sedu ta Sally Mitten, che fumava una sigaretta e sembrava divertirsi molto. S ir Howard girava intorno al ceppo. Non stava guardando la ragazza, c ome Si potrebbe pensare, ma Lyman Haas. Luomo del West camminava in torno al cep- po nella stessa direzione, ma in un cerchio più amp io, con l'espresslone di uno che in nome dell'amicizia stesse compiendo u n grande sforzo. --Un po' più piano, Lyman--disse il cavaliere. Apparve Elsmith.--Che cosa... che cosa diavolo stat e facendo? E un ballo nuovo?--No.--Sir Howard si fermò.--Stavo solo controllan- do l'ipotesi co... copernicana. Sapete, sul moto de i pianeti. Perché a volte sembrano andare indietro nel cielo. --11 moto retrogrado? --Ecco, infatti. Sally è il Sole, io la Terra e Haa s è Marte. Lo stavc guardando per vedere se sembra andare indietro risp etto agli alberi più lontani. Ehm... non vi dispiace se faccio una p rova, no? --Al contrario, ragazzo mio. Voglio che tu controll i tutto quello ch~ impari da me, o dai libri, tutte le volte che puoi. Mostra un moto retro- grado? --Già. Va indietro come un gambero spaventato appen a lo supero

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--C~JJ-I~C~ .c~r-c?--disse Haas.--Ho camminato sern nrf~ in :lvan- --Certo, ma relativamente a me continui ad andare i ndietro. Non so spiegarlo molto bene. Ti mostrerò il punto nel libr o. Elsmith chiese:--Leggi molti libri, Haas? r~rt~ n ~ he volta mi piace. Solo che ho scassato ~ li occhiali .. New York, e non sono mai stato abbastanza nello ste sso posto per far- mene un altro paio. Ero in un bar, e c'avevo gli oc chiali nel taschino Ho litigato con un tipo. Diceva che era risaputo ch e nel West nasciamo tutti con la coda. Ora, io sono un uomo pacifico, p erò... --Non fa niente Lyman--disse Sally Mitten, suadente .--Lo sap piamo che non ha; la coda. Vero, Howard? La fronte di Haas, che non era abbronzata, arrossì. --Ah... ehm. r~ t~v~mo dicendo di ouei nianeti lì? Voglio capire 'sta cosa... Sir Howard disse:--Stasera mi racconterete qualcos' altro sui saltato_ Elsmith spense il fiammifero.--Non do mai lezione s enza avere il sigaro acceso, e poi si consuma mentre parlo, così non riesco mai a fu marlo. E stupido, vero? "Ma dove eravamo rimasti? I saltatori videro che av rebbero dovuto riplasmare la società umana se volevano tenere sott o controllo gli uo- mini, soprattutto perché questi erano la stragrande maggioranza, e in apparenza erano soddisfatti di questo rapporto da u n punto di vista economico. Non potevano permettersi di farci divent are di nuovo po tenti. Bene, che fonti di energia avevamo? "Avevamo veicoli a motore, alcuni si muovevano sull e strade, al sui binari, altri nell'aria e altri nell'acqua. Cos ì li abolirono. Per noi, è chiaro. Avevamo gli esplosivi, così ce li tolsero. Avevamo dei governi che amministravano vaste popolazioni; perciò ci sud divisero in picco- le unita. Delle società in cui gli individui capaci potevano raggiungere i livelli più elevati senza distinzione di origine erano una minaccia. Studiarono la nostra storia e giunsero alla conclus ione che un sistema di caste di tipo feudale sarebbe stato l'ostacolo p iù efficace. La ricerca scientifica naturalmente fu bandita, così come tutt e le attività scienti- fiche, tranne quelle necessarie per mantenere in fu nzione l'apparato "Abolirono tutte quelle invenzioni che ritenevano p otessero minac- ciarli. Per esempio, sapevi che si poteva parlare v ia cavo con gli abi- tanti di tutte le parti della nazione? E che le com pagnie dei telegrafi possedevano vaste reti di cavi per inviare messaggi quasi istantanea- mente. Adesso sono diventate delle semplici agenzie di fattorini, e in- viano le lettere tramite cavalli o biciclette. "Non è tutto. Una visione del mondo empirista, mate rialistica, pote- va permetterci di smascherare la mitologia assurda che intendevano imporre alle nostre menti tramite l'educazione scol astica. Quindi, i l bri improntati a questa filosofia furono messi da p arte, e le persone che la conoscevano furono eliminate. Al suo posto ci ha nno propinato il misticismo, I'aldilà, l'evasione romantica. Usarono a questo scopo la radlo, il cinema, i giornali e i libri, poiché ques te istituzioni hanno con- tinuato a operare sotto il loro stretto controllo. Sarebbe stata una cosa stupida distruggere dei mezzi già pronti ed efficac issimi di dominio delle masse. Da allora hanno continuato a riempirci di 'Ignoranza in- tegrale e robusta irrazionalità', come ha detto Bel l, uno scrittore pre- saltatori. E devo dire--a questo punto si appoggiò allo schienale, chiuse gli occhi e aspirò una boccata del sigaro--c he la mia srecie

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I~ha affrontato in modo veramente ammirevole. Certo , le ha fatto un ef- fetto terribile. Ma nei momenti di maggiore sconfor to mi consola in parte il pensiero che l'uomo non è diventato COSi f olle come avrebbe potuto, considerando quello che ha passato." ~ Ma--obiettò Sir Howard--ma mi avevano insegnato c he Dio Sì~ Ammettendo pure che un Dio ci sia, si è mai confidato con te personalmente? Chi te I ha insegnato? I maestri di scuola, naturalmen- te E dove l'hanno studiato? Nei libri. E chi li ha scritti? I saltatori. Ammettiamo che io ti abbia detto la verità; che cos a ti aspetteresti che scrivessero nei libri? La verità su come hanno conq uistato la terra e ne hanno ridotto gli abitanti in schiavitù, cosa che a vrebbe rappresentato un incitamento costante alla ribellione? Sir Howard si guardava corrucciato la punta dei pie di.--Signor El- smith, un paio di mesi fa--rifletté--probabilmente vi avrei fatto in- goiare la mia spada per certe cose che avete detto. Senza offesa, s in- tende. --Lo so--rispose Elsmith.--E se tu fossi stato anco ra lo stesso di due mesi fa, non le avrei dette. --Ma ora... non so. Tutto mi sembra sottosopra. E c omunque, per- ché la gente non si è ribellata? --Lo hanno fatto; e quasi in continuazione durante il primo secolo di dominio dei saltatori. Ma le rivolte sono state represse e i rlbelli so- no stati uccisi. I saltatori si sono diffusi in mod o capillare. Come forse sai, possiedono una droga, la veramina, che fa dire la verità. Una volta gli uomini avevano una sostanza simile, ma questa è molto migliore. L'unico limite che ha è che l'alcool annulla il suo effetto. Potevano iniettarla a tutti gli abitanti di una certa region e, per esempio per cat- turare un solo ribelle. E per la ribellione c'era u na pena solamente: la morte, di solito lenta. Così dopo un po' non ci fur ono più rivolte. Nel secolo scorso non ce ne sono state praticamente più , quindi i saltatori hanno alquanto allentato il controllo sugli esseri umani. --Allora--brontolò il cavaliere--cosa si può fare? Homer Elsmith aveva già visto quello sguardo negli occhi dei giova- ni.--E tu, che cosa faresti?--chiese tranquillament e. --Mi batterei!--Sir Howard senza pensarci aveva str etto i pugni, menando fendenti nell'aria. --Capisco. Ti vedi a capo di uno squadrone di caval leria corazzata, pronto a infilzare i saltatori come tanti maiali e a spazzarli via dalla faccia della terra. No, non ti sto prendendo in gir o, è una reazione co- mune. Ma lo sai che cosa succederebbe? Hai mai vist o come cadono gli steli del grano sotto la falce? La stessa cosa succ ederebbe a te e ai tuoi valorosi cavalieri se i saltatori aprissero il fuoc o contro di voi. Oppure potrebbero usare il raggio convulsivo, far rotolare a terra uomini e ca- valli e farli prigionieri. Sai, I'effetto dura per vari minuti dopo che il raggio è stato spento. Oppure potrebbero usare un t rasformatore, crea re vorhci di corrente all'interno delle corazze e a rrostirvi nei vostri ca- --Bene, e allora?--Sir Howard si colpì il ginocchio con il pugnO --Non lo so. Finora non lo sa nessuno. Non lo so, m algrado abbia passato gran parte della vita a studiare il problem a. Ma questo no vuol dire che non lo sapremo mai. L'uomo ha risolto problemi anche

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"Oualche vantaggio l'abbiamo: il numero, per dirne uno. Poi, il fatto che i saltatori siano dispersi in piccoli gruppi li rende vulnerabili alle sollevazioni organizzate. Ormai non sono più un ese rcito, ma un'am ministrazione civile e una forza di polizia. Prendi amo Albany: laggiù ce ne sono solo duecento. Li sostituiscono spesso p erché non amano restare incollati sempre allo stesso posto. Se ci v ólessimo nascondere da altri esseri umani, sarebbe uno dei posti meno i ndicati. Ma per · sa1 tatori va benissimo, perché sono solo in due a patt ugliare tutti gli Adi- rondacks, e si allontanano raramente dalle strade p rincipali. E poi c'è il fatto che in realtà non sono molto intelligenti. " --Non lo sono! Ma come, loro... --Lo so. Conoscono molte più cose di noi e hanno in mano la scien- za, eccetera eccetera. Ma quella non è intelligenza . Un saltatore un po' piu acuto degh altri ha press'a poco l'intelligenza di un uomo stupido. --Lo so, lo so. Ma loro hanno tre grossi vantaggi. Primo: imparano in fretta, anche se non in modo intelligente. Ecco perché gli eserciti dei conquistatori sono stati addestrati e sono diventat i soldati specializza- ti tanto velocemente. Secondo: vivono a lungo. Non so quale sia la du- rata media della loro vita, ma credo raggiunga i qu attrocento- anni. Terzo: gli elmetti. --Gli elmetti? --Quegli arnesi di cuoio che si mettono in testa. N ella loro storia 1 elmetto fu inventato dal loro dio, di cui non ti posso dire il nome per- ché non so imitare i canarini. Chiamiamolo X. Per q uel che ne so, que- in e etti fu un grande genio, un misto tra Archimed e, Leonardo Vinci e Isaac Newton. Erano tra le menti più fulgid e dei tempi anti- chi. X dev'essere stato un mutante sterile. Dopo pu oi cercarlo su un li- bro Mi sembra probabile, perché non è mai più appar sa una stirpe di genli tra i saltatori, che allora erano solo un gra dino più su degli ani- "X scoprì abbastanza presto la tecnica dell'indagin e scientifica: l'os- servazione e la sperimentazione delle cause. Invent ò il loro alfabeto che è un ibrido tra un sistema fonetico e uno music ale. Inventò un sac- 466 ~==~ · saltatori ne fecero il loro dio, perché non doves se plù lavorare per Vl- vere. Probabilmente anche X la pensava così. "Quattrocento anni sono tanti, come dicevo. Verso l a fine della sua vita inventò l'elmetto. In realtà è un apparecchio elettrico che ha I ef- fetto di dare al saltatore che lo usa un'eccezional e capacità di concen- trazione- Per esempio, un uomo non può concentrarsi su una cosa per più di qualche secondo per volta. Provaci, qualche volta. Per prima co- sa sai che penserai di mantenere la concentrazione su un qualunque oggetto su cui ti devi concentrare, invece di conce ntrarti sul soggetto stesso Spero di essere stato chiaro. Ma un saltator e con l'elmetto può pensare a una cosa per ore e ore alla volta. Credo che perfino uno scim- panzé potrebbe imparare a far di conto con questo s istema. "Potrebbe darsi che siano anche più stupidi di un u omo stupi o, e che gli elmetti aumentino le loro facoltà intellett uali. E certo che senza gli elmetti sono ancora più scervellati di uno scim panzé, e sono mca- paci di portare a termine una sequenza complessa di azioni. Uno dei motivi che me li fa ritenere stupidi è che la loro scienza sembra essere

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rimasta sempre allo stesso livello dopo tre secoli dalla conquista. Pero potrebbe darsi che avere due miliardi di schiavi, a ppartenenti a una specie inferiore, addetti ai lavori pesanti, li abb ia privati di ambizlo- --Allora--intervenne Sir Howard--direi che si dovre bbe attac- carli di sorpresa e tirargli via gli elmetti. --Sì? Dimentichi i fucili e il resto. Se potessimo programmare una rivolta con tanta precisione, li potremmo uccidere a mani nude. Ti ri- peto che avevano già tentato delle cospirazioni su larga scala. Non hanno funzionato. Per una ragione sola: non abbiamo un'arma che sia abbastanza mortale, semplice e che passi inosservat a. Sotto questo aspetto, siamo molto indietro rispetto a com'eravam o al tempo del a conquista. Dobbiamo avere qualcosa che sia almeno m igliore delle ar- mi da fuoco. Prendiamo di nuovo i saltatori di Alba ny. Hanno una ri- serva di armi leggere nel grattacielo dell'Ufficio. L'artiglieria pesante più vicina si trova nell'arsenale di Watervliet. Le armi veramente leta- li, come le bombe a protoni, sono a E;ort Knox, neg li antichi depositi per l'oro. Se potessimo sopraffare una frazione abb astanza numerosa di saltatori, potremmo catturare abbastanza armi da riequilibrare i confronto. Ma avremmo bisogno di qualcosa per sopra ffarne prima una parte, e gli archi e le frecce non serviranno a molto. --Be', e cosa ne direste se si togliessero l'elmett o spontaneamente? ~on si potrebbe mandargli una specie di onda radio o che? --Ci hanno già pensato; piani per mettere fuori uso il circuito elet- triCo dell'elmetto; piani per scaldare i cavi in mo do da renderli inSOp- ortabili; piani per interferire nel loro funzioname nto con la statica. La statica non sembra fare effetto, e bisogna ammet tere che non cono. sciamo nessun tipo di onda o di raggio che possa pr ovocare il resto L' dea di riscaldare gli elmetti, per esempio. Ci vorr ebbe un'energia Spa ventosa per scaldare milioni di elmetti, e quella c he passa nella tua r dio tramite l'antenna è così infinitesimale che non riesci a sentirla. La più grande stazione radio che esiste non emette l'e nergia che si svilup- pa in una sola delle moto dei saltatori. Come si fa a costruire una sta zione che emetta mille volte più energia, senza le loro conoscenze? --Mmm... sembra davvero senza speranza. Forse se ci mettessimo in testa un elmetto, ci verrebbe qualche idea. --Hanno provato anche questo. Ci ho provato anch'io Ha funziona to bene per circa tre minuti, poi mi è venuto il pe ggior mal di testa del- la mia vita; è durato una settimana. Il cervello de i saltatori è più pri- mitivo del nostro; un trattamento del genere non lo danneggia Co- munque non si può fare la stessa cosa al cervello d ell'uomo, perlomeno non allo stato attuale delle conoscenze. Forse un g iorno ci riusciremo quando li avremo cacciati via. Restarono per un po' in silenzio, fumando. Sir Howa rd disse---Se non sono indiscreto, dove avete trovato tutte quest e informazioni? E da dove vengono quei libri? --Oh, usando gli occhi e le orecchie per tanti anni . Potrei aggiunge- re che sono un provetto scassinatore. I libri, e mo lte delle informazioni sui saltatori, in parte sono rubati. Il resto è sta to raccolto qua e là so- prattutto da Thurlow Mitten, prima che mi unissi a lui. Sai, non si può pretendere che i saltatori, per quanto minuziosi, f rughino in tutti gli angoli di tutte le soffitte e le cantine di tutte l e case vecchie della nazio-

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ne. Sir Howard disse:--Certe vostre affermazioni mi fan no venire in mente quello che diceva mio fratello Frank. Elsmith sollevò un sopracciglio.--Sally mi ha parla to di lui. E Scusa.--Qualcosa nel modo in cui parlò fece pensare al cavaliere che Elsmith sul conto di suo fratello sapesse più di qu anto volesse dire. Ma anche così aveva troppe cose a cui pensare per fare altre domande in quel momento. --Insomma, mi lancia il coltello addosso, e mi inch ioda il ditone al tronco sicché non posso più staccarlo. Ma io ci dic o: aMike Brady« ci dico «ho promesso di farti sputare le budella e ved rai che lo faccio«. Cosi Ci corro dietro con il gancio. Lui scappa, e i o dietro. Ma sai, non si i~ 468 orre mica tanto con un tronco d'acero di sei metri inchiodato al piede, doVeva pesare quasi tre quintali, e dopo un chilome tro o due ti vedo che quello là stava allontanandosi! Allora ho tirat o il gancio e allora la punta entra in un albero da una parte del collo, e la parte curva gli en- tra nella schiena dall'altra parte e lui rimane lì come un salame. Allora prendo il coltello e ci apro le budella. «Così impa ri« ci dico «a sfottere ~li Cahoon.« Lui fa: aVa bene, forse dovevo pensarc i meglio. Se tu mi r·metti dentro le budella io non ti sfotto mai più« . Allora ce le ho rl- rnesSe dentro e da quella volta siamo amici. Ci ho ancora la cicatrice _ Dici davvero? Mi ricordo una volta in Wyoming che io e un mio amico tiravamo con I arco. Tiravamo ai tafani. Ecco che arriva una zanzara. Lui fa: «Scommetto che non riesci a prende re quella zanza- ra« . lo dico: < Quanto ci scommetti? « . Lui punta un centone, e io centro la zanzara. Allora ne arriva un'altra. Lui fa: «Tro ppo facile. Vediamo se riesci a prendere questa in un occhio«. «Quale dei due?« dico io senza neladue pParlavano piano e con indifferenza davanti al fuoco. ward alzò lo sguardo dal libro.--Signor Elsmith--ch iese--che cosa intende dire questo tizio? "Governo del popolo, con il popolo, per il po- polo". Che popolo? --. .e così ho perso mille dollari, scambiando l'oc chio destro con il sinistro. Ma mi ricordo quando che ho vinto quest'o rologio a una scommessa. Era di un tipo che si chiamava Larry Her nandez, e per questo c'ha le iniziali come le mie. Volevamo veder e chl dei due riusci- va a scendere col cavallo dalla scarpata più ripida ... Elsmith parlava. Sir Howard si chiedeva che cosa de sse tanta auto- revolezza alle parole asciutte e precise di quell'o metto mite.--Signifi- ca che tutti gli adulti votano per scegliere le per sone che li governeran- no per un certo periodo. Alla scadenza prevista si fa un altra elezione, e la gente può mandare via i funzionari precedenti se non le piacciono. --Tutti gli adulti? Quindi, perfino i borghesi? E l e donne? Ma e un i- dea ridicola! Una persona dei ceti inferiori... Sir Howard aggrottò la fronte concentrandosi.--Ma l oro... no ignoranti. Non possono sapere quello che è giust o per loro. I loro ca- pi naturali...--Si interruppe di nuovo, confondendo si. --Diresti che sono un ignorante?--Lo disse con molt a calma. --Voi~ Ma voi non siete un...

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--Mio padre lavorava in una fonderia, e io ho comin ciato come fat- torino delle Poste e Telegrafi. --Ammetto che con una classe dirigente ereditaria o gni tanto si ab- biano degli individui validi. Ma anche degli indivi dui molto discutibi- li. Prendiamo il barone Schenectady. Con il concett o di "governo del popolo, quando ci si accorge che chi governa è un f arabutto o un zo, se non altro si può cacciarlo via senza bisogno di una rivolta arma Sir Howard sospirò.--Non riuscirò mai a farmi entra re in test queste idee nuove. Pensarci è come vedere che tutto il tuo mondo, tutte e tue solite idee, le tue convinzioni, si dissolvon o come una zolle~tta d zucchero in una tazza di tè. E ... quasi tremendo. Per cominciare bene avrei dovuto venire qui dieci anni fa. --No. --Oh, dài, Sal. Ti piaccio abbastanza, no? --Non è quello il punto. --E allora qual è? --Sarebbe... opportunistico. Ecco; di nuovo una di quelle maledette parole da vo cabolario Sentì un impeto di collera. Ricordando Warren Kelly, nell a sua mente prese rma un commento pungente e offensivo. Ma il suo inn ato senso della decenza lo soffocò prima che gli venisse alle labbr a. Lei stava infilando l'esca sull'amo. La barca dondo lava dolcemente sotto le nubi plumbee cariche di neve che incombeva no sulla monta gna di Little Moose e sul piccolo Sly Pond --Perché... così. Forse non ci hai fatto caso, ma n oi lavoriamo sodo nostro lavoro e l'Organizzazione, e per noi è lette ralmente il lavorb piu importante del mondo. Tra questo e la nostra su ssistenza, non ab- p rze per ... Ie relazioni personali --Ho paura che non riuscirò mai a capirti, Sally.-- Finora non c'e- ra riuscito. Non aveva i modi di una plebea. Doveva saperlo, le r del popolo per lui erano un gioco da ragazzi. D'alt ro canto, le aristo- cratiche che aveva conosciuto sarebbero inorridite all'idea di infilare su amo un gamberetto decisamente recalcitrante, per non parlare di squamare e pulire un mucchio di pesci-gatto. Però e ra fuori di dubbio e ei fosse di buona famiglia. Se necessario avrebbe capovolto il si- stema feudale (per il quale ormai sentiva moíto men o rispetto) pw di mettervi in cima la classe cui lei apparteneva, qua lunque fosse. -- n altro motivo--continuò la ragazza.--Zio Homer mi ha detto che fra uno o due giorni probabilmente ti unirai a noi. Ufficialmente inten o. Potrei dire che lo spero. Ma, e questo è i mportante, tu non de- : Sto, puoi lasc ar perdere fPinrd°nadi. E se hai in mente di farlo pe --Ma perché? Cos'hanno di tanto terribile i motivi personali~ --Perché se cambiassi idea su questi motivi persona li, potresticam- 470

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b·are idea su tutto- Idiota, non vedi? Cosa rappres enta una ragazza in ù o in meanmilioni di altri?--Il mulinello ronzò pe r qualche iS p -ma che lei se ne accorgesse. Prese la canna con un movlmento velo- ce eo esperto e in un attimo nella barca ci fu un a ltro pesce-gatto. Sir lo Mala~ jilcotpodelpesces ~ Stomaco. Un giorno usciamo sul lago di Little Moose a pescare il persi- C°TaOtnando al camP° con iillpesamentidecisidisirHo wardesorris astutamente. Sir Howard più tardi pensò che più di tutto lo preoccu- pava quel sorriso. Sir Howard chiese:--La vostra organizzazione non ha un nome? Vo- li dire tutte le volte dite solo noi 1~0 ani ZZaZione I nomi sono come dei manici, e non vogliamo dare a lo ro più manici con cui afferrarci di quanto sia indispensabile. Ora, p er favore, potresti ti- rare su la manica?--Tenne controluce un ago ipoderm ico. _ Avrà qualche effetto permanente? --No, ti farà sentire leggermente ubriaco ed eufori co per un po . usano i saltatori durante il terzo grado. E molto p iù efficace della tor- tura, perché si può stare sicuri che il prigioniero sta effettivamente i- cendo quella che ritiene la verità. --Devo fare un qualche giuramento? --Non sei obbligato. Partiamo dal presupposto che q uando una per- sona fa una dichiarazione d'intenti, sempre che sia sincera, dà un indi- cazione del suo comportamento futuro valida quanto un giuramento. A volte le persone cambiano idea, ma quando lo fann o trovano sempre una scusa per infrangere un giuramento. --Ditemi, mio fratello Frank era uno di VOi. Elsmith esitò, poi disse:--Sì. Certo, nell'Organizz azione non era entrato con quel nome. Non abbiamo avuto la possibi lita di avvertir o. Il suo diretto superiore, che normalmente avrebbe d ovuto fare rappor- t to a me, era scomparso un paio di mesi prima. D a ccordo, sapevamo che cosa significava, ma non siamo riusciti a riall acciare i collegamen- QuestO è il centro di tutto?--Sir Howard sollevò p con una certa incredulità. Nel campo non succedeva un gran che, e co- munque niente che facesse pensare che si trattava d el quartier genera- 1- IP ~ ma cospirazione mondiale. --Sì. So cosa stai pensando. Forse non ti sei accor to ultimamente d- quante volte sei stato allontanato dal campo con di screzione. Si stava- o gen o egli incontn. Il cavaliere era stupefatto. Non ci aveva mai pensa to. Cominciò a re ersi conto dei sacrifici enormi sopportati da qu ella gente. Una co- e genere non Si poteva improvvisare; richiedeva ann i di lavoro at- --Come ti senti?--chiese Elsmith --Un po' intontito. --Benissimo, adesso cominciamo. Howard van Slyck, h ai tu...

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--Hai superato la prova a pieni voti, ragazzo mio. Ne sono felice- riuScito non saresti mai uScitore i P°Sds° aggiUnge re che se non ci' fPo --Cosa? P-perché? Come? Elsmith si frugò nella camicia e tirò fuori la pist ola di un salt --A proposito, questa è la pistola del saltatore ch e hai ucciso Ne ab amo a tre. Non ti erl accorto che Sally l'aveva rub ata al cadavere e se nascosta nei vestiti, vero? Non avresti potuto. Sal ly sa il fatto suo motivo per cul I'avrei usata, se necessario, è che sapevi troppe co so ito quassu sono ammessi solo i lavoratori di vec chia e sper- mentata fedeltà. Sally non avrebbe mai portato qui te e Haas - che per 50 Si e unito a noi giovedì scorso - se non si foss e trattato di mergenza. Dovevate trovare un nascondiglio, e aveva te troppe buone qua ita per cadere nelle ~oro mani. Così ci siamo f idati di voi. Se ci fos- ... non potevamo rischlare di riportare l'Oroa zione indietro di anni.n Sir Howard guardò per terra.--Sarebbe stato giusto~ ~loglio d secondo le vostre idee. Se non avessi voluto rimane re. giuStificare I ingiustizia invOcandaOSIarebbe stato necessario E slea modo sono stati giustificati o perdonati i delitti più atroci --Riprovaci, Van Slyck. Sir Howard si volto docilmente e riattraversò la st anza. In effetti si --No, così non va bene. Troppa tracotanza. --Si sente un rumore metallico anche quando non ha addosso l'ar- a-- isse Sally Mitten.--Non so cosa sia- qualcosa n el modo m CUi la parte inferiore delle gambe viene avanti a o gni passo. -` -- orse o so io--disse Haas. Era seduto con i piedi dentro un chio di acqua calda; era andato a fare un giro con Eli Cahoon, e aveva 472 5o un paio di normali sicalrtpotoniche quelli che l ui chiamava tendi~ ta da chillen si erarlo infiam imainique Chili di t ubi di stufa e altra ferra menta. Forse se gli mettessimo del piombo negli sti vali resterebbe coi PiediGPuarda--disse Elsmith.--Lascia andare le gino cch he si pieghino leggermente a ogni passo. E appoggia completamente il piede, invece di appoggiarti sul tallone. ~cco, così va meglio. Presto · insegneremo a camminare da borghese. Fa' un po' d i esercizio.-- Diede un'occhiata all orologio.--Dovrebbero arrivar e da un momen- to all'altro. Ricordati che per i membri dell'Organ izzazione tu sei Charles Weier. Ti presenteremo Lediacre e Fitzmarti n, ma neanche questi sono nomi veri. Comunque, Lediacre è davvero francese. --Perché tutta questa segretezza?--chiese Sir Howar d. --Perché, mio caro Weier, se non conosci la vera id entità di un uo- mo, non la puoi rivelare sotto l'effetto della vera mina. Le uniche perso- ne di cui puoi conoscere la vera identità sono quel le direttamente sotto di te. Per ora non hai nessuno, e sei direttamente ai miei ordini.

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Lediacre e Fitzmartin quando arrivarono accettarono senza commenti la presentazione di "Weier". Lediacre era alto come il cavaliere, anche se non così massiccio; solido, in un certo senso an che bello, con una fi- sionomia volpina, e squisitamente gentile. Sir Howa rd al suo confron- to si sentiva un montanaro. L'altro era un ometto s curo e nervoso, e aveva una scatola cui sembrava annettere una grande importanza. Quando tutti gli altri si furono radunati intorno l 'aprì e cominciò a in- stallare dei marchingegni: pulegge, cinghie, stecch e d'ottone, dischi di · vetro con parti metalliche. Sir Howard intuì che erano personaggi im- portanti dell'Organizzazione, e si rallegrò al pens iero che gli permet- tesserO di assiStere adq l radio disse FitZmartin-- Sulla lung . za d'onda proibita dei saltatori, se potete.--Quand o l'apparecchlo Sl fu sintonizzato sul cinguettio sinistro di una staz ione dei saltatori, co- minciò a girare una manovella del suo congegno. Pre sto una serie di scintille azzurre saltò da un pomo d'ottone all'alt ro in rapida succes- Sione. A ogni scarica di scintille corrispondeva un blup nella radio, che copriVa i cinguettii. Un programma di musiche da ba llo su una del e frequenze legali fu reso incomprensibile allo stess o modo. - --Vedete?--disse Fitzmartin.--Con una macchina el ettrostatica I a dischi di un metro e ottanta di diametro possia mo disturbare la rice- zione radio abbastanza bene nel raggio di quindici chilometri e anche più. Coprendo il paese con queste macchine, possiam o sommergere 473 completamente le comunicazioni dei maledetti saltat ori con l'elettro statica. Usano solo delle stupidissime radio. Hanno abolito assolut mente tutte le comunicazioni via cavo secoli fa, e ci vorrebbe un sacco di tempo per montarne di nuove. Mesi, assolutamente . Elsmith aspirò il sigaro.--E allora? --Insomma... Voglio dire... vecchio mio... se potes simo assoluta mente disorganizzarli... --In neanche ventiquattro ore troverebbero le nostr e macchine e ri- stabilirebbero le comunicazioni. E sai bene che cos a ci succederebbe Ma aspetta...--Vedendo l'aria abbacchiata di Fitzma rtin mise avanti una mano.--E un'idea eccezionale lo stesso. L'ammir o Volevo solo far presente che i saltatori non si suicideranno in massa per un po' di elettrostatica. Per ora non ne costruiremo. Ma fare mo elaborare un progetto per macchine di grandi dimensioni, ne fare mo fare centinaia i mig iaia di copie e le distribuiremo ai quartieri generali regionali di o i mondo. Penso che se ne possa occupare Baugh Poi , quando avremo il modo di dare il colpo mortale ai saltator i, faremo costruire le macchine, e le metteremo in funzione al momento giusto. Saranno un aiuto di valore incalcolabile. Gli uomini si fermarono alcuni giomi. Il secondo gi orno Sir Howard fu eggermente scioccato nel vedere Lediacre e Sally ch e passeggiavano ungo un sentiero, apparentemente in gran confidenza , e così assorbiti nei loro discorsi da dimenticare il resto. Osservò le loro figure che si lontanavano continuando a parlare e pensò, allora è così. Decise che i raffinato monsieur Lediacre non gli piaceva. Il giorno dopo incontrò il francese che guardava il paesaggio, fuman-

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.-- , salve, amico mio--disse Lediacre.--Stavo ammi rando il panorama. Mi ricorda il Massiccio Centrale, nel mio paese. --Ci tornerete presto?--chiese il cavaliere, cercan do di non sem- brare troppo acido. --No, per almeno tre o forse quattro mesi. Vedete, sono qui per lavo- ro. Sono quello che da voi si chiama rappresentante viaggiatore di una --Posso chiedere che tipo di azienda~ --Certo, caro Weier. Profumeria. Profumeria! Buon Dio! Ormai non faceva più caso ai natali plebei ma i profumi I Vide con la coda dell'occhio Sally M itten che usciva dai stato un modo per nspondere per le rime a nuel venditore di profumi. Era molto abile negli eserciz i a cavallo più spet- tacolari. Scherma, tornei e corsa a ostacoli non er ano cose pratiche Disse:--Ultimamente non mi sono allenato molto. Mi hanno tenuto letto. Sapete fare la lotta? f ~ Da qualche anno non più, ma mi piacerebbe ripro vare. Dovrei an- ~ / L~ \ ~ , Sir H°Wardhe avreb_ 1 ~ ~= Haas stavano °Sservdand°Latdenacare Fu letteralment e un ~ancoran- Sir pensò. 10 1~ 475 va cosciente di sé, come invece non gli era mai suc cesso quando scor- razzava per il paese con la corazza in lega d'accia io. Avevano avuto il permesso di tenere la spada, perché non attirava l' attenzione maligna e sgradita dei saltatori. --Partiamo dal presupposto che il mio vecchio non d eve saper nien- te di questa missione--spiegò ad Haas il cavaliere. --Lui mi crede a Watertown, o chissà dove. Altrimenti entreremmo tra nquillamente in casa. Secondo me, ci stanno facendo recitare questa parte per vedere come ce la caviamo. --Non è che mi importa molto del travestimento--dis se Haas --Solo che ogni volta che vedo un saltatore ho l'im pressione che ven ga a fare domande. Mi mette un sacco a disagio. Pri ma non ci facevo mica caso; li consideravo solo una seccatura che bi sognava sopporta- re Adesso non riesco più a mangiare un panino al fo rmaggio: I'odore ml fa venire in mente i saltatori. --Per quanto mi riguarda--aggiunse Sir Howard--cred o che pre- ferirei quello di un cadavere di tre settimane. Se ci fermano ricordati chi sei e che hai una serie completa di documenti f alsi per próvarlo.-- Si sentiva più o meno allo stesso modo. Un nemico u mano, che si può disarcionare con un colpo ben assestato di lancia, era una cosa- questo potere invisibile con le sue armi misteriose e la s ua feroce capillarità un'altra.

