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DOSSIER Viaggio all’inferno e ritorno di Diana Santini Due settimane in Giappone dopo lo tsunami e dopo il disastro nucleare di Fukushima. Gior- no per giorno, il diario tenuto dall’inviata di east. Con molte annotazioni inedite rispetto a quanto è stato detto e scritto. 15 marzo L’antefatto a notte arriva presto se si corre a cinquecento chi- lometri all’ora in direzione dell’Oriente. Disci- plinati, dopo avere trangugiato la cena preriscal- data servita dalle hostess del volo Londra-Tokyo BA005, i miei compagni di viaggio, tutti giapponesi, posiziona- no i cuscinetti e si calano sugli occhi le mascherine per ripararsi dalla luce. Diecimila metri più in basso dorme la distesa sconfinata della Siberia. Quattro giorni fa un terremoto di violenza inaudita e uno tsunami ancor più apocalittico hanno sconquassato il Nord del Paese. Il bilancio delle vittime è ancora prov- visorio, potrebbero essere migliaia, malgrado questo sia il Paese con le misure antisismiche più avanzate al mon- do. C’è pure un piccolo imprevisto: in una centrale nu- cleare affacciata sull’oceano, a qualche centinaio di chi- lometri da Tokyo, a causa del sisma, sistemi di raffredda- Giappone: è stato come ripiombare nel ‘45 numero 36 . giugno 2011 . 73 L P. Ghirotti P. Ghirotti Minamisoma: controllo dei permessi da parte della polizia al posto di blocco della no entry zone. Arahama: si recuperano i pescherecci, alcuni sono stati spinti dallo tsunami a quasi due chilometri dalla costa. La riapertura dei settori legati alla pesca è indispensabile per ricostruire le economie locali: circa il 90% per cento dei 29mila pescherecci delle prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima, sono inutilizzabili.

Giappone: è stato come ripiombare nel ‘45 DOSSIER Viaggio … · giapponese, che dal giorno del terremoto trasmette in di- retta da uno studio luccicante, al centro del quale troneg-

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DOSSIER

Viaggio all’infernoe ritorno di Diana Santini

Due settimane in Giappone dopo lo tsunami e

dopo il disastro nucleare di Fukushima. Gior-

no per giorno, il diario tenuto dall’inviata di

east. Con molte annotazioni inedite rispetto a

quanto è stato detto e scritto.

15 marzo L’antefattoa notte arriva presto se si corre a cinquecento chi-lometri all’ora in direzione dell’Oriente. Disci-plinati, dopo avere trangugiato la cena preriscal-

data servita dalle hostess del volo Londra-Tokyo BA005,i miei compagni di viaggio, tutti giapponesi, posiziona-no i cuscinetti e si calano sugli occhi le mascherine perripararsi dalla luce. Diecimila metri più in basso dormela distesa sconfinata della Siberia.

Quattro giorni fa un terremoto di violenza inaudita euno tsunami ancor più apocalittico hanno sconquassatoil Nord del Paese. Il bilancio delle vittime è ancora prov-visorio, potrebbero essere migliaia, malgrado questo siail Paese con le misure antisismiche più avanzate al mon-do. C’è pure un piccolo imprevisto: in una centrale nu-cleare affacciata sull’oceano, a qualche centinaio di chi-lometri da Tokyo, a causa del sisma, sistemi di raffredda-

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Minamisoma: controllo dei permessi

da parte della polizia al posto di blocco della no entry zone.

Arahama: si recuperano i pescherecci, alcuni sono stati spinti

dallo tsunami a quasi due chilometri dalla costa. La riapertura

dei settori legati alla pesca è indispensabile per ricostruire

le economie locali: circa il 90% per cento dei 29mila pescherecci

delle prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima, sono inutilizzabili.

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mento sono danneggiati, la temperatura nei reattori stacrescendo e si temono fuoriuscite radioattive.

La cabina dell’aereo resta avvolta in una penombra si-lenziosa, i miei vicini di poltrona dormono immobili. Levacanze sono finite, è ora di tornare a casa. In fondo nonc’è nulla di cui preoccuparsi, la situazione è sotto con-trollo, ripeteva rassicurante un responsabile della com-pagnia che gestisce la centrale dagli schermi ultrapiattidelle tv nella sala d’attesa dell’aeroporto di Heathrowprima del decollo.

