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I perché della matematica elementare di Carmelo Di Stefano

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I perché della matematica

elementare

di Carmelo Di Stefano

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I perché della matematica elementare

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Prima edizione Febbraio 2016 Carmelo Di Stefano Tutti i diritti riservati

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Carmelo Di Stefano

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Indice Introduzione 1

Il procedimento per assurdo e gli schemi deduttivi 3

Il concetto di uguaglianza 8

Il concetto di ordine 14

Le proprietà delle operazioni 20

Assiomatizzazione dei numeri naturali e principio di induzione 29

Prodotto dei segni 33

Principio di annullamento del prodotto 38

Notazione posizionale e cambio base 41

Come effettuare una moltiplicazione? 46

I numeri decimali 49

Divisione per una frazione 53

Le potenze di esponente nullo o intero negativo 55

La prova del nove 57

Divisibilità dei numeri naturali e numeri primi 60

La distribuzione dei numeri primi 64

Il crivello di Eratostene 67

Alcuni problemi sui numeri primi 74

La scomposizione di un numero in fattori primi 82

Massimo comun divisore minimo comune multiplo 86

Il principio di inclusione-esclusione 91

Equazioni indeterminate 95

Le congruenze 102

Criteri di divisibilità 109

Quanti divisori ha un numero? 113

Una particolare successione di numeri naturali 116

Numeri perfetti e numeri amicabili 119

Periodicità e sviluppo decimale delle frazioni 126

Il campo dei numeri reali 134

Le potenze reali e i logaritmi 139

Il concetto di infinito e i vari tipi di infinito 143

I limiti e i calcoli all’infinito 151

La strana aritmetica dei limiti 156

Sommiamo l’infinito 160

Probabilmente … 164

Il teorema di Pitagora 172

Bibliografia 176

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Introduzione La matematica è certamente la disciplina più controversa fra quelle cosiddette di base, amata fino alla follia1 da pochissimi, odiata in modo viscerale dalla gran parte. I motivi di questi atti contraddittori sono molteplici e non è intenzione del seguente lavoro di studiarli. Ciò che l’autore in queste pagine si propone è di far comprendere intanto che la Matematica non può stu-diarsi “a memoria”, che qualsiasi approccio si scelga, quale che sia il motivo per cui essa si studi (imposto dall’esterno, per dovere o per piacere) non si può prescindere dalla compren-sione di ciò che si fa. Si potrebbe obiettare che ciò è vero per qualsiasi disciplina, solo che purtroppo, soprattutto nella scuo-la italiana, si continua ad insistere su una matematica ripetiti-va, noiosa, in cui è bravo chi sa calcolare o sa ripetere ciò che dice il libro o l’insegnante. A questo avviso vorrei ricordare la bellissima frase di Oscar Chisini: la matematica è l'arte di non

fare i calcoli. La matematica da molto tempo non è più, se mai lo è stata, so-lo la scienza dei numeri e delle figure. Da Galileo in poi, si è compreso che è la lingua dell’Universo

2, solo che purtroppo sono ancora pochissimi quelli che la comprendono. E la moti-vazione di questa sciagurata scelta è semplicemente una: la maggioranza di chi insegna matematica non la conosce. Que-sto atteggiamento è legato alla errata convinzione secondo la quale gli argomenti base possono essere insegnati da chiunque 1 Non è un modo di dire, diversi matematici finirono in manicomio, solo

per citare i più famosi, il padre della teoria degli insiemi George Cantor che vi morì nel 1917, e il conosciutissimo protagonista del pluripremiato film A beautiful mind, John Nash, che vi fu ricoverato parecchie volte.

2 La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta

aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se

prima non s'impara a intendere la lingua e conoscer i caratteri, ne' quali

è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli,

cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi è impossibile a in-

tenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per

un oscuro laberinto. (Il Saggiatore, 1623).

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perché “facili”. Ovviamente è esattamente vero il contrario, perché essendo argomenti base faranno parte del corredo cul-turale di ogni individuo che si plasma, spesso in modo ada-mantino e quindi è successivamente impossibile da modificare, proprio nei primissimi anni di scuola. Paradossalmente le co-noscenze e la padronanza della matematica di un maestro ele-mentare, pur se limitate in orizzontale, in profondità dovrebbe-ro essere superiori a quelle di un professore universitario. Proprio per tale motivo in queste pagine saranno prese in con-siderazione una serie di attività cosiddette elementari, che la maggior parte di noi ha imparato in modo spesso esclusiva-mente mnemonico. Purtroppo pochissimi si sono chiesti per-ché una certa procedura avvenisse in un certo modo piuttosto che in un altro. Questo testo ha la presunzione di cercare di mostrare appunto i perché, con la speranza che il lettore faccia suo questo nuovo approccio per riprendere lo studio della ma-tematica da questo punto di vista privilegiato. Talvolta sarà necessario usare termini il cui reale significato e la cui profonda comprensione esulano dagli scopi del testo, perché diversamente esso si allungherebbe e complicherebbe in modo eccessivo. Pertanto vi sarà una nota a piè pagina che cercherà di spiegare semplicemente il concetto, ma in realtà servirà solo da memorandum per chi conosce già l’argomento.

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Il procedimento per assurdo e gli schemi deduttivi Una particolarità della matematica è il fatto che in essa qual-siasi cosa si affermi debba essere dimostrata. Uno dei grandi matematici del XX secolo, Jean Dieudonné (1906 – 1992) ha scritto che in matematica tutti i risultati sono "veri" nel senso

che sono stati dimostrati seguendo le regole logiche che si so-

no ammesse [...] un'affermazione non dimostrata non fa parte

della matematica3. Abbiamo sentito più volte anche da parte di

autorità dei rispettivi campi, dire che un certo risultato in fisica o chimica o altra scienza naturale si dimostra. Ciò è improprio tanto è vero che ormai si è accettata l’idea che le verità scienti-fiche, escluse quelle matematiche, siano per così dire a tempo, ossia siano vere sino a prova contraria. Del resto molte delle cose che erano considerate vere in fisica o chimica nel XIX secolo adesso sono state completamente modificate e conti-nueranno a esserlo nel futuro. Mentre in matematica ciò che si è provato è indiscutibile, tranne a cambiare le ipotesi. Vi sono molti modi per dimostrare una proprietà matematica. In molte dimostrazioni, soprattutto geometriche, ma noi lo mo-streremo anche in risultati aritmetici, si usa il cosiddetto pro-cedimento per assurdo. Esso consiste nel supporre che la co-siddetta tesi di un teorema, che è la proprietà che vogliamo dimostrare, non sia vera e così facendo, con una catena di pas-saggi leciti si mostra che non è vera neanche l’ipotesi che in-vece è ciò che supponiamo sia vero. Esempio 1 Se volessimo dimostrare il teorema di geometria elementare, noto come pons asinorum

4, che afferma che gli angoli alla ba-

se di un triangolo isoscele sono fra loro uguali, potremmo cercare di provarlo facendo vedere che se i dati angoli non

3 In Jean Dieudonné, L'arte dei numeri, Mondadori, 1989, pag. 32 4 Così chiamato nel Medio Evo perché separava, faceva da ponte, fra i sa-

pienti che lo conoscevano e gli asini che lo ignoravano

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hanno la stessa misura di conseguenza il triangolo non ha i lati della stessa misura, cioè non è isoscele. Poiché l’ipotesi, ap-punto che il triangolo sia isoscele, non si discute, deve rigettar-si il fatto che gli angoli non siano isometrici. Apparentemente non sembra che quanto descritto nell’esempio ci abbia portato avanti nella dimostrazione, solo che alla base della matematica come la intendiamo di solito, vi è la cosid-detta logica binaria, cioè quel sistema di regole che affermano fra le altre cose che un’affermazione o è vera o è falsa, non c’è una terza via, con locuzione latina tertium non datur. Quindi avendo mostrato che è falso che gli angoli non sono uguali, ci rimane come verità il suo opposto, cioè è vero che gli angoli

sono uguali. Se invece avessimo accettato una logica a più vie5, in cui oltre il vero ed il falso vi possono essere altre possibilità, anche in-finite, la dimostrazione per assurdo non avrebbe alcuna validi-tà. In generale una dimostrazione avviene utilizzando quello che si chiama uno schema deduttivo, il più semplice, ad enunciarsi ma non sempre ad applicarsi, è il cosiddetto sillogismo, secon-do il quale se è vero che dalla verità di un fatto A segue la ve-rità di un altro fatto B e da questo ne consegue la verità di un terzo fatto C, allora possiamo dire semplicemente che da A se-gue C. Esempio 2 Noi sappiamo che se un numero è multiplo di 20 esso è anche multiplo di 10, del resto se è multiplo di 10 lo è anche di 5, quindi possiamo dire che se un numero è multiplo di 20 lo è anche di 5.

5 Ne sono state studiate diverse agli inizi del secolo scorso e hanno avuto

importanti applicazioni per esempio con la cosiddetta logica fuzzy

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Altri semplici schemi sono quelli detti modus ponens e modus

tollens. Il primo afferma semplicemente che se da A segue B, allora conoscendo A possiamo dedurre B.

Esempio 3 Se è vero che se ABC è un triangolo rettangolo allora due dei suoi angoli sono complementari, allora sapendo che ABC è un triangolo rettangolo possiamo stabilire, senza ulteriori indagini che deve avere due angoli complementari. Il risultato sembra, come molti fatti matematici, banale6. Appare meno banale in-vece il seguente ragionamento, il triangolo ABC non ha due angoli complementari, allora possiamo dedurre che non è un triangolo rettangolo. Infatti se lo fosse, per il modus ponens, dovrebbe avere gli angoli complementari. Il secondo schema deduttivo mostrato nell’esempio preceden-te, si chiama modus tollens e afferma appunto che se da A se-gue B, allora se B è falso possiamo dire che anche A deve es-serlo. I due precedenti schemi rappresentano, nell’ordine in cui li ab-biamo enunciati, le cosiddette condizione sufficiente e condi-zione necessaria. Infatti il modus ponens afferma che è suffi-

ciente sapere che sia vero A per affermare che anche B lo è; il modus tollens invece dice che è necessario che sia vero B per-ché sia vero anche A. Esempio 4 Così è necessario essere maggiorenni per votare per le elezioni dei candidati alla Camera dei Deputati, ma non è sufficiente, dato che per altre ragioni si potrebbe essere privi del diritto di voto. Allo stesso modo il sapere che Tizio ha votato per le ele-zioni dei candidati al Senato, è sufficiente a garantirci che ab-

6 Come ricorda lo storico della matematica Bell: in matematica nulla è più

pericolo della parola banale

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bia almeno 21 anni, ma non è necessario perché ne abbia 30, 37 o qualsiasi altra età maggiore di 18. Vi sono diversi giochi logici basati sulla deduzione, il più fa-moso dei quali è probabilmente Indovina chi, che consiste nell’individuare uno fra 31 personaggi ponendo domande a cui può rispondersi solo sì o no, e basati sulle caratteristiche fisi-che possedute, quasi tutte di tipo binario (ha/non ha i capelli; ha/non ha la barba o i baffi; è maschio/femmina; …), e alcune a più valori (colore dei capelli o degli abiti). Un gioco simile ma più complesso è il videogioco Sherlock della Kaser sof-tware, un demo del quale può scaricarsi da http://www.kaser.com/. nel gioco si devono associare da 3 a 8 personaggi a loro caratteristiche, anche queste da 3 a 8. Per e-sempio nella figura seguente, il caso più semplice in cui dob-biamo associare le 3 persone a una casa e a un numero.

In questo caso sappiamo solo la posizione della donna, ma non la sua casa e il suo numero. Per determinarli abbiamo le se-guenti informazioni.

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Esse indicano che la casa gialla si trova fra i due personaggi (e quindi si deduce che appartiene al terzo personaggio); che il calvo è a sinistra dell’altro maschio (quindi sta nella seconda colonna); che il numero 2 non sta fra l’uomo e la casa blu, che però sono separati da una colonna (quindi la casa blu è della donna); la casa rossa e il numero 1 stanno nella stessa colonna. Perciò la situazione sarà la seguente.

Attività Stabilire se i fatti A sono necessari e/o sufficienti perché acca-dano i fatti B seguenti. 1. A: Essere legalmente sposati in Italia; B: Essere maggio-

renni. [Sufficiente] 2. A: Essere padri; B: Essere nonni. [Necessario] 3. A: Essere zii; B: Non essere figli unici.

[Né necessario, né sufficiente] 4. A: Essere laureati; B: Essere dirigenti di banca.

[Né necessario, né sufficiente] 5. A: Essere un poligono con i lati e gli angoli uguali; B: Es-

sere un poligono regolare. [Necessario e sufficiente] 6. A: Avere la stessa area; B: Essere due figure uguali.

[Necessario] 7. A: Essere due triangoli simili; B: Essere due triangoli e-

quilateri. [Necessario] 8. A: Essere italiano; B: Essere europeo. [Sufficiente] 9. A: Saper parlare fluentemente l’inglese; B: Abitare a Lon-

dra. [Né necessario, né sufficiente] 10. A: Essere un numero primo; B: Essere un numero dispari.

[Né necessario, né sufficiente]

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Il concetto di uguaglianza Nel linguaggio di ogni giorno usiamo spesso la parola uguale

ma non sempre con lo stesso significato. Per esempio, invitati a scegliere fra due o più oggetti, se non abbiamo preferenze diciamo è uguale. Sono uguali due macchine dello stesso mo-dello e stesso colore, mentre non sono uguali due macchine che hanno lo stesso prezzo ma hanno diversa marca o colore. In matematica i concetti di uguale sono parecchi e spesso sono causa di interminabili discussioni, ovviamente si usano voca-boli diversi: congruente, equivalente, equiesteso, isometrico, … Spesso l’uguaglianza è legata a un numero che misura qualcosa, una lunghezza, un’area, un volume, una probabilità, … La cosiddetta Bibbia dei matematici, ossia gli Elementi di Euclide, opera in 13 libri che rappresenta una summa delle co-noscenze aritmetiche e geometriche del mondo occidentale nel 300 a.C., già all’inizio, nel libro primo tratta il concetto di u-

guale, inserendolo in ben otto delle nove nozioni comuni. Ve-diamole7. I. Cose che sono uguali ad una stessa sono uguali anche fra

loro. II. E se cose uguali sono addizionate a cose uguali, le totalità

sono uguali. III. E se da cose uguali sono sottratte cose uguali, i resti sono

uguali. IV. E se cose uguali sono addizionate a cose disuguali, le tota-

lità sono disuguali. V. E doppi di una stessa cosa sono uguali fra loro. VI. E metà di una stessa cosa sono uguali fra loro. VII. E cose che coincidono fra loro sono fra loro uguali. Come si nota Euclide parla di uguale (e disuguale) come se fosse un concetto noto, privo di definizione, pertanto si limita 7 Euclide, Elementi, Utet, 1988, edizione curata da Attilio Momigliano

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a descrivere solo i modi di operare con tale nozione. La I af-fermazione è quella che con linguaggio moderno chiamiamo proprietà transitiva, perché appunto permette di transitare la nozione di uguaglianza fra due oggetti a un terzo oggetto. La II e III regolano le operazioni aritmetiche di somma e differenza fra oggetti uguali, precisate meglio dalla IV. La V e VI sono affermazioni inutili, perché la V è un caso particolare della II in cui aggiungiamo a un oggetto se stesso, ottenendo appunto il doppio; la VI è una specie di sua proprietà inversa. La loro presenza è giustificata probabilmente dal fatto che le operazio-ni di raddoppiare e dimezzare sono fra le più frequenti. La VII proprietà, infine in qualche modo definisce lo stesso concetto di uguale. Si potrebbe pensare che le pecche che abbiamo evidenziato siano dovute al fatto che le nozioni matematiche di Euclide e-rano troppo primitive, ma ci si ricrede considerando che David Hilbert più di duemila anni dopo, nell’opera che per prima eb-be l’ardire di porre un nuovo modo di fare geometria euclidea, i Grundlagen der Geometrie

8, affermò di considerare tre di-

versi concetti di cose [che chiama punti, rette e piani] e certe

reciproche relazioni, indicate da parole come “sono situati,”

“fra,” “paralleli,” “congruenti,”continuo “ ecc. Quindi il concetto di uguale (che Hilbert chiama congruente) è sempre considerato intuitivo. Prima di cercare di capire in cosa consista questa intuizione, è interessante ricordare che l’attuale segno di uguaglianza “=” è dovuto all’inglese Robert Recorde che lo usò per primo nel 1557 nella sua opera The wethstone of Witte, dove, in inglese arcaico, scrisse “… to avoide the tediouse repetition of these

woordes : is equalle to : I will sette […], a paire of paralleles,

8 Presentato dallo stesso autore nel giugno 1899 come discorso per

l’inaugurazione a Gottingen del monumento a Gauss-Weber, e pubblicato l’anno successivo in francese, reperibile nella traduzione inglese sul sito http://storiografia.me/2013/11/18/the-foundations-of-geometry-grundlagen-der-geometrie/

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[…], thus: =, bicause noe two thynges, can be moare equal-

le.”9 Adesso vediamo invece di chiarire meglio cosa debba inten-dersi con la nozione di uguale ai giorni nostri. Uguale nella matematica contemporanea significa indistinguibile, che non vuol dire lo stesso oggetto, ma un oggetto la cui scelta, per i fini prefissi, è irrilevante. Del resto anche nella vita pratica è così, se ho fame un panino o l’altro è lo stesso, purché di peso all’incirca uguale; due banconote di pari valore sono conside-rate uguali e addirittura 5 banconote da 10 euro, dal punto di vista del valore numerico, sono considerate uguali a 1 da 50 euro. Le proprietà che i matematici richiedono a una relazione affin-ché essa possa costituire una uguaglianza, cioè una relazione mediante la quale due oggetti possano ritenersi indistinguibili, sono tre. Esse sono espresse mediante il simbolo ℜ, che signi-fica semplicemente c’è una relazione di qualche tipo, e sono le seguenti: Proprietà riflessiva. a ℜ a (ogni oggetto è in relazione con se stesso); Proprietà simmetrica. Se a ℜ b, allora anche b ℜ a (che stabilisce appunto l’indifferenza della scelta); Proprietà transitiva. Se a ℜ b e b ℜ c allora è anche a ℜ c (che stabilisce come possiamo confrontare oggetti ignoti mediante l’intercessione di un terzo elemento in relazione con i precedenti).

9 Per evitare la noiosa ripetizione di queste parole: è uguale a (così si scri-

veva prima oppure ӕ come abbreviazione di aequalis) userò una coppia

di linee parallele, così: =, perché non ci sono due cose più uguali di que-

ste

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Vediamo di definire quindi il concetto più generale di ugua-glianza. Definizione 1 Una relazione binaria (cioè fra due elementi) che verifica tutte le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva, si dice relazione

di equivalenza e stabilisce appunto il fatto che due elementi che la verificano, ai fini della relazione sono lo stesso elemen-to. Esempio 5 Sono così relazioni di equivalenza: l’uguaglianza fra numeri o espressioni numeriche (3 = 3; se 3 = 1 + 2 allora anche 1 + 2 = 3; se 3 = 1 + 2 e 1 + 2 = 7 – 4, allora anche 3 = 7 – 4); la rela-zione detta di congruenza o isometria fra figure geometriche nel piano o nello spazio (due figure sono congruenti se sotto-poste a un movimento rigido, ossia un movimento che ne mo-difica solo la loro posizione, possano essere sovrapposte, ossia occupare la stessa zona di piano o di spazio); la relazione di avere lo stesso resto nella divisione per un dato numero intero (15 diviso per 6 ha resto 3 così come 21, quindi da questo pun-to di vista 15 e 21 sono equivalenti). Una relazione di equivalenza quindi permette di dividere un dato insieme finito o infinito, su cui essa è definita, in dei sot-toinsiemi all’interno dei quali vi stanno tutti e soli gli elementi che sono considerati equivalenti.

Esempio 6 Nell’insieme dei resti della divisione per 6 avremo solo 6 pos-sibili risultati: {0, 1, 2, 3, 4, 5}, quindi possiamo dividere l’insieme infinito dei numeri naturali in 6 sottoinsiemi formati rispettivamente da tutti quei numeri che divisi per 6 hanno lo stesso resto, così da questo punto di vista sono equivalenti tutti i multipli di 6, {0, 6, 12, 18, …}, così come tutti quelli che di-visi per 6 hanno resto 1, {1, 7, 13, 19, …}, e così via.

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Allora piuttosto che considerare tutti i numeri naturali conside-riamo solo il cosiddetto insieme dei rappresentanti, che può es-sere formato da un elemento scelto a caso all’interno di ognu-na delle classi. Definizione 2 Dato un insieme A sui cui elementi è stabilita una relazione di equivalenza ℜ, chiamiamo suo insieme quoziente rispetto ad ℜ, e lo indichiamo con A/ℜ, uno qualsiasi dei suoi sottoinsie-mi formati prendendo un elemento a piacere da tutti i sottoin-siemi di A che contengono elementi fra loro equivalenti se-condo ℜ. Esempio 7

Così nel caso dell’esempio precedente: / ℜℕ = {0,1,2,3, 4, 5}, oppure / ℜℕ = {24, 31, 2, 45, 58, 125} o un qualsiasi altro in-sieme di 6 elementi rappresentanti le sei diverse classi. Il nome insieme quoziente, è dovuto al fatto che stiamo effet-tuando una vera e propria suddivisione di tutti gli elementi di A, ognuno in una sola delle classi di equivalenza determinate da ℜ su A. Esempio 8

• La relazione definita sull'insieme degli alunni di una scuola, secondo la quale due alunni sono in relazione fra loro se stanno nella stessa classe, è evidentemente una relazione di equivalenza. In questo modo un qualunque alunno può con-siderarsi rappresentante della classe.

• All’assemblea dell’O.N.U. ogni nazione è rappresentata da un proprio delegato. L’assemblea O.N.U. può quindi consi-derarsi l’insieme quoziente dell’insieme degli abitanti di tutti i paesi aderenti all’organizzazione, mediante la rela-zione che lega fra loro due persone se sono cittadini della stessa nazione.

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Attività

1. Provare che la relazione definita nell’insieme dei numeri

naturali dalla legge: a ℜ b se a ⋅ b è un numero pari, non è una relazione di equivalenza.

[Non vale la proprietà riflessiva, né la transitiva] 2. Provare che la relazione definita nell’insieme delle persone

dalla legge: a ℜ b se a e b hanno il cognome che inizia con la stessa lettera, è una relazione di equivalenza. Qual è l’insieme quoziente? [Un insieme di 26 cognomi, cia-scuno che inizia con una delle 26 lettere dell’alfabeto]

3. Fornire esempi di relazioni binarie che verificano solo due delle tre proprietà che le renderebbero di equivalenza, in tutti i possibili casi.

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Il concetto di ordine Dopo avere stabilito come considerare uguali oggetti realmen-te diversi, un’altra questione fondamentale della matematica consiste nell’ordinare gli elementi di un dato insieme. Ordina-re significa stabilire una regola mediante la quale possiamo e-lencare gli elementi, in modo tale che si stabilisca chi viene prima e chi dopo. Per esempio i nomi nella rubrica telefonica di uno smart phone sono inseriti utilizzando l’ordinamento al-fabetico. Un altro esempio di ordinamento è la classifica di una gara sportiva. Questi due esempi ci fanno capire che vi so-no diversi modi di ordinare uno stesso insieme. Esempio 9 I concorrenti di una gara sui 100 metri, prima dell’inizio della gara possono essere elencati, in questo caso associati alle ri-spettive corsie, in vari modi. Per ordine alfabetico; oppure per il miglior tempo ottenuto nelle precedenti gare della stessa manifestazione, o ancora per il loro miglior risultato stagionale o in altri modi equivalenti. Dopo la gara invece saranno elen-cati secondo l’ordine di arrivo. Segnaliamo che vi è la possibi-lità, anche se remota, in cui gli ordini prima e dopo la gara coincidano. Considerando il precedente esempio osserviamo che fra uno qualsiasi degli ordini di partenza e l’unico ammissibile di arri-vo vi è una differenza fondamentale. Nella classifica finale vi è la possibilità che due o più atleti possano essere classificati pari merito, cioè occupano la stessa posizione, questo non ac-cade in nessuno degli elenchi iniziali. Prima di approfondire questo discorso cerchiamo di capire quali sono le proprietà in-dispensabili che permettono di ordinare gli elementi di un in-sieme. Consideriamo il più diffuso fra gli ordini, quello cosiddetto se-condo grandezza che consiste, dato un insieme di elementi (numeri o no), nello scriverli in una sequenza crescente (dal

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più piccolo al più grande) o decrescente (dal più grande al più piccolo) secondo un criterio. Per esempio se sono numeri interi o no, sappiamo che, indipendentemente che siano espressi in una forma chiara (cioè il numero scritto con la sua parte intera e la sua parte decimale) o come risultato di una espressione della quale non sempre sappiamo calcolare il risultato10, di due numeri diversi ve ne è sempre uno maggiore e l’altro minore. L’ordine dei vocabolari o delle agende telefoniche è simile, anche se due parole omografe, cioè che si scrivono allo stesso modo ma hanno significati diversi, come còmpito e compìto (la cui unica differenza è nella posizione dell’accento) possono essere ordinate a piacere. Pensiamo che in fondo tutti gli ordini ammissibili siano legati alle relazioni di maggiore (>) o minore (<) e alle relazioni di maggiore o uguale (≥) o minore o uguale (≤). Vedremo in se-guito che non è del tutto vero. Cominciamo però a stabilire quali sono le proprietà che verificano queste relazioni. Cosa deve accadere perché si possa ordinare un insieme secondo la relazione di > (o <)? Intanto non prevediamo la possibilità del-le parole omografe, quindi deve valere la Proprietà antiriflessiva. Ogni elemento non è in relazione con se stesso Poi non vi deve essere l’interscambialità dell’ordine, chi viene prima non può essere scritto dopo, quindi la Proprietà antisimmetrica. Se un elemento x precede un elemento y, allora non accade mai che y preceda x

10 Per esempio sappiamo che la cosiddetta serie armonica

571

1

n n

=

∑, rappresen-

ta certamente un numero, che però non sappiamo esprimere in forma chiara. Quindi non è detto che sappiamo relazionare il numero associato a un altro numero o a uno associato a una espressione simile.

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Infine la proprietà, che abbiamo già visto per l’equivalenza, che stabilisce che l’ordine si mantiene, nel senso che Proprietà transitiva. Se un elemento x precede un elemento y, il quale a sua volta precede un elemento z, allora x precede z. Queste tre proprietà sono sufficienti a garantire un tipo di or-dinamento di un insieme. Definizione 3 Una relazione che gode delle proprietà antiriflessiva, antisim-metrica, transitiva, si dice relazione di ordinamento forte. Nel caso in cui invece, come nei vocabolari o nelle classifiche sportive, vogliamo ordinare in modo non per forza rigido, nel senso che squadre con lo stesso punteggio possono essere scritte come si vuole, mantenendo però le relazioni con le squadre che hanno diverso punteggio da esse, dobbiamo sosti-tuire la proprietà antiriflessiva con quella riflessiva. Definizione 4 Una relazione che gode delle proprietà riflessiva, antisimme-trica, transitiva, si dice relazione di ordinamento debole. Esempio 10 Le seguenti classifiche di un torneo sono tutte accettabili.

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Avevamo detto che gli ordinamenti erano più di due. Infatti noi siamo partiti da un presupposto che non sempre è verifica-to, ossia che presi due elementi a piacere di uno stesso insieme si possa sempre dire chi dei due venga prima. Ciò non è sem-pre vero. Esempio 11 Le seguenti sono le classifiche finali dei gironi della Cham-pions League 2014/15.

È ovvio che se posso dire che il Monaco precede il Bayer Le-verkusen, non posso dire che l’Olympiacos precede il Basilea perché ha più punti. Ciò perché appartengono a diversi gironi, tanto è vero che il Basilea, pur avendo meno punti dell’Olympiacos, a differenza di questa si qualificò agli ottavi di finale.

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Tenuto conto dell’esempio precedente enunciamo perciò la Proprietà di connessione. Comunque consideriamo due elementi possiamo dire che uno dei due precede l’altro o sono uguali. La proprietà di connessione dice che due qualsiasi elementi sono confrontabili. Allora abbiamo una nuova definizione. Definizione 5 Una relazione di ordinamento che verifica la proprietà di con-nessione si dice totale, diversamente si dice parziale. Quindi abbiamo i seguenti quattro tipi di ordine: totale stretto, totale debole, parziale stretto e parziale debole. L’insieme dei numeri naturali è non solo ordinato in senso stretto, ma è anche ben ordinato, che significa che ogni suo sottoinsieme ha un primo elemento, cioè un elemento più pic-colo degli altri. Ciò non succede per esempio per l’insieme to-talmente ordinato degli interi relativi. Questa caratteristica dei numeri naturali permette di ordinare gli elementi in modo tale che vi è sempre il primo, il secondo, il terzo e così via. Definizione 6 Un insieme i cui elementi possono essere posti in corrispon-denza biunivoca con l’insieme dei numeri naturali, si chiama successione. I suoi elementi si indicano con {a1, a2, …, an, …}. Con la dicitura corrispondenza biunivoca intendiamo che pos-siamo accoppiare gli elementi di un insieme con quelli dell’altro senza che vi siano elementi di alcuno dei due insiemi che rimangano senza corrispondente nell’altro insieme.

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Esempio 12 • I numeri pari e i numeri dispari sono in corrispondenza biu-

nivoca, infatti (1; 2) è una coppia, (3; 4) un’altra e in gene-rale (2n – 1; 2n) sono la generica coppia. Come si vede ogni numero dispari è associato al suo consecutivo che è appunto un numero pari.

• Invece l’insieme dei primi 75 numeri naturali non può esse-re posto in corrispondenza biunivoca con un insieme che ha più o meno di 75 elementi.

Attività

Stabilire il tipo di ordine delle seguenti relazioni

1. Essere più bravo in una materia, valutato numericamente sulla base del voto avuto nella pagella finale. [Ordina-mento totale debole se la classe ha più di dieci alunni, di-versamente dipende dalla classe]

2. Essere sottoinsieme, nell'insieme di tutti i sottoinsiemi dei numeri naturali. [Ordinamento parziale forte]

3. Essere sottoinsieme proprio (cioè se X ⊂ Y allora X ≠ Y) nell’insieme precedente. [Ordinamento parziale debole]

4. Classifica di una gara a eliminazione diretta. [Ordinamento totale forte]

5. Per altezza degli studenti di una classe. [Ordinamento totale debole

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Le proprietà delle operazioni Sin dalle scuole elementari ci hanno insegnato che le opera-zioni elementari, somma e prodotto soprattutto, godono di al-cune proprietà che sappiamo ripetere abbastanza agevolmente, ma che non è detto che abbiamo ben compreso. Esse vanno sotto il nome di proprietà associativa, proprietà dissociativa, proprietà commutativa per la singola operazione e proprietà

distributiva che lega insieme due di queste operazioni. Cer-chiamo di capire perché esistono queste proprietà e perché vengono enunciate in un certo modo piuttosto che in un altro. Intanto stabiliamo cos’è un’operazione aritmetica. Definizione 7 Diciamo operazione binaria definita in un insieme A una legge che a due elementi di A, detti operandi, associa un terzo ele-mento che si chiama risultato dell’operazione. Osserviamo due cose. Intanto non sempre la legge garantisce l’esistenza del risultato. Esempio 13 L’operazione 7 : 0 non ha risultato, perché non esiste alcun numero che moltiplicato per 0 dia 7. Poi che il risultato non sempre è dello stesso tipo dei cosiddetti operandi. Esempio 14 La differenza fra i numeri naturali, cioè interi e positivi, 4 e 9 è il numero – 5 che non è un numero naturale. Poniamo allora la seguente

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Definizione 8 Se il risultato fa parte dello stesso insieme cui appartengono gli operandi, l’operazione si dirà interna all’insieme. Esempio 15 Così per esempio la somma e la moltiplicazione sono interne nei naturali, negli interi relativi, nei razionali e nei reali11. In-vece la differenza è interna negli interi relativi ma non nei na-turali; la divisione è interna nei razionali ma non negli interi relativi (6 : 4 non è un numero intero). Ciò stabilito, perché si ha la necessità di introdurre ulteriori proprietà? Non bastano quelle che definiscono l’operazione? La risposta è ovviamente negativa. Infatti un primo problema riguarda il fatto che le operazioni aritmetiche elementari sono operazioni binarie, cioè a due elementi ne associano un terzo, quindi se dovessimo effettuare l’operazione 5 + 2 + 4, anche se nella nostra mente sembra che effettuiamo un’unica opera-zione, in effetti ne facciamo due, cioè prima sommiamo 5 e 2, il cui risultato è 7, e poi aggiungiamo detto risultato a 4, otte-nendo infine 11. La domanda che allora sorge è: siamo costret-ti ad eseguire le operazioni in modo sequenziale, cioè come le vediamo, prima sommiamo 5 e 2 e poi aggiungiamo 4; oppure possiamo sommare prima 2 e 4 e poi aggiungervi 5? Come si vede il problema non è del tutto peregrino o tipico di chi cerca il pelo nell’uovo. È perciò necessaria una proprietà che deve dire come possiamo associare i singoli operandi. La chiameremo perciò Proprietà associativa. Un’operazione ⊗ si dice associativa se a⊗(b⊗c) = (a⊗b)⊗c, comunque si scelgono a, b e c.

11 Chiariremo meglio che numeri sono questi che per il momento conside-

riamoli nel senso intuitivo ed abitudinario che abbiamo acquisito a scuola

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Nella proprietà precedente le parentesi mostrano la loro reale importanza, che non è quella puramente estetica che gli stu-denti spesso gli associano. Questa proprietà vale per le ordina-rie operazioni di somma e prodotto, ma non per quelle di sot-trazione e divisione. Esempio 16

• 8 – (4 – 2) = 8 – 6 = 2, mentre (8 – 4) – 2 = 4 – 2 = 2; • 8 : (4 : 2) = 8 : 2 = 4, mentre (8 : 4) : 2 = 2 : 2 = 1. Se si comprende appieno la proprietà associativa si possono evitare moltissimi errori di calcolo per esempio automatico, infatti se volessimo usare la calcolatrice tascabile per calcolare

per esempio 3

4 5+, immettendo 3 / 4 + 5, otterremmo il risul-

tato errato 5,7512, e il risultato corretto 0,33333 (in cui il nu-mero di 3 dipende dalla precisione della calcolatrice) con l’inserimento 3 / (4 + 5). Vi è anche una specie di proprietà inversa dell’associativa, in cui a partire da un’operazione con due operandi si passa a una con tre o più. Per questo la chiamiamo Proprietà dissociativa. Un’operazione indicata con ⊗ si dice dissociativa se comun-que si scelgono a e b, si ha: a⊗b = a ⊗ (c ⊗ d), con c ⊗ d = b. La proprietà precedente ha un’importanza difficile da mettere in mostra lavorando su numeri, mentre invece risulta molto più importante in questioni simboliche, per esempio in una diffusa procedura nota come completamento del quadrato, in cui una somma fra due espressioni cerca di scriversi come somma di due quadrati. 12 Palesemente errato perché la divisione di 3 per un numero di esso mag-

giore è certamente minore di 1. Ma chi osserva le incongruenze?

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Esempio 17 x

2 + 2x + 3 può scriversi, usando la proprietà dissociativa sul numero 3, x2 + 2x + 1 + 2 = (x + 1)2 + 213. Più in generale la proprietà dissociativa è usata in quelle pro-cedure utilizzate in matematica per modificare la forma di un’espressione ma non la sua sostanza. Vediamo adesso la Proprietà commutativa. Un’operazione ⊗ si dice commutativa se a ⊗ b = b ⊗ a, co-munque si scelgono a e b. Essa afferma che l’ordine degli operandi è irrilevante e vale ancora per le operazioni di somma e prodotto, ma non per quelle di sottrazione e divisione. Infatti per esempio 5 – 2 = 3 e 2 – 5 = –3; 5 : 2 = 2,5 e 2 : 5 = 0,4. In particolare nel caso della sottrazione sugli interi vi è addirit-tura un passaggio da un insieme numerico ad un altro, nel sen-so che non solo a – b ≠ b – a (ovviamente se è a ≠ b), ma uno solo dei due simboli rappresenta un numero naturale, mentre l’altro rappresenta un numero intero negativo. Quanto detto potrebbe farci pensare che vi sia una specie di legame stretto tra proprietà associativa e proprietà commutati-va, nel senso che sembra che esse vengano entrambe verificate o entrambe disattese. Questo non è vero, ma esempi di insiemi sui quali si possa definire un’operazione associativa ma non commutativa sono alquanto artificiosi14. Un esempio non numerico semplice da seguire è quello della cosiddetta concatenazione delle stringhe. In informatica una 13 Un esempio di applicazione per così dire alta è il calcolo di integrali del

tipo 2

1dx

ax bx c+ +∫, in cui il discriminante del denominatore è negativo.