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--Qui niente--mormorò Sir Howard. Avevano setacciat o accurata- mente la stanzetta nel retro della rimessa degli at trezzi che Frank van Slyck usava come laboratorio. Le loro piccole torce intermittenti rive- lavano solo pezzetti di metallo contorto, reticella metallica e vetri rot- Haas mormorò:--Sembra che i saltatori abbiano ripul ito per bene la roba di tuo fratello. --Sì. Hanno esaminato i suoi miseri apparecchi e po i li hanno fatti a pezzi; da come li hanno ridotti, non li riconoscere bbe neanche la ma- dre. Hanno forzato i contenitori in cui teneva gli insetti, e li hanno but- tati in cortile. Hanno bruciato i suoi appunti, e h anno portato via i suoi libri per metterli in una delle loro biblioteche. A ndiamo via, rimango- no da esaminare solo gli appartamenti nel castello. --Sicuro che qui in giro non ci siano dei nascondig li? --Sì. Questa tettoia è stata costruita sul terreno, e sotto ci sono solo detriti. Questa parete è di compensato. Attraverso le crepe si vede la ri- messa degli attrezzi, quindi non ci sono intercaped ini tra le pareti o al- tro. Andiamo via. Aspettarono che la sentinella raggiungesse l'altro lato, e attraversa- rono furtivamente il prato. Sir Howard, essendo il più robusto, spinse in alto Haas; I'uso attento di un diamante tagliave tro gli diede accesso al chiavistello, e la finestra si aprì con un debol e cigolio, non più forte dei vari rumori degli insetti notturni. L'odore vag o di muffa della bi- blioteca si mescolava ai profumi del giardino. --Che Dio ci assista--disse Sir Howard--se il mio v ecchio scopre quello che abbiamo fatto alle sue rose. Sarà peggio di un lupo affamato e col mal di denti in mezzo a nove agnelli. Misero il naso dappertutto come due topi curiosi, f rugando nei cas- setti della scrivania e nei cestini della carta. Si r Howard disperava or- mai di trovare qualcosa, quando si ricordò che suo fratello aveva l'abl- tudine di mettere dei foglietti tra le pagine dei l ibri e di dimenticarse- ne. Gli venne un tuffo al cuore illuminando gli sca ffali stracarichi con la torcia. Ce n'erano centinaia, tutti i libri che da ragazzo l'annoiava- no: di poesia, fiabe, romanzi, teologia. Che differ enza dall'assortimen- to sostanzioso di Elsmith! Almeno, poteva fare una certa selezione. Uno scaffale conteneva libri di agraria, amministra zione e altri argo- menti di carattere pratico concernenti la gestione del ducato. Se Frank aveva letto qualcosa in quella biblioteca, aveva le tto quelli. Cominciò a sfogliarli con Haas. Trovarono parecchi foglietti di carta bianca, in ap parenza banali se- gnalibri. Sir Howard se li mise in tasca. C'era un bellissimo disegno della testa di un'ape. C'era un foglietto su cui er ano scritti vari indiriz- zi. Ce n'era uno con l'annotazione enigmatica: Pulex irr. M-146 Fatt. rid. 0,17 M-147 F.r. 0,88 M-148 F.r. 0,39 M-149 F.r. 0,99!!! Era un volume intitolato Genetica dell'allevamento, che era scientifi- co quasi quanto era permesso dai saltatori. In un p iccolo vocabolario c'era un altro foglietto con la risoluzione di un p roblema algebrico. C'era...

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--Voi due, mani in alto!--Nel buio si spalancò un o cchio giallastro, che inondò di luce i due scassinatori. Dietro l'occ hio si intravedeva a rnalapena un uomo anziano in camicia da notte. Avev a una balestra antirapina, cioè una balestra con una torcia all'es tremità. La balestra era carica. --Piano con quel grilletto, padre--disse Sir Howard , alzandosi --se non volete fare un bel buco nel vostro legitti mo erede. --Howard! Non ti avevo riconosciuto!--Per non farsi riconoscere il cavaliere aveva trascurato il viso per una settiman a, e ora aveva il viso coperto di una stoppa nerofumo terrificante. --Cosa accidenti... cosa diamine... cosa diavolo st ai facendo, una ra- pina in casa tua? --Stavo cercando una cosa, e non volevo svegliarvi a quest'ora. Pec- cato che non possiamo fermarci.--Sir Howard sapeva che la Scusa non era molto plausibile. --Insomma, che cosa succede? Cosa stai cercando? E chi è quell'uo- mo? Sir Howard presentò Haas.--Stavo solo cercando dell e carte che avevo lasciato qui. Niente d'importante, davvero. --Quali carte? Non è una spiegazione per questa... questa... --Oh, solo certe carte... Penso che abbiamo quasi f inito, eh, Lyman? Sono contento di avervi visto, padre. --Oh, no, affatto. Non ti muovi di qui finché non m i dai una spiega- zione plausibile. --Scusate, padre, ma vi ho detto tutto quello che p otevo. E devo propno andare. rl duca stava andando su tutte le furie, come raram ente gli accadeva. --Tu... tu piccolo... te ne vai da qui, vestito da vero gentiluomo, e dici che vai in viaggio di piacere. E sei mesi dopo ti t rovo vestito come un barbone, che vai in giro con i borghesi e ti intruf oli nelle case degli al- tri. Che cosa significa? Che cosa sig~ifica? --Scusate, padre. Io mi diverto così. --Ma io non mi diverto affatto! Smettila subito con queste scioc- chezze o ti... ti diseredo. --Sarebbe un vero peccato per il ducato. --Ti taglio i viveri! Controllo ancora quasi tutto il tuo reddito, lo sai. Sir Howard fece attenzione a non mostrare quanto qu ella minaccia lo sconvolgesse.--Oh, posso cavarmela lo stesso. Se ci sarà proprio bi- sogno, ci uniremo a un circo. --Farai che cosa? Ma non puoi ! Insomma, è insensat o. Un Van Slyck che lavora in un circo! --Sareste sorpreso. Vi ricordate del prozio Waldo? Quello che ha

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truffato quei banchieri? Potrei trovare lavoro come forzuto, e Lyman sa fare giochi con la corda. Tireremo avanti. rl duca sospirò profondamente.--Hai vinto. Howard, io non ti capi- sco. Pensavo fossi diventato una persona di buon se nso, con la testa sulle spalle, e tu ti comporti così. Ma hai vinto. Piuttosto, qualsiasi co- sa! Un artista da circo!--Rabbrividì.--A proposito, come avete fatto a scavalcare il muro? --Lyman ha tirato il lazo intorno a uno dei merli d ella fortificazio- ne. Sapete che cos'è un lazo, una corda con un capp io mobile. E un esperto. Quando avete fatto costruire il muro, rico rdate che vi avevo avvisato di non mettere quelle merlature in cima? --Non ci resteranno per molto! --Oh, prima di dimenticarmi--disse con indifferenza Sir Howard --abbiamo qualche cucciolo nei canili? _ Fammi pensare... Sì, Irish Mist ha figliato circa sei mesi fa, e ce ne sono alcuni che non abbiamo ancora dato via. Ne vuo i uno? --Sì, mi piacerebbe. _ E perché, se non ti secca la curiosità di un vecc hio? --Oh, avevo solo pensato di regalarlo a una persona . --Una persona, eh? Spero solo che non sia un'altra borghesuccia. --Oh, non dovete preoccuparvi del blasone dei Van S lyck. Niente di serio, ricambio solo un favore. _ Un favore ! Ci sono tanti tipi di favori.--Il duc a li condusse ai ca- nili, e Sir Howard illuminò con la torcia i cucciol i di terrier irlandese che uggiolavano. Ne prese uno. --Non vuoi qualcosa per trasportarlo? --Sì, se ci fosse un cestino o qualcosa del genere. _ Mmm... Penso che questo vada bene. Sei sicuro di non volere re- stare qui con il tuo amico per stanotte? --No, comunque grazie. Ci vediamo. E, a proposito, meglio non par- lare di questa visita. _ Non preoccuparti! Non voglio far sapere a tutti c he mio figlio è di- ventato matto! Stai attento, vero? E cerca di torna re indietro tutto in- tero. Se succedesse qualcosa non potrei sopportarlo . Ti prego, Ho- ward. Addio e buona fortuna! --Odio trattare così il mio vecchio. Spero di poter gli spiegare tutto, un giorno. --Mmm. In effetti, sembrava un po' incavolato. Di', How, forse non è stata una grande idea cercare di arrivare a Renss alaer. Forse avrem- mo dovuto fermarci per la notte a Hudson. Sarà più buio dell'inferno. E credo che stia per piovere.--Haas si staccò dalla pelle il davanti della camicia bagnata.--Che mi venga un colpo se mi piace la vostra estate umida. Soprattutto quando va a piovere. I ve stiti ti si appiccica- no addosso.

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--Se comincia a piovere ci fermiamo a Valatie. Non è molto lonta- no. Abbiamo appena passato Kinderhook. --Meglio che accendi la torcia, o finisci nel fosso . La bestiolina è an- cora nel cestino? Carino, il diavoletto. Oh-oh, ecc o un lampo, laggiù a ovest. Se avevo i pantaloni di cuoio mi proteggevo dall'acqua. --Il lampo era sulle Helderberg. La pioggia non arr iverà per qual- che ora. Trotto! Plop-plop-plop-ptop facevano gli zoccoli. Qualcosa. .. Qualcosa fece rizzare i capelli sulla nuca a Sir Howard. Sbagliav a, o c'era un leggero odore di formaggio? --Alt, Uomo!--Era il cinguettio familiare e odioso. Sul suo viso era puntata una luce accecante. Si guardò intorno cerca ndo Haas, ma lui e la sua cavalcatura sembravano svaniti nel nulla. Ce n'erano due, in uno déi loro veicoli a due ruote . Per meglio dire, uno era nel veicolo, e l'altro era fuori e lo squad rava. Tolse il piede de- stro dalla staffa.--Non smontare!--Nel buio si sent irono dei trilli e dei cinguettii, e quindi l'ordine:--Dammi le redini ! Il veicolo avanzava a meno di dieci chilometri all' ora; dietro trotta- va Paul Jones. Uno dei saltatori teneva la testa vo ltata indietro per controllare il cavaliere. Pensò, questi fanno parte della pattuglia stradale. Mi portano alla stazione di Valatie (che i saltatori si ostinavano a chiamare Vallity, con gran fastidio degli abitanti, che dicevano Valaysha ). Mi interrogheran- no, probabilmente usando la veramina. Vorranno sape re la mia vera identità. Potrebbero volere perfino informazioni su Elsmith. Non devo dire niente. Dovrei uccidermi, piuttosto. Ma forse c'è una scappatoia più semplice. Inutile cercare di scappare. Hanno le fotoelettriche e i fu- cili. Ma se quello là avesse un crampo al collo... E frugò di nascosto in uno dei contenitori della sella. La processione si fermò alla stazione di Valatie. D avanti alla porta era di guardia un saltatore con un lungo fucile. I due saltatori scesero dalla moto. Un altro uscì dalla porta, e all'interno ce n 'era un quinto davanti alla macchina per scrivere. --Smonta, Uomo. Oh, Dio, pensò. Non devo barcollare. Devo restare l ucido. Tirò fuori il cagnolino grigio dal cestino sulla groppa di Pau l Jones. --Entra. Aspetta! Lascia fuori la spada. Il cavaliere slacciò a tentoni il cinturone e appog giò l'arrna contro il muro della stazione. --Che cos'è?--La torcia fece chiudere gli occhi al cucciolo.--Nel- la stazione è vietato l'ingresso ai cani. Devi lasc iare fuori anche lui. --Scapperà, vostra eccellenza. --Allora rimettilo nel cestino. --Il cestino è scoperto, vostra eccellenza. Salterà fuori. Un cinguettio nel buio. Poi:--Allora lascialo con l a sentinella. Lo terrà lui.

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La sentinella prese in mano il guinzaglio, cercando di dare una grat- tatina dietro alle orecchie al cucciolo con l'altra mano. Il cane indie- treggiò più che poté, tremando. Sir Howard entrò go ffamente nella stazione con una perfetta andatura da borghese. --I tuoi documenti, Uomo. Siediti. Qua il braccio. L'ago entrò. I saltatori scartabellarono i document i. Pensò, devo parlare bene. Spero che funzioni. Se Di o esiste, spero che mi faccia dire le cose giuste. Mi sembra che pe r Elsmith Dio non esista; perlomeno, certe volte mi ha dato quest'imp ressione. Ma se esi- ste, spero che mi farà dire le cose giuste. Eccola, quella sensazione di formicolio e di vertig ine. Devo dire le cose giuste. Se comincio a dire quelle sbagliate, h o sempre il mio col- tello a serramanico. Potrei tirarlo fuori velocemen te prima che riesca- no a fermarmi. Penso che il punto migliore sia la g ola. Non sono sicuro che la lama sia abbastanza lunga per il cuore. Famm i dire le cose giu- ste... Ora iniziava. Il saltatore che sembrava essere il c apo alzò lo sguardo dai documenti.--Sei Charles... Weier? --Sì, vostra eccellenza. --Sei un giocatore di hockey professionista? --Sì, vostra eccellenza.--Speriamo che non mi facci ano domande sull'hockey! --Dove sei nato? Questa domanda era in forma diversa; poteva essere un tranello. Do- veva rispondere: Ballston Spa. --Ballston Spoh, vostra eccellenza.--Grazie a Dio, se l'era ricorda- to! Se avesse obbedito all'impulso di usare la pron uncia meridionale di Spa, si sarebbe tradito. Cinguettii. Poi:--Sai qualcosa sul conto di un uomo , della tua stes- sa statura e con i capelli scuri come te, che ultim amente è stato segna- lato nella regione dell'Hudson-Mohawk, e che a volt e si fa passare per William Scranton, e altre volte finge di essere Sir Howard van Slyck, figlio del Duca di Poughkeepsie? --No, vostra eccellenza.--Sperando di non confonder e il suo vero nome con quelli falsi! Scranton--Weier--Van Slyck - non era più si- curo di sapere chi era. --Questi documenti sembrano in ordine. Stiamo esami nando uomi- ni con le tue caratteristiche fisiche nel tentativo di risolvere la scom- parsa di uno dei nostri agenti, avvenuta il mese sc orso. Ne sai qualco- sa? --No, vostra eccellenza.--Urrà, ce l'aveva quasi fa tta! Ulteriori cinguettii. Se si fosse trattato solo del l'ordine di controlla- re i timbri sul suo permesso di viaggio con i regis tri di Albany e di Poughkeepsie, sarebbe andata bene. I timbri erano a utentici. Ma se si fosse trattato di controllare il permesso con gli a rchivi centrali di New York, sarebbe stato un altro discorso.

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--Siamo soddisfatti, Uomo. Puoi andare.--La grinfia pelosa gli gettò i documenti attraverso il tavolo. Non devo ba rcollare quando mi alzo. Non devo neppure essere troppo spavaldo. 480 ~ 481 ~ ~ ~ Davanti alla porta non c'era traccia di sentinella. Il suo lungo fucile era per terra. Sull'orlo della luce che veniva dall a porta aperta c'era il suo elmetto di cuoio. Sir Howard era stupefatto. Non aveva idea di cosa p otesse essere successo. Se fossero usciti e avessero scoperto che la sentinella era spa- rita avrebbero frugato dappertutto per scovarla - e per scovare lui. Si voltò.--Eccellenze! --Che c'è, Uomo? Ti avevamo detto di andartene --La vostra sentinella si è portata via il mio cane . I quattro saltatori schizzarono fuori dalla stazion e. Esaminarono il fucile e l'elmetto abbandonati, facendo più rumore di un negozio di uc- celli. Un paio balzarono via nel buio trillando, po i tornarono indietro. Agitarono le grinfie e scossero la testa, gorgoglia ndo. Uno balzò al- I'interno e cominciò a trillare nel microfono. --Che aspetti, Uomo?--Di nuovo il capo.--Qui non so no richiesti i tuoi servizi. --Il mio cane, sua eccellenza. Il saltatore sembrò riflettere brevemente.--Uomo, i l tuo comporta- mento è stato improntato a un senso di cooperazione ammirevole. In ricompensa terremo qui il tuo cane se lo troveremo, per speciale con- cessione, finché non verrai a reclamarlo. Naturalme nte dopo che avrai pagato una somma a titolo di deposito per coprire i costi di custodia. Un dollaro sarà sufficiente. Il senso del risparmio di Sir Howard lo fece trasal ire, ma pagò, si riallacciò la spada, e condusse via Paul Jones. Quando fu abbastanza lontano dalla stazione cominci ò a fischiare prima piano, poi più forte. Si udì un ticchettio di unghie sul selciato, i rumore di un guinzaglio che si trascinava, e poi la pressione improv- visa delle zampe sul ginocchio. Mise nel cestino il cucciolo, che si di- menava freneticamente per la contentezza, montò in sella e si allonta- nò. Gli dava fastidio aver lasciato il dollaro al s altatore, ma tornare in- dietro a reclamarlo era un rischio troppo grande. --Ehi, How!--sibilò qualcuno nell'oscurità. --Lyman! Che ti è successo? --Avevo visto che quelli ti aspettavano, ma non ho potuto avvertirti perché eri troppo avanti, proprio sopra di loro~qua ndo li ho visti. Pri- ma che accendessero la luce ho fatto saltare Queeni e in un fosso e poi per i campi. Ho visto che i saltatori ti portavano via, e li ho seguiti at- traverso i campi per non farmi sentire. E a te, che cosa è successo? Sir Howard gli raccontò tutto. --Dici davvero? Quello di guardia è sparito di bott o? Che mi ven- ga... Ma come hai fatto a non dirgli la verità, se ti hanno drogato con

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quella roba? --Se per caso qualcuno si accorge di una bottiglia vuota di whisky nel fosso vicino alla stazione di Valatie, forse pu ò fare due più due... El- smith ha detto che l'alcol contrasta l'effetto dell a veramina sul sistema nervoso, e credo che avesse ragione. Ma tra l'uno e l'altro non mi sento molto bene. Faresti meglio ad andare, Lyman. Credo proprio che il li- quore mi farà stare male per la seconda volta nella mia vita. --Va bene. Meglio puntare a destra, è sottovento.-- Più lontano rombb il tuono.--Ragazzo, mi è caduto un bel goccio lone sulla mano. Mi sa proprio che stanotte ci inzuppiamo. Ma che di avolo. Preferisco stare al bagnato fuori da una casa di saltatori, ch e all'asciutto dentro. 12 --Oh, grazie, Howard, grazie mille davvero. L'ho se mpre desiderato. "Non male come reazione" rifletté "soprattutto cons iderando che il cucciolo non mi è costato un soldo, a parte quel ma ledetto dollaro di deposito. Chissà che effetto farebbe una bici nuova . Vediamo... Una bella bici costa... Magari potrei trovarne una all' ingrosso. Oh, no, lui è di nuovo qui" pensò con disgusto il cavaliere. Apparve Lediacre, che cominciò a fare versi in fran cese al cucciolo, che sembrava sbalordito di tanta attenzione. --Non so--disse Elsmith.--Se lo si può addestrare c ome si deve, sarà un vantaggio, ma se si dimostrerà un cane che sa soltanto abbaia- re, dovremo eliminarlo. Attirerebbe l'attenzione. B ene, Weier, che co- s'hai da riferire? Entrarono, e Sir Howard sparpagliò le carte che ave va trovato, rac- contando nel frattempo gli avvenimenti.--Faremo del le prove su que- sti fogli bianchi per essere sicuri che non siano s critti con l'inchiostro simpatico, anche se non penso che ci sia qualcosa. La sentinella è spa- rita nel nulla lasciando fucile ed elmetto, eh? E s trano. Cosa sai di quello che faceva tuo fratello con gli insetti? Tie ni presente che abbia- mo perso i contatti con lui per due mesi prima che morisse. --Non molto--rispose Sir Howard.--Sono anche stato lontano da casa per la maggior parte di quei due mesi, e lui n on mi ha mai fatto confidenze. ~on sapevo neppure dell'esistenza del l aboratorio, finché non sono tornato a casa dopo che mi hanno dato la n otizia. E ormai lo- ro avevano distrutto tutto, e confiscato quello che non avevano distrut- to. Hanno buttato gli insetti nel cortile. Per una settimana siamo stati infestati. --Mmm. Mmm.--Elsmith si accese un sigaro.--Secondo me tuo fratello, i suoi insetti e la scomparsa della senti nella sono collegati, an- rhr Cf~ nnn rif~Cco a can_ire come. Sir Howard prese in mano l'appunto con il titolo en igmatico PULEX IR~.--Avete idea di cosa può significare, signore? --Suppongo stia per Pulex imtans, la pulce comune. M-146 potreb- be essere il numero di una mutazione artificiale, a mmesso che tuo fra- tello stesse lavorando sulle mutazioni. Sai cosa so no, vero? La scritta a destra significa probabilmente 'fattore di riduzion e 0,17', e cioè che dopo un dato periodo in determinate condizioni solo un sesto di un da- to numero di pulci è sopravvissuto, come potrebbe s uccedere con la va- rietà normale, non mutante. I punti esclamativi acc anto a M-149 do- vrebbero significare che aveva scoperto un tipo di pulce che resisteva a queste condizioni, quali che fossero, analogamente a come il tipo nor-

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male resiste alle condizioni normali. Sir Howard rifletté.--Le pulci non mordono i saltat ori no? Lo dico- no tutti che le mosche e le zanzare non danno mai f astidió a quelle co- se. C'è... Ehii!--Più tardi, Sir Howard pensò che f osse stato il momen- to più importante della sua vita. Non si spiegava c ome c'era riuscito. Passò in un lampo dalla confusione e dallo smarrime nto alla chiarez- za. Vide mentalmente l'immagine ormai familiare di un animaletto grigio che si grattava, si grattava.--E il cucciolo ! --Cosa? Cosa? Non farlo più, ragazzo mio. Perlomeno non al chiuso, se non vuoi farmi venire un infarto. --Il cucciolo, il cane. Supponiamo che Frank abbia scoperto una pulce mutante a cui piacessero i saltatori. Quando loro hanno buttato via tutti i suoi insetti, alcune di queste pulci pa rticolari hanno rag- giunto i canili ed erano sul cucciolo che ho dato d a tenere alla sentinel- la. Un paio di queste sono andate in perlustrazione e sono passate sulla sentinella. --Allora? --Allora, che cosa fareste se aveste un cappello in testa e una pulce passasse sotto e vi mordesse il cuoio capelluto? --Mi toglierei il... Per Giove, ho capito. E incred ibile ma ci azzecca Di solito gli insetti non pungono i saltatori perch é l'emócianina del lo ro sangue è indigesta. Ma se tuo fratello avesse sv iluppato una pulce che si nutrisse di emocianina come di emoglobina... e il saltatore, non avendo mai provato a essere morso dagli insetti imp azzisse quasi per il fastidio - non hanno portato con sé parassiti speci fici dal loro pianeta - si toglierebbe l'elmetto e non avrebbe abbastanza buon senso per ri- metterselo. Mentre quelle loro menti artificiali fo ssero concentrate su qualcos'altro, si toglierebbero l'elmetto per gratt arsi senza riflettere... Dove stai andando? Sir Howard era già alla porta.--Lediacre!--gridò.-- Dov'è il ca- ne? --E andato con Sally, amico mio. Anzi, lo ha preso lei. Ha detto che voleva fargli il bagno. --Dove? Dove? --Su alla sorgente. Volete che... Sir Howard non restò ad ascoltare; si diresse di co rsa alla sorgente. Il cuore gli batteva. In fondo al sentiero apparve un'immagine grazio- sa, incorniciata dagli alberi; Sally Mitten inginoc chiata di fronte a una tinozza, con il sole nei capelli. Sopra la tinozza teneva col braccio di- steso un cucciolotto grigio fumo, dall'aria perples sa. --Satly!--L'urlo frenetico, con tutta la potenza de l suo petto mas- siccio, echeggiò in tutta la foresta. --Cosa... Howard, che c'è? I saltatori ci hanno sco perti? --No... E il cane.--Fece una pausa per riprendere f iato. --Il cane? Stavo appunto per lavarlo. E strapieno d i pulci. --Grazie a Dio!--Puff, puff, pu~

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--Perché è pieno di pulci? --Sì. L'hai già messo dentro quella roba? --No. Howard van Slyck, sei diventato matto? --Per niente. Chiedi a tuo zio Homer. Ma io devo pr endere le pulci. Vieni, Mutt, Spike o come diavolo ti chiami. --Volevo chiamarlo Terence. --Bene. Vieni, Terence. Terence guardò il cavaliere, scodinzolò poco convin to, si sedette e cominciò a grattarsi. Quando riportò al campo il cane, ormai le idee spun tavano come funghi dopo la pioggia. Elsmith disse:--Probabilmen te solo una par- te delle pulci di Terence ci saranno utili. Dobbiam o trovare un modo di dividerle dalle altre. E sembra anche che ce ne sia no un bel po'.--Te- rence si mordicchiava il fianco setoso. Sir Howard disse:--Se avessimo un po' di sangue con l'emocianina, potremmo farglielo succhiare, e quelle che non muoi ono sarebbero quelle giuste. --Sì--rifletté Elsmith--e questo ci permetterebbe d i controllare la validità della nostra teoria. Però non so dove p otremmo trovare un quantitativo sufficiente di sangue di saltatori. Haas disse:--Magari potremmo rapire una di quelle b estie e to- gliergli il cappello, così sarebbe inoffensiva. --Bravo!--esclamò Lediacre.--Questo è il vero spiri to america- no, di cui in Francia parlano i libri. --Temo che sia troppo rischioso--disse Elsmith. --Dunque--continuò Lediacre--nient'altro possiede q uesto san- gue particolare? --E quasi identico a quello degli artropodi, soprat tutto dei crosta- _ ('r~ctz ~ s homards, le aragoste? --Allora abbiamo risolto il problema, amici miei! U n nostro uomo è direttore di Vinay Frères, un ristorante di New Yor k. Ci avete mai pranzato? Ma dovete! La loro zuppa di cipolle... ma gnifica! Mi metterò d'accordo con lui perché faccia dissanguare le arag oste prima di cuo- cerle. Non le rovinerà. E possiamo far contrabbanda re il sangue fin qui. Ma come si fa ad allevare le pulci? Non si può dire- "Qui, pulce qui" quando è ora di mangiare. --Per esempio si possono mettere sotto un bicchiere e poggiarlo sul polso. Allora mangiano quando vogliono. Ma se riemp issimo di sangue delle vescichette di gomma fine, che potrebbero buc are e poi succhia- re. . Una volta iniziato, I'allevamento di pulci crebbe a gran velocità. In media ci volevano cinque settimane per portare alla maturità una ge- nerazione, ma la loro capacità riproduttiva sembrav a illimitata alme- no quando venivano coccolate come facevano al campo sugli Adiron- dacks. Sir Howard non ebbe la possibilità di andare ad Amsterdam a

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cercare la bicicletta. Un viavai di uomini. Il picc olo Fitzmartin se ne andò tutto contento con l'incarico di costruire più elettrostati che po- teva, e dicendo che avrebbero cancellato assolutame nte quelle male- dette canaglie. Lediacre era spesso al campo. Per S ir Howard era una magra consolazione il fatto che, se lui era troppo indaffarato per fare la corte a Sally Mitten, il francese era nella stessa situazione. Lavoravano dalla mattina alla sera. Nel fianco della collina s i dovette ricavare un magazzino per sistemare migliaia di pulci. C'era un uomo di colore che veniva da un luogo dett o Missouri, che partì con parecchie migliaia di strani animaletti n ascosti nella fodera della sua consunta valigia di fibra. C'era un pelle rossa del sudovest, un Navvo, che si rivelò essere un cordiale nemico di H aas. E intanto gran- di pacche sulle spalle e tanti ricordi:--Di', ti ri cordi quando vi ábbia- mo fatto calare le brache a South Platte?--Come cal are le brache? Eravate due a uno, e anche così ci siamo ritirati i n buon ordine! --C'era Maxwell Baugh, il nuovo capo del ramo Hudso n-Mohawk del- I'Organizzazione, che riferì che i saltatori locali non avevano dato se- gno di sospetto, ma erano ancora preoccupati per la storia della senti- nella, che era stata ritrovata mentre vagava come u n idiota e incapace di dare una spiegazione coerente del suo comportame nto dopo che le era stato rimesso l'elmetto. Sir Howard cominciò ad apprezzare che il mondo foss e così grande. Gli sarebbe piaciuto chiedere a quegli uomini di di versa statura e colo- re qualcosa sul loro paese d'origine. Ma non ce n'e ra il tempo; andava- no e venivano furtivamente, fermandosi solo pochi m inuti. Terence ab- baiava, poi una forma spettrale nell'oscurità, paro le d'ordine, sussurri, e l'uomo se n'era andato. --Adesso--disse Elsmith--stiamo ad aspettare. Ci vu ole un certo lasso di tempo. --Che intendete, signore? --Il tempo necessario perché i nostri messaggeri ra ggiungano le di- verse parti del mondo. Prima dell'avvento dei salta tori, si poteva arri- vare dovunque in pochi giorni, con le macchine vola nti e i veicoli terre- stri. Ma con i mezzi di trasporto più veloci che ab biamo, per arrivare in Asia centrale ci vuole un mese intero. Perciò do bbiamo aspettare. Per fortuna quasi tutti i messaggeri dei paesi più lontani sono partiti presto. Per risparmiare tempo abbiamo mandato molti dei nostri. Ma uno di loro, che doveva raggiungere l'lberia, è sta to trovato dai saltato- ri. Si è gettato nel golfo di Biscaglia e si è anne gato prima che potesse- ro strappargli delle informazioni. Ma abbiamo dovut o mandare un al- tro carico di pulci. "Perciò, ragazzo mio, per le prossime cinque settim ane puoi pro- grammare di passare il tempo andando a caccia, a pe sca, e dedicandoti al giardinaggio." --Signore, domani vorrei andare ad Amsterdam... --Temo di no, Van Slyck. Per il mese prossimo dovre mo farci notare il meno possibile. Sarebbe intollerabile se qualcos a andasse storto al- l'ultimo minuto. I saltatori non hanno mostrato sos petti, ma chi può dire che non stiano facendo il gioco del gatto col topo? E così non ci sarebbe stata la bicicletta per Sally Mitten. E Lediacre sarebbe tornato fra pochi giorni. Oh, al diavolo! --Quante pulci abbiamo allevato in tutto, signore?

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--Non saprei davvero. Circa 50 milioni. --Non mi sembra abbastanza. Ci sono 20 milioni di s altatori. Mi sembrerebbe che dovremmo avere più di due saltatori per pulce... Vo- glio dire, due pulci per saltatore. Per quanto anch e le pulci saltino. --Le avremo. I messaggeri creeranno delle stazioni per l'allevamen- to di altre generazioni di pulci in varie parti del mondo. Anche se avranno tempo per aspettare lo sviluppo di una gene razione sola. Al- cuni le stanno facendo crescere in viaggio. --Come fanno a mantenerle in vita? --Male che vada, hanno pur sempre il loro corpo. --Quand'è il giorno stabilito? --Il primo ottobre. L'attesa si rivelò più faticosa dell'attività, malg rado Sir Howard fa- cesse il possibile per accelerare lo scorrere del t empo. Si gettò nelle oc- cupazioni che aveva a disposizione con un'energia f eroce, come quan- do camminò per otto chilometri tenendo in spalla un montone che ave- va ucciso. Andava poco a pesca. Era un'attività tro ppo poco movimentata, e poi c'era la probabilità di arrivare a Sly Pond e trovare Sally Mitten e Lediacre nella barca che dondolava t ranquillamente in mezzo al laghetto. Non era affatto divertente resta rsene orgogliosa- mente a riva, e dopo la seconda occasione non ne av eva cercate altre. 486 1 487 ~L ~ Preferiva andare al lago di Little Moose con i suoi binocoli da uccelli a guardare una coppia di falchi pescatori tuffarsi pe r prendere il pesce. Leggeva avidamente. Verso la fine di settembre, quando gli aceri si riv estirono di rosso e d'oro, giunse Maxwell Baugh per discutere nei detta gli i piani per la sollevazione dello stato di New York. Sir Howard fu stupito di sapere che era stato designato per guidare un contingente di cavalleria pesan- te contro quei saltatori di Albany che non fossero stati colpiti dalle pul- ci. I piani erano stati elaborati da tempo. Bastava solo infilare gli indi- vidui al loro posto nello schema. Sir Howard alzò l'elmo.--Questo--disse--è il bowl. Questa è la visiera. Questa è la baviera. --Mamma mia!--esclamò Sally Mitten.--Immagino che a nche tutte le altre parti dell'armatura abbiano il loro nome. --Guarda, guarda, cara, non dirmi che ho trovato un argomento in cui ne so più di te? Certo che hanno il loro nome, e hanno tutte la loro &nzione. E io so tutto. --Che peccato, Howard. --Eh? --Voglio dire che, se vinciamo, le armature cadrann o in disuso ab- bastanza in fretta, vero? Avremo le armi da fuoco. --Dio mio, non ci avevo pensato! Eppure, credo tu a bbia ragione. --E avremo anche i veicoli a motore. Chi vorrà anda re a cavallo

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quando si potrà viaggiare in macchina a cento all'o ra? --Mi sa che hai vinto di nuovo, signorina. Ho impie gato degli anni per imparare a montare a cavallo, a tenere la lanci a, a tirare di scher- ma, a saltare con indosso un'armatura di venti chil i. Più stratagemmi delle mosche intomo a un cavallo morto. E ora contr ibuisco a rendere inutili tutte queste preziose conoscenze. Ma direi che ormai è troppo tardi per rimediare. --Oh, sono sicura che te la caverai benissimo. Sei un ragazzo pieno di risorse. A proposito, non sono mai riuscita a ca pire come facciano a muoversi i cavalieri con un'armatura completa. Dovr ebbero sentirsi come una tartaruga a pancia in su. --Non è così difficile. Il peso è ben distribuito, e le giunture e le placche mobili permettono una certa libertà di movi mento. Ma se cer- chi di salire le scale di corsa ti rendi conto di p ortare qualcosa addosso. --Penserei che la maglia di ferro sia preferibile. Non è più leggera e più flessibile? --Questo è quello che pensano tutti quelli che non l'hanno mai usa- ta. A parit~à di protezione, ha quasi lo stesso pes o. E c'è l'imbottitura. --L'imbottitura? --Sì. Senza quattro o cinque centimetri di imbottit ura di cotone sotto, non serve a molto. Un colpo ti romperebbe le ossa anche senza trapassarti. E, una volta completata I imbottitura, non è molto più flessibile di una corazza, ed è anche più calda del caminetto del demo- nio. La maglia di ferro è adatta per una camicia co me quella di Lyman Haas. Giusto per evitare che qualche simpaticone ti infili un pugnale tra le costole nel cuore della notte. Allacciò la fibbia dell'ultimo cinturino, prese l'e lmo e si alzò in pie- di. Il fuoco copriva di bagliori rossi la sua armat ura.--Siete pronti, ragazzi? --Seee--rispose Cahoon.--Pronti. --Da mezz'ora--disse Haas.--Così imparo a lasciare tanto tempo alle aragoste per mettersi il guscio. --Howard... --Sì, Sally? --Volevo dirti una cosa... Sta' attento a non espor ti. Chi non ha mai affrontato un fucile non ha idea di quanto sia mort ale. --Oh. Non preoccuparti. Anch'io ho una paura matta di quei cosi. Ci vediamo. Spero. Plop-ptop-plop-plop facevano gli zoccoli. La nebbia si stava alzando sul Mohawk. Non si vedevano altro che gli uomini dello squadrone e la strada nera e lucida. La bruma si condensava sulle armature e forma- va dei rivoletti d'acqua. Usciti da Schenectady superarono gli alti pennoni d ella sede delle telecomunicazioni. Un focherello alla base del penn one più vicino era un punto arancione nel grigio. Intomo al pennone c' erano tre uomini, e un quarto era inginocchiato davanti alla base. Stav a tranciando un ca-

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vo con una mannaia da macellaio. La mannaia faceva chunk. Chunk. Chunk. Chunk. --Eccoci a McCormack Corners--disse uno. --Perché Weier ci porta in giro in questo modo?--ch iese un altro. --Per Colony è più corta. --Boh. Forse vogliono lasciare libera l'autostrada di Mohawk per qualcun altro. Si fermarono. Più avanti si sentì l'acciottolio di molti zoccoli. --In fila per uno--disse Sir Howard con voce barito nale.--Avan- Raddrizzarono la fila e videro che un gruppo numero so di uomini senza ammatura con le balestre appese alla sella tr ottava lungo l'auto- strada di Cherry Valley. Uno di loro gridò:--Ehi, a ragoste! Che cosa siete venuti a fare? Non sarete più utili delle ara goste vere! Siamo noi che combattiamo sul seriol --Siamo noi che attacchiamo i saltatori quando sbuc ano fuori, e voi taglierete la corda--ribatté uno degli armati.--Vis to qualcuno? --Uno solo--rispose un balestriere.--Vicino a Duane sburg. Mai vista una cosa tanto ridicola. E rimasto lì sulla s ua moto a guardarci passare. Non ha mosso un dito. Pensava che fossimo solo una fazione di una guerra locale, credo. --Fazione di una guerra localel Questa è buona! --Non ha mosso un dito. Non ha neanche detto: «Alt, Uomini!«. Scommetto che non si aspettava che Schuyler, davant i, lo infilzasse. --E allora che cosa ha fatto? --E caduto e ha squittito per un po'. Poi ha smesso di squittire. I balestrieri andarono avanti. Stava facendosi gior no. La bruma si dissolveva. Davanti a loro, il sole rosso sfumato d i arancione colorava allegramente le armature. --Vedo il grattacielo dell'Ufficio--disse uno.--Dit e che dentro ci saranno dei saltatori? --Probabile--rispose un altro.--Vanno a lavorare pr esto. Uno dei motivi per cui non mi sono mai piaciuti sono i loro orari. --Secondo te, andare a lavorare alle sette è presto ! Dovevi lavorare in una fattoria, amico. --Forse ci vedranno. --Forse. Si accorgeranno che qualcosa non va. Quel generatore elet- trostatico dovrebbe cominciare a funzionare da un m omento all'altro. --Hanno armi nel grattacielo dell'Ufficio? --Già. Penso. --Voglio dire, quelle grosse... Le chiamano artigli eria.

