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Giotto,le Storie di San Francesco-Assisi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Giotto,le Storie di San Francesco - Scuola Media Biasi N.5 · ad affresco nella parte inferiore dell'unica navata della basilica superiore di Assisi. •Dalla Leggenda maggiore sono

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Page 1: Giotto,le Storie di San Francesco - Scuola Media Biasi N.5 · ad affresco nella parte inferiore dell'unica navata della basilica superiore di Assisi. •Dalla Leggenda maggiore sono

Giotto,le Storie di San Francesco-Assisi

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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• Le Storie di san Francesco sono un ciclo pittorico dipinto ad affresco nella parte inferiore dell'unica navata della basilica superiore di Assisi.

• Dalla Leggenda maggiore sono stati tratti i 28 affreschi e i relativi tituli delle scene delle Storie di san Francesco nella Basilica superiore di Assisi

• Secondo alcuni storici dell'arte fu intrapreso subito dopo il 1296 (cioè dopo la realizzazione delle Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento, presenti nella fascia superiore della navata), per altri tra il 1292 e il 1296.

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• Indipendentemente dal fatto che si tratti di Giotto o di un altro pittore, le scene non mostrano sempre la stessa qualità esecutiva, per cui furono sicuramente dipinte da più mani all'interno dello stesso cantiere con la supervisione di un protomagister. L'importanza del Ciclo francescano sta comunque nelle soluzioni formali rivoluzionarie. Innanzitutto l'impaginazione delle scene si differenzia nettamente dalle cornici geometriche pensate da Cimabue e dagli altri pittori duecenteschi: per essi la superficie era essenzialmente bidimensionale, ed era trattata quindi come la pagina miniata con motivi di corredo puramente decorativi. Per Giotto invece lo spazio pittorico doveva ricreare un volume tridimensionale e giustificò l'interruzione tra le scene tramite una serie di colonne che simulano un loggiato, sviluppando un'idea già usata, ad esempio nei mosaici della cupola del battistero di Firenze.

• Con un sapiente dosaggio del chiaroscuro si rende l'evidenza plastica delle figure, mentre l'uso di architetture scorciate che svolgono il ruolo di quinte prospettiche creano degli spazi praticabili in cui i personaggi si muovono con naturalezza e coerenza, ad esempio possono girarsi di spalle rispetto all'osservatore cosa prima inconcepibile. La composizione è libera dagli schematismi e simmetrie della pittura precedente, anche se accanto a scenari naturali ed architettonici realistici troviamo ancora delle rappresentazioni dal gusto arcaico e non tutti gli scorci sono resi con la stessa sicurezza: più incerte appaiono le città dipinte in lontananza e gli edifici delle prime tre campate della parete sinistra.

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La narrazione è concisa ed efficace: il santo passa e un concittadino stende un mantello al suo passaggio, con una mimica credibile e chiarissima. Il santo non è raffigurato con deformazioni gerarchiche o con una sacrale posa frontale, ma è dipinto come le altre persone, con il solo riconoscimento dell'aureola (particolarmente elaborata), ed è calato completamente nella scena, di profilo. Gli altri personaggi sono figure di cittadini casualmente di passaggio, vestite secondo la moda dell'epoca, che commentano il fatto con naturalezza: non hanno una funzione specifica se non quella di facilitare l'immedesimazione dello spettatore in essi, come se chi osserva fosse davanti a un fatto reale.

L'Omaggio dell'uomo semplice è la prima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

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La scena di Francesco che dona il mantello a un povero o Elemosina del mantello è una delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 in misura 230x270 cm. La critica è concorde nell'individuare in questa scena la prima ad essere dipinta nel ciclo. In primo piano si trovano San Francesco col suo cavallo e il mendicante, che in realtà è però un nobile caduto in miseria. Sullo sfondo si notano le mura della città di Assisi e un monastero nel quale aveva soggiornato San Benedetto. Il paesaggio è aspro, con montagne senza grande vegetazione e con la linea delle due valli che si incontra in corrispondenza della testa di San Francesco

• In questa scena non è rappresentato uno sfondo architettonico ma paesaggistico. La rappresentazione del paesaggio è ancora arcaica, con la convenzione tipicamente bizantina delle rocce scheggiate a distanza indefinita. Ai lati, come due quinte, si vedono dei gruppi di edifici: una sorta di eremo e una città murata, forse Assisi stessa.