14 Il cosiddetto corpo dei quaternioni venne individuato da Sir William Rowan Hamilton solo nel 1843, ed ha una definizione non molto natura-

le.

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stringa non è altro che una successione di simboli (compreso anche lo spazio), concatenare due stringhe significa semplice-mente metterle una dietro l’altra per costruire un’altra stringa, così per esempio la concatenazione della stringa meta con la stringa matica fornisce la stringa matematica. Ovviamente questa operazione non è commutativa, dato che concatenando in ordine inverso otterremmo la stringa maticameta. Però è as-sociativa, dato che ovviamente comunque associamo tre strin-ghe, simbolicamente indicate con a, b e c, il risultato finale è sempre abc. Possiamo trovare anche operazioni commutative ma non asso-ciative. Esempio 18 Possiamo definire negli interi l’operazione a ⊗ b = a2 + b2, in cui + indica l’ordinaria somma e l’esponente l’ordinario ele-vamento al quadrato. Ovviamente a ⊗ b = b ⊗ a, mentre non è vera la proprietà associativa. Per esempio si ha: 1 ⊗ (2 ⊗ 3) = 1 ⊗ (4 + 9) = 1 ⊗ 13 = 1 + 169 = 170 mentre (1 ⊗ 2) ⊗ 3 = (1 + 4) ⊗ 3 = 5 ⊗ 3 = 125 + 9 = 134. Infine vi è una proprietà che lega fra di loro le due proprietà di somma e prodotto. Questa è la

Proprietà distributiva. Un’operazione ⊗ si dice distributiva rispetto a un’altra opera-zione ⊕ se si ha: a ⊗ (b ⊕ c) = (a ⊗ b) ⊕ (a ⊗ c), comunque siano a, b e c. Essa non è altri che quella che giustifica la regola di calcolo del prodotto di un monomio per un polinomio e quindi anche quella del prodotto di due polinomi. Ma è una regola molto utile anche nel calcolo mentale (esistono ancora individui che non usano le calcolatrici tascabili, ormai incorporate negli smart phone?). Infatti se volessimo moltiplicare a mente per

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esempio 73 per 8, basterebbe scomporre a mente 8 ⋅ (70 + 3) = = 8 ⋅ 70 + 8 ⋅ 3 = 560 + 24 = 584. Ovviamente per far ciò si presume che a mente si sappiano moltiplicare almeno i numeri di una cifra e che poi si sappiano sommare numeri non troppo grandi. La proprietà distributiva del prodotto ordinario è vera sia per la somma che per la differenza ordinarie. Cioè è anche vero che si ha: a ⋅ (b – c) = a ⋅ b – a ⋅ c, ma questa aggiunta è inutile, se le operazioni sono definite nell’insieme dei numeri interi rela-tivi. Invece non vale il viceversa, cioè la somma, algebrica o no, non si distribuisce rispetto al prodotto, quindi non è vero che vale l’uguaglianza a + b ⋅ c = (a + b) ⋅ (a + c). Esempio 19 Si ha 1 + 2 ⋅ 3 = 1 + 6 = 7, mentre (1 + 2) ⋅ (1 + 3) = 3 ⋅ 4 = 12. Forniamo adesso un esempio di operazioni che sono distributi-ve l’un l’altra. Consideriamo le operazioni insiemistiche di u-nione e intersezione, indicate rispettivamente con ∪ e ∩. L’insieme A ∪ B contiene tutti gli elementi di A e di B, con-tando una sola volta quelli eventualmente comuni. Quindi è una specie di messa in comune dei beni di due persone, con la clausola che se i due hanno un oggetto in comune, uno di essi sarà eliminato. L’insieme A ∩ B contiene invece tutti gli even-tuali elementi comuni di A e di B. Quindi potrebbe anche non contenere elementi, essere cioè vuoto. L’intersezione dei pari e dei dispari è per esempio vuota. Esempio 20 Possiamo dire che l’unione è distributiva rispetto all’intersezione, cioè che A ∪ (B ∩ C)= (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)? Quali elementi appartengono ad A ∪ (B ∩ C)? Quelli che

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stanno in A o15 sia in B che in C. Chi sono invece gli elementi di (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)? Quelli che stanno in A o in B e con-temporaneamente in A o in C. Quindi stanno in A o in B e in C, che è la stessa cosa di prima. Per maggiore convinzione del lettore mostriamo le operazioni con i cosiddetti diagrammi di Eulero–Venn.

A ∪ (B ∩ C)

A ∪ B A ∪ C

15 Questo è un o inclusivo, per così dire debole, significa cioè l’uno, l’altro

o entrambi, come nella frase Esco con Maria o con Teresa, che non e-sclude che possa uscire con entrambe. Viene detto anche, con locuzione latina, vel. Viceversa nella frase Sono nato a Torino o a Milano, la con-giunzione è usata in senso esclusivo, forte, non è possibile che sia nato a Torino e anche a Milano.

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(A ∪ B) ∩ (A ∪ C)

Adesso vediamo se l’intersezione è distributiva rispetto all’unione, cioè se A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C). Quali elementi appartengono ad A ∩ (B ∪ C)? Quelli che stanno in A e in B o in C. Chi sono gli elementi di (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)? Quelli che stanno in A e in B o in A e in C. Quindi stanno in A e in B o in C, che è ancora una volta la stessa cosa di prima. Anche in questo caso mostriamo le operazioni con i diagram-mi di Eulero–Venn.

B ∪ C A ∩ (B ∪ C)

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A ∩ B A ∩ C

(A ∩ B) ∪ (A ∩ C)

Attività

Verificare quali fra le proprietà associativa e commutativa ve-rificano le seguenti operazioni

1. Elevamento a potenza nell’insieme dei numeri interi. [Nessuna]

2. Somma nell’insieme quoziente {0, 1, 2, 3, 4} (In questo ca-so si ha 1 + 4 = 0, 3 + 4 = 2, …, cioè se il risultato è mag-giore di 4 gli si toglie 5) [Associativa e Commutativa]

3. Prodotto nell’insieme quoziente {0, 1, 2, 3, 4} [Associativa e Commutativa]

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Assiomatizzazione dei numeri naturali e principio di induzione Anche i numeri naturali, soprattutto questi perché sono gli e-lementi base, devono sottostare a quelle regole apparentemente arbitrarie che si chiamano assiomi

16 o postulati

17. E anche in questo caso dovremmo aprire una discussione, che evitiamo, se i due precedenti termini possano essere considerati o no e-quivalenti. Uno dei primi ad occuparsi del problema fu il torinese Giusep-pe Peano (1858 – 1932) che presentò un’assiomatizzazione del sistema dei numeri naturali nel suo lavoro del 1889 Arithmeti-

ces principia, nova methodo exposita, che modificò nelle di-verse edizioni del suo Formulario matematico (la prima è del 1892). Per fare ciò considerò come elemento “minimo” di N il numero 1, nelle successive edizioni invece lo sostituì con lo 0. Per evitare il gravissimo problema del circolo vizioso non ci vogliono solo gli assiomi, ma anche i termini primitivi, ci vo-gliono cioè oggetti e leggi che formino la base della struttura e la cui modifica anche di uno solo di essi, produce una nuova struttura. I termini primitivi sono appunto 0 (o 1 a seconda i casi), numero (intendendo con tale termine il numero naturale) e successivo. Ecco allora la struttura.

Assiomi di Peano 1. 0 è un numero; 2. Se a è un numero anche a+ (il successivo di a) è un numero; 3. Se a = b allora anche a+ = b+, quali che siano i numeri a e b. 4. 0 non è successivo di alcun numero. 5. Se A è un insieme di numeri tale che 0 ∈ A, e ogni volta

che a ∈ A anche a+ ∈ A, allora A è l’insieme N .

16 Il vocabolo deriva dal greco aksíōma che significa “dignità”, pertanto un

assioma è qualcosa che ha una dignità, o meglio che è degna di fede 17 Il vocabolo deriva dal latino postulatum, che vuol dire “è richiesto”, per-

tanto è qualcosa di indispensabile

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La prima cosa da osservare è che negli assiomi sono presenti altri concetti per così dire non definiti, come quello di ugua-glianza e quello di appartenenza. Ma essi vengono considerati concetti per così dire universali e accettati quindi con il loro significato per così dire comune. Negli assiomi è messa in risalto intanto la presenza di un pri-mo elemento, lo zero, che non ha precedenti e perciò può ser-vire come riferimento, è l’indefinibile. Poi che la proprietà di successivo, considerata sempre intuitiva, mantiene la fonda-mentale proprietà dell’uguaglianza e quindi non cambia l’insieme né la sua struttura. Infine l’ultimo assioma, opportunamente modificato, costitui-sce il cosiddetto principio di induzione, mediante il quale pos-sono provarsi teoremi che riguardano sottoinsiemi infiniti di N , in pratica è una specie di dimostrazione per infinite verifi-che. Vediamo di capire ciò che significa. Se io volessi mostra-re che nell’insieme dei primi 100 numeri naturali {1, 2, 3, …, 100} vi sono esattamente 50 numeri dispari, potrei farlo alme-no in due modi, o per verifica diretta, cioè conto quanti sono i numeri dispari, o per dimostrazione matematica, cioè dico che per la sua stessa definizione dati due numeri consecutivi uno solo di essi è pari, dato che riesco a dividere il mio insieme in 50 coppie disgiunte18 di numeri interi consecutivi, ho provato l’enunciato. Si capisce facilmente che il primo approccio, quello della verifica, non è obiettivamente applicabile per l’insieme dei primi 101000 numeri naturali, perché il conteggio prenderebbe molto più di una vita umana. Potremmo affidarci ad un computer, ma anche i computer hanno dei limiti di cal-colo e quindi se possono aiutarci con 101000, non lo potranno fare con qualsiasi numero. Il principio di induzione serve invece a fare una verifica che vale per infinite. Sembra assurdo, ma l’idea, come accade a quelle geniali, è veramente banale. Per esempio se volessimo

18 Cioè coppie prive di elementi comuni

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provare che la somma dei primi n numeri naturali è uguale a ( )1

2

n n⋅ +, non servirebbe verificarlo per i primi 10 o 100 nu-

meri naturali. Se però osserviamo che è vero che 1 = ( )1 1 1

2

⋅ +

e che siccome è vero il fatto precedente con n =1 allora è vero

anche per n = 2, cioè ( )2 2 1

1 22

⋅ ++ = non perché abbiamo ef-

fettuato il calcolo ma perché abbiamo osservato che si può

scrivere: ( ) ( )1 1 1 2 1 21 2 2 2

1 2 22 2 2

⋅ + ⋅ +⋅ + ⋅+ = + = = , allora la

questione cambia. Ma per cambiare del tutto in modo positivo non dobbiamo ragionare su 1 e 2, o su 37 e 38 o su una coppia di consecutivi scelta arbitrariamente, bensì su una coppia di termini successivi generici, cioè su n e (n + 1). Dobbiamo cioè

assumere per vero che ( )1

1 2 3 ...2

n nn

⋅ ++ + + + = e da questa

sola ipotesi dobbiamo far vedere che l’uguaglianza è vera an-che se arriviamo a n + 1, cioè dobbiamo provare che è vero

che si ha: ( )( ) ( )1 2

1 2 3 ... 12

n nn n

+ ⋅ ++ + + + + + = .

Intanto mostriamo che è effettivamente così:

( )( )

( )1

1 2 3 ... 1 12

n nn n n

⋅ ++ + + + + + = + + =

( ) ( ) ( ) ( )1 2 1 1 2

2 2

n n n n n⋅ + + + + ⋅ += =

Questo fatto equivale ad avere effettuato infinite verifiche, da-to che abbiamo lavorato su una coppia generica. Però è indi-spensabile verificare il caso minimo, quello iniziale (in questo caso n = 1), perché diversamente non possiamo dire che la proprietà è sempre vera, verrebbe a mancare la base della struttura. Infatti noi possiamo dire per esempio che se la pro-

prietà è vera per 49 lo è anche per 50 e che se è vera per 48

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lo è anche per 49, e così via andando all’indietro, solo che ar-rivati a 1, o al minimo valore per cui la proprietà ha senso, non possiamo dire che se è vera per 0 allora è vera per 1, perché per 0, o per il precedente al minimo, la proprietà non ha senso. Ecco perciò che la verifica per il primo elemento chiude la questione. Il principio di induzione viene usato anche per definire l’operazione di somma fra numeri interi. Ossia, dato il generi-co numero naturale a, definiamo l’operazione a + 1 come la legge che associa al numero a il suo successivo, poniamo cioè a + 1 = a+. Per definire a + 2 utilizziamo il successivo di a + 1, cioè poniamo a + 2 = (a + 1)+ e via di questo passo. Quindi in generale diciamo a + b + 1 = (a + b)+, quali che siano i numeri naturali a e b. A partire dalla somma definiamo anche la moltiplicazione, sempre con il principio di induzione:

a ⋅ 1 = a, a ⋅ 2 = a ⋅ 1+ = (a ⋅ 1 + a) = a + a, a ⋅ 3 = a ⋅ 2+ = (a ⋅ 2 + a) = a + a + a

In generale diciamo a ⋅ b+ = (a ⋅ b + b). Possiamo inserire queste due definizioni di operazioni come assiomi 6 e 7 del nostro sistema: 6. a + 0 = a, ∀19

a∈N , a + b+ = (a + b)+, ∀a, b∈N ; 7. a ⋅ 0 = 0, ∀a∈N , a ⋅ b+ = a ⋅ b + b, ∀a, b∈N .

19 Il simbolo si legge per ogni o per tutti

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Prodotto dei segni Ci hanno insegnato, in genere all’ultimo anno della scuola me-dia inferiore, la ben nota regola per il calcolo del prodotto di due numeri con segno, che recita: Regola 1 Più per più è più; meno per meno è più; più per meno o meno

per più è meno.

Intanto cominciamo con l’osservare che possiamo semplificare la regola nella sua terza espressione, poiché parliamo di nume-ri per i quali la moltiplicazione è commutativa. È quindi inutile scambiare di posto i vocaboli più e meno. Aggiungiamo che la regola potevamo enunciarla in un modo ancora più sintetico: Regola 1’ Il segno del prodotto di due numeri di uguale segno è positivo,

di due di segno contrario è negativo

Qual è il vantaggio di questo approccio? Non certo solo nella sinteticità e nel risparmio di qualche lettera, ma nella messa in evidenza del fatto che negativo e positivo sono solo delle con-venzioni. Questo ci porta subito a pensare che avremmo potuto chiamare i numeri piuttosto che positivi e negativi, maschio e femmina, bianco e nero, o usando due vocaboli anche inventa-ti, perché no?20 Il che ci conduce, con un’ulteriore passo di a-strazione a pensare alle particelle cariche elettricamente o ai dipoli magnetici. Così cariche o calamite di uguale proprietà (carica o magnetizzazione) si respingono e di diversa proprietà 20 Per esempio Alipod e Razmad, che hanno anche l’indubbio vantaggio di

essere formati dallo stesso numero di lettere. E soprattutto di non avere la necessità di essere tradotti in lingue diverse e di non avere significati provenienti dall’esterno, per i quali perciò, in italiano, positivo è meglio di negativo, proprio perché un accadimento buono è detto positivo ed uno cattivo negativo

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si attraggono. In cui si obietterà immediatamente però che in questo caso piuttosto che usare due soli simboli:

+ ⋅ + = – ⋅ – = + e + ⋅ – = – ⋅ + = – abbiamo un’algebra più complessa, a 4 simboli, che indichia-mo per esempio con ♥, ♦, ♣ e ♠, per cui si ha:

♣ ⋅ ♣ = ♦ ⋅ ♦ = ♥ e ♣ ⋅ ♦ = ♦ ⋅ ♣ = ♠. Abbiamo scelto i simboli delle carte cosiddette francesi senza alcuno scopo recondito. Ma forse stiamo complicando troppo le cose, ci ritorneremo in seguito, intanto riprendiamo il discorso sul prodotto dei segni. Chiediamoci se sia proprio indispensabile che valgano le rego-le che abbiamo enunciato, o potevamo scegliere per esempio altre regole per esempio le seguenti

+ ⋅ + = – ⋅ – = – e + ⋅ – = – ⋅ + = + Prima dobbiamo rispondere a una prima domanda: a che serve una regola? Ovviamente a garantire qualcosa, per esempio le regole della legge garantiscono (dovrebbero) la cosiddetta convivenza fra elementi di una stessa comunità. Allo stesso modo le regole di calcolo di un insieme su cui è definito ap-punto tale calcolo, debbono servire a garantire la struttura del-lo stesso insieme. Non è compito di questo testo andare ad in-dagare su problemi ancora aperti e scottanti della matematica, come appunto quello di insieme astratto, quindi continueremo a considerare molti concetti nel loro cosiddetto significato in-tuitivo, o meglio abitudinario. Diciamo perciò che le regole del prodotto dei segni devono garantire intanto che la legge sia

uguale per tutti, quindi che il prodotto di due dati numeri, se effettuato in modo corretto, dia sempre lo stesso risultato.

Come immediata conseguenza, ogni regola non deve essere in contraddizione con regole precedenti o successive.

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Una delle regole di calcolo fondamentali delle strutture alge-briche note sotto il nome di Campo

21, cui l’insieme dei numeri reali fa parte, è la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma, di cui abbiamo già parlato. Comunque la pensi il lettore sulla utilità della precedente proprietà essa deve valere sempre. Così poiché 122 ⋅ 0 = 0 e 1 + (– 1)) = 0, deve essere vero anche 1 ⋅ (1 + (– 1)) = 0. Ora, usando la regola dei segni per così dire in vigore, allora 1 ⋅ 1 = 1 e 1 ⋅ (– 1) = – 1, quindi

1 ⋅ (1 + (– 1)) = 1 ⋅ 1 + 1 ⋅ (– 1) = 0. Osserviamo che la validità della precedente uguaglianza sa-rebbe stata garantita anche dalle regole seguenti: Regola 2 Si ha: 1 ⋅ 1 = –1 e 1 ⋅ (– 1) = 123 mentre non lo sarebbe stata da nessuna delle seguenti regole: Regola 2’ Si ha: 1 ⋅ 1 = 1 ⋅ (– 1) = –1 o 1 ⋅ 1 = 1 ⋅ (– 1) = 124. Tranne a cambiare un’altra regola, cioè che 1 + (– 1) ≠ 0. In effetti quello che abbiamo detto non è del tutto corretto, perché non abbiamo considerato cosa accade al risultato del prodotto – ⋅ –. Avendo a disposizione due simboli le regole devono intervenire su tutti i possibili modi di moltiplicarli fra

21 Un insieme numerico su cui sono definite due operazioni, simbolicamen-

te indicate con ⊕ e ⊗, è un campo se ⊕ e ⊗ verificano la proprietà asso-ciativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro e dell’elemento simmetrico (per ⊗ il simmetrico o inverso esiste per tutti i numeri diver-so dall’elemento neutro di ⊕); inoltre ⊗ è distributiva rispetto a ⊕.

22 In genere il segno + si omette davanti al numero, tranne che indichi l’operazione di somma

23 Cioè + ⋅ + = – e + ⋅ – = +. 24 Cioè + ⋅ + = + ⋅ – = – e + ⋅ + = + ⋅ – = +

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I perché della matematica elementare

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loro, non possiamo stabilire una regola solo su una parte di es-se. Del resto se avessimo considerato invece il prodotto

(–1) ⋅ (1 + (– 1)) = (–1) ⋅ 1 + (– 1) ⋅ (–1) avremmo avuto la necessità di stabilire che

– ⋅ – = + se – ⋅ + = – mentre avremmo imposto

– ⋅ – = –se – ⋅ + = +. In conclusione possiamo imporre la validità delle regole se-guenti Regola 3 + ⋅ + = – ⋅ – = + e + ⋅ – = – Oppure + ⋅ + = – ⋅ – = – e + ⋅ – = – In pratica abbiamo scoperto che effettivamente è solo una convenzione stabilire che il segno del prodotto di due numeri

di uguale segno è positivo, di due di segno contrario è negati-

vo, avremmo potuto anche affermare che il segno del prodotto

di due numeri di uguale segno è negativo, di due di segno con-

trario è positivo. Invece, per non dovere cambiare regole già accettate, non possiamo ammettere che il segno del prodotto di

due numeri di qualsiasi segno è positivo (o negativo). Tutto è perciò giocato sulle espressioni

1 ⋅ 1 + 1 ⋅ (– 1) e (–1) ⋅ 1 + (– 1) ⋅ (–1). Poiché dobbiamo ottenere in ogni caso 0, vuol dire che + ⋅ + e – ⋅ – devono avere lo stesso risultato, il quale deve essere di-verso da + ⋅ –. Ovviamente questo vale se vogliamo mantenere la commutatività dell’operazione di moltiplicazione, diversa-mente potremmo anche imporre che si abbia per esempio

+ ⋅ + = – ⋅ + e + ⋅ – = – ⋅ –. Abbiamo così dato un esempio di opinione sulla matematica, seppure molto più consolidato di quello sul fatto che 0 sia o no un numero naturale. Infatti si è convenuto da subito che le re-gole da applicare per il prodotto dei segni sono quelle ben no-te.

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Tornando brevemente al discorso sulle cariche elettriche e sui dipoli magnetici possiamo dire che in qualche modo il loro comportamento può considerarsi una specie di regola dei se-gni, in cui segni uguali (cariche o polarità) forniscono un risul-tato e segni diversi il risultato complementare. Anche in questo caso abbiamo due soli risultati possibili (che non sono positi-vo–negativo ma attrae–respinge) solo che gli operandi non so-no dello stesso tipo del risultato. Così l’insieme { –1; +1} può considerarsi un gruppo25 commutativo con unità, +1, rispetto all’operazione di prodotto la cui tabella operatoria è la seguen-te

⋅ – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1

Non è invece un gruppo l’insieme {– e; + e} delle cariche elet-triche né quello delle polarità magnetiche {– ; +}, per il sem-plice fatto che il prodotto dei due elementi fra loro non produ-ce mai uno di essi.

25 Cioè un insieme su cui è definita un’operazione binaria ⊕ associativa, ha

l’elemento neutro (un elemento u per cui x ⊕ u = x per ogni x) e ogni elemento ha il simmetrico (cioè per ogni x esiste x′ per cui x′ ⊕ x = u)

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Principio di annullamento del prodotto Abbiamo visto che (ℤ ; +; ⋅) ha due unità, lo zero per l’operazione di somma e l’uno per quella di moltiplicazione, possiamo chiederci come si comporta un elemento neutro per una data operazione rispetto a un’altra operazione. Cioè 0 è neutro rispetto a + ma non rispetto a ⋅, così come lo è 1 rispetto a ⋅ ma non rispetto a +. In effetti però 0 per l’operazione ⋅ ha un comportamento speciale. Quanto fa a ⋅ 0? Ovviamente 0. Quindi rispetto alla moltiplica-zione 0 non è neutrale, ma ha un comportamento quasi oppo-sto, nel senso che neutralizza l’apporto dell’altro fattore, la cui presenza è irrilevante. Accade lo stesso con il numero 1 rispet-to all’operazione +? No perché l’espressione a + 1, non ha per risultato 1 per ogni numero a (lo ha solo se a = 0). Quindi pos-siamo tralasciare l’unità moltiplicativa e concentrarci su quella additiva. A cosa può servirci sapere che a ⋅ 0 = 0, qualunque sia il nu-mero a? Diciamo che è molto più utile se osserviamo che in generale l’equazione a ⋅ x = 0 ha come unica soluzione x = 0, cioè che non solo 0 è un neutralizzatore ma che è il neutraliz-zatore, cioè che un prodotto fra numeri è zero solo se almeno uno dei fattori è zero. Questo è il cosiddetto principio di an-

nullamento del prodotto e serve per esempio per risolvere le equazioni riconducibili al prodotto di più fattori semplici che deve fare 0. Esempio 21 Se avessimo da risolvere l’equazione

(x – 1) ⋅ (x + 1) ⋅ (x + 4) ⋅ (2x + 1) ⋅ (5x – 3) = 0 piuttosto che moltiplicare il tutto, ottenendo l’equazione di quinto grado 10x

5 + 39x4 – 17x

3 – 51x2 + 7x + 12 = 0, certa-

mente molto ostica da risolvere, basterebbe applicare la pro-prietà neutralizzativa dello zero e concludere che basta annul-lare uno dei cinque fattori per ottenere soluzioni. E siccome i

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fattori sono 5, in teoria anche le soluzioni sono cinque. Così in questo caso scriveremmo: x – 1 = 0 ⇒ x = 1; x + 1 = 0 ⇒ x = – 1; x + 4 = 0 ⇒ x = – 4;

2x + 1 = 0 ⇒ x = 1

2− ; 5x – 3 = 0 ⇒ x =

3

5.

Chiaramente questo esempio è particolarmente semplice, non sempre è così. Per esempio se avessimo l’equazione

(4x3 + 3x

2 – 1) ⋅ (5x3 – x2 + x + 1) = 0

il principio di annullamento porterebbe a uguagliare a zero i due fattori, senza grossi risultati ulteriori, poiché non sappiamo scomporre i singoli fattori in modo semplice, cioè in fattori di primo grado. Abbiamo anche detto che le soluzioni in teoria sono quanti i fattori di primo grado, infatti l’equazione

(x – 1) ⋅ (x – 1) ⋅ (x – 1) ⋅ (x – 1) ⋅ (x – 1) = 0 ha solo l’unica soluzione x = 1, seppure contata 5 volte26. Lo zero è annullatore in tutti gli insiemi numerici elementari, ma possiamo cercare insiemi in cui non è l’unico. Esempio 22 Consideriamo la cosiddetta aritmetica dell’orologio, cioè l’insieme {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, …, 11} che è quello delle ore ri-portate su un orologio analogico27, su cui definiamo le opera-zioni di somma e prodotto nel modo consueto, ma con il ripor-

to. Nel senso che per esempio 5 + 7 = 12 significa che 7 ore dopo le 5 sarà mezzogiorno che noi però indichiamo con 0 (o con 12), e allo stesso modo 6 + 9 = 15 = 3, dato che appunto 9 ore dopo le 6, in un orologio a 12 ore saranno indicate come le 3. Pertanto in questo insieme tutti i risultati che ordinariamente

26 In questi casi si dice di molteplicità cinque 27 In effetti dovrebbe essere {1, 2, 3, …, 12}, abbiamo preferito partire da

0, proprio per mettere in evidenza la proprietà di annullamento, che in questo caso è costituita dal 12

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sono rappresentati da numeri maggiori di 11, vengono riportati a valori ammissibili eliminando tutti i multipli di 12. Così per esempio 8 ⋅ 7 = 56 = 4 ⋅ 12 + 8 = 8. In questo insieme con que-sto tipo di aritmetica avremmo allora degli annullatori diversi dallo zero, per esempio 3 ⋅ 4 = 12 = 0. Solo che questi in effetti hanno una differenza fondamentale con il consueto zero, infat-ti non sono soluzioni dell’equazione a ⋅ x = 0 per ogni a, ma solo per particolari a. Per tale motivo essi vengono chiamati divisori dello zero. Chiudiamo con un’ultima osservazione, come visto nell’esempio, 8 ⋅ 7 = 8, può capitare che vi siano anche parti-colari elementi neutri rispetto al prodotto, diversi da 1. Anche in questo caso però essi non sono soluzioni di tutte le equazio-ni a ⋅ x = a, ma solo di alcune di esse. Nel caso particolare 7 è neutro di 2 (2⋅7 = 14 =14–12 = 2), di 4 (4⋅7 = 28 = 28–24 = 4), di 6 (6⋅7 = 42 = 42–36= 6), di 8, di 10 (10⋅7=70 = 70–60= 10), ma non lo è per esempio di 3 (3 ⋅ 7 = 21 = 21 – 12 = 9). Attività 1. Trovare le coppie di divisori dello zero dell’aritmetica

dell’orologio. [(2, 6); (3, 4)] 2. Nell’aritmetica dell’orologio, tutti i numeri diversi da 1 si

comportano come il numero 7, cioè risolvono alcune e-quazioni a ⋅ x = a? Vi è un numero che le risolve per il maggior numero di a? [2, 6 e 8 no; 7]

3. Nell’aritmetica di un orologio a n cifre: {0, 1, …, (n – 1)} esistono sempre divisori dello zero? Se la risposta è nega-tiva, quando accade? [Se n è un numero primo]

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Notazione posizionale e cambio base Le cosiddette cifre arabe che usiamo28, sono in numero di 10, inoltre esse, a differenza dei precedenti simboli usati, quelli cosiddetti romani, che si basavano su una proprietà di additivi-tà, si basano invece sulla posizione. Spieghiamoci meglio. III per i romani equivaleva a quello che modernamente indichia-mo come 1 + 1 + 1 = 3, quindi il simbolo I vale 1 dovunque viene scritto29, invece nel nostro 111, ogni simbolo, seppure uguale, ha un valore diverso, quello più a sinistra vale 100, l’altro 10 e solo l’ultimo vale 1. Questo è un indubbio vantag-gio, non solo per l’economia della scrittura, dato che [111]10

30 usando la numerazione romana si scriverebbe CXI, che ha sempre tre simboli, ma diversi fra loro mentre 38 si scrivereb-be XXXVIII, cioè con ben 7 simboli scelti tra tre diversi. La notazione posizionale come si vede è molto più comoda, anche e soprattutto per le operazioni, in particolare per quelle diverse dalla somma. Provate a moltiplicare 23 per 57 usando le cifre romane! La domanda che ci poniamo allora è quante dovrebbero essere le cifre per garantire una migliore aritmeti-ca, cioè una struttura che unisca all’economia dei simboli an-che la semplicità dei calcoli. Se fossimo un computer non avremmo dubbi, due cifre sono il meglio, anche perché non saremmo in grado che di distinguere due fasi: circuito magnetizzato o no (il pensiero ci rimanda alla regola dei segni di cui abbiamo già parlato). Quindi ogni nu-

28 Sarebbe più corretto chiamarle indo arabe, dato che la loro origine è in-

diana, ma sono state successivamente usate e diffuse maggiormente dagli arabi. In occidente arrivano intorno all’anno 1000 grazie a Gerberto di Aurillac, che in seguito divenne papa con il nome di Silvestro II, ma tro-varono maggiore diffusione con Leonardo Fibonacci che le presentò nel suo Liber Abaci del 1202, un manuale di aritmetica pratica per i com-mercianti.

29 Sappiamo però che VI = 5 + 1 e IV = 5 – 1. 30 Con il simbolo [n]b indichiamo il numero n scritto in base b, cioè usando

b simboli diversi.

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mero lo dobbiamo esprimere con solo due simboli, che pos-siamo indicare per esempio con 0 e 1. Ci accorgiamo però su-bito che abbiamo già perso l’economia, dato che adesso [111]10 = [1101111]2 (vedremo poi il perché), cioè con più ci-fre di quante ne usavano i romani, anche se usiamo solo due simboli. Il problema però è che per i computer non abbiamo alternative (tranne a progettare circuiti a più valori, che invece di distinguere fra on e off, stabiliscano fra una serie di valori, per esempio su un insieme di valori di corrente elettrica misu-rata in Ampere, o simili sotterfugi), e in ogni caso la stupidità del computer viene superata dalla sua velocità (miliardi di ope-razioni al secondo). La notazione posizionale non è altri che una scrittura polino-miale dei numeri, cioè, detto b un numero naturale maggiore di 1, è facile provare che ogni numero naturale n (in base 10) si può esprimere nella forma

n = ak ⋅ bk + ak – 1 ⋅ b

k – 1 + … + a2 ⋅ b2 + a1 ⋅ b + a0

in cui gli ah (0 ≤ h ≤ k) sono interi compresi tra 0 e (b – 1). In questo modo la scrittura di n in base b sarà [akak – 1…a2a1a0]b. Così il già citato [111]10, per esempio in base 5 (cioè usando solo le cifre 0, 1, 2, 3, 4) si può esprimere nel seguente modo: 111 = 4 ⋅ 52 + 2 ⋅ 5 + 1 ⋅ 50 = [421]5. Cominciamo a chiederci come sia possibile convertire un nu-mero decimale in una data base, ossia come facciamo a trovare i coefficienti ak precedenti? Esempio 23 Riconsideriamo 111 e trasformiamolo in base 5. Abbiamo det-to che dobbiamo scriverlo come un polinomio di indetermina-

ta 5. Allora consideriamo la più grande potenza di 5 in esso contenuta, ovviamente è 25. Quante volte conteniamo 25? 4 volte, quindi 111 = 4 ⋅ 25 + 11. Adesso, quante volte conte-niamo la potenza inferiore, cioè 5? Due volte, cioè 111 = 4 ⋅ 25 + 2 ⋅ 5 + 1. Perciò abbiamo finito. Per determinare gli ak pos-siamo fare nel seguente modo più veloce:

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111 5 22 5 4 5

110 22 20 4 0 0

1 2 4

L’esempio precedente ci insegna quindi che per passare dalla base 10 alla generica base b, basta dividere il numero per b, conservando il resto e il quoziente. Se il quoziente è diverso da zero esso si divide ancora per b e si continua finché non si ot-tiene per quoziente 0, e ciò accadrà sempre perché in ogni di-visione il quoziente diminuisce. Il numero nella nuova base è dato dalla successione dei resti ottenuti, scritti però in ordine inverso a come sono stati ottenuti. Per passare invece da una base qualsiasi a base 10 è semplicis-simo, basta appunto usare la notazione polinomiale, così per esempio [3471]8 = 3 ⋅ 83 + 4 ⋅ 82 + 7 ⋅ 8 + 1 = [1849]10. Più lungo è il passaggio fra due basi entrambe diverse da 10, perché si deve usare una base di appoggio, che conviene sce-gliere ben nota, quindi la decimale. Più facilitato è il passaggio fra due basi una delle quali è potenza dell’altra. Per esempio da base 2 a base 8, basta raggruppare le cifre del numero in ba-se 2 a gruppi di 3 (perché 8 = 23) e quindi scriverli in base 8. Esempio 24 Si ha [10110010101]2 = [(010) (110) (010) (101)]2 = [2625]8. Infatti:[10110010101]2=1+ 4 + 16 + 128 + 256 + 1024 = 1429; [2625]8 = 5 + 2 ⋅ 8 + 6 ⋅ 64 + 2 ⋅ 512 = 1429. Usare un numero diverso di cifre dalle 10 cui siamo abituati pone ovvi problemi dovuti appunto alla scarsa familiarità. Per esempio se è facile riconoscere un numero pari nella notazione decimale lo è molto meno con altre basi. In base 2 i numeri pa-ri sono quelli che hanno l’ultima cifra 0, i dispari gli altri. Ma in base 3 abbiamo: [3]10 = [10]3, [5]10 = [12]3, [7]10 = [21]3, quindi non ci sono riconoscimenti dovuti all’ultima cifra. Se però la base è pari, i numeri dispari si riconoscono dall’ultima

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cifra che è dispari, perché nella scrittura polinomiale, abbiamo la somma di tutti numeri pari (dato che moltiplichiamo per un multiplo della base pari) e l’ultima cifra deve quindi essere di-spari. Infatti [57]10 = [321]4 = [233]6 = [71]8. Vi sono poi dei numeri che hanno proprietà per così dire uni-

versali, come [121]b che è un quadrato perfetto in ogni base maggiore di 2 perché [121]b = b2 + 2b + 1 = (b + 1)2, analoga-mente [1331]b è un cubo perfetto in ogni base maggiore di 3 e così via. Svariate sono le attività che si effettuano usando basi diverse da 10, per esempio una è quella legata a un gioco del tipo in-dovina un numero pensato. Al solito farlo con la base 2 è più semplice, ma può adattarsi benissimo alle altre. Si chiede ad un concorrente di pensare un numero intero da 1 a 2n – 1, con n a piacere, di solito viene usato n = 5, poi viene posta una ta-bella simile alla seguente, e viene chiesto di dire in quali co-lonne si trova il numero pensato. Per esempio se il numero fosse stato 17 avrebbe risposto la prima e la quinta.