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--Be', non siamo a Watervliet. - No. Ma da Watervliet possono sparare fino ad Alba ny, se voglio- - Eh? Non esiste niente che spari così lontano. --Oh, sì. Possono sparare fino a Kingston se voglio no. Ecco perché hanno fatto le macchine elettrostatiche. Così i sal tatori non possono dirsi via radio dove sparare. --Ho sentito che anche noi abbiamo delle armi da fu oco. --Qualcuna, penso. Un po' le hanno rubate ai saltat ori, un po' le hanno costruite. Il problema è che nessuno sa come farle andare. Ave- vo pensato di unirmi a una pattuglia armata, e loro mi hanno detto di tenermi stretto il vecchio stuzzicadenti. --Di', chi è quella mezza cartuccia che sta davanti con Weier? Quel- lo con quel cappello strambo. --Boh. Viene da un posto che si chiama Wyoming. Giù nel Sud, cre- do. --Non capisco come fa a correre con quel cappe llo. Fa troppa resi- stenza. --Ehi, non era uno sparo quello? --Già. Sembra. --Stanno proprio sparando. Meglio che Weier si sbrighi, o ci perdia- mo il divertimento. Ad Albany i vetri tremavano sotto il fuoco ince ssante, e Sir Howard condusse la sua pattuglia dietro il palazzo del l'Educazione, di fronte al grattacielo dell'Ufficio. Lungo tutta Elk Stree t piccoli gruppi di uomi- ni erano in attesa. Il cavaliere disse ai suoi uomini di aspettare, smontò e girò velocemente dietro l'angolo. Il fuoco proveniva soprattutto dal grattacielo dell'Ufficio. Tutte le fi- nestre ai piani inferiori del palazzo erano inf rante. Gli edifici circo- stanti vomitavano frecce e dardi. Agli incroci erano state erette delle barricate. Dietro di esse erano appostati altri balestrieri e alcuni uomi- ni armati di fucili e di pistole. Eli Cahoon er a dietro una delle più vici- ne. Andava da un uomo all'altro e diceva:--Ades so fa' con calma, fi- gliolo; premi il grilletto lentamente.--Davanti alle vetrate in frantu- mi del grattacielo dell'Ufficio giacevano ammuc chiati parecchi saltatori senza elmetti. Una ventina circa di c adaveri erano sparpa- gliati nella vasta Piazza del Campidoglio. Stav a alzandosi il vento. Sollevava le foglie gialle e marroni ammucchiat e nei canali e le faceva volteggiare allegramente sulla piazza. Sir Howard scorse un ufficiale, un uomo vestit o con un comune abi- to da caccia con una fascia sul braccio.--Ehi, Bodansky! Sono pun- tuale, spero. --Grazie a Dio siete arrivato, Weier! Prendete il comando. --Cosa? --Già. Tutta la baracca. Baugh è morto. Ha gui dato la carica cer- cando di sfondare al piano terra. Haverhill non si è visto; non si sa che fine abbia fatto. E McFee ha avuto il braccio s pappolato da una pallot- tola. Quindi tocca a voi. --Fiuu! Com'è la situazione? --Così così. Noi non possiamo entrare, e loro non possono uscire. Olsen ha liberato le pulci secondo il programma ; hanno attaccato qua- si tutti i saltatori. Ma ne sono rimasti abbast anza per rimettere a qual- cuno l'elmetto. Quelli che non si erano rimessi l'elmetto sono usciti dalla porta principale come cretini, e i ragazz i hanno sparato nel muc- chio. Non credo che riuscirà a farli caricare u n'altra volta. Hanno visto

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cosa è successo al primo gruppo. _ E i trasformatori a cono? t --Ne hanno un paio, ma non possono usarli perc hé abbiamo tolto I'energia alla città. Abbiamo preso subito la centr ale elettrica. Aveva- no anche qualche raggio convulsivo, ma di quelli pi ccoli, che arrivano a un metro e mezzo. Ecco Greene.--Un altro ufficial e correva verso di loro. --Le munizioni dei fucilieri non dureranno molto--a nsimò.--Co- munque la metà è troppo vecchia per funzionare. E s tanno sparando a caso. --Dite ai fucilieri di cessare il fuoco--ordinò Sir Howard. Si senti- va allo stesso tempo sbigottito per la responsabili tà inaspettata e straordinariamente importante.--Ci serviranno più t ardi. --Archi e frecce non raggiungono i piani superiori. --Da qui non possiamo fare molto in ogni caso. Dobb iamo trovare il modo di entrare nei piani inferiori.--Rifletté un m omento. Si aspet- tavano che tirasse fuori qualche idea brillante. Di versamente, lo avrebbero considerato un fallimento. Alzò la voce:- -Ehi, Eli! Eli Ca- hoon! Il vecchio del New England avanzò con passo furtivo . --Eh? --Secondo te, sta per alzarsi il vento? --Mmm. Forse. Non mi stupirebbe.--Guardò il cielo, le foglie svo- lazzanti.--Nord ovest, tra un'oretta. --Bene. Bodansky, fate costruire un'altra barricata nel cortile sul retro del palazzo dell'Ufficio. Usate i mobili, qua lsiasi cosa. Dite ai ra- gazzi di stare sotto, che non gli sparino addosso d ai piani alti. Portate tutte le cassette e i cartoni che trovate in città. Fate un mucchio sul la- to ovest della barricata. Portate più foglie secche che potete. --Un falò? Li affumichiamo? --Sì. E portate tutte le pattumiere di Albany! Gli insegniamo qual- cosa sugli odori! Ehi, St.John! Faccia uscire i vig ili del fuoco. Accen- diamo un falò, e quando il fumo sarà più denso port eremo i camion sul marciapiede davanti al grattacielo dell'Ufficio, e i ragazzi useranno le scale per entrare dalle finestre. Passò dall'altra parte della piazza da dietro gli e difici, controllando le disposizioni e parlando con gli ufficiali in dif ficoltà. C'erano uomini con l'armatura, uomini in tuta, in borghese. Uomini con ganci da bo- scaiolo, con l'arco, con coltelli da macellaio lega ti all'estremità di pali. C'erano alcuni morti, e ogni tanto veniva portato v ia qualche ferito. Il mucchio di combustibili assortiti aumentava, dav anti al gratta- cielo dell'Ufficio. I vigili del fuoco non si vedev ano. Ma certo, pensò, so- no quasi tutti sulla linea del fuoco. Sono stato st upido. Deve pur esser- ci qualcuno che aggioghi i cavalli. Dovrò trovare q ualcuno per legarli. Dava ordini e gli uomini correvano via, esitavano e tomavano indietro a farseli ripetere. Il falò cominciò a crepitare e a fare fumo. Fumava che era una mera-

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viglia. C'era quel tanto di brezza sufficiente per avvolgere il grattacie- lo dell'Ufficio in un velo di fumi perlati, sicché si vedeva solo in parte. Sir Howard sentì un uomo lì vicino che tossiva, dic endo:--Ma chi dia- volo vogliono affumicare, noi o i saltatori? Si udì un ronzio rauco, e una macchina volante pass ò sopra gli edifi- ci. Uno dopo l'altro, gli uomini smisero di sparare per fermarsi a guar- darla ansiosi. Questa disegnò un cerchio e tornò in dietro. --Ci bombardano?--chiese un ufficiale. --Gli piacerebbe--rispose Sir Howard.--Ma non sanno dove bombardare. Hanno paura di colpire i loro. Dite ai vostri ragazzi di stare attenti al grattacielo dell'Ufficio, e di non preoccuparsi dell'ap- parecchio. La macchina riapparve, molto più in quota e diretta a nord. Era qua- si invisibile oltre gli edifici, quando scomparve i n un lampo accecante, come di magnesio. Sir Howard sapeva che cosa stava per succedere, e aprì la bocca. Lo spostamento d'aria fece barcollar e gli uomini, e qual- cuno cadde. Il cavaliere dopo un momento capì che i l tintinnio non era nella sua mente, ma erano i vetri di migliaia di fi nestre che andavano in frantumi. Dappertutto facce spaventate, parecchi perdevano sa ngue dal naso. Avrebbero abbandonato il campo in un momento. Corse davanti alla linea e spiegò:--Tutto bene! Abbiamo preso Watervli et! Abbiamo puntato uno dei loro raggi X sulla navicella e abbi amo fatto saltare le bombe! Va tutto bene! --Stanno uscendo!--gridò qualcuno. Sir Howard si guardò intorno. Ora che l'arsenale er a perduto, sareb- be stato logico che i saltatori abbandonassero il c ampo. Avrebbe dovu- to trovarsi con il suo squadrone di cavalleria dall 'altra parte della piazza. La sparatoria proveniente dal grattacielo d ell'Ufficio era dimi- nuita. Avrebbe impiegato tutta la giornata per allo ntanarsi dalla zona di fuoco. Scavalcò una barricata, quasi cadde sotto il peso dell'arma- tura, e cominciò a correre attraverso la piazza nel modo strano e bar- collante di chi indossa un'armatura. Era quasi in mezzo alla piazza, quando i saltatori schizzarono fuori dal grattacielo dell'Ufficio uscendo dalle porte pr incipali. Gli era pro- prio di fronte. Dai fucili che tenevano fra gli art igli partì una scarica di pallottole. Non fu toccato. Continuò a correre. Dai saltatori partirono spari a raffica, qualcosa gli colpì la spalla sinis tra e rimbalzò via stri- dendo. Fece un mezzo giro su se stesso e cadde. Gra zie a Dio è stata so- lo una pallottola vagante, pensò. Meglio fare il mo rto per un po'. Ca- dendo, gli era sembrato di udire un lamento nell'es ercito degli uomini, ma era tutta presunzione, perché la maggior parte d i loro non sapeva neppure chi fosse. Guardò verso i saltatori con la coda dell'occhio. At- traversavano la piazza diretti verso gli edifici. D ovevano essere una cinquantina; minimo erano trentacinque. Dardi sfrec ciavano contro di loro, ma quasi sempre mancavano il bersaglio. Un a freccia rimbalzò sul dorsale di Sir Howard. Dio, pensò, uno di quest i idioti non vorrà uccidermi per sbaglio? I saltatori avevano fatto di etro-front e stavano tornando da dove erano usciti. Sir Howard riuscì a rialzarsi. Davanti a lui degli uomini saltavano giù da una barricata e gli correvano incontro. Indi cavano qualcosa gri- dando. Si guardò intorno. A meno di dieci metri c'e ra un saltatore. Im- bracciava una specie di fucile, collegato con dei c avi a una sorta di zai- no che teneva sulla schiena. Era un fucile a raggio . Scattò stridendo

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acutamente e un tratto di luce azzurra superò Sir H oward. Stridette ancora, ancora. Un paio di quelli che erano corsi v erso di lui giacevano a terra, gli altri stavano scappando. Il fucile str idette di nuovo e il lam- po terminò sul piastrone della sua corazza. Gli si contrassero tutti i muscoli e sentì una vibrazione nelle ossa. Ma non c adde. Il fucile stri- dette di nuovo, di nuovo, con lo stesso risultato. L'armatura lo isolava dalle scariche. Sguainò la spada e fece un passo ve rso il saltatore. La creatura si allontanò attraversando la piazza a gra ndi balzi seguendo i suoi compagni che percorrevano saltando State Stree t. La gente correva fuori dalle porte e giù dalle fine stre e si arrampica- va sulle barricate. Ora che i saltatori erano in ri tirata uscivano abba- stanza in fretta. Se non avesse allontanato presto la súa cavalleria, la piazza sarebbe stata invasa dalla folla e loro sare bbero rimasti intrap- polati come mosche sulla carta moschicida. Proprio davanti a tutti apparvero Musik, il suo sec ondo, e Lyman Haas, che galoppavano lentamente. Il primo portava con sé Paul Jo- nes. Gli uomini sferragliavano dietro di loro in do ppia fila. Sir Howard gridò:--Forza, ragazzi!--e montò in sella. Frattant o, Haas gridò --La cavalleria di Pittsfield viene verso nord, dal fiume! --Non possono passare di qui, digli di fare il giro a sud della città e di andare a ovest. Devono cercare di tagliare fuori i saltatori! Bene, an- diamo!--Attraversarono la piazza a passo pesante; g li uomini che erano appena venuti fuori corsero via come galline spaventate per la- sciar libero il cammino. La barricata attraverso State Street a ovest del gr attacielo dell'Uffi- cio non era molto alta, e dietro c'erano solo pochi uomini. Spararono come forsennati finché i saltatori furono a due sal ti da loro, poi abban- donarono il campo sparpagliandosi come quaglie impa zzite. I saltato- ri superarono la barricata con un gran balzo e spar arono nella schiena agli uomini che scappavano. Quando Sir Howard arriv ò alla barricata i saltatori erano ormai lontani, e si vedevano soll evarsi e cadere come pistoni di un motore. Sir Howard fece passare Paul Jones oltre la barri- cata. Uno schianto tremendo lo fece voltare sulla s ella. Musik e il suo cavallo si erano rovesciati sul lato ovest della ba rricata. Si rialzarono in fretta. Il cavallo di Musik cominciò a inseguire lo squadrone e Musik gli correva dietro a piedi, gridando:--Torna qui, f iglio di un cane!-- mentre l'animale lo distanziava sempre più. Di lont ano udirono le si- rene dei pompieri che infine arrivavano. Tagliarono attraverso Washington Park e si lanciaro no al galoppo su New Scotland Avenue, tenendo sempre d'occhio i salt atori, ma senza guadagnare troppo terreno. La gente si riversò nell e strade, tornò in- dietro quando apparvero i saltatori, uscì nuovament e e corse via di nuovo quando venne avanti la cavalleria. Sbucarono nella zona sud ovest di Albany, dove New Scotland Ave- nue diventava Slingerlands Road. Un tempo vi erano state costruite delle strade, ma c'erano pochissime case. Più che a ltro era un grande spiazzo coperto di erbacce. A sinistra avevano altr i cavalieri, presumi- bilmente uomini del Massachusetts. Si avventavano c ontro i nemici con deg~i archi d'acciaio. La combinazione funziona va a meraviglia. La freccia atterrava il saltatore, e quando le arag oste di Sir Howard ci erano passate sopra dando un colpo di lancia, la co sa non sembrava più un saltatore. Non sembrava più niente in partic olare. I saltatori si stavano sparpagliando. Gli uomini, p rivi di ordini, si di- videvano per dare loro la caccia. Sir Howard si rit rovò solo a rincorre- re un saltatore. Si chiese che cosa avrebbe fatto s e il saltatore avesse

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raggiunto il limite dell'altopiano su cui sorge Alb any prima di riuscire a catturarlo. Non poteva lanciare al galoppo Paul J ones sul pendio che finiva a Normans Kill. Ma il saltatore sembrava and are piano. Nel rag- giungerlo, Sir Howard si accorse che aveva una frec cia conficcata nel- la coscia. Sir Howard strinse la lancia e mirò al saltatore. Q uesti si voltò e alzò una pistola. La pistola sparò e qualcosa si staccò dal fianco del cavalie- re. Gli sembrò che gli venisse tolta la sella di so tto, e cadde nell'erba sulla schiena. Per un momento il fianco gli diede u n dolore insopporta- bile, da morire. A causa dell'erba che lo circondava fitta come una foresta, non ci ve- deva. Vedeva solo il saltatore fermo davanti a lui. Il saltatore alzò di nuovo la pistola. La pistola fece cilecca. Se riesc o ad alzarmi posso fi- nirlo prima che la ricarichi, pensò Sir Howard. Cer cò di mettersi a se- dere, ma la corazza lo tirava giù. Il saltatore sta va ricaricando la pisto- la, e lui non poteva alzarsi. Sentiva un rumore di zoccoli, ma sembra- vano lontani mille miglia. Oh, Dio, pensò, perché d evo morire proprio adesso? Non potevo morire subito? Il saltatore fece scattare la pistola e l'alzò un'altra volta. Il fianco gli faceva un male insopportabile; stava per morire all'ultimo momento. Allora si sentirono degli zoccoli, vicini, e qualco sa di serpentino sibi- lò nell'aria avvolgendo il saltatore. La pistola sp arò, ma il saltatore stava balzando via in posizione grottesca. Fece un ultimo balzo e sparì tra l'erba. Il dottore sulla soglia disse:--Si rimetterà. E sol o una costola rotta. Una pallottola ha attraversato la corazza e gli ha scalfito il fianco. Le due estremità della frattura lo hanno tagliato legg ermente quando è caduto. Certo che potete vederlo. Allora entrarono tutti: Elsmith e Sally Mitten e Ly man Haas ed Eli Cahoon e Lediacre. Il francese era tutto sporco ed era bendato sopra l'orecchio sinistro. Fu molto comprensivo. Tutti cercarono di parlare nello stesso momento. Si r Howard chiese come stava andando. Elsmith rispose:--Bene. Abbiamo saputo dalla radio - abbiamo spento le macchine elettrostatiche - che tutte le sta- zioni radio di New York sono state prese. Dovevano esserci almeno mille saltatori nel grattacielo della RCA, ma hanno montato alcuni can- noni pesanti a Columbus Circle e li hanno spazzati via. Per quanto ne so, tutte le piazzeforti dei saltatori nel Nordamer ica sono state cattu- rate. Ci sono ancora dei saltatori allo sbando ma l i uccidono a vista. "Parecchi resistono ancora in Africa, ma un ésercit o arabo si sta pre- parando ad affrontarli, equipaggiato completamente con le armi dei saltatori. Hanno anche trovato qualcuno disposto a rischiare di pilota- re le loro macchine volanti. In Mongolia non sono m ai arrivate le pulci ma laggiù ce n'erano pochissimi. Anche in altri pos ti è pressappoco ló stesso. Alcuni sono fuggiti con le macchine volanti , usando le bombe e i raggi. Per esempio, hanno raso al suolo Louisville. Ma alla fine sono dovuti atterrare, e hanno trovato solo ostilità. Do ve è stato liberato il quantitativo maggiore di pulci e tutti i saltatori si sono levati l'elmet- to, come a Watervliet, sono stati uccisi esseri ind ifesi. Sto cercando di salvarne alcuni." --Perché? --Senza l'elmetto sono delle creature piuttosto ino ffensive, e abba- stanza interessanti. Sarebbe una vergogna sterminar li completamen- te. Dopotutto, loro potevano farlo e non l'hanno fa tto.

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--Lyman! Certamente mi hai salvato la pelle! --Una cosa da niente, davvero. Però è stato un bel tiro. Avevo finito tutte le frecce. Ho rotto il collo al saltatore con un colpo solo. Mi sa che quell'elmetto lo ha fatto concentrare troppo su di te, se no mi vedeva. E il tiro più lungo che ho mai fatto con una corda. Peccato solo che quando torno a casa non ci credono. Dovrò portare l a corda per farglie- la vedere. --Come hai fatto ad arrivare proprio al momento giu sto? --Oh, ti ho raggiunto. Quei cavalli da tiro che usa te sono peggio del- le tartarughe. Non capisco perché non usate le tart arughe invece dei cavalli. I gusci fermerebbero le frecce e tutto, e non avreste ;I problema di cadere per il vento. Ad Albany probabilmente ci sarà sempre un albergo T en Eyck. Erano nel salone del quinto palazzo con quel nome. --Vai via, Howard?--chiese Sally Mitten. --Già.--Sapeva che era l'ultimo addio. Cercò di ass umere un tono spiritoso e mondano.--Dovrò dare un'occhiata a come vanno le cose, giù a Poughkeepsie. Anche tu ed Elsmith andate via, no? --Sì. Prendiamo il battello per New York stasera. S alpiamo alle no- ve, venti permettendo. Non ho mai fatto il viaggio sull'Hudson. --Cosa farete? --Qualcuno sta già dicendo di creare zio Homer cont e, o re, chissà. Ma a lui non va. Organizzerà un'università. E quell o che ha sempre de- siderato. E io sono ancora la sua segretaria. Che c osa conti di fare? Tor- nerai a fare il gentiluomo di campagna? --Non te l'ho detto? Abbiamo avuto tanto da fare tu tti e due. Ho una carriera davanti! Sai quei libri che ho letto q uando eravamo al campo? Be', mi hanno insegnato a pensare. Per trece nto anni siamo ri- masti fermi all'organizzazione politico-sociale che i saltatori ci hanno imposto - anch'io me la cavo bene con le parole del vocabolario, eh? - e non l'hanno creata perché avevano a cuore il no stro benessere, o perché volevano che la nostra posizione sociale mig liorasse. L'hanno scelta perché era la forma più stagnante che avesse ro trovato nella no- stra storia. Voglio dire che il nostro... uhm... fe udalesimo sintetico ha il dinamismo di una lumaca con l'artrite. Perciò ho pe nsato che sarebbe una bella idea provare con questo governo del popol o. Senza classi, tutti compagni, come eravamo io e Lyman. --Sono così contenta. Avevo paura che volessi torna re ai vecchi me- todi. --Pensavo che avresti approvato. Sai già come andrà : una lotta sel- vaggia per il potere, tutti i baroni e i marchesi c he cercheranno di farsi la pelle a vicenda. Sai quale sarà il loro slogan: lo stato di New York per quelli di New York, Saratoga per quelli di Sara toga e Katerskill Junction per i vattelapesca. Ma io vorrei vedere tu tto il continente sot- to un solo governo popolare. Una volta era così. O anche tutto il mon- do, se un giorno ci si riuscirà. Certo, molti dei n ostri signorotti non sa- ranno d'accordo. Quindi ho già un lavoro pronto. No n mi aspetta una vita molto tranquilla. --Come farai?

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--Abbiamo già cominciato. L'altra notte ci siamo ri uniti, io e altri che la pensano come me, soprattutto membri dell'Org anizzazione, e abbiamo formato un Comitato di Organizzazione Polit ica per lo Stato di New York. coPsY in breve. Mi hanno eletto presid ente. --Ma è meraviglioso! --Be', forse anche perché sono stato io a organizza re la riunione. Ho fatto anche un discorso. --Non sapevo che sapessi fare i discorsi. --Neanch'io. Ero lì e ho cominciato a dire «Ah... a h~. Poi ho pensa- to, diamine, questi non sono qui per sentirmi dire «Ah... ah«. Così gli ho raccontato quello che ho passato, cosa che sapev ano quanto me, e com'era in gamba il defunto Maxwell Baugh. Poi ho r ipetuto certe cose che avevo letto nei libri, e ho detto che tanto val eva lasciare i saltatori al potere se non avevamo intenzione di cambiare nie nte. Poi hanno cercato di portarmi in trionfo. --Oh, Howard, perché non li hai lasciati fare? --Ero anche d'accordo. Solo che uno di loro era il piccolo Fitzmar- tin, I'inventore della macchina elettrostatica - a proposito, si chiama Mudd - e non era proprio in grado di reggere la sua parte dei miei no- vanta e passa chili. Così si è ritrovato subito sul pavimento con me so- pra. Lei rise.--Avrei voluto esserci! Anche lui rise, malgrado non ne avesse nessuna vogl ia. Si sentiva da cani. Era un malessere tutto particolare, che non a veva mai provato. --Sembra proprio che io sia tagliato per la politic a. Diamine, quando penso all'ignorante che ero! Forse questa è l'ultim a volta che porto la vecchia armatura.--Accarezzò l'insegna della foglia d'acero sul pia- strone.--Ho paura che mio padre non sarà d'accordo col mio pro- gramma, mi sembra di sentirlo, quando inveisce cont ro i traditori del- la loro classe. Ma non c'è niente da fare. --Fai il viaggio a cavallo? --Sì. La costola è quasi a posto, anche se ho addos so tanto di quel- I'adesivo da fermare il proiettile di una Remington superpotente. Non mi dà fastidio, ma non voglio pensare a quando me l o tireranno via.-- Dai, pensò, Van Slyck, star qui a chiacchierare è m olto peggio. Falla fi- nita. --Potresti prendere un veicolo dei saltatori, penso . --Grazie, ma finché non avrò imparato a guidare da solo, non voglio rischiare il collo con qualche pivello che pensa di saper guidare solo perché lo ha visto fare.--Aggiunse:--Ci siamo diver titi, vero? --Sì, davvero. Ormai era ora di andare. Aprì la bocca per dirle ad dio. Ma lei chiese: --Pensi di venire a New York? --Oh, certo, ci sarò spesso, per la politica. --Verrai a trovarmi? --Come no, ehm, certo, penso di sì.

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--Se non ne hai voglia, non sei obbligato. --Oh, ma certo che voglio. Lo voglio come un pesce vuole l'acqua. Ma, sai... se tu e monsieur Lediacre... forse non v orreste... Restò interdetta, poi scoppiò a ridere.--Howard, id iota! Etienne in Francia ha una moglie e quattro figli che adora. Og ni volta che può mi prende da parte e mi parla di loro. Etienne è un ca ro amico, ti darebbe anche la camicia. Ma è una tale barba con la sua ca ra piccola Josette, e il suo meraviglioso piccolo René; un bambino così i ntelligente, un pro- digio! Le ultime settimane al campo, poi, sono stat e proprio un disa- stro. Speravo sempre che tu ci mettessi il naso per interrompere queste sviolinate, e non lo facevi mai. --Be', che... che... che mi venga... --Ma stavi davvero per dirmi addio per sempre solo per questo? Non avrei mai più potuto guardare le foglie degli a ceri d'autunno sen- za pensare a te. --Ma io... in questo caso verrò di sicuro. Pensavo di essere lì fra un paio di settimane; è... Al diavolo! Dove posso trov are un biglietto per la nave? Non importa, in albergo c'è un'agenzia. Spero che imbarchino i cavalli, il mio lo imbarcheranno, dovessi portarlo a bordo di nascosto nella borsa. Vedo che devo recuperare un po' del te mpo perduto. Sally, una volta hai detto che pensavi che avessi un po' d i cervello. Be', non sarò un gran genio come tuo zio Homer. Ma credo di avere abbastanza buon senso per non fare due volte lo stesso sbaglio , grazie a Dio! Per di più, penso di sapere come fare per vendicarci perfe ttamente del nostro amico Lediacre. --Ma come, Howard? Non è colpa sua, poveretto... --No. E un simpaticone e tutto. Ma un giomo o I'alt ro--sorrise ri- soluto--sarà un vero piacere chiuderlo in un angolo e somministrar- gli una bella dose della sua stessa medicina! Titolo originale: Divide and rule. Traduzione di Anna Pensante. Jack Wiltiamson LUPI DALLE TENEBRE Le tracce nella neve Involontariamente mi fermai, rabbrividendo, sul pia zzale coperto di neve della stazione. Un suono strano, misterioso e in un certo senso terrificante, riempiva il chiarore spettrale della luna in quella notte d'inverno. Era un ululato tremolante e lontano che si ripercuoteva sul mio corpo con brividi ben più freddi del penetrante morso dell'aria immota e ghiacciata. Sapevo che quel suono lugubre che lacerava i nervi doveva essere l'ululato dei lupi grigi, chiamati anche lobo, sebb ene non li avessi più sentiti da quando ero piccolo. Ma questo suono cont eneva una nota di terrore puro che nemmeno le tremanti apprensioni de lla fanciullezza avevano mai colto nella voce dei grandi lupi. C'era un non so che di acuto, di spezzato, in quel lamento arcano, che pro veniva da un punto remoto in un pulsare ritmico. Era qualcosa che indu ceva a pensare che l'ululato giungesse da gole umane tese in uno s forzo inumano... Lottando con me stesso per liberarmi da quel frutto della mia im- maginazione, mi affrettai attraverso il piazzale gh iacciato precipitan- domi nella squallida sala d'aspetto. Il locale era ben illuminato da al-

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cune semplici lampadine e una stufa rovente lo riem piva di un calore piacevole. Io, a ogni modo, ero più contento di ave r lasciato all'esterno quell'ululare lontano che di aver trovato il tepore di un riparo. Accanto alla stufa sedeva un uomo alto, completamen te assorto con attenzione febbrile a fare un solitario con delle c arte da gioco unte, di- sposte su una cassetta da imballaggio che stringeva tra le ginocchia. L'uomo portava un giubbotto di pelle sformato e luc ido per l'eccessivo uso. Una guancia abbronzata era rigonfia di tabacco , e le labbra erano striate di macchie color ambra. Sembrò stranamente colto di sorpresa dalla mia entr ata improv- visa, e con un brusco sussulto spinse via la casset ta, balzando in piedi. Per un istante i suoi occhi mi fissarono ansiosi, p oi sembrò sospirare di sollievo. Aprì lo sportello della stufa e dopo a ver sputato sulla fiam- ma crepitante tornò a sedersi. --Salve, signore--disse con un tono strascicato leg germente forza- to e rauco.--Mi ha quasi spaventato. Ci ha messo ta nto, a entrare, che io credevo non fosse sceso nessuno. --Mi sono fermato ad ascoltare i lupi--gli spiegai. --Un suono si- nistro, vero? Mi rivolse uno sguardo indagatore con occhi strani e apprensivi, re- stando a lungo in silenzio. Poi esordì in modo sbri gativo:--Be', cosa posso fare per lei? Mentre avanzavo verso la stufa aggiunse:--Sono Mike Connell, il capostazione. --Io sono Clovis McLaurin--mi presentai.--Dovrei ri ntracciare mio padre, il dottor Ford McLaurin. Abita in una fa ttoria da queste parti. --Ah, lei è il figlio del dottor McLaurin, eh?--dis se Connell, assu- mendo un atteggiamento visibilmente cordiale. Si al zò e sorrise, spo- stando la cicca di tabacco all'altra guancia, e mi strinse la mano. --Sì. L'ha visto di recente? Tre giorni fa ho ricev uto da lui uno stra- no telegramma. Mi chiedeva di venire subito. Pare c he si trovi in qual- che guaio. Ne sa niente lei? Connell mi guardò con un'espressione poco chiara. --No--rispose alla fine.--Ultimamente non l'ho vist o. Sono due o tre settimane che nessuno della fattoria si fa vi vo qui a Hebron. Ve- de, sono anni che non viene giù una nevicata come q uesta, e non è faci- le andare in giro. Però non so proprio come hanno f atto a mandare un telegramma senza venire giù in città. E qui non li ha visti nessuno. --Lei conosce di persona mio padre?--chiesi io, all armandomi ul- teriormente. --Be', no... non proprio--ammise il capostazione.-- Ma l'ho visto abbastanza spesso quando è venuto qui a Hebron con Jetton e la figlio- la di Jetton. C'è parecchia roba per loro, qui alla stazione. Scatole e casse... dai marchi si direbbero apparecchiature sc ientifiche, ma di preciso non saprei. Però quella Stella Jetton è un bel pezzo di ragazza, davvero una meraviglia. --Sono tre anni che non vedo mio padre--dissi confi dando nel ca-