• Sapiente è invece la costruzione delle linee principali oblique che si incrociano in corrispondenza della testa del santo convergendo l'attenzione dello spettatore: i due profili delle montagne si prolungano a sinistra, mentre a destra trovano un continuamento nel braccio del santo nell'atto di donare il mantello. Lo schema apparirebbe un po' rigido se non fosse bilanciato dalla linea del collo del cavallo che serra armoniosamente con una perpendicolare.

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l Sogno delle armi è la terza delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

La scena è divisa in due fasce: il letto con san Francesco dormiente e Gesù che indica, i quali ricordano la costruzione della scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco nel registro superiore della basilica, e il palazzo con le armi accatastate.

Il palazzo, su un piano leggermente arretrato, è rappresentato con una prospettiva intuitiva, che mostra i pavimenti ai primi piani e i soffitti ai piani più alti. Interessante è l'elegante architettura gotica delle finestre a sesto acuto con archetti trilobati, e con colonnine corinzie. In colori sono accesi ed è accentuata la volumetria delle figure col chiaroscuro. La forma della stanza da letto, con le due cortine scortate, suggerisce un'idea di scansione di piani in profondità, mentre i grande letto sembra una sorta di proscenio, proprio come nelle Storie di Isacco.

Il volto di Francesco dormiente è convincentemente appoggiato sul cuscino e con un'espressione realistica, nonostante il curioso connubio della posizione con l'aureola. Un tempo il manto di Cristo aveva lumeggiature dorate che lo rendevano scintillante, oggi in larga parte perdute.

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La Preghiera in San Damiano o Miracolo del Crocifisso è la quarta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

• San Francesco è rappresentato in preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano entro la chiesetta diroccata nei pressi di Assisi, alla quale sono crollati una parte del muro e della copertura del soffitto. L'ambientazione architettonica è tra le più efficaci di tutto il ciclo, con la chiesa disposta di sbieco secondo una prospettiva intuitiva che mostra attraverso le aperture dei muri crollati, ampie parti dell'interno dove si svolge la scena. I dettagli architettonici sono vividamente reali: le capriate, l'abside, il recinto con intarsi marmorei in stile cosmatesco. Il rapporto proporzionale tra architettura e figura umana è ancora fuori scala, secondo un metodo di rappresentazione simbolica che sarà superato solo nel Rinascimento.

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San Francesco rinuncia ai beni terrenni o Rinuncia agli averi è la quinta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Pietro Bernardone, il padre di Francesco, col volto contratto, dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo per un braccio; egli ha il pugno chiuso e si solleva la veste come per volersi lanciare contro il figlio, un vero e proprio "gesto parlante"; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall'altra parte san Francesco spogliato che prega asceticamente verso la mano di Dio benedicente che appare tra le nuvole; il vescovo copre alla meglio la sua nudità e altri religiosi (caratterizzati dalla tonsura) lo seguono. La netta spaccatura della scena è efficacemente simbolica delle posizioni inconciliabili dei due schieramenti, che sono il passato e il presente di Francesco.

Nella casualità quotidiana della folla non è tralasciata nemmeno la raffigurazione di due bambini, quali passanti, che tengono le vesti rialzate, forse per tenere dei sassi da tirare al "pazzo".

Notevolissima è poi la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare lumeggiature che definiscono il volume della muscolatura di sorprendente modernità (si pensi quanto sono lontani i geometrici grafismi dei crocifissi della pittura immediatamente precedente). Particolarmente stringenti sono le affinità, soprattutto nei volti, con le figure dipinte nei registri superiori della basilica dal cosiddetto Maestro di Isacco, forse lo stesso Giotto forse un capobottega leggermente più anziano.

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Il Sogno di Innocenzo III è la sesta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Durante un sogno papa Innocenzo III vede l'umile Francesco che regge la Basilica del Laterano, che all'epoca rappresentava quello che oggi è San Pietro in Vaticano, cioè il cuore della Chiesa latina. La basilica sta crollando, come si deduce dalla forte inclinazione dell'edificio, secondo una stratagemma di origine medievale, usato ad esempio anche una dozzina d'anni prima da Cimabue nel transetto destro, nella scena della Caduta di Babilonia.

Viene qui riproposto il letto a baldacchino con il papa e due guardie dormienti (già presente nel Sogno delle armi e nella scena di Isacco che respinge Esaù del Maestro di Isacco), spostato però al lato destro, mentre a sinistra si svolge il sogno, con una basilica vistosamente inclinata che è sorretta con un gesto molto eloquente dal santo, che qui appare per la prima volta nelle vesti di frate e che diventa "colonna della Chiesa". La scansione dei pieni è molto efficace, mentre i volti ricordano la mano del Maestro di Isacco. La struttura spaziale della stanza a destra è oggi indebolita dalla scomparsa di un cassone dipinto a secco tra il letto del papa e le due figure sedute.