16 marzo Il mio primo terremotouando il sole sorge da un orizzonte che sembrainfinito l’aereo sta ancora sorvolando la Cina.Un’esplosione atomica di luce bianca inonda il

cuscino di nuvole appoggiato sulla Terra, qualche miglia-io di metri più sotto. Da una decina di ore non ho notizie

del mondo. Esisterà ancora? Atterro in una bella mattinatersa, c’è il vento, ai bordi della pista un po’ di neve am-monticchiata. Nel frattempo vengo a sapere che due deisei reattori della centrale sono esplosi. Un’alta colonnadi fumo nero si innalza verso il cielo. Una catastrofe, oforse no. Nella sala arrivi di Narita, l’aeroporto di Tokyo,tutto sembra scorrere con la consueta armoniosa frene-sia. Alla biglietteria degli autobus un’impiegata mi staspiegando a gesti da quale banchina devo partire in dire-zione del centro. Poi, all’improvviso, resta come pietri-ficata. La incoraggio a proseguire, resta immobile. I vetriprendono a tintinnare: prima ancora di capire che cosastia succedendo mi si stringe lo stomaco, le ginocchia sifanno molli. Il terremoto, il mio primo terremoto. Nel gi-ro di una quindicina di secondi tutto torna alla normali-tà. Le valigie riprendono la loro corsa su rotelle al segui-to di indaffarati uomini d’affari. Anche l’impiegata del-

la biglietteria si scongela. A Tokyo la pioggia è radioatti-va: mi consiglia di comprare un ombrello, per precauzio-ne. La piattaforma da cui parte l’autobus è la numero 6.

17 marzo Arigato, konnichiwaul terrazzo al sesto piano i vasi dei fiori rotolanoda tutte le parti, le sedie sono ribaltate in un an-golo. C’è un gran vento, e non è una buona noti-

zia. Spira da nord e impregna l’aria della capitale del ne-mico invisibile, le radiazioni. In metropolitana è un tri-pudio di mascherine bianche, ma nessuno ammette cheè per proteggersi dai miasmi della centrale di Fukushi-ma. Ufficialmente le indossano per proteggersi dai pol-lini: è quasi primavera, meglio non farsi cogliere impre-parati dai semini volanti.

Tokyo è sicura, recita come un mantra la tv nazionalegiapponese, che dal giorno del terremoto trasmette in di-

retta da uno studio luccicante, al centro del quale troneg-gia un plastico della centrale di Fukushima Daiichi, conle vaschette di raffreddamento di un azzurro luminoso ei vessel argentati.

Ogni dieci minuti una piccola interruzione: trenta se-condi di pubblicità-progresso per sensibilizzare i tele-spettatori alla solidarietà in questa difficile circostanza.Nello spot i pupazzetti colorati si prendono per mano esaltellano sotto un arcobaleno stilizzato: «Arigato, ariga-to, konnichiwa, konnichiwa», cantano in coro con voci-ne infantili. Grazie, e buongiorno a lei!

18 marzo Prepararsi all’evacuazione a Fukushima arrivano notizie confuse, contrad-dittorie. Si avverte una tensione strisciante, invari modi dissimulata. Nel corso della notte al-

cune nuove esplosioni negli edifici che ospitano i reat-

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Giappone: è stato come ripiombare nel ‘45

SOTTO La stazione ferroviaria di Osaka.

A DESTRA La polizia intenta

ai controlli d’accesso all’area di Arahama.

A SINISTRA Uomini della 10^ divisione

delle Jieitai, le Forze di autodifesa,

nella prefettura di Miyagi.