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Ora 17 = 16 + 1 = 24 + 20, osseviamo che l’esponente 4 è il precedente di 5 e l’esponente 0 il precedente di 1, cioè le colonne in cui vi è 17. In pratica la tabella è formata scrivendo i numeri da 1 a 31 in base 2 e ogni colonna indica il coefficiente di 2n, dove n è il precedente del numero della colonna. Così se si dice che un numero sta nella seconda, terza e quinta colonna vuol dire che è il numero 2 + 22 + 24 = 2 + 4 + 16 = 22. Ed effettivamente si verifica che solo il 22 sta nelle colonne indicate. Attività 1. Scrivere in base 10: [12345]6, [12345]7, [12345]8.

[1865; 3267; 5349] 2. Scrivere in base 2: [123]4, [12345]8.

[11011; 1010011100101] 3. Quanti numeri, in base 2 e in base 10 si scrivono con lo

stesso numero di cifre? [2] 4. Quanti numeri, in base 8 e in base 10 si scrivono con lo

stesso numero di cifre? [14] 5. Si ha [47]10 = [74]b, quanto vale b? [Impossibile] 6. Si ha [xy]10 = [yx]13, quanto vale xy? [43] 7. Si ha [x3]10 = [3x]b, quanto vale b?

[4, 7, 13, 16, 19, 22, 25, 28]

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Come effettuare una moltiplicazione? Come si effettua la cosiddetta moltiplicazione in colonna? Per esempio 73 ⋅ 348? Ecco la ben nota regola:

73

348

584

292

219

25404

Perché ogni volta spostiamo il risultato della singola moltipli-cazione di un carattere a sinistra rispetto al precedente? Lo ca-piamo meglio scrivendo la precedente nel seguente modo, in cui gli spazi sono sostituiti da zeri.

73

348

584

2920

21900

25404

La spiegazione è legata a due questioni, intanto al fatto che il nostro sistema di numerazione è posizionale a base 10. Così 73 = 7 ⋅ 10 + 3 e 348 = 3 ⋅ 100 + 4 ⋅ 10 + 8. Pertanto la moltipli-cazione può scriversi: 73 ⋅ 348 = (7 ⋅ 10 + 3) ⋅ (3 ⋅ 100 + 4 ⋅ 10 + 8). A questo punto subentra la già citata proprietà distributi-va, secondo la quale la moltiplicazione si esegue nel modo se-guente: 3 ⋅ 73 ⋅ 100 + 4 ⋅ 73 ⋅ 10 + 8 ⋅ 73. E poiché ogni pro-dotto ha uno zero in più del precedente, invertendone l’ordine si giustifica lo spostamento a sinistra della cifra. Ovviamente potevamo eseguire anche nel modo seguente:

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73

348

219

292

584

25404

Osserviamo che questa regola è il risultato di una lunga sele-zione storica di altre regole simili più o meno complicate. An-cora nell’opera Summa de arithmetica, geometria, proportioni

e proportionalita di Fra Luca Pacioli del 1494, ne venivano ri-portate ben 8. È curiosa invece la regola detta egizia che invece si basa su una notazione a base 2, nonostante gli egizi non avessero una notazione posizionale. Vediamo intanto la regola.

1 348

2 696

4 1392

8 2784

16 5568

32 11136

64 22272

25404

Spieghiamo cosa abbiamo fatto. Abbiamo raddoppiato 1 fino a fermarci alla più grande potenza di 2 che non supera 73, e con-temporaneamente abbiamo raddoppiato a partire da 348. Quindi abbiamo individuato le potenze di 2 (che abbiamo in-dicato con una freccia) che sommate danno 73, la somma dei relativi multipli di 348 fornisce il risultato. La spiegazione del-la regola dipende dal fatto che in pratica abbiamo scritto 73 in base 2: 73 = 1 + 8 + 64 = 1 + 23 + 26 = [1001001]2, quindi ab-

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biamo moltiplicato per 348 applicando sempre la proprietà di-stributiva:

73 ⋅ 348 = (1 + 8 + 64) ⋅ 348 = 1 ⋅ 348 + 8 ⋅ 348 + 64 ⋅ 348 Il metodo potrebbe usarsi per ogni tipo di base? Sì, ma si com-plica all’aumentare della base, perché per esempio in base 3 i coefficienti non sono solo 0 e 1, ma anche 2, così avremo [73]10 = 27 ⋅ 2 + 9 ⋅ 2 + 1 = [2201]3, quindi la regola divente-rebbe quella di seguito mostrata.

1 348 1 348

3 1044

9 3132 2 6264

27 9396 2 18792

25404

→ ×

→ ×

→ ×

Attività

1. Eseguire 75 ⋅ 149 usando la regola egiziana. 2. Eseguire 75 ⋅ 149 usando la regola egiziana con base 3. 3. Trovare una regola egiziana usando la base 4.

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I numeri decimali L’operazione di divisione non essendo interna all’insieme dei numeri naturali impone la nascita di un nuovo insieme, che chiamiamo dei numeri razionali e lo indichiamo con ℚ . Esso quindi contiene tutti i risultati delle divisioni fra due numeri interi, il secondo dei quali non nullo. Intanto dobbiamo stabilire come eseguire la divisione se essa non è interna, come nel caso di 6 : 4. Dato che non esiste un numero intero che moltiplicato per 4 dia 6, conveniamo di continuare la divisione mettendo una virgola nel quoziente e moltiplicando per 10 ciascun resto che si otterrà da questo momento in poi. Così facendo la divisione di due numeri natu-rali m ed n può concludersi dopo un numero finito di passi, ot-tenendo come resto zero, oppure può entrare in un ciclo. Ciò dipende dal fatto che, dividendo per n, tutti i resti che possono ottenersi sono 0, 1, 2, ..., n – 2, n – 1. Quindi è evidente che o al più dopo n passi otteniamo 0, oppure dopo al più n – 1 passi otteniamo un resto che avevamo già ottenuto, quindi riotterre-mo all’infinito la successione dei resti. In quest’ultimo caso la ripetizione dei resti può avvenire subito dopo la virgola o subi-to dopo un certo numero di valori decimali che non si ripetono. Esempio 25 • Effettuando la divisione 6 : 4 = 1,5 otteniamo per resto 0

dopo appena un passo. 6 4

4 1,5

20

20

0

• Dividendo invece 11 per 16 arriviamo al resto 0 dopo 4 passi, ottenendo 0,6875.

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50

11 16

0 0,6875

110

96

140

128

120

112

80

80

0

• Dividendo 31 per 11 invece dopo due passi otteniamo un resto che si ripete

31 11

22 2,81

90

88

20

11

9

Quindi è ovvio che da adesso in poi rifaremo le stesse ope-razioni, ottenendo sempre la stessa coppia 81 che si ripeterà.

Indicheremo il numero con 2,818181.. o brevemente con 2,81

• Infine dalla divisione di 73 per 6 otteniamo che la ripetizio-ne del resto avviene non subito, ma c’è un gruppo di cifre dopo la virgola che non si ripetono, quindi diciamo che il risultato è 12,16666… che indichiamo brevemente con

12,16

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73 6

72 12,16

10

6

40

36

4

È chiaro che non ci sono altre possibilità oltre quelle illustrate nell’esempio, quindi ci sono solo tre risultati possibili, a ognu-no dei quali assegniamo un diverso nome. Poniamo allora la seguente definizione. Definizione 9 Un numero razionale si indica con la scrittura simbolica a1a2...an,b1b2...bmc1c2...cpc1c2...cp...., in cui ciascun simbolo in-dica una cifra e le cifre c1c2...cp possono essere anche tutte u-guali a zero. All’interno della precedente definizione possono accadere i seguenti fatti. i) tutte le cifre b1b2...bm e tutte le cifre c1c2...cp sono nulle. Di-

ciamo che il simbolo rappresenta un numero intero; ii) non tutte le cifre b1b2...bm sono nulle e tutte le cifre c1c2...cp

sono nulle. Diciamo che il simbolo rappresenta un numero

decimale limitato; iii) tutte le cifre b1b2...bm sono nulle e almeno una delle cifre

c1c2...cp non è nulla. Diciamo che il simbolo rappresenta un numero periodico semplice di periodo c1c2...cp;

iv) almeno una delle cifre b1b2...bm non è nulla e almeno una delle cifre c1c2...cp non è nulla. Diciamo che il simbolo rappresenta un numero periodico misto di periodo c1c2...cp e antiperiodo b1b2...bm.

In ogni caso, come visto negli esempi, il periodo lo indichiamo

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I perché della matematica elementare

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scrivendolo con una barra sopra. Quindi l’insieme dei numeri razionali è effettivamente un ampliamento dei numeri interi, nel senso che li contiene, verifica le loro proprietà ma ne veri-fica altre che quelli non soddisfano. Per esempio l’avere inter-na anche l’operazione di divisione, ma il fatto che (ℚ ; +) e

(ℚ \{0}; ⋅) sono entrambi gruppi commutativi e l’operazione di moltiplicazione è distributiva rispetto a quella di somma. Strutture del genere si chiamano campi, quindi parliamo del campo dei numeri razionali. Nel seguito cercheremo di capire se vi è una regola che per-metta di capire, senza svolgere la divisione, se essa avrà per risultato un numero decimale limitato, o un periodico, sempli-ce o misto. Attività

Giustificare le risposte alle seguenti domande

1. La somma algebrica di un numero decimale limitato con un

numero periodico semplice è un numero di che tipo? [Periodico misto]

2. La somma algebrica di due numeri periodici semplici può essere un numero decimale limitato?

[Sì, se hanno lo stesso periodo] 3. Il prodotto di un numero decimale limitato con un numero

periodico semplice è un numero di che tipo? [Periodico misto]

4. La divisione di un numero decimale limitato con un numero periodico semplice è un numero di che tipo? [Dipende]

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Divisione per una frazione Una delle regole che tutti conoscono ma della quale ben pochi si sono chiesti la giustificazione è quella che afferma che per dividere un numero per una frazione basta moltiplicare il nu-mero per la frazione reciproca. Così per esempio

12 5 357 : 7

5 12 12= ⋅ = . Vediamo di capire il perché di tale regola.

Cominciamo con l’osservare che ogni frazione si può esprime-re nel prodotto di un numero intero per una frazione con nu-meratore 131, quindi basta spiegare la regola per la divisione di

una frazione 1

n, con n numero naturale. Supponiamo di voler

dividere 3 per 1

2. Intanto cominciamo a chiederci cosa signifi-

ca in generale dividere per un numero naturale. Per esempio si ha: 3 : 2 = 1,5 perché 2 ⋅ 1,5 = 3. Ma allora per stabilire il ri-

sultato di 1

3:2

x= , dobbiamo trovare un numero x che molti-

plicato per 1

2 sia uguale a 3, ma in questo caso siamo ritornati

al punto di partenza, il numero è 1

3:2

, che non sappiamo cosa

significa. Allora ragioniamo in un altro modo, partendo da un caso più semplice in cui il risultato è un numero intero, ossia 12 : 2 = 6. Dividere per 2 significa semplicemente dividere in parti uguali: ho 12 caramelle e 2 bambini e a ciascuno ne do

quindi 6. Ma allora 1

12 :2

, vuol dire che devo dare 12 caramel-

le a mezzo bambino, perciò ovviamente un bambino otterrà il

31 Frazioni del genere di solito vengono chiamate egizie, perché nei papiri

di argomento matematico, gli antichi egizi sembravano privilegiare la scrittura di ogni frazione come somma di frazioni con numeratore 1

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I perché della matematica elementare

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doppio rispetto a mezzo bambino, cioè 1

12 : 12 22

= ⋅ . È chiaro

che questo ragionamento si generalizza alla divisione 1

12 :n

,

se la ennesima parte di un bambino prende 12 caramelle, l’intero bambino dovrà prenderne n volte 12. Infine

112 : 12 n

n= ⋅ . In generale quindi, qualunque sia m avremo la

validità della seguente uguaglianza:1

:m m nn

= ⋅ . Chiaramente

la procedura non varia se dovessimo dividere per 1m

mn n

= ⋅ .

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Le potenze di esponente nullo o intero negativo L’elevamento a potenza non è altro che una generalizzazione della moltiplicazione, almeno quando l’esponente è un numero naturale. Infatti per esempio 35 vuol dire 3 ⋅ 3 ⋅ 3 ⋅ 3 ⋅ 3. Ma sappiamo, e lo abbiamo già visto, che una delle procedure più diffuse in matematica è quella della generalizzazione, così vo-gliamo dare significato a scritture come 3– 5. In questo caso ovviamente non possiamo moltiplicare 3 per se stesso (– 5) volte, allora facciamo ricorso al principio di permanenza delle proprietà formali, enunciato dal matematico tedesco Hermann Hankel (1839 – 1873) nel 1867 nel suo lavoro intitolato Theo-

rie der komplexen Zahlensysteme. Principio di permanenza delle proprietà formali Quando si estende un’operazione a un insieme più ampio si

deve fare in modo di mantenere la validità delle proprietà

formali che essa già verifica nell’insieme più piccolo

Quali sono le proprietà formali di cui gode l’elevamento a po-tenza? Essenzialmente le seguenti due:

an ⋅ am = an + m; an : am = an – m.

Prima di dare significato alle potenze con esponente intero ne-gativo, ci è utile definire le potenze a esponente nullo. Cosa significa per esempio 30? Tenuto conto della proprietà delle divisione si ha:

03 3 3 :3 ,n n n n n−= = ∀ ∈ℕ

Ma ovviamente 3 :3 1n n = , quindi perché si mantengano le proprietà formali dobbiamo dare la seguente Definizione 10

Si ha: { }0 1, \ 0a a= ∀ ∈ℝ .

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I perché della matematica elementare

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Osserviamo che non abbiamo dimostrato che 30 = 1, ma lo ab-biamo definito. Perché abbiamo detto che a non deve essere 0? Perché allora

avremmo avuto 0 00 1 1

0= ⇒ = , e la seconda uguaglianza è

certamente falsa perché è vero che 0 ⋅ 1 = 0, ma è vero che an-che 0 ⋅ n = 0, per qualsiasi altro numero n. E quindi allora do-

vrebbe essere anche 0 00 ,

0n n= = ∀ ∈ℝ .

Torniamo adesso alle potenze ad esponente intero negativo.

Poiché 3– 5 = 30 : 35 = 5

1

3, possiamo porre la seguente ulteriore

Definizione 11

Si ha: { }1

, \ 0 ,n

na a n

a

− = ∀ ∈ ∈ℝ ℕ .

In seguito vedremo che significato dare alle potenze 235 ,72

e simili.

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La prova del nove Una delle regole che forse ormai non viene più insegnata nelle scuole elementari è la cosiddetta prova del nove, che dovrebbe servire a verificare se una certa moltiplicazione o divisione è corretta. Ricordiamola. Supponiamo di avere eseguito la se-guente moltiplicazione: 698 ⋅ 367 = 256166. La prova del no-ve consiste nel determinare il residuo a nove di ciascuno dei fattori (cioè il resto della divisione del numero per nove, che può ottenersi più semplicemente sommando fra loro le cifre e continuando a sommarle finché non si arriva a un numero infe-riore a 10, se si ottiene 9 si assegna 0). Nel nostro caso avremo 698 → 23 → 5 e 367 → 16 → 7. Adesso si moltiplicano fra loro i residui, ottenendo 35, a cui si associa, con la stessa rego-la di sommarne le cifre, il residuo 8. Infine si calcola il residuo del prodotto: se viene 8 si dice che la moltiplicazione è corret-ta, diversamente non lo è. In questo caso 256166 → 26 → 8. Quindi si conclude che la moltiplicazione è corretta? Un piccolo ragionamento ci dovrebbe convincere che la rispo-sta è negativa, infatti qualsiasi numero si ottiene da 256166 aggiungendo cifre 0 a piacere avrà come residuo 8, per esem-pio 25006106000060, ma evidentemente questo non significa che 698 ⋅ 367 = 25006106000060; con lo stesso ragionamento non è neanche vero che 60908 ⋅ 300670 = 256166, nonostante la prova del nove sia sempre verificata. In effetti la prova del nove, che giustificheremo fra breve, è solo una condizione necessaria e non sufficiente, il che signifi-ca che possiamo concludere solo che il risultato è errato se non è verificata. Così certamente non è vero che 698 ⋅ 367 = 256066, perché il residuo a 9 di 256066 è 7. Veniamo adesso a giustificare la regola. Prima però dobbiamo osservare che vale il seguente risultato.

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Teorema 1

Dati due numeri naturali m ed n, con n ≠ 0, esistono sempre due numeri naturali q ed r che rendono vera la seguente scritta: m = n ⋅ q + r, con r: 0 ≤ r ≤ n – 1. Chiariamo il risultato con un esempio. Esempio 26 Se m =126 e n = 37, abbiamo: 126 = 37 ⋅ 3 + 15; quindi q = 3 e r = 15. Nel caso in cui m = 12 e n = 43, abbiamo: 12 = 43 ⋅ 0 + 12; quindi q = 0 e r = 12. Ora cerchiamo di giustificare la prova del nove, lavorando sul caso numerico particolare già visto. Esempio 27 Grazie al Teorema 1 possiamo scrivere

698 = 77 ⋅ 9 + 5 e 367 = 40 ⋅ 9 + 7 Moltiplichiamo adesso i due numeri fra di loro ottenendo

698 ⋅ 367 = (77 ⋅ 9 + 5) ⋅ (40 ⋅ 9 + 7) = = (77 ⋅ 40 ⋅ 9 + 77 ⋅ 7 + 5 ⋅ 40) ⋅ 9 + 35

Cioè abbiamo scritto anche il prodotto nella forma 9m + r, in cui però r = 35 > 9, quindi dobbiamo togliere tutti i multipli di 9 che esso contiene, scrivendo 35 = 27 + 8. Infine avremo: 698 ⋅ 367 = (77 ⋅ 40 ⋅ 9 + 77 ⋅ 7 + 5 ⋅ 40 + 3) ⋅ 9 + 8 che significa che la divisione del prodotto per 9 ha resto 8. E questo 8 si ottiene dal residuo del prodotto dei residui dei sin-goli fattori (che è 35). Ovviamente questa regola è valida nono solo per 9 ma quale che sia il numero scelto, per esempio 13. In questo caso avremmo avuto

698 ⋅ 367 = (53 ⋅ 13 + 9) ⋅ (28 ⋅ 13 + 3) = = (53 ⋅ 28 ⋅ 13 + 53 ⋅ 28 + 9 ⋅ 28) ⋅ 13 + 27 =

= (53 ⋅ 28 ⋅ 13 + 53 ⋅ 28 + 9 ⋅ 28) ⋅ 13 + 26 + 1 = = (53 ⋅ 28 ⋅ 13 + 53 ⋅ 28 + 9 ⋅ 28 + 2) ⋅ 13 + 1

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Ed effettivamente 9 ⋅ 3 = 26 + 1, cioè il prodotto dei residui a 13 dei fattori è il residuo a 13 del prodotto. Quindi in effetti possiamo parlare anche della regola del 13 o del 67 o del 136, perché quindi scegliamo 9? Per il semplice fatto che trovare il resto della divisione per 9 è facilitato, basta infatti sommare fra loro le cifre del numero, cosa che non vale per tutti gli altri numeri32. Attività

1. La prova del nove vale anche per verificare le somme? Giu-

stificare la risposta. [Sì] 2. Usando la prova del 9 verificare la falsità delle operazioni

seguenti: 12345 ⋅ 6789 = 83800205; 536474196 : 12345 = 6799.

3. Verificare che il prodotto 13579 ⋅ 2468 = 33512972 passa la prova del 7, dell’11 e del 13.

32 In base 10 vale per tutte le potenze di 3

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Divisibilità dei numeri naturali e numeri primi Ricordando la definizione di somma e di prodotto vista negli Assiomi di Peano, consideriamo quelle somme ottenute ripe-tendo più volte lo stesso addendo: a + a + ...+ a, che possiamo scrivere nel modo seguente a a a n a

n

+ + + = ⋅...� �� �� . In questo mo-

do definiamo il concetto di multiplo di un numero naturale a, precisamente diciamo che un numero naturale a è multiplo di un numero naturale b, se esiste un terzo naturale c tale che sia a = b ⋅ c. È facile capire che i multipli di un numero naturale sono infi-niti e che 0 è multiplo di qualsiasi numero, infatti 0 = a ⋅ 0 per tutti i numeri a. Ora il problema di ottenere un multiplo di un numero a secondo un dato fattore n è molto semplice; come spesso accade è invece molto più complicato il viceversa, cioè determinare se un dato numero b è multiplo di un altro dato numero a. In particolare risulta interessante, dato un numero a, stabilire di quali altri numeri interi esso è multiplo. La prima considerazione che può farsi è che i numeri di cui a può essere multiplo sono, in valore assoluto, non maggiori di a. Un altro fatto interessante da notare è che nel momento in cui troviamo che a = b ⋅ c, abbiamo trovato che a è multiplo di b ma anche di c, cioè i numeri di cui a è multiplo li troviamo a coppie. Al-lora definiamo un altro concetto Definizione 12 Se a è un multiplo del numero b, quest’ultimo numero si chiama divisore di a e diciamo che a è divisibile per b e che b divide a. Come si fa a determinare quanti e quali sono i divisori di un numero naturale? Vedremo in seguito di trovare una formula che ci permetta di calcolare quanti divisori ha un numero senza

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trovarli uno per uno. Per il momento invece procediamo in modo elementare. Esempio 28 Se volessimo determinare i divisori del numero 24, dovremmo cercare di scomporlo come prodotto di altri due numeri. La più semplice di queste coppie è ovviamente 24 = 1 ⋅ 24, ciò vuol dire che 1 e 24 sono entrambi divisori di 24. Poi abbiamo an-che: 24 = 2 ⋅ 12 = 3 ⋅ 8 = 4 ⋅ 6. A questo punto ci possiamo fermare perché dovremmo avere osservato che le coppie che abbiamo ottenuto verificano un’interessante proprietà: ordi-nando i numeri dal più piccolo al più grande, vediamo che il primo fattore aumenta mentre il secondo diminuisce. Ma allora a questo punto vi è una sola verifica da effettuare e cioè vedere se 5 è divisore di 24, ma ciò non accade. Ritrovare la coppia 24 = 6 ⋅ 4 è inutile perché nella moltiplicazione l’ordine non conta. Possiamo perciò concludere che i divisori di 24 sono i seguenti: 1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 24. Sono quindi 8. Da quanto abbiamo detto potremmo avere la falsa impressione che il numero di divisori di un numero naturale sia sempre un numero pari. Ciò non è sempre vero, per esempio i divisori di 4 sono tre: 1, 2 e 4. Così come i divisori di 9, che sono 1, 3 e 9. Cosa hanno di particolare i numeri naturali che hanno un nu-mero dispari di divisori? Intanto chiediamoci cosa deve acca-dere affinché ciò succeda. La risposta è che una coppia debba essere formata da numeri uguali, come succede infatti per i numeri citati: 4 = 2 ⋅ 2 e 9 = 3 ⋅ 3. Pertanto la proprietà è valida solo per i numeri che sono quadrati perfetti, come 16, 25 e via dicendo. Un’altra cosa che possiamo osservare è che ogni numero ha certamente almeno due divisori: l’unità ed il numero stesso. Allora distinguiamo quei numeri che hanno solo due divisori, chiamandoli numeri primi. Esempi sono 2, 3, 5, 7, 11, …

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Non è facile stabilire, in generale, se un dato numero è o no primo. È però vero che di numeri primi ve ne sono quanti ne vogliamo. Ciò è stabilito da un teorema che fu enunciato e di-mostrato da Euclide, la cui dimostrazione rimane uno dei più bei esempi di eleganza nell’intero campo delle discipline ma-tematiche. Teorema 2 (di Euclide) Esistono infiniti numeri primi. Prima di dimostrarlo, mostriamo il ragionamento su un caso particolare. Supponiamo che esso non sia vero, quindi che i numeri primi siano un numero finito, per esempio essi siano solo quelli che abbiamo detto prima, cioè 2, 3, 5, 7 e 11. Co-struiamo con essi un nuovo numero:

n = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 + 1 = 2311 che tipo di numero è questo? Non dovrebbe essere primo, per-ché abbiamo detto che i primi sono solo i cinque precedenti. Ma allora se non è un numero primo deve essere divisibile per almeno uno di quei cinque numeri. Ma ciò non è vero, infatti grazie al teorema 1, dato che 2311 = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 + 1, vuol dire che 2311 = 2⋅1155+1 = 3⋅770+1 = 5⋅462+1 = 7⋅330+1 = 11⋅210+1 Dato che il resto delle divisioni è sempre 1, 2311 non è divisi-bile per nessuno dei 5 numeri primi. Ciò contrasta con l’ipotesi che vi fossero solo 5 numeri primi, in effetti 2311 è un sesto numero primo. Questo fatto che abbiamo considerato per 5 numeri si può generalizzare a quanti numeri si voglia e si ha sempre lo stesso risultato: o il numero ottenuto moltiplicando tutti i numeri primi fra loro e aggiungendovi 1 è primo (e per-ciò è un primo in più rispetto a quelli considerati finiti) o è di-visibile per un numero primo che non è fra quelli ipotizzati come unici. Per esempio se avessimo considerato anche 13 come numero primo, il numero

p = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 ⋅ 13 + 1 = 30031

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non è primo, ma è prodotto di due fattori, uno almeno dei quali è un numero primo diverso da quelli ipotizzati come unici. In effetti 30031 = 59 ⋅ 509, che sono entrambi due numeri primi diversi dai 6 ipotizzati. Adesso possiamo presentare la dimostrazione formale del Teo-rema di Euclide. Abbiamo detto che si ragiona per assurdo, cioè si suppone che esistono solo i seguenti numeri primi: p1, p2, p3, ... , ph. Allora il numero n = p1 ⋅ p2 ⋅ p3 ⋅ ... ⋅ ph + 1, non è divisibile per nessu-no dei detti numeri primi, dato che la divisione del numero n per uno qualsiasi dei numeri pi ha per resto 1. Quindi o il nu-mero n è a sua volta un numero primo o è divisibile per un numero primo diverso dai pi. Ciò è appunto assurdo. Quindi i numeri primi sono infiniti. Attività

1. Mostrare che 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 + 1 e 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 ⋅ 13 + 1, sono primi o sono divisibili per numeri primi diversi da quelli contenuti nei prodotti.

2. Mostrare che 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 – 1 e 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ 7 ⋅ 11 ⋅ 13 – 1, sono primi o sono divisibili per numeri primi diversi da quelli contenuti nei prodotti.

3. Trovare quali dei numeri 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ ... ⋅ ph + 1 e 2 ⋅ 3 ⋅ 5 ⋅ ... ⋅ ph – 1, in cui i prodotti sono formati da massimo 10 primi consecutivi, sono entrambi primi.

[(5; 7), (29; 31) (2309; 2311)]]

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La distribuzione dei numeri primi Nonostante i numeri primi siano infiniti la loro distribuzione non segue una legge “regolare”, per esempio nei numeri da 1 a 10 vi sono ben 4 numeri primi (2, 3, 5, 7), lo stesso accade nei numeri da 11 a 20 (11, 13, 17, 19), mentre nei numeri da 21 a 30 essi divengono solo 2 (23, 29). Nei primi 100 interi vi sono 25 numeri primi. Nei numeri da 200 a 300 ve ne sono 21. Da 300 a 400 ve ne sono 16. Andando di questo passo fino a 1000 troviamo in ogni centinaio 16, 17, 14, 16, 14, 15 e 14 numeri primi. Utilizzando un consueto procedimento induttivo po-trebbe congetturarsi che al limite, ogni cento numeri interi ve ne saranno 14 o 15 che sono primi. Tutto falso, infatti conside-rando per esempio i numeri da 10000000 a 10000100 di nume-ri primi ve ne sono solo 2. Ma vi è di più. Consideriamo l’intervallo dei numeri che vanno dal numero immenso33 10000000! + 2 a 10000000! + 10000000, esso contiene ben 9999999 numeri interi, nessuno dei quali è un numero primo! Infatti il generico numero 10000000! + n (con 2 < n ≤ 10000000) ha certamente come uno dei suoi fattori il numero n, dato che esso è il prodotto dei primi 10000000 naturali au-mentato di n. Per esempio 10000000! + 47 = 1 ⋅ 2 ⋅ …⋅ 46 ⋅ 47 ⋅ 48 ⋅ … 10000000 + 47 = = 47 ⋅ (1 ⋅ 2 ⋅ … ⋅ 46 ⋅ 48 ⋅… 10000000 + 1). Visto che la matematica spesso “generalizza”, riusciamo a tro-vare intervalli di ampiezza “grande” a piacere in cui non vi è neanche un numero primo. Basta considerare tutti i numeri ap-partenenti all’intervallo [n! + 2; n! + n], assegnando ad n il va-lore desiderato.

33 Il simbolo n! indica il cosiddetto fattoriale, cioè il prodotto dei primi n

numeri naturali, così per esempio 7! = 1 ⋅ 2 ⋅ 3 ⋅ 4 ⋅ 5 ⋅ 6 ⋅ 7. Poiché questi numeri sono molto grandi anche per n relativamente piccoli, per esempio 70! ha più di 100 cifre, si usa il punto esclamativo che indica appunto lo stupore per un fatto del genere.

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Un’altra induzione sbagliata ci porterebbe a dire che all’aumentare di n i numeri primi tendono a sparire, ma ciò è in contrasto con il teorema di Euclide. In effetti Karl Friedrich Gauss34 pensò di valutare piuttosto che la quantità di numeri primi in un dato intervallo o più in gene-rale di numeri primi minori di un dato numero, il rapporto fra tale quantità ed il totale degli elementi. Cioè, indicando con π(n) il numero dei primi minori di un dato numero intero n,

Gauss pensò di valutare il rapporto ( )n

n

π. Così facendo otten-

ne delle tabelle simili a questa che qui presentiamo.

n 103 104 105 106

π(n) 168 1229 9592 78498

( )n

n

π

0,168 0,1229 0,09592 0,078498

n 107 108 109 107

π(n) 664579 5761455 50847478 664579

( )n

n

π

0,0664579 0,05761455 0,050847478 0,0664579

Qui la sensazione che la successione ( )n

n

π si avvicini a un

certo valore, all’aumentare di n, o come si dice in modo più proprio sia convergente, è più netta, anche se non appare anco-ra il valore a cui essa sembra avvicinarsi. Gauss però notò che i valori ottenuti erano “abbastanza” vicini a quelli della suc-

cessione: ( )1

ln n. Aggiungiamo allora una quarta colonna alla

precedente tabella in cui inseriamo i valori della detta succes-

34 Uno dei più grandi matematici e scienziati di tutti i tempi, tedesco, nac-

que nel 1777 e morì nel 1855.

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I perché della matematica elementare

66

sione approssimati allo stesso numero di cifre dei valori della terza colonna. Nella quinta colonna tabuliamo le differenze fra i valori della terza e quarta colonna, che ci danno l’errore, con quattro cifre decimali, che si commette considerando il valore

di ( )1

ln n come approssimazione di quello di

( )n

n

π.

n 103 104 105 106

π(n) 168 1229 9592 78498

( )n

n

π

0,168 0,1229 0,09592 0,078498

( )1

ln n

0,144 0,1085 0,08685 0,072382

( )( )1n

n ln n

π−

0,0240 0,0144 0,0090 0,0061

n 107 108 109

π(n) 664579 5761455 50847478

( )n

n

π

0,0664579 0,05761455 0,050847478

( )1

ln n

0,0620420 0,05428681 0,048254942

( )( )1n

n ln n

π−

0,0041 0,0033 0,0025

Notiamo che in effetti la tabella fornisce un ottimo punto di partenza per avvalorare la congettura di Gauss. Questo fatto fu però provato in modo rigoroso e completo solo parecchi anni dopo la sua formulazione, da Jacques Hadamard (1865–1963) a Parigi e da Charles Jean Gustave Nicolas de la Vallée Pous-sin (1866–1962), indipendentemente da quello, a Lovanio nel-lo stesso anno 1896.

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Carmelo Di Stefano

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Il crivello di Eratostene Un altro sogno dei matematici è stato quello di determinare una formula che potesse generare tutti i numeri primi. Ciò si è rivelato di una difficoltà enorme, tanto è che ancora ai giorni nostri uno degli algoritmi più efficaci (anche se la sua efficien-za diminuisce per numeri molto “grandi”) per determinare tutti i numeri primi è il cosiddetto crivello di Eratostene. Esso è do-vuto ad un matematico greco nato a Cirene nel 276 a.C. e mor-to nel 194 a.C., che fu a capo della famosa biblioteca di Ales-sandria e che è noto anche per aver determinato con buona ap-prossimazione la misura del raggio terrestre. È anche cono-sciuto come colui a cui Archimede dedicò Il metodo, opera minore di in cui questi descrisse il suo metodo di scoperta di molte formule per il calcolo dei volumi di alcuni corpi rotondi. Il metodo di Eratostene per la determinazione dei numeri pri-mi, consiste in una vera e propria “decimazione” dei numeri, eliminando i numeri composti, ecco perché si chiama crivel-

lo35. Esso parte dall’osservazione elementare che se n è un

numero primo m ⋅ n è sempre un numero composto per ogni m numero intero maggiore di 1. Quindi, partendo dal numero 2 che risulta il primo numero primo, cominciamo ad eliminare tutti i numeri che si trovano nelle posizioni 4, 6, 8, e via dicen-do perché tutti divisibili per 2. Il primo numero non eliminato dopo questo procedimento, in questo caso il 3, deve essere primo, perché poteva essere divisibile solo per 2; allora adesso si eliminano tutti i numeri che occupano le posizioni 3, 6, 9, ecc., perché divisibili per 3. Naturalmente ci troveremo ad e-liminare anche numeri già esclusi in precedenza come il nume-ro 6. Ancora una volta il primo numero non eliminato succes-sivo al 3, cioè il 5, è primo, perché non divisibile né per 2 e né per 3. Elimineremo dunque ogni numero che occupa le posi-

35 Per chi non lo sapesse il crivello è un setaccio, utilizzato anche in cucina

per nettare per esempio la farina, togliendo eventuali impurità, che più grosse di ciò che si vuole conservare, rimangono nella rete del crivello

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I perché della matematica elementare

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zioni 5, 10, 15 e via dicendo. L’algoritmo è certamente effica-ce, ma poco efficiente, poiché per determinare per esempio i 25 numeri primi contenuti nei numeri da 1 a 100 dobbiamo ef-fettuare ben 146 fra eliminazioni e controlli, dato che ad ogni passo successivo al primo ci troveremo ad eliminare o comun-que a controllare se gli elementi sono stati già eliminati nei passi precedenti. La giustificazione di questo fatto è raccolta nella seguente tabella in cui consideriamo quante eliminazioni o controlli dobbiamo effettuare per determinare ciascuno dei 25 numeri primi. Per comodità indichiamo con d(n) i numeri minori o uguali a 100 divisibili per n, n escluso.

n 2 3 5 7 11 13 17 19 d(n) 49 32 19 13 18 6 4 4 n 23 29 31 37 41 43 47 d(n) 3 2 2 1 1 1 1

Notiamo che è inutile considerare i numeri primi successivi a 47, poiché il loro doppio è già superiore a 100. Osserviamo che in effetti possiamo arrestare prima il nostro procedimento di selezione, precisamente possiamo fermarci al numero 7. In-fatti l’ultimo numero composto che andremo a cancellare sarà 77 = 7 ⋅ 11, a questo punto possiamo affermare con certezza che non vi saranno più numeri composti da cancellare. Con-trollando infatti la tabella precedente vediamo appunto che tut-ti i numeri che dovremmo cancellare sono multipli di numeri primi sui quali abbiamo già provveduto alla eliminazione. In tal modo il numero di eliminazioni e controlli si riduce a 113, che è comunque un valore ugualmente elevato relativamente alla cardinalità (100) dell’insieme considerato, ed al fatto che di numeri dobbiamo eliminarne solo 74 (il numero 1 non va eliminato, anche se non è primo). Come si vede il crivello di Eratostene è un metodo che in linea teorica funziona, ma per valori molto elevati può dare diversi problemi.