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postazione, nella speranza di guadagnarmi la sua co mprensione e di ottenere qualsiasi eventuale aiuto potesse offrirmi per raggiungere il ranch attraversando l'insolita coltre nevosa che am mantava le piane del Texas occidentale.--Sono stato in un istituto d i medicina nel- I'Est, e non vedo mio padre da quando è venuto qui nel Texas tre anni fa. 500 1 501 ~ --Lei è dell'Est, eh? --New York. Ma ho passato un paio d'anni qui con mi o zio, quan- d'ero piccolo. Il babbo ha ereditato la fattoria da lui. --Sì, lo so. Il vecchio Tom McLaurin era amico mio- -mi spiegò il capostazione. Erano trascorsi tre anni da quando mio padre aveva lasciato la catte- dra di astrofisica di un'università dell'Est, per v enire in questo ranch isolato e condurre i suoi nuovi esperimenti. L'ered ità di suo fratello Tom, oltre alla fattoria, comprendeva una piccola f ortuna in denaro così mio padre aveva potuto rinunciare alla propria occupazione acca- demica e dedicarsi interamente ai problemi astrusi su cui stava lavo- rando. Interessandomi maggiormente della scienza medica ch e di quella matematica, io non avevo seguito completamente il l avoro di mio pa- dre, sebbene di solito l'avessi aiutato nei suoi es perimenti quando di- sponeva solo di un piccolo appartamento e di misere attrezzature Sa- pevo, a ogni modo, che aveva elaborato uno sviluppo della geometria non-euclidea di Weyl in una direzione del tutto dif ferente da quelle scelte da Eddington e da Einstein, e che conduceva a implicazioni ri- guardanti la struttura del nostro universo davvero stupefacenti. La sua nuova teoria dell'elettrone onda, che completav a lo smantella- mento della struttura atomica planetaria di Bohr, e ra stata altrettan- to sensazionale. La prova richiesta dalla sua teoria era il confront o esatto della velo- cità di raggi di luce ad angoli retti. Per l'esperi mento si rendeva quin- di necessaria la disponibilità di un vasto spazio a ll'aperto, e che posse- desse un'atmosfera limpida, priva di polvere o di f umo. Da qui la scel- ta di mio padre circa l'utilizzazione della fattori a come luogo in cui portare a compimento il lavoro. Dato che io desideravo restare all'istituto univers itario e non ero in grado di aiutarlo ulteriormente, mio padre aveva sc elto come suo assi- stente e collaboratore il dottor Blake Jetton, anch 'egli studioso di fa- ma grazie ai suoi notevoli studi sulla propagazione della luce e sulle recenti modifiche della teoria quantistica. Il dottor Jetton, come mio padre, era vedovo. Aveva un'unica figlia di nome Stella, che trascorreva parecchi mesi dell' anno insieme a loro al ranch. Sebbene non l'avessi vista che rare volte , potevo senza dub- bio dichiararmi d'accordo con il capostazione circa il fatto che fosse una ragazza graziosa, anzi la ricordavo come una fa nciulla dotata di notevole avvenenza. Tre giorni prima avevo ricevuto il telegramma da mi o padre. Si tratta- E~4 va di un messaggio allarmante, formulato in mod o strano, in cui mi implorava di raggiungerlo senza perdere un solo ist ante. Diceva che la sua vita era in pericolo, sebbene non accennasse mi nimamente alla natura di questo pericolo

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Incapace di comprendere pienamente il messaggio, mi ero affrettato a raccogliere alcuni effetti personali strettamente necessari, tra i quali non avevo tralasciato di mettere una piccola pistol a automatica, e senZa indugio ero salito sul primo treno espresso. Avevo trovato la di- stesa del Texas Panhandle coperta da quasi trenta c entimetri di neve; un inverno così rigido non si registrava da diversi anni. E quando ero sceso dal treno nel villaggio solitario di Hebron e ro stato accolto da quei terribili e misteriosi ululati. --Era un telegramma urgente, molto urgente--dissi a Connell. --Devo raggiungere il ranch stanotte, se è appena p ossibile. Lei non sa come potrei arrivarci? Per un po' Connell rimase silenzioso, guardandomi c on un'espres- sione che tradiva una certa paura. --No non saprei--rispose poi.--Ci sono quindici chi lometri da qui al ránch. E lungo la strada è tutto deserto, no n c'è anima viva. C'è quasi mezzo metro di neve, e non credo che un'auto ce la farebbe. Po- trebbe farsi dare uno strappo da Sam Judson col suo carro, domani. --Pensa che mi porterebbe là anche adesso? Il capostazione scosse la testa a disagio; guardò n ervosamente il de- serto di neve che brillava sotto la luna fuori dall e finestre, e sembrò mettersi in ascolto carico d'ansia. Io stesso riuscii a fatica a reprimere un brivido. --No, penso proprio di no!--esclamò poi Connell all 'improvviso _ Da un po' di tempo non è troppo salutare uscire d i notte in quest paraggi- S'interruppe un istante; poi, lanciandomi una fugge vole occhiata in- quieta, mi domandò di colpo:--Penso che abbia senti to quell'ululato, vero? --Sì. Lupi? --Hmmm, sì... credo di sì. Strano. Maledettamente s trano! Sono dieci anni che non si vede un loafer da queste part i. Hanno cominciato a farsi sentire proprio dopo l'ultima bufera di nev e. (Loafer, a quanto pare, era un termine locale deriv ato dalla parola spagnola lobo che indicava appunto il lupo grigio d ella prateria, un animale molto più grosso del coyote e un nemico tem uto da tutti i ran- cheros del Sudovest finché non era stato quasi comp letamente stermi- --Pare che ci sia un branco intero di quelle bestie che se ne va a cac- cia qui attorno--proseguì Connell.--Hanno ucciso un bel po' di be- stiame nelle ultime settimane, e...--s'interruppe, abbassando la voce --...e anche cinque uomini! --I lupi hanno ucciso delle persone?--esclamai. --Sissignore--disse il capostazione lentamente.--Jo sh Wells e il suo aiutante sono stati uccisi circa due settimane fa... sì, con venerdì saranno due settimane giuste. Li hanno uccisi mentr e erano fuori nel- la prateria. Poi è toccato ai Simms. Il vecchio, su a moglie e la piccola Dolly. Li hanno attaccati proprio fuori dal recinto delle mucche, cre- do, mentre stavano mungendo. Abitavano a tre chilom etri dal paese. Rufe Smith è andato a trovarli domenica. Nel recint o c'erano delle be-

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stie morte e c'erano i secchi del latte tutti sfasc iati in un mucchio di neve sotto la tettoia. Di Simms e della sua famigli a nemmeno l'ombra, invece! --Non ho mai sentito dire che i lupi attaccassero l a gente in questo modo! Connell spostò nuovamente la cicca di tabacco e mor morò: --Neanch'io. Ma vede, signore... questi non sono lu pi comuni! --Come sarebbe a dire? --Be', dopo che i Simms erano spariti ci siamo riun iti in una specie di squadra di volontari e siamo andati a caccia di quelle bestiacce. Di lupi non ne abbiamo trovati, però abbiamo trovato d elle tracce nella neve. Di giorno non c'è in giro nemmeno l'ombra di un lupo! --Be', c'erano 'ste impronte nella neve--ripeté len tamente.--E vede, signore, quelle tracce di lupo, maledizione, erano troppo lontane l'una dall'altra per essere quelle di una bestia co mune. Quelle bestie devono fare dei balzi di una decina di metri! Dopo di che Connell piombò in silenzio, fissandomi con una strana espressione. Io ero sconvolto. Naturalmente c'erano alcuni eleme nti d'increduli- tà nelle mie sensazioni, ma il capostazione non mi sembrava per nulla il tipo che ha appena finito di abbindolarti con un a riuscita storiella fantasiosa, dato che i suoi occhi rivelavano un ter rore autentico. E poi ricordavo di aver creduto di riconoscere dei toni u mani negli strani ululati che avevo udito in lontananza. Non c'era alcuna buona ragione per cui potessi cred ere di trovarmi semplicemente di fronte a una superstizione locale. Per quanto diffuse possano essere le leggende sulla licantropia, deve ancora giungermi notizia di un racconto di lupi mannari narrato da u n texano dell'O- vest. Il racconto del capostazione era stato troppo particolareggiato e ricco di elementi concreti perché io fossi indotto a ritenerlo una fanta- sia infondata o una paura radicata segretamente nel profondo. --Il messaggio di mio padre era urgentissimo--ripet ei a Connell. --Devo assolutamente raggiungere la fattoria staser a. Se l'uomo di cui mi ha parlato non vorrà portarmi, noleggerò un cavallo e andrò da solo. --Se Judson accetta di uscire al buio con quei lupi in giro è proprio un imbecille!--disse con tono convinto il capostazi one.--Ma niente le impedisce di chiederglielo. Dovrebbe essere anco ra alzato, a que- st'ora. Abita in quella casa bianca, appena girato l'angolo dietro il ne- gozio di Brice. Connell mi seguì verso il piazzale per indicarmi la strada. Non ap- pena la porta fu aperta, sentimmo di nuovo il ritmi co, intenso ululato proveniente da lontano attraverso la candida distes a nevosa. Non riu- scii a reprimere un brivido. E dopo avermi indicato la casa di Sam Judson, tra le poche sparse abitazioni che costitui vano il villaggio di Hebron, Connell rientrò in tutta fretta nella stazi one, chiudendosi la porta alle spalle. Il branco sotto la luna Sam Judson possedeva e coltivava una tenuta che dis tava quasi un chilometro e mezzo da Hebron, ma aveva trasferito l a propria abita-

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zione nel villaggio in modo che sua moglie potesse occuparsi dell'uffi- cio postale. Mi affrettai verso la casa di Judson a ttraversando strade ghiacciate, felice che Hebron potesse permettersi i l lusso dell'illumi- nazione elettrica. L'ululare distante del branco di lupi mi riempiva di una paura vaga e inspiegabile, ma non diminuiva la mia determina- zione di raggiungere il ranch di mio padre il più p resto possibile, per risolvere l'enigma del telegramma che mi era stato inviato. Quando bussai alla porta, Judson venne ad aprire. E ra un uomo cor- pulento che indossava una tuta rattoppata di un azz urro sbiadito e una camicia di flanella marrone. Era quasi completa mente calvo, e la sua testa nuda e abbronzata sembrava una striscia d i cuoio scuro. Il volto, largo, era coperto da una barba nera che dov eva avere parecchie settimane di vita. Judson mi squadrò in viso con un misto di nervosi- smo e di paura. Mi condusse nella cucina posta sul retro della casa , una stanzetta squallida con le pareti coperte da una serie disord inata di pentole e padelle. La cucina economica era accesa; a quanto p are Judson dove- va essere stato seduto tenendo i piedi appoggiati n el forno, intento a leggere un giornale gettato ora sul pavimento. Mi fece accomodare su una sedia scricchiolante e io mi presentai. Disse che conosceva mio padre, il dottor McLaurin, dato che ritirava la posta nella stanza anteriore adibita appunto a u fficio postale. Ma aggiunse che da tre settimane non si era fatto vivo nessuno del ranch, forse perché la neve rendeva gli spostamenti diffic oltosi. Mi spiegò che ora al ranch vivevano cinque persone: mio padre, il dottor Jetton e sua figlia Stella, e due meccanici provenienti da Amari llo. Gli parlai del telegramma ricevuto tre giorni addie tro e Judson sug- gerì che forse mio padre poteva essere venuto in pa ese di sera, imbu- cando il telegramma all'ufficio telegrafico con il denaro necessario per l'invio. Ma ritenne strano che non avesse parlato c on nessuno, e che nessuno l'avesse visto. Allora dissi a Judson che desideravo mi portasse su bito al ranch, e alla mia richiesta il suo atteggiamento cambiò: sem brava maledetta- mente spaventato! --Non ha poi così fretta da voler partire stanotte, vero, signor McLaurin?--domandò.--Possiamo sistemarla nella stan za libera, e domani la porterò al ranch con il carro. Il viaggio è lungo, per farlo di nolte. --Sono molto ansioso di arrivare al ranch--gli spie gai.--Sono preoccupato per mio padre. C'era qualcosa che non a ndava quando mi ha telegrafato. Qualche guaio serio. La pagherò più che adeguatamen- te, e vedrà che ne vale la pena. --Non si tratta di soldi--mi disse.--Sarei felice d i farlo gratis per il figlio del dottor McLaurin. Ma penso che li abbi a sentiti anche lei i lupi, vero? --Sì, li ho sentiti. E Connell, alla stazione, mi h a detto alcune cose in proposito. Hanno proprio attaccato degli uomini? --Sì.--Per alcuni istanti Judson rimase in silenzio , e il suo viso ispido mi fissò con due occhi strani. Poi riprese:- -E non è tutto qui. Alcuni di noi hanno visto le tracce. E c'erano anch e impronte di uomi- ni! --Ma io devo raggiungere mio padre--insistetti.--Do vremmo es- sere abbastanza al sicuro in un carro, e poi lei av rà un'arma, vero?

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--Sì, d'accordo... ho un fucile--ammise Judson.--Ma non è che abbia molta voglia di trovarmi di fronte ai lupi! Mi ostinai: alla fine, quando gli offersi cinquanta dollari per il viag- gio, lui cedette. Ma disse che lo faceva, e io gli credetti, più per cortesia verso un amico che per denaro. Andò nella stanza da letto, dove sua moglie stava g ià dormendo, la svegliò e le spiegò che si apprestava a darmi un pa ssaggio. La donna era piuttosto spaventata, come ebbi occasione di gi udicare dal tono della voce, ma si calmò sentendo del guadagno di ci nquanta dollari. Allora si alzò - era un tipo alto ed estremamente b izzarro in camicia da notte color porpora e cuffietta intonata - e si affaccendò a prepa- rarci un po' di caffè sulla stufa ancora calda e a trovarci qualche co- perta perché potessimo avvolgercela addosso sul car ro, dato che la notte era freddissima. Nel frattempo Judson accese una lampada a ke- rosene, che era quasi inutile nel riflesso brillant e della luna, e si recò nella stalla dietro casa per preparare il veicolo. Mezz'ora dopo stavamo uscendo dal villaggio a bordo di un carro leg- gero tirato da due cavalli storni. I loro zoccoli a ffondavano nella cro- sta superficiale di neve a ogni passo, e le ruote d el carro facevano al- trettanto, scavando un solco in cui si infilavano s aldamente producen- do un curioso scricchiolio. La nostra avanzata era lenta, e io mi preparai subito a un viaggio di parecchie ore. Sedevamo vicini sul sedile a molle, pesantemente in fagottati e con delle coperte che ci riparavano stese sulle ginocch ia. L'aria aveva un morso pungente, ma non c'era vento, quindi pensai c he in fondo non potevo lamentarmi. Judson si era legato alla cintur a un vecchio revol- ver, e inoltre disponevamo di una doppietta e di un fucile a ripetizione che stavano appoggiati contro le nostre ginocchia. Una volta fuori dal villaggio di Hebron, ci trovamm o circondati su ogni lato da una candida distesa di neve quasi perf ettamente liscia. Era interrotta soltanto dalla fila insignificante d i paletti che sostene- vano i reticolati e che a quanto pareva rappresenta vano per Judson l'unico punto di riferimento. Il cielo era inondato da un'opalescenza spettrale, e sulla neve sfavillavano milioni di dia manti di gelo. Per circa un'ora e mezzo non si verificò nulla degn o di nota. Le luci di Hebron impallidirono e a poco a poco svanirono a lle nostre spalle. Non incontrammo alcuna abitazione lungo quel desert o di neve scon- finato. L'impressionante ululato, a ogni modo, si f aceva sempre più in- tenso. Poi quei lamenti misteriosi cambiarono d'un tratto posizione. Jud- son al mio fianco rabbrividì e parlò nervosamente a i due storni che ar- rancavano a fatica nella neve. Poi si voltò verso d i me e disse conciso: --Credo che stiano arrivandoci alle spalle, signor McLaurin. --Be', in questo caso lei può sempre tirarsene diet ro qualcuno, per scuoiarlo domani--gli risposi. Le mie intenzioni er ano state quelle di mettergli un po' di buon umore, ma la mia voce era stranamente bru- sca, e aveva un tono che suonava falso perfino alle mie orecchie. Per alcuni minuti avanzammo in silenzio. All'improvviso notai un cambiamento negli urli del branco. Quel ritmo strano e profondo si fece improwisamente più concitato. Quei lugubri lamenti sembrarono cedere il posto a r apidi guaiti di

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bramosia, un suono che aveva in sé un elemento vent riloquiale che ci impediva di individuare esattamente la direzione di provenienza. Le note rapide e smaniose sembravano giungerci da una dozzina di punti sparsi lungo la distesa candida alle nostre spalle. I cavalli si allarmarono. Drizzarono le orecchie e guardarono indie- tro, riprendendo il cammino con rinnovata foga. Vid i che gli animali stavano tremando. Uno di loro sbuffò di colpo. Quel rumore inaspetta- to urtò i miei nervi già strapazzati, e io mi affer rai in maniera convul- sa alla sponda del carro. Judson impugnava saldamente le redini e si puntella va con i piedi contro il cassone del veicolo, parlando sommessamen te ai due storni spaventati per calmarli. Se non fosse stato per que sto, forse, si sareb- bero già dati alla fuga. Si voltò verso di me e disse in un mormorio:--Di lu pi ne ho sentiti, ma non fanno certi ululati. Questi non sono i solit i lupi! E ascoltando i latrati del branco capii che aveva r agione. Quegli ululati avevano una sfumatura insolita e aliena, un a caratteristica in- trinseca che non apparteneva a questa terra. E diff lcile farne una de- scrizione, perché era qualcosa di completamente est raneo. Mi balenò nella mente, allora, che se fossero esistiti dei lu pi negli antichi deserti di Marte, morti da secoli, forse avrebbero potuto p rodurre simili la- menti, mentre si lanciavano all'inseguimento di una creatura indifesa spingendola verso una morte crudele. --Credo che siano alle nostre calcagna--disse impro vvisamente Judson, con voce sommessa e stentorea.--Guardi diet ro di noi, signo- re. Mi voltai sul sedile a molle, scrutando l'immenso p ianoro desolato di neve abbagliante. Per alcuni minuti tesi invano lo sguardo, sebbene l'urlo terribile del branco invisibile crescesse ra pidamente d'intensità. Poi scorsi delle macchioline grigie che spiccavano balzi, molto lon- tane dietro la pista del carro. Normalmente un lupo avrebbe dovuto arrancare a fatica attraverso la spessa coltre nevo sa, dato che la crosta superficiale non era abbastanza solida per sostener ne il peso notevole. Ma le cose che io vedevo, agili ombre grigie dalla forma indefinita, avanzavano invece a grandi balzi, con una velocità stupefacente. --Li vedo--annunciai con voce tremante a Judson. --Guidi lei--mi disse spingendomi in mano le redini e afferrando il fucile a ripetizione. Si contorse sul sedile e cominciò a sparare. I cavalli tremavano e sbuffavano. Nonostante il fre ddo, i loro corpi ansanti grondavano di sudore. Improvvisamente, dopo che Judson aveva aperto il fuoco, i due storni strinsero il mo rso e si ribellarono al- la guida fuggendo disperatamente, affondando nella neve e trascinan- do il carro privo di controllo. Per quanto mi sforz assi di riprendere la guida, strattonando con forza le redini, il mio ten tativo si rivelò inuti- Judson vuotò ben presto tutto il caricatore. Dubito che fosse riuscito a colpire qualcuna delle bestie che ci inseguivano. .. infatti era pratica- mente impossibile mirare con precisione stando sul carro che ondeg- giava e traballava. E anche se il veicolo fosse sta to immobile, i nostri inseguitori che spiccavano quei balzi selvaggi avre bbero costituito un bersaglio difficile.

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Judson sbatté il fucile scarico nel cassone del car ro e si girò verso di me con una faccia cadaverica e spaventata. Aveva la bocca aperta e gli occhi sbarrati dal terrore. Sbraitò qualche parola incoerente che io non riuscii ad afferrare, e agguantò le redini. Imp azzito evidentemen- te di paura maledisse i due storni che si dibatteva no nella neve e li frustò, comé se credesse di poter distanziare il br anco. Per un po' mi aggrappai alla sponda del carro traba llante. Poi i cavalli sbuffando descrissero uno scarto inaspettato, rompe ndo quasi il timo- ne del carro e per poco non facendolo rovesciare. I l sedile a molle si staccò dai fermi e cadde nel cassone del mezzo. Io fui sballottato oltre la sponda di tutto il busto e in un istante dispera to tentai di arrampi- carmi nuovamente a bordo. Ma i due storni diedero u n altro strappo in avanti e fui proiettato nella neve. Infransi la sottile crosta ghiacciata, e lo spesso strato di neve soffice sottostante attutì la mia caduta. In pochi istanti riuscii a risollevarmi in piedi, portandomi freneticamente le mani al volt o per liberarmi gli occhi da quella sostanza bianca e farinosa. Il carro era ormai a un centinaio di metri. I caval li pazzi di paura stavano ancora fuggendo, con Judson in piedi sul ca ssone che strapaz- zava furiosamente le redini ondeggiando avanti e in dietro, incapace di frenarli. Quando ero stato sbalzato i cavalli aveva no girato brusca- mente e ora stavano lanciandosi a capofitto in dire zione di quel miste- rioso branco di belve ululanti! Judson, urlando e imprecando pazzo di terrore, veni va trascinato indietro verso quelle grigie ombre indistinte che s altavano nella notte lanciando spaventosi ululati soprannaturali. L'orrore scese su di me simile a un'enorme ondata c he mi paralizza- va l'anima. Provai un desiderio folle di fuggire, d i correre e correre at- traverso la distesa innevata finché non avessi cess ato di udire il la- mento dello strano branco. Con uno sforzo mi contro llai, frenai il tre- mito del mio corpo e deglutii per inumidire la gola secca. qyq Sapevo che con il mio misero arrancare non sarei ma i riuscito a di- staccare le ombre grigie sorprendentemente agili ch e balzavano nei ri- flessi lattei della luce lunare in direzione del ca rro. E ricordai allora che disponevo di un'arma, I'automatica calibro 25 a ssicurata sotto un'ascella. Lo strano messaggio di mio padre mi ave va spinto a porta- re con me quella piccola arma mortale e a infilarmi in tasca alcuni ca- ricatori di proiettili. Con mani tremanti mi sfilai un guanto e frugai sott o gli abiti in cer- ca della pistola. Alla fine estrassi la minuscola ma pèsante automati ca, piacevol- mente calda per il contatto con il mio corpo, e fec i scattare indietro l'otturatore per accertarmi che ci fosse un colpo i n canna. Poi rimasi fermo in quella distesa nevosa che mi arrivava quas i alle ginocchia, e attesi. Il lugubre ululato alieno del branco mi paralizzò l etteralmente di terrore. 11 carro doveva trovarsi a circa quattrocento metri da me, quando le indistinte macchie scure del branco abbandonarono l a pista e deviaro- no per tagliargli la strada. Vidi allora sottili li ngue di fiamma gialla- stre, e udii secche scariche di armi da fuoco, segu ite dal sibilo lanci- nante dei proiettili. Judson, almeno così supponevo io, aveva abban-

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donato le redini e tentava di difendersi con i fuci li e la sua vecchia pistola. Le macchie grigie circondarono il carro. Sentii l'u rlo di un cavallo agonizzante, il suono più straziante e orribile che io conosca, se si escludevano gli ululati soprannaturali di quel bran co. Una massa di figure in lotta sembrò dibattersi a ridosso del car ro. Seguirono ancora alcune detonazioni, poi un grido echeggiò sinistro sulla prateria inne- vata, un grido che racchiudeva in sé un misto di at roce sofferenza e di terrore inconcepibile... Capii che si trattava di J udson. Dopo di che non rimase altro che l'agghiacciante la mento delle bel- ve, un coro mostruoso che non si era ancora placato . Presto, spaventosamente presto, quel coro alieno pa rve avvicinarsi. E vidi allora forme grigie che si staccavano dalla macabra scena della tragedia e avanzavano a balzi... verso di me! Il lupo e la donna Non sono assolutamente in grado di spiegare il terr ore puro e folle che mi prese quando mi resi conto che le belve si erano lanciate sulle mie tracce. Il mio cuore parve arrestarsi, tanto che pe nsai che sarei svenu- to; poi prese a pulsarmi cupamente in gola. Avevo i l corpo improv- visamente madido di sudore gelido e i muscoli tesi spasmodicamente, e stringevo l'automatica con tanta forza da avverti re dolore alla ma- no. Avevo deciso di non fuggire, ritenendo folle un eve ntuale tentativo di sottrarmi alla caccia del branco. Ma la mia deci sione di resistere a ogni costo era ben poca cosa al cospetto della paur a che mi ossessiona- va. Mi gettai attraverso la levigata distesa di neve. I miei piedi sprofon- davano nella sottile sfoglia di ghiaccio e io arran cavo a fatica, con i polmoni ormai esausti. La neve sembrava divertirsi a ostacolarmi, quasi fosse un demone.malvagio. Molte volte incespi cai e caddi goffa- mente, rialzandomi con la forza della disperazione e avanzando di nuovo ormai stremato, singhiozzando di terrore e an sando nell'aria gelida. Ma la mia fuga volse ben presto al termine. Le cose che mi stavano inseguendo erano in grado di procedere a una veloci tà di gran lunga superiore alla mia. Voltandomi, quando non avevo co perto nemmeno un centinaio di metri, le vidi avvicinarsi, forme a ncora vaghe nel chia- rore lunare. Mi accorsi però che gli inseguitori er ano soltanto due. Improvvisamente il mio pensiero tornò alla piccola automatica che stringevo in mano. La sollevai e scaricai tutti i p roiettili, sparando il più rapidamente possibile; ma anche se colpii una d i quelle forme gri- gie, quelle dovevano essere senz'altro invulnerabil i alle mie pallottole. Avevo cercato nella tasca un secondo caricatore e s tavo tentando con dita tremanti di infilarlo nella rivoltella, qu ando quelle cose giun- sero sufficientemente vicine, nel chiarore lattigin oso, perché potessi vederle in modo distinto. A quel punto le mie mani si paralizzarono sulla pistola; ero troppo sorpreso e sconvolto per completare il carica- mento dell'arma. Una delle due rorme grigie era un lupo, uno scarno lupo della prate- ria dal lungo pelo ispido, una bestia enorme alta q uasi un metro che stava raggiungendomi spiccando balzi che coprivano diversi metri. I suoi grandi occhi avvampavano di una misteriosa luc e verdastra, una

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luce innaturale, strana, terribile e in un certo se nso ipnotica. L'altra forma era una ragazza. Era una cosa incredibile, che ottenebrò e fece vaci llare la mia mente già offuscata dal terrore. Dapprima pensai che si t rattasse di un'allu- cinazione, ma mentre lei si avvicinava a lunghi sal ti con la stessa rapi- dità del lupo grigio, fui costretto ad accettare qu anto vedevano i miei occhi. Ricordai allora la mia impressione di aver u dito toni umani nei gridi del branco; ricordai quanto Connel e Judson m i avevano detto circa la presenza di orme umane frammiste a quelle dei lupi nelle tracce lasciate dal branco. La ragazza era vestita in modo piuttosto leggero, p er essere fuori al- I'aperto nel freddo pungente della notte invernale. Apparentemente in- dossava solo una leggerissima sottoveste di seta bi anca, lacera, che le penzolava da una spalla e non le arrivava nemmeno a lle ginocchia. Aveva il capo scoperto e i suoi capelli, che alla l uce lunare sembravano di uno strano biondo pallido, erano corti e scarmig liati. Le braccia vel- lutate e le piccole mani, le gambe e perfino i suoi piedi guizzanti erano nudi. La sua pelle era bianca, di un candore freddo , esangue, lebbroso. Quasi bianca quanto la neve. E i suoi occhi scintillavano di un riflesso verde. Erano come gli occhi del lupo, infuocati di una ter ribile fiamma di smeraldo, la fiamma di una vita aliena, estranea a questo mondo. Era- no malvagi, crudeli, ripugnanti. Erano gelidi come le distese cosmiche al di là della luce delle stelle. Ardevano di un'in telligenza maligna, più forte e spaventosa di quella di ogni creatura terre stre. Le sue labbra e le sue guance, di un candore alabas trino erano se- gnate da una macchia gocciolante di colore rosso sc uro ché spiccava quasi nera al chiarore fioco. Io rimasi come pietrificato, svuotato di ogni resid ua energia per l'or- rore e l'incredulità. La ragazza e il lupo avanzarono balzando fianco a f ianco nella neve come dotati di una forza e di un'agilità soprannatu rali. E mentre si facevano più vicini io subii un altro s hock terrificante. Il volto della ragazza mi era familiare, nonostante il pallore cadave- rico, I'infernale riflesso maligno degli occhi verd i, e la macchia rossa- stra sulle gote e sulle labbra. Quella donna era un a ragazza che io ave- vo ammirato, e che avevo persino sognato di poter a mare, un giorno. Era Stella Jetton! La ragazza era la deliziosa figliola del dottor Bla ke Jetton che, come ho detto, mio padre aveva portato con sé in quel ra nch del Texas come assistente nei suoi rivoluzionari esperimenti. Mi resi conto che lei era stata trasformata in qual che modo spaven- toso . --Stella!--gridai. Più simile a un urlo atterrito d i angoscia e incre- dulità che a una voce umana, quel nome uscì dalla m ia gola inaridita dalla paura. Io stesso sussultai udendo quel mio ap pello rauco, stento- reo e ansante. L'enorme lupo grigio si diresse direttamente verso di me, come se

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stesse per azzannarmi alla gola con un balzo. Ma si fermò a qualche metro di distanza, accucciandosi nella neve e fissa ndomi con quegli orribili occhi verdi da cui trapelava un'espression e di guardinga e strana intelligenza. La ragazza si spinse ancora più vicina, prima di fe rmarsi e di restare a guardarmi con occhi terribili, simili a quelli de lla belva, luminosi e verdi. Il volto, per quanto di un pallore spettrale e orre ndamente macchia- to di rosso, era proprio il volto di Stella Jetton. Ma gli occhi non erano i suoi ! Poi lei parlò. La sua voce conteneva ancora qualcos a del suono a me familiare, ma ora possedeva un tono nuovo e strano. Racchiudeva lo stesso mistero alieno e minaccioso degli occhi e de lla pelle lebbrosa, la medesima sfumatura dei lugubri ululati lamentosi de l branco che ci aveva seguito. --Sì, Stella Jetton--disse la voce.--Come sei chiam ato tu? Sei tu Clovis McLaurin? Hai ricevuto un telegramma? A quanto pare non mi conosceva. Perfino la formulaz ione delle sue parole era un poco strana, come se stesse parlando una lingua con cui non aveva eccessiva dimestichezza. La deliziosa rag azza, la ragazza umana che io avevo conosciuto un tempo, era spavent osamente cam- biata. Pensai che dovesse essere afflitta da una forma di follia, da cui aveva tratto la forza pressoché soprannaturale che aveva dimostrato di pos- sedere quando correva con il branco di lupi. Doveva trattarsi di un ca- so di licantropia davvero molto particolare, immagi nai. --Sì, sono Clovis McLaurin--dissi con voce tremante .--Ho rice- vuto il telegramma di mio padre tre giorni fa. Dimm i cosa c'è che non va... perché ha usato simili parole nel messaggio? --Non c'è nulla che non va, amico mio--rispose la s trana creatura. --Noi desideravamo semplicemente la tua assistenza in un certo espe- rimento di grande singolarità, che abbiamo iniziato a condurre. Tuo padre ora attende al ranch, e io sono venuta per co ndurti da lui. Quel discorso era quasi incredibile. Riuscii ad acc ettarlo solo par- tendo dal presupposto che chi aveva parlato soffris se di uno spavento- so sconvolgimento mentale. --Tu mi sei venuta incontro?--esclamai, combattendo contro l'or- rore che stava per sopraffarmi.--Stella, non devi s iartene fuori al freddo così poco coperta. Devi prendere il mio capp otto. Cominciai a togliermelo ma, come mi ero in un certo senso aspetta- to, lei rifiutò di accettarlo. --No. Non mi serve. Il freddo non può nuocere a que sto corpo. E adesso devi venire con noi. Tuo padre ci attende al la casa per condurre il grande esperimento. Aveva detto noi! Inorridii ancora di più notando ch e la ragazza con- siderava lo scarno lupo al pari di se stessa. Poi balzò in avanti con un'agilità incredibile nell a direzione in cui io e Judson stavamo viaggiando prima. Con un braccio, nudo e di pallore cadaverico, mi invitò a seguirla. Il grande lupo gr igio si mosse saltan-

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do, dietro di me. Stimolato di colpo ad agire, ricordai l'automatica semicaricata che stringevo in mano. Con un gesto brusco finii di ins erire il caricatore nuovo, feci scattare l'otturatore e poi scaricai tu tti i colpi addosso alla belva dagli occhi verdi. Una strana compostezza era scesa su di me. I miei m ovimenti furono sufficientemente calmi, quasi calcolati Sono certo che la mia mano non tremasse. Il lupo era solo a pochi metri ed era praticamente im- possibile mancarlo, non centrarlo con almeno un pro iettile. Sono sicuro di averlo colpito numerose volte, poich é sentii le pallot- tole conficcarsi nel suo corpo scarno, vidi l'anima le vacillare sotto il loro impatto, e notai ciuffi di pelo grigio staccar si nella luce lunare. Eppure non cadde. I suoi terribili occhi verdi non mostrarono il ben- ché minimo cenno d'esitazione e continuarono a fiss armi con quella loro espressione sinistra di malvagità infernale. Non appena io ebbi scaricato la pistola - mi erano occorsi solo alcu- ni secondi per sparare i sette proiettili - udii un ringhio selvaggio pro- veniente dalla ragazza. Mi ero girato per metà nell a sua direzione quando il suo corpo pallido si scagliò contro di me con la velocità di un proiettile. Caddi sotto di lei, alzando istintivamente un bracc io per protegger- mi la gola. E un bene che l'abbia fatto, perché sen tii i suoi denti affon- darmi nel braccio e nella spalla, mentre sprofondav amo insieme nella neve. Sono certo che gridai. Lottai con lei selvaggiamente, finché non udii di n uovo la sua strana voce non umana. --Non devi avere paura--disse.--Non siamo intenzion ati a ucci- derti. Noi desideriamo il tuo aiuto in un important issimo esperimento. Per questo motivo tu devi venire con noi. Tuo padre attende. Il lupo è nostro amico e non ti farà del male. E la tua arma non potrà ferirlo. Dalla gola del lupo, che non si era più mosso da qu ando gli avevo sparato, uscì un bizzarro guaito inarticolato, come se la bestia avesse capito le parole della ragazza e stesse confermando . Lei mi stava ancora addosso, tenendomi schiacciato nella neve. I suoi denti insanguinati erano a pochi centimetri da l mio viso e le sue dita affondavano nel mio corpo quasi fossero artigl i dotati di una forza sovrumana. La sua gola emise un basso grugnito best iale, poi riprese a parlare. --Verrai dunque con noi alla casa, dove tuo padre c i aspetta per condurre l'esperimento?--mi chiese con quella voce terribile che ri- cordava il lamento del branco di lupi. --Verrò--acconsentii, leggermente sollevato nel con statare che la coppia di belve non voleva divorarmi sul posto. La donna - non posso chiamarla Stella poiché, trann e che nel corpo, lei non era più Stella - mi aiutò ad alzarmi. Non f ece alcuna obiezione quando mi chinai a raccogliere l'automatica caduta nella neve e l'infi- lai in tasca.