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tori hanno convinto le ambasciate straniere a ordinarel’evacuazione dei propri cittadini dalla capitale. E nonsono solo gli stranieri a partire. Sullo Shinkansen delle8.00, in partenza dalla stazione centrale di Tokyo e diret-to a Osaka, non c’è un posto libero. Al binario le famiglieaspettano in file tanto precise e composte da sembrare di-segnate col righello, che il treno superveloce apra le sueporte. Hanno con sé cumuli di valigie, la gabbietta del ca-narino, il nonno: partono per stare via quanto più posso-no. Dai finestrini le colline spolverate di neve brillanosotto il sole. A Osaka, invece, il cielo è basso e pesante,fa caldo. Trovare una stanza libera è un’impresa: alla fi-ne mi accomodo in una sorta di albergo a ore, il tassistami lancia un’occhiata equivoca quando gli scrivo l’indi-rizzo su un foglietto. C’è pure chi dalla stazione fa rottadirettamente sull’aeroporto. In effetti, cinquecento chi-lometri in più o in meno, in caso di autentico disastro,farebbero poca differenza.

19 marzo Distanza psicologica ai rubinetti della capitale ha preso a scorrere ac-qua radioattiva, la concentrazione di iodio 131 ecesio 137 è superiore alla soglia di sicurezza fis-

sata per i bambini piccoli. Nei supermercati del centrogli scaffali delle acque minerali, liscia e gassata, si svuo-tano a una velocità impressionante.

Osaka, invece, si gode indisturbata le prime avvisagliedi una primavera tardiva. Qualche ciliegio è già fiorito,capannelli di persone si accalcano per fotografare i boc-cioli col telefonino. Il contrasto con la tensione che si re-spira a solo qualche centinaio di chilometri di distanzanon potrebbe essere più stridente. I ristoranti espongonoin vetrina riproduzioni in plastica dei piatti del menu.Alla sera le vie del centro di questa brutta metropoli, di-sordinata ed estesa, si riempiono di adolescenti che sfog-giano variopinte acconciature. Gli 800 chilometri scarsiche separano la città da Fukushima funzionano come unpotente ansiolitico: il disastro nucleare sembra un’even-tualità remota, le macerie di Sendai una tragedia altrui.

20 marzo Gempatsu iranai rovarli non è facile, nel brulichio di famigliole aspasso nel parco di Ueno, uno dei più grandi diTokyo, di domenica pomeriggio. Poi, dietro un

gruppo di ragazzi che reinterpretano Grease intorno auno stereo con la musica a tutto volume, eccoli, gli atti-visti antinucleari. È il primo corteo contro le centrali do-po i danneggiamenti agli impianti di Fukushima, e unodei rarissimi nella storia recente giapponese. I manife-stanti sono un migliaio, chiamati in piazza da un picco-lo sindacato maoista, molti, in verità per gli standard nip-ponici. Tanto più che le previsioni del tempo prevede-vano pioggia per oggi, una circostanza poco salutare,considerate tutte quelle nocive particelle radioattive so-spese nell’atmosfera.

Dopo un incomprensibile numero di giri in tondo inun angolo del parco il corteo sfila, stretto tra imponenticordoni di poliziotti e gli sguardi incuriositi dei passan-ti intenti a fare shopping, per la centralissima Shibuya.«Gempatsu iranai», scandiscono in coro, ‘non vogliamoil nucleare’. C’è anche una delegazione venuta da Hiro-shima, lì dove l’uomo ha pagato il suo prezzo più alto al-l’atomo. E poi gli studenti e i disoccupati. E perfino uncane tutto infiocchettato. Il corteo procede un po’ a sin-ghiozzo, è vero, perché quando il semaforo è rosso il ser-pentone si immobilizza per non ostruire il traffico auto-mobilistico. Ma la soddisfazione generale è evidente.

21 marzo Elogio della pazienza on che la verdura sia il piatto forte della tradizio-ne culinaria giapponese, ma la sospensione del-la distribuzione di vegetali a foglia larga prove-

nienti dalle quattro prefetture più vicine alla centrale inebollizione, psicologicamente è un colpo. Richiama allamente Chernobyl, un incubo fattosi archetipo e metro dimisura per il presente.