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Se invece volessimo stabilire se un dato numero naturale n è o no primo, applicando la definizione dovremmo operare (n – 1) divisioni e nell’ipotesi in cui nessuna di queste sia “esatta” (ha cioè resto zero), concluderemmo che n è primo. In effetti, te-nendo conto di quanto abbiamo già detto sui divisori di un numero, ossia che essi sono presenti sempre a coppie, po-

tremmo limitare i controlli solo per i numeri fino a 1n + 36.

Così se dovessimo stabilire se il numero 293 è o no primo (in effetti lo è), verificato che fino alla divisione di 293 per

293 1 + = 16 + 1 = 17 non abbiamo ottenuto alcun resto

nullo, concludiamo che 293 è primo. Ciò dipende dal fatto che, se esistessero divisori di 293 superiori a 17 essi dovrebbero avere associato un divisore inferiore a 17, che quindi avremmo già dovuto trovare. Con questa osservazione abbiamo ridotto il

numero dei controlli da n – 1 a 1n + , che per valori di n

elevati è un bel risparmio. Si pensi che per verificare che 4999 è un numero primo, con questa osservazione dobbiamo effet-

tuare solo 4999 1 70 1 71 + = + = controlli invece di 4998.

Per valori di n molto grandi il vantaggio è irrilevante, infatti per verificare se un numero con 20 cifre, cioè dell’ordine di 1019, è o no primo dobbiamo fare, nell’ipotesi in cui il numero sia primo, circa 1010 controlli che sono un numero considere-vole anche per i velocissimi processori attuali. Dobbiamo quindi determinare dei metodi “migliori”. Ne presentiamo uno dovuto al matematico che forse più degli altri ha contribuito allo sviluppo della teoria dei numeri: Pierre

36 Il simbolo indica il cosiddetto pavimento o floor di un numero inte-

ro, cioè il più grande intero contenuto in n. Per esempio 2,74 2= ,

questo perché in generale n non è un numero intero.

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I perché della matematica elementare

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Fermat37 (1601 – 1665), il principe dei dilettanti come lo ha battezzato lo storico Eric Temple Bell. Tale metodo fu illustra-to in una lettera all’abate Marin Mersenne (anche lui figura molto importante nello sviluppo della teoria dei numeri), scrit-ta probabilmente nel 1643. Esso si basa su un fatto molto sem-plice, cioè sulla scomposizione dei polinomi in fattori. Infatti, se un polinomio in una o più indeterminate, è scomponibile in fattori è evidente che il numero che esso rappresenta, sosti-tuendo alle sue incognite dati valori è anch’esso un numero composto, tranne che il polinomio sia scomponibile nel pro-dotto di due soli fattori, uno dei quali con le sostituzioni risulta uguale ad 1. Vediamo un esempio. Esempio 29 Consideriamo il polinomio x2 – 5x + 6. È facile vedere che es-so può scomporsi nel prodotto dei due fattori di primo grado: (x – 2) ⋅ (x – 3). Sostituendo ad x valori interi superiori a 3 ot-teniamo sempre numeri naturali, essi risultano composti per ogni valore, tranne che per 4. Infatti per quest’ultimo valore otteniamo 42 – 5 ⋅ 4 + 6 = (4 – 2) ⋅ (4 – 3) = 2 ⋅ 1 = 2. In tutti gli altri casi entrambi i fattori sono diversi da 1, quindi il nu-mero che il polinomio rappresenta è composto. Il problema è quindi quello di scrivere un dato numero in una forma polinomiale. Il modo più semplice è quello di esprimere il numero mediante la sua espressione decimale. Cioè per e-sempio per vedere se il numero 319 è o no primo gli associa-mo il polinomio 3x

2 + x + 9 e vediamo se esso è o no irriduci-bile. Se lo è per ogni valore di x allora lo è anche per x = 10. Il

37 Non fu un matematico di professione bensì un uomo di legge, ma si inte-

ressò moltissimo di matematica, che illustrò in scambi epistolari con l’abate Mersenne e con altri importanti personaggi della sua epoca, quali Pascal e Descartes. Durante la vita non pubblicò mai nulla, ma propose e risolse importantissimi problemi.

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Carmelo Di Stefano

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problema non è però così semplice. Infatti se il polinomio è ir-riducibile in Z non significa che tutti i numeri interi che esso rappresenta siano primi per qualsiasi valore assegnato alla x. In effetti il polinomio 3x

2 + x + 9 non è riducibile in Z , addi-rittura è irriducibile in R , dato che il suo discriminante è ne-gativo. Ciononostante 319 = 11 ⋅ 29. Anche il polinomio x2 + 1 è irriducibile in R , eppure esso rappresenta numeri pari (quindi composti) per ogni valore dispari sostituito alla x. Ed anche per valori pari, come per esempio x = 8, esso rappresen-ta numeri composti (65). Fermat pensò di considerare invece un altro prodotto notevole: la cosiddetta differenza di quadrati, infatti se riuscissimo a provare che il numero in questione si può scrivere come diffe-renza di due quadrati potremmo ottenere facilmente una sua fattorizzazione (in generale non di numeri primi). Ma ciò è sempre possibile? Supponiamo che sia n = a ⋅ b, allora pos-siamo verificare facilmente che la seguente è una identità:

n a ba b a b a b a b a b a b

= ⋅ =+

−−

++

=

+

2 2 2 2 2 2

2 2

Nel caso in cui il numero è primo, la precedente identità divie-ne la seguente:

n nn n n n n n

= ⋅ =+

−−

++

=

+

1

1

2

1

2

1

2

1

2

1

2

1

2

2 2

Notiamo che poiché n n+

=−

+1

2

1

21 , possiamo dire che ogni

numero può esprimersi come differenza dei quadrati di due numeri consecutivi; anzi nel caso dei numeri primi questa è l'unica maniera per esprimerli come differenza di due quadrati. Pertanto abbiamo trovato una condizione necessaria e suffi-ciente per determinare se un numero è o no primo ed in caso negativo per trovare una sua fattorizzazione. Il problema è quindi quello di vedere, dato un numero naturale, se esso è e-sprimibile come differenza di quadrati in un solo modo (nel

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I perché della matematica elementare

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qual caso il numero è primo) o in più di un modo. Vediamo un esempio. Esempio 30 Lavoriamo sul numero 423877. Cerchiamo il massimo numero naturale il cui quadrato è minore di 423877. Abbiamo che

6512 = 423801 < 423877 < 425104 = 6522. Adesso effettuiamo la differenza fra 6522 ed il numero dato, ottenendo 425104 – 423877 = 1227. Se tale valore fosse un quadrato perfetto (in effetti non lo è), avremmo finito, diver-samente passiamo a considerare la differenza del dato numero dal quadrato successivo a 652. Otteniamo: 6532 – 423877 = 2532 che ancora non è un quadrato perfetto, continueremo questo procedimento, finché troveremo una differenza che sia quadrato perfetto. Nel nostro caso troviamo abbastanza presto che 6592 – 423877= 10404 = (10000 + 400 + 4) = 1022, cioè: 423877 = 6592 – 1022 = (659 – 102) ⋅ (659 + 102) = 557 ⋅ 761, quindi il numero non è primo. Osserviamo che con il metodo precedente non abbiamo biso-gno di verificare che tutte le differenze ottenute siano quadrati perfetti, ciò in virtù del fatto che le possibili cifre delle unità dei quadrati perfetti, possono essere solo 0, 1, 4, 5, 6, 9. E ciò perché i quadrati delle 10 cifre finiscono solo con una delle dette cifre. Quindi delle 8 differenze di questo esempio ne dobbiamo verificare solo tre (3839 = 6542 – 423877; 6459 = 6562 – 423877 e 10404). Anzi proprio per quanto detto potre-mo evitare di sviluppare certi quadrati; in particolare essendo 7 l'ultima cifra del numero in questione la differenza fra la cifra u delle unità di un quadrato e 7 fornirà un "potenziale" quadra-to solo se u∈{1, 6}, quindi prenderemo in considerazione solo quei numeri la cui cifra delle unità appartiene all'insieme {1, 4, 6, 9}. Abbiamo prima notato che il procedimento avrà sempre una sua fine e siamo anzi in grado di stabilire il numero massimo di differenze che dobbiamo costruire per verificare se un nu-

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mero è primo, ovvero per trovare una sua fattorizzazione. Sa-

ranno: 1

22

nn

− − − . Infatti la prima differenza sarà:

( )2

1n n + − e l'ultima, se n è primo, sarà appunto:

nn

1

2

2

. Quindi il precedente è sì un test di primalità ma

di scarsa applicazione per numeri molto grandi. Per stabilire per esempio che il numero di Mersenne38 2521 – 1 (che ha 157 cifre39) è primo debbono calcolarsi circa (10157 – 1079) ≈ 10157 differenze. Per inciso il precedente numero viene calcolato con tutte le sue cifre esatte in meno di un secondo e viene verifica-ta la sua primalità in 0,4 secondi dal pacchetto Maple 17 su un sistema con processore AMD 2,70 Ghz e 4 Mb di Ram, che attualmente è abbastanza modesto. Vediamo invece un'applicazione su un numero più piccolo, come 2423. Tenuto conto di quanto già detto sulle cifre delle unità, stavolta considereremo solo le differenze au

2 – 2423 con u∈{2, 3, 7, 8}; costruiremo quindi: 522 – 2423; 532 – 2423; 572 – 2423; 582 – 2423; 622 – 2423; ...; 12112 – 2423 = 12122, così l'unica espressione di 2423 come differenza di quadrati sarà: 2423 = 12122 – 12112. Quindi 2423 è primo. Attività

1. Usando il criterio di Fermat mostrare che 12923 è un nume-

ro primo, mentre 1234567 non lo è.

38 I numeri di Mersenne sono del tipo 2p – 1, con p numero primo. Si pensa

che siano infiniti, ma il problema è ancora aperto e, nonostante i calcola-tori elettronici ne sono stati trovati meno di 50

39 Si ha 2521 = (210) 52 ⋅2 > (1030) 52 ⋅2 = 10156

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I perché della matematica elementare

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Alcuni problemi sui numeri primi Dopo le enormi difficoltà di cui abbiamo parlato per la deter-minazione di formule che generassero solo numeri primi, i ma-tematici abbassarono il tiro. Pensarono cioè di cercare almeno delle formule che generassero se non tutti i numeri primi, solo numeri primi. Il grande matematico svizzero Eulero (1707 – 1783) pensò di avere ottenuto il risultato nel 1772 e lo pubbli-cò sui Nouveau Mémoires de l'Académie régal des Sciences, proponendo l'espressione x2 + x + 41. Infatti, se sostituiamo al posto di x i numeri da 0 a 8, otteniamo la seguente tabella:

n 0 1 2 3 4 5 6 7 8 n

2 + n + 41 41 43 47 53 61 71 83 97 123 Notiamo che tutti i numeri ottenuti sono primi. Questo potreb-be suggerirci di enunciare il seguente fatto: Se n è un numero

intero positivo allora l'espressione n2 + n + 41 rappresenta

sempre un numero primo. In effetti, anche continuando questo procedimento fino a n = 40, continuiamo a trovare sempre numeri primi, anzi tutti distinti fra di loro. Ciononostante un attento lettore dovrebbe concludere che tale espressione non può generare solo numeri primi, poiché sostituendo alla n il numero 41 o un suo multiplo otterremmo un numero certa-mente divisibile per 41. Infatti 412 + 41 + 41= 41 ⋅ 43 = 1763. Ciò ovviamente è vero per ogni espressione polinomiale di termine noto diverso da ± 1. Per esempio l’espressione seguen-te: 3n

5 – 7n

3 + 4n2 – 5, non rappresenta un numero primo cer-

tamente per n = 5, dato che 3 ⋅ 55

– 7 ⋅ 53 + 4 ⋅ 52 – 5 = 5 ⋅ (3 ⋅ 54

– 7 ⋅ 52 + 4 ⋅ 5 – 1) Quindi affinché si possa trovare una espressione polinomiale che generi solo numeri primi essa deve avere termine noto u-guale ad 1 o a – 1. In realtà mostreremo un risultato più gene-rale.

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Teorema 3 Nessuna espressione polinomiale può generare solo numeri primi. Prima di considerare la dimostrazione generale, abbiamo biso-gno di un altro risultato. Teorema 4 Se a è multiplo di n e a + b è multiplo di n¸ allora b è multiplo di n. Dimostrazione Dire che a è multiplo di n vuol dire che esiste un numero c per il quale si ha: a = c ⋅ n; quindi analogamente esiste un numero p per il quale si ha: a + b = p ⋅ n, ma allora b = (a + b) – b = p ⋅

n – c ⋅ n = n ⋅ (p – c), cioè la tesi. Possiamo dimostrare adesso il Teorema 3, ma poiché può esse-re complicato da capire con termini simbolici, ne premettiamo un caso con termini numerici. Prendiamo in considerazione proprio p(n) = n

2 + n + 41. Esempio 31 Calcoliamo p(5) = 25 + 5 + 41 = 71. Facciamo vedere adesso che p(5 + 71m) è sempre divisibile per 71. Si ha

p(5 + 71m) = (5 + 71m)2 + p(5 + 71m) + 41. Piuttosto che lavorare direttamente sulla precedente espressio-ne, consideriamo p(5 + 71m) – p(5) = (5 + 71m)2 +(5+71m) + 41 – (25 +5+ 41)= = [25 + 712

m2 + 710m – 25] + (5 + 71m – 5) + 41 – 41 =

= 71m⋅(71m+10)+71m = 71m⋅(71m+10+ 1) = 71m⋅ (71m +11). Cioè la differenza è divisibile per 71, ma abbiamo già visto che anche p(5) è divisibile per 71, quindi per il Teorema 4 an-che p(5 + 71m) deve esserlo. Anzi p(5 + 71m) = p(5) + 71m ⋅ (71m + 11) = 71 + 71m ⋅ (71m + 11) = 71 ⋅ (71m

2 + 11m + 1).

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Verifichiamolo per m = 2. Si ha: p(5+142)=1472+147+41=21797= 71⋅307 = 71⋅(71⋅22+11⋅2+1). Adesso possiamo dimostrare il teorema. Supponiamo che il polinomio p(x) = a0 + a1x + a2x

2 + ... + anxn

generi solo numeri primi quale che sia il valore intero assegna-to alla sua variabile x. Supponiamo per esempio che

p(h) = a0 + a1h + a2h2 + ... + an h

n = k sia un numero primo. Consideriamo adesso il valore di p cal-colato in h + mk :

p(h + mk) = a0 + a1(h + mk) + a2(h + mk)2 + ... + an(h + mk)n Noi diciamo che tale numero non è primo ma è divisibile per k. Infatti consideriamo p(h+mk) – p(h) = a1(h+mk–h)+a2[(h + mk)2 – h2] + ... + an– hn]. Dentro le parentesi quadre abbiamo differenze fra una potenza di un binomio e una potenza di un monomio, tutte e due con lo stesso esponente. Piuttosto che sviluppare le potenze dei bi-nomi, ottenendo espressioni lunghe e complesse, osserviamo che sviluppando(h + mk)p, quale che sia p numero naturale, tutti i termini contengono una potenza di mk tranne il primo che è una potenza “pura” di h. Osserviamo però che tale po-tenza va ad elidersi con il corrispondente termine, posto all’interno della stessa parentesi quadra, che possiede p(h). Quindi il polinomio differenza è divisibile per mk. Per il teo-rema 4 poiché p(h) è divisibile per k anche p(h + mk) deve es-serlo. Soprattutto nel XVIII secolo sono state ottenute altre espres-sioni che generano “molti” numeri primi, come n2 + n + 17 che li genera per ogni n da 0 a 15, o n2 – 79n + 1601 che fornisce numeri primi per ogni n da 0 a 79. Successivamente però è sta-to provato che l’espressione di Eulero: n

2 + n + 41 è quella

che genera il maggior numero di primi distinti, infatti nell’espressione n2 – 79n + 1601, vi sono diversi numeri che si ripetono.

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Nel 1967, H.M. Stork ha pubblicato sul Michican Mathemati-cal Journal il seguente risultato. Teorema 5 Nessun polinomio x x a2 + + , con a > 41 rappresenta numeri primi per a – 1 valori di x. Visti i risultati del teorema 3, si è perciò pensato di ricorrere a formule non polinomiali. Già Fermat nel ‘600 aveva proposto

la formula Fn = 2 12n

+ 40. Egli espresse la sua opinione in una lettera a Frénicle del 1640, basandosi sul fatto che la formula forniva valori corretti fino ad n = 4, come testimoniato dalla tabella seguente. Potrebbe obiettarsi che quattro valori erano pochi per avvalorare una tale congettura, non deve però di-menticarsi che il successivo valore è 4294967297, un numero molto elevato da trattare senza calcolatrici o senza particolari virtù calcolistiche. Fu infatti il grande Leonhard Euler a sco-prire nel 1739 che il detto numero era scomponibile nel pro-dotto di 641 e 6700417.

n 1 2 3 4

Fn = 2 12n

+ 5 17 257 65537

Successivamente, con metodi più raffinati e con l’utilizzo della calcolatrice e dei programmi di matematica simbolica, i quali utilizzano tests molto raffinati e complicati, sono stati fattoriz-zati molti altri numeri di Fermat. Allo stato attuale non si sono trovati numeri di Fermat primi per valori di n successivi a 4 e con molta difficoltà si sono riusciti a fattorizzare alcuni dei successivi.

40 Gauss dimostrò che gli unici poligoni regolari costruibili con riga e

compasso hanno n = 2h ⋅ F1 ⋅ F2 ⋅ … ⋅ Fk in cui Fk indica un numero di Fermat primo.

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I perché della matematica elementare

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Numeri la cui espressione è molto simile a quelli di Fermat sono quelli cosiddetti di Mersenne. Essi sono i numeri del tipo Mn = 2n – 1. Il loro nome è dovuto al fatto che l’abate Mersen-ne, di cui abbiamo già parlato, pur non essendo il primo ad in-teressarsi di questi numeri, nel suo libro Cogita physico–

mathematica del 1644, enunciò diverse congetture relativa-mente a tali numeri. Vediamo di costruire una tavola di alcuni di tali valori. Tralasciando M0 = 0, abbiamo le seguenti fatto-rizzazioni. n 2 3 4 5 6 7 8 Mn 3 7 15 31 63 127 255 Stato Primo Primo 3⋅5 Primo 32⋅7 Primo 3⋅5⋅17

Una prima cosa che si nota è che se n è pari e maggiore di 2, si ottengono numeri composti. In effetti ciò è vero ed è semplice da dimostrare. Vale cioè il seguente risultato. Teorema 6 Mn è composto per ogni n composto. Dimostrazione Sia infatti n = a ⋅ b. Abbiamo allora 2n –1 = 2a⋅b – 1 = 2a⋅b – 1b= = (2a – 1) ⋅ (2a ⋅ (b – 1) + 2a ⋅ (b – 2) + 2a ⋅ (b – 3) + ... + 2a + 1). Per capire meglio la precedente dimostrazione vediamo un e-sempio numerico. Esempio 32 Si ha: 224 – 1 = 23⋅8 – 1 = (28)3 – 13 = (28 – 1) ⋅ (22⋅8 + 28 + 1). Ma anche 224 – 1 = (23)8 – 18 = (23⋅4 – 1) ⋅ (23⋅4 + 1). Quindi i numeri di Mersenne possono essere primi solo se n è un numero primo. Nella tabella precedente si nota che in effet-ti tutti gli Mn sono primi se n è primo. La questione è: è sem-pre vero? No, dato che M23 = 8388607 = 47 ⋅ 178481. Lo stes-

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so Mersenne congetturò che, considerati gli esponenti primi minori o uguali a 257, tali numeri sono primi solo per i se-guenti valori: 2, 3, 5, 7, 13, 17, 19, 31, 67, 127 e 257. Questa congettura si è rivelata falsa, dato che M67 e M257 non sono primi, mentre lo sono M61 (trovato da Pervouchine nel 1883), M89 e M107 (verificati da Powers nel 1911 e nel 1914). Per cu-riosità M31 fu trovato da Eulero nel 1750 e M127 da un altro grande personaggio della teoria dei numeri: Edouard Lucas, nel 1876. In tempi recenti, con i computer sono stati trovati al-tri numeri primi di Mersenne per valori di n superiori a 257. Il primo di questi è M521, che è un numero di 157 cifre ed è stato trovato da Robinson nel 1952. Questo stesso matematico, sempre nel 1952 ha provato che sono primi M607 che ha 183 cifre, M1279 che ha 386 cifre, M2203 che ha 664 cifre e M2281 che ha 687 cifre. Nel 2013, un computer dell'UCLA (Universi-ty of California, Los Angeles) ha scoperto il 45-mo primo di Mersenne, 243112609 – 1, un numero che ha 12978189 cifre e qualche mese dopo Hans-Michael Elvenich il 46-mo, un nu-mero da 11185272 cifre: 237156667 – 1. Per chi volesse avere al-tre informazioni su tali numeri e sullo stato delle ricerche at-torno ad essi può consultare il sito internet: http://www.moregimps.it/mersenne/prime-it.htm. Rimangono ancora congetture i seguenti fatti: Vi sono infiniti

primi di Mersenne? Vi sono infiniti composti di Mersenne? Altri problemi interessanti, sia come curiosità che anche come spunti di lavoro sono i seguenti. In una lettera datata 7 giugno 1742, Christian Goldbach (1690–1764) scrisse a Leonhard Euler, che gli era capitato di notare che prendendo un numero pari questo poteva scriversi sempre come somma di due numeri primi. Goldbach e dopo di lui molti altri hanno verificato che questo è vero per tutti i nu-meri pari fino a mille, ad un milione ad un miliardo e con l’avvento dei moderni e velocissimi computer anche a valori molto più grandi. Però fino ad oggi nessuno è riuscito a dimo-strare la verità o falsità di questa affermazione, che quindi fino a tale data rimane una congettura. Sottolineiamo il fatto che

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l’aver verificato per un numero sempre maggiore di casi la congettura di Goldbach, ha solo aumentato la probabilità che essa sia vera. Se però un giorno qualcuno riuscisse a provare che essa è vera, per il principio di non contraddizione non si potrà mai dimostrare che essa è falsa. Se ciò dovesse accadere vuol dire che una delle due dimostrazioni (o anche tutte due) è sbagliata. Per il principio del terzo escluso però essa deve cer-tamente essere vera o falsa. Un’altra interessante congettura di Goldbach è che ogni numero dispari non primo possa espri-mersi come somma di 3 numeri primi. Anzi la seconda conget-tura è una conseguenza della prima. Infatti se avessimo dimo-strato che ogni numero pari è esprimibile come somma di due primi, consideriamo un numero dispari, per esempio 2n + 1. Possiamo scrivere 2n + 1= 3 + 2 ⋅ (n – 2), essendo il secondo addendo pari, per la presunta validità della congettura di Gol-dbach possiamo scrivere 2n + 1 = 3 + p1 + p2, con p1 e p2 nu-meri primi. Infine un altro problema aperto è quello della infinità dei co-siddetti numeri primi gemelli.

Definizione 13 Due numeri primi p1 e p2 con |p1 – p2| = 2. si dicono primi ge-melli. Esempi di numeri primi gemelli sono le coppie (3, 5), (5, 7), (11, 13), (17, 19). Nel 2014 è stata trovata la coppia 7475 ·  21228307 ± 1 , ciascun numero ha 369762 cifre. Attualmente è la più grande coppia di numeri primi gemelli Per aggiornamenti e ulteriori informazioni si rimanda al sito http://primes.utm.edu/bios/page.php?id=949.

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Attività 1. Utilizzare la dimostrazione del teorema 3 per provare che

n2 + n + 17 e n2 – 79n + 1601 non possono generare solo

numeri primi. 2. Utilizzando un software CAS tabulare n2 + n + 41, n2 + n

+ 17 e n2 – 79n + 1601 per un centinaio di valori, facendo-si scrivere solo i valori per cui essi forniscono numeri primi.

3. Utilizzando il metodo di fattorizzazione di Fermat, fatto-rizzare F5.

4. Utilizzando il metodo di fattorizzazione di Fermat, stabili-re quali fra i numeri di Mersenne, con n numero primo in-feriore a 100 sono primi.

5. Verificare la congettura di Goldbach per tutti i numeri pari fino a 50.

6. Notiamo che alcuni numeri sono esprimibili anche in due modi diversi come somme di due numeri primi. Trovare tutti i numeri pari minori di 100 che verificano quest’ultima proprietà.

7. Cercare il primo numero pari esprimibile in tre modi di-versi come somma di due numeri primi. [22]

8. Cercare il primo numero pari esprimibile in quattro modi diversi come somma di due numeri primi. [34]

9. Cercare fra i primi 100 numeri naturali tutti quelli espri-mibili come somma di tre numeri primi.

10. Determinare tutte le coppie di numeri primi gemelli mino-ri di 1000.

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La scomposizione di un numero in fattori primi Dato che i numeri primi appaiono così importanti ed interes-santi, pensiamo di utilizzarli nella scomposizione di un nume-ro, cioè nella scrittura di un numero come prodotto di numeri non maggiori di esso. Abbiamo visto infatti che ogni numero non primo (composto) si può esprimere in più di un modo co-me prodotto di due o più fattori. Se però imponiamo che i fat-tori siano tutti potenze di numeri primi otteniamo un importan-tissimo risultato, noto come teorema fondamentale dell’aritmetica. Teorema 7 Ogni numero intero può scomporsi in un solo modo come pro-dotto di potenze di fattori primi. Premettiamo sempre un esempio. Esempio 33 Consideriamo il numero 5649105. Esso è divisibile per 3 e si ha: 5649105 = 3 ⋅ 1883035. Il secondo fattore non è primo ma divisibile per 5: 5649105 = 3 ⋅ 5 ⋅ 376607. Ora o 376607 è primo oppure è scomponibile nel prodotto di due primi. Si po-trebbe obiettare che il procedimento potrebbe non finire mai, ma ciò ovviamente non è possibile perché ogni volta il fattore ottenuto è inferiore al precedente, quindi dato che N è un in-sieme bene ordinato (cioè ogni suo sottoinsieme ha minimo), deve arrestarsi arrivando a un minimo numero primo. Adesso ripetiamo il discorso in generale, ottenendo la dimo-strazione. Proviamo intanto che ogni numero intero può scomporsi come prodotto di numeri primi, poi proveremo che tale scomposi-zione è unica. Sia un numero composto n. Dato che esso non è primo potrà scriversi come prodotto di almeno due numeri en-

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trambi diversi da 1 e da n. Supponiamo che sia n = a ⋅ b, con a < n e b < n. Se a e b sono entrambi primi abbiamo finito, di-versamente ripetiamo il procedimento su a e b o comunque su uno dei due che non è primo. Così otteniamo per esempio a = c ⋅ d e b = e⋅ f, con c < a < n, d < a < n, e < b < n, f < b < n. Abbiamo così a = c ⋅ d ⋅ e ⋅ f, ancora una volta se tutti i fattori sono primi abbiamo finito, diversamente ripetiamo il procedi-mento precedente sui numeri che non sono primi. Questo pro-cedimento deve però concludersi perché ad ogni passo trovia-mo numeri naturali sempre minori, quindi otterremo il prodot-to n = q1 ⋅ q2 ⋅ q3 ⋅ ... ⋅ qh, in questa espressione alcuni o tutti i simboli possono rappresentare numeri uguali, applicando quindi le proprietà sulle potenze aventi uguale base, scrivere-mo 1 2

1 2 ... kaa a

kn p p p= ⋅ ⋅ ⋅ , in cui tutte le basi rappresentano nu-

meri diversi. Proviamo adesso l’unicità del teorema. Suppo-niamo che esistano due diverse scomposizioni:

1 2 1 21 2 1 2... ...k ma ba a b b

k mn p p p q q q= ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ ⋅ . Poiché ognuno dei nume-

ri primi indicati con pi divide n deve dividere qualcuno dei qj, ma poiché entrambi sono numeri primi ciò significa che si ha pi = qj. Cioè i fattori primi sono gli stessi, quindi entrambe le espressioni contengono le stesse basi. Si potrebbe pensare che possano essere diversi gli esponenti di basi uguali, ma ciò non è possibile. Infatti se per esempio p1 compare con potenza 3 al primo membro e con potenza 4 al secondo, eliminando il fatto-re comune 3

1p da entrambi i membri ci troveremmo ad avere al

secondo membro il fattore p1, che però manca al primo mem-bro. Fatto assurdo. Una conseguenza del teorema fondamentale dell’aritmetica è che 1 non può essere primo, perché se lo fosse non vi sarebbe più l’unicità della fattorizzazione, infatti per esempio avremmo 12 = 1 ⋅ 22 ⋅ 3, ma anche 12 = 124 ⋅ 22 ⋅ 3 e 12 = 1n ⋅ 22 ⋅ 3, con n un qualsiasi numero naturale. E tutte le fattorizzazioni sareb-bero diverse perché 1 contiene diversi esponenti.

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Concludiamo considerando un bell’esempio di matematica ri-creativa che applica il teorema 7. Esempio 34 Il seguente è una variazione di un quesito proposto all’Università di Stanford negli Stati Uniti, dove si sono tenuti per molti anni delle famose gare matematiche. Due amiche Alessia e Beatrice si incontrano dopo tanto tempo. Alessia chiede a Beatrice se ha figli e quanti anni hanno cia-scuno di essi. Beatrice risponde dicendo che ha tre figli, i nu-meri che esprimono le loro età moltiplicati fra loro hanno un prodotto di 36 e la somma di tali numeri corrisponde al nume-ro civico della porta davanti la quale sono ferme a parlare. A-lessia dice che, pur essendo brava in matematica, non riesce a determinare le tre età, allora Beatrice aggiunge dicendo che il maggiore dei suoi figli ha gli occhi azzurri. Si vuole sapere quanti anni hanno i bambini. Il problema sembra molto complicato e soprattutto l’ultima af-fermazione sembra priva di senso, vedremo invece che è effet-tivamente importantissima. Infatti la prima informazione ci di-ce che i figli possono avere una delle seguenti tre terne di età: (1, 1, 36), (1, 2, 18), (1, 2, 12), (1, 4, 9), (2, 2, 9), (1, 6, 6), (2, 3, 6), (3, 3, 4). Dato che esse sono le uniche terne il cui prodotto fornisce 36. Se le sommiamo otteniamo sempre risul-tati diversi, tranne nei casi 2 + 2 + 9 = 1+ 6 + 6 = 13. Dato che Alessia ha detto di non riuscire a determinare le età dei tre ra-gazzi esse devono essere ferme davanti ad una abitazione po-sta al numero 13. La terza informazione svela l’inghippo, dato che la mamma parla di un maggiore, i due gemelli che vi sono fra i tre figli non possono comprendere il primogenito, come accadrebbe nel caso (1, 6, 6). Quindi i bambini hanno 9, 2 e 2 anni. Il precedente esempio è molto interessante per diversi motivi. Intanto perché mette in gioco delle informazioni apparente-mente prive di senso: gli occhi azzurri del figlio maggiore (in

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effetti la vera informazione è che vi è un figlio maggiore, ma essa è sviata sul colore degli occhi, informazione effettivamen-te ininfluente). Poi perché è una applicazione che riesce a sti-molare la curiosità dello studente. Attività 1. Quali sono i numeri che hanno una sola fattorizzazione,

anche non in numeri primi? [I numeri primi] 2. Quali sono i numeri che hanno due sole fattorizzazioni?

[I quadrati dei numeri primi] 3. Risolvere il problema degli “occhi azzurri” nella sua ver-

sione originaria, ossia con il prodotto delle età pari a 72 anni. [3; 3; 8]

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Massimo comun divisore minimo comune multiplo Consideriamo adesso un’altra questione. Siano n ed m due numeri interi. Ciascuno di essi ha un certo numero di divisori, che inseriamo nei due insiemi Dn e Dm. Consideriamo adesso l’insieme I = Dn ∩ Dm. Intanto osserviamo che I contiene cer-tamente almeno il numero 1, quindi non è l’insieme vuoto. I-noltre I non può contenere più elementi di quanti ne contiene il più piccolo dei due insiemi di divisori. Infine il maggiore degli elementi di I non può essere superiore al minimo fra gli ele-menti massimi di Dn e Dm. Ciò significa che I contiene un e-lemento massimo. Poniamo allora la seguente definizione. Definizione 14 Dati due numeri interi n ed m, diciamo loro massimo comune divisore il più grande dei divisori a essi comune. Un metodo per determinare il MCD di due numeri è quello di scomporre i numeri in fattori primi ed applicare la ben nota re-gola: determinare fattori comuni con il minore esponente. In-fatti il prendere fattori comuni fa sì che prendiamo solo i divi-sori primi comuni ai due numeri, il fatto che il loro esponente sia il minore fa sì che i divisori comuni siano i più grandi pos-sibile. Esempio 35 Determinare MCD(4752, 4536). Abbiamo 4752 = 24 ⋅ 33 ⋅ 11, 4536 = 23 ⋅ 34 ⋅ 7. Quindi MCD(4752, 4536) = 23 ⋅ 33 = 8⋅27 = 216. Un metodo più antico di questo, esposto da Euclide nei suoi Elementi è descritto nel seguente esempio.

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Esempio 36 Determinare MCD(4224, 5040). Consideriamo la divisione di 5040 per 4224 Si ha: 5040 = 4224 + 816. Adesso dividiamo 4224 per 816, ottenendo: 4224 = 816 ⋅ 5 + 144; continuiamo a dividere il divisore per il resto, ottenendo: 816 = 144 ⋅ 5 + 96, 144 = 96 + 48, 96 = 48 ⋅ 2. Adesso scriviamo tutte queste di-suguaglianze una di seguito all’altra. 5040 = 4224 + 816 = (816 ⋅ 5 + 144) + 816 = 816 ⋅ 6 + 144 =

= (144 ⋅ 5 + 96) ⋅ 6 + 144 = 144 ⋅ 30 + 96 ⋅ 6 + 144 = =144 ⋅ 31 + 96 ⋅ 6 = (96 + 48) ⋅ 31 + 96 ⋅ 6 =

= 96 ⋅ 31 + 48 ⋅ 31 + 96 ⋅ 6 = 96 ⋅ 37 + 48 ⋅ 31 = = 48 ⋅ 2 ⋅ 37 + 48 ⋅ 31 = 48 ⋅ 105.

Se le scriviamo a partire dalla seconda invece otteniamo: 816 = 144 ⋅ 5 + 96 = (96 + 48) ⋅ 5 + 96 = 96 ⋅ 5 + 48 ⋅ 5 + 96 =

= 96 ⋅ 6 + 48 ⋅ 5 = 48 ⋅ 2 ⋅ 6 + 48 ⋅ 5 = 48 ⋅ 17. Quindi MCD(4224, 5040) = MCD(48 ⋅ 17, 48 ⋅ 105) = 48. In pratica l’algoritmo di Euclide consiste nell’effettuare le di-visioni successive dei primi due numeri e poi in successione di ogni divisore ottenuto per il relativo resto, finché non si ottiene resto zero. L’ultimo resto non nullo è il massimo comun divi-sore. Vediamo di provare rigorosamente questo risultato. Algoritmo di Euclide Siano m ed n i numeri di cui vogliamo determinare il loro MCD. Sia per esempio m > n. Si ha: m = q1 ⋅ n + r1, con r1 < n. Se r1 = 0, m è multiplo di n che è perciò il MCD cercato. Se invece r1 ≠ 0, scriviamo n = q2 ⋅ r1 + r2, con r2 < r1. Se r2 = 0, vuol dire che n è multiplo di r1, ma anche m lo è, infatti si ha: m = q1 ⋅ n + r1 = q1 ⋅ q2 ⋅ r1 + r1 = (q1 ⋅ q2 + 1) ⋅ r1. Non solo, ma r1 è anche il MCD, dato che m non è divisibile per q2. Questo procedimento può continuarsi fino ad un certo punto, dato che ad ogni passo il resto ottenuto è un numero positivo inferiore al resto precedente, quindi ad un certo momento deve divenire zero.