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Lei e il lupo grigio, che misteriosamente i miei pr oiettili non erano riu- sciti a uccidere, balzarono via assieme sulla candi da distesa innevata. Io li seguii, arrancando al massimo delle mie possi bilità, con la mente piena di supposizioni confuse e ottenebrate dal ter rore. Ormai non nutrivo più alcun dubbio che la donna si considerasse un membro del branco, e che effettivamente lo fosse. S embrava che tra lei e il grande lupo che l'affiancava esistesse uno str ano rapporto empati- co . Doveva trattarsi di una forma di pazzia, pensai, pe r quanto non avessi mai letto di casi di licantropia dai sintomi così terribilmente esagerati come quelli che lei presentava. E ormai n oto che alcuni ma- niaci abbiano una forza sovrumana, ma il modo in cu i lei correva e balzava nella neve era un fatto che esulava dai lim iti della compren- sione razionale. Senza contare poi gli altri particolari che la teor ia della malattia mentale era incapace di spiegare. Il pallore cadave rico della sua pelle, la terribile luminosità verde degli occhi, il modo in cui lei parlava... co- me se l'inglese rappresentasse per lei una lingua s traniera, ma di cui possedeva una discreta padronanza. L'andatura sostenuta dalla donna e dal lupo era imp ietosamente ra- pida per me. Per quanto arrancassi al limite delle mie possibilità, non ero in grado di muovermi con la velocità che loro d esideravano. Né mi era concesso di restare indietro, perché ogni volta che mi attardavo il lupo mi raggiungeva, ringhiando minaccioso. Dopo essermi trascinato per alcuni chilometri, i po lmoni mi doleva- no ed ero pressoché cieco dalla fatica. Per l'ultim a volta incespicai e caddi pesantemente nella coltre nevosa. Quando tent ai di risollevarmi i muscoli straziati rifiutarono di rispondere e io rimasi steso là, pronto a sopportare qualsiasi cosa il lupo potesse farmi, piuttosto che sotto- pormi all'agonia di uno sforzo ulteriore. Ma questa volta fu la donna a raggiungermi. Io ero semisvenuto ma mi resi conto vagamente che mi stava sollevando, ca ricandomi sulle spalle. Dopo di che i miei occhi si chiusero; ero t roppo stanco per os- servare ciò che mi circondava. Però, da una sensazi one di ondeggia- mento, capivo in maniera nebulosa che mi si stava t rasportando. Infine le tossine dello sforzo sostenuto presero il sopravvento sui miei tentativi di restare cosciente. Caddi nel sonn o profondo della spossatezza, dimenticando che i miei arti stavano g elando e che venivo trasportato sulle spalle di una donna che possedeva gli istinti di un lu- po e la forza di un demonio; una donna che, I'ultim a volta che l'avevo vista, era stata una creatura assolutamente umana e adorabile. Uno strano ritorno a casa Non potrò mai dimenticare le sensazioni che provai al mio risveglio. Aprii gli occhi in un'oscurità attenuata soltanto d a una fioca luminosi- tà rossa. Ero steso su un letto, o un divano, e avv olto in alcune coperte. Delle mani, che perfino al mio corpo gelato sembrav ano fredde corne ghiaccio, stavano massaggiandomi gambe e braccia. E terribili occhi verdastri fluttuavano nell'oscurità soffusa di sfum ature cremisi, fis- sandomi dall'alto con un'espressione orrida. Spaventato, ricordando quanto era accaduto nel chia rore lunare co- me un vago incubo, raccolsi i miei sensi smarriti e con uno sforzo mi

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sollevai seduto tra le coperte. E strano, eppure la prima impressione che colpì la mia mente confu- sa fu la vista degli sgradevoli fiori verdi che spi ccavano in file monoto- ne sulla squallida tappezzeria macchiata. Nella luc e rossastra della stanza sembravano di una lugubre tinta nera, eppure risvegliarono ugualmente un vecchio ricordo. Mi resi conto di tro varmi nella sala da pranzo della fattoria, dove ero venuto a trascorrer e due estati con lo zio Tom McLaurin molti anni prima. Quella camera dall'illuminazione grottesca contenev a pochissimi mobili. Il divano su cui giacevo io era accanto a u na parete, di fronte a un lungo tavolo attorniato da una mezza dozzina di sedie. In fondo alla stanza vi era una grossa stufa, e dietro di essa un secchio pieno di car- bone e una cassetta contenente ramoscelli di pino p er accendere il fuo- co. La stufa era spenta e la stanza era freddissima. La debole luce cremi- si proveniva da una piccola lampada elettrica appog giata sul tavolo, provvista di una lampadina rossa probabilmente del tipo usato dai fo- tografi nella camera oscura. Senza dubbio dovetti raccogliere tutte queste impre ssioni in manie- ra inconscia, dato che la mia mente atterrita era a ssorbita dalle perso- ne che occupavano la stanza. Mio padre era chino su di me, intento a strofinarmi le mani, men- tre Stella stava massaggiandomi i piedi che sporgev ano dalle coperte. E anche mio padre aveva subito lo stesso spaventoso , misterioso cambiamento della ragazza! La sua pelle esangue era di un freddo pallore cadav erico. Le sue ma- ni erano gelide quanto quelle di un morto irrigidit o. E i suoi occhi, che mi osservavano con una strana e terribile circospez ione, brillavano di un fulgore verdastro, simili a quelli di Stella e d el grande lupo grigio. Lei stessa, la cosa orrida che un tempo era stata l 'adorabile Stella, non era cambiata. Aveva ancora quella pelle pallidissim a, quegli occhi dal- la strana luminescenza verde e quelle macchie sul v iso, che appariva- no adesso nere nella tetra luce rossastra. Nella stufa non ardeva alcuna fiamma, eppure, nonos tante il gelo che impregnava la stanza, lei indossava ancora la m edesima sottove- ste di seta bianca strappata. Mio padre, o almeno l a cosa che una volta era mio padre, portava solo una leggera camicia di cotone, da cui era- no state strappate le maniche, e un paio di calzoni logori. Braccia e piedi erano nudi. Constatai un'ennesima cosa spaventosa. Mentre il mi o respiro si condensava in bianche nuvole di cristalli ghiacciat i nell'aria gelida, dalle narici di mio padre e di Stella non usciva al cuna traccia di vapo- re. Dall'esterno potevo sentire il lugubre lamento sopr annaturale del branco. E di tanto in tanto i due guardavano con in quietudine in dire- zione della porta, quasi fossero ansiosi di raggiun gerlo. Quando mio padre parlò, io mi ero già sollevato a s edere guardando- mi attorno in un misto d'incredulità e di confusion e. --Siamo felici di vederti, Clovis--disse piuttosto freddamente e

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senza mostrare alcuna emozione, con un atteggiament o affatto diverso dai suoi modi solitamente gioviali e affettuosi.--S embra che tu abbia freddo, ma tra poco tornerai a essere normale. Noi abbiamo sorpren- dentemente bisogno di te nella conduzione di un esp erimento che non possiamo portare a termine senza la tua assistenza. --Parlava lenta- mente, incerto, come uno straniero che ha tentato d i imparare l'ingle- se da un dizionario. Io rimasi fortemente perplesso , anche se davo per scontato che sia lui che Stella soffrissero di uno squilibrio mentale. E la sua voce aveva un certo tono lamentoso, che ri cordava gli ulula- ti del branco. --Ci aiuterai?--domandò Stella con la stessa terrif icante inflessio- ne. --Spiegatemi! Spiegatemi tutto quanto, per favore!- - sbottai. --Altrimenti io impazzirò! Perché tu correvi insiem e ai lupi? Perché i tuoi occhi hanno quella luminosità verde, e la tua pelle è di un pallore mortale? Perché voi due siete così freddi? Perché q uesta luce rossa? Perché non c'è un fuoco acceso? Mentre io farfugliavo queste domande, loro rimasero a fissarmi si- lenziosi nella strana stanza, con quello sguardo mo struoso. Per alcuni minuti restarono zitti. Poi negli occhi di mio padre apparve un'espressione di scaltra intelligenza e dalla sua bocca uscì di nuovo quella voce agghiacciante. --Clovis--mi disse--tu sai che siamo venuti qui con lo scopo di studiare la scienza. E una grande scoperta è stata effettuata, un'enor- me scoperta riguardante le risorse della vita. I no stri corpi sono cam- biati, come tu sembri vedere. Macchine migliori son o diventati, e più forti. Il freddo non li danneggia, a differenza del tuo. Perfino la nostra vista è migliore, quindi luci intense non ci occorr ono più. --Ma ancora ci manca il successo perfetto. Le nostr e menti sono sta- te cambiate e noi non ricordiamo ciò che un tempo e ra in nostro pos- sesso. E sei tu che noi desideriamo come nostro aiu tante nella sostitu- zione di una nostra macchina che è stata rotta. Noi vorremmo aiuto da te, cosicché a tutta l'umanità noi possiamo portare il dono della nuova vita, che è di forza etema e non conosce morte. Noi cambieremo tutti con la nuova scienza che a noi è giunta in scoperta . --Vorresti dire che hai intenzione di trasformare l a razza umana in tanti mostri simili a voi? Mio padre ringhiò con la ferocia di un animale da p reda. --Tutti gli uomini riceveranno il dono della vita s imile alla no- stra--ribadì.--La morte non sarà più. E noi il tuo aiuto richiedia- mo... e otterremo!--La sua voce conteneva un intens o tono malefico di minaccia.--Tu sarai nostro aiuto. Tu non rifiute rai! Si piantò di fronte a me scoprendo i denti e incurv ando le dita come fossero artigli. --Certo, ti aiuterò--riuscii a balbettare con voce tremante.--A ogni modo non sono molto brillante come sperimentat ore.--Ero sicu- ro che un rifiuto avrebbe rappresentato un mezzo pe r commettere uno spiacevolissimo suicidio. In quei minacciosi occhi verdi brillò una luce trio nfante di astuzia, I'a- stuzia del maniaco che ha appena perpetrato un abil e inganno.

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--Può venire adesso, così da vedere la macchina?--d omandò Stel- la. --No--risposi io in tutta fretta, cercando delle ra gioni per guada- gnare tempo.--Ho freddo. Devo accendere un fuoco e scaldarmi. E poi ho fame, e sono molto stanco. Devo mangiare e d ormire.--Ed era tutto quanto vero, tra I altro. Il mio corpo era in teramente ghiacciato per le ore trascorse all'aperto. Gambe e braccia mi tremavano ancora. I due si guardarono scambiandosi strani suoni guttu rali, simili a la- menti bestiali. Sembrava che quello, e non le parol e, fosse il loro lin- guaggio naturale, e che il loro inglese fosse solo una lingua appresa su- perficialmente da poco tempo. --Vero--disse mio padre, e guardò verso la stufa.-- Accendi un fuoco se devi. Quello che ti occorre è qui?--E indi cò con aria interro- gativa il carbone e i legnetti, come se il fuoco fo sse una cosa del tutto nuova e sconosciuta per lui. --Noi dobbiamo andare all'esterno--aggiunse.--La lu ce del fuo- co è dannosa per noi, come il freddo per te. E in u n'altra stanza chia- mata...--esitò visibilmente--... chiamata cucina, c i sarà cibo. Là ti aspetteremo. Seguito dalla ragazza, uscì silenziosamente dalla c amera. Rabbrividendo per il freddo mi affrettai verso la s tufa. Le braci era- no spente; da parecchi giorni non veniva accesa. Sc ossi giù la cenere, accesi un fiammifero che trovai in tasca e lo butta i sulla grata, riem- piendo poi la stufa di ramoscelli e di carbone. In pochi minuti si levò una fiamma crepitante, di fronte alla quale mi acco vacciai con un sen- so di gratitudine. Poco dopo la porta si aprì lentamente. Stella lanci ò un'occhiata guardinga per vedere se c'era della luce nella stan za, poi entrò. La stu- fa, perfettamente chiusa, non lasciava filtrare alc un bagliore. La pallida ragazza dagli occhi verdi aveva le bracc ia cariche di cibo, un curioso assortimento raccolto evidentemente a ca saccio in cucina. C'erano due pagnotte, della pancetta affumicata, un a lattina chiusa di caffè, un sacchetto di sale, una scatola di farina d'avena, un barattolo di lievito, una dozzina di confezioni di cibo in sc atola, e perfino una bottiglia di lucido per la stufa. --Tu mangi questo?--mi chiese con la sua voce stran amente ani- malesca, deponendo il tutto sul tavolo. Era una situazione quasi ridicola, eppure in un cer to senso anche terribile. Sembrava che lei non avesse la minima id ea riguardo ai biso- gni alimentari umani. Provando finalmente un piacevole tepore al corpo, e letteralmente affamato, mi accostai al tavolo ed esaminai lo stra no assortimento. Scelsi una pagnotta, una scatoletta di salmone e un a di albicocche. --Alcune di queste cose si mangiano così come sono- -azzardai, chiedendomi come avrebbe reagito.--Altre devono ess ere cotte, inve- ce. 519 518

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--Cotte?--Domandò immediatamente lei.--Cosa vuol di re?-- Poi, mentre io restavo zitto per la sorpresa, aggiu nse:--Esprime forse che devono essere calde e sanguinanti dall'an imale? --No!--urlai.--No. Per cuocere un cibo lo si riscal da. E di solito si aggiungono condimenti, come il sale, per esempio. E un procedimento abbastanza complesso che richiede una notevole abil ità. --Capisco--disse.--E tu devi consumare simili gener i per mante- nere il tuo corpo integro? Le risposi di sì, poi le feci notare che mi serviva un apriscatole per il cibo confezionato. Dopo avermi chiesto una descrizi one di tale arnese si affrettò in cucina e tornò quasi subito con l'ap riscatole. Anche mio padre era rientrato nella stanza. I due m i osservarono con quegli strani occhi verdi mentre mangiavo. L'appeti to non ne fu certo stimolato, ma io cercai di protrarre il pasto il pi ù a lungo possibile per rinviare qualsiasi cosa mi riservassero per quando avessi finito. Entrambi mi rivolsero parecchie domande. Domande si mili a quella di Stella riguardante la cottura, circa argomenti n ormalmente noti an- che a un bambino. Non si trattava comunque di doman de stupide... af- fatto! Entrambi diedero prova di un'intelligenza qu asi soprannatura- le. Ricordavano tutto, e io rimasi impressionato da lla loro abilità nel collegare i fatti che io fornivo loro, per sviluppa rne altri. I loro occhi mi fissarono incuriositi quando, incap ace di protrarre ulteriormente la finzione di avere ancora fame, io estrassi una sigaret- ta e cercai un fiammifero per accenderla. Quando la fiammella balugi- nò, lanciarono un urlo agonizzante e si coprirono g li occhi, balzando indietro tremanti. --Distruggi quella cosa!--ringhiò con ferocia mio p adre. Io spensi la minuscola fiamma, sorpreso dai suoi ef fetti. I due scoprirono gli occhi, sbattendo le palpebre. Trascorsero parec- chi minuti prima che si riavessero completamente da lla loro sbalordi- tiva paura della luce. --Non fare più luce quando noi siamo vicini--ringhi ò mio padre. --Ti lacereremo il corpo se dimentichi!--E scoprì i denti, arriccian- do le labbra come un lupo e lanciando un altro grug nito terribile. Stella corse a una finestra che guardava a est, sol levò gli scuri e sbir- ciò nervosamente fuori. Vidi che stava arrivando l' alba. La ragazza ug- giolò in maniera strana, rivolta a mio padre. Anche lui era inquieto, co- me una preda puntata dai cani, e roteava gli enormi occhi verdi intor- no a sé. Si voltò nella mia direzione con fare ansi oso. --Vieni--disse.--La macchina che noi con il tuo aiu to ripareremo è nella cantina sotto la casa. Il giorno arriva. No i dobbiamo andare. --Non posso--protestai.--Sono stanco morto, sono st ato in piedi tutta la notte. Devo assolutamente riposarmi, prima di mettermi a la- vorare a una macchina. Ho tanto sonno che non riesc o nemmeno a con- nettere. Mio padre rivolse un guaito lamentoso a Stella, com e se stesse par- lando in una strana lingua lupina. Lei gli rispose nello stesso modo, poi

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mi parlò. --Se il riposo è necessario al funzionamento del tu o corpo, puoi dor- mire fino a quando la luce non andrà. Segui. Aprì la porta in fondo alla stanza, mi condusse att raverso una sala buia, e da là in una piccola camera da letto che co nteneva un lettino, due sedie, una toeletta e un armadio. --Tenta di non andare--mi avvertì con un ringhio--o noi ti segui- remo sulla neve! La porta si chiuse e io rimasi solo. Una chiave cig olò sinistramente nella serratura. La piccola stanza era fredda e bui a. Mi infilai in fretta a letto e per un po' rimasi coricato ad ascoltare. L'ululato spaventoso del branco, che era continuato tutta la notte, sembrò farsi più intenso e vicino. Poi cessò con po chi uggiolii acuti, ap- parentemente proprio fuori dalla finestra. Con l'al ba, il branco era ve- nuto alla casa! Mentre la luce crescente del giorno filtrava nella cameretta, mi sol- levai sul letto per esaminarne di nuovo il contenut o. Era una stanza or- dinata, tappezzata di fresco. La toeletta era coper ta da un vivace drap- po di seta su cui erano disposti ordinatamente arti coli da toeletta fem- minili. In un angolo, sotto una tenda, erano appesi alcuni abiti, un ber- retto di colore brillante e un maglione. Sulla pare te c'era una foto... un mio ritratto! Mi resi conto che la stanza in cui ero stato chiuso a chiave fino al ca- lar della sera doveva appartenere a Stella. E ora capivo anche che nessuna spiegazione terrena, nessuna forma di pazzia, poteva spiegare ciò che avevo visto e se ntito. Era un pensiero presente nella mia mente fin dall'inizio, ma avevo tentato di relegarlo in un angolo, in cerca di una spiegazione più sempl ice. Avevo pensato a Marte... e adesso mi rendevo conto che simboleggiav a qualcosa di alie- no, qualcosa che non apparteneva a questo mondo. Stella e mio padre erano posseduti da entità aliene , da entità intelli- genti e malvagie. Le loro personalità umane erano s tate scacciate, o as- soggettate... e le entità usurpatrici ora volevano il mio aiuto... Passai a esaminare le finestre, prospettando un'eve ntuale fuga. Ve n'erano due, rivolte verso oriente. All'esterno, co munque, erano state fissate trasversalmente due assi massicce, talmente vicine da toglier- mi qualsiasi speranza di riuscire a sgusciarvi in m ezzo. Un'ispezione della stanza non rivelò alcun oggetto con cui potes si tentare di rimuo- verle. Del resto avevo troppo sonno ed ero troppo s possato per tentare la fuga. Al pensiero dei quindici chilometri di nev e spessa e farinosa che mi separavano da Hebron, abbandonai subito l'id ea. Sapevo che nelle condizioni in cui mi trovavo non avrei mai po tuto percorrere una distanza simile nel corso della breve giornata inve rnale. E rabbrividii al pensiero di essere raggiunto sulla pianura innev ata dal branco. Mi coricai di nuovo sul letto di Stella, che conser vava ancora una leggera fragranza di profumo, e ben presto mi addor mentai. Il mio sonno, per quanto profondo, fu agitato. Ma nessun i ncubo avrebbe po- tuto essere così sconvolgente come la realtà da cui avevo trovato scam- po per qualche ora. La macchina in cantina

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Dormii per gran parte della breve giornata invernal e. Al mio risveglio il sole stava tramontando. Una luce grigia scendeva sullo sterminato deserto di neve all'esterno delle mie finestre sbar rate, e il pallido disco della luna quasi piena stava sorgendo nel cielo cre puscolare a oriente. Non si scorgeva traccia di alcuna abitazione lungo le miglia di candida prateria, e io provai un'acuta sensazione di solitu dine completa. Non potevo contare su alcun aiuto esterno nell'affr ontare la strana e paurosa situazione in cui mi ero inaspettatamente t rovato. Se dovevo sfuggire a quei mostri che si celavano nei corpi de lle persone a me più care, dovevo fare affidamento esclusivamente sulle mie forze. E sareb- be toccato esclusivamente a me l'impresa di restitu ire loro le persona- lità che possedevano un tempo. Ancora una volta esaminai le robuste traverse di le gno che ostruiva- no le finestre. Sembravano inchiodate saldamente al la parete da en- trambi i lati e io non trovai alcun attrezzo adatto a tagliarle. Avevo an- cora i fiammiferi in tasca, comunque, e pensai che forse avrei potuto bruciarle. Ma non c'era tempo sufficiente per una s imile operazione prima che le tenebre facessero tornare i miei cattu ratori, e inoltre non gradivo per niente il pensiero di fuggire con il br anco che mi inseguiva. E poi avevo di nuovo fame e sete. Scese l'oscurità, mentre io giacevo sul letto tra g li effetti personali di un'adorabile ragazza nei cui confronti avevo nutrit o sentimenti di te- nerezza, e aspettavo che lei arrivasse con la notte , in compagnia dei suoi terribili alleati, per trascinarmi incontro a un orrendo destino che ml era ancora ignoto. La grigia luce diurna svanì impercettibilmente nel pallido chiarore argenteo della luna. All'improvviso, senza alcun segno rivelatore, la ch iave girò nella ser- ratura. Stella, o I'entità aliena che dominava il grazioso corpo della ragazza, scivolò nella stanza con una grazia sinistra. --Immediatamente tu verrai--disse con quella voce l upina.--La macchina aspetta l'aiuto di te nel grande esperimen to. Subito vieni. Il tuo debole corpo è riposato? --D'accordo--dissi.--Certo, ho dormito. Però adesso ho di nuovo fame e sete. Devo assolutamente bere e mangiare qua lcosa, prima di mettermi ad armeggiare con una macchina. Ero deciso a posticipare il più a lungo possibile q ualsiasi prova mi fosse riservata. --Il tuo corpo potrai ancora soddisfare--acconsentì la donna. --Ma impiega non troppo tempo!--ringhiò minacciosa. La seguii nella sala da pranzo. --Prendo acqua--mi disse, e uscì silenziosa dalla p orta. La stufa era ancora tiepida. L'aprii, attizzai le b raci e aggiunsi altro carbone, ottenendo ben presto una fiamma crepitante . Poi spostai la mia attenzione al cibo che era avanzato. I resti de l salmone e delle al- bicocche erano gelati sui piatti, e io li appoggiai sulla stufa a scaldarsi. Poco dopo Stella fu di ritorno con un secchio conte nente un blocco di

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ghiaccio. Evidentemente sorpresa dal fatto che io n on potessi bere l'ac- qua in forma solida, mi lasciò deporre il recipient e sulla stufa affinché il ghiaccio si sciogliesse. Mentre attendevo accanto alla stufa, mi rivolse inn umerevoli do- mande, molte delle quali così elementari da risulta re ridicole se mi fossi trovato in una situazione meno tragica, altre riguardanti invece le più recenti e astruse teorie scientifiche, di cu i la ragazza sembrava possedere una conoscenza superiore alla mia. Mio padre apparve all'improwiso con le braccia cada veriche piene di libri. Li depose sul tavolo e mi fece un brusco cenno esortandomi a dare un'occhiata. Aveva portato La teoria della rel atività di Einstein, Gravitazione ed Elettricità di Weyl, e due dei suoi volumi stampati pri- vatamente. Si trattava di Tenson Spazio-~emporali e del volume di ipo- tesi matematiche intitolato Universi interdipendent i, le cui bizzarre im- plicazioni avevano creato sensazione notevole tra g li studiosi ai quali mio padre aveva inviato copie del libro. Cominciò allora ad aprire quei volumi e a bombardar mi di domande a cui spesso non fui in grado di rispondere. Tuttav ia la maggior parte dei suoi interrogativi riguardavano semplicemente l a grammatica o il significato delle parole del testo. Sembrava che ri uscisse ad afferrare facilmente l'essenziale del discorso, mentre la lin gua gli creava diffi- coltà. Le sue domande erano esattamente quelle che avrebbe potuto rivol- gere un essere super-intelligente di Marte, nel cas o avesse tentato di leggere dei trattati scientifici senza possedere pe rò una padronanza completa del linguaggio in cui erano scritti. Anche i suoi stessi testi sembravano risultargli po co familiari, come quelli degli altri scienziati. Eppure scorse le pag ine a una velocità im- pressionante, fermandosi solo occasionalmente per c hiedere un chiari- mento, e parve acquisire una conoscenza completa de l testo man ma- no che procedeva. Quando mi lasciò libero di consumare il mio pasto, il cibo e l'acqua erano ormai caldi. Bevvi, poi mangiai pane, salmone e albicocche, con la massima lentezza che il coraggio mi consentiva. Li invitai a dividere il pasto con me, ma i due rifiutarono seccamente. L a filza di domande nel frattempo continuò. Poi, di colpo, concludendo evidentemente che io ave vo mangiato a sufficienza, si incamminarono verso la porta ordina ndomi di seguirli e io non osai fare altrimenti. Mio padre si fermò a ll'estremità del tavo- lo e prese la lampada rossa, unica fonte luminosa d ella stanza. Attraversammo di nuovo la sala buia e uscimmo da un a porta sul re- tro della fattoria. Mentre percorrevamo un tratto i nnevato alla luce lu- nare, io rabbrividii per l'ennesima volta udendo il gemito lontano del branco in cui echeggiava ancora quella nota terribi le che ricordava de- gli organi vocali umani tesi in uno sforzo inaudito . A pochi metri da noi si trovava la porta della cant ina. Il seminterra- to dell'abitazione era stato evidentemente ampliato in maniera consi- derevole di recente, dato che il cortile posteriore era pieno di cumuli di terriccio, alcuni dei quali coperti di neve, altri neri e s~ogli. I due fecero strada lungo i gradini che immettevano nella cantina mio padre portava ancora la lampada che rompeva debolme nte l'oscúrità con un fievole bagliore cremisi.

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La cantina era spaziosa e intonacata accuratamente. Non aveva su- bito lavori di ampliamento, ma accanto alla porta s i apriva un passag- gio scuro che declinava verso scavi a una profondit à maggiore. Al centro del pavimento c'erano i rottami di uno st rano macchinario che era stato evidentemente danneggiato di proposit o. Lì accanto no- tai infatti un'accetta, senza dubbio l'oggetto caus a della devastazione. Il pavimento era cosparso di schegge di vetro, appa rtenenti a valvole termoioniche infrante. La macchina stessa era un am masso di cavi ag- grovigliati, di bobine contorte e di magneti piegat i, sistemato in ma- niera incomprensibile all'esterno di un grande anel lo di rame, del dia- metro di un metro abbondante. L'anello di rame era montato perpendicolarmente su un telaio me- tallico, di fronte al quale vi era uno scalino di p ietra sistemato in modo da lasciar supporre che servisse per salire e penet rare attraverso l'a- nello. Vidi però che era praticamente impossibile f arlo, poiché sul lato opposto vi era un ammasso di apparecchiature contor te... un grande specchio parabolico di metallo lucido al centro del quale era avvitato un oggetto che aveva tutta l'aria di un tubo catodi co spezzato. Era una macchina davvero sconcertante, che aveva su bito una di- struzione pressoché totale. Escludendo l'anello di rame e quel gradino di pietra, le altre sue parti erano quasi tutte con torte o infrante. In fondo alla cantina c'era un generatore di piccol e dimensioni, un piccolo motore a benzina collegato a una dinamo, de l tipo usato a volte nelle case isolate per fornire corrente elettrica. Vidi che quello non era stato danneggiato. Da un banco vicino alla parete, mio padre raccolse una valigetta da cui tolse un rotolo di cianografie e un fascio di f ogli infilati in una car- telletta di cartoncino. Sparse tutto quanto sul ban co e vi appoggiò vici- no la lampada rossa. --Questa macchina, come vedi, è stata danneggiata, con nostra grande sfortuna--mi disse.--Queste carte dicono il metodo di co- struzione da seguire nel montaggio di simili macchi ne. Il tuo aiuto è necessario nel decifrare quello che dicono. E la nu ova macchina porte- rà una grande e forte vita, come noi abbiamo, a tut to il tuo mondo. --Hai detto tuo mo?~do!--gridai.--Dunque ammetti di non appar- tenere a questa terra? Tu sei un mostro, che ha rub ato il corpo di mio padre. Entrambi ringhiarono come belve, scoprendo i denti e fulminandomi con un terribile sguardo dei loro occhi verdastri. Poi nelle pupille di mio padre affiorò di nuovo una subdola espressione d'astuzia. --No, figlio mio--mi disse con un uggiolio animales co.--Un nuo- vo segreto di vita noi abbiamo scoperto. Grande for za esso dà ai nostri corpi. La morte non più temiamo. Ma le nostre menti sono cambiate. Molte cose non ricordiamo. Dobbiamo richiedere il t uo aiuto per leg- gere questo che un tempo noi abbiamo scritto... --Sciocchezze !--esclamai.--Non ti credo. E che io sia dannato se vi aiuterò a riparare quel congegno infernale, e a trasformare altri es- seri umani in mostri come voi! I due balzarono verso di me. I loro occhi brillavan o orrendamente sulla pelle pallidissima; le loro dita erano incurv ate come artigli e dal- le loro bocche ringhianti gocciolava saliva. --Tu aiuterai!--urlò mio padre.--O il tuo corpo noi atrocemente

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distruggeremo. Lo divoreremo lentamente, mentre tu vivi ancora! Accecato dal terrore persi l'uso della ragione, e c on un grido selvag- gio e tremolante mi lanciai verso la porta. Era un gesto disperato, poiché era impossibile sfug gire a esseri dota- ti della loro forza soprannaturale. Con urli impressionanti si scagliarono dietro di me insieme, gettan- domi sul pavimento e addentandomi selvaggiamente al le braccia e al corpo. Per alcuni istanti lottai sorretto dalla dis perazione, mi contorsi e scalciai, riparandomi la gola con un braccio e co lpendo alla cieca con l'altro. Poi mi immobilizzarono definitivamente, e non mi re stò altro che imprecare e lanciare una vana richiesta di aiuto La donna, bloccandomi le braccia contro i fianchi, mi sollevò con fa- cilità e mi caricò sulle sue spalle. Il suo corpo a contatto del mio era freddo come il ghiaccio. Lottai con furia ma inutil mente, mentre lei imboccava il tenebroso pendio del passaggio che con duceva nei recen- ti scavi sottostanti la cantina della casa. Dietro di noi, mio padre raccolse la lampada rossa e le carte del pro- getto, seguendoci nel tetro cunicolo. Il tempio dell'oscurità scarlatta Impotente tra quelle braccia mostruosamente forti, sebbene avessero il gelo e il pallore di un cadavere, venni trasport ato lungo una stretta rampa di scalini in un'altra sala sotterranea perva sa da una fioca luce rossastra che non proveniva da alcuna fonte visibil e, tanto da sembra- re un tetro lucore sanguigno prodotto dall'aria ste ssa. Le pareti del lo- cale sotterraneo erano lisce e scurissime, di una s ostanza misteriosa nera come l'ebano. Venni trasportato per diversi metri lungo quella ca vità stranamente illuminata, finché non arrivammo in un locale più a mpio, con un alto soffltto a volta e ogive sorretto da una doppia fil a di colonne massicce e nerissime. Nelle pareti erano scavate numerose e bu ie nicchie ad arco. Anche questa sala più ampia era illuminata in manie ra tetra da una lu- ce spettrale e scarlatta che non sembrava irradiars i da nessun punto definito. Era un posto silenzioso e terribile, una specie di cattedrale delle te- nebre consacrata al male e alla morte. Una sinistra atmosfera di orrore indicibile pareva sprigionarsi da quelle stesse par eti buie come la not- te, simile ai soffocanti fumi d'incenso offerti a u n'informe divinità del- I'orrore. La fioca luce rossastra avrebbe potuto pr ovenire da ceri invi- sibili bruciati in riti proibiti di sangue e di mor te. Il silenzio stesso era come un'entità malvagia e tangibile che strisciava su di me staccando- si da quei muri d'ebano. Mi fu concesso ben poco tempo per poter riflettere sugli interrogati- vi suscitati da quel luogo. Cos'era quella materia nerissima delle pare- ti? Da dove proveniva quel livido lucore sanguigno? Da quanto tempo era stato costruito quello strano tempio del terror e? E a quale divinità demoniaca era consacrato? Ma non ebbi l'opportunità di cercare una risposta a queste domande, anzi, non ebbi nemmeno i l tempo per ri- prendermi dal mio naturale stupore nel trovare un p osto simile sotto il terreno di una fattoria del Texas.

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La ragazza che mi trasportava mi lasciò cadere a te rra, accanto a un pilastro che aveva un diametro di mezzo metro abbon dante, e lasciò un guaito stridulo come quello di un cane affamato. Si trattava eviden- temente di un richiamo, dato che due uomini apparve ro nell'ampia navata centrale del tempio, verso la quale io ero v oltato. Due uomini... o piuttosto due mostruosità malvagie celate in corpi umani. I loro occhi brillavano di quella verde fiam ma aliena, e i loro corpi, sotto abiti stracciati, erano spaventosament e bianchi. Uno di lo- ro mi si avvicinò con un pezzo sfilacciato di corda , probabilmente un frammento di laccio che avevano trovato di sopra. Più tardi capii che quei due dovevano essere i mecc anici provenienti da Amarillo e che, come mi aveva detto Judson la no tte del nostro viag- gio fatale, erano stati assunti da mio padre. Non a vevo ancora visto il dottor Blake Jetton, il padre di Stella, che era st ato l'assistente capo di mio padre in varie indagini scientifiche... indagin i che avevano avuto un risultato terrificante! Mentre la donna mi teneva contro la colonna, gli uo mini mi a~ferra- rono le braccia, le tesero dietro il pilastro e le legarono. Io scalciai, lot- tai, li maledissi, ma invano. Il mio corpo sembrava stucco molle di fronte alla loro terrificante forza. Una volta lega te le mani, mi passaro- no una seconda corda attorno alle caviglie, stringe ndola saldamente contro la colonna color ebano. Ero così del tutto impotente in quel misterioso tem pio sotterraneo, in balia di quelle quattro creature che sembravano possedere una su- perintelligenza infernale unita alla forza e alla n atura di lupi. --Guarda lo strumento che noi dobbiamo costruire!-- esclamò la voce ringhiante di mio padre. Fermo di fronte a me con il rotolo di pro- getti tra le mani cadaveriche, mi indicò un oggetto che non avevo fino- ra scorto in quel macabro baluginio rossastro. Al centro dell'alta navata principale, tra le file~ gemelle di neri pila- stri, c'era una lunga e bassa piattaforma di pietra d'ebano, da cui si er- geva un'intelaiatura metallica simile a quella dell a macchina distrut- ta che avevo visto di sopra, nella cantina. Il telaio sosteneva verticalmente un enorme anello di rame, molto più grande dell'anello appartenente all'apparecchio devastato. Il suo diametro era di circa tre metri e mezzo, se non di più; la sua curva su- periore si innalzava verso la buia volta del locale , luccicando strana- mente nell'atmosfera sanguigna e spettrale. Dietro l'anello era stato si- stemato un gigantesco specchio parabolico argenteo di metallo lucido. Ma l'apparecchiatura era evidentemente incompleta. Le complesse valvole termoioniche, le delicate bobi ne, i magneti e l'intricata cablatura, di cui avevo osservato i res ti inservibili nel rotta- me dell'altra macchina, non erano ancora state inst allate. --Guarda!--urlò di nuovo mio padre.--Lo strumento d a cui verrà sulla tua terra la grande vita che è nostra. Il pro getto su questi fogli ab- biamo fatto. Dal progetto abbiamo costruito la macc hina piccola, e ab- biamo condotto a noi stessi la vita, la forza, I'am ore del sangue... --L'amore del sangue!--Sussultai, lanciando un urlo angosciato, e fui di nuovo quasi sopraffatto dall'orrore che inco mbeva in quello stra- no posto. Mi accasciai contro le corde tremando di paura. Negli occhi della cosa che un tempo era stata mio p adre comparve ancora quella luce d'astuzia.