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Innocenzo III approva la Regola francescana è la settima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Di grande umanità è il volto di san Francesco barbuto mentre, sorridente, riceve la benedizione del papa Innocenzo III e la bolla che autorizza l'ordine francescano. Anche gli altri personaggi hanno espressioni intense e realistiche, sottolineate da ombreggiature forti che si ritrovano anche nelle opere del Maestro di Isacco. Diverso è il trattamento materico dei ruvidi sai dei frati rispetto alla ricchezza della veste papale, con l'elegante stola, e del seguito pontificio, descritti con accuratezza fin nei dettagli. Stoffe inoltre decorano le pareti, a testimoniare la sontuosità dell'ambiente, anche se molte delle decorazioni previste, già eseguite a secco, sono oggi perdute.

Forte è il senso dei volumi, grazie all'accentuazione del chiaroscuro.

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L'Apparizione di san Francesco su un carro di fuoco è l'ottava delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm. In questa scena lo spazio è diviso in tre parti: la

struttura architettonica, a sinistra, con i frati addormentati, i frati all'esterno che chiamano i confratelli e la potente visione del carro in cielo, che è inclinato a sottolineare una dimensione di sogno. Inoltre l'eccezionalità della visione è sottolineata dall'opposta scelta del punto di vista focale rispetto a quello dell'architettura. La trasfigurazione è sottolineata da raggi di luce che circondano il corpo del santo. La capanna descritta da Bonaventura ha lasciato il posto a un sontuoso palazzo, decorato da fregi, lacunari, medaglioni e intarsi cosmateschi.

Notevole è la resa del volume del corpo del cavallo in primo piano, mentre il secondo si intravede appena, essendo coperto dal primo, una convenzione stilistica ereditata da modelli più antichi. Anche la forma del carro e le sue decorazioni ricordano antichi bassorilievi architettonici romani. Nei volti dei due frati a destra Bruno Zanardi e Federico Zeri individuarono lo stile del secondo capobottega, essi in Pietro Cavallin

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La Visione dei troni è la nona delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

La scena ha un impianto molto semplice, ma molto eloquente. In alto è disposto il trono vuoto di Francesco, che ricorda l'etimasia, con accanto altri quattro troni più piccoli.

Mentre il frate ha la visione, l'angelo indica Francesco che prega davanti a un'edicola. L'angelo è dipinto sfasato, a sottolineare la dimensione di sogno. Amorevole è, anche in questo caso, la cura descrittiva del dettagli. Il piccolo altare ad esempio è illuminato da una lampada tenuta sospesa da una cordicella, e sopra di esso sta un panno di lino e una croce appoggiata. Intarsi cosmateschi decorano qua e là l'architettura.

Come nell'attigua Apparizione di san Francesco su un carro di fuoco, anche in questo caso la visione ultraterrena dei troni ha uno scorcio opposto a quello dell'architetura, amplificando un divario tra sfera celeste e mondo terrestre.

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La Cacciata dei diavoli da Arezzo è la decima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

A sinistra è rappresentata una grande cattedrale gotica in tutta la sua possenza architettonica. Oltre le mura della città sporgono le torri, costruite con colori chiari come cubi incastrati l'uno nell'altro, secondo una "prospettiva" intuitiva e non geometricamente allineata. Ricca è la descrizione dei dettagli architettonici, quali balconi, merli, altane, marcapiano e intarsi. A un terrazzo è appesa una campanella con una corda. In cima una torre, appesa a un'impalcatura lignea sta una grande campana, mentre su quella più alta, appena più a destra, si trova un ballatoio ligneo e un argano con appeso un uncino, usato per tirare su carichi di merci e materiali edilizi. Tre figure di passanti si intravedono affacciarsi dalle porte cittadine.

In alto, i diavoli scappano cacciati dal confratello, su ordine di Francesco, che è inginocchiato dietro di lui. Nella raffigurazione dei demoni, dalle ali di pipistrello, furono usati tratti legati all'immaginario popolare, non privi di componenti patetiche o burlesche. Da un punto di vista simbolico essi rappresentano le discordie che sfociavano nelle tante guerriglie urbane nell'Italia comunale. Visivamente appaiono contrapposti il mondo spirituale, sottolineato dalla cattedrale, di Francesco del suo compagno, e quello profano della veduta cittadina. Secondo gli studi di Bruno Zanardi e Federico Zeri, i volti dei protagonisti sono da riferire al cosiddetto "secondo capobottega", che essi indicano in Pietro Cavallini e un altro maestro romano anonimo.