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Esempio 37 Vediamo di risolvere un problema utilizzando i concetti appe-na introdotti. Supponiamo di avere tre forme di grana che pe-sano 52, 68 e 76 chilogrammi, poiché in tal modo esse sono difficilmente commercializzabili, si vogliono dividere in pezzi più piccoli, ma tutti di uguale peso. Quanto deve pesare cia-scuno dei pezzi in chili interi se il loro numero totale deve es-sere il più piccolo possibile? Se scomponiamo i numeri dei tre pesi abbiamo: 52 = 22 ⋅ 13, 68 = 22 ⋅ 17, 76 = 22 ⋅ 19. Poiché vogliamo dividere le forme in parti tutti uguali e senza spreco è evidente che andiamo a cercare un divisore comune ai tre numeri, poiché inoltre vogliamo ottenere il minor numero pos-sibile di pezzi dobbiamo cercare il loro massimo comune divi-sore, che è 4. Quindi suddividiamo le tre forme in (52 + 68 + 76) : 4 = 196 : 4 = 49 pezzi da 4 Kg. ciascuno. Poiché risulterà interessante nel seguito stabiliamo il seguente concetto. Definizione 15 Due numeri naturali m ed n si diranno coprimi o primi fra di loro se MCD(m, n) = 1. Introduciamo adesso un altro concetto del tutto simile al MCD. Definizione 16 Dati due numeri naturali m ed n, consideriamo gli insiemi Mn e Mm dei loro multipli. Diciamo minimo comune multiplo di m ed n il minimo elemento dell’insieme Mn ∩ Mm. La precedente definizione ha senso. Infatti, gli insiemi Mn e Mm sono chiaramente infiniti, e pure infinito è il loro insieme intersezione. Tale insieme è però un sottoinsieme di N , quindi ammette minimo, dato che N è bene ordinato. Per la determinazione del mcm di due numeri può applicarsi la

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ben nota regola: determinare i fattori comuni e non comuni

con il maggiore esponente. Infatti, debbono considerarsi tutti i fattori primi di entrambi i numeri, per essere sicuri che il loro prodotto contenga tutti i fattori di entrambi i numeri. Il fatto di prendere i maggiori esponenti fa sì che si considerino degli ef-fettivi multipli di m ed n. Vediamo anche in questo caso un’applicazione a un problema. Esempio 38 Tre navi il primo gennaio partono da Ajaccio per andare a Bruxelles dove effettuano un nuovo carico. Lo stesso giorno di arrivo ripartono per Ajaccio dove scaricano ed ancora lo stesso giorno di arrivo ripartono per Bruxelles. Continuano questo andirivieni per tutto l’anno. Sapendo che la prima nave compie un tragitto di andata e ritorno in 12 giorni, la seconda in 16 giorni e la terza in 20, fra quanti giorni ripartiranno da Ajaccio lo stesso giorno? Per risolvere il problema dobbiamo determi-nare un numero che rappresenta i giorni in cui le navi si rin-contreranno, che perciò deve essere multiplo di 11, 16 e 20. Poiché vogliamo sapere quando sarà la prossima volta, calco-leremo il mcm(12, 16, 20) = 240. Vale anche il seguente interessante risultato. Teorema 8 Dati due numeri naturali m ed n, vale la seguente uguaglianza: MCD(m, n) ⋅ mcm(m, n) = m ⋅ n.

Esempio 39

Si ha: MCD(4224, 5040) = MCD(48 ⋅ 17, 48 ⋅ 105) = 48, quindi mcm(4224, 5040) = 48 ⋅ 17 ⋅ 105. E in effetti, come af-ferma il Teorema 8, 48 ⋅ (48 ⋅ 17 ⋅ 105) = 4224 ⋅ 5040. Dicia-mo che l’utilità del teorema è più quella di trovare il MCD co-noscendo il mcm o viceversa. Cioè scrivere:

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( )( )

4224 5040 4224 50404224,5040 443520

4224,5040 48mcm

MCD

⋅ ⋅= = = .

Si potrebbe pensare che il Teorema 8 possa essere facilmente generalizzato per più di due numeri. È cioè vero che per esem-pio MCD(m, n, p) ⋅ mcm(m, n, p) = m ⋅ n ⋅ p? Esempio 40 MCD(2, 3, 5) = 1, mcm(2, 3, 5) = 30, quindi effettivamente MCD(2, 3, 5) ⋅ mcm(2, 3, 5) = 2 ⋅ 3 ⋅ 5. Però MCD(2, 3, 4) = 1, mcm(2, 3, 4) = 12, e MCD(2, 3, 4) ⋅ mcm(2, 3, 4) = 12 ≠ 2 ⋅ 3 ⋅ 4 = 24. L’esempio precedente dice che la generalizzazione proposta è errata. Nel prossimo capitolo vedremo il modo giusto di otte-nerla. Attività 1. Con l’algoritmo euclideo determinare il MCD dei seguenti

gruppi di numeri: (12345, 23456); (123321, 234432); (102132, 213243). [1; 1221; 3]

2. Dal piazzale antistante la stazione di Smallville, alle 7:30 di ogni giorno feriale partono 3 autobus diretti alle tre scuole della cittadina. A causa delle diverse distanze gli autobus hanno una periodicità diversa. In particolare la successiva corsa parte, rispettivamente ogni 8, 10 e 12 minuti. Vo-gliamo sapere quando sarà la prossima volta in cui gli auto-bus partiranno insieme? [24]

3. Brenda ha comprato 24 praline al cioccolato, 32 torroncini e 20 caramelle per fare delle confezioni contenenti lo stesso numero di dolci, sia per tipo che in totale. Quante confezio-ni può fare mettendo in ognuno il massimo numero di dolci di ogni tipo? Quanti dolci di ciascun tipo vi saranno in ogni confezione? [5; 4]

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Il principio di inclusione-esclusione Riprendiamo la questione della generalizzazione a più di due numeri della regola che lega MCD e mcm. Abbiamo visto che essa vale per MCD(2, 3, 5) ⋅ mcm(2, 3, 5) = 2 ⋅ 3 ⋅ 5, mentre non vale per MCD(2, 3, 4) ⋅ mcm(2, 3, 4) ≠ 2 ⋅ 3 ⋅ 4. Qual è la differenza fra i due casi? Che l’MCD è 1. Allora possiamo considerare un caso più debole. Teorema 9 Dati n numeri naturali m1, m2 ed mn, il cui MCD è 1, vale la seguente uguaglianza: MCD(m1, m2, …, mn)⋅ mcm(m1, m2, …, mn) = m1 ⋅ m2 ⋅ … ⋅ mn. Dimostrazione Ovvia, poiché, essendo i numeri tutti a due a due coprimi, evi-dentemente mcm(m1, m2, …, mn) = m1 ⋅ m2 ⋅ … ⋅ mn. Qual è invece il risultato più generale? Partiamo da una que-stione relativa alla teoria degli insiemi, allorché si vogliono “contare” gli elementi dell’unione di due o più insiemi. Nel caso più semplice, l’unione di 2 insiemi, poiché in generale gli insiemi hanno elementi in comune, non possiamo dire che A B A B∪ = + 41. Per esempio se A = {1,2,3} e B = {2,4,6},

si ha A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 6} che ha 5 elementi e non 3 + 3. Questo perché l’unione di insieme considera una sola volta gli elementi comuni, pertanto la relazione corretta è invece: A B A B A B∪ = + − ∩ .

Se gli insiemi diventano tre la situazione si complica ulterior-mente, perché in generale la situazione è quella mostrata in fi-gura seguente.

41 Con il simbolo A indichiamo la cosiddetta cardinalità dell’insieme A,

che quando esso è finito significa il numero di elementi che contiene.

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Quindi per calcolare A B C∪ ∪ , dobbiamo includere gli ele-

menti dei tre insiemi, ma escludere quelli che essi hanno in comune, cioè penseremmo di scrivere la seguente uguaglianza: A B C A B C A B A C B C∪ ∪ = + + − ∩ − ∩ − ∩ , ma in

questo modo abbiamo escluso troppo, perché mentre prima di escludere le intersezioni a due a due avevamo contato per 3 volte A B C∩ ∩ , adesso non lo stiamo contando per niente.

Quindi in generale si ha: A B C A B C A B A C B C A B C∪ ∪ = + + − ∩ − ∩ − ∩ + ∩ ∩ .

Esempio 41 Se A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 3, 5, 6}, C = {4, 5, 6, 7}, allora A ∪ B ∪ C = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7}, mentre A ∩ B = {2, 5}, A ∩ C = {4, 5}, B ∩ C = {5, 6} e A ∩ B ∩ C = {5}. Così

4 4 4 2 2 2 6A B C A B A C B C+ + − ∩ − ∩ − ∩ = + + − − − =

Aumentando il numero di insiemi, aumenta la difficoltà a rap-presentarli con i diagrammi di Eulero-Venn, ma non è difficile convincersi che vale una legge algebrica generale che consiste nell’includere gli elementi di tutti i singoli insiemi, escludere quelli di tutte le intersezioni a due a due, includere quelli delle intersezioni a tre a tre, escludere quelli delle intersezioni a

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quattro a quattro, e così via. Enunciamolo in forma più compatta Principio di inclusione-esclusione Per determinare la cardinalità dell’unione di n insiemi, bisogna includere gli elementi delle intersezioni con un numero dispari di insiemi ed escludere quelle con un numero pari. Il principio ha applicazioni in molti rami della matematica, ma che interesse ha per il nostro problema su MCD e mcm? Da cosa nasce la regola per il calcolo del mcm di 2 numeri? Dal fatto che se moltiplichiamo fra loro i numeri, nel prodotto ot-teniamo 2 volte la "parte" comune, pertanto dobbiamo elimi-narla una volta. Questa "parte" corrisponde al MCD, ecco per-ché dividiamo per essa. Interpretiamo il tutto in termini di e-lementi di insiemi, per calcolare per esempio mcm (12, 20), consideriamo gli insiemi dei divisori dei due numeri, cioè A = {1, 2, 3, 4, 6, 12} e B = {1, 2, 4, 5, 10, 20}. Ovviamente A ∩ B = {1, 2, 4} ha il massimo elemento che è MCD(12, 20). Pertanto per trovare il mcm (12, 20), dobbiamo includere il massimo di A (12) e quello di B (20) e poi escludere il massi-mo della parte contata 2 volte, ossia il MCD(12, 20). In quest’ordine di idee cerchiamo un procedimento analogo per il calcolo del mcm di 3 o più numeri. Notiamo che dire che MCD = 1, è lo stesso che dire che gli in-siemi sono fra loro disgiunti e così riotteniamo il Teorema 9. Esempio 42 Vogliamo trovare mcm(12, 20, 30}, quindi consideriamo la fi-

gura seguente in cui nei tre insiemi ab-

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I perché della matematica elementare

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biamo inserito i divisori dei tre numeri. Per ottenere il minimo comune multiplo, dobbiamo includere il prodotto 12 ⋅ 20 ⋅ 30 dei tre numeri, quindi escludere i divisori comuni a due a due, cioè dividere per MCD(12, 20) ⋅ MCD (12, 30) ⋅MCD (20,30), dobbiamo infine includere i divisori comuni ai tre numeri, cioè MCD(12, 20, 30). Adesso possiamo enunciare il risultato cercato. Teorema 10 Dati n numeri naturali m1, m2, … mn, il loro mcm è dato dal rapporto fra il prodotto di tutti i possibili MCD dei numeri pre-si a gruppi dispari e il prodotto di tutti i possibili MCD dei numeri presi a gruppi pari. Esempio 43

Si ha: ( )12

12,18,20,28mcm =

318⋅

320⋅

528 2 2 4 2⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅

6 4⋅ 4⋅ 2 2 4 2⋅ ⋅ ⋅ ⋅1260= . Infatti:

MCD(12,18,20)=2; MCD(12, 18, 28)=2; MCD(12, 20, 28)= 4; MCD(18, 20, 28) = 4; MCD(12, 18) = 6; MCD(12, 20) = 4; MCD(12, 28) = 4; MCD(18, 20) = 2; MCD(18, 28) = 2; MCD(20, 28) = 4; MCD(12, 18, 20, 28) = 2. Attività

1. Scrivere la regola per calcolare A B C D∪ ∪ ∪ , appli-

candola agli insiemi dei multipli di 4, dei multipli di 6, dei multipli di 10 e dei multipli di 14, tutti inferiori a 100.

2. Usando il Teorema 10, calcolare mcm(210, 1430, 3315). [510510]

3. Usando il Teorema 10, calcolare mcm(10, 12, 15, 18). [180]

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Equazioni indeterminate L’algoritmo di Euclide per la determinazione del MCD di due numeri ha interessanti applicazioni. Uno degli argomenti per così dire “stabili” delle scuole secondarie superiori è quello delle equazioni polinomiali in una incognita, quasi sempre so-lo di I e II grado, e dei problemi che con esse possono risolver-si. In particolare quando le incognite sono più di una si ricorre alla risoluzione di sistemi di equazioni che hanno tante inco-gnite quante equazioni. La ricerca della soluzione unica viene vista come unico problema degno di essere affrontato. In effet-ti nei problemi per così dire pratici, la soluzione unica non esi-ste. Molti problemi hanno più di una soluzione, per cui il com-pito del risolutore è quello di andare a determinare la soluzione “migliore”, dove il precedente aggettivo dipende dagli scopi che intendono perpetrarsi. Nel senso che può cercarsi la solu-zione minima, o quella che verifica una data proprietà. In ef-fetti nella storia delle matematiche, soprattutto in certi periodi, è stato profuso un notevole impegno anche nella risoluzione delle equazioni cosiddette indeterminate. Molti di questi tipi di problemi si trovano in opere indiane (per esempio il Lilavati

42 di Bhaskara scritto nel XII secolo, o il Ganita–Sara–Sangraha scritto da Mahaviracarya nel IX secolo). Vediamo un esempio di un problema enunciato e risolto, senza alcuna giustificazione, da Alcuino di York (735–804), che fu il tutore di Carlo Magno:

42 A proposito di quest’opera vi è un curioso aneddoto, si dice che il suo

autore l’avesse scritto per confortare una delle sue figlie. Infatti egli ave-va molta fiducia nella numerologia, pertanto aveva programmato nei mi-nimi particolari il matrimonio della figlia, non solo nella scelta dello spo-so, ma anche del luogo e dell’ora in cui doveva avvenire. Purtroppo l’orologio ad acqua che doveva stabilire l’esatto momento del matrimo-nio, si inceppò. Quando ci si accorse del fatto era troppo tardi, le con-giunzioni astrali che avrebbero garantito l’eterna felicità del matrimonio erano svanite, quindi svanì anche il matrimonio.

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I perché della matematica elementare

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Si distribuiscono 100 covoni di grano fra 100 persone, in mo-

do che ogni uomo ne riceva 3, ogni donna 2 ed ogni bambino

mezzo. Si vuol sapere quanti sono gli uomini, quante le donne

e quanti i bambini. Alcuino fornisce la risposta senza spiegare come fa: 11 uomi-ni, 15 donne e 74 bambini. Una semplice verifica ci convince della correttezza del risultato, infatti: 11 ⋅ 3 + 15 ⋅ 2 + 74 ⋅ ½ = = 33 + 30 + 37 = 100. Se però andiamo ad impostare le equa-zioni risolventi, u + d + b = 100 e 3u + 2d + ½ b = 100, ci ac-corgiamo di avere una condizione in meno di quelle necessarie affinché possiamo dire che la soluzione, se c’è, è unica. Vediamo come possiamo affrontare in modo rigoroso proble-mi del genere. Esempio 44 Il seguente problema è tratto dal Ganita–Sara–Sangraha. Vi erano 63 mucchi di datteri, ciascuno contenente lo stesso numero di frutti e 7 frutti isolati. Tutti i datteri furono divisi esattamente fra 23 marinai. Quanti frutti vi erano in ogni muc-chio? Molto semplicemente si imposta la seguente equazione risol-vente: 63n + 7 = 23m, in cui n è il numero dei datteri in ogni mucchio, m è il numero di datteri che toccò a ciascun mari-naio. Dalla precedente uguaglianza ricaviamo m, ottenendo

così: nm

=−23 7

63. È evidente che il numeratore deve essere

un multiplo del denominatore e poiché esso si esprime come differenza di due numeri, uno dei quali è 7, ciò significa che m deve essere multiplo di 7, diciamo per esempio m = 7h. Riscri-viamo quindi l’uguaglianza nel modo seguente:

23 7 7 7 (23 1) 23 1

63 7 9 9

h h hn

⋅ − ⋅ − −= = =

⋅. Possiamo allora dire

che 23h –1 deve essere un multiplo di 9, cioè 23h diviso per 9 deve avere per resto 1. Ossia 23h = 9k + 1 che può anche scri-

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versi 18h + 5h = 9k + 1 o anche 9 ⋅ (k – 2h) = 5h –1. Quindi dobbiamo trovare qualche valore di h compreso tra 0 e 8 per cui 5h – 1 è multiplo di 9. Basta provare i diversi valori, tro-

vando così h = 2. Otteniamo così 23 2 1 45

9 9n

⋅ −= = = 5, da cui

m =63 5 7

23

322

2314

⋅ += = .

Ancora un esempio. Esempio 45 Vediamo di risolvere il problema enunciato da Alcuino, cioè il

sistema 100

13 2 100

2

u d b

u d b

+ + =

+ + =

. Ricaviamo una delle tre variabili

da una delle due equazioni e sostituiamo nell’altra, ottenendo: 100 100 100

1 5 400 5300 3 3 2 100 200

2 2 2

u d b u d b u d b

bd b d b d b d

= − − = − − = − −

⇒ ⇒ −− − + + = + = =

.

Dato che d deve essere un numero naturale b deve essere un numero pari ed inoltre 400 – 5b > 0 ⇒ b < 80. In effetti un’altra condizione da imporre è d < 100, quindi otteniamo l’ulteriore condizione 400 – 5b < 200 ⇒ b > 40. D’altro canto deve anche essere u < 100, cioè b + d < 100, il che significa

che b + 400 5

2

− b< 100 ⇒ –3b < –200 ⇒ 66 < b < 80. Quindi

vi sono più di una soluzione, che scriviamo nella seguente ta-bella:

perché poi Alcuino abbia scelto la soluzione (74, 15, 11) non è dato di sapere.

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I perché della matematica elementare

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Cataloghiamo questo tipo di equazioni. Definizione 17 Una equazione polinomiale con due o più incognite a coeffi-cienti interi e per la quale si ricercano soluzioni intere, si chiama equazione diofantea. Le precedente definizione è dovuta al fatto che Diofanto di A-lessandria (vissuto nel III secolo d.C.) nella sua famosa Arit-

metica 43, trattò molti di questi problemi. Vogliamo adesso di enunciare un risultato che ci permetta di dire se una equazione diofantea ammette o no soluzioni. Teorema 11 L’equazione diofantea di I grado a due incognite ax + by = 1

ammette soluzioni solo se MCD(a, b) = 1. Dimostrazione Supponiamo che sia a > b, calcoliamo MCD(a, b) applicando l’algoritmo euclideo. Otteniamo la seguente successione di uguaglianze a = b ⋅ q1 + r1, b = q2 ⋅ r1 + r2, r1 = q3 ⋅ r2 + r3, ... , rn–3 = qn–1 ⋅ rn–2 + rn – 1, rn – 2 = qn ⋅ rn – 1 + rn. Visto che si ha: MCD(a, b) = 1, si ha rn = 1. Partendo dall’ultima di tali ugua-glianze otteniamo: rn = 1 = rn – 2 – qn ⋅ rn – 1. E ancora abbiamo: 1 = rn–2 – qn ⋅ (rn–3 – qn–1 ⋅ rn–2) = (1 + qn ⋅ qn–1) ⋅ rn–2 – qn ⋅ rn–3. Continuando questo processo di sostituzione, otterremo alla fine che 1 si esprime mediante a e b, che vuol dire che esistono due numeri x ed y per cui si può scrivere 1 = ax + by. Ossia la tesi del nostro teorema. Esempio 46 Vogliamo risolvere l’equazione diofantea 17x + 19y = 1. Ab-biamo 19 = 17 ⋅ 1 + 2, da cui 17 = 8 ⋅ 2 + 1 e 8 = 8 ⋅ 1 + 0. Ma 43 Per curiosità ricordiamo che proprio su una copia di tale opera, Fermat

appuntò la sua famosa osservazione sull’equazione xn + yn

= zn.

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allora 1 = 17 – 8 ⋅ 2 = 17 – 8 ⋅ (19 – 17⋅1) = 17 – 8⋅19 + 8⋅17 = = 17 ⋅ 9 – 8 ⋅ 19. Quindi (x = 9, y = –8) è una soluzione dell’equazione data. Vale anche il seguente risultato. Teorema 12 L’equazione diofantea di I grado a due incognite ax + by = c

ammette soluzioni solo se MCD(a, b) è un divisore di c.

Esempio 47

• L’equazione 4x – 6y = 3 non ha soluzioni intere perché MCD(4, 6) = 2 non divide 3.

• L’equazione 24x + 40x = 48 ammette soluzioni intere per-ché MCD(24, 40) = 8 che è un divisore di 48. Essa equivale quindi all’equazione 3x + 5y = 6 che ha soluzioni perché MCD(3, 5) = 1, che divide 6. Vediamo di trovare una solu-zione. Applichiamo l’algoritmo euclideo per determinare il MCD(3, 5). 5 = 3 ⋅ 1 + 2, 3 = 2 ⋅ 1 + 1, 2 = 2 ⋅ 1 + 0. Allora 1 = 3 – 2 ⋅ 1 = 3 – 1 ⋅ (5 – 3) = 3 ⋅ 2 – 5 ⋅ 1. Quindi una so-luzione dell’equazione 3x + 5y = 1 è (x = 2, y = –1), che pe-rò non è l’equazione data. Ma da 1 = 3 ⋅ 2 – 5 ⋅ 1 otteniamo 6 = 3 ⋅ 12 – 5 ⋅ 6, quindi una soluzione dell’equazione ini-ziale è (x = 12, y = –6).

Siamo adesso interessati a determinare la soluzione generale dell’equazione ax + by = c. Vale il seguente fatto. Teorema 13 L’equazione diofantea di I grado a due incognite ax + by = c, se ammette una soluzione x = x0 e y = y0, tutte le sue soluzioni si ottengono dalla formula: x = x0 + t ⋅ b e y = y0 – t ⋅ a, al va-riare del parametro t in Z . Dimostrazione Supponiamo che una soluzione di ax + by = c sia (x0; y0), ciò

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I perché della matematica elementare

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vuol dire che possiamo scrivere ax0 + by0 = c. Sottraiamo membro a membro le precedenti uguaglianze, ottenendo:

a ⋅ (x – x0) + b ⋅ (y – y0) = 0 ⇒ a ⋅ (x – x0) = –b ⋅ (y – y0) Quindi a ⋅ (x – x0) è divisibile per b e poiché a non è divisibile per b vuol dire che lo è (x – x0). Quindi: x – x0 = t ⋅ b. Ma allo-ra è vero che a ⋅ t ⋅ b = –b ⋅ (y – y0) ⇒ a ⋅ t = – y + y0. Possia-mo quindi scrivere: x = x0 + t ⋅ b e y = – a ⋅ t + y0. Queste due scritte costituiscono la tesi cercata.

Esempio 48 Tenuto conto del teorema precedente e dell’esempio 47, pos-siamo dire che (12 + 5t; – 6 – 3t) è la soluzione generale dell’equazione diofantea 3x + 5y = 6. Qual è la minima soluzione positiva? Deve essere 12 + 5t > 0

⇒ 12

5t > − ⇒ t > –2. Quindi x = 12 + 5 ⋅ (–2) = 2, è la minima

x positiva. Allo stesso modo –6 – 3t > 0 ⇒ t < –2 e la minima soluzione positiva di y è y = 3. Dato che i due fatti avvengono per valori di t inconciliabili, possiamo dire che non esiste al-cuna soluzione con entrambi i valori positivi.

Attività 1. Se il 55% degli agnelli nati in un gregge sono maschi ed il

90% sopravvive il primo anno, qual è il minimo numero di agnelli maschi nati affinché alla fine del primo anno ve ne siano 100 vivi? [203]

2. Da un manoscritto arabo del 1200: Un’oca costa 5 drac-me, una gallina 1 dracma e 20 pulcini 1 dracma. Avendo 100 dracme e volendo comprare 100 animali, quanti do-vrai prenderne di ciascun tipo?

[19 oche, 1 gallina, 80 pulcini] 3. Da un manuale tedesco del 1526: In una taverna, 20 per-

sone pagano un conto di 20 dobloni. Vi sono uomini, don-ne e bambini. Sapendo che gli uomini pagano 3 dobloni, le donne 2 ed i bambini ½ doblone, determinare quanti e-

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rano gli uomini, quante le donne e quanti i bambini. [u = 1, d = 5, b = 14]

4. Dal Lilavati di Bhaskara: O matematico, rispondi rapida-mente. Qual è il minimo numero naturale che moltiplicato per 221 ed aumentato di 65 diviene un multiplo di 195?[5]

5. Dal Bija–Ganita di Bhaskara: Un uomo possiede 5 rubini, 8 zaffiri, 7 perle e 92 monete, un altro ha 7 rubini, 9 zaffi-ri, 6 perle e 62 monete. Se i due sono ugualmente ricchi, sai dire qual è il minimo valore espresso in monete, di cia-scun tipo di pietre preziosa?

[Zaffiri 3 monete, perle 1 moneta, rubini 16 monete] 6. Da Problèmes plaisans et delectable qui se font par les

nombres di Gaspar Bachet, signore di Meziriac,del 1612: 41 persone fra uomini, donne e bambini mangiano ad una locanda. Il conto è di 40 soldi. Gli uomini pagano 4 soldi, le donne 3 ed i bambini ½ soldo. Quanti sono gli uomini, quante le donne e quanti i bambini?

[2 uomini, 3 donne e 36 bambini] 7. Un teatro ha 100 posti. Il proprietario vuole incassare 100

euro facendo pagare 5 euro il prezzo intero, 2 euro il ridot-to militari e per ogni 10 ragazzi al di sotto dei 12 anni farà pagare 1 euro. Quanti adulti, militari e ragazzi devono en-trare? [11 adulti, 9 militari e 70 ragazzi]

8. Dall’Algebra di Eulero. Dividi 100 in due addendi, uno divisibile per 7 e l’altro per 11. [44 e 56]

9. Dal Mahaviracarya. Furono raccolte delle mele, che furo-no sistemate in 37 cassette, ciascuna contenente lo stesso numero di frutti. Ogni cassetta conteneva più di 100 e me-no di 200 mele. Sapendo che i raccoglitori erano 79 e che quando si divisero le mele in parti uguali ne avanzarono 17, si vuol sapere quante mele ebbe ciascun raccoglitore e quante ne conteneva ciascuna cassetta. [78 e 167]

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I perché della matematica elementare

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Le congruenze Per affrontare più semplicemente le equazioni indeterminate abbiamo bisogno di introdurre alcuni importanti concetti arit-metici. Riconsideriamo la divisione fra due numeri interi a e b. Sap-piamo che in questo caso si trovano due numeri interi, q ed r tali che si ha a = b ⋅ q + r, con 0 ≤ q < b. Così per esempio ab-biamo 19 = 3 ⋅ 5 + 4. Per indicare questi fatti usiamo una nuo-va terminologia e simbologia.

Definizione 18 Se a = b ⋅ q + r, con 0 ≤ q < b diciamo che a è congruo a r mo-

dulo q e scriviamo a ≡ r (mod q) o, più semplicemente q

a r≡ . Ovviamente dire che a è congruo a r modulo q, è lo stesso che dire che (a – r) è divisibile per q.

Quindi possiamo dire che 19 5

≡ 4, ma anche 19 3

≡ 4, infatti si ha che 19 – 4 = 15 è divisibile sia per 3 che per 5. Valgono importanti proprietà sulle congruenze. Teorema 14

Se q

a r≡ e q

b s≡ allora q

a b r s+ ≡ + ; q

a b r s− ≡ − ; q

a b r s⋅ ≡ ⋅ . Dimostrazione Dalle ipotesi si ha: a = h ⋅ q + r e b = k ⋅ q + s. Sommando termine a termine abbiamo:

a + b = h ⋅ q + r + k ⋅ q + s = (h + k) ⋅ q + r + s che è la prima tesi. Analogo discorso per la seconda se sot-traiamo termine a termine. Infine a ⋅ b = (h ⋅ q + r) ⋅ (k ⋅ q + s) = (h ⋅ k ⋅ q + h ⋅ s + k ⋅ r) ⋅ q + r ⋅ s che è appunto la terza tesi.

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Esempio 49

Dato che 19 5

≡ 4 e 17 5

≡ 2 per il Teorema 14 avremo che an-

che 19 + 17 5

≡ 4 + 2, cioè 36 5

≡ 6. Notiamo che in questo caso 6 è maggiore di 5, allora possiamo togliere 5 a 6 ottenendo

perciò che 36 5

≡ 1. Per le altre proprietà potremo dire anche

che 19 – 17 5

≡ 4 – 2, cioè 2 5

≡ 2. 19 ⋅ 17 5

≡ 4 ⋅ 2, cioè 323 5

≡ 8 o meglio, sempre riducendo a un numero minore del modulo,

323 5

≡ 3. L’ultima parte del teorema 14 ci fornisce uno strumento molto potente per determinare la verità o meno di congruenze i cui termini sono “grandi”. Esempio 50

Determinare il valore di n nella congruenza: 1317 19

≡ n. Il nu-mero 1317 è considerevole (ha 19 cifre), quindi non è opportu-no calcolarlo e dividerlo per 19. Utilizziamo invece il teorema

14. Abbiamo: 13 19

≡ –6 (si ha: 13– (–6) = 19), quindi 132 19

≡ 36,

ma 36 19

≡ –2. Perciò 132 19

≡ –2. Allora 1316 = (132)8 19

≡ (–2)8 =

256 19

≡ 9 . Così 1316 19

≡ 9. Infine 1317 19

≡ (–6) ⋅ 9 = –54 e dato

che –54 19

≡ 3, possiamo dire che 1317 19

≡ 3. Vediamo un’altra proprietà, la cui dimostrazione lasciamo al lettore. Teorema 15

Se a q

≡ r e d è un divisore di q allora a d

≡ r.

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I perché della matematica elementare

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Esempio 51

Poiché 27 12

≡ 3, avremo anche 272

≡ 3, 27 3

≡ 3, 27 4

≡ 3 e 27 6

≡ 3. Adesso vogliamo risolvere equazioni con le congruenze, cioè

equazioni del tipo f(x) r

≡ m, in cui l’incognita è indicata con x, mentre f(x) indica una espressione contenente x. Esempio 52

La congruenza x 5

≡ 3 ammette le infinite soluzioni appartenen-ti all’insieme {..., –7, –2, 3, 8, ...}, oppure, se vogliamo solo le soluzioni positive, quelle appartenenti a {3, 8, 13, ...}. La con-

gruenza x2 – 3 5

≡ 3 ammette le soluzioni positive {1, 6, 11, ...} ∪ {4, 9, 14, ...}, dato che 12 – 3 – 3 = –5 e 42 –3 – 3 = 10 che

sono entrambi multipli di 5. Invece la congruenza x2 – 3 5

≡ 4 non ammette alcuna soluzione, come si verifica facilmente so-stituendo i valori x = 0, 1, 2, 3, 4 (cioè tutti i possibili resti di una divisione con 5 come divisore). Come si è visto nell’esempio precedente vi sono congruenze che hanno infinite soluzioni e congruenze che non hanno solu-zioni. Nel primo caso, dato che in realtà tutte le soluzioni sono congruenti fra di loro si preferisce considerarne solo una di es-se, per esempio la minore positiva. Così nell’esempio prece-dente le soluzioni sono 1 e 2 rispettivamente. In questo modo

una congruenza del tipo f(x) r

≡ m, non può avere più di r solu-zioni. Vediamo di trattare i più semplici tipi di congruenze.

Definizione 19

Una congruenza del tipo ax r

≡ b, si dice congruenza lineare.

Ci accorgiamo che risolvere la congruenza lineare a ⋅ x r

≡ b,

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equivale a risolvere l’equazione indeterminata a ⋅ x – b = r ⋅ y ⇒ a ⋅ x – r ⋅ y = b. Per quel che abbiamo visto nel paragrafo precedente possiamo allora dire che una congruenza lineare

a ⋅ x r

≡ b, ammette soluzioni solo se MCD(a, r) divide b. Esempio 53

La congruenza lineare 6x 3

≡ 5 non ha soluzioni perché MCD(6, 3) = 2 che non divide 5. Invece la congruenza linear

18x 2

≡ 8 ha le soluzioni dell’equazione diofantea 18x – 2y = 8, cioè 9x – y = 4. Ora si nota immediatamente che l’equazione 9x – y = 1 ha soluzione x = 0, y = –1, quindi 9x – y = 4 ha co-me una delle sue soluzioni x = 0, y = –4. Quindi sono soluzioni

tutte le x: x 3

≡ 0, cioè tutti e soli i multipli di 3. Infatti un mul-tiplo di 3 è del tipo 3m, quindi 9x – 3 = 27m – 3 = 3 ⋅ (9m – 1) che è un multiplo di 3. Può capitare di dover risolvere sistemi di congruenze lineari. Esempio 54

Risolvere il seguente sistema di congruenze:

13

17

7

3

x

x

. Risol-

viamo la prima congruenza, ottenendo: x = 13y – 7, per qual-che y∈N . La seconda congruenza invece fornisce le soluzioni: x = 17z – 3, per qualche z∈Z . Devono quindi trovarsi due numeri interi y e z, verificanti l’equazione 13y – 7 = 17z – 3, cioè 13y – 17z = 4. Poiché MCD(13, 17) =1, che divide 4, l’equazione ammette soluzioni. Esse si ottengono mediante il seguente procedimento: 17 = 13 + 4; 13 = 3 ⋅ 4 + 1. Quindi si ha: 1 = 13 – 3 ⋅ 4 = 13 – 3 ⋅ (17 – 13) = 4 ⋅ 13 – 3 ⋅ 17. Una so-luzione di 13y – 17z = 1 è y = 4, z = 3, perciò una soluzione di 13y – 17z = 4 è y = 16, z = 12. Allora si ha: x = 13 ⋅ 16 – 7 =

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I perché della matematica elementare

106

13 ⋅ 17 – 20 . Perciò le soluzioni del sistema sono tutte le solu-

zioni di x 1317⋅

≡ –20. Generalizzando il procedimento descritto nell’esempio prece-dente per risolvere un sistema generico di h congruenze linea-ri, possiamo enunciare il seguente risultato. Teorema 16

Dato un sistema di h congruenze lineari

1

2

1

2

...h

r

r

r

h

x m

x m

x m

≡ ≡

, esso ammet-

te un’unica soluzione solo se mi ( ),i jMCD r r

≡ mj, ∀i,j∈N , 1≤ i, j≤h, i ≠ j. Tale soluzione è congruente modulo il mcm(r1, r2, ..., rh). Il precedente teorema è noto sotto il nome di teorema cinese del resto, poiché anche se non sotto questa forma così rigorosa, esso è stato trovato in un’opera di un certo Sun–Tse, vissuto nei primi anni dell’era cristiana. Vediamo un’applicazione.

Esempio 55 Consideriamo un antico problema di epoca medioevale: Al mercato un cavallo passò sopra il cestino pieno di uova di una donna distruggendole tutte. Il cavaliere si mostrò pronto a pa-gare il danno e chiese alla donna quante uova vi erano nel ce-stino. Lei rispose di non ricordare l’esatto numero. Ricordava però che aveva pensato di raggrupparle a due a due e gliene era avanzato uno. Aveva allora tentato di raggrupparle a tre a tre ed ancora gliene avanzava uno. Le avanzò sempre un uovo raggruppandoli a gruppi di 4, 5 e 6. Finalmente li poté rag-gruppare a 7 a 7. Quante erano al minimo le uova?