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--No, non temere--mi calmò con un tono lamentoso.-- La tua lin- gua è nuova per me, e io dico quello che non intend o. Non devi avere paura... se farai il nostro volere. Se non lo farai , allora noi assaggeremo il tuo sangue. --Ma la nuova vita è giunta solo a pochi. Poi la ma cchina si è rotta, per colpa di un uomo, e i nostri cervelli sono camb iati; così noi non ri- cordiamo come leggere i progetti che abbiamo fatto un tempo. Il tuo aiuto vogliamo nel ricostruire una nuova macchina. Per te e per tutta la tua specie di vita!--Si avvicinò con gli occhi v erdastri che brillava- no di una luce malevola, e mi srotolò davanti uno d ei fogli coi piani e le caratteristiche degli strani tubi elettronici da mo ntare intorno all'a- nello di rame. Dalle labbra gli uscì il lamento sin istro, canino, con cui quei mostri comunicavano tra loro. Uno dei meccanic i mutati lo segui- va, reggendo con mani di un pallore cadaverico i co mponenti di uno dei tubi - il filamento, la lamina, la griglia, gli schermi, gli elettrodi ausiliari e il tubo di vetro in cui quegli oggetti avrebbero dovuto essere sigillati. Evidentemente i componenti erano stati f abbricati tentando di obbedire alle specifiche dei fogli - almeno nell a misura in cui quelle creature potevano comprenderle, vista la loro tutt' altro che perfetta conoscenza dell'inglese. --Devi controllare la corrispondenza tra i pezzi e i piani--uggiolò mio padre.--Se la corrispondenza non c'è, devi dire dov'è l'errore, e spiegare come si può fare a ottenerla. Parla in fre tta, o morirai lenta- mente--concluse in tono minaccioso. Pur non essendo affatto un fisico di vaglia, non eb bi difficoltà a con- statare che molti pezzi erano inutilizzabili, nonos tante fossero stati co- struiti con estrema cura. Le creature sembravano ig norare completa- mente i principi di fondo sui quali si basava il co ngegno che cercavano di costruire; nello stesso tempo, il modo in cui er ano stati fabbricati al- cuni pezzi implicava il possesso di nozioni che, pe r il momento, erano molto al di là delle possibilità della nostra scien za. Il filamento era metallico, questo è vero - ma di t ale spessore che una corrente in grado di portarlo a incandescenza a vrebbe danneggia- to irreparabilmente il tubo che lo conteneva. La gr iglia era un piccolo capolavoro- ma era di radio metallico! Valeva, da s ola, una fortuna, ma era del tutto inutile in un tubo elettronico. E la lamina mi sembrò di quarzo puro fuso, lavorato con un'accuratezza ch e mi sbalordì; ma anche quella era del tutto inservibile. --Ci sono pezzi che non vanno bene?--chiese mio pad re con voce uggiolante. Evidentemente i suoi luccicanti occhi v erdastri avevano letto qualcosa nel mio viso.--Spiega dov'è lo sbagl io. Spiega come ri- farli nel modo giusto! Serrai le labbra, deciso a non dire nulla. Sapevo c he proprio per mezzo di quell'infame congegno mio padre e Stella erano s tati ridotti nel loro attuale stato. Per nessuna ragione al mondo ero dis posto a far sì che al- tri esseri umani subissero una così orribile metamo rfosi. Se portata a termine, la macchina alla quale erano destinati que i pezzi sarebbe sta- ta un pericolo per tutta l'umanità: questo pensavo, anche se allora ero ben lontano dall'aver compreso fino in fondo la por tata di quel perico- Mio padre ringhiò in direzione della donna. Lei allora si gettò carponi e si scagliò contro di me come un lupo, con terribili ululati! Mi prese con i denti i calzoni, sulla metà della co scia destra, e diede

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uno strappo verso il basso. Poi me li affondò nella carne e cominciò a rosicchiare lentamente... Non mi produsse una ferita profonda, ma il sangue, che appariva ne- ro in quella luce terribile, prese a gocciolare lun go la mia gamba... san- gue che di tanto in tanto lei leccava con gusto, sm ettendo momenta- neamente di rosicchiare. Era chiaro che tutto ciò v eniva fatto con il preciso scopo di causarmi il massimo del dolore e d ella paura. Per alcuni minuti, forse, io sopportai... minuti ch e sembravano seco- Il dolore in sé era atroce, ma non quanto lo era il terrore del luogo e della situazione in cui mi trovavo. Lo strano tempi o delle tenebre, dal pavimento nero, le pareti nere, i pilastri neri, il soffitto a volta nero. La fioca luce color sangue, senza fonti apparenti, che lo pervadeva. Lo spaventoso silenzio, rotto soltanto dai miei gemiti e dal lieve rumore dei denti che rosicchiavano. Il mostro demoniaco ch e mi stava di fron- te nel corpo di mio padre, che mi fissava tenendo i n mano gli schemi e i pezzi della valvola, e che aspettava che io parlass i. Ma la cosa più orri- bile era che il demone che mi stava addentando poss edeva il corpo del- la cara, adorabile Stella! La ragazza stava ora affondando i denti con un rumo re scricchiolan- te. Mi dimenai, urlando per il dolore atroce e grondant e di sudore. Die- di strattoni furiosi ai legami che mi bloccavano, c ercando di spezzare la corda che imprigionava la mia gamba torturata. Dalla gola di lei si levarono avidi e rabbiosi grug niti. Il suo viso di un pallore cadaverico era di nuovo sporco di sangue, c ome la prima volta che l'avevo visto. Ma lo strazio della mia gamba co ntinuava interrotto solo occasionalmente quando lei si fermava a leccar si le iabbra con un'orribile espressione di soddisfazione. Alla fine non riuscii più a sopportare quella tortu ra. Anche se il destino della terra dipendeva da me, come ero convinto, non potevo più resi- stere. --Basta! Basta!--gridai.--Parlerò. Si avvicinò a me con uno sguardo in cui bruciava un a verde fiamma malvagia, e mi srotolò di fronte agli occhi uno dei fogli contenenti i di- segni e i dati delle strane valvole che dovevano es sere montate all'e- sterno dell'anello di rame. Dalle sue labbra uscì i l curioso lamento ani- malesco con cui quei mostri comunicavano tra loro. Uno dei meccanici mutati gli si avvicinò allora, portando in mano le parti di una valvola: filamenti, placca, griglia, schermatura, elettrodi ausiliari e il tubo di vetro in cui dovevano essere sigillate. Le parti evidentemente erano state costruite con la massima confor- mità possibile alle istruzioni scritte, permessa da lla imperfetta cono- scenza dell'inglese di quegli esseri. --Ci sono i piani di queste parti--disse mio padre. --Se sbagliate, tu devi dire dove sbagliate. Descrivi come metterle assieme. Parla ra- pido, o morirai con lentezza!--E ringhiò minaccioso . Sebbene io non fossi assolutamente un esperto in fi sica, vidi abba- stanza facilmente che gran parte di quei pezzi eran o inservibili, nono- stante fossero stati fabbricati con sorprendente pr ecisione. Sembrava che quelle creature non possedessero alcuna conosce nza dei principi

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fondamentali che erano alla base del funzionamento della macchina che stavano tentando di costruire... eppure, nel fa bbricare quei pezzi, avevano compiuto realizzazioni che sarebbero state al di fuori della portata della nostra scienza. Il filamento era costruito in metallo, abbastanza b ene... ma era trop- po spesso, e la corrente che avrebbe condotto avreb be fatto saltare la valvola. La griglia era costruita in maniera eccell ente... ed era di radio metallico! Valeva una piccola fortuna, ma era del t utto inadatta a una valvola termoionica. La placca era evidentemente di quarzo puro, fu- so. Era modellata con una precisione che mi sorpres e, ma anch'essa era inservibile. --Parti sbagliate?--latrò eccitato mio padre, avend omi senza dub- bio letto qualcosa in faccia.--Indica quanto sono s bagliate! Descrivi come farle corrette! Io serrai le labbra, deciso a non rivelare nulla. S apevo che la spaven- tosa metamorfosi di mio padre e di Stella era avven uta tramite la mac- china ora distrutta, e non volevo collaborare alla trasformazione di al- tri esseri umani in simili mostri diabolici. Ero ce rto che quell'apparec- chiatura, una volta completata, avrebbe costituito una minaccia per l'intera umanità. Piuttosto riluttante la ragazza si alzò, leccandosi le labbra scarlatte. Mio padre - io continuo sempre a chiamare il mostro con questo no- me, ma quello non era mio padre - mi mise gli schem i sotto gli occhi, mostrando nel palmo della mano le minuscole parti c he componevano la valvola. Dovetti usare tutta la forza di volontà di cui disp onevo per distoglie- re la mente dal dolore pulsante della ferita alla g amba. Ma riuscii a spiegare che il filamento avrebbe dovuto essere mol to più sottile, che il radio non era adatto per la griglia, e che la placc a doveva essere co- struita con un metallo conduttore, invece che con q uel quarzo. Fece fatica a comprendere i termini scientifici da me usati. Il nome tungsteno, per esempio, non significava niente per lui, finché non gli spiegai le caratteristiche e il numero atomico di t ale metallo. Al che lo indentificò immediamente, e parve possedere in prop osito una cono- scenza perfino superiore alla mia. Per lunghe ore risposi alle sue domande e fornii sp iegazioni. Alcune volte fui tentato di rifiutare di farlo, ma il rico rdo insopportabile dei denti che mi rodevano la gamba finì sempre col cost ringermi a parla- re. La conoscenza scientifica e l'abilità dimostrate ne lla costruzione delle parti della macchina, una volta capite corret tamente le istruzio- ni, mi sorpresero. Quei mostri, che avevano rubato quei corpi umani, sembravano possedere una loro conoscenza scientific a notevole, spe- cialmente nella chimica e in certi rami della fisic a. Però l'elettricità, il magnetismo, e le moderne teorie della relatività e dell'equivalenza, sembravano nuove per loro, probabilmente perché que gli esseri prove- nivano da un mondo i cui fenomeni naturali erano di fferenti dai nostri. Da una delle cavità che si aprivano nella grande sa la, portarono uno strano congegno luccicante che consisteva in una se rie di sfere e di bul- bi collegati tra loro e costruiti con una specie di cristallo. Un blocco di pietra calcarea, che doveva provenire dagli scavi d el tempio sotterra- neo, venne posto in una capiente sfera inferiore de l macchinario e si dissolse lentamente formando un denso gas iridescen te color vioia.

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Allora, quando mio padre o uno degli altri volevano costruire qual- cosa - una placca o una griglia metallica, una bobi na, un interruttore o qualsiasi altro pezzo occorrente alla macchina - mo dellavano una pic- cola copia dell'oggetto desiderato con una sostanza biancastra e molle, simile a cera. Il modello veniva quindi posto in uno dei bulbi di cristallo che veni- va riempito con il gas violetto, probabilmente un d erivato formato dai protoni e dagli elettroni del calcare scisso. L'operatore del congegno azionava un controllo, e a l momento giu- sto toglieva dal bulbo di cristallo... non il model lo, bensì l'oggetto fini- to, formato del materiale desiderato! Non mi spiegarono il processo, ma sono certo si tra ttasse di formare nuovi atomi partendo dagli elettroni e dai positron i originali- un pro- cesso era esattamente l'opposto della disintegrazio ne. Si poteva parti- re da atomi semplici come quelli dell'idrogeno o de ll'elio e si ottene- vano poi carbonio, silicio, o ferro. E poi argento, se si desiderava, op- pure oro! E infine radio o uranio, i metalli più pe santi. L'oggetto veniva tolto quando gli atomi avevano raggiunto il numero adatto per la for- mazione dell'elemento richiesto. Con quell'apparecchio meraviglioso, i cui risultati superavano i so- gni più folli degli alchimisti, la realizzazione de ll'enorme macchina al centro della navata procedeva a una velocità impres sionante, una ve- locità che mi terrorizzava. Pensai allora che avrei potuto ritardarne la costru zione escogitando qualche espediente. Spremendo il mio cervello, stan co e offuscato dal dolore, cercai un trucco che potesse sviare i miei astuti avversari. L'i- dea migliore che mi si presentò fu quella di fomire una falsa interpre- tazione della parola "vuoto". Se fossi riuscito a n asconderne il vero si- gnificato a mio padre, lui avrebbe lasciato arie ne lle valvole, che sareb- bero saltate non appena data la corrente. Quando al la fine mi doman- dò cosa volesse dire quella parola, io gli spiegai che indicava uno spa- Zi0 chiuso. Ma lui aveva consultato opere scientifiche, oltre a sfruttare la mia povera consulenza tecnica. Quando quelle parole usc irono dalle mie labbra, mi balzò addosso con un ringhio terrificant e, cercando di gher- mirmi la gola. Se non fosse stato per un'affrettata simulazione di ottu- sità e di paura, la mia parte in quell'orribile avv entura avrebbe potuto giungere a una prematura conclusione. Protestai la mia sincerità, ad- ducendo come scusa che la mia mente era sfinita e c he non riuscivo più a ricordare argomenti scientifici, che avevo ancora bisogno di mangia- re e di dormire. Poi mi accasciai contro le corde, con il capo penzo lante, rifiutando di rispondere anche di fronte alla minaccia di ulterio ri torture. E, a dire il vero, vi era ben poca finzione nella mia stanchezza , perché non avevo mai passato una giornata così logorante, una giorna ta in cui gli orrori si erano succeduti così di continuo. Alla fine mi slegarono, e la ragazza, percorrendo i l passaggio di pri- ma, mi condusse di nuovo in casa; ero troppo esaust o per camminare da solo. Quando uscimmo nel cortile coperto di neve , il lontano lamen- to del branco mi colpì un'altra volta i timpani. A est, sulla sconfinata distesa di neve, il pallido disco della luna dai freddi riflessi argentei stava sorgendo. Era di nuo vo notte!

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Ero rimasto nel tempio sotterraneo per più di venti quattro ore. Sfuggendo al branco Ero di nuovo nella piccola stanza che un tempo era stata di Stella, tra i suoi oggetti personali, cogliendo un occasionale se ntore del suo profu- mo. Era una cameretta ordinata e semplice, e io ave vo la sensazione di violare un luogo sacro. Ma non avevo scelta, del re sto, poiché le fine- stre erano bloccate e la porta era chiusa a chiave. Stella, o meglio dovrei dire la donna lupo, mi avev a lasciato fermare nell'altra stanza per mangiare e bere qualcosa, e m i aveva perfino con- cesso di cercare il mobiletto dei medicinali da cui avevo prelevato una bottiglia di disinfettante da applicare alla gamba ferita. Ora, seduto sul letto in un freddo raggio di luce l unare, versai il li- quido bruciante e fasciai la gamba con una benda ri cavata da un len- zuolo pulito. Poi mi alzai e andai alla finestra: ero deciso a fu ggire se la fuga fosse stata possibile, o a farla finita definitivamente i n caso contrario. Non avevo alcuna intenzione di tornare vivo in quel tem pio infernale. Ma mentre raggiungevo la finestra udii debolmente i l lugubre ulula- to del branco, e cominciai a tremare inorridito, gu ardando quel biz- zarro deserto di neve argentea che luccicava nella foschia opalescente della luna. Poi colsi di sfuggita due occhi verdi che si muovev ano, e lanciai un grido. Un enorme lupo grigio stava andando avanti e indiet ro tranquilla- mente sotto la finestra, alzando di tanto in tanto il muso e fissando le mie finestre con occhi malvagi. Una sentinella per controllarmi! Alla mia disperazione assoluta si aggiunse allora i l peso gravoso del- la fatica Mi sentii improvvisamente stremato, fisic amente e mental- mente. Mi accasciai barcollando sul letto e scivola i sotto le coperte senza nemmeno spogliarmi, addormentandomi quasi all 'istante. Al risveglio trovai ad accogliermi una giornata fre dda e grigia. Un ven- to gelido sibilava inquietante attorno alla vecchia casa, e il cielo era coperto da tetre nubi bluastre. Balzai dal letto pr ovando un notevole senso di ristoro dopo la lunga dormita. Per un ista nte, nonostante il giomo cupo, avvertii uno straordinario senso di sol lievo; per quell'at- timo fuggevole mi sembrò che tutto quanto era accad uto fosse solo un incubo orrendo da cui stavo risvegliandomi. Poi tor narono i ricordi accompagnati da un dolore sordo alla gamba ferita. Mi chiesi come mai non mi avessero riportato nell'o rrido tempio dalla luce rossastra prima dello spuntare del giomo ; forse dovevo aver dormito troppo profondamente perché mi svegliassero . Ricordando il lupo grigio, guardai nervosamente dal la finestra. Se n'era andato, ovvio. Sembrava proprio che i mostri non sopportassero la luce del giomo, o qualsiasi altra luce che non f osse il terribile lucore sanguigno del tempio. Mi gettai una coperta sulle spalle, dato il freddo intenso, e cominciai

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subito a studiare un sistema per fuggire. Ero decis o a conquistarmi la libertà o a morire nel tentativo. Per prima cosa esaminai ancora le finestre. Le trav erse esteme quantunque di legno, erano solidissime, e anche sfo rzandomi al massi- mo non riuscii a spezzarle. Nella stanza non trovai niente che fosse adatto a tagliarle o a spaccarle senza impiegare or e di duro lavoro Alla fine mi concentrai sulla porta, ma pugni e cal ci non sortirono al- cun effetto sui solidi pannelli. La serratura aveva un aspetto robusto, e poi non avevo né le capacità, né gli attrezzi per f orzarla. Ma mentre ero lì a fissare la serratura, mì venne u n'idea. Avevo an- cora la piccola automatica e due caricatori pieni. I miei carcerieri ave- vano mostrato solo disprezzo per quell'arma minusco lal e io non vi fa- cevo più alcun affidamento dopo aveme constatato la sorprendente inefficacia nell'uccidere quel lupo grigio. Indietreggiai, presi la pistola e scaricai, senza f retta, tre colpi nella serratura. Quando provai ancora ad aprire la porta, mi accorsi che continuava a non cedere. Allora spinsi e girai la m aniglia in continua- zione finché, con un secco scatto, la porta si spal ancò. Ero libero. Se solo fossi riuscito a raggiungere un luogo al sicuro pri- ma che l'oscurità spingesse allo scoperto quel bran co misterioso! Mi fermai nella vecchia sala da pranzo per bere e m angiare affrettata- mente, poi uscii dalla porta anteriore perché non o savo avvicinarmi a quell'infemale tana sotterranea nemmeno di giomo, e con una fretta disperata mi incamminai nella neve. Sapevo che il piccolo centro di Hebron distava quin dici chilometri in direzione nord. Sulla spessa coltre nevosa erano visibili ben pochi punti di riferimento, e le nubi grigie nascondevano il sole. Ma io presi ad arrancare lungo un reticolato che sapevo mi avre bbe guidato nella direzione giusta. Lentamente la casa colonica ingiallita dal tempo, u na struttura mal progettata e mal costruita dal tetto di assicelle g rigiastre, rimpicciolì sulla candida distesa alle mie spalle. I fabbricati annessi, piccoli, più vecchi e in rovina della casa stessa, parvero raggr upparsi con l'abita- zione, fino a formare un'unica macchia bruna sulla smisurata desola- zione della prateria innevata. La crosta superficiale, per quanto più ghiacciata e solida della notte maledetta in cui ero arrivato, era ancora troppo fr agile per sorreggere il mio peso. A ogni passo si incrinava sotto i miei piedi, facendomi af- fondare fino alla caviglia. La mia avanzata era una lotta dolorosa e spietata. Gli orrori e gli sforzi estenuanti degli ultimi giorni mi avevano sv uotato di qualsiasi energia. Ben presto mi ritrovai ansimante, con i pi edi pesanti come piombo e un dolore sordo alla gamba ferita, un dolo re intollerabile. Se la neve fosse stata abbastanza ghiacciata da sos tenere il mio peso e pemmettermi così di correre, avrei potuto arrivar e a Hebron prima dell'oscurità. Invece, affondando a ogni passo fino alla caviglia, non riuscivo assolutamente a muovermi con rapidità. Non avevo nemmeno coperto, a mio avviso, la metà de lla distanza che mi separava da Hebron, quando le tenebre di que lla giomata gri- gia e deprimente sembrarono calare su di me. Mi res i conto, con un fre- mito d'orrore, che la mia fuga non era iniziata di prima mattina. Avevo

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l'orologio fermo, e poiché il sole era stato copert o da nubi plumbee, non avevo la minima nozione del tempo. Senza dubbio, sfinito per quell'intero giomo di tor ture trascorso nel tempio, avevo dormito per più di mezza giornata. Or a la notte mi ave- va sorpreso quando ero ancora lontanissimo dalla me ta. Ormai distrutto dalla fatica, mi ero trovato già di verse volte sul pun- to di fermarmi e riposare. Ma il terrore mi infuse rinnovate energie e continuai ad arrancare il più rapidamente possibile , evitando però di mettermi a correre, cosa che avrebbe esaurito tropp o presto le mie ul- time forze. Avevo forse percorso un altro chilometro e mezzo, q uando sentii l'ag- ghiacciante ululato del branco. Dapprima lo sentii lontanissimo, basso e lamentoso, con quella sua orrenda nota di voce umana. Poi però si fece più fo rte, divenne una se- rie di guaiti striduli e avidi. Capii allora che il branco che aveva assalito me e Judson si era lan- ciato sulle mie tracce. Il terrore che mi afferrò, un terrore pazzesco, ass oluto e lacerante, è inimmaginabile. Urlai perdendo ogni controllo. Il m io corpo passava continuamente da ondate di calore febbricitante a b rividi e sudori freddi. Avevo la gola riarsa, vacillavo e sentivo i l battito del cuore pul- sare cupo in tutto il corpo. Fuggii. Selvaggiamente, come un forsennato. Corsi con tutte le mie forze Ma dopo alcuni istanti, sembrò proprio che avessi d ato fondo a ogni mia energia. Mi sentii di colpo nauseato dalla fatica e barcolla i, quasi incapace di reggermi in piedi. Una foschia rossastra, punteggia ta da lampi di can- dida fiamma, mi danzava di fronte agli occhi. La va sta piana di neve mi roteava attorno in maniera assurda. Continuai ad avanzare vacillando. Ogni passo mi cos tava un supre- mo sforzo di volontà; sentivo che ero sul punto di crollare nella neve ma lottavo disperatamente trovando la forza di alza re nuovamente ii piede. Intanto gli orribili latrati si facevano più vicini , finché il loro suono lamentoso e caotico non mi martellò nel cervello. Alla fine, incapace di muovere un altro passo, mi v oltai a guardare. Per alcuni istanti rimasi lì, barcollando e ansando concitato. Gli urli innaturali e agghiaccianti del branco erano vicinis simi, ma io non riu- scivo a scorgere nulla. Poi, attraverso le nubi, un ampio raggio spettra- le di luce lunare sondò la distesa di neve dietro d i me. Allora vidi il branco. Li vidi. Il massimo dell'orrore! Lupi grigi che spiccavano balzi, animali scarni dag li occhi verdastri. E tra di loro, in corsa con loro, strane figure uma ne. Pupille di smeral- do che fissavano, gelide e spietate. Corpi di un pa llore assurdo vestiti solo di cenci. E Stella che balzava alla testa del branco!

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Mio padre la seguiva. E pure altri uomini. Tutti co n gli occhi verdi e la pelle di un bianco immondo. Alcuni orrendamente mutilati. Alcuni così malridotti che avrebbero dovuto essere già morti! Judson, I'uomo che mi aveva condotto fuori da Hebro n, era tra di lo- ro La carne livida gli pendeva a brandelli dal corp o. Aveva perso un occhio, e l'orbita vuota sembrava cauterizzata da u na fiamma verde. Il suo torace era lacerato in modo inconcepibile. Quel l'uomo era stato anche... completamente sventrato! Eppure il suo corpo mostruoso balzava accanto ai lu pi. Altri erano in condizioni altrettanto orribili. Uno era privo di testa. Una foschia scura sembrava concentrarsi sopra il li vido moncone del suo collo, e in essa splendevano malvagi due tizzon i verdi. Nel gruppo c'era anche una donna. Le era stato stra ppato un braccio e il suo petto nudo era dilaniato. Ma correva con g li altri componenti del branco, latrando a bocca spalancata e con gli o cchi verdastri che brillavano. Poi, in quella compagnia grottesca, scorsi anche un cavallo, un pos- sente animale grigio che avanzava spiccando salti i mpressionanti. An- che nei suoi occhi scintillava il fuoco malvagio di un'intelligenza mali- gna che non apparteneva a questa terra. Si trattava dell'animale di Judson, anch'esso vittima dell'orrida metamorfosi. Dalla sua bocca, tra un luccichio di denti giallastri, uscivano urli terrificanti. L'orda infernale, ringhiando, si avvicinò sempre di più, guizzando velocissima verso di me da tutte le direzioni. La mia mente non poté sopportare l'orrore della sit uazione. Una pie- tosa ondata d'oscurità mi avvolse, mentre io, barco llando, cadevo sul- la neve. Attraverso il Disco delle Tenebre Mi risvegliai nel silenzio assoluto di un sepolcro. Per un po' rimasi a occhi chiusi, analizzando le sensazioni del mio cor po ghiacciato e do- lente, avvertendo il dolore sordo e pulsante della ferita alla gamba. Rabbrividii al ricordo delle esperienze spaventose vissute negli ultimi giorni, soprattutto al ricordo dell'orrore opprimen te nell'attimo in cui il branco- lupi, uomini, cavalli, orrendamente muti lati e dai demo- niaci occhi verdi - mi aveva raggiunto sulla prater ia innevata. Per un po' non osai aprire gli occhi. Alla fine, facendomi forza e preparandomi a eventua li nuovi orrori che avrebbero potuto attendermi in quel luogo, soll evai le palpebre. Il mio sguardo si affacciò sul macabro lucore cremi si del tempio dai pilastri d'ebano. Mi trovavo accanto a una di quell e pareti nere come la notte, steso su un mucchio di stracci e coperto sommariamente da un panno. Oltre la fila di massicce colonne cilindr iche, vidi lo strano macchinario con l'enorme anello di rame che emanava strani bagliori nella fioca luce sanguigna. Lo specchio parabolico sembrava sprigio- nare un rossore intenso di rubini fusi, e le numero se valvole termoioni- che, ora montate sui loro supporti, irradiavano la stessa incandescen- za. La macchina sembrava ormai completata- Iivide f igure dagli occhi verdi vi erano affaccendate, muovendosi con rapidit à ed efficienza meccanica. Fui subito impressionato dal fatto che s i muovessero più come macchine che come esseri umani. Si trattava di mio padre, di Stella e dei due meccanici.

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Restai immobile, a osservarli di nascosto, per pare cchio tempo. Evi- dentemente mi avevano portato in quella camera sott erranea per to- gliermi qualsiasi possibilità di tentare una second a fuga. Cominciai a esaminare l'eventualità di strisciare lungo la pare te verso il passaggio che conduceva di sopra, e poi di imboccarlo a tutta velocità. Ma vi era- no poche speranze che riuscissi a farlo senza esser e visto. E poi non avevo alcun modo di sapere se fosse giorno o notte; sarebbe stata una follia darmi alla fuga nelle tenebre. Sentii che la piccola automatica era ancora sotto il braccio; non si erano minimamen te preoccupati di togliermi quell'arrna di cui non avevano alcun timo re. All'improvviso, prima che avessi osato muovermi, vi di che mio pa- dre mi si stava avvicinando. Alla vista ravvicinata della sua pelle cada- verica e dei suoi malefici occhi verdastri, non riu scii a reprimere un fremito. Mi immobilizzai, cercando di fingere di do rmire. Ma avvertii il glaciale contatto delle sue dita sul la spalla e fui trascina- to in piedi in modo brusco. --Altra assistenza ci devi dare--uggiolò la sua voc e animalesca. --E non più verrai riportato indietro vivo, se dove ssi essere tanto sciocco da fuggire!--E il tono lamentoso della voce si concluse con un ringhio sinistro. Mi trascinò verso quell'apparecchio fantastico che scintillava nel macabro chiarore. Al pensiero che mi legassero ancora alla colonna, m i persi completa- mente d'animo. --Vi aiuterò!--urlai.--Farò quello che vorrete. Ma non legatemi per l'amor del cielo! Non fatemi azzannare da lei!- -La mia voce dove- va essersi mutata in un grido isterico. Mi sforzai di assumere un tono più calmo, arrovellandomi il cervello in cerca di u n appiglio. --Se mi legate un'altra volta, morirò--implorai vig orosamente. --E poi, se mi lasciate libero, potrò aiutarvi con le mie mani! --Sarai libero da legami, allora--disse mio padre.- -Ma ricorda! Vattene, e noi non ti riporteremo vivo! Mi condusse accanto alla grande macchina. Uno dei m eccanici, a un uggiolio di comando di mio padre, srotolò di fronte a me uno schema e cominciò a rivolgermi parecchie domande riguardanti l'impianto di cavi per collegare le numerose valvole, le bobine e i magneti disposti intorno all'enorme anello di rame. Pareva che il suo strano cervello non possedesse al cuna idea circa la natura dell'elettricità; così mi toccò spiegargli i principi fondamenta- li. Tuttavia afferrava ogni nuova nozione con una p rontezza stupefa- cente e sembrava vederne istintivamente le applicaz ioni pratiche. Apparve così chiaro che la grande macchina era prat icamente finita; in un'ora circa, i collegamenti dei cavi vennero co mpletati. --E ora, cosa ancora dev'essere costruito?--domandb mio padre. Mi resi conto che non si era provveduto affatto all 'elettricità neces- saria per il funzionamento delle valvole e dei magn eti. Sembrava pro- prio che quegli esseri ignorassero la necessità di una fonte energetica. Un'altra possibilità di fermare l'esecuzione del lo ro piano diabolico,

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pensai allora. --Non lo so--risposi.--Da quel che posso vedere, la macchina se- gue tutte le norme costruttive. Non saprei che altr o fare. Mio padre ringhiò qualcosa a uno dei meccanici, che prese subito il pezzo di corda insanguinata con cui ero stato legat o in precedenza. Stella balzò verso di me, arricciando le labbra in un avido ringhio be- stiale, con un luccichio di denti. Un terrore incontrollabile mi scosse, e mi indebolì le ginocchia fino a farmi barcollare. --Aspettate, fermatevi!--urlai.--Ve lo dirò se non mi legherete! Si fermarono. --Parla!--latrò mio padre.--Presto, descrivi! --Alla macchina occorre energia motrice. Elettricit à, forse. --E da dove proviene l'elettricità? --C'è un generatore, su in cantina, presso l'altra macchina. Quello potrebbe adattarsi allo scopo. Mio padre e il mostro che un tempo era Stella mi sp insero lungo la sala dai pilastri neri facendomi salire poi il pass aggio che conduceva in cantina. Arrivati, io indicai loro il generatore e tentai di spiegare sommariamente come funzionava. I due si chinarono e afferrarono la base metallica dell'apparecchio. Con lá loro forza incredibile lo sollevarono e lo t rasportarono verso il 538 1 539 passaggio per trasferirlo nella sala della macchina , costringendomi però a camminare davanti a loro e frustrando così u n'altra mia speran- za di tentare una fuga improvvisa verso l'esterno. Proprio mentre stavano sistemando il generatore - i l motore a ben- zina e la dinamo, assieme, dovevano pesare diverse centinaia di chili - sulla piattaforma nera accanto alla gigantesca macc hina misteriosa si verificò un'interruzione. Dal passaggio giunse uno strusciare di piedi, segui to da quel misto di suoni secchi e lamentosi che i mostri usavano ap parentemente come sistema di comunicazione. E nella vaga luce rossast ra, tra le alte file di colonne tenebrose, apparì il branco! C'erano enormi lupi dal corpo scarno. Uomini orrend amente dila- niati... Judson, e gli altri che avevo visto. Il ca vallo. Tutti i loro occhi erano di quel verde luminoso, accesi di un fuoco sp aventoso e maligno. Le labbra degli uomini, i musi dei lupi grigi e per fino quello del ca- vallo erano macchiati di scarlatto. Portavano la pr eda! Sulle spalle lacerate di Judson penzolava inerte e coperto di sangue il corpo straziato di una donna... sua moglie! Uno dei lupi trasportava sul dorso il corpo maciullato di un uomo, e lo tene va fermo con le fauci, girando il muso di lato. Un altro portava un vitell o chiazzato. Altri due lupi stringevano nelle bocche grondanti di sangue i corpi inerti di due coyote. E uno degli uomini reggeva in spalla i rest i di un enorme lupo

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grigio. Quei corpi esanimi vennero gettati in un cumulo orr ibile sotto la na- vata centrale del tempio, accanto alla strana macch ina che pareva un altare di morte. Il sangue si sparse sul pavimento nero, coagulandosi in spessi grumi viscidi. --A questi noi portiamo vita--ringhiò mio padre riv olto a me, in- dicando con il capo lo spaventoso mucchio di corpi dilaniati. Rabbrividendo e sconvolto dall'orrore, caddi per te rra coprendomi gli occhi. Ero in preda a una nausea insopportabile . La mia mente, ot- tenebrata e confusa, stava vacillando e si rifiutav a di prendere in con- siderazione il significato di quella mostruosa scen a. L'essere demoniaco che si celava sotto le spoglie d i mio padre mi sol- levò violentemente in piedi, mi trascinò verso il g eneratore e cominciò ad assediarmi con una serie di domande riguardanti il suo fimziona- mento e il modo in cui collegarlo allo strano macch inario con l'anello di rame. Mi sforzai di rispondere ai suoi interrogativi, cer cando, ma invano, di dimenticare in questo modo il mio orrore. Ben presto i collegamenti vennero completati. Sotto la sorveglianza di mio padre, esaminai il motore e vidi che era già fornito di carburan- te. Poi lui tentò di metterlo in moto, ma non sapev a come far funziona- re correttamente il carburatore. Allora, sotto la c ostante minaccia del- la corda insanguinata e delle fauci aguzze della do nna-lupo, mi misi all'opera attorno al piccolo motore finché, dopo av er tossicchiato alcu- ne volte, non si accese con uno scoppio regolare. Mio padre mi fece premere l'interruttore che forniv a alla strana macchina la corrente del generatore. Dalle bobine s i sollevò un lieve ronzio. Le valvole si accesero di una debole incand escenza. E una cortina d'oscurità sembrò calare improvvisame nte attraverso l'anello di rame. Sembrava che un nero assoluto flu isse dallo strano tu- bo catodico, sistemáto posteriormente, e che veniss e poi riflesso dallo specchio parabolico. Un disco di fitta e assoluta o scurità riempiva così l'anello. Per alcuni istanti fissai la scena sconcertato. Poi, quando i miei occhi cominciarono lentamente ad assuefarsi, scoprii che riuscivo a vedere attraverso il disco.. . a vedere in un orren- do mondo da incubo. L'anello era diventato un'apertura che si affacciav a su un mondo alieno, un mondo d'orrore e di tenebre. Il cielo di quel mondo era di un nero indescrivibil e e inconcepibile, era più nero della notte più buia. Non aveva stelle , non aveva corpi ce- lesti, non mostrava nemmeno un fievolissimo balugin io che ne spez- zasse la terribile e opprimente intensità. Oltre l'anello era visibile una vasta distesa della superficie di quel- I'altro mondo. Basse colline, desolate e consumate dal tempo, che sem- bravano nere al pari del lugubre cielo. Tra di esse scorreva un largo fiu- me stagnante, le cui acque pigre e cupe brillavano di una vaga lumino- sità spettrale, un pallido bagliore che aveva qualc osa di immondo e di- sgustoso.