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San Francesco davanti al Sultano (o Prova del fuoco) è l'undicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

San Francesco si recò realmente in oriente con la Quinta Crociata ed incontrò il sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil. L'incontro tra i due personaggi è sicuramente avvenuto; improbabile, invece, la versione secondo la quale san Francesco abbia tentato di convertire il sultano, che rimase comunque colpito dalla figura ascetica del santo. La prova del fuoco cui si sottopose volontariamente Francesco gli fece guadagnare molta stima nei confronti del sultano e della corte.

Davanti al santo i preziosi regali donatigli dal sultano, che però il frate rifiutò. Francesco si rivolge allora al fuoco, sfidando a passarci incolume attraverso per dimostrare la veridicità dei suoi argomenti religiosi e la protezione assegnatagli da Dio, mentre un gruppo di astanti appare sorpreso e spaventato. Anche in questo caso, come in altre scene, l'architettura dello sfondo ha il ruolo di coordinare la scansione dei gruppi e quindi facilitare la lettura della scena. Dei preziosi inserti metallici che decorano i bassorilievi alla base del trono restano oggi alcune tracce parziali.

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San Francesco in estasi è la dodicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Notevole è la costruzione della scena secondo linee ascensionali che evidenziano la salita del frate su una nuvola verso Dio, che si sporge dall'angolo in alto a destra, piegandosi per benedirlo. Anche in questo caso, come in altre scene, i gruppi sono orchestrati con l'aiuto dell'architettura dello sfondo, con una grande porta cittadina, fatta di volumi cubici e colorati, che torreggia dietro al gruppo dei frati e Francesco, isolato, che si staglia contro il cielo, in una posa che ricorda la crocifissione. Il vivace gesticolare dei frati e alcune notazioni naturalistiche (come i sandali) dimostrano la nuova presa di possesso della realtà da parte del pittore. A destra invece una collinetta con alberi segna una sintetica notazione naturalistica, forse allusione al Monte Tabor o alla Verna.

La stesura è in gran parte riferita ad aiuti, secondo gli stessi Gnudi che dipinsero la Pentecoste e l'Ascensione nel registro superiore della controfacciata. I fautori della tesi del "non Giotto" registrano come gli incarnati, in questa scena come in quelle vicine, siano diversi da quelli solitamente dipinti dal pittore fiorentino, facendo piuttosto il nome del "secondo capobottega", forse il romano Pietro Cavallini.

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l Presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

La scena, oltre che una delle più famose, è uno straordinario documento dell'epoca. Nessun pittore si era mai spinto a tanto realismo: lo spettatore osserva dalla parte di solito riservata ai soli sacerdoti e religiosi (da un ipotetico punto di vista nell'abside), dove sono rappresentati con minuzia e vivace descrittività le caratteristiche dell'ambiente oltre il tramezzo che lo separa dalla navata: un ciborio che ricorda quelli di Arnolfo di Cambio, i frati che cantano nel coro guardando al reggilibro in alto, un pulpito visto dal lato dell'ingresso ed una croce lignea sagomata appesa, vista dal dietro, con tutti i rinforzi, e sapientemente raffigurata obliqua mentre pende verso la navata.

Una folla di persone assiste alla scena in primo piano di Francesco con il santo Bambino tra le mani (provvisto pure lui di aureola), ma le donne non possono entrare e osservano dalla porta. Molto reale è la collocazione dei personaggi nello spazio, che appaiono su piani diversi senza dare l'effetto di librarsi nell'aria o di schiacciarsi l'uno sull'altro, come nelle tavole di pittori di poco più antiche. Solo i frati sporgono in alto perché sono in piedi sugli stalli del coro di cui si intuisce la presenza solo da un piccolo dettaglio accanto alla porta. Essi hanno le bocche aperte perché stanno cantando e lo sguardo diretto al badalone (leggio) con un codice che riporta le parole e la musica.

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l miracolo della sorgente è la quattordicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 270x200 cm.