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Carmelo Di Stefano

107

Praticamente dobbiamo risolvere il sistema di 6 congruenze

lineari

2

3

4

5

6

7

1

1

1

1

1

0

x

x

x

x

x

x

≡ ≡

. Dato che mcm(2, 3, 4, 5, 6) = 60, le prime cin-

que congruenze possono essere sostituite dall’unica x 60

≡ 1.

Quindi basta risolvere il sistema

60

7

1

0

x

x

. Facilmente si trova la

soluzione: x420

≡ 301, perché mcm(60, 7) = 420.

Attività

1. Calcolare i valori di n nelle seguenti congruenze: 227 23

≡ n;

341 37

≡ n; 11125 41

≡ n; 5217 13

≡ n; 7276 29

≡ n. [9; 21; 3; 5; 24] Risolvere le seguenti congruenze, ottenendo le minime so-

luzioni positive, se esistono.

2. x2

13

≡ 1, x2 – x + 2 7

≡ –1, x3 11

≡ 2, x3 – x –2 12

≡ 5. [12; Nessuna soluzione; 7; Nessuna soluzione]

3. 3x 11

≡ 7, 13x 123

≡ 17, 144x 36

≡ 60, 1234x 12

≡ 5678. [6; 77; Nessuna soluzione; 5]

4. Risolvere il problema delle uova in questa nuova formula-zione: raggruppando le uova a n a n (2 ≤ n ≤ 5) ne riman-gono n – 1, mentre a 7 a 7 non vi sono rimanenze. [119]

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I perché della matematica elementare

108

5. Quattro diverse ditte dovevano completare uno stesso la-voro. La prima ditta aveva 2 uomini, la seconda 3, la terza 6 e la quarta 12. Ciascuna ditta completò il lavoro con tutti gli operai, poi rimasero un giorno di lavoro per 1 persona per la prima ditta, un giorno di lavoro per 2 persone per la seconda ditta, un giorno di lavoro per 5 persone sia per la terza che per la quarta ditta. In quanti giorni di lavoro si completò il lavoro? Si richiede sempre la minima soluzio-ne positiva. [5]

6. Un problema di Regiomontano. Risolvere il sistema: 10

13

17

3

11

15

x

x

x

. [1103]

7. Un problema di Eulero. Risolvere:

11

19

29

3

5

10

x

x

x

. [4128]

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109

Criteri di divisibilità Vediamo di utilizzare i precedenti concetti sulle congruenze per determinare i noti (ed alcuni meno noti) criteri di divisibili-tà. Consideriamo un generico numero intero, la cui espressione è an an –1 an – 2 ... a1a0, in base 10, dove ai indica una cifra, ossia un numero intero compreso tra 0 e 9. Dal significato della no-tazione posizionale possiamo dire che il detto numero può an-che esprimersi nella seguente forma “polinomiale”: k = an ⋅ 10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100. Cominciamo a considerare la divisibilità per 2. Dire che k è divisibile per 2, nella teoria delle congruenze si-gnifica dire che

an⋅10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100 2

≡ 0. Ma i primi n addendi sono congruenti a 0 modulo 2, sono cioè divisibili per 2, dato che contengono almeno un fattore 10. Ciò

significa allora che m 2

≡ 0 solo se a0 2

≡ 0. Possiamo quindi e-nunciare il ben noto Criterio di divisibilità per 2 Un numero naturale m è divisibile per 2 solo se lo è la sua

cifra delle unità.

A questo punto è molto semplice stabilire un criterio di con-

vergenza per 4, infatti m 4

≡ 0 ⇔ (a1 ⋅ 10 + a0) 4

≡ 0, dato che tutti gli altri addendi contengono almeno un fattore 102, che è divisibile per 2. Vale perciò il seguente criterio. Criterio di divisibilità per 4. Un numero naturale m > 9, è divisibile per 4 solo se lo è il

numero formato con le sue cifre della decina e delle unità.

Risulta immediata la generalizzazione alla divisibilità per una potenza di 2.

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I perché della matematica elementare

110

Criterio di divisibilità per 2

n Un numero naturale m > 10n – 1, è divisibile per 2n se lo è il

numero formato con le sue ultime n cifre.

Esempio 56 • Il numero 12345678 è divisibile per 2 ma non per 4, perché

8 è divisibile per 2 ma 78 non è divisibile per 4. • Il numero 12348840 è divisibile per 8, perché 840 = 8 ⋅ 105,

ma non per 16, perché 8840 = 16 ⋅ 552 + 8. Passiamo alla divisibilità per 3.

Abbiamo 10 3

≡ 1, quindi 10n 3

≡ 1, ∀n∈N . Ciò significa che

an ⋅ 10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 1003

≡ 0

⇔ (an + an – 1 + an – 2 +...+ a1 + a0) 3

≡ 0. Da cui segue il ben noto Criterio di divisibilità per 3 Un numero naturale m è divisibile per 3 solo se lo è il numero

formato sommando tutte le sue cifre.

Poiché si ha anche 10 9

≡ 1, il precedente criterio vale anche per tale numero. Criterio di divisibilità per 9 Un numero naturale m è divisibile per 9 solo se lo è il numero

formato sommando tutte le sue cifre.

Invece, dato che 10 27

≡ 10, 102 27

≡ 19, 103 27

≡ 1, non possiamo estendere il precedente criterio di divisibilità a una generica potenza di 3. La divisibilità per 5 è molto facile da ottenere poiché, come è accaduto per il numero 2, tutti gli addendi tranne l’ultimo,

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111

nell’espressione polinomiale del numero sono divisibili per 5,

quindi tutto è delegato alla divisibilità di a0. E poiché a0

5

≡ 0 ⇔ a0 = 0 oppure a0 = 5, abbiamo Criterio di divisibilità per 5 Un numero naturale m è divisibile per 5 solo se la sua cifra

delle unità è 0 oppure 5. Passiamo alla divisibilità per 7. Abbiamo la seguente catena di congruenze:

107

≡ 3, 102 7

≡ 9 7

≡ 2, 103 7

≡ 67

≡ –1, 104 7

≡ 4, 105 7

≡ –2, 106 7

≡ 1. Possiamo perciò dire che

an ⋅ 10n + an – 1 ⋅ 10n – 1 + an – 2 ⋅ 10n – 2 +...+ a1 ⋅ 10 + a0 ⋅ 100 7

≡ 0 ⇔ (a0 + 3 a1 + 2a2 – a3 + 4a4 – 2a5 + a6 + 3 a7 + 2a8 – a9 + 4a10

– 2a11 + a12 +.... 7

≡ 0. Come si vede un criterio molto complicato da tenere a mente. Esempio 57 • 86422 è divisibile per 7 perché (2 + 3 ⋅ 2 + 2 ⋅ 4 – 6 + 4 ⋅ 8)

= 2 + 6 + 8 – 6 + 32 = 42 è divisibile per 7. • Invece 123456789 non è divisibile per 7 perché (9 + 3 ⋅ 8 +

2 ⋅ 7 – 6 + 4 ⋅ 5 – 2 ⋅ 4 + 3 + 3 ⋅ 2 + 2 ⋅ 1) = 9 + 24 + 14 – 6 + 20 –8 + 3 + 6 + 2 = 64 non è divisibile per 7.

Lasciamo al lettore la dimostrazione del ben noto

Criterio di divisibilità per 11 Un numero naturale m è divisibile per 11 solo se la differenza

fra la somma delle sue cifre di posto dispari e la somma delle

sue cifre di posto pari lo è.

Possiamo anche giustificare la cosiddetta prova del 9 per veri-ficare se il risultato di una operazione aritmetica è errato, la

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I perché della matematica elementare

112

regola, come abbiamo già visto, non permette di dire se il ri-

sultato è giusto. Infatti se eseguiamo m + n, allora se m 9

≡ p e

n 9

≡ q, allora m + n 9

≡ p + q. Se ciò non avviene l’operazione non è corretta, se avviene non è detto che lo sia. Esempio 58 Consideriamo l’operazione: 123456 + 58749 = 182105. Ab-

biamo 123456 9

≡ 3 e 58749 9

≡ 6, se l’operazione è corretta do-

vrebbe aversi 182105 ≡ 3 + 6 9

≡ 0, mentre invece si ha si

182105 9

≡ 8. Si noti però che la prova del 9 “funziona” anche con i risultati errati 182106, 190105 e via di questo passo. Attività 1. Determinare un criterio di divisibilità per 25. 2. Determinare un criterio di divisibilità per 5n. 3. Determinare un criterio di divisibilità per 13, 17, 19. 4. Determinare un criterio di divisibilità per 99. 5. Determinare i valori dell’incognita x in modo che siano

veri gli enunciati seguenti: 123x456 è divisibile per 3; 23456x78 è divisibile per 8; 81y1058294x è divisibile per 33. [x = 0, 3, 6, 9; Nessun valore; x + y = 10]

6. Enunciare una prova del 9 per le altre operazioni aritmeti-che elementari.

7. Per numeri “grandi” conviene considerare prove con nu-meri superiori a 9, per esempio 99. Determinare una prova del 99 e verificarla per stabilire se può essere corretta la moltiplicazione 245678 ⋅ 1357931 = 333613772218.

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113

Quanti divisori ha un numero? Vediamo di riprendere un problema che abbiamo già sollevato. Quanti sono i divisori di un numero? Cominciamo a considera-re i casi più semplici. È chiaro che se il numero è primo, per la sua stessa definizione ha solo due divisori. Quanti divisori ha se è il quadrato di un numero primo, come per esempio 25? Pensiamo che non vi siano problemi a dire che essi sono 3, cioè: 1, 5 e 25. Ciò è vero sempre. Per il seguito indichiamo con il simbolo ν(n) il numero di divi-sori di n. Allora indicando con p un generico numero primo, abbiamo ν(p) = 2 e ν(p2) = 3, dato che i divisori di p2 saranno 1, p e p2. Quanti sono i divisori di p3? Anche qui pensiamo che la rispo-sta sia semplice: essi sono 4, cioè 1, p, p

2 e p3. A questo punto possiamo enunciare il seguente risultato generale. Teorema 17

Dato un numero primo p, si ha ν(pn) = n + 1. Il passo successivo sarà quello di considerare un numero che sia prodotto di due numeri primi, come per esempio 15 = 3 ⋅ 5. Quanti saranno i suoi divisori? 4, cioè 1, 3, 5 e 15. Ciò ci con-duce a dire che se n = p1 ⋅ p2, con p1 e p2 numeri primi distinti, si ha: ν(p1 ⋅ p2) = 4, dato che i divisori sono 1, p1, p2 e p1 ⋅ p2. Se i fattori primi di n sono 3: p1, p2 e p3, i suoi divisori saranno 1, p1, p2, p3, p1 ⋅ p2, p1 ⋅ p3, p2 ⋅ p3 e p1 ⋅ p2 ⋅ p3. Sono cioè 8. Pensiamo allora che possa enunciarsi il seguente fatto. Teorema 18 Dato un numero naturale n = p1 ⋅ p2 ⋅ p3 ⋅ ... ⋅ ph, con pi che in-dica un numero primo. Si ha ν(n) = 2h. Dimostrazione Per riprendere un precedente argomento operiamo per indu-zione sul numero dei fattori. Già sappiamo che ν(p) = 21. A-

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114

desso supponiamo che sia n = ν( p1 ⋅ p2 ⋅ p3 ⋅ ... ⋅ ph) = 2h, vo-gliamo provare che si ha: m = ν(p1 ⋅ p2 ⋅p3⋅...⋅ ph ⋅ ph + 1) = 2h + 1. Aggiungendo ph + 1, i divisori di m ovviamente sono quelli di n, che perciò sono 2h, e tutti i prodotti fra questi divisori e ph + 1, che sono ovviamente altrettanti 2h. Infine i divisori di m sono in totale 2h + 2h = 2 ⋅ 2h = 2h + 1. A questo punto manca il teorema generale, cioè il caso in cui si abbia: n = 31 2

1 2 3 ... ha aa a

hp p p p⋅ ⋅ ⋅ ⋅ . Enunciamo e proviamo il

seguente fatto. Teorema 19

Dato un numero naturale 31 21 2 3 ... ha aa a

hn p p p p= ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ , con pi che

indica un numero primo. Si ha

( ) ( ) ( ) ( ) ( )31 21 2 3 1 2 3... 1 1 1 ... 1ha aa a

h hv p p p p a a a a⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = + ⋅ + ⋅ + ⋅ ⋅ + .

Dimostrazione Fra i divisori di n vi sono i divisori di pa

11 che, per quanto vi-

sto nel teorema 17, sono in numero di (a1 + 1). Poi vi sono i divisori di pa

22 che sono in numero di (a2 + 1). Vi sono poi an-

che i divisori ottenuti moltiplicando i divisori di pa

11

per quelli

di pa

22 , ottenendo quindi (a1 + 1) ⋅ (a2 + 1) divisori. Osservia-

mo che quando consideriamo 1 come divisore di pa

11 , moltipli-

cando per i divisori di pa

22 , otteniamo proprio i divisori di

quest’ultimo, analogamente quando moltiplichiamo i divisori di pa

11 per 1. Allo stesso modo avremo che, dati i divisori di

pa

33 , che sono (a3 + 1), i divisori che contengono almeno uno

dei divisori dei tre detti numeri primi saranno (a1 + 1)⋅ (a2 + 1) ⋅ (a3 + 1). Iterando il procedimento otteniamo la tesi del teo-rema. Vediamo di capire meglio la dimostrazione precedente con un esempio.

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115

Esempio 59

Quanti divisori ha il numero 180 = 22 ⋅ 33 ⋅ 5? Vi sono i diviso-ri di 22, che sono 3 (1, 2, 4), quelli di 33 che sono 4 (1, 3, 9, 27) e quelli di 5 che sono 2 (1, 5). Se ora consideriamo il prodotto dei divisori di 22 per quelli di 33 otteniamo i 12 divisori che contengono almeno uno dei fattori di 22 o (vel) di 33. Infine, considerando il prodotto dei 3 divisori di 22 per i 4 divisori di 33 per i 2 divisori di 5, otteniamo i 24 divisori di 180. Ciò coincide con il risultato del teorema 19: (3 + 1) ⋅ (2 + 1) ⋅ (1 + 1) = 4 ⋅ 3 ⋅ 2 = 24.

Attività 1. Tenuto conto dei risultati del teorema 19, determinare per

quali numeri ν(n) è un numero dispari. [Quadrati perfetti] 2. Verificare il teorema 19, calcolando ν(124), ν(123456),

ν(12345678). [6, 28, 24] 3. Trovare i minimi numeri naturali che hanno 2, 3, 4, 5 e 6

divisori. [2; 4; 6; 16; 18]

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116

Una particolare successione di numeri naturali I divisori di una potenza pn

di un numero primo sono {1, p, p2, p

3, …, pn} e rappresentano una particolare struttura aritmetica, che si chiama progressione geometrica. La particolarità consi-ste nel fatto che il rapporto di due elementi successivi della progressione è costante ed è uguale, in questo caso, a p. Tale numero costante si chiama ragione

44 della progressione. Facilmente si trova una relazione fra due qualsiasi elementi di una progressione geometrica, che possono indicarsi con an, in cui n indica il posto che l’elemento occupa nella progressione ordinata. Teorema 20 Dati due distinti elementi ap e at di una stessa progressione ge-ometrica di ragione q, si ha: ap = at ⋅ q

p – t . Dimostrazione Gli elementi di una progressione generica di ragione q, posso-no ovviamente scriversi nel modo seguente: {a1, a1 ⋅ q, a1 ⋅ q

2, a1 ⋅ q

3, …, , a1 ⋅ qn – 1, …}, quindi ap = a1 ⋅ q

p – 1, at = a1 ⋅ qt – 1,

da cui, dividendo termine a termine: 1

11

1

pp p t p t

p tt

t

a a qq a a q

a a q

−− −

⋅= = ⇒ = ⋅

⋅, che è quanto volevamo

provare. Esempio 60 Se di una progressione geometrica di ragione 2, conosciamo il 12° elemento, 512 e vogliamo conoscere il suo terzo elemento, usando il Teorema 20, scriviamo: a3 = a12⋅2

3–12 = 512 ⋅ 2– 9 = 1. Ovviamente non per forza gli elementi di una progressione ge-ometrica debbono essere tutti numeri naturali, così nell’esempio precedente, a2 = 0,5. 44 Dal latino rationem che vale calcolo o conto

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117

Un’altra cosa interessante è quella di trovare una regola per la somma degli elementi di una progressione geometrica. Esempio 61 Quanto vale la somma dei divisori di 35? Cioè quanto fa 1 + 3 + 32 + 33 + 34 + 35? Piuttosto che sommare i numeri così come li calcoliamo, chiamiamo la somma genericamente S, quindi consideriamo 3S = 3 + 32 + 33 + 34 + 35 + 36. Come si vede 3S contiene quasi gli stessi elementi di S, quindi se sottraiamo termine a termine quasi tutti gli elementi si elimineranno. In-fatti 3S – S = 36 – 1, ciò significa che 2S = 36 – 1 ⇒

63 1

2S

−= .

Tenuto conto del precedente esempio facilmente si mostra il risultato più generale. Teorema 21 La somma dei primi k termini consecutivi di una progressione

geometrica di ragione q è: 1

1

1

1

k

k

qS a

q

+ −= ⋅

−.

In particolare il precedente risultato nel caso in cui la progres-sione è quella dei divisori della potenza di un numero primo,

ha somma ( )1

2 11 ...

1

hh h p

p p p pp

σ+ −

= + + + + =−

.

Per trovare quindi la somma dei divisori di un qualsiasi nume-ro, calcoliamo intanto σ(p1 ⋅ p2). Dato che abbiamo visto che i divisori di p1 ⋅ p2 sono 1, p1, p2 e p1 ⋅ p2, abbiamo

σ(p1 ⋅ p2) = 1 + p1 + p2 + p1 ⋅ p2 = 1 + p1 + p2 ⋅ (1 + p1) = = (1 + p1) ⋅ (1 + p2) = σ(p1) ⋅ σ(p2).

È facile generalizzare questo risultato, cioè se MCD(m,n) = 1, allora σ(m ⋅ n) = σ(m) ⋅ σ(n). Da qui il passo è breve per enun-ciare e dimostrare il teorema generale.

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I perché della matematica elementare

118

Teorema 22

Dato un numero naturale 1 21 2 1... haa a

n p p p= ⋅ ⋅ ⋅ , con pi che indica

un numero primo. Si ha ( )1 2 11 1

1 2 11 1...

1 1 1

haa a

hpp p

np p p

σ++ + −− −

= ⋅ ⋅ ⋅− − −

.

Esempio 62 Per il teorema 22 avremo:

( ) ( )3 1 2 1 1 1

3 2 2 1 3 1 5 1360 2 3 5 15 13 6 1170

2 1 3 1 5 1σ σ

+ + +− − −= ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ =

− − −.

In effetti i divisori di 360 sono: {1, 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 15, 18, 20, 24, 30, 36, 40, 45, 60, 72, 90, 120, 180, 360}, la cui somma è appunto 1170. La formula precedente assume una forma particolarmente semplice per le potenze di 2. Infatti si ha:

( )σ 22 1

2 12 1

11n

n

n=−

−= −

++ . Dato che nel seguito useremo tale

argomento, indichiamo con σ0(n) la somma dei divisori di n inferiori ad n. Poniamo cioè σ0(n) = σ(n) – n.

Attività 1. Determinare il 15° elemento di una progressione geome-

trica di ragione 3, il cui terzo elemento è 2. [1062882] 2. Determinare il 5° elemento di una progressione geometri-

ca di ragione 2, il cui 13° elemento è 12288. [48] 3. Determinare la ragione di una progressione geometrica, in

cui sesto e nono elemento sono rispettivamente 1024 e 65536. [4]

4. Determinare la somma dei divisori di 24. [60] 5. Determinare la somma dei divisori di 3240. [10890] 6. Determinare n, sapendo che la somma dei divisori di 2n ⋅

33 ⋅ 52 = 78120. [5] 7. Verificare il teorema 22, calcolando σ(124), σ(123456),

σ(12345678). [224, 327152, 27319968]

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Carmelo Di Stefano

119

Numeri perfetti e numeri amicabili In qualche modo legata ai precedenti problemi è un’altra fun-zione, quella che, dato un numero naturale n, permette di de-terminare quanti dei numeri minori di n sono primi con n. Essa viene di solito indicata con φ(n) e tale valore viene chiamata funzione di Eulero, che per primo pose la questione nel 1760 fornendo anche la soluzione, o anche funzione toziente. Noi, come ormai abbiamo fatto con altre questioni, costruiamo una tabella che possa servirci poi da suggerimento per stabilire una congettura sull’espressione di φ(n).

n 2 3 4 5 6 7 8 9 10 φ(n) 1 2 2 4 2 6 4 6 4 n 11 12 13 14 15 16 17 18 19 φ(n) 10 4 12 6 8 8 16 6 18

Una prima cosa che si nota è che φ(p) = p – 1, se p è un nume-ro primo. Invece non risulta semplice stabilire una relazione per n composto, tranne il fatto che φ(n) è pari per n > 2. Un al-tro caso semplice da calcolare è quando n è potenza di un nu-mero primo: n = ph. Infatti in questo caso i suoi divisori sono 1 e tutti i multipli di p, sono cioè: 1, p, 2p, 3p, ..., (ph – 1 – 2) ⋅ p, (ph – 1 – 1) ⋅ p. Questi sono chiaramente in numero di p

h – 1. Quindi possiamo dire che φ(ph) = ph

– ph – 1 = ph – 1 ⋅ (p – 1) =

pp

h ⋅ −

1

1. A partire da questo fatto enunciamo il risultato

generale che non dimostriamo. Teorema 23

Dato un numero naturale 31 21 2 3 ... ha aa a

hn p p p p= ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ , con pi che

indica un numero primo. Si ha

( )31 21 2 3

1 2 3

1 1 1 1... 1 1 1 ... 1ha aa a

h

h

p p p p np p p p

φ

⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅ − ⋅ − ⋅ − ⋅ ⋅ −

.

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I perché della matematica elementare

120

Strettamente legati agli argomenti che abbiamo trattato in que-sti ultimi paragrafi sono i cosiddetti numeri perfetti. È dire comune che il numero perfetto è 3, poiché nella religione cri-stiana esso rappresenta la divina trinità. Invece in matematica i numeri perfetti sono stati considerati altri. Già Euclide nei suoi elementi trattò di questi numeri, trovando un’interessante for-mula che li riguarda. Vediamo intanto di definirli. Definizione 20 Un numero naturale n, per cui si ha σ0(n) = n, si dice numero perfetto. È evidente che nella somma dei divisori dobbiamo escludere lo stesso n, se no non accadrebbe mai ciò che impone la defi-nizione. Se vogliamo considerare tutti i divisori di n, potrem-mo modificare la definizione 20, nel modo seguente. Definizione 20’. Un numero n, per cui σ(n) = 2n, si dice numero perfetto. Dal punto di vista storico la definizione 20 è più efficace, in-fatti la pretesa perfezione dei detti numeri consiste nel fatto che essi risultano somma delle loro “parti”. A questo fatto, nei secoli sono state fornite diverse altre giustificazioni mistiche. Infatti, come è facile notare il numero 6 = 1 + 2 + 3 è un nu-mero perfetto. Nella religione cristiana Dio creò l’universo in 6 giorni. Ma anche il numero 28 = 1 + 2 + 4 + 7 + 14, è un numero perfetto. La luna gira attorno alla terra in un periodo all’incirca di 28 giorni. Addirittura il già citato Alcuino, disse che la prima creazione del mondo fu perfetta perché compiuta appunto in 6 giorni; la seconda, quella avvenuta dopo il dilu-vio universale, fu invece imperfetta poiché tutti gli essere u-mani furono creati a partire dagli 8 sopravvissuti. Ora si ha: σ(8) – 8 = 1 + 2 + 4 < 8. La somma delle parti di 8 non rag-giunge 8, quindi affinché la seconda creazione potesse essere

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Carmelo Di Stefano

121

considerata perfetta, ad essa “mancava” qualcosa. Alcuino, da buon fanatico, adattò le cose ai suoi interessi; infatti non disse perché se la prima creazione era da considerarsi perfetta, Dio dovette eliminarla parzialmente annegando gli esseri viventi. Comunque a partire anche da tali considerazioni, stabiliamo la seguente ulteriore definizione. Definizione 21 Un numero n, per cui σ(n) < 2n, si dice numero deficiente. Un numero n, per cui σ(n) > 2n, si dice numero abbondante. Torniamo ai numeri perfetti, possiamo usare un CAS e farci calcolare quelli inferiori a 10000. Sorprendentemente essi sono solo in 4: 6, 28, 496 e 8128. Ma torniamo ad Euclide ed al suo risultato che andiamo ad e-nunciare. Teorema 24 Ogni numero n = 2p – 1 ⋅ (2p – 1), con (2p – 1) numero primo, è un numero perfetto. Dimostrazione Abbiamo σ(n) = σ(2p – 1) ⋅ σ[(2p – 1)], dato che (2p – 1) è un numero primo, abbiamo che σ[(2p – 1)] = 1 + 2p – 1 = 2p. Ab-biamo anche osservato che σ(2p – 1) = 2p – 1. Quindi abbiamo: σ(n) = (2p – 1) ⋅ 2p = 2 ⋅ [(2p – 1) ⋅ 2p – 1] = 2n. Questa ugua-glianza costituisce la tesi. Molto tempo dopo, il solito Eulero provò che la precedente condizione non è solo sufficiente ma è anche necessaria per un numero pari. Teorema 25 Ogni numero perfetto pari è della forma n = 2p – 1 ⋅ (2p – 1), con (2p – 1) numero primo. Dimostrazione

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I perché della matematica elementare

122

Poiché n è un numero pari esso si scriverà: n = 2p – 1 ⋅ m, con m numero dispari (anche uguale ad 1). Per provare il teorema dobbiamo quindi far vedere che m = 2p – 1. Dato che n è pro-dotto di due fattori coprimi abbiamo

σ(n) = σ(2p – 1) ⋅ σ(m) = (2p – 1) ⋅ σ(m) Dato che n è un numero perfetto si ha σ(n) = 2n = 2p ⋅ m. Quindi possiamo dire che la seguente è una uguaglianza vera: (2p – 1) ⋅ σ(m) = 2p ⋅ m, che può anche scriversi: (2p – 1) ⋅ [σ0(m) + m] = 2p ⋅ m ⇒ (2p – 1) ⋅ σ0(m) + 2p ⋅ m – m = = 2p ⋅ m ⇒ (2p – 1) ⋅ σ0(m) = m. Ciò significa che σ0(m) è un divisore di m. Ciò può accadere solo se σ0(m) = 1. Ma allora σ(m) = m + 1, cioè m è un numero primo. Non solo, ma l’ultima uguaglianza diviene: 2p – 1 = m. Cioè la tesi. Il teorema precedente mette in relazione i numeri perfetti pari con i numeri di Mersenne. Visto quello che abbiamo detto su tali numeri, i numeri perfetti pari finora conosciuti sono 45, il più grande dei quali è 243112609 ⋅ (243112609 – 1). Un problema tuttora aperto consiste nello stabilire se possano esistere numeri perfetti dispari. I risultati finora ottenuti fanno propendere per una risposta negativa, dato che se esistessero dovrebbe verificare delle condizioni molto restrittive. È stato infatti stabilito che se un tale numero esiste deve essere divisi-bile almeno per otto primi distinti, avere almeno 29 fattori primi, avere almeno 300 cifre ed avere un divisore primo supe-riore a 1020. Infine un’altra classe di numeri che è stata presa in considera-zione sempre per le sue presunte proprietà mistiche, è quella dei numeri amici. Definizione 22

Due numeri naturali m ed n si dicono amici se σ0(n) = σ0(m). La giustificazione della terminologia è la seguente: dato che

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Carmelo Di Stefano

123

ciascun numero è somma delle parti dell’altro vuol dire che i due sono parte uno dell’altro, sono quindi come amici fraterni. Sembra che i primi ad indagare su tali numeri siano stati i Pi-tagorici. Comunque anche nella matematica araba essi hanno giocato un ruolo molto importante. In [O] è riportata una cita-zione di un passo di Ibn Khaldun, vissuto nella seconda metà del 1330, in cui egli dice: «Persone che si occupano di magia assicurano che questi nu-

meri hanno una particolare influenza nello stabilire unione ed

amicizia fra due individui. [...] Essi stabiliscano un legame co-

sì forte fra due persone che esse non possono essere più sepa-

rate. L’autore di Ghaïa e di altri capolavori in quest’arte [la magia] dichiarano che ciò è stato confermato dalla loro espe-

rienza personale». Nonostante questo interesse della numerologia, per molti seco-li l’unica coppia di numeri amici conosciuta è stata (220, 284). Si ha infatti

σ0(220) = σ0(22⋅5⋅11) = ( )2 1

5 1

5 1

11 1

11 13

2 2

− ⋅−

−⋅

−= 7⋅6⋅12 = 504

si ha inoltre

σ0(284) = σ0(22 ⋅ 71) = ( )2 1

71 1

71 13

2

− ⋅−

− = 7 ⋅ 72 = 504.

Si dovette arrivare al solito Fermat per ottenere altre coppie di numeri amici. Il fatto è alquanto strano, poiché il matematico francese determinò una formula utilizzando dei risultati che l’arabo Abu–l–Hasan Thabit ben Korrah aveva già stabilito nel IX secolo. Vediamo il risultato di Fermat. Teorema 26 Sia pn = 3 ⋅ 2n –1 e sia qn = 9 ⋅ 22n–1 – 1. Se esiste un numero naturale n per cui pn – 1, pn e qn sono tutti numeri primi, allora i numeri 2n ⋅ pn – 1 ⋅ pn e 2n ⋅ qn sono amici. Dimostrazione Verifichiamo la proprietà dei numeri amici sulla data coppia. Abbiamo:

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I perché della matematica elementare

124

( )

( ) ( )

2 21 1

0 11

2 21

11

1 12 (2 1)

1 1

3 2 1 1 3 2 1 1(2 1)

3 2 1 1 3 2 1 1

n n n nn n

n n

n n

n

n n

p pp p

p pσ + −

+

− −⋅ ⋅ = − ⋅ ⋅ =

− −

⋅ − − ⋅ − −= − ⋅ ⋅ =

⋅ − − ⋅ − −

= − ⋅⋅ − ⋅ + −

⋅ −⋅

⋅ − ⋅ + −

⋅ −=+

+

( )2 19 2 3 2 1 1

3 2 2

9 2 3 2 1 1

3 2 21

2 2

1

2 1n

n n

n

n n

n

= − ⋅⋅ ⋅ ⋅ −

⋅ ⋅ −⋅

⋅ ⋅ ⋅ −

⋅ ⋅ −=+

+ −

−( )( )

( )

( )

( )2 1

3 2 3 2 1

2 3 2 1

3 2 3 2 1

2 3 2 11

2

2

1 1

1n

n n

n

n n

n

= (2n+1 – 1) ⋅ 3 ⋅ 2n–1 ⋅ 3 ⋅ 2n = 9 ⋅ 22n – 1 ⋅ (2n + 1 –1). Si verifica che anche σ0(2

n ⋅ qn) = 9 ⋅ 22n – 1 ⋅ (2n + 1 – 1). Quindi il teorema è dimostrato. Esempio 63 Utilizzando il teorema 26 troviamo la prima coppia di numeri amici che Fermat determinò nel 1636. Visto che p3 = 3 ⋅ 23 – 1 = 23; p4 = 3 ⋅ 24 – 1 = 47 e q4 = 9 ⋅ 27 – 1 = 1151 sono tutti primi, i numeri 24⋅23⋅47 = 17296 e 24 ⋅ 1151 = 18416 sono amici. In una lettera a Mersenne del 1638 Descartes annunciò di esse-re arrivato autonomamente allo stesso risultato e fornì la terza coppia di numeri amici: 9363584 e 9437056. Nel 1747 il solito Eulero diede una lista di 30 coppie di numeri amici, che suc-cessivamente aumentò a 60. Un fatto alquanto strano è che tut-ti questi grandi matematici, per aver guardato troppo lontano non videro ciò che era sotto i loro occhi. Andati cioè alla ricer-ca di coppie di numeri amici molto “grandi” non si avvidero della coppia 1184 e 1210. Essa fu ottenuta nel 1866 da un gio-vane italiano: Niccolò Paganini, per diversi anni scambiato per il grande musicista. La coppia non può trovarsi con il criterio di Fermat, dato che 1184 = 25 ⋅ 37 e 1210 = 2 ⋅ 5 ⋅ 112, che perciò è solo una condizione sufficiente.

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Carmelo Di Stefano

125

Attività 1. Provare che φ(2n) = 2n – 1. 2. Provare che se p e q sono numeri primi allora φ(p ⋅ q) =

φ(p) ⋅ φ(q). 3. Provare che se MCD(p, q) =1 allora φ(p ⋅ q) = φ(p) ⋅ φ(q). 4. Provare che φ(n2) = n ⋅ φ(n), ∀n∈N . 5. Costruire una tabella per φ(n), per tutti gli n inferiori a

100.

6. Provare che ( ) ( ) ( ) ( )2 3 ... h hp p p p pφ φ φ φ+ + + + = , per

ogni numero primo p. 7. Determinare tutti i numeri naturali n per cui si ha φ(n) = 8.

[15, 16, 20, 24, 30] 8. Provare che φ(n) ≠ 34, per ogni numero naturale n. 9. Provare che tutte le potenze dei numeri primi rappresenta-

no numeri deficienti. 10. Determinare tutti i numeri abbondanti minori di 100. [12,

18, 20, 24, 30, 36, 40, 42, 48, 54, 56, 60, 66, 70, 72, 78, 80, 84, 88, 90, 96, 100]

11. Determinare il minimo numero abbondante dispari. [945] 12. Provare che i numeri perfetti pari possono esprimersi nel

modo seguente: M p

M p( )

( )+

⋅1

2, dove M(p) indica il

numero di Mersenne di esponente p.

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I perché della matematica elementare

126

Periodicità e sviluppo decimale delle frazioni Abbiamo già visto che i numeri razionali sono solo di tre tipi e avevamo preannunciato che avremmo cercato di capire come possiamo capire solo guardando la frazione che tipo di numero razionale rappresenta. Adesso abbiamo gli strumenti per ri-spondere a questa e anche ad altre domande simili. Procediamo al contrario, cioè partiamo dal numero decimale e

cerchiamo di riportarlo sotto forma di frazione m

n.

Se è un numero decimale limitato non vi sono problemi; nel caso più semplice in cui il numero è intero, abbiamo più volte

detto che se m è un multiplo di n allora m

n è un numero intero.

La frazione in questo caso viene detta apparente. Esempio 64 Il numero 3,12467 si porta in frazione semplicemente molti-plicando e dividendo per 105 (5 sono le cifre decimali), quindi

3124673,12467

10000= .

L’esempio precedente ci fa capire come trasformare in frazio-ne un numero decimale limitato A,b1b2...bm (con A abbiamo rappresentato il numero a1a2...an), esso può anche essere scrit-to nel modo seguente: A + 0,b1 + 0,0 b2 + ...+ 0,00..0bm (gli ze-ri in questo caso sono in numero di m). Moltiplicando e divi-dendo numeratore per 10 elevato al numero di zeri presenti in

ciascuna espressione abbiamo: Ab b bm

m+ + + +1 2

210 10 10... . Il che

può anche scriversi nel seguente modo: A b b bm m m

m

m

⋅ + ⋅ + ⋅ + +− −10 10 10

101

12

2 ....