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E sopra quelle basse e antiche colline, tondeggiant i come il petto gonfio di un cadavere, cresceva una vegetazione rip ugnante. Orride, oscene parodie di piante normali, dalle foglie lung he e strette, simili a serpi. Sembravano contorcersi animate da una vita s paventosa e con- traria alla natura; coprivano le colline in grovigl i disgustosi e si spin- gevano fino alle fetide acque del fiume. I loro vit icci tentacolari, simili a rettili, emettevano una pallida luce spettrale, l ivida e verdastra. E su una collina, sopra il fiume e la giungla oscen a, sorgeva l'equiva- lente di una città. Un ammasso caotico di marciume rossastro. Una chiazza immonda di cupo inquinamento cremisi. Non si trattava forse di una città... almeno, non n el senso che noi at- tribuiamo alla parola. Sembrava una specie di nube di tenebre, orribi- le e sfumata di sangue, che spingeva i suoi repelle nti tentacoli stri- scianti lungo la bassa collina; una chiazza di malv agia nebbia color cremisi. Protuberanze ed escrescenze, folli e repel lenti, si innalzavano 540 1 541 intorno in una grottesca caricatura di guglie e tor ri. La città era immo- bile. Io capii istintivamente che una sordida e abo minevole forma di vita senziente regnava all'interno di quella spaven tosa contaminazio- ne scarlatta. Mio padre salì sullo scalino di pietra di fronte al l'anello di rame, e cominciò a lanciare un ululato misterioso in quel r egno dell'oscuro. In risposta, la caotica città d'incubo sembrò agita rsi leggermente. Co- se scure, nere masse fetide, sembrarono muoversi st risciando dalle sue disgustose protuberanze per sciamare verso di noi a ttraverso l'immon- da vegetazione brulicante. Le tenebre del male assoluto strisciavano da quel m ondo d'incubo per penetrare nel nostro! Per lunghi istanti, un terrore folle mi paralizzò i n un'impotenza to- tale. Poi, di colpo, nacque in me il coraggio che m i portò alla disperata decisione di ribellarmi ai miei mostruosi dominator i, incurante della minaccia della corda insanguinata. Strappai i miei occhi dalla terrificante attrazione che pareva trasci- narli verso la ripugnante città, in quell'orrido mo ndo di male inconce- pibile. Mi accorsi che nessuno mi controllava più. I verdi occhi dei mostri che mi stavano accanto erano fissi con avidità, amm aliati dall'anello di rame attraverso il quale era visibile il mondo a lieno. Sembravano non rendersi conto della mia presenza. Se solo fossi riuscito a distruggere la macchina, p rima che quell'or- rore strisciante penetrasse sulla terra! Avanzai is tintivamente, ma mi fermai, accorgendomi che sarebbe stato impossibile danneggiare se- riamente la macchina a mani nude, prima che i mostr i mi vedessero e attaccassero. Allora pensai alla piccola automatica che avevo anc ora in tasca, e che nessuno si era degnato di togliermi. Sebbene i proiettili fossero in- nocui per i corpi dei mostri, avrebbero invece potu to arrecare seri dan- ni al macchinario. La estrassi rapidamente di tasca e cominciai a spar are con decisione mirando alle valvole. Non appena la prima valvola s i frantumò, I'im-

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magine di quel mondo orrendo tremolò e svanì. Dietr o l'anello di rame tornò di nuovo visibile l'enorme specchio parabolic o. Almeno momentaneamente, le nere forme del male asso luto erano state chiuse fuori dal nostro mondo! Mentre continuavo a sparare, sbriciolando le valvol e e le altri parti più complesse e più delicate della macchina, un url o agghiacciante si levò dal gruppo di mostri umani e animali colti di sorpresa. Le creature mi si scagliarono addosso lanciando spa ventosi ululati. La rivelazione ipnotica Furono le lingue giallastre della fiamma della pist ola a salvarmi. Dap- prima quel branco di mutazioni si era gettato nella mia direzione, con gridi di atroce sofferenza causata evidentemente da lla vista della luce. Io avevo continuato a far fuoco deciso a danneggiar e il più possibile la macchina prima che mi fossero addosso. Ma all'improvviso quelli indietreggiarono con guait i agghiaccianti, coprendosi gli occhi e scivolando al riparo dietro le massicce colonne nere. Quando la pistola fu scarica, alcuni ripresero ad a vanzare verso di me. Ma sembravano ancora scossi, deboli e incerti. Con gesti concitati frugai nelle tasche in cerca di fiammiferi; prima n on mi ero reso conto degli effetti devastanti che aveva la luce su di lo ro. Ne trovai solo tre. Pareva che non me ne fossero ri masti altri. I mostri, dopo essersi ripresi dall'effetto dei bag liori della pistola, mi stavano di nuovo balzando addosso nel tetro chiaror e rossastro, men- tre io tentavo disperatamente di creare altra luce. Il primo fiammifero mi si spezzò tra le dita. Ma il secondo avvampò con una vivida fiamma gialla. Le belve si ri- trassero ancora con gemiti, mentre io reggevo alta la fiammella, e si ri- pararono all'ombra tremolante dei pilastri. La mia mente sconvolta e offuscata fu rischiarata d alla speranza di poter fuggire, e riacquistò rapidamente la sua effi cienza. Tenendoli a distanza con la luce, avrei potuto raggiungere l'ar ia aperta. Senza con- tare, mi resi improvvisamente conto che doveva esse re già giorno, fuo- ri. Sì, era mattino, e il branco era stato spinto a nascondersi nella tana dalla luce del sole nascente! Il più rapidamente possibile, senza spegnere la deb ole fiamma con la corrente prodotta dai miei movimenti, avanzai lu ngo la grande sala sotterranea, tenendomi nella navata centrale per pa ura che i miei ne- mici mi seguissero strisciando all'ombra delle colo nne. Prima che raggiungessi il passaggio che portava in superficie, una fola- ta d'aria colpì il fiammifero spegnendolo. Mi trova vo di nuovo immer- so in quella foschia scarlatta in cui, all'estremit à posteriore del tem- pio g~uzzavano malvagie pupille verdastre. Un ulula to di rabbia tornò a fársi sentire, seguito dal rapido muoversi dei pa ssi dei mostri. Mi restava un solo fiammifero. Mi chinai, lo strofinai con cautela sul pavimento n ero e lo sollevai

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sopra il capo... Nuovi guaiti di dolore. Le belve batterono ancora i n ritirata. Trovai l'imboccatura del passaggio, che infilai in tutta fretta, pro- teggendo la preziosa fiamma con la mano piegata a c oppa. Nel salone alle mie spalle si levarono gli urli agg hiaccianti del bran- co. Sentii i mostri riversarsi nel passaggio. Quando raggiunsi la vecchia cantina, il fiammifero si era ormai con- sumato. h~i voltai e lasciai che gli ultimi baglior i rischiarassero il tun- nel. Altri urli di sofferenza e di terrore, e i mos tri si ritirarono dal pas- saggiO. Improvvisamente il fiammifero si spense. Nella folle fretta sbattei contro la parete, trovai gli scalini che porta- vano fuori e mi precipitai disperatamente. Il branco intanto stava risalendo il passaggio con una velocità che non mi era assolutamente consentita. Alla fine la mia mano si posò sulla porta che chiud eva la scala. Die- tro quella porta c'era l'abbagliante luce del giorn o. E nel medesimo istante, dita fredde come quelle di un cadavere mi serrarono la caviglia in una morsa stritolante. Con un gesto incontrollato, io spinsi una mano vers o l'alto. La porta si spalancò, sbattendo rumorosamente. Sopr a di me un vi- vido cielo azzurro, il cui sole del mattino sfolgor ava accecante. La sua calda radiosità mi fece lacrimare gli occhi ormai a bituati alla penom- bra rossastra del tempio. Alle mie spalle si levarono di nuovo atroci gemiti animali. La morsa attomo alla mia caviglia si strinse in modo convuls o, poi si allentò. Voltandomi, vidi Stella ai miei piedi, rannicchiata e tremante come in preda a spasimi insopportabili, che lanciava urli b estiali di sofferenza. Sembrava che la luce abbagliante del sole l'avesse stroncata del tutto, indebolendola a tal punto da non permetterle più di ritirarsi come ave- vano invece fatto gli altri. Improvvisamente mi trovai a vederla come un'adorabi le fanciulla che soffriva, e non come mostro demoniaco. Mi senti i lambire da una tenera ondata di compassione per lei... forse perfi no d'amore. Se avessi potuto salvarla, e restituirle la sua vera personal ità! Mi precipitai giù dai gradini, I'afferrai per le sp alle e cominciai a portarla verso la luce del giorno. Il suo corpo ave va ancora quel pallore e quel rigore cadaverici, e conservava tuttora un r esiduo della sua for- za sovrumana. La ragazza si dimenò tra le mie braccia, ringhiando e cercando di addentarmi. Per un istante i suoi occhi lanciarono un ultimo guizzo malvagio, ma non appena la luce li colpì, lei li ch iuse, urlando e ten- tando di ripararli con un braccio. La portai su, sotto un sole sfolgorante. Prima pensai di chiudere la porta della cantina e d i cercare di bloc- carla. Poi mi resi conto che la luce diurna, filtra ndo lungo la scala,

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avrebbe tenuto lontani i mostri molto più effficace mente di qualsiasi porta sbarrata. Era ancora mattino presto. Il sole doveva esser sor to da un'ora circa, e brillava nel cielo terso riflettendosi sulla neve in una miriade di acce- canti bagliori prismatici. L'aria, comunque, era an cora fredda; non c'e- ra il minimo accenno di disgelo, e non ci sarebbe s tato finché la tempe- ratura non avesse subito uno sbalzo considerevole. Mentre stavo lì al sole, sorreggendo Stella, si ver ificò in lei uno strano cambiamento. I suoi latrati lamentosi si spensero l entamente. Le sue convulsioni di dolore si affievolirono, come se una marea di vita aliena stesse defluendo, abbandonando il suo corpo. Dopo un ultimo spasmo improvviso le sue membra si a fflosciarono. Notai quasi subito che stava mutando colore. L'orri do pallore cada- verico stava lentamente cedendo il posto al normale colorito roseo di una persona sana. Lo strano gelo soprannaturale era sparito; dove il suo corpo era a contatto col mio, sentii una tracci a di tepore. Poi il suo petto si sollevò. Respirava. Sentivo il cuore pulsare lenta- mente. I suoi occhi erano ancora chiusi, mentre lei giaceva inerte tra le mie braccia come se stesse dormendo. Liberai una ma no e delicata- mente le sollevai una palpebra. L'occhio era di un azzurro limpido... di nuovo norm ale. La sinistra fiamma verdastra era scomparsa. Per qualche ragione che io non capivo, la luce dium a aveva purifica- to la ragazza, liberando il suo corpo dall'immonda e crudele forma di vita che l'aveva posseduto. --Stella! Svegliati!--gridai. La scossi leggermente , ma lei non si mosse. Sembrava profondamente addormentata. Comprendendo che ben presto lei sarebbe gelata per l'aria glaciale, la portai allora in casa, nella sua stanza, dove io ero stato imprigiona- to, e la distesi sul letto, coprendola con alcuni p anni. Ma la ragazza non accennò a riprendersi. Per un'ora, forse, cercai con ogni mezzo che conosc evo, e che era di- sponibile, di destarla da quel profondo stato di co ma o di sincope in cui versava. Ma lei continuava a non riacquistare c onoscenza. Era una situazione davvero sconcertante. Stella, la vera Stella, era stata espropriata dal proprio corpo da un immondo e ssere alieno. Que- sta fomma di vita malvagia era stata distrutta dall a luce, eppure la ra- gazza non era ancora rientrata in possesso del prop rio organismo. Alla fine pensai di provare con un influsso ipnotic o. Io sono un buon ip- notizzatore e ho studiato a fondo quella tecnica e i fenomeni mentali affini. Un'impresa disperata, forse, dato il profon do stato d'incoscien- za di Stella, ma ero costretto a ricorrere anche al minimo appiglio. Esercitando tutta la mia volontà per richiamarla, m ettendole la ma- no sulla morbida fronte o passandola lentamente sul suo bel viso esan- gue, le ordinai ripetutamente di aprire gli occhi. E all'improvviso, quando ero ormai sul punto di pio mbare di nuovo nella disperazione, le sue palpebre si scossero leg germente e si apriro- no. Naturalmente poteva essersi trattato di un risv eglio naturale, seb- bene molto insolito, e non del risultato dei miei s forzi. Ma i suoi occhi

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azzurri si dischiusero e mi fissarono. Però non aveva ancora riacquistato uno stato di cos cienza normale. Le sue pupille spente non rivelavano alcuna espress ione di vita erano annebbiate dal sonno e pareva che si fossero aperte in seguito a úna ri- sposta meccanica ai comandi che le avevo impartito. --Parla, Stella. Parla. Parlami!--gridai. Le sue pallide labbra si mossero. --Clovis.--Pronunciò il mio nome con voce debole e incolore, an- cora impastata dalla narcosi del sonno. --Stella, cos'è accaduto a te e a mio padre?--le ur lai. E questo è ciò che mi raccontò, con voce esile e in espressiva. Ho con- densato il racconto, dato che spesso la sua voce st anca si affievolì e si spense, cosicché dovetti incitarla, interrogarla, q uasi costringerla a continuare . --Mio padre è venuto qui per aiutare il dottor McLa urin nel suo esperimento--cominciò lei lentamente e con espressi one monotona. --Io non ho capito completamente di cosa si trattas se, ma so che cer- cavano altri mondi esistenti accanto al nostro. Alt re dimensioni inter- dipendenti con la nostra. Il dottor McLaurin stava elaborando questa sua teoria da molti anni, basando il suo lavoro sul le nuove matemati- che di Weyl e di Einstein. "Il nostro universo non è semplice. Mondi e mondi s ono a fianco a fianco, come le pagine di un libro... e ogni mondo è ignoto a tutti gli al- tri... strani mondi che si toccano, girano affianca ti, eppure sono divisi da mura difficili da abbattere." --Il segreto è nella vibrazione. Perché tutta la ma teria, la luce, il suo- no, tutto il nostro universo, non è che vibrazione. Tutte le cose materia- li sono formate da particelle vibranti di elettrici tà... gli elettroni. E ogni mondo, ogni universo, ha il proprio ordine di vibrazione: attra- verso ogni mondo vi sono miriadi di altri mondi, sc onosciuti e invisibi- li, che vibrano, ognuno secondo un proprio ordine. 4II dottor McLaurin sapeva tramite la matematica ch e questi uni- versi dovevano esistere, ed era suo desiderio esplo rarli. Venne qui, in cerca di solitudine, perché nessuno curiosasse nei suoi segreti. Aiutato da mio padre e da altri uomini, ha faticato per ann i a costruire la sua macchina. "Una macchina che, se avesse funzionato, avrebbe ca mbiato la velo- cità di vibrazione della materia e della luce, e av rebbe modificato la vi- brazione della nostra dimensione portandola alla ve locità vibrante di altre. Con questa macchina il dottor McLaurin avreb be potuto vedere miriadi di altri mondi e anche visitarli. "La macchina è stata completata. E attraverso il su o grande anello di rame noi abbiamo visto un altro mondo. Un mondo di tenebre con un cielo nerissimo. Sulle sue colline si contorceva no schifose piante verdi dalla mostruosa forma di rettile. Ed era domi nato da una vita aliena e malvagia. "Il dottor McLaurin è penetrato in quel mondo oscur o e l'orrore del luogo ha distrutto la sua mente. E tornato pazzo, e cambiato in manie- ra strana. Aveva gli occhi che brillavano di una lu ce verde, e la sua pel- le era bianchissima.

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"E da quel luogo portò con sé delle cose... cose st riscianti e appicci- cose di un nero disgustoso, che rubavano i corpi di uomini e di animali. Esseri viventi e malvagi che sono i signori di quel la dimensione delle tenebre. Uno è strisciato in me, impossessandosi de l mio corpo e domi- nandolo. Ricordo ciò che ne ha fatto solo come un s ogno confuso. Per quella cosa io non ero che una macchina. "Sogni confusi. Sogni terribili, in cui correvo sul la neve a caccia di lupi, e tomavo con le prede perché quelle cose nere strisciassero in loro facendole rivivere. Sogni in cui torturavo mio padr e, che le creature aliene non avevano soggiogato, in principio.n --Mio padre è stato torturato, azzannato. E stato i l mio corpo a farlo, non io. Io ero lontana e vedevo tutto come in un br utto sogno. aLe creature nere non conoscevano il nostro mondo. La luce le di- strugge perché è una forza estranea alla loro dimen sione. E dato che non avevano alcuna difesa contro la luce, hanno sca vato una tana pro- fonda in cui ritirarsi di giorno. "Per loro il nostro era un mondo completamente nuov o e non cono- scevano niente, né la lingua, né le macchine... Han no costretto mio pa- dre a insegnare loro a parlare, a leggere i libri, ad azionare la macchi- na con cui sono venute. Quelle cose stanno progetta ndo di costruire nubi nere che nascondano il sole per sempre, così i l nostro mondo sarà buio come il loro. Vogliono impadronirsi dei corpi di tutti gli uomini e di tutti gli animali, e usarli come macchine per qu ello scopo. ''Quando mio padre ha saputo il loro piano, non ha più voluto rivela re altro. E così il mio corpo lo ha azzannato... me ntre io ero lontana, mentre guardavo ma non potevo evitarlo. Lui ha fint o di accettare le loro richieste, e lo hanno lasciato libero. Con un' ascia, allora, lui ha di- strutto la macchina, in modo che nessun'altra creat ura maligna potes- se passare in questa dimensione. Poi si è sparato u n colpo alla testa, co- sì non avrebbero più potuto torturarlo e costringer lo a collaborare. "Le creature nere non sapevano da sole come riparar e la macchina. Ma in alcune lettere avevano appreso dell'esistenza di Clovis McLau- rin, che sapeva qualcosa sulle macchine. Lo hanno m andato a chiama- re, per torturarlo come era stato torturato mio pad re. La mia mente era di nuovo piena di dolore, perché Clovis mi era caro. Ma il mio cor- po ha torturato anche lui perché aiutasse le creatu re aliene a costruire una nuova macchina. "Poi Clovis ha distrutto la macchina. E poi... poi. .." La debole voce di Stella si affievolì e i suoi occh i azzurri ancora an- nebbiati da un sonno confuso, rimasero fissi nel vu oto. I; suo strano stato di trance era davvero intenso. Non ricordava nemmeno che stava parlando con me! 10 L'oscurità strisciante La storia raccontata dalla ragazza era terribile e sorprendente. In par- te, quasi incredibile. Eppure, per quanto volessi m etterla in dubbio e desiderassi ridimensionare la portata degli orrori che essa prometteva al mondo, sapevo che doveva corrispondere al vero. Eminenti scienziati hanno discusso abbastanza frequ entemente cir- ca la possibile esistenza di altri mondi, di altri piani di realtà stretta-

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mente affiancati al nostro. Infatti non c'è niente di solido o impenetra- bile nella materia del nostro universo. Si pensa ch e l'elettrone sia solo una vibrazione nell'etere, e, con ogni probabilità, esistono campi di forza vibranti che formano altri elettroni, altri a tomi, altri soli e altri pianeti, prospicienti il nostro mondo eppure non in grado di manife- stare esplicitamente la loro esistenza. Solo un'esi gua banda delle vi- brazioni dello spettro è visibile ai nostri occhi c ome luce. Se i nostri oc- chi fossero sintonizzati su altre bande, superiori all'ultravioletto o in- feriori all'infrarosso, quali strani e nuovi mondi potrebbero affacciarsi di prepotenza nel nostro campo visivo? No, non potevo dubitare di questa parte del raccont o di Stella. Mio padre aveva compiuto, più di chiunque altro, studi circa l'esistenza di questi mondi a noi invisibili, e aveva pubblicato l e sue scoperte, com- plete di prove matematiche, nel suo sorprendente la voro intitolato Universi interdipendenti. Se mai fossero stati scop erti questi mondi pa- ralleli, a rigor di logica mio padre sarebbe stato l'uomo più adatto a ef- fettuare la scoperta. E io non potevo dubitare che fosse riuscito nel suo intento... perché avevo visto di persona quell'orre ndo universo da in- cubo, al di là dell'anello di rame! E avevo visto, in quel mondo alieno e oscuro, la ci ttà delle striscianti creature nere. Potevo quindi credere senza dubbio a lcuno anche a quella parte della narrazione che riguardava le ent ità maligne che ru- bavano i corpi di uomini e di animali. Forniva una soluzione razionale di tutti i fatti che avevo osservato fin dalla nott e del mio arrivo a He- bron. All'improvviso pensai che ben presto gli esseri mos truosi avrebbero riparato la macchina, senza il bisogno di alcun aiu to da parte mia. Do- podiché nuove orde di nere creature avrebbero attra versato il varco per impadronirsi del nostro mondo, per rendere schi ava l'umanità. Co- me aveva detto Stella, per servirsi di noi nella tr asformazione della terra in un pianeta di tenebre simili al loro repel lente luogo d'origine. Dovevo fare qualcosa per contrastarle. Combatterle. .. combatterle con la luce! La luce era l'unica forza in grado di anni entarle, la forza che aveva liberato Stella dalla schiavitù. Ma dovevo tr ovare fonti lumino- se più efficaci di una manciata di fiammiferi. Dell e lampade si sareb- bero adattate allo scopo; un riflettore, forse. Ed ero deciso a portare Stella a Hebron, se lei fos se stata in condizio- ni di muoversi. Dovevo raggiungere il villaggio per trovare ciò che mi serviva, ma non riuscivo a sopportare l'idea di las ciarla in balìa dei mostri una volta calata la notte, di lasciare che s 'impadronissero anco- ra del suo bel corpo per i loro fini immondi. Vidi che su mio ordine la ragazza si muoveva, si al zava e riusciva a camminare, per quanto lenta e rigida, come una sonn ambula. Erava- mo ancora di prima mattina e io pensai che, aiutand ola a camminare, avremmo potuto coprire la distanza che ci separava da Hebron, prima che scendesse l'oscurità. Cercai tra le sue cose e trovai degli indumenti ada tti: calze di lana, scarponcini, calzoni pesanti, maglione, guanti e be rretto. I suoi tenta- tivi di vestirsi furono lenti e impacciati, come qu elli di un bimbo stan- co che cercasse di togliersi i vestiti semi addorme ntato, e così dovetti aiutarla. Non sembrava che avesse fame, ma quando sostammo ne lla sala da pranzo, dove gli avanzi del cibo erano ancora sul t avolo, le feci bere del latte. Stella lo fece in modo meccanico. Io, invece , mangiai con voraci- tà nonostante gli infausti presagi del ricordo del pasto consumato a

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qúel tavolo alla vigilia del mio primo tentativo di fuga. Poi ci incamminammo nella neve, seguendo il reticol ato come la pri- ma volta. Accanto alle mie vecchie impronte si nota vano quelle del branco di inseguitori composto da lupi, uomini, e d al cavallo. Adesso comunque si avanzava con maggiore facilità, dato ch e la neve soffice era stata pressata da tutti quei piedi. Camminavo con un braccio attorno alla vita di Stell a, e a volte dove- vo quasi sorreggerla di peso. Le parlavo per incora ggiarla, ma lei rea- giva con tentativi lenti e meccanici. La sua mente sembrava lontanis- sima, e i suoi occhi erano velati da strani sogni. Mentre le ore di faticosa avanzata passavano, strin gendo il suo corpo tiepido contro il mio mi accorsi di amare moltissim o quella ragazza. Il sole raggiunse lo zenit e cominciò a calare lent amente verso ovest. Mentre la sera si avvicinava, Stella parve stancars i... o forse si trat- tava solo di un intensificarsi del suo stato di tra nce. Comunque reagiva sempre più lentamente ai miei incitamenti e quando la mia voce cessa- va di spronarla lei rimaneva immobile, come persa i n strane visioni. La incitai dlsperatamente a proseguire, comandandol e con decisio- ne di tener duro. I miei occhi si posavano ansiosi sul sole ormai al tra- monto. Sapevo che ci restava poco tempo per arrivar e al villaggio pri- ma di sera; era assolutamente necessario affrettars i. Alla fine, quando il sole affiorava ancora di poco sopra un bianco orizzonte, avvistammo Hebron. Un gruppetto di macch ie scure sulla sconfinata distesa di neve. Dovevamo essere a circa quattro chilometri dalla meta. Sembrava però che Stella continuasse ad affondare s empre più nello strano mare di sonno da cui solo l'influsso ipnotic o era riuscito a levar- la. Quando ci lasciammo alle spalle un altro chilom etro, la ragazza ri- fiutò di reagire alle mie parole. Respirava lentame nte e con regolarità, ma aveva chiuso gli occhi. Io non potei fare nulla per risvegliarla. Il sole era calato sull'orizzonte innevato e tingev a la prateria occi- dentale di pallide fiamme porpora. L'oscurità era o rmai prossima. Disperato, mi caricai il corpo inerte di Stella sul le spalle e avanzai barcollando sotto quel nuovo fardello. Mancavano no n più di tre chilo- metri a Hebron, e io nutrivo una certa speranza di raggiungere il paese con la ragazza prima che fosse buio. Purtroppo la neve era tanto alta da rendere estenua nte perfino l'a- vanzata di una persona non carica, e il mio corpo e ra già stremato dal- le terribili esperienze cui era stato sottoposto ul timamente. Prima di avere coperto barcollando mezzo chilometro, mi resi conto dell'inutili- tà dei miei sforzi. Eravamo al crepuscolo. La luna non era ancora sorta , ma la neve splendeva argentea sotto gli ultimi bagliori spettr ali del tramonto che inondavano ancora il cielo. Le mie orecchie erano t ese per potere udire subito la voce dello spaventoso branco, ma intorno a me si drappeggia- va un sudario di silenzio assoluto. Continuai a pro cedere fiaccamente con la fanciulla. Di colpo notai che il suo corpo, a contatto delle m ie mani, stava di- ventando stranamente freddo. Preso dall'ansia, la d eposi allora sulla neve, per esaminarla... tremando per la premonizion e dell'orrore im- minente.

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Il corpo di Stella era un pezzo di ghiaccio, e avev a pure assunto un pallore assurdo. Era bianca come quando l'avevo vis ta correre sulla neve in compagnia del lupo. Ma le sue gambe e le sue braccia, stranamente, non si erano irrigidi- te; erano ancora inerti, afflosciate. Non era dunqu e il gelo della morte che stava fluendo in lei; era il gelo di quella vit a aliena che, scacciata dalla luce, stava impossessandosi nuovamente della ragazza con l'av- vento dell'oscurità! Capii che ben presto non sarebbe più stata una fanc iulla umana, bensì un'orrenda donna-lupo. Per alcuni istanti rim asi accovacciato accanto al suo corpo inerte, implorandola di rispon dermi e di seguir- mi, e urlando quasi come un ossesso. Poi mi resi conto che era inutile, e che mi trovavo in pericolo. Quella forma di vita mostruosa sarebbe rifluita di nuovo i n lei. E lei mi avreb- be ricondotto a quella insopportabile prigionia nel tempio sotterra- neo, per fare di me uno schiavo dei mostri... o for se un membro della loro malvagia società. Dovevo fuggire, per il bene stesso di Stella. E del mondo intero. Me- glio abbandonarla adesso e proseguire da solo, che farmi riportare in- dietro. Forse avrei avuto un'altra possibilità di s alvarla. Inoltre dovevo rendere la ragazza inoffensiva, in m odo che non po- tesse inseguirmi una volta schiava dell'orrida form a di vita aliena. Mi sfilai il cappotto e la camicia. Freneticamente strappai la cami- cia in tante strisce che attorcigliai, formando del le corde improvvisa- te. Poi accostai le caviglie di Stella e le legai s aldamente. La voltai boc- coni, le incrociai le braccia inerti dietro la schi ena e le bloccai i polsi assieme. Dopo, come ultima precauzione, mi tolsi la cintura e gliela al- lacciai stretta attorno ai fianchi sopra i polsi in crociati, immobilizzan- doli definitivamente. Per finire, allargai il cappotto sulla neve e vi de posi sopra Stella, per- ché volevo che fosse il più comoda possibile. E rip artii verso Hebron, un gruppetto di luci bianche che brillava nelle omb re del crepuscolo. Non avevo mosso che pochi passi, quando qualcosa mi fece fermare e guardare indietro spaventato. rl corpo inerte e pallidissimo della ragazza era an cora steso sul cap- potto. Poco più in là, intravidi una cosa strana e orripilante muoversi con rapidità tra le ombre grigie della sera. Era qualcosa di incredibile e di orrendo. Si tratta va di una massa di tenebra che scivolava sulla neve, una nube striscia nte di nerezza im- monda, informe e tentacolata. Era priva di arti e d i tratti definiti... so- lo quelle nere appendici simili a serpi, che estrof letteva per muoversi. Ma all'interno della cosa brillavano due punti verd i... che sembravano occhi ! Verdi pupille malefiche, infiammate di una malvagità demonia- ca! Era una creatura viva. Un ammasso vivente di tenebr a, diverso da qualsiasi forma di vita superiore, anche se in segu ito ho pensato che assomigliasse a un'ameba, una massa fluente di polt iglia protoplasmi- ca, un animale unicellulare. Al pari dell'ameba, qu ell'essere alieno si muoveva estroflettendo stretti pseudopodi dalla mas sa centrale. E gli orribili occhi verdi, nei quali pareva concentrarsi la sua vita aliena, forse corrispondevano ai vacuoli o nuclei dei proto zoi. Mi resi conto, paralizzato da un senso d'orrore ind icibile, che si trat-

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tava di un mostro proveniente dal nero mondo d'incu bo che stava oltre l'anello di rame. E che veniva a reclamare di nuovo il corpo di Stella, a cui era ancora collegato da qualche vincolo. Sebbene sembrasse solo strisciare o scivolare, il m ostro si spostava con una rapidità pazzesca... molto più veloce dei l upi stessi. L'avevo scorto solo da un istante, e già aveva ragg iunto il corpo di Stella. Si fermò, rimanendo sospeso su di lei, in u na fitta e viscida nu- be in cui spiccavano quegli spaventosi occhi verdas tri. Per un istante il mostro celò il corpo della vittima con le sue appen dici striscianti e in- formi, che si contorcevano come orridi tentacoli. Poi flut all'interno di Stella. Sembrò penetrarle nelle narici e nella bocca. La nu be nera sospesa diminuì progressivamente. Le pupille verdi rimasero invece all'ester- no fino all'ultimo, poi parvero affondare negli occ hi della ragazza, che di colpo si animò in modo terribile. Stella si dimenò, lottando contro i legami con forz a sovrumana, ro- tolando dal cappotto nella neve in preda a tremende convulsioni. I suoi occhi erano di nuovo aperti... e brillavano, non di vita propria, bensì del terribile fuoco delle pupille malvagie che li a vevano occupati. Dalla gola di lei si levò l'agghiacciante ululato c he ormai conoscevo fin troppo bene, un urlo bestiale in cui risuonava una misteriosa eco umana. Un latrato di richiamo per il branco. Quel suono infuse vigore ai miei arti paralizzati. Nei pochi istanti oc- corsi all'essere alieno per impadronirsi del corpo di Stella, io ero rima- sto immobile, inchiodato sul posto dall'orrore dell a scena. Mi voltai e corsi come un pazzo verso le luci tremo lanti di Hebron. Alle mie spalle la donna-lupo continuava a dimenars i per rompere le corde, ululando per chiamare a raccolta il branco! Quelle luci baluginanti parevano farsi gioco di me. Sembravano vi- cinissime sulla distesa innevata, eppure mentre cor revo si allontana- vano danzando. Sembravano muoversi come lucciole e si fermavano finché non le avevo quasi raggiunte, per poi ritira rsi ancora, scintillan- do remote sulla neve. Dimenticai la mia estrema stanchezza, dimenticai il dolore pulsante della ferita riaperta, e corsi disperatamente come mai avevo corso pri- ma. Non avevo ancora coperto metà della distanza, quand o udii alle mie spalle la voce dell'orda. Uno strano e remoto uggio lio che cresceva d'intensità rapidamente. La donna-lupo aveva lancia to il richiamo, e ora il branco veniva a liberarla. Continuai a fuggire. I miei passi sembravano misera mente lenti. I pie- di affondavano nella neve, che sembrava avvinghiarl i con malefiche dita demoniache. E le luci, in apparenza così vicin e, sembravano fug- gire da me in una danza beffarda. Grondavo di sudore e i polmoni mi pulsavano attroce mente. Il cuore sembrava martellarmi alla base del cervello. Avevo la mente sommer- sa da un mare di dolore. E continuavo a fuggire. Le luci di Hebron divennero fiammelle irreali, inga nnevoli fuochi fa-