Nell'affresco è presente la caratteristica composizione a diagonale di Giotto, che fa ricadere lo sguardo su Francesco, posto al centro e fulcro del dipinto. La luce argentata lunare unifica umanità e natura, producendo un tono poetico sull'affresco. La presenza divina non è manifestata direttamente, con simboli o apparizioni, ma è nascosta nella natura, secondo una concezione simile a quella francescana. Lo spazio dove sono poste le persone è valorizzato, non basato sulla simmetria , ma su un ordine logico e naturalezza.

Giotto costruisce la scena su una composizione caratterizzata da essenzialità, come richiedeva l'ordine francescano. La composizione dell'opera è basata sulla geometria (è infatti costruita su due diagonali), ma viene liberata dalla rigidità dell'arte bizantina e romanica e dagli schemi astratti diffusi in quelle tipologie di arte.

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La Predica agli uccelli è la quindicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299. Misura 270x200 cm, più breve delle altre scene perché si trova sulla controfacciata (come la scena del Miracolo della sorgente).

Secondo la tradizione, la predica agli uccelli ebbe luogo sull'antica strada che congiungeva il castello di Cannara a quello di Bevagna[1]. Oggi il punto dove San Francesco d'Assisi fece il miracolo è segnalato da una pietra sita in località Piandarca nel Comune di Cannara in un'area ancora oggi incontaminata, raggiungibile attraverso un sentiero che inizia appena fuori il paese e si snoda attraverso i campi. Nei pressi della pietra e lungo l'attuale strada che porta a Bevagna (la SP403) è edificata anche una piccola edicola a ricordo del miracolo.

È una delle scene più famose del ciclo, perché racconta un episodio molto amato dalla devozione popolare: forse Bonaventura voleva alludere con questo episodio alla capacità di Francesco di parlare a poveri ed emarginati. Il santo è rappresentato invecchiato e il suo volto esprime una grande dolcezza. Gli alberi sono a grandezza naturale, a differenza di quelli dipinti nei paesaggi bizantineggianti di scene come l'Elemosina del mantello o il Miracolo della sorgente. Lo sfondo è di una semplicità accattivante, con alberi in primavera sullo sfondo del cielo di lapislazzuli; nella parte centrale il colore è in parte caduto lasciando un tono più chiaro.

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La Morte del cavaliere di Celano è la sedicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a

Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

• Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (XI,4) di san Francesco: "Quando il beato Francesco impetrò la salute dell'anima per un cavaliere di Celano, che devotamente a pranzo l'aveva invitato; il quale, dopo la confessione e dopo aver disposto per la sua casa, mentre gli altri si mettevano a mangiare, d'improvviso esalò l'anima, addormentandosi nel Signore."

• La scena, una delle più drammatiche del ciclo, è divisa nettamente in due parti, con l'architettura che inquadra il banchetto con san Francesco e un altro frate e la parte destra con la folla accorsa al nobile cavaliere disteso perché colto dalla morte. Fortemente contrastanti sono le due metà, quella sinistra dominata dal frate alzato, e quella destra con la folla dei dolenti attorno al moribondo.

• Molto bello è l'oggetto dell'architettura che si sporge con una profondità verosimile, mentre è piacevolmente dettagliata la descrizione delle suppellettili sul tavolo.

• Per questo affresco, la Predica dinanzi a Onorio III e l'Apparizione al Capitolo di Arles già dallo Gnudi in poi si parla di una personalità distinta da quella del maestro di bottega.

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La Predica davanti a Onorio III è la diciassettesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230

Notevolissima, per l'epoca, è l'ambientazione architettonica di una stanza illusionisticamente aperta nella parete, che scandisce con le esili colonne la scena in tre gruppi di personaggi. Un virtuosismo è la rappresentazione in prospettiva intuitiva delle volte a crociera.

Eloquente e realistico è il gesto del papa Onorio III che ascolta con attenzione san Francesco appoggiando il mento sul dorso della mano che calza un guanto bianco, così come quello di Francesco, che indica col pollice teso, un gesto ripreso ad esempio anche da Pietro Lorenzetti nella Madonna col Bambino tra i santi Francesco e Giovanni Evangelista nella Basilica inferiore. I gesti di meditazione e meraviglia dei prelati sono un'altra felice invenzione, che divenne poi comune nel Trecento.

Infine è particolare la posizione dei personaggi, secondo una linea curva, che dà il senso di profondità. La stanza è arredata sontuosamente, con drappi appesi alle pareti e il trono papale con decori cosmateschi. Sciolta è la posizione in tralice del trono, a differenza della visione frontale dell'architettura, in modo da evidenziare maggiormente tale elemento figurale. L'ornamento della parte superiore, coi vasi di fiori, venne aggiunto dopo l'esecuzione delle arcate, forse in un'epoca successiva al completamento del ciclo.