Quindi ogni numero decimale limitato può essere rappresenta-

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Carmelo Di Stefano

127

to da un’unica frazione il cui denominatore è una potenza di 10. In realtà la condizione è troppo forte, vale infatti il seguen-te risultato. Teorema 27 Ogni frazione il cui denominatore contiene solo potenze di 2 o di 5, rappresenta un numero decimale limitato. Dimostrazione

Sia m

p q2 5⋅, supponiamo che sia p ≥ q, moltiplichiamo allora

numeratore e denominatore per 5p – q, ottenendo così la frazio-

ne equivalente: m

p q

p

⋅ −5

10, che è appunto una frazione del tipo

indicato. Se fosse p < q avremmo moltiplicato per 2q – p, otte-

nendo 2

10

q p

q

m−⋅

.

Da quanto visto possiamo anche enunciare il seguente risultato di immediata dimostrazione. Teorema 28 Una frazione il cui denominatore contiene solo potenze di 2 o di 5, rappresenta un numero decimale limitato le cui cifre de-cimali sono quante il massimo fra gli esponenti di 2 e 5, con-tenuti nel denominatore. Esempio 65

La frazione 7

40, rappresenta un numero decimale limitato la

cui parte decimale è formata da tre cifre, poiché 40 = 23 ⋅ 5. In-

fatti si ha: 7

40

7

2 5

7 5

10

175

100 1753

2

3 3=⋅

=⋅

= = , .

Passiamo adesso ai numeri periodici semplici, partendo sem-

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I perché della matematica elementare

128

pre da un esempio. Esempio 66

• Consideriamo il numero periodico semplice 12,345 … se lo moltiplichiamo per 1000 (103, dove 3 sono le cifre del pe-

riodo) otteniamo il numero 12345,345 , che ha lo stesso pe-riodo. Effettuiamo la differenza fra questi due numeri:

( )3 312345,345 12,345 10 12,345 12,345 10 1 12,345− = ⋅ − = − ⋅ .

Pertanto possiamo dire che

12345,345 12,345 12345 12 12333 4111

12,345999 999 999 333

− −= = = =

che è una frazione il cui denominatore non contiene potenze né di 2, né di 5.

• Osserviamo che la periodicità di periodo 9 pone un equivo-

co, infatti per esempio 129 12 117

12,9 139 9

−= = = . E ciò

accade sempre. Quindi diciamo che Regola 4

Non esistono numeri di periodo 9. Si scrive ,9 1a a= + . Adesso enunciamo e dimostriamo il caso generale. Teorema 29 Ogni frazione il cui denominatore non contiene alcuna potenza di 2 e di 5, rappresenta un numero periodico semplice. Dimostrazione Supponiamo di avere il numero periodico semplice

1 2, ... pq A c c c= , consideriamo adesso il numero

1 2 1 210 ... , ...p

p pq Ac c c c c c⋅ = Tale numero ha lo stesso periodo

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129

di q. Sia adesso la differenza 10p ⋅ q – q = q ⋅ (10p – 1) =

=Ac1c2...cp – A ⇒ 1 2 1 2... ...

10 1 9999...99p p

p

p

Ac c c A Ac c c Aq

− −= =

− �����. Quindi q

è una frazione priva di potenze di 2 e di 5, ossia la tesi. Nella dimostrazione precedente abbiamo anche provato la ben nota regola per trasformare un numero periodico semplice in frazione. Regola 5

Si ha: 1 2

1 2

..., ..

9999...99p

p

p

Ac c c AA c c c

−=�����

, cioè al numeratore si scriva

la differenza fra il numero formato dalla parte intera e dal

periodo e il numero formato dalla parte intera, al

denominatore tanti 9 quante sono le cifre del periodo.

A questo punto sembra ovvio il criterio per i numeri periodici misti. Teorema 30 Ogni frazione il cui denominatore contiene potenze di 2 o di 5 e potenze di altri fattori primi con 2 e 5, rappresenta un nume-ro periodico misto. Lasciamo la dimostrazione per esercizio, proponendo un e-sempio numerico. Esempio 67

Consideriamo il numero periodico misto 12,356 , se lo molti-plichiamo per 10 (101, dove 1 è la il numero di cifre dell’antiperiodo) otteniamo il numero periodico semplice

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I perché della matematica elementare

130

123,56 , che abbiamo visto può scriversi 12356 123

999

− è perio-

dico semplice con lo stesso periodo. Ma allora 123,56 12356 123 12233

12,35610 9990 9990

−= = = , che è una frazione il

cui denominatore contiene potenze di 2, e di 5 e potenze diver-se da 2 e 5. La regola per la determinazione della frazione generatrice è la seguente. Regola 6

Si ha: 1 2 1 2 1 2

1 2 1 2

... ... ..., ... ..

999...99000...00n p n

n p

p n

Ab b b c c c Ab b bA b b b c c c

−=

����������, cioè

al numeratore si scriva la differenza fra il numero formato

dalla parte intera, dall’antiperiodo e dal periodo e il numero

formato dalla parte intera e dal periodo, al denominatore tanti

9 quante sono le cifre del periodo seguiti da tanti zeri quante

sono le cifre dell’antiperiodo.

Vogliamo adesso cercare un modo per stabilire l’ampiezza del periodo, noto che sia solo il denominatore della frazione. Vale il seguente risultato. Teorema 31

Data la frazione m

n, con n non contenente solo potenze di 2 o

5, essa rappresenta un numero periodico il cui periodo è for-mato da k termini ed il cui antiperiodo è formato da h termini. Con h e k i minimi numeri naturali verificanti la congruenza

10h n

≡ 10h+k . Non presentiamo la dimostrazione, ma solo degli esempi.

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131

Esempio 68

• Consideriamo la frazione 1

7. Calcoliamo i resti delle suc-

cessive potenze di 10 modulo 7: 10 7

≡ 3, 102 7

≡ 2, 103 7

≡ 6,

104 7

≡ 4, 105 7

≡ 5, 106 7

≡ 1. Vuol dire che 1

7 ha un periodo

di ampiezza 6, e 1

0,1428577

= . In effetti tutte le frazioni

con denominatore 7 e numeratore non multiplo di 7, Rap-presentano numeri di periodo di ampiezza 6. Per esempio 1154

164,8571427

= .

• Consideriamo la frazione 1

12. Calcoliamo: 10

12

≡ –2, 10212

≡ 4,

103 12

≡ 4. A questo punto otterremo sempre lo stesso valore,

quindi 102 ≡ 103 12

≡ 4. Pertanto possiamo dire che 1

12 rap-

presenta un numero periodico misto di ampiezza del perio-do 1, ed ampiezza dell’antiperiodo 2. Effettivamente 1

0,08312

=

Un altro fatto curioso che notiamo è quello mostrato nella se-guente tabella:

1

7

2

7

3

7

4

7

5

7

6

7

0,142857 0, 285714 0, 428571 0,571428 0, 714285 0,857142

Cioè non solo le cifre che compongono i periodi delle sei fra-zioni sono sempre le stesse, ma ciascun periodo è una permu-

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I perché della matematica elementare

132

tazione circolare di un altro, ossia le cifre si ripetono nello stesso ordine, a parte il valore di partenza. Ciò dipende dai ri-sultati delle congruenze delle potenze di 10 modulo 7. Infatti, è facile capire che se moltiplichiamo un numero periodico sem-plice n per 10, non facciamo altro che spostare la virgola di un posto. Così il numero 10n avrà lo stesso periodo di n come ampiezza, ma esso sarà una permutazione ciclica di quello di n

di un passo. Così per esempio 10

7 = 1, 428571 , analogamente

moltiplicando per 100 avremo un numero periodico il cui pe-

riodo avrà effettuato un ciclo di due passi, quindi 100

7 =

14, 285714 e via di questo passo. Poiché 10 7

≡ 3, vuol dire che 3

7 e

10

7 hanno lo stesso periodo, allo stesso modo, poiché si

ha: 102 7

≡ 2, 2

7 avrà lo stesso periodo di

100

7 e via di questo

passo. Ma allora, dato che i resti delle successive potenze di 10

modulo 7 sono 3, 2, 6, 4, 5, 1; possiamo dire che le frazioni 3

7,

2

7,

6

7,

4

7,

5

7si ottengono da

1

7 spostando ciascuna volta di

tanti posti a destra le cifre del suo periodo, quanto la posizione che esse occupano. Mostriamo un esempio su un'altra frazione periodica. Esempio 69 Consideriamo le frazioni di denominatore 13. Abbiamo

10 13

≡ 10, 102 13

≡ 9, 103 13

≡ 12, 104 13

≡ 3, 105 13

≡ 4, 106 13

≡ 1. Quindi le dette frazioni rappresentano numeri periodi di perio-

do di ampiezza 6. Dato che 1

13 = 0, 076923, facilmente pos-

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Carmelo Di Stefano

133

siamo costruire i valori di 10 9 12 3 4

, , , ,13 13 13 13 13

, che sono:

0, 769230 ; 0, 692307 ; 0, 923076 ; 0, 230769 ; 0, 307692 . Notiamo che mancano i valori delle altre sei frazioni proprie, il che di-pende dal fatto che non abbiamo ottenuto tali valori come re-sti. Consideriamo allora le seguenti congruenze:

20 13

≡ 7, 2⋅10213

≡ 5, 2⋅103 13

≡ 11, 2⋅104 13

≡ 6, 2⋅105 13

≡ 8, 2⋅106 13

≡ 2.

Calcoliamo quindi 2

13 = 0,153846 e da tale valore quello delle

rimanenti frazioni: 7

13 = 0,538461;

5

13 = 0, 384615 ;

11

13 = 0,846153 ;

6

13 = 0, 461538 ;

8

13 = 0, 615384 .

Attività 1. Determinare il/i periodo/i delle frazioni di denominatore:

17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 29, 30. 2. Determinare i valori di tutte le frazioni proprie di denomi-

natore 11, 12, 17, 19.

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I perché della matematica elementare

134

Il campo dei numeri reali I Pitagorici pensavano che tutto potesse esprimersi come rap-porto di numeri interi, ossia che esistessero solo i numeri ra-zionali. E in effetti questi numeri sembrano abbastanza, per-ché a differenza degli interi per i quali si procede a salti, nel senso che per ogni numero intero c’è sempre un numero che lo precede e uno che lo segue, ciò non accade per i razionali. In-fatti se il precedente di 7 è 6 e il successivo 8, qual è il prece-dente di 3,14? Non certo 3,13 perché per esempio 3,137 è compreso fra 3,13 e 3,14. E questo ragionamento ci fa capire che non vi è precedente né successivo, perché possiamo ag-giungere cifre a piacere alla parte decimale. Eppure si dice che gli stessi pitagorici, si parla di un certo Ip-paso da Metaponto, mostrarono che non tutte le grandezze so-no commensurabili, cioè possono essere espresse come rappor-to di numeri interi. Secondo Euclide la dimostrazione di questo fatto è aritmetica e procede per assurdo.

Ossia, si supponga che esista una frazione m

n il cui quadrato

faccia 2. Ovviamente la frazione è già ridotta ai minimi termi-

ni. Ora se 2

2 22 2m

m nn

= ⇒ =

, cioè m

2 è un numero pari,

quindi si esprime m = 2h, ma allora: (2h)2 = 2n2 ⇒ 4h

2 = 2n2

⇒ 2h2 = n2. Cioè anche n2 è pari, quindi anche n è pari. Tutto

ciò è assurdo perché avevamo detto che m e n non avevano fat-tori in comune, mentre abbiamo visto che sono entrambi pari. La dimostrazione più probabile effettuata dai pitagorici è inve-ce del tutto geometrica, provando che non è possibile che la diagonale del quadrato sia commensurabile con il lato, cioè che esista una misura del lato di cui la diagonale sia multipla secondo un numero razionale. La dimostrazione avviene anco-

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Carmelo Di Stefano

135

ra per assurdo. Se così fosse, per stabilire il fattore di propor-zionalità non dobbiamo fare altro che riportare il lato sulla diagonale, contando quante volte ci rientra. In figura vediamo che ci entra una volta, ma rimane un pezzo non misurato (indi-cato con colore rosso).

Passiamo allora ai sottomultipli, aritmeticamente consideriamo la prima cifra decimale. Pertanto costruiamo un piccolo qua-drato di diagonale la parte non misurata e ripetiamo il proce-dimento, rimane sempre una parte non misurata.

A questo punto è inutile continuare, perché otterremo sempre un pezzo non misurato, non importa quanto piccolo. In pratica abbiamo parlato del numero che con simbologia

moderna indichiamo con 2 , e lo chiamiamo numero irrazio-nale. Questo è un esempio di numero reale non razionale. In pratica un generico numero irrazionale non è altri che un nu-mero la cui parte decimale non è periodica. E in effetti pos-siamo determinare quante cifre vogliamo dello sviluppo deci-

male di 2 , ma non troveremo mai una parte che, da un certo punto in poi, si ripete. Tutti i radicali quadratici i cui radicandi

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I perché della matematica elementare

136

non sono quadrati perfetti sono numeri irrazionali. Il greco Te-odoro di Cirene (465 a.C. – 398 a.C.) mostrò l’irrazionalità di

a , per a fino a 17, costruendo la cosiddetta spirale che porta il suo nome, di cui forniamo una figura.

Tutti i segmenti in blu misurano 1, mentre quelli in rosso

misurano appunto a , quelli tratteggiati sono i segmenti ra-zionali. Sfruttando queste idee Richard Dedekind (1931 – 1916) nella sua opera del 1872, Stetigkeit und Irrationale Zahlen, intro-dusse le cosiddette sezioni dei numeri razionali, definendo in pratica un numero reale come un’approssimazione di infiniti numeri razionali. Esempio 70

Per definire 2 , consideriamo gli insiemi:

{ } { }2 2; 2 , ; 2A a a B b b= ∈ < = ∈ >ℚ ℚ . Ogni elemento di A e

più piccolo di ogni elemento di B; i due insiemi sono disgiunti, cioè non hanno elementi in comune; ma contengono tutti i numeri razionali. Diciamo che essi definiscono il numero irra-

zionale 2 .

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137

Definiamo meglio quello che abbiamo detto nell’esempio. Definizione 23 Due insiemi numerici A e B per i quali ogni numero di A è mi-nore o uguale di ogni numero di B si dicono insiemi separati. Esempio 71 Gli insiemi { } { }; 4 , ; 5A a a B b b= ∈ < − = ∈ >ℤ ℤ , sono ov-

viamente separati, non lo sono invece l’insieme dei numeri pa-ri e quello dei numeri dispari.

Ma gli insiemi che definiscono 2 sono più che separati. Definizione 24 Due insiemi numerici separati A e B si dicono insiemi contigui, se, comunque si considera un numero positivo c, esistono sempre due numeri, a ∈ A e b ∈ B: b – a < c. In pratica due insiemi contigui sono tali da non ammettere spazio fra di essi, se non per un solo numero, che essi defini-scono. Vale infatti il seguente risultato. Teorema 32 Dati due insiemi separati e contigui, esiste un unico numero s, detto loro elemento separatore, per cui si ha: a ≤ s ≤ b, quali che siano a ∈ A e b ∈ B. Ecco perciò come Dedekind definisce i numeri reali, come gli elementi separatori di due sottoinsiemi di numeri razionali fra loro separati e contigui. Successivamente vedremo di definire i numeri reali con un concetto ancora più moderno, quello di limite di una succes-sione di numeri reali.

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I perché della matematica elementare

138

Adesso possiamo però definire anche le potenze a esponente razionale. Che significato possiamo dare alla scritta 21,5? In-

tanto possiamo scriverla sotto la forma frazionaria: 3

22 . A que-sto punto il significato della potenza è quello di trovare il nu-

mero x, se esiste, per cui si ha 3

22 x= , che possiamo però scri-vere anche nella forma seguente:

232 3 2 322 2 2x x x

= ⇒ = ⇒ =

Generalizziamo il risultato particolare. Definizione 25

Si ha m

mnna a= , nell’ipotesi che il secondo membro abbia si-gnificato. Esempio 72

• Abbiamo ( ) ( ) ( ) ( )3 4 3

4 333 477 3 73 73 3 ; 4 4 4 ; 5 5= − = − = − = − .

• Non ha invece significato ( )5

42− , perché non ha significato

( )5 54 2 32− = − .

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139

Le potenze reali e i logaritmi Adesso possiamo definire la generica potenza ad esponente re-

ale. Che significato diamo alla scritta 22 ? Esempio 73

Abbiamo visto che 2 si può definire mediante la sezione de-

terminata da { } { }2; 2 1;1,4;1,41;1, 414;...A a a= ∈ < =ℚ e da

{ } { }2; 2 2;1,5;1,42;1,412;1,415;...B b b= ∈ > =ℚ , pertanto de-

finiamo 22 , come sezione dei seguenti insiemi di razionali C = {21, 21,4, 21,41, 21,414, …}e D = {22, 21,5, 21,42, 21,415, …}

In vista del precedente esempio possiamo porre la seguente de-finizione. Definizione 26 Dati i numeri reali positivi h e k, con k definito come sezione dei numeri razionali A = {a1, a2, …, an, …} e B = {b1, b2, …, bn, …}, diciamo hk il numero reale definito dalla sezione dei

razionali: { } { }1 2 1 2, ,..., ,... , , ,..., ,...n na ba a b bC h h h D h h h= = .

In tal modo il numero h

k è ovviamente sempre positivo, ma perché abbiamo imposto che debba essere anche h > 0? Esempio 74 Se la definizione precedente valesse anche per basi negative,

allora ( )2

2− dovrebbe essere definito dalla sezione

C={(–2)1; (–2)1,4; (–2)1,41; …}e D={(–2)2, (–2)1,5, (–2)1,42, …}. Purtroppo però non tutti gli elementi di C e di D sono raziona-

li, per esempio non lo è ( ) ( )141

1,41 100 1411002 2 2− = − = − . Lo stesso

accade se la base fosse 0, perché potrebbe capitare che qualcu-

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I perché della matematica elementare

140

no degli elementi della sezione sia 00, che sappiamo non ha si-gnificato, o 0 elevato a un numero negativo che dovrebbe esse-re uguale al reciproco di 0, anche questo senza significato. Definita la potenza possiamo pensare a determinare la sua ope-razione inversa. Ma stiamo commettendo già un errore, dato che l’elevamento a potenza non gode della proprietà commuta-tiva, pertanto determinare la base conoscendo l’esponente e il risultato non è lo stesso procedimento che se conoscessimo la base e il risultato e volessimo determinare l’esponente. In ef-fetti una delle due operazioni, almeno per gli esponenti razio-nali, la conosciamo già. Esempio 75 La soluzione dell’equazione x

3 = 7, è il numero irrazionale 3 7 . L’equazione x4 = – 7, non ha soluzioni reali. Non conosciamo invece l’operazione inversa per ricavare l’esponente. Esempio 76 La soluzione dell’equazione 2x = 8, è il numero intero 3. Non ha soluzione l’equazione 2x = 0 o 2x = – 2. E qual è quella dell’equazione 2x = 7? L’esempio precedente ci ha imposto delle limitazioni, nell’equazione bx = a, sia a che b devono essere positivi. in re-altà c’è un ulteriore limitazione. Esempio 77 La soluzione dell’equazione 2x = 1, è il numero intero 0. L’equazione 1x = 2 non ha soluzione e l’equazione 1x = 1, ha troppe soluzioni, ogni numero reale. Quindi possiamo definire la nuova operazione.

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Definizione 27

La soluzione dell’equazione bx = a (con a > 0, b > 0, b ≠ 1) è il numero reale detto logaritmo in base b ed argomento a, che si indica con logb(a) Dato che il logaritmo è una delle due operazioni inverse

dell’elevamento a potenza, deve verificare proprietà affini a quelle note per tale operazione. Infatti si ha: Teorema 33 Si ha logb(a) + logb(c) = logb(a ⋅ c); logb(a) – logb(c) = logb(a/c); c ⋅ logb(a) = logb(a

c) Dimostrazione Dimostriamo solo la prima. Chiamiamo x = logb(a) e y = logb(c), ciò significa che si ha: b

x = a e by = c. Ma allora a ⋅ c = bx ⋅ by = bx + y, che è lo stesso che dire: logb(a ⋅ c) = x + y, che è proprio quello che volevamo provare. Come si vede le proprietà delle potenze si trasferiscono ai lo-garitmi, con le dovute differenze, nel senso che se moltipli-cando potenze di uguale base si sommano gli esponenti, som-mando logaritmi di uguale base si ottiene un logaritmo di ar-gomento il prodotto degli argomenti. Deve allora esserci anche per i logaritmi una regola dei segni. Cominciamo a stabilire cosa deve accadere affinché un logaritmo rappresenti un nu-mero positivo. Esempio 78 log2(8) = 3 (23 = 8); log2(1) = 0 (20 = 1); log2(1/2) = – 1 (2 –1 = 1/2); log1/2(4) = – 2 ((1/2) –2 = 4); log1/2(1/16) = 4 ((1/2)4 = 1/16). L’esempio precedente è abbastanza esplicativo e in qualche modo mostra la validità del seguente risultato generale.

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I perché della matematica elementare

142

Teorema 34

Si ha: ( )( ) ( )

( ) ( )

0 1, 1 0 1,0 1

0 1

0 1,0 1 0 1, 1b

a b a b

log a a

a b a b

> > > ∨ < < < <

= =< > < < ∨ < < >

Quindi la regola dei segni, rienunciata nella forma il prodotto

di due numeri nella stessa relazione con zero è un numero po-

sitivo; il prodotto di due numeri in diversa relazione con zero

è un numero negativo (dove relazione indica maggiore o mi-nore di), viene adattata al caso dei logaritmi nella forma se-guente Regola 7 Il logaritmo in cui base ed argomento si trovano nella stessa

relazione con uno è un numero positivo; il logaritmo in cui

base ed argomento si trovano in diversa relazione con uno è

un numero negativo.

E infatti se logb(a) = c, allora bc = a ed evidentemente se per esempio è b > 1, allora sarà a > 1 solo se è c > 0, mentre sarà 0 < a < 1 solo se è c < 0. Nella prima figura seguente vi è il grafico di y = 2x; quindi log2(a), sarà positivo quando a > 1, mentre sarà negativo quando 0 < a < 1. Questo vale per ogni funzione y = bx, con b > 1. Invece y = 0,2x ha il secondo dei grafici seguenti, quindi log0,2(a), sarà positivo quando 0 < a < 1, mentre sarà negativo quando a> 1. Questo vale per ogni funzione y = bx, con 0<b<1.

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Il concetto di infinito e i vari tipi di infinito Il concetto di infinito è certamente uno dei più delicati e diffi-cili che si trovano ad affrontare non solo le scienze, ma anche le discipline filosofiche. La prima questione è definire cosa in-tendiamo con il dire che un insieme è infinito. Rispondere che infinito è ciò che non è finito, ovviamente è una non risposta, perché dovremmo chiarire cosa è il finito. Il primo assioma che viene messo in discussione dal concetto di infinito è quello aristotelico che afferma il tutto è maggiore della parte. Questo ci convince tutti, perché certamente la torta intera è più di una delle sue fette. Solo che questo discorso è valido solo se gli in-siemi che prendiamo in considerazione sono finiti, come si ac-corse Galileo Galilei, che nei Discorsi e dimostrazioni mate-

matiche intorno a due nuove scienze, del 1638, fece dire ai suoi personaggi Salviati – Onde se io dirò, i numeri tutti, comprendendo i qua-

drati e i non quadrati, essere più che i quadrati soli, dirò pro-

posizione verissima, non è così?

Simplicio – Non si può dir altrimenti.

Salviati – Interrogando io di poi, quanti siano i numeri qua-

drati, si può con verità rispondere, loro esser tanti quante so-

no le proprie radici, avvenga che ogni quadrato ha la sua ra-

dice, ogni radice il suo quadrato, né quadrato alcuno ha più

d’una sola radice, né radice alcuna più d’un quadrato solo.

Simplicio – Così sia.

Salviati – Ma se io domanderò, quante siano le radici, non si

può negare che elle non siano quante tutti i numeri, poiché

non vi è numero alcuno che non sia radice di qualche quadra-

to; e stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano

quanti tutti i numeri, poiché tanti sono quante le lor radici, e

radici sono tutti i numeri: e pur da principio dicemmo, tutti i

numeri esser assai più che tutti i quadrati, essendo la maggior

parte non quadrati.

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I perché della matematica elementare

144

Galileo osservò che l’insieme dei numeri naturali contiene strettamente l’insieme dei quadrati perfetti, nel senso che è di-verso da quello (3 è naturale ma non è un quadrato). Eppure ogni numero naturale si può associare al proprio quadrato, non ci sono numeri naturali che non hanno quadrato, quindi vuol dire che i numeri naturali sono quanti i quadrati perfetti. Que-sto è un risultato paradossale, nel senso non che sia assurdo, ma che è inatteso. Non ci aspettiamo che qualcosa della quale siamo convinti che sia più grande di un’altra, invece sia a essa uguale. Prima di continuare dobbiamo stabilire se questo ra-gionamento è corretto. Possiamo confrontare due insiemi con il metodo dell’accoppiamento? Certamente sì, poiché in questo modo siamo in grado di stabilire se alla fine della procedura ci rimane qualcosa, e quindi uno dei due insiemi è maggiore dell’altro o no, e perciò sono uguali. Perlomeno nel caso di in-siemi finiti esso funziona senz’altro. Possiamo allora stabilire un concetto di uguaglianza numerica fra insiemi.

Definizione 28 Se vi è una corrispondenza biunivoca di A in B, diciamo che A e B sono equipotenti. Corrisponedenza biunivoca significa appunto che ogni elemen-to di A è accoppiato a uno di B e viceversa, senza che vi siano elementi di A o di B che non abbiano associato alcun elemen-to, né elementi che abbiano associati più di un elemento. Richard Dedekind (1831 – 1916), caratterizzò gli insiemi infi-niti usando l’osservazione di Galileo, e ponendo la seguente definizione. Definizione 29 Diciamo che un insieme A è infinito se può mettersi in corri-spondenza biunivoca con un suo sottoinsieme proprio.

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Definizione 30 Diciamo che l’insieme dei numeri naturali e qualsiasi insieme a esso equipotente ha la potenza del numerabile ed indichiamo tale potenza con il simbolo 0ℵ , che si legge Aleph45 con zero.

Dire che un insieme è numerabile vuol dire che lo possiamo trattare come i numeri naturali, cioè possiamo scrivere i suoi elementi ordinati in modo che essi si possano indicare con un numero naturale, che stabilisce la posizione che occupano, cioè {a1, a2, a3, …, an, …}. Ricordiamo che l’insieme ℕ è be-ne ordinato, cioè che ogni suo sottoinsieme ha un primo ele-mento, cosa che non accade per esempio per l’insieme ℤ dei numeri interi relativi se lo ordiniamo secondo grandezza, ep-pure anche ℤ è numerabile. Esempio 79

Poniamo in relazione gli insiemi ℕ e ℤ , con la seguente leg-ge: a ogni intero positivo associamo il suo doppio (per esem-pio 1 → 2, 2 → 4, 3 → 6, …), a zero associamo 1, a ogni nu-mero negativo associamo il successivo del doppio del loro va-lore assoluto (per esempio –1 → 3, –2 → 5, –3 → 7, …). La relazione così definita è una corrispondenza biunivoca, in-fatti preso un qualsiasi numero intero sappiamo associargli un numero naturale (per esempio al numero intero –540 associa-mo 2 ⋅ 540 + 1 = 1081), e viceversa a ogni numero naturale sappiamo associare un numero intero relativo (per esempio al

numero 673 associamo 673 1

3362

−− = − .

Nell’esempio precedente abbiamo bene ordinando ℤ , dato che lo abbiamo scritto nel modo seguente: {0, 1, –1, 2, –2, …}, e quindi è vero che abbiamo sempre un primo elemento per ogni suo sottoinsieme, ma questo però non è un ordine secondo

45 Aleph è la prima lettera dell’alfabeto ebraico.

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I perché della matematica elementare

146

grandezza, nel senso che non è vero, come invece succede in ℕ che ogni elemento, escluso il primo, cioè 1, è più grande di tutti quelli che lo precedono di posizione. Però è un ordine, da-to che appunto possiamo definire una nuova relazione dicendo che un elemento è minore di un altro se lo precede nella se-quenza, ovviamente in questo modo avremo il risultato inatte-so che si avrà per esempio 1 < –1, che non è assurdo, ma sem-plicemente strano, dato che è appunto un ordine diverso da quello per così dire naturale. Ovviamente potremmo inventare infinite leggi per mettere in corrispondenza biunivoca ℕ e ℤ e quindi per bene ordinare ℤ . Vale anche il seguente risultato. Teorema 35 L’unione di insiemi numerabili è numerabile. Dimostrazione Consideriamo il caso di solo due insiemi, facilmente potrà ge-neralizzarsi. Siano A = {a1, a2,…, an,…} e B = {b1, b2, …, bn,…}, facil-mente possiamo ordinare A ∪ B, infatti scriviamo {a1, b1,a2, b2, …, an, bn,…} che è un buon ordinamento. Si potrebbe o-biettare che A e B possono non essere disgiunti, e quindi in questo modo nella nostra sequenza vi sono elementi ripetuti, basta semplicemente eliminarli, senza che ciò incida sulla nu-merabilità. Che gli interi e i razionali siano tanti quanti non sorprende più di tanto, più strano è invece che anche i razionali non sono più

dei naturali. Sembra cioè molto strano che i numeri razionali per i quali non vi è il concetto di precedente e di successivo, come già osservato, possano poi scriversi in un ordine per il quale invece questi concetti hanno senso. Ma il grande mate-matico tedesco di origine russe George Cantor (1845 – 1918), provò il seguente risultato.

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Teorema 36

L’insieme ℚ dei numeri razionali è numerabile. Dimostrazione Ordiniamo intanto solo i razionali non negativi che scriviamo come mostrato di seguito.

0

11

11 2

2 11 3

3 11 2 3 4

4 3 2 1............................

In pratica in ogni riga scriviamo tutte le frazioni a/b, ridotte ai minimi termini, in modo tale che a + b sia uguale alla posizio-ne che occupa la riga. Così nella prima riga vi è l’unica frazio-ne che, ridotta ai minimi termini, ha per somma dei suoi ter-mini 1, nella seconda quella di somma 2, in generale nella n–esima quelle frazioni ridotte ai minimi termini, il cui numera-tore e denominatore hanno somma n. All’interno di ciascuna riga scriviamo le frazioni ordinate in modo che sia scritta per prima quella che ha il numeratore minore. In questo modo nel-la tabella abbiamo scritto tutti i numeri razionali. Vogliamo far vedere che questo potrebbe costituire il buon ordinamento che cerchiamo. Dobbiamo perciò costruire la relazione che pone in corrispondenza biunivoca i razionali con i naturali, e per far ciò usiamo il cosiddetto primo procedimento diagonale di

Cantor, che consiste nel toccare tutti gli elementi della tabella nel modo indicato di seguito.

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I perché della matematica elementare

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0

11

11 2

2 11 3

3 11 2 3 4

4 3 2 1...........................

→ → →

ւ

ւ

ւ

Così avremo la seguente corrispondenza biunivoca 0 1 1 2 1 3 1 2 3 4

1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10,...1 1 2 1 3 1 4 3 2 1

→ → → → → → → → → →

Quindi +ℚ è numerabile, d’altro canto + −= ∪ℚ ℚ ℚ , e quindi

per il Teorema 35, anche ℚ è numerabile. Perciò il buon ordine dei razionali positivi è il seguente.

0

0 1 1 2 1 3 1 2 3 4, , , , , , , , , ,...

1 1 2 1 3 1 4 3 2 1+

=

Ovviamente anche in questo caso avremo un ordine che non coincide con quello naturale, dato che per esempio si avrà 1 1

1 2< . A questo punto potrebbe sembrare che qualsiasi insieme

infinito sia numerabile. Ciò non è affatto vero. Teorema 37 L’insieme ℝ dei numeri reali non è numerabile. Dimostrazione Stavolta usiamo il cosiddetto secondo principio diagonale di

Cantor. Supponiamo per assurdo che ℝ sia numerabile, ciò significa che si può scrivere ℝ = {r1, r2, r3, …, rn, …}. Ades-so facciamo vedere invece che esiste un numero reale a cui

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149

non è associato alcun numero naturale. Un numero reale lo possiamo scrivere z,a1a2a3a4…. In cui le ai sono cifre che po-trebbero anche essere tutte uguali fra di loro, come nei numeri interi in cui sono tutte uguali a zero, o tutte che non seguono

una semplice legge, come quelle di 2 . Supponiamo che si abbia per esempio r1 = – 2,12437…; r2 = 122,41903…; r3 = 0,12983…; r4 = – 47,02578…; … Costruiamo adesso un numero reale che è diverso da ciascuno dei numeri reali indi-cati con ri, semplicemente scrivendo un numero la cui parte in-tera è 0, la sua prima cifra decimale è diversa dalla prima cifra decimale di r1, la sua seconda cifra decimale è diversa dalla seconda cifra decimale di r2, la sua terza cifra decimale è di-versa dalla terza cifra decimale di r3, e in generale la sua n–esima cifra decimale è diversa dalla n–sima cifra decimale di rn. Ovviamente faremmo sempre in modo da evitare il periodo 9. Questo numero che potrà essere, con i dati da noi scelti, per esempio 0,2643..., è un numero reale ma è diverso da ogni ri. Quindi abbiamo la tesi.

Attività 1. Porre in corrispondenza biunivoca ℤ con i naturali pari. 2. Trovare un buon ordinamento di ℤ diverso da quello pro-

posto. 3. Trovare un buon ordinamento di ℚ diverso da quello

proposto. 4. Mostrare che sono numerabili i seguenti insiemi:

1 3 5, , ,...

3 5 7

, l’insieme dei multipli di 8; {1, 8, …, n3, …}

5. Provare che l’insieme dei numeri reali negativi non può essere numerabile.

6. Provare che l’insieme dei numeri irrazionali non può esse-re numerabile.

7. Provare che un segmento di lunghezza 1 ha “tanti punti” quanto una retta.

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I perché della matematica elementare

150

8. Supponiamo che in una certa galassia esista l’hotel di Hil-bert, formato da infinite stanze, ciascuna con un ben de-terminato numero intero posto sulla sua porta. Un certo giorno l’hotel risulta esaurito, tutte le sue infinite stanze sono occupate da infiniti ospiti. La sera giunge un altro ospite. L’albergatore riesce ugualmente ad alloggiarlo in una stanza, facendo spostare ciascun ospite nella camera successiva, lasciando così vuota la prima camera che sarà perciò destinata all’ospite sopraggiunto. Mostrare che è possibile sistemare nell’hotel di Hilbert esaurito altri 10 clienti.

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Carmelo Di Stefano

151

I limiti e i calcoli all’infinito Ripartiamo dalla definizione dei numeri reali come elementi di separazione delle sezioni di numeri razionali. Questo discorso può essere migliorato considerando particolari sezioni dei nu-meri razionali.