In realtà la situazione a Fukushima è sostanzialmentestazionaria e a parte qualche parola amara, qualche fuga-ce concessione ad azioni irrazionali (come riempire lacredenza di latte a lunga conservazione), la città conti-nua a mettere in scena ogni giorno la sua studiata norma-lissima quotidianità, fatta di metropolitane affollate ecortesie reciproche. Se già poteva essere vero prima, an-cora di più in questi giorni sospesi sembra di assistere aun balletto disperato. Ma anche a un grande spettacolodi pazienza, di ostinazione e di coraggio. «Andarmenevia? Non è possibile», mi dice una giovane impiegata cheincontro in un ristorante di Akihabara. «Se si ferma To-

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to è successo. Mi sento un po’ fuori luogo, tutta intabar-rata in uno sciarpone di lana e con ai piedi gli stivalettida neve comprati per l’occasione. Ma le mie precauzio-ni non si dimostreranno eccessive: a Yamagata la tempe-ratura è di parecchi gradi sotto lo zero. La meta di oggi èSendai, la città dove, sulla spiaggia, sono stati trovati, giàil giorno successivo allo tsunami, i corpi di migliaia dipersone. Il porto è un cimitero buio di macchine abban-donate, le portiere spalancate, come esplose. Le unichetracce di vita sono costituite dai mezzi della polizia e delsoccorso stradale, che tappano in modo del tutto provvi-sorio le voragini che si sono aperte qua e là nell’asfalto.Per il resto, solo corvi che passeggiano indisturbati perle strade deserte, tra resti di quelli che, con una buonadose di immaginazione, si intuisce fossero edifici, han-gar, depositi. La radio, tutte le radio, diffondono ogni orale comunicazioni di servizio: classificazione dei danni,distribuzione di acqua e generi di prima necessità, nu-meri di emergenza. Poi, sotto una nevicata commoven-te, ma comunque un pochino radioattiva, parte la canzo-ne diventata simbolo del disastro, una sorta di E se do-mani giapponese: “Fukushima I love you – dice – Fuku-shima I need you”.

21 marzo Tremate tremate e scosse di assestamento sono talmente frequen-ti, qui, che si perde il conto. Quante stanotte? Tre,quattro, non ricordo. I futon attutiscono i colpi,

trasformano quell’ondeggiare scomposto della terra inun rollio da bonaccia. La colazione a base di riso e fun-ghi in agrodolce rende il tutto ancora più surreale. Sonoarrivata ieri sera a Ichinoseki. Questa è una delle zone incui il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo scorso hannofatto più danni. La città funge un po’ da centro di coor-dinamento dei soccorsi per i disastrati paesini della co-sta, a una cinquantina di chilometri di distanza. Gli sfol-lati, qui, sono decine di migliaia. La mobilitazione è ge-nerale e permanente e dappertutto è un via vai di volon-tari e operatori arrivati da tutto il Paese. Sulle strade sivedono quasi solo mezzi di soccorso e camionette del-l’esercito.

Passo il pomeriggio a fare la coda per la benzina. È ra-zionata, non se ne possono avere più di venti litri a testa.E anche per quelli, bisogna solo sperare che la pompa

kyo, si ferma il Giappone. Adesso dobbiamo resistere,prima di tutto alla paura».

22 marzo Operazione risparmio energeticoi ho preparato un bagno caldo». Yoko mi accogliesorridendo nella sua villetta di Kichijoji, perife-ria ovest di Tokyo, un delizioso suburbio mania-

calmente ortogonale. La casa, che affaccia su una stradi-na affiancata da marciapiedi, è circondata da un verdeordinato. «Ora vorrai fare un bagno», insiste. Tra i variimperativi nazionali di questi giorni, quello che consi-glia di fare almeno tre docce al giorno per lavare via gliatomini radioattivi con cui si può essere entrati in con-tatto è uno dei più pervasivi. Yoko lo segue alla lettera:capisco che il suo è qualcosa più di un invito e mi piegoall’esigenza dell’igiene antinucleare. Un altro fronte del-la mobilitazione diffusa riguarda il risparmio energetico.Con la centrale di Fukushima fuori uso e molte altrespente dal giorno del terremoto, la società elettrica fati-ca a soddisfare l’enorme fabbisogno energetico della ca-pitale. Si rischia, titolano a otto colonne i maggiori quo-tidiani, il blackout generalizzato. E così tutti cercano difare la propria parte. Il gioco preferito di Teo e Meo, i fi-gli Yoko, che hanno solo sette anni, consiste nel seguir-mi e fare a gara a spegnere le luci che io dimentico acce-se. A investirli del compito di vigilare strenuamente con-tro ogni forma di spreco di corrente è stata la maestra.