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San Francesco appare al Capitolo di Arles è la diciottesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Si tratta di una delle scene più efficaci di tutto il ciclo, con la realistica architettura gotica (si noti il virtuosismo della tettoia esterna inclinata che si intravede dalla finestre) e l'apparizione del santo al centro della scena con le braccia platealmente alzate. Non tutti gli astanti però hanno la visione, infatti sono girati verso di lui solo Monaldo e il frate predicatore, sant'Antonio da Padova.

Come le vicine scene della Morte del cavaliere di Celano e della Predica dinanzi a Onorio III, la stesura dell'affresco è da riferire a un aiuto del capobottega, a parte la figura di Antonio da Padova che è riferita a Giotto. I fautori delle ipotesi del "non Giotto" però riconoscono nel particolare modo di trattare l'incarnato la figura del "secondo capobottega", forse il romano Pietro Cavallini.

La descrizione dei restauri del 1798 del Fea (pubblicata nel 1820) ricorda come all'epoca questa fosse una delle scene più compromesse e meno leggibili e che all'epoca ne esisteva un bozzetto in possesso dell'arcivescovo di Siena, opera grafica di cui si sono perse le tracce.

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San Francesco riceve le stimmate è la diciannovesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuito a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

"Pregando il beato Francesco sul fianco del monte della Verna, vide Cristo in aspetto di serafino crocefisso; il quale gl'impresse nelle mani e nei piedi e anche nel fianco destro le stimmate della Croce dello stesso Signore Nostro Gesù Cristo."

Nell'aspro paesaggio della Verna, vicino a un piccolo romitorio, un angelo dona le stimmate al santo, con cinque raggi di luce che si dirigono nei punti delle ferite di Cristo. La scena riprende l'iconografia inventata dai pittori italiani nella prima metà del secolo, tra cui la più antica testimonianza certa è la tavola con San Francesco e storie della sua vita di Bonaventura Berlinghieri (1235). L'autorità del modello giottesco poi, replicata anche in altre opere, fece sì che questo modello venisse replicato ancora per tutto il Rinascimento e oltre.

L'affresco è di solito ritenuto pienamente autografo del capobottega che, ipotizzando che fosse proprio Giotto, avrebbe riservato a sé l'esecuzione dell'ultima scena della vita terrena del santo prima di partire per Roma. Solo la figura di frate Leone, seduto nell'angolo in basso a destra, è riferibile a un collaboratore.

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La Morte di san Francesco è la ventesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

La scena è una vera e propria apoteosi, organizzata per fasce orizzontali: i frati disperati accanto al corpo del santo, gli ecclesiastici che celebrano il funerale (con le vesti chiare che risaltano), e gli angeli in cielo che reggono un clipeo con san Francesco che si trova già in paradiso. Le espressive attitudini dei fraticelli raccolti attorno a Francesco, accovacciati in pianto o in preghiera, vennero adattate dal tema del Compianto sul Cristo morto e riproposte da Giotto in altre opere tra cui le pitture della Cappella Bardi, facendo ampiamente scuola, ancora per tutto il Rinascimento.

Tra le ultime novità che riguardano questo affresco c'è quella che il 6 ottobre 2011 è stato scoperto il volto di un demone messo di profilo in mezzo alle nuvole, vicino all'angelo vestito di bianco, alla destra di Dio. Giotto, disegnandolo, ha probabilmente voluto far capire che i demoni non vedranno mai né Dio, né tutti i santi, perché sono ricoperti dai peccati, rappresentati dalle nuvole, e perché si trovano nell'inferno per l'eternità.

A partire da questa scena si registra una rottura nello stile degli affreschi che è stata interpretata con la partenza del capobottega, magari chiamato a Roma. Secondo Bruno Zanardi e Federico Zeri il modo di trattare gli incarnati dimostrerebbe, in questa come in altre scene, la presenza di una maestro diverso da Giotto, che essi indicano nel romano Pietro Cavallini.

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Le Visioni di frate Agostino e del vescovo di Assisi è la ventunesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

"Il ministro, in Terra di Lavoro, infermo e presso alla fine e già da tempo avendo perduto la loquela, gridò e disse: «Aspettami, padre, vengo teco»; e subito spirato, seguì il santo padre. Oltre a ciò, essendo il vescovo sopra il monte di San Michele arcangelo, vide il beato Francesco che gli diceva: «Ecco che salgo in cielo»; e in tale ora fu così trovato."