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tui. Tremolavano dinanzi a me in un mondo deserto d i grigia oscurità, e io mi affannavo per raggiungerle in una foschia d 'atroce sofferenza. Non vedevo nient'altro, non sentivo altro che i lam enti del branco. Ero talmente esausto da non riuscire a connettere. Ma mi resi conto all'improvviso che i miei inseguitori erano vicinis simi. Forse girai il capo e lanciai un rapido sguardo. Oppure può darsi che io ricordi il branco solo come lo vedevo nella mia immaginazione. Comunque con- servo un'immagine molto vivida di scarni lupi grigi che spiccavano balzi ululando, affiancati nella loro corsa da pall ide figure umane con le pupille verdastre. Tuttavia continuai la fuga, combattendo le nere neb bie della spossa- tezza che mi offuscavano il cervello. Un'inerzia at roce sembrava op- porsi ai miei sforzi, come se stessi nuotando contr o corrente, e corsi... corsi... non vedendo, non pensando che alle luci di Hebron, luci così vi- cine, ma che fuggivano sempre dinanzi a me. Poi improwisamente mi trovai steso sulla neve morbi da, con gli oc- chi chiusi. Quel dolce giaciglio era un'oasi di ben essere per il mio cor- po stremato. Rimasi là, inerte. Non tentai nemmeno di risollevarmi, non mi rimaneva più una goccia di forza. L'oscurità calò su di me... uno stato d'incoscienza che neppure gli ululati del bra nco potevano vince- re. Quei sinistri latrati sembravano affievolirsi l entamente, poi tutto scomparve. Una battaglia tra luce e oscurità --Direi che è proprio scoppiato, vero, signore?--Un a voce aspra si in- sinuò nella mia mente distrutta dalla stanchezza. D elle mani robuste stavano sollevandomi in piedi Aprii gli occhi e mi guardai attomo, confuso. Due uomini vestiti in modo trasandato stav ano sorreggendo- mi. E un terzo, che io riconobbi come il capostazio ne, teneva in mano una lanterna. Di fronte a me, vicinissime, c'erano le luci di Heb ron che prima sem- bravano sfuggirmi beffarde. Mi accorsi che ero crol lato proprio ai bor- di del villaggio, talmente vicino alle poche luci s tradali che il branco non aveva potuto avvicinarsi a me. --Ah, è lei, McLaurin?--fece Connell sorpreso, rico noscendomi. --Credevamo che avessero preso lei e Judson. --Infatti--riuscii a rispondere.--Ma non mi hanno u cciso. Io sono riuscito a fuggire. Ero troppo spossato per rispondere alle loro domand e. Ricordo solo vagamente che mi portarono in una casa e mi spoglia rono; mi addor- mentai mentre stavano esaminando la ferita alla gam ba, tra esclama- zioni inorridite alla vista dei segni dei denti. Mi svegliai il giorno dopo, verso mezzogiorno. Acca nto al letto sede- va un ragazzino irrequieto di forse dieci anni. Dis se di chiamarsi Mar- vin Potts, figlio di Jed Potts, proprietario di un emporio a Hebron. Suo padre era uno degli uomini che mi avevano trovato q uando la loro at- tenzione era stata attirata dagli ululati del branc o. Ora mi trovavo ap- punto in casa dei Potts. Il ragazzo chiamò sua madre. La donna, sentendo che avevo fame, mi portò quasi immediatamente del caffè, biscotti, pancetta e patate fritte. Mangiai con discreto appetito, sebbene foss i ancora lontano dal- I'essermi ripreso completamente dalla mia disperata corsa per sottrar- mi all'orda di belve. Mentre stavo mangiando, ancor a a letto appog-

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giato su un gomito, entrò il padrone di casa, accom pagnato da Connell, il capostazione e da altri due uomini. Erano tutti ansiosi di conoscere la mia storia. Io la raccontai in breve, tralasciando le parti che, a mio giudizio, sarebber o risultate incredibi- li a quelle persone. Mi spiegarono che il branco aveva mietuto altre vit time umane. Una fattoria isolata era stata attaccata la notte prima e tre uomini erano scomparsi. Mi dissero anche che le signora Judson, affranta per la per- dita del marito, era uscita nella neve a cercarlo e non aveva più fatto ri- torno. Dal canto mio, ricordavo benissimo che alla fine lo aveva trova- to... Mi rimproverai, amareggiato, di aver spinto q uell'uomo ad av- venturarsi in quel viaggio notturno con me. Mi informai se non si erano presi provvedimenti per dare la caccia al branco. Mi risposero che lo sceriffo aveva organizzato una squadra di citta- dini che si era spinta fuori Hebron diverse volte. Si erano trovate nu- merose tracce di lupi e di uomini che correvano aff iancate, una pista facile da seguire, dunque. Ma, mi parve di capire, i cacciatori non era- no stati poi molto smaniosi di raggiungere la preda . La neve era alta e impediva di muoversi rapidamente, e loro non avevan o avuto alcuna intenzione di incontrare il branco di notte. Le tra cce non erano mai state seguite per più di nove o dieci chilometri fu ori da Hebron. Lo sce- riffo era rientrato al comando di contea, diciotto chilometri lungo la ferrovia, promettendo che sarebbe tornato quando la neve si fosse sciolta a sufficienza per permettere spostamenti pi ù agevoli. E i pochi abitanti di Hebron, per quanto profondamente turbat i dal destino dei loro vicini che erano stati uccisi dal branco, eran o troppo terrorizzati per organizzare una battuta per proprio conto. Quando accennai alla mia intenzione di trovare qual cuno che tor- nasse con me al ranch, la mia proposta fu accolta i n modo evasivo da tutti. L'esempio della morte di Judson era impresso chiaramente nella mente dei presenti, e nessuno voleva rischiare di f arsi sorprendere lon- tano dal paese di notte. Mi resi conto che dovevo a gire da solo. Per gran parte della giornata rimasi a letto, recup erando le forze, per- ché sapevo che avrei dovuto disporre di tutte le mi e energie per affron- tare la dura prova che mi attendeva. Comunque, mi i nformai sui mezzi che avrei trovato in paese, e preparai il piano per il mio folle tentativo di abbattere la minaccia che incombeva sull'umanità . Con l'aiuto del ragazzo, Marvin, che funse da mio r appresentante, acquistai un calesse, completo di un ronzino e dei finimenti; i miei ten- tativi di affittare un veicolo o di assumere qualcu no che mi conducesse sul posto si erano rivelati un fallimento clamoroso . Il ragazzino si die- de da fare anche per procurarmi altre attrezzature. Gli feci comprare una dozzina di lanterne a benzina , con una scorta abbondante di reticelle e due fustini di combustibi le da venticinque li- tri. Constatando che la scuola di Hebron vantava sc arse forniture di at- trezzature da laboratorio, mandai Marvin in cerca d i nastri al magne- sio e di zolfo. Il ragazzo tornò con un bel mazzett o di sottili strisce me- talliche, tagliate in varie lunghezze. Per facilita rne l'accensione, io in- tinsi quindi l'estremità di ogni fascetta dentro zo lfo fuso. Mi comprò anche due potenti torce elettriche con pi le e lampadine di scorta, delle munizioni per la mia automatica, e due dozzine di can- delotti di dinamite con capsule e micce.

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Il mattino seguente mi svegliai di buon'ora sentend omi molto me- glio. La ferita alla gamba stava rimarginandósi rap idamente e aveva cessato di causarmi forti sofferenze. Mentre sedevo con i Potts a consu- mare una frugale colazione, li assicurai che quello stesso giorno mi ri- promettevo di tornare nella tana del branco, da cui ero fuggito, per far- la finita definitivamente con quelle belve. Prima che avessimo finito di mangiare, sentii la ch iamata del tipo da cui avevo comprato il calesse, che veniva a consegn arlo e a riscuotere il generoso prezzo che gli avevo garantito tramite la mediazione di Mar- vin Potts. Il ragazzo uscì con me. Ritirammo il vei colo e facemmo il gi- ro dei pochi negozi di Hebron, raccogliendo le cose che il ragazzo ave- va acquistato per me il giorno prima: le lanterne, il combustibile, le torce elettriche e la dinamite. Era ancora prima mattina quando lasciai Marvin alla fine della stra- da, ricompensandolo con una banconota, e mi spinsi da solo nella ne- ve, verso il ranch isolato dove avevo vissuto orrib ili esperienze. La giornata, sebbene limpida, era fredda. La neve n on accennava a sciogliersi ed era spessa come sempre. Il ronzino a vanzava lento, men- tre i suoi zoccoli e le ruote del calesse affondava no con un secco scric- chiolio nella crosta superficiale ghiacciata. Quando Hebron svanì alle mie spalle e mi trovai cir condato soltanto dallo sterminato deserto di neve luccicante, fui pr eso da un senso di paura, da un violento desiderio di affrettarmi a ra ggiungere qualche posto affollato di uomini. Nella mia immaginazione anticipai il terro- re della notte, quando il branco sarebbe uscito di nuovo, lanciandosi sulla prateria innevata. Come sarebbe stato facile tornare indietro prendere il treno per New York e dimenticare quel luogo orrido! Nó, sapev o che non avrei mai potuto scordare la minaccia di quello spaventos o mondo, nero co- me la notte, che si apriva oltre l'anello di rame, abitato da una razza che progettava di impadronirsi della terra per farn e una seconda sfera di tenebra immonda. E Stella ? Non sarei mai riuscito a dimenticarla. O ra sapevo di amar- la, sapevo che dovevo salvarla o morire con lei. Spronai il cavallo ad avanzare nella solitaria dist esa. Raggiunsi la fattoria poco dopo mezzogiorno, ma mi restava ancora un buon margine di luce diurna. Mi misi all'opera i mmediatamente. C'era parecchio da fare: vuotare le scatole ammucch iate sul calesse; riempire le lanterne di combustibile, pompare l'ari a all'interno e assi- curarsi che funzionassero in modo soddisfacente; in nescare i candelot- ti di dinamite; provare le torce elettriche; carica re la pistola e riempire i caricatori di riserva; sistemarmi nelle tasche in modo razionale i fiammiferi, le munizioni, le pile per le torce, e i nastri di magnesio. Il sole era ancora alto quando ultimai i preparativ i. Allora misi il caval- lo nella stalla dietro la casa, chiusi la porta a c hiave e la barricai, per as- sicurarmi che l'animale fosse completamente bloccat o, nel caso qual- che orrida metamorfosi lo mutasse in un mostro dall e pupille verdi. Poi entrai in casa, portando con me una lanterna ac cesa. Era silen- ziosa e deserta. Tutti i mostri erano evidentemente là sotto. La porta della cantina era chiusa, e anche la minima fessura era stata ostruita per impedire che filtrasse luce.

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Accesi tutte le lanterne e le disposi a cerchio att orno all'ingresso del- la scala. Dopo di che spalancai la porta. Dal passaggio sottostante si levò un ululato orribi le! Sentii il rumore dei piedi che si affrettavano a ritirarsi lungo il tunnel, tra latrati rab- biosi e aspri gemiti selvaggi. Un'ondata fisica di orrore nauseante mi inondò di b rividi, al pensie- ro di avventurarmi in quel tempio sotterraneo di lu core rossastro dove ero stato testimone e vittima di orrori indicibili. Indietreggiai treman- do. Ma al pensiero di mio padre e dell'adorata Stel la, giù in quel covo e posseduti dai mostri, riacquistai coraggio e mi avv iai verso l'imbocca- tura spalancata che conduceva nel tempio edificato dalle belve aliene. Prima avevo pensato di lasciare le lanterne in cerc hio attorno al- l'imboccatura del passaggio, e di portarne una sola con me. Ora invece mi resi conto che avrebbero impedito con maggiore e fficacia la fuga dei mostri se le avessi disseminate lungo il tragit to. Ne raccolsi sei, tre per mano, e cominciai a scendere gli scalini. I loro possenti raggi illuminarono la vecchia canti na con un chiarore graditissimo. Ne deposi una lì, al centro del pavim ento dello scantina- to; altre tre le sistemai lungo iì cunicolo in pend enza che portava negli scavi sotterranei. Avevo intenzione di deporre le altre due lanterne s ul pavimento del tempio, e poi di tornare in superficie a prenderne altre. Speravo che la luce liberasse l'intero branco dall'invasore alieno , come si era verifica- to nel caso di Stella. Avrei approfittato del loro stato di incoscienza per trasportare all'aperto Stella e mio padre, e gli al tri uomini in condizio- ne di poter riprendere a vivere normalmente. Poi av rei distrutto la macchina e il tempio con la dinamite. Giunsi in fondo al passaggio, sbucando nella vasta sala nera sorretta dalla doppia fila di colonne. Il chiarore intenso p roiettato dalle lanter- ne, che ronzavano lievemente, disperse l'oscurità v enata di quel lucore rosso sangue. Udii un coro agghiacciante di urli an imali da cui traspa- riva una sofferenza atroce e, in fondo alla lunga s ala dietro i massicci pilastri, vidi forme dagli occhi verdastri che sgat taiolavano al riparo, accalcandosi nell'ombra. ~eposi le due lanterne per terra ed estrassi dalla tasca una delle po- tenti torce elettriche. Il suo fascio intenso e pen etrante sondò le tene- bre al di là delle poderose colonne nere. Forme uma ne e di lupi, urlanti e spaventate, lanciarono gemiti acuti quando venner o raggiunte dal raggio, e si accasciarono sul nero pavimento. Fiducioso, io avanzai per frugare ogni angolo recon dito con il bril- lante specillo luminoso. La mia fiducia si rivelò quasi fatale... Avevo sott ovalutato l'astuzia e l'abilità dei miei nemici. Quando mi accorsi del gl obo nero, il mio pie- de vi era già appoggiato sopra. Era una sfera perfe tta di tenebra pura un globo di circa trenta centimetri che pareva torn ito in un cristalló nero come la notte. Ormai non riuscii più a evitarlo, e quando lo tocca i parve esplodere. Si udii un sordo e minaccioso plop, poi la sfera sp rigionò un'oscurità fluttuante, un gas nero che mi avvolse nel suo buio sudario soffocante. Mi voltai come impazzito, precipitandomi indietro v erso il passag-

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gio che conduceva alla luce del sole. Ero completam ente accecato. Le lanterne sfolgoranti erano assolutamente invisibili , e ne urtai una con i piedi mentre avanzavo freneticamente. Poi inciampai e sbattei contro la fredda parete del tempio. Tastai feb- brilmente la superficie... ma in entrambe le direzi oni fin dove riuscivo a spingermi con le braccia, il muro era assolutamen té liscio. Dov'era il passaggio? Avanzai barcollando per alcuni metri, te nendo sempre le mani sulla parete. No, il cunicolo doveva trovarsi dalla parte opposta. Mi girai. I latrati mostruosi e trionfanti del bran co colpirono le mie orecchie; sentii i loro piedi muoversi e attraversa re il tempio. Allora corsi lungo la parete, ma inciampai e caddi sopra u na lanterna rovente. Mi balzarono addosso... Lo strano baluginio rossastro del tempio mi circond ava di nuovo. Mi trovavo ancora legato a uno di quei pilastri neri e massicci, impotente e bloccato dalla medesima corda insanguinata. Di fronte a me c'era lo strano macchinario che, cam biando le vibra- zioni della materia, apriva una breccia comunicante con altri universi continui... con la Dimensione Nera. La luce rossast ra si rifletteva come una sfumatura di sangue sull'anello di rame e sul g rande specchio pa- rabolico. Vidi con un certo sollievo che le valvole erano spente, il gene- ratore silenzioso, e le tenebre scomparse dall'anel lo. Di fronte, però, era stato eretto uno spaventoso al tare, sui cui erano deposti i corpi straziati e sanguinanti di uomini e donne, di lupi grigi, di piccoli coyote e di altri animali. Il branco ave va fatto buona caccia nelle due notti in cui ero stato assente! Le cadaveriche e mostruose creature, i corpi orrend amente mutati di mio padre e di Stella e degli altri, mi circonda vano. --Il tuo ritorno è una cosa buona--guaì in toni bes tiali l'essere che occupava il corpo di mio padre.--Il fabbricatore di elettricità non funziona. Tu che torni lo farai muovere ancora. La strada deve essere di nuovo aperta, perché nuova vita giunga a questi che attendono.--E indicò il cumulo di cadaveri grondanti di sangue. --Poi la nuova vita anche a te noi condurremo. Trop pe volte sei fug- gito. Tu diverrai uno di noi. E noi cercheremo un u omo che agisca co- me noi diciamo. Ma prima deve la via essere aperta di nuovo. Dal nostro mondo la vita verrà. Per prendere i corp i degli uomini co- me macchine. Per fare un gas di tenebre come quello che hai trovato in questa sala, per nascondere tutta la luce del tuo m ondo e renderlo a noi adatto. La mia mente vacillò inorridita al pensiero dell'in concepibile e as- surda minaccia che si alzava come un orrido spettro a fronteggiare l'u- manità, al pensiero che presto anch'io non sarei st ato altro che una semplice macchina. Il mio corpo, gelido e pallido c ome un cadavere, avrebbe svolto compiti innominabili al comando dell e creature delle tenebre, e i loro occhi verdastri sarebbero divampa ti nelle mie orbite! --Presto, spiega il metodo per far funzionare il fa bbricatore di elet- tricità--mi venne ordinato, con un ringhio malvagio e minaccioso --o noi roderemo la carne dalle tue ossa, e cercher emo un altro che eseguirà il nostro volere! 12

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Emanazioni della Dimensione Nera Acconsentii ad accendere il generatore, sperando ch e nel frattempo mi si presentasse qualche opportunità di ribaltare nuo vamente la situa- zione. Ero più che certo che non avrei potuto fare niente finché rimane- vo legato alla colonna... e la minaccia che avrebbe ro trovato un altro uomo per sostituirmi come loro insegnante mi fece c apire che dovevo piazzare in fretta il colpo giusto. I mostri erano convinti che, per azionare il genera tore, avrebbero avuto bisogno di qualcosa di più di un mio semplice aiuto verbale. Uno dei meccanici mi slegò e mi accompagnò verso la mac china, stringen- domi un braccio in una dolorosa morsa di dita fredd e come ghiaccio. Discretamente, io abbassai una mano per tastarmi le tasche. Erano vuote! --Non fare luce!--giunse il ringhio d'avvertimento di mio padre che aveva intravisto il mio gesto. I mostri si erano finalmente resi conto che era opp ortuno perquisir- mi. Guardandomi attorno vidi le cose che mi avevano tolto, accatasta- te alla base di un pilastro. L'automatica, i carica tori, le torce, le pile i fiammiferi e le fascette di nastro al magnesio. C'e rano anche le dúe lanterne che avevo portato con me nel tempio, e che erano state evi- dentemente spente dal gas nero che mi aveva accecat o. Due lupi grigi montavano di guardia accanto agli og getti, fissando- mi in maniera sinistra. Dopo aver armeggiato per qualche istante attorno al motore, scoprii che si era fermato per mancanza di carburante. Dopo che io avevo dan- neggiato la macchina, i mostri avevano continuato a lasciarlo in fun- zione finché non era finita la benzina. Spiegai a mio padre che non avrebbe funzionato senz a altra benzi- na. --Fallo girare e produrre elettricità--disse, ripet endo il ringhio minaccioso--o roderemo la came dalle tue ossa e tro veremo un altro uomo. Dapprima provai a insistere che non potevo trovare della benzina sen- za recarmi in qualche luogo abitato, ma quando mi t rascinarono verso la corda insanguinata per sottopormi a nuove tortur e, confessai che avrei potuto usare il combustibile delle lanterne. Erano sospettosi. Mi frugarono ancora per accertars i che non avessi addosso altri mezzi per produrre luce. E controllar ono attentamente anche le lanterne in cerca di eventuali sistemi di accensione che non ri- chiedessero l'uso di fiammiferi. Alla fine mi portarono le lanterne. Con mio padre c he mi stringeva a un braccio, versai la benzina nel serbatoio del mot ore. Sarebbe stato comunque difficilissimo travasarla senza rovesciame un po', e in ogni modo mi preoccupai di versarne per terra il più pos sibile, senza desta- re sospetti. Riuscii a formare una piccola pozzangh era di benzina sotto lo scappamento, dove una scintilla avrebbe potuto i ncendiare i val~ori. Poi mi fecero accendere il generatore. Le bobine to rnarono a ronzare e le valvole termoioniche si illuminarono. Lo stran o tubo catodico cen- trale sembrò produrre una massa oscura che lo specc hio parabolico ri- fletté nell'anello di rame.

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Per la seconda volta, guardando attraverso l'anello , vidi la Dimen- sione Nera. Dinanzi a me si stagliava un cielo di oscurità asso luta, con luride ac- que stagnanti in cui baluginava una luminescenza pu trescente e basse colline ammantate da quella vegetazione ripugnante che si contorceva come un ammasso di serpi, sprigionando una fioca lu ce verdastra. E su una di quelle colline c'era la città. Una macchia caotica di rosso malvagio, una chiazza di tenebra cre- misi, di corruzione rossastra. Si allungava sulla c ollina come un mo- stro di rossa bruma dagli innumerevoli tentacoli. E dalla città si innal- zavano orride appendici, verruche e protuberanze as surde, parodie macabre di torri e minareti. Era immobile. E all'intemo della sua fetida oscurit à scarlatta si ce- lavano cose nere e striscianti... innumerevoli orde di cose simili al- I'abominevole mostruosità che io avevo visto fluire nel corpo di Stella. Neri orrori viventi, informi e dalle pupille verdas tre. I mostri attorno a me ulularono attraverso l'anello , in quel mondo nero... lanciando un richiamo! E ben presto, dall'anello fluì un fiume di inconcep ibile orrore infor- me... Indescrivibili mostri di un universo alieno. Esseri ripugnanti che dimoravano nelle tenebre... Ia razza della Dimensio ne Nera! Spaventosi occhi verdi nuotavano in masse striscian ti d'oscurità maligna. Sciamarono ricoprendo il cumulo di cadaver i che giacevano al suolo. E i morti risorsero a un'abominevole e as surda vita! Cadaveri mutilati e corpi lacerati di lupi balzaron o ritti ringhiando e guaendo. E gli occhi di ognuno erano malvagi occh i di fiamma sme- raldina delle cose che erano entrate in loro. Io ero ancora accanto al piccolo motore scoppiettan te. Mentre bal- zavo indietro, alla vista dello spaventoso spettaco lo di quei morti che risorgevano a vita sacrilega, i miei occhi si posar ono disperatamente sulla pozza di benzina. Non si era ancora incendiat a. Accarezzai la fuggevole idea di cercare di impregna rmi la mano di benzina e metterla di fronte allo scappamento per f arne una torcia vi- vente. Ma era troppo tardi, e le dita gelide e infl essibili di mio padre continuavano a serrarmi dolorosamente un braccio. Poi mio padre lanciò un ululato lamentoso. Un'oscena e informe massa strisciante, dalle orbite scintillanti di aliena fiamma verde, si staccò dal fiume nero che s i riversava dall'a- nello e avanzò verso di me. --Ora tu diverrai uno come noi!--annunciò mio padre . La cosa stava dunque venendo per fluire nel mio cor po, per rendermi suo schiavo, per mutarmi nella sua macchina! Urlai, lottai contro le mani crudeli che mi bloccav ano. Folle di terro- re, bestemmiai e implorai... promettendo di consegn are ai mostri il mondo intero. E la cosa strisciante continuò ad ava nzare. Crollai, in- zuppato di sudore gelido, tremante, nauseato per l' orrore. Proprio allora, come avevo sperato e pregato, il mo tore fece uno

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scoppio irregolare. Dallo scappamento uscì una vamp ata di scintille seguita da una cupa esplosione di vapori. Un improv viso lampo giallo illuminò il tempio... E una colonna di fiamma tremolante si levò dalla po zza di benzina accanto al motore. Le creature nere vennero distrutte dalla luce... e svanirono! Il tempio si trasformò in un pandemonio di acuti ul ulati di dolore, di corpi confusi che si dibattevano in preda al panico . La morsa attomo al mio braccio cedette, e mio padre crollò al suolo , strisciando verso l'ombra dei pilastri e riparandosi gli occhi. Vidi che i lupi avevano abbandonato la sorveglianza alle cose che mi avevano sequestrato, e mi precipitai in quella dire zione. In un istante le mie mani tremanti afferrarono una delle torce elet- triche. Con gesti frenetici trovai l'interruttore e lo feci scattare. Con il fascio abbagliante spazzai l'ampia sala e il coro i nfemale di lamenti animali crebbe d'intensità. Poi accesi la seconda torcia e, arraffando in frett a la pistola, le muni- zioni, i fiammiferi e il nastro al magnesio, mi rit irai accanto alla pozza di benzina incendiata. Questa volta mi mossi con estrema precauzione, sond ando con il raggio luminoso di fronte a me per evitare di incia mpare in un'altra bomba d'oscurità. Credo comunque che la mia cautela fosse inutile. Sono sicuro, da quanto ebbi modo di vedere in segui to, che ne fosse stata preparata una sola. Accostandomi al motore mi resi conto che stava anco ra funzionando, tenendo così aperto il varco che immetteva nella Di mensione Nera. In- terruppi l'erogazione di carburante e il piccolo mo tore tossicchiò af- fannato, spegnendosi. Il muro di tenebre svanì dall 'anello di rame in- terrompendo il collegamento con l'orrido mondo appa rtenente a un al- tro universo. Poi appoggiai frettolosamente le torce sul paviment o, mettendole in modo che proiettassero i fasci di luce in direzioni opposte. Presi i fiam- miferi, allora, e accesi l'estremità di una strisci a di nastro al magnesio a cui avevo aggiunto zolfo per facilitarne l'accens ione. Il nastro s'incendiò subito formando un bianco bagl iore accecante che pareva un sole in miniatura. Lo scagliai attrav erso la sala. La sua luce vivida descrisse una parabola, spezzando le om bre dietro i pila- stri. Le belve nascoste e impaurite ulularono in preda a nuove atroci sof- ferenze e caddero sul nero pavimento, tremando e co ntorcendosi in maniera convulsa. Io continuai ad accendere sottili strisce metallich e e a gettarle in ogni angolo della sala per scacciare l'oscurità gra zie alla loro scintil- lante fiamma candida. Il latrati si fecero sempre più deboli, gli uggioli i lamentosi cessaro- no. I lupi e gli uomini giacevano immobili. La loro violenta lotta con- tro gli spasmi d'agonia era finita. Dopo aver lanciato l'ultima striscia di magnesio, p resi l'automatica

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e sparai nel serbatoio del motorino, appiccando poi il fuoco al rivolo di liquido che fuoriusciva. Mentre una nuova colonna d i luce sfavillante divampava verso l'alto, mi affrettai in direzione d el passaggio che con- duceva in superficie, attento a non calpestare un'a ltra di quelle sfere che eruttavano tenebra. Trovai le lanterne ancora accese, poiché i mostri e videntemente non erano riusciti a spegnerle. Corsi all'estemo, raccolsi le sei lanteme che avevo lasciato là e che scintillavano ancora nel crepuscolo imminente, e to rnai velocissimo nel tempio. I mostri erano ancora inerti e privi di conoscenza. Sistemai le lanterne sul pavimento, disponendole in modo che ogni recesso fosse rischiarato efficacemente. Andai a prendere altre due lanterne e un fustino di combustibile, e riempii anche quelle lampade da cui avevo tolto la benzina per versar- la nel motorino del generatore. Quindi girai per la sala sotterranea, sempre tenend o due lampade vicine, e distesi i gelidi corpi rannicchiati, rivo ltandoli in modo che volgessero la faccia verso la luce. Trovai Stella. Il corpo della ragazza era ancora integro, a parte il pallore impressionan te e lo strano gelo. Poi fu la volta di mio padre. C'era anche l'ammasso dilaniato che un tempo era stato il corpo di Judson. E il cadavere d ecapitato di Blake Jetton, il padre di Stella. Controllai pure molti a ltri corpi straziati di esseri umani, e le carcasse gelide di lupi, di coyo te, del cavallo e di al- cuni altri animali. In mezz'ora circa il cambiamento fu completo. L'assurdo gelo della forma di vita aliena aveva abb andonato le vitti- me. La ma~aior Parte dei corPi si irrigidirono rapi damente in un tardi- vo rigor mortis. Anche mio padre era senza dubbio d eceduto. Il suo cor- po rimase freddo e immobile, nonostante lo strano g elo che l'occupava fosse svanito. Ma la squisita figura di Stella tornò a scaldarsi, pervasa di nuovo dal tenue rossore della vita. La ragazza respirava e il cuore le pulsava len- tamente. La trasportai nella cantina e la deposi sul pavimen to tra due lanter- ne, per prevenire ogni eventuale ritorno dell'invas ore alieno mentre fi- nivo il macabro lavoro che mi attendeva di sotto. Non c'è bisogno che mi addentri in inutili dettagli ... Quando ebbi usato metà della scorta di dinamite, no n rimase alcun frammento riconoscibile, né della macchina maledett a né dei corpi posseduti dalla mostruosa forma di vita. Innescai l 'altra dozzina di candelotti accanto ai pilastri e nelle pareti del t unnel... Nessuno metterà mai più piede nella grande sala sot terranea che io ho chiamato a volte tempio. Ultimato il lavoro, portai Stella in camera sua e l a misi delicatamen- te a letto. Vegliai con ansia tutta la notte, mante nendo una brillante il- luminazione nella stanza, ma non si verificò alcun cenno di quanto te- mevo. Stella dormì profondamente, ma in modo normal e, e sembrava

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ormai completamente libera da eventuali infestazion i residue della mostruosità parassita che un tempo era in lei. Dopo una nottata stressante giunse l'alba, e un chi arore rosato si dif- fuse sulla neve. La fanciulla si stiracchiò. Due profondi occhi azzu rri si aprirono e mi fissarono, occhi sorpresi e ansiosi, da cui trap elava un'espressione interrogativa. Occhi non più offuscati come un temp o da strani sogni. --Clovis!--esclamò Stella con la sua vera voce dal tono morbido. --Clovis, cosa fai qui? Dov'è papà? Dov'è il dottor McLaurin? --Stai bene?--le chiesi ansioso.--Stai bene, Stella ? --Bene?--fece lei, sollevando il suo stupendo viso sorpreso.--Ma certo! Che cosa dovrei avere? Il dottor McLaurin te nterà il suo grande esperimento oggi. Sei venuto ad aiutarlo? Allora capii, e ne fui immensamente felice, che tut ti gli orribili ricor- di erano stati cancellati dalla sua mente. Stella n on ricordava nulla di quanto era accaduto a partire dalla vigilia dell'es perimento, causa di quella catena di cose terrificanti. Guardò improvvisamente dietro di me, verso la mia f otografia appe- sa alla parete, con un'espressione curiosa, e arros sì leggermente acqui- stando un aspetto ancor più attraente grazie a quel lieve rossore accen- tuato. --Non te l'ho data io quella foto--l'accusai. Volev o evitare, per ora, qualsiasi domanda riguardante suo padre, o il mio, o l'esperimen- to. --L'ho avuta da tuo padre--confessò lei. Ho scritto questo resoconto in casa del dottor Frie drichs, il famoso psi- chiatra di New York, mio intimo amico. Mi recai da lui non appena io e Stella raggiungemmo New York, e da allora mi ha ten uto presso di sé sotto costante osservazione. Mi assicura che in poche settimane io sarò perfetta mente ristabilito. Ma a volte dubito che riacquisterò del tutto il mio equilibrio normale, poiché gli orrori di quell'invasione da un altro un iverso sono incisi troppo profondamente in me. Ora non sopporto di res tare solo al buio, o perfino alla luce lunare: tremo ogni volta che se nto il latrato di un ca- ne, e cerco precipitosamente la presenza di luci vi vide e la compagnia di esseri umani. Ho raccontato al dottor Friedrichs la mia storia, e lui mi crede: mi sono deciso a scriverla in seguito alla sua insiste nza. E una verità stori- ca, sostiene il mio amico, il fatto che le leggende , i miti e il folclore si basino su eventi reali. E non esistono leggende più diffuse di quelle ri- guardanti la licantropia. E importante osservàre co me non solo i lupi siano oggetto di tali leggende, bensì gli animali p iù feroci di ogni pae- se. In Scandinavia, per esempio, le leggende riguar dano gli orsi; nel continente europeo, i lupi; in Sudamerica, i giagua ri; in Asia e in Afri- ca i leopardi e le trigri. E pure importante notare come la credenza neíla possessione da parte di spiriti maligni, e la credenza nei vampiri, siano collegate alla diffusissima credenza dei lupi mannari. Il dottor Friedrichs pensa che, in seguito a qualch e incidente cosmi- co, questi mostri della Dimensione Nera abbiano pot uto accedere al nostro mondo anche in precedenza; e che quelle legg ende, stranamen-

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te diffuse ovunque, siano ricordi popolari di orror i che hanno colpito la terra quando quelle abominevoli mostruosità si impo ssessavano dei corpi degli uomini e di animali feroci, e andavano a caccia nelle tene- bre. Si potrebbe aggiungere parecchio a sostegno di ques ta teoria, ma io lascerò che la mia esperienza parli da sola. Stella viene spesso a trovarmi, ed è più adorabile di quanto non mi fossi mai reso conto. Il mio amico mi assicura che la mente della ragaz- za è assolutamente normale. Sostiene che la sua amn esia è un fatto na- turale, dal momento che la sua mente dormiva quando l'entità aliena dominava il suo corpo. E afferma anche l'impossibil ità che lei venga posseduta di nuovo. Io e Stella contiamo di sposarci entro poche settim ane, non appena il dottor Friedrichs stabilirà che sono sufficiente mente guarito. Titolo originale: Wolves of Darkness Traduzione di Piero Anselmi �