Lo Yomiuri online pubblicava, invece, questa mattinale istruzioni per cucinare il riso senza la pentola elettri-ca, un’operazione che in molti non hanno mai fatto, qui.Le scale mobili delle metropolitane sono spente e tra isarariman che arrancano a piedi per dieci piani verso laluce si respira quell’ostinazione paziente di cui parlavoprima. La città è buia, dai grandi magazzini di elettroni-ca agli uffici pubblici si spegne tutto quel che si può:schermi, lampioni, pubblicità. Shibuya, già tempio me-tropolitano dell’abuso di lumen, sembra un anonimo in-crocio di periferia.

21 marzo Verso Nordeduta all’alba davanti al finestrino della monoro-taia che mi sta conducendo in aeroporto, mi la-scio distrarre dal moto lento delle chiatte nei ca-

nali. Tra poche ore sarò nel Tohoku, su al Nord, dove tut-

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ziano di essere venuti fin lì, scusandosi quasi del tourdell’orrore che abbiamo appena fatto in città. Le lacrimesi confondono nel brodo caldo degli spaghetti alla trip-pa con uova crude, che mi concedo a un baracchino sul-la via del ritorno.

26 marzo Rikuzen-Takata mattina presto. A Rikuzen-Takata, davanti alnuovissimo edificio che funge da municipio –quello di prima è stato scaraventato dalla furia

del mare a un centinaio di metri di distanza dalla sua po-sizione originaria e se ne sta lì accartocciato contro un’al-tura – c’è una fila ordinatissima di persone. Sono in co-da da un po’: stamattina apre l’ufficio in cui depositarele richieste per gli alloggi temporanei in costruzione. Cu-betti di legno nascosti dietro una collina, sì, ma pur sem-pre qualcosa di più simile a una casa che non la grande

palestra della scuola elementare. La ricostruzione, quel-la vera, qui è un miraggio lontano, per certi versi irrea-lizzabile. L’onda nera non ha risparmiato che una man-ciata di palazzi, che spuntano solitari da uno sconfinatoground zero, per chilometri e chilometri quadrati. Dovefossero le case, gli isolati, i parcheggi, lo si capisce solodal reticolo geometrico delle strade, già tutte ripulite eagibili. Due postini, spediti qui da Osaka con la divisa diordinanza, frugano con una mazza da baseball nella mel-ma. Cercano corrispondenza, mai spedita o spedita e maiarrivata. Chi trova oggetti che possano avere un qualchevalore affettivo li estrae dal fango e li deposita davanti aquella che, da vari indizi, si immagina fosse una casa: fo-tografie, libri, statuette. Il resto è cibo per le ruspe: solle-vano mucchi di detriti, li rimescolano. Ogni tanto, tra unasse marcio e un’automobile, spunta un corpo. Con gestiormai esperti, i soccorritori lo caricano su un furgone e

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non si svuoti prima del proprio turno. Vedo un vecchiet-to infilarsi da una stradina laterale, scavalcando almenouna sessantina di macchine già in coda. Ci scambiamoun sorriso complice, mi commuovo un poco pensando acome l’emergenza abbia aperto una piccola breccia an-che nel sovrumano senso di onestà giapponese.

25 marzo Kesennuma amminando in direzione del porto, a Kesennu-ma, l’odore si fa via via più acre, il fango deposi-tato sulle strade più spesso. Dietro una curva, in-

fine, lo sfacelo. Centinaia di case rase al suolo, l’acqua dimare raccolta in larghe pozze nere, i gabbiani che grida-no, le barche scaraventate sul molo. È un paesaggio cosìdoloroso che fa tremare le mani. Il mare a Kesennuma èentrato dalla strada principale. L’onda, alta undici metri,ha prima squassato quella tavola piatta che è di solito il

mare in questa baia lunga e stretta, poi ha inghiottito ilporticciolo, infine si è infilata tra le case per diverse cen-tinaia di metri. Ha preso a correre sempre più forte, ro-vesciando tutto ciò che incontrava sul suo cammino: lemacchine, i lampioni, i distributori delle bibite, i merca-ti, le case. Quando ormai le strade erano ridotte a fiumidi detriti, il mare è tornato da dove era venuto. Nel fan-go rimangono una macchina da cucire, una teiera, unamacchinina giocattolo incastrata nel cartoccio di lamie-re di un’automobile vera, quotidiani zuppi, scarpe, cu-scini, mobili, ante, vestiti, tatami.