Il tema riguarda quindi due avvenimenti occorsi contemporaneamente alla morte di Francesco, ovvero l'apparizione di quest'ultimo all'infermo frate Agostino e al vescovo Guido d'Assisi, sul Gargano.

Particolarmente complessa è l'architettura della chiesa nella quale è collocata la scena, con una sorta di tripla navata gotica sorretta da archi rampanti, entro la quale è collocato il giaciglio di frate Agostino, che si sveglia di soprassalto in preda alla visione circondato dai confratelli. Più esiguo è l'ambiente della stanza del vescovo, in cui si riprende in tema del sogno già utilizzato in scene quali il Sogno delle armi e il Sogno di Innocenzo III.

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Girolamo esamina le stimmate è la ventiduesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

"Nella Porziuncola giacendo morto il beato Francesco, messer Geronimo, celebre dottore e letterato, moveva i chiodi, e le mani, i piedi, il costato del santo con le proprie mani frugava." Nell'ambito delle esequie del santo furono infatti in molti, sia religiosi che laici, a voler controllare la veridicità del miracolo, incaricandone appositamente un noto medico.

La scena, molto affollata, è la diretta prosecuzione di quella della Morte di san Francesco (intervallata dalla Visione di frate Agostino e del Vescovo di Assisi), con Girolamo che solleva con un gesto molto naturale il vestito del santo alla presenza dei frati e degli ecclesiastici. Nella parte più alta è riprodotto l'interno di una chiesa (la stessa Basilica superiore), dove sporgono un Crocifisso sagomato ed una Maestà appese, per questo inclinate (anche se la loro disposizione è un po' forzata), mentre a destra appare un angelo. Si tratta più o meno della stessa ambientazione della scena del Presepe di Greccio, vista però dal lato opposto, quello dell'ipotetica navata della basilica. A destra si trovava anche un'abside, oggetto di pentimento.

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Il Saluto di Chiara e delle sue compagne a Francesco è la ventitreesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

"Le turbe che erano convenute, trasportando verso la città d'Assisi con rami d'alberi e moltitudine di ceri accesi il sacro corpo fregiato delle celesti gemme, lo presentarono alla vista della beata Clara e delle sacre vergini."

Davanti a una bellissima facciata gotica, la prima rappresentata per intero in un dipinto, (forse un antico progetto per la basilica di Assisi o forse una citazione della cattedrale di Orvieto o di Santa Maria del Fiore di Firenze) il corpo di san Francesco è appena uscito dai funerali e riceve l'accorato saluto di santa Chiara e delle suore, che con teneri gesti abbracciano il corpo e gli baciano le mani. Curiosi sono affollati davanti alla chiesa, tanto che uno di loro sale su un albero per poter vedere meglio: il dettaglio è uno spaccato di vita quotidiana di sorprendente realismo, che mai prima d'ora era entrato in una scena pittorica e che si ritroverà nell'Ingresso a Gerusalemme della Cappella degli Scrovegni.

La stesura della scena è quasi interamente

affidata ad aiuti di bottega.

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La Canonizzazione di san Francesco è la ventiquattresima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Questo episodio si riferisce alla bolla papale Mira circa nos del luglio 1228: "Quando il santo papa venendo in persona alla città di Assisi, diligentemente esaminati i miracoli, per consiglio dei frati suoi canonizzò il beato Francesco e l'iscrisse nel novero dei santi."

È una delle scene più danneggiate con ampie parti dell'affresco perdute e sostituite in fase di restauro da campiture colorate che danno un'idea della scena: molta umidità dovette infatti filtrare dalla finestra soprastante. La stesura è in ogni caso riferita quasi interamente ad aiuti, con un linguaggio pittorico ormai lontano da quello del capobottega.

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San Francesco appare a Gregorio IX è la venticinquesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

"Dubitando alquanto il santo papa Gregorio della piaga del costato, gli disse in sogno il beato Francesco: «Dammi una fiala vuota». E, come gliela diede, la si vide riempire dal sangue del costato."

La scena del sogno si svolge in una stanza verosimile, coperta da preziosi apparati. La costruzione spaziale non è perfettamente centrata, un dettaglio che venne poi sviluppato in opere giottesche successive. Il santo, con un gesto molto eloquente, appare a Gregorio IX dormiente, ne prende la mano e lo invita a toccare le stimmate sul costato che scopre con l'altra mano. Molto realistico è il baldacchino teso da corde e precisa è la resa dei cassettoni del soffitto.