Sia per esempio 1

1 ,n

A nn

= + ∈

ℕ . Questo è un sottoin-

sieme infinito dei numeri razionali, dato che la potenza intera di un numero razionale è ancora un numero razionale. Da un punto di vista storico questo insieme è molto importante per-ché definisce un importantissimo numero reale. Vogliamo ve-dere come ciò accade. Intanto cerchiamo di capire da cosa na-sce l’esigenza di considerare un insieme simile. In economia particolare rilevanza ha la questione della cosid-detta capitalizzazione, ossia la questione di prestare una som-ma a qualcuno (in genere una banca o una società, ma anche lo stesso Stato) per un certo periodo di tempo, ricevendo in cam-bio un interesse, ossia una somma percentuale a intervalli temporali prefissati, per tutta la durata del prestito, oltre ov-viamente al capitale prestato alla fine. Per esempio i cosiddetti BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) pagano un interesse fisso, sempre lo stesso per la durata del prestito, a cadenze semestra-li. Esempio 80 Se acquistiamo 10000 euro di BTP al 3%, ogni sei mesi rice-veremo come interesse la somma di 150 euro (l’interesse è an-nuale, quindi è 1,50% al semestre) decurtata dalle tasse. E ciò accadrà ogni sei mesi fino alla scadenza naturale del prestito o a qualche fatto eccezionale che comporti un rimborso anticipa-to del prestito. Il precedente esempio rappresenta la cosiddetta capitalizzazio-

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I perché della matematica elementare

152

ne semplice, che consiste appunto nel pagamento sempre u-guale di una data somma a intervalli di tempo sempre uguali. Ci sono però altri tipi di capitalizzazione. Esempio 81 Alcune società emettono delle obbligazioni in cui l’interesse viene maturato (fisso o variabile) sempre a scadenze prefissa-te, ma invece di essere liquidato viene aggiunto al capitale. In tal modo, poiché l’interesse è sul capitale maturato e non su quello iniziale, alla scadenza successiva si incamererà una quota maggiore di interesse. Così mentre nel caso del BTP precedente, riceviamo sempre 150 euro lordi ogni sei mesi e alla fine del prestito ci vengono restituiti i nostri 10000 euro, in questo modo, il primo semestre i nostri 150 euro aumente-ranno il capitale, che varrà 10150 euro, pertanto il secondo semestre l’interesse maturato non sarà più di 150 euro, bensì di 10150 ⋅ 0,015 = 152,25 euro. E il semestre successivo sarà 10302,25 ⋅ 0,015 = 154,53 euro, e così via. Non è difficile mostrare la validità del seguente risultato gene-rale. Teorema 38 Un capitale iniziale C0, investito a un tasso periodico i in re-gime di capitalizzazione composta, dopo n periodi diviene:

Cn = C0 ⋅ (1 + i)n

Dimostrazione Alla fine del primo periodo il capitale sarà

C1 = C0 + C0 ⋅ i = C0 ⋅ (1 + i). Alla fine del secondo periodo diventerà C2 = C1 + C1⋅i = C1⋅(1 + i) = C0 ⋅ (1 + i) ⋅ (1 + i) = C0 ⋅ (1 + i)2. Non è difficile capire che si avrà anche C3 = C0 ⋅ (1 + i)3; C4 = C0 ⋅ (1 + i)4; e quindi in generale:

Cn = C0 ⋅ (1+ i)n.

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Carmelo Di Stefano

153

Un caso molto interessante è quando l’interesse dipende dal

periodo, ed è uguale al suo reciproco. Cioè 1

in

= . In questo

caso la legge diviene 0

11

n

nC C

n

= ⋅ +

. Ecco quindi da dove

nasce il nostro sottoinsieme. In effetti potrebbe sembrare poco realistica una capitalizzazione in cui l’interesse diminuisca con il passare del tempo, ma ciò non è vero, ci sono diversi casi di obbligazioni reali che operano in questo modo. Un esempio interessante si ha nei mutui, in cui il cosiddetto interesse pas-sivo, ossia la quota del prestito su cui si può usufruire del rim-borso di una parte nella dichiarazione dei redditi, diminuisce in percentuale proprio con l’aumentare del numero delle rate. Studiamo adesso gli elementi del nostro sottoinsieme. Esempio 82 Usando una calcolatrice o un CAS vediamo che il 10° elemen-

to di A è 10

11 2,5937

10

+ ≈

, il 100° elemento è

1001

1 2,7048100

+ ≈

, il 1000° è

10001

1 2,71691000

+ ≈

.

In pratica ci accorgiamo che gli elementi ordinati di A si as-

somigliano fra di loro all’aumentare della loro posizione, nel senso che la differenza fra due elementi successivi si avvicina sempre di più a zero all’aumentare della posizione. Quello che succede è che scorrendo gli elementi assistiamo a un processo di sistemazione delle cifre, nel senso che, a partire da un certo elemento in poi, tutti quelli che lo seguono hanno la stessa par-te intera (ciò succede già a partire dal primo elemento), da un altro elemento hanno tutti la stessa prima cifra decimale (tutti hanno prima cifra uguale a 7, da n = 74) e così via. Usando una simbologia più efficace scriviamo nel modo se-

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I perché della matematica elementare

154

guente: 1

lim 1 2,718281828459045...n

n n→∞

+ =

Questo numero

si indica con il simbolo e. Non è un numero razionale, anche se inizialmente sembrava un numero periodico misto di perio-do 8281. Lo stiamo definendo mediante una successione di numeri razionali che rappresentano una sua approssimazione per difetto, dato che tutti i numeri sono a esso inferiori, anzi ogni numero è minore di quello che lo segue. Poniamo adesso una definizione generale per processi simili a questo. Definizione 31 Diciamo che il limite di una successione {an}n è il numero rea-le ℓ e scriviamo lim

nn

a→∞

= ℓ , se comunque fissiamo un numero

positivo ε a piacere, esiste un numero naturale h, a partire dal quale tutte le differenze |an – ℓ | risultano minori di ε. La precedente definizione supera il problema causato dall’intuizione, secondo la quale per esempio, dopo avere otte-

nuto, per la successione 1

1 ,n

A nn

= + ∈

ℕ , valori che si

stabilizzano attorno a 2,71828182, avremmo detto che il limite

è il numero razionale 2,718281 . Infatti se così fosse, sceglien-

do ε = 10–10, comunque consideriamo un elemento della suc-

cessione dovrebbe accadere |an – 2,718281 | < 10–10 e invece ciò non succede perché a un certo punto otterremo invece

an = 2,718281828… e |2,71828182845… – 2,718281 | ≈ 0,00000000027 > 10–10 e tutti gli elementi successivi ad an ve-rificheranno la stessa disuguaglianza. In pratica è come se avessimo definito il numero e come se-zione dei seguenti insiemi di numeri razionali A = {2; 2,7; 2,71; 2,718; 2,7182; 2,71828; 2,718281; 2,7182818; 2,71828182; 2,718281828, …} e B = {3; 2,8;

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Carmelo Di Stefano

155

2,72; 2,719; 2,7183; 2,71829; 2,718282; 2,7182819; 2,71828183; 2,718281829, …}, in cui i generici elementi an e bn che occupano la ennesima posizione, verificano la proprietà bn = an + 10n – 1. Attività Verificare la validità dei seguenti limiti, calcolando alcuni va-lori a piacere delle relative successioni.

11lim 1

n

ne

n

→∞

− =

;

2

1lim 1 1

n

n n→∞

+ =

;

2

2

1lim 1

n

ne

n→∞

+ =

2 1lim 1

2 1n

n

n→∞

−=

+ ;

3 2lim 3

3n

n

n→∞

−=

+;

2

3

1lim 0n

n

n→∞

−=

( )lim 1 0n

n n→∞

+ − = ; 3

lim 2 2n n→∞

+ = ; 1

lim2 3 2n

n n

n→∞

+=

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I perché della matematica elementare

156

La strana aritmetica dei limiti Abbiamo definito il concetto di limite per successioni che con-

vergono cioè che si avvicinano a un numero, e lo abbiamo usa-to in modo intuitivo e, visto lo scopo di questo lavoro, conti-nueremo a fare in questo modo. Definiamo adesso il limite per successioni che invece tendono ad assumere valori sempre più grandi senza alcuna limitazio-ne. Se consideriamo la successione {n} dei numeri naturali, è ovvio che essa non si avvicina ad alcun numero, ma all’aumentare della posizione presenta elementi sempre più grandi, diciamo che diverge positivamente. Definizione 32

Diciamo che il limite di una successione {an}n è +∞ e scrivia-mo lim

nn

a→∞

= +∞ , se comunque fissiamo un numero positivo M

a piacere, esiste un numero naturale h, a partire dal quale tutti

gli elementi della successione sono maggiori di M. Esempio 83 È importante che la proprietà valga per tutti gli elementi a par-

tire da un dato posto. Per esempio la successione {1, –2, 3, –4, …, –2n, 2n + 1, …} formata dai naturali cambiando il segno a tutti i numeri pari, contiene numeri più grandi di qualsiasi nu-mero fissato, ma non è divergente a più infinito. Infatti qual-siasi numero positivo M fissiamo e qualsiasi elemento della successione consideriamo non sarà possibile che tutti gli ele-menti successivi a questo siano maggiori di M, perché fra que-sti ci sono sempre infiniti numeri negativi. Vogliamo mostrare che l’aritmetica dei limiti è molto diversa da quella dei numeri reali. Abbiamo detto che la scritta 1/0 è priva di senso nei numeri reali, mentre non lo è nell’aritmetica dei limiti.

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Carmelo Di Stefano

157

Esempio 84 Consideriamo la successione {n} che abbiamo già visto essere divergente a più infinito. Essa può anche scriversi nella forma

11

nn

. Se n aumenta a dismisura, il suo reciproco diminuisce a

dismisura, per esempio 5050

110

10−= , che è numero molto pros-

simo a zero. Non è difficile capire che possiamo dire che si ha: 1

lim 0n n→∞

= . Ciò significa che, dal punto di vista aritmetico,

1lim lim 1:n n

nn→∞ →∞

= = +∞

, cioè per i limiti vale la seguente u-

guaglianza: 1/0 = + ∞. Ma accade qualcosa di ancora più sorprendente perché non va-le neanche la più sicura delle operazioni aritmetiche secondo la quale 1 + 1 = 2, che in generale afferma che x + x = 2x. Esempio 85 È facile convincersi della validità di questa uguaglian-za: lim lim 2

n nn n

→∞ →∞= +∞ ⇒ = +∞ . Cioè n + n = n, dato che ai fini

dei limiti n e 2n sono da considerarsi equivalenti. Ma vi è di più, perché vale la cosiddetta legge del più forte. Esempio 86

Si ha ovviamente: 2limn

n→∞

= +∞ e ( )limn

n→∞

− = −∞ , allora quanto

vale ( )2limn

n n→∞

− ? Fosse stata una somma non avremmo avuto

problemi a dire che il risultato sarebbe stato ancora + ∞. Ma per la differenza? Se ragioniamo con l’aritmetica dei numeri, e

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I perché della matematica elementare

158

consideriamo il simbolo + ∞ alla stregua di un numero ci tro-veremmo davanti all’operazione + ∞ – ∞, che pensiamo debba fare 0. Ma così non è, come ci convinciamo facilmente consi-derando per esempio il 1000° elemento della successione che sarà 10002 – 1000, un numero molto distante da zero. In effetti

scrivendo ( ) ( )2lim lim 1n

n

n n n n→∞

→∞

− = ⋅ − , ci rendiamo conto che

la differenza non è altri che un prodotto fra due numeri grandi

e perciò ci convinciamo che si ha ( )2limn

n n→∞

− = +∞ .

Vale quindi il cosiddetto Principio di sostituzione degli infiniti per le potenze

Si ha ( ) ( )31 21 2 3 1 2lim ... lim , , ,...,k Mb bb b b

k M M kn n

an a n a n a n a n b Max b b b→∞ →∞

+ + + + = =

Esempio 87

Si ha: ( )4 1000 3 4lim 10 limn n

n n n→∞ →∞

− = = +∞ , anche se apparente-

mente, considerando alcuni elementi della successione sem-brerebbe che n

3 a causa del suo altissimo coefficiente abbia, inizialmente, il sopravvento su n4. Per esempio per n = 1010, avremo (1040 – 101000 ⋅ 1030) < 0. Ma il concetto di limite im-plica che i conti si facciano alla fine e avendo a che fare con insiemi infiniti, prima o poi n4 farà valere la propria forza. In-fatti per n = 101000, dovremo confrontare 104000 e 104000, per-tanto da adesso in poi n4 diventerà sempre più grande. Per e-sempio per n = 102000, avremo (108000 – 107000) ≈ 108000. Tenuto conto dei precedenti esempi stabiliamo non solo che le regole dell’aritmetica non sempre valgono per i limiti, ma an-che che non sempre vi sono regole che possano applicarsi in generale, senza conoscere le successioni su cui stiamo lavo-rando.

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Carmelo Di Stefano

159

Esempio 88

SI ha: ( ) ( )2 2 2lim 0, lim ;n n

n n n n→∞ →∞

− = − = +∞ ( )2lim ;n

n n→∞

− = −∞ e

3 2 3

3 3

1lim lim 1

2n n

n n n

n n n→∞ →∞

− += =

+ − cioè + ∞ – ∞ potrebbe dare qualsiasi ri-

sultato. Espressioni come le precedenti si chiamano forme indetermi-

nate, proprio perché non siamo in grado di dire quanto valgo-no se non le studiamo caso per caso. Abbiamo già visto la suc-cessione che definisce il numero e, che è un esempio di forma indeterminata 1∞. Forme indeterminate

+ ∞ – ∞; 0 ⋅ ∞; 0/0; ∞/∞; 00; 1∞; 0∞ Attività

1. Mostrare che 1/∞ = 0. 2. Mostrare che 0/0 è una forma indeterminata. 3. Mostrare che 0 ⋅ ∞ è una forma indeterminata. 4. Mostrare che ∞/∞ è una forma indeterminata. 5. Mostrare che ∞ + ∞ non è una forma indeterminata. 6. Mostrare che ∞/0 non è una forma indeterminata. 7. Mostrare che 0/∞ non è una forma indeterminata.

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I perché della matematica elementare

160

Sommiamo l’infinito Un’altra stranezza che viene fuori quando trattiamo l’infinito si ha nella somma appunto di infiniti termini. Già Zenone di Elea (489 a.C. – 431 a.C.), aveva messo in luce la questione nel suo famoso paradosso di Achille e della tartaruga. Lo pos-siamo enunciare in questo modo semplice:

Achille e la tartaruga fanno una gara di corsa, dato lo strapo-

tere di Achille, detto piè veloce, questi lascia un certo margine

di vantaggio alla tartaruga. Riuscirò Achille a raggiungere la

tartaruga? Zenone affermò che così facendo Achille non raggiungerà mai la tartaruga, poiché se per esempio la distanza iniziale che li separa fosse 100 m, quando Achille li avrà percorsi, la tartaru-ga avrà percorso (se la sua velocità è 1/10 di quella di Achille) 10 m; e quando Achille li percorrerà la tartaruga avrà percorso 1 m. Per Zenone quindi Achille non raggiungerà mai la tarta-ruga perché per ogni tratto x che egli percorre, la tartaruga nel-lo stesso tempo si sarà spostata di x/10. Ovviamente il ragio-namento è brillante e convincente, ma lo stesso abbiamo dei dubbi, nella pratica sappiamo che non è così. Deve esserci un trucco. Per svelarlo ragioniamo matematicamente. Supponiamo che il tratto da percorrere sia pari a 200 m e che la velocità di Achille sia 10 volte quella della tartaruga, mentre il vantaggio iniziale della tartaruga sia di 100 m. Supponiamo anche, senza che ciò modifichi il ragionamento, che in un se-condo Achille percorra 10m e quindi la tartaruga 1m. Diciamo che un semplice calcolo ci fa capire che già prima del dodice-simo secondo Achille ha raggiunto la tartaruga, poiché ha per-corso (12 ⋅ 10) m = 120 m contro i (100 + 12 ⋅ 1) m = 112 m

della tartaruga. Vediamo di trovare allora l’errore nel ragio-namento di Zenone. Lo spazio percorso dalla tartaruga è dato dalla seguente somma:

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161

100 + 10 + 1 + 10–1 + 10–2 + 10–3 + … + 10–n in cui n è il numero di suddivisioni del tempo. Però questa somma è infinita, Zenone pensò semplicemente, come proba-bilmente farebbe chiunque non avesse molta dimestichezza con l’infinito matematico, che la somma di infiniti numeri de-

ve essere anch’essa infinito. E questo è il trucco o, per meglio dire, l’errore di Zenone.

Esempio 89 La precedente somma può anche scriversi:

1 1

10

111 10 10100 10 10 100 10 110

11 10 110

nn nk

k

− − +−

−=

− −

+ + = + + = + = − −

1

1

11 10 110110 110 1

9 9 1010

n

n

+

+

= + = + ⋅ −

. Se però i termini

sono infiniti la somma è 1

10 1lim 110 1

9 10nn +→∞

+ ⋅ −

. L’unico

termine che dipende da n è 1

1

10n+, che al crescere di n ovvia-

mente tende a zero. Perciò la somma tende a 10

1109

m

+

,

che naturalmente è uno spazio finito. Quindi effettivamente il pensare, come fa Zenone, che som-mando infiniti termini debba ottenersi una quantità infinita non è corretto. Tenuto conto di quanto visto finora generalizziamo il concetto di somma infinita.

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I perché della matematica elementare

162

Definizione 33 Data una successione { an}n, diciamo serie numerica a essa as-sociata il limite della successione {a1 + a2 + … + an}n, che si chiama successione dei resti parziali della serie. Ovviamente non tutte le serie sono convergenti. Esempio 90 La serie 1 + 2 + 3 + 4 + … + n + …, ha certamente somma in-finita, dato che la sua successione dei suoi resti parziali è data da {1, 3, 6, 10, …} che è una successione formata da numeri sempre più grandi senza alcun limite e quindi divergente posi-tivamente. Ci sono poi fatti particolarmente strani. Per esempio la serie

1 1 1 11 ... ...

2 4 8 2n+ + + + + + converge perché è dello stesso tipo

di quella vista nel paradosso di Zenone, addirittura possiamo

dire che la sua somma è 1

11 12lim 2

1 11

2 2

n

n

+

→∞

−= =

. Pensiamo allora

che anche la serie 1 1 1 1

1 ... ...2 3 4 n

+ + + + + + , , detta armonica,

che è a essa abbastanza simile sia convergente. Ciò è falso, come mostriamo di seguito. Teorema 39

La serie 1 1 1 1

1 ... ...2 3 4 n

+ + + + + + , è divergente.

Dimostrazione Ci limitiamo a dimostrare che non converge. Infatti la sua suc-cessione delle somme parziali, si può scrivere nel modo se-

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Carmelo Di Stefano

163

guente: 1 1 1 1 1 1 1

1 ...2 3 4 5 6 7 8

+ + + + + + + +

, in cui i termini

raggruppati raddoppiano di numero di volta in volta. Abbiamo

che 1 1

3 4> e quindi

1 1 1 1 1

3 4 4 4 2+ > + = . allo stesso modo

1 1 1, ,

5 6 7 sono ciascuno maggiore di

1

8 e perciò

1 1 1 1 1 1 1 1 1

5 6 7 8 8 8 8 8 2+ + + > + + + = . ciò vale ovviamente per tut-

ti, quindi possiamo dire che in generale si ha 1 1 1 1 1 1 1

1 ...2 3 4 5 6 7 8

+ + + + + + + + >

1 1 1 1 1 1 11 ...

2 4 4 8 8 8 8

+ + + + + + + + =

1 1 1 1

1 ...2 2 2 2

+ + + + +

la successione delle somme parziali non è limitata superior-mente, non può quindi convergere. In effetti dovremmo prova-re che la serie diverge, ma ci serviamo di un risultato che dice che tutte le serie i cui termini sono positivi possono solo con-vergere o divergere. La divergenza della serie armonica è anche difficile accettare perché è molto lenta, per esempio la somma dei suoi primi 100000 termini è di poco maggiore di 12. Attività Determinare le seguenti somme

24 4 4

1 ... ...3 3 3

n

+ + + + +

;

2 33 3 3

1 ... ...4 4 4

n

+ + + + +

;

4 55 5 5

... ...8 8 8

n

+ + + +

[+∞ ; 4; 625/1536]

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164

Probabilmente … Il problema di studiare gli eventi reali che non hanno un esito sempre certo, è stato considerato praticamente da sempre nella storia delle Matematiche, soprattutto in considerazione delle scommesse attorno ai giochi. Consideriamo il seguente esem-pio. Esempio 91 Se dovessimo scommettere 1 euro che lanciando una moneta venga fuori testa, ci sembra corretto che anche il nostro anta-gonista paghi la stessa somma nostra se perde. Ma se invece scommettiamo che lanciando un dado venga fuori il 3, se vin-ciamo quanto ci sembra giusto ricevere, se perdendo paghiamo 1 euro? È ovvio che i due casi visti nell’esempio debbono essere tratta-ti in modo molto diverso. Vediamo come Galileo Galilei, in un suo breve lavoro del 1612, Sopra le scoperte dei dadi, trattò un gioco che consisteva nel lanciare tre dadi. Che nel gioco dei dadi alcuni punti sieno più vantaggiosi di

altri, vi ha la sua ragione assai manifesta, la quale è, il poter

quelli più facilmente e più frequentemente scoprirsi, che que-

sti, il che dipende dal potersi formare con più sorte di numeri:

onde il 3. e il 18. come punti, con tre numeri comporre, cioè

questi con 6.6.6. e quelli con 1.1.1. e non altrimenti, più diffi-

cili sono a scoprirsi, che v.g.46 il 6. o il 7., li quali in più ma-

niere si compongono, cioè il 6. con 1.2.3. e con 2.2.2. e con 1.1.4. ed il 7. con 1.1.5., 1.2.4, 1.3.3., 2.2.3. In pratica egli affermò che lanciando tre dadi era più facile ot-tenere un 7 piuttosto che un 6, dato che il 7 si può ottenere in 4 modi diversi e il 6 il tre modi. (46) Verbi gratia, è il nostro moderno Per esempio.

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Nel seguito aggiungeva Tuttavia ancorché il 9. e il 12. in altrettante maniere si com-

pongano in quante il 10. e l’11. perlochè d’equal uso devriano

esser reputati; si vede non di meno, che la lunga osservazione

ha fatto dai giocatori stimarsi più vantaggioso il 10. e l’11. che il 9. e il 12. Apparentemente 9, 10, 11 e 12 hanno lo stesso numero di pos-sibili combinazioni, ma l’esperienza di gioco mostra che 10 e 11 escono con maggiore frequenza. Galileo spiegò l’arcano fa-cendo vedere che in realtà il numero di modi possibili doveva contarsi in modo opportuno. Per capire il problema partiamo da un caso più semplice, ossia il lancio di due dadi. Se dovessimo puntare su un punteggio, quale sarebbe più conveniente? Qui la risposta non matematica può essere qualsiasi, dato che ciascuno potrebbe avere in sim-

patia un numero piuttosto che un altro, considerandolo più for-

tunato. In ogni caso però nessuno punterebbe sul 13 o sull’1, poiché gli unici punteggi possibili sono i numeri interi com-presi tra 2 e 12. Ma 2 può ottenersi solo se su entrambi i dadi viene fuori 1, mentre 5 per esempio, può contare sulle coppie (1, 4), (2, 3), (3, 2) e (4, 1). Quindi dal punto di vista matema-tico chi punta sul 5 avrebbe più probabilità (usiamo questo vocabolo sempre intuitivamente) di vincere rispetto a chi punta sull’1. Ciò ovviamente non significa che alla fine le cose an-dranno in questo modo. Non è la prima volta che il primo premio di una lotteria venga vinto da chi ha comprato un solo biglietto, mentre quelli che ne hanno comprati decine o centi-naia sono rimasti a bocca asciutta. Cominciamo allora a precisare ciò che vogliamo trattare.

Definizione 34 Dato un fenomeno F, diciamo suo spazio degli eventi E l’insieme di tutti i possibili modi, diversi fra di loro, in cui F può presentarsi.

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Esempio 92 • Se F è il fenomeno punteggio del lancio di due dadi regolari

(cioè entrambi a forma di cubo e con i punteggi da 1 a 6 po-sti sulle sue facce), non truccati (ossia non vi è nessun mar-chingegno che favorisca l’uscita di una faccia piuttosto di un’altra), il suo spazio degli eventi è E = {2,3,4,…, 11,12}.

• Se F è il fenomeno estrazione di un numero al gioco della tombola avremo invece E = {1, 2, 3, ..., 89, 90}.

Stabilito il luogo dell’azione, dobbiamo adesso definire le e-ventualità che ivi possono accadere. Definizione 35 Diciamo evento aleatorio o semplicemente evento, un sottoin-sieme dello spazio degli eventi E di un fenomeno F. Esempio 93 • Nel lancio di due dadi regolari, l’evento uscita di un nume-

ro pari è il sottoinsieme {2, 4, 6, …, 12} dello spazio degli eventi E = {1, 2, 3, …, 11, 12}.

• Estraendo il primo numero sulla ruota di Bari, l’evento u-scita di un numero pari è il sottoinsieme {2,4,6,..., 88, 90}.

Ora dobbiamo individuare, fra tutti i casi che possono accadere quelli che ci interessano. Definizione 36 Diciamo numero dei casi possibili di un dato evento la cardi-nalità dello spazio di eventi E a cui esso appartiene; numero dei casi favorevoli al suo accadere, la propria cardinalità.

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Esempio 94 • Nell’evento uscita di croce nel lancio di una moneta non

truccata, il numero dei casi possibili è 2 (esce Testa o Cro-ce), quello dei casi favorevoli all’evento è 1 ({Croce}).

• Nell’evento uscita di un numero pari nel lancio di due dadi, il numero dei casi possibili è 11, quello dei casi favorevoli è 6.

• Nell’evento uscita di un numero dispari maggiore di 37 come primo estratto sulla ruota di Venezia, i casi possibili sono 90, i casi favorevoli 27 (la cardinalità dell’insieme {39, 41, 43, …, 87, 89}).

Adesso siamo in grado di definire cosa intendiamo per proba-bilità. Definizione 37 Dato un evento il cui spazio degli eventi sia finito, diciamo sua probabilità secondo Laplace47 il rapporto fra il numero dei casi favorevoli al suo verificarsi e quello dei casi possibili, nell’ipotesi che tutti i casi abbiano la stessa possibilità di acca-dere. Vediamo alcune delle critiche più frequenti a questa concezio-ne. • La definizione è circolare, dato che definiamo il concetto di

probabile con quello meno chiaro di equipossibile. • Qual è il modo corretto di stabilire quali fatti sono impor-

tanti perché si abbia un certo esito piuttosto che un altro? A queste obiezioni potremmo rispondere che

47 Famoso matematico e fisico francese nato nel 1749 e morto nel 1827. Si

occupò brillantemente anche di astronomia con la sua opera in cinque vo-lumi Mecanique celeste.

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• Supponiamo, in fiducia, che tutti gli esiti siano equipossibili (se la moneta non è truccata c’è la stessa possibilità che lanciandola esca Testa o Croce).

• Siamo noi stessi a stabilire quali fatti influenzano gli esiti e a escludere quelli indipendenti (come il colore, il peso o l’immagine presente su una moneta). Questo fa sì che que-sta concezione della probabilità venga anche chiamata a

priori. In ogni caso questo modo di misurare la possibilità che un fat-

to accada, si può applicare solo a quei fatti a cui possiamo as-sociare spazi degli eventi finiti. Così non possiamo farlo per esempio per stabilire con che probabilità l’Italia vincerà i pros-simi campionati di calcio, infatti qual è lo spazio degli eventi? Non certo {vince; non vince}, dato che allora la probabilità sa-rebbe del 50% e ciò sarebbe valido per ogni altra squadra. Ov-viamente non è così, tanto è vero che le aziende di scommesse sportive non quotano allo stesso modo la vittoria di una data partita o di un torneo, da parte di tutti i partecipanti. Non solo, ma la stessa squadra per la stessa partita, non è quotata allo stesso modo da tutte le aziende. In questo caso si usa il cosid-detto punto di vista soggettivista, di cui non ci occuperemo, perché ha bisogno di una matematica più forte di quella che stiamo usando noi. Riprendiamo l’esempio iniziale. Esempio 95 Lanciando un dado regolare la probabilità che venga fuori un dato punteggio, per esempio 3, è 1/6. Ciò significa che se vin-ciamo dobbiamo ottenere più di quello che paghiamo se per-diamo. Quanto di più? Ovviamente 5 volte di più, che sono appunto il rapporto dei casi a noi sfavorevoli rispetto all’unico favorevole. Allora possiamo dare la seguente definizione.

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Definizione 38 Un gioco fra due contendenti in cui uno ha probabilità p di vincere e (1 – p) di perdere, con 0 < p < 1, si dice equo se si

vince 1 1

1p

p p

−= − volte di ciò che si paga in caso di perdita.

Vediamo che quanto detto è già stato trattato nel 1654, quando un noto giocatore, il cavaliere di Méré, Antoine Gombaud (1610 – 1685), pensò di porre a un suo amico, il grande fisico e matematico Blaise Pascal (1623 – 1662), alcuni quesiti sem-pre riguardanti il gioco dei dadi. Pascal scrisse a un altro gran-de matematico dell’epoca: Pierre de Fermat (1601 – 1655) e-sponendo la questione. Consideriamo una lettera spedita mercoledì 29 luglio 1654 da Pascal a Fermat. Ecco il modo in cui io saprò il valore di ciascuna delle possi-

bilità che hanno due giocatori, quando, per esempio, si vince

in 3 lanci e ciascuno ha scommesso 32 pistole 48. Supponiamo

che il primo di loro abbia già due punti e l’altro 1. Adesso de-

vono effettuare un altro lancio, il cui risultato potrà essere

uno dei seguenti. Se vince il primo, egli vincerà l’intera posta,

cioè 64 pistole. Se invece vince l’altro, il punteggio diverrà 2 a 2, di conseguenza se essi si accorderanno per dividere la po-

sta, ciascuno riavrà indietro le sue 32 pistole. Consideriamo

allora, Signore, che se vince il primo avrà 64 pistole, se invece

dovesse perdere, ne avrà 32. Se il gioco dovesse interrompersi

prima di questo quarto lancio e la posta dovesse essere divisa,

il primo dovrebbe dire “Io sono certo di avere 32 pistole, an-

che se questo lancio non mi sarà favorevole. Le altre 32 pisto-

le può darsi che le vinca io come può essere che le vinca tu.

Perciò queste 32 pistole le divideremo e le altre 32 saranno

(48) La pistola era una moneta di uso comune in Francia, ai tempi di Pascal.

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invece tutte mie”. Così il primo dovrebbe avere 48 pistole e il

secondo 16. Come misurò la probabilità Pascal? Intanto affermò che se la partita si chiude dopo una sola giocata può finire solo 3 a 1 o 2 a 2. E ovviamente, supposto che la giocata dipenda solo dal caso e non dall’abilità del giocatore, i due casi sono ugualmen-te possibili. Ciò ovviamente non porta alla divisione della po-sta, come se ciascuno avesse il 50% di probabilità di vincere tutto, perché così non è. Infatti Pascal giustamente disse che il giocatore in vantaggio può vincere 64 pistole o 32, mentre l’altro può vincere 0 o 32 pistole. Quindi la suddivisione della posta, se non giocano la quarta partita, deve essere di 48 pisto-le a 16, valutando così la probabilità 48/64 = ¾ per il primo giocatore e 16/64 = ¼ per il secondo. In pratica Pascal non fece altro che quello che fanno oggi le aziende di scommesse, anche se non usano questo tipo di ma-tematica, che se per esempio all’inizio della partita hanno sta-bilito che la vittoria della squadra A è quotata 1,2 (cioè chi punta 1 euro, se vince ne riceve 1,2), e alla fine del primo tem-po il risultato è per esempio di 3 a 0 per la squadra A, la sua vittoria si profila quasi certa, pertanto la quotazione deve avvi-cinarsi quasi alla parità o deve addirittura essere interrotto il flusso di scommesse. Viceversa, se la squadra A vince di mi-sura (1 a 0 o 2 a 1), la quotazione può rimanere uguale o varia-re di poco. E se infine perde, magari con più di due gol di scar-to, la variazione è fatta al contrario, cioè la quotazione può aumentare a 1,8 o più.

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Attività 1. Nel lancio di due dadi qual è il punteggio più probabile?

[7] 2. Con che probabilità nel lancio di 3 dadi esce 9 o 10?

[25/216; 27/216] 3. Studiare il caso della partita interrotta se si vince a 3, A ne

ha vinte 2 e B 0 e si interrompe alla terza partita. 4. Studiare il caso della partita interrotta se si vince a 4, A ne

ha vinte 3 e B 2 e si interrompe alla sesta partita. 5. Lanciando due dadi punto sul 4, puntando 1 euro quanto

devo vincere affinché il gioco sia equo? [11]

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Il teorema di Pitagora

Il cosiddetto teorema di Pitagora è uno dei più utilizzati fra i teoremi della matematica e la sua importanza dipende anche dal fatto che esso è una condizione necessaria e sufficiente. Ossia non solo vale per i triangoli rettangoli, ma vale solo per essi, è perciò una loro caratteristica. Quando vediamo che i muratori per stabilire se due pareti sono fra loro perpendicola-ri, misurano un metro per lato e quindi verificano che il seg-mento che unisce gli estremi di quelle misure vale circa 1 me-tro e 41 centimetri, essi stanno inconsapevolmente applicando

il teorema di Pitagora. Infatti 2 21 1 2 1, 41+ = ≈ . Il teorema ha origini più antiche di Pitagora e dei suoi allievi (VI secolo a.C.), infatti si sono trovate tracce che ne confer-mano la conoscenza nelle civiltà babilonesi, egizie e cinesi. Una sua dimostrazione, quella più antica registrata con certez-za è presentata negli Elementi di Euclide ed è quella presentata nella maggior parte dei manuali scolastici. Il nome di Pitagora è associato al teorema poiché pare che egli ne abbia fornito per primo una sua dimostrazione rigorosa. Non si ha certezza di quale essa fosse, ma si è orientati a pensare che abbia utilizza-to procedimenti meno rigorosi di quelli presenti nell’opera eu-clidea. È possibile che la dimostrazione pitagorica si sia riferi-ta a una decomposizione simile a quella mostrata nella figura seguente.

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In essa, dopo avere costruito i quadrati sui cateti e sull’ipotenusa si suddivide il quadrato maggiore in 4 triangoli rettangoli e un quadrato e a uno dei quadrati costruito su uno dei cateti invece si aggiunge il quadrato costruito sull’altro. Poi si decompone questa nuova figura, chiamata gnomone, in modo tale da contenere esattamente i 4 triangoli rettangoli e il quadratino, in cui avevamo decomposto l’ipotenusa. Questa procedura sembra molto più aderente alle conoscenze e ai modi di procedere dell’epoca pitagorica. Vi sono parecchie simili decomposizioni, noi proponiamo solo quest’altra.

In Euclide sono invece presenti delle generalizzazioni di que-sto Teorema, che invece raramente sono note. Vediamole. Due di queste sono l’interpretazione geometrica di quello che si chiama Teorema di Carnot e che è alla base della trigonome-tria. In pratica Euclide si chiede cosa accade ai quadrati co-struiti sui lati di un triangolo non acutangolo. Nella figura se-guente abbiamo tracciato il triangolo rettangolo ABC di ipote-nusa AC e due triangoli, uno acutangolo, ABD, e l’altro ottu-sangolo, ABE, che hanno due lati congruenti ai cateti di ABC. Il loro terzo lato si capisce facilmente che è più corto, AD, o più lungo, AE, dell’ipotenusa AC a seconda che il triangolo sia acutangolo o ottusangolo. Ciò significa che la somma dei qua-drati costruiti su due lati è rispettivamente minore o maggiore

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del quadrato costruito sul terzo (il maggiore) a seconda che il triangolo sia acutangolo o ottusangolo.

Euclide non si limita a questa osservazione, bensì quantifica la mancanza e l’eccesso nei due casi. Teorema 40 Dato il triangolo ottusangolo ABC di lato maggiore AB, dette D ed E rispettivamente le proiezioni del punto A sulla retta per BC e del punto B sulla retta per AC, si ha la validità della se-guente uguaglianza:

2 2 2 2 22 2AB AC BC AC DC AC BC BC CE= + + ⋅ ⋅ = + + ⋅ ⋅

Teorema 41 Dato un triangolo acutangolo ABC, dette D ed E rispettiva-mente le proiezioni del punto C su AB e del punto A su BC, si

ha: 2 2 2 2 2

2 2AC AB BC AB BD AB BC BC BE= + − ⋅ ⋅ = + − ⋅ ⋅ .

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Non contento di ciò Euclide dimostrò una generalizzazione ancora più interessante del teorema di Pitagora, ossia che non è necessario costruire quadrati sui lati di un triangolo rettango-lo per ottenere l’uguaglianza fra l’area del maggiore e la som-ma delle aree degli altri due, ma possiamo costruire tre figure qualsiasi purché siano fra loro simili. In figura proponiamo un esempio con degli esagoni regolari.

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Bibliografia

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Nuova Secondaria. [O] Ore Oystein, Number theory and its history, Dover, New

York, 1988 [P1] Polya George, La scoperta matematica, in due volumi.

Feltrinelli, Milano 1971. [P2] Polya George, Come risolvere i problemi di matematica,.

Feltrinelli, Milano 1969.