I sopravvissuti approfittano di uno spiraglio di sole perandare a recuperare qualcosa in quel che resta delle lorocase. Entrano scavalcando le macerie, escono trionfanticon un sacchetto di plastica in mano. Poi, all’ora di pran-zo, si mettono in fila per il pasto caldo davanti alla cuci-na del centro di raccolta. Salutano, spiegano, ci ringra-

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A DESTRA

Supestiti

ricoverati nella scuola elementare

di Watari, nella prefettura di Miyagi.

A SINISTRA Ad Arahama si stima

che ci vorranno almeno 3 anni

per rimuovere i detriti accumulati

lungo le coste devastate.

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cancellano il nome dalla lista dei dispersi. Nell’onsen dell’albergo – grandi vasche costruite sul-

le sorgenti di acqua bollente che spuntano un po’ dap-pertutto in Giappone – cerco di lavare via un po’ di di-sperazione. Una signora giapponese cerca di intavolareun’improbabile conversazione.

Finisce che cantiamo in coro a squarciagola O sole mio,tutte nude tra i vetri appannati dai vapori, mentre fuoriinizia un’altra volta a nevicare.

27 marzo Fukushima nanmin ella palestra che sorge al centro del parco di Ya-magata sono alloggiate una cinquantina di per-sone. Sono tornata qui in città per restituire l’au-

to noleggiata: mentre discuto con l’impiegata dell’agen-zia mi rubano la macchina fotografica dal cruscotto. Nonvorrei che stessimo esagerando con queste deroghe al-l’onestà nipponica…

In città vivono una buona parte di coloro che sono sta-ti evacuati dalle immediate vicinanze della centrale diFukushima: chi nella palestra, chi nello stadio, chi inprefettura, chi nelle scuole chiuse. Lasciare casa, perchissà dove e per chissà quanto, non è stata una scelta fa-cile e neppure troppo facilitata. Al di là delle auto dellapolizia che giravano con gli altoparlanti intimando dichiudere le finestre, mi raccontano, non hanno avutomolto: non un viaggio pagato, non una destinazione cer-ta né un pieno di benzina assicurato.

Dentro la palestra il campo di basket è stato trasforma-to in un piccolissimo quartiere, in cui ogni famiglia oc-cupa un quadrato di quattro metri di lato. Al soffitto bas-so sono appesi gli stendini per la biancheria, i bambinigiocano a nascondino tra le valigie e gli scatoloni. L’odo-re dolciastro del gasolio delle stufe si mescola a quellodel tè che fuma nei bollitori.

28 marzo Signori, il plutonioa novità di oggi è il plutonio. Ne sono state rin-venute tracce in ben cinque punti dell’impiantodi Fukushima, scopro comprando una copia del

Japan Times al mio arrivo a Tokyo, in un’alba chiarissi-ma. Il pullmann notturno sostitutivo della linea ferrovia-ria interrotta mi scarica a Shibuya. Mentre, assonnata,tento di non calpestare le decine di senzatetto che dor-

mono nei corridoi della stazione della metropolitana,scavo nella memoria alla ricerca di informazioni su que-sto nuovo nemico polverizzato nell’aria. Più che mai ra-dioattivo, ma comunque pesante, mi dico, e dunque po-co volatile: improbabile che sia arrivato fin qui.