L'esecuzione pittorica è quasi interamente riferita ad aiuti del capobottega, forse con un intervento consistente del Maestro della Santa Cecilia, autore delle ultime tre scene del ciclo.

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La Guarigione dell'uomo di Lleida è la ventiseiesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (Mir. I,5) di san Francesco e tratta di un miracolo postumo. A Lerida (Lleida) in Spagna, un uomo è guarito dalla prodigiosa apparizione di san Francesco accompagnato da due angeli, dopo che i dottori l'hanno dato per spacciato allontanandosi dalla sua stanza.

L'esecuzione degli ultimi tre affreschi è attribuita a un allievo, forse il cosiddetto Maestro della Santa Cecilia. Le figure sono infatti molto più statiche e dipinte in una maniera che fa risaltare meno il volume e più la linea, le architetture appaiono gracili più che mai. In ogni caso i disegni preparatori sono attribuiti allo stesso maestro che ha curato tutto il ciclo.

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La Confessione della donna resuscitata è la ventisettesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior di San Francesco e tratta di un miracolo postumo. Una donna di Montemarano (AV) morta senza poter essere confessata, viene fatta resuscitare da Francesco intercedendo presso Cristo. Tra lo stupore dei familiari la donna si risveglia e confessa i suoi peccati a un religioso, mentre un angelo nella stanza scaccia via un diavolo con ali di pipistrello, simbolo della redenzione della donna.

L'esecuzione degli ultimi tre affreschi è attribuita a un allievo, forse il cosiddetto Maestro della Santa Cecilia. Le figure sono infatti molto più statiche e dipinte in una maniera che fa risaltare meno il volume e più la linea, le architetture appaiono gracili, con sostegni filiformi.

Notevole è comunque, nell'angolo in alto a sinistra, la figura di Francesco che, voltato e di scorcio, prega verso il Cristo.

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San Francesco libera l'eretico Pietro di Alife è la ventottesima e ultima delle scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Pietro di Alife, accusato di eresia era stato arrestato a Roma e preso in custodia dal vescovo di Tivoli; nel carcere, per intercessione del santo, Pietro è liberato dai ceppi ed al vescovo non resta che riconoscere il prodigio.

L'esecuzione degli ultimi tre affreschi è attribuita a un allievo, forse il cosiddetto Maestro della Santa Cecilia. Infatti, se le architetture sono ancora fantasticheggianti e ben definite, le figure umane hanno perso quel volume tipico di Giotto, anzi sono allungate e la loro figura è più impostata a un linearismo statico, i gesti sono forzati. Interessante è la colonna coclide a destra, con bassorilievi che si avvolgono a spirale ispirati alla colonna Traiana. La figura di Pietro ricorda già alcuni tipi presenti nella Cappella degli Scrovegni.

Su questo affresco e su quello sul lato opposto (l'Omaggio dell'uomo semplice) si trova una mensola lignea che sporge al centro, dove anticamente di appoggiava la trave dell'iconostasi: tale ingombro fu all'origine della pittura della scena tra le ultime, quando si decise di decorare comunque il riquadro facendo però sì che la trave finisse in una zona neutra del cielo.

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• CAPOMASTRO (fr. maitre-mason; sp. maestro de obras; ted. Bauführer; ingl. superintendent). Figura Intermedia fra l'architetto e l'operaio, il capomastro è colui che, propriamente, riceve dall'architetto gli ordini e ne cura l'esecuzione soprintendendo alla fabbrica, avendo sotto di sé le maestranze e approntando i mezzi d'opera.

• E‘in grado di provvedere all'esecuzione dei complessi disegni dell'architetto o dell'ingegnere, all'organizzazione di cantieri, e di ideare anche, in casi non troppo importanti, l'opera da eseguire.

• Così spesso, il capomastro, nella storia dell'arte costruttiva in genere, si confonde a volta a volta col capo degli operai (col protomagister e col rector fabricae dei Romani), con l'imprenditore, con l'architetto o con l'ingegnere.

La Leggenda maggiore (Legenda Maior), detta appunto Maior per distinguerla dalla Legenda minor che consiste in un compendio di carattere liturgico, è una biografia di san Francesco d'Assisi scritta in latino da Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell'Ordine dei Frati Minori e approvata dal capitolo generale di Pisa nel 1263.