Quotidianamente i giornali pubblicano le rilevazionidi sostanze radioattive nell’aria, provincia per provincia,città per città. Viste sulla mappa sono una serie di cerchiconcentrici che hanno al centro Fukushima. Nella capi-tale i valori sono in calo e comunque i più sembrano nonoccuparsene troppo. Se è negli scaffali vuol dire che è si-curo, mi dice con naturalezza una signora brandendo unmazzo di spinaci durante un’improvvisata sessione diinterviste in un supermercato di Ueno. «Ma chi control-la?», chiedo io in inglese al ragazzo etiope che studiagiapponese e che si è offerto di farmi da interprete, il qua-le a sua volta rigira la domanda in un giapponese elemen-tare a un ragazzo di Tokyo, che pone la domanda alle si-gnore intente a fare la spesa. Il sospetto che qualcosa siperda in questa babele improvvisata davanti al banco deisurgelati è forte. La signora ride: non è questa una cosache la riguardi.

29 marzo Miracoli postalia quando sono tornata dal Nord non sogno cheterremoti: terrificanti, quotidiani, a volte perfinopiacevoli. C’è un camion che tutte le notti parte

dalla strada davanti a casa alle 3.00 spaccate e accendeil motore nel silenzio della periferia addormentata. Ognivolta sussulto. A svegliarmi stamattina, invece, è stato ilpostino. Mi recapita un pacco dal Tohoku: è il caricabat-terie del computer che avevo dimenticato in un rifugioper sfollati a Yamagata. Dal numero di telefono che gliavevo lasciato sono risaliti all’indirizzo e ieri pomerig-gio me l’hanno spedito. E così, in un Paese che si vorreb-be in ginocchio, un gruppo di rifugiati scampati alla ca-tastrofe nucleare trova il tempo e la voglia di andare inposta a spedire un plico a una distratta signorina italia-na che non ha fatto altro che tempestarli di domande perun intero pomeriggio. E quel plico, in meno di dodici ore,percorre quasi mille chilometri e arriva a destinazionenelle mani di un postino gentile, che rifiuta cortesemen-te un caffè mentre mi informa che la spedizione è statapagata dal mittente.

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Confronto la versione stilizzata degli eroi nei rassicu-ranti spot governativi con le facce pallide degli operaicontaminati sdraiati in un letto d’ospedale. Viste da quile radiazioni non sono che numeri dietro uno zero e a unavirgola: scoprire che uccidono davvero restituisce aldramma la sua dimensione intimamente umana.

31 marzo Addiol tempio della dea Kannon è una nuvola di incen-si e di preghiere. Ho deciso di venire qui, stamat-tina, a salutare il Giappone, alla vigilia della par-

tenza. Tanti dei negozietti di souvenir sono chiusi e inquesto, che è uno dei luoghi più turistici della città, nonpassa uno straniero per tutta la mattina. Il tempio, co-munque, è affollatissimo, le cassette delle offerte risuo-nano in continuazione delle monetine depositate dentrodai visitatori. Certe obese carpe koi sgomitano per con-quistarsi i posti migliori ai lati dei ponticelli sul laghet-to, nella speranza di intercettare le briciole che lancianoloro i fedeli. Mi fermo a un baracchino per una zuppa fu-mante di grassini di manzo in salsa piccante. Domani ini-zia l’hanami, la festa della fioritura dei ciliegi. Mi dispia-ce non poterci essere. .

Chiamo il centro di accoglienza per rifugiati di Yama-gata per ringraziare e finisce che sono loro a ringraziar-mi per la telefonata.

30 marzo Fukushima Fiftiesall’incidente alla centrale sono passati, oggi, ven-ti giorni. Era iniziata come una corsa contro iltempo, si sta rivelando un disastro al rallentato-

re. Tra un paio di giorni sarò di nuovo in Italia e ho la sen-sazione di lasciare tutto come l’ho trovato.

Le operazioni di raffreddamento dei reattori sono incorso, nonostante lavorare all’interno degli impianti siaormai pericolosissimo, per l’alta concentrazione di ra-diazioni accumulatesi.

Gli eroi di Fukushima, gli operai al lavoro per la mes-sa in sicurezza della centrale già diventati un’icona po-polare di abnegazione e sacrificio, cadono uno dopo l’al-tro. Quelli gravemente contaminati sono ormai una tren-tina. E anche gli altri, ormai, sono qualche centinaio: al-l’inizio non erano che cinquanta, e non se la passanomolto meglio. Non hanno abbastanza da mangiare, si èscoperto, dormono tutti insieme al freddo in una salaconferenze, non sono informati sui rischi che corrono.

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