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La Newsletter settimanale del 2 luglio 2015
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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano
> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <
e-Settimanale - inviato oggi a 44341 utenti - Zurigo, 2 luglio 2015
Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni
IPSE DIXIT
Con l’autorevole Mogherini - «Titolari con l’autorevole Mogherini
della politica estera europea, assenti, senza protestare, dai tavoli
negoziali decisivi, siamo stati costretti a rimpiangere che, al suo posto
non ci sia un D’Alema, un Enrico Letta preventivamente esclusi da
Renzi, sembra di capire, per eccesso di competenza e difetto di
servilismo.» - Claudio Martelli
EDITORIALE
Greco-tedesco
Un piccolo contributo alla mediazione culturale
di Andrea Ermano
Al terzo Atto della "tragedia romantica" La Pulzella d'Orleans di
Friedrich Schiller c'è questo verso enigmatico: «Con la stupidità
combattono gli dei stessi indarno.» («Mit der Dummheit kämpfen
Götter selbst vergebens.»)
Giovanna d'Arco in un'incisione
di Georg Goldberg (ca. 1859)
2
Qui è un generale invasore che parla, nel momento della sconfitta da
lui incredibilmente subita per mano di Giovanna D'Arco, una bella
ragazza che rovescia i pronostici e getta lo stratega nella più nera
disperazione.
«Già fuggono i nostri da tutte le parti. Irresistibile incalza la
Pulzella», riferiscono i messaggeri della disfatta. Al che il capo
militare sconfitto reagisce pronunciando queste amare parole:
Con la stupidità combattono gli dei stessi indarno.
Ah, Ragione sublime, figlia lucente
del re degli dei, fondatrice saggia
dell'edificio cosmico, capitana di stelle.
Chi se' mai tu, se legata per sua coda
al furioso destriero della pazzia,
clami impotente e vedi con quell'ebbro
te stessa precipitata dentro a un abisso!
Maledetto chi sua vita a ciò ch'è grande
e degno volge e avvedutissimi disegni
con saggezza forgia! Mentr'è al re de' buffoni
che appartiene il mondo… (III, 6)
In questo magistrale monologo d'orgoglio marzial ferito Schiller ha
implementato, dicevamo, un enigma:
Con la stupidità combattono gli dei stessi indarno.
Il generale sconfitto Talbot in una
incisione di Veit Froer (ca. 1859)
Dov'è l'enigma? La formula appare talmente poco enigmatica da essere
divenuta ormai proverbiale, in tedesco e non solo in tedesco, come si
può facilmente constatare, consultando il Wiktionary (vai alla voce). E
però qui il proverbio introduce una piccola, ma decisiva modifica
rispetto alla formulazione schilleriana originaria:
Contro la stupidità combattono gli dei stessi indarno.
Nel proverbio ora c'è scritto "contro" ("gegen") e non più "con" ("mit")
come nel verso schilleriano. In effetti "con" aveva un senso ambiguo, e
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allora qualcuno ha pensato bene di migliorare Schiller, piallando via
ogni doppio senso. Così, in questa forma disambiguata il proverbio ha
iniziato una carriera di successo che lo ha portato a diffondersi ben
oltre i confini della lingua tedesca.
In italiano, per dire, molti ricordano ancora la storica trilogia La
prevalenza del cretino di Fruttero & Lucentini («Per lui, il cretino è
sempre "un altro"»), ma questa poggiava sull'opinione diffusissima nel
nostro beneamato Belpaese secondo cui: «Contro la stupidità ogni
battaglia è persa!».
Ma il concetto è internazionalmente diffuso, a tal punto che Isaac
Asimov vi ha tratto il titolo di uno dei suoi romanzi di fantascienza
(Neanche gli dei, del 1972), nel quale ci s'interroga, capitolo per
capitolo, se: «Contro la stupidità... Neanche gli Dei... Possono nulla? ».
E già nel 1919 il grande Keynes nel suo saggio su Le conseguenze
economiche della pace – che egli compone in dissenso dall'eccesso
punitivo riservato alla Germania dagli Alleati alla Conferenza di
Versailles dopo la Prima Guerra mondiale – parafrasa così: «Contro la
stupidità anche gli dei sono impotenti. Ci vorrebbe il Signore. Ma
dovrebbe scendere Lui di Persona, non mandare il Figlio…».
Sarkozy con la cancelliera Merkel
a Deauville, 18 ottobre 2010
La stupidità è una forza invincibile? Certo, per tornare a Schiller,
questa opinione corrisponde alla nera amarezza del generale invasore,
dal quale eravamo partiti. Costui in qualche modo "deve" reputare che
– sconfitto lui – la divina Ragione stessa sia precipitata nell'abisso e il
mondo intero si riduca a un'unica sovrana buffonata.
Tutto chiaro?
Non proprio.
Anzi, per dirla con Bartali: «L'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!»
La falsa chiarezza di questo proverbio, ormai diffuso come una
malattia contagiosa nelle lingue e nei dialetti di molte grandi nazioni
europee, non spiega in alcun modo in che cosa consistesse l'enigma
originario schilleriano.
Perché – se Schiller affermava essere inutile combattere "con la
stupidità" – l'espressione "combattere con" tanto in tedesco quanto in
italiano e in altre lingue moderne di grandi nazioni europee conserva
due significati differenti e opposti, potendo voler dire sia "combattere
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contro qualcuno come avversario", sia "combattere insieme a qualcuno
come alleato".
Nel greco classico, però, non funziona così. Ed è solo cercando di
ripensare le parole di Schiller in greco classico che comprendiamo il
senso profondo dell’enigma.
Nel greco classico, la lingua di uno dei popoli più intelligenti della
storia umana, "combattere con qualcuno" (μάχομαι σύν τινι oppure
μετά τινος) non significa mai "combattere contro qualcuno come
avversario".
Nel greco classico "combattere con qualcuno" significa sempre
"combattere insieme a qualcuno come alleato".
E dunque, per concludere, possiamo arguire che – mentre tra noi
abitanti delle grandi nazioni europee la stupidità proverbialmente
trionfa – nel greco classico ogni battaglia verrà, prima o poi, perduta…
se la combatterai insieme alla stupidità come alleata.
Friedrich Schiller in divisa da medico del reggimento,
olio su tela di Philipp Friedrich von Hetsch (1781/1782)
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.
LETTERA da Milano
Schizofrenia?
Perché il PSE continua a finanziare il sito Social Europe (vai al
sito) consentendo la pubblicazione di articoli in cui si spiega che la
politica della Trojka nei confronti della Grecia è sbagliata? Che l'errore
è stato fatto da due francesi nel 2010 Strauss Kahn al IFM e Trichet
alla BCE, il primo per diventare Presidente dei Francesi e il secondo
per salvare le banche francesi (e tedesche) troppo esposte verso la
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Grecia? Ma il PSF e la SPD che ci stanno a fare?
Con un'espressione tedesca Social Europe sono i calzini rossi in
scarpe nere. Sarà capace la socialdemocrazia a ritrovare il senso della
sua missione che è anche quello della sua esistenza?
Forse se avesse cominciato con eleggere alla Presidenza Enrique
Baronb Crespo sarebbe stato un segno di voler cambiare, invece di
confermare il bulgaro Stanishev.
Strano destino della socialdemocrazia europea: essere nelle mani di
ex comunisti diventati liberisti senza fare almeno una pausa socialista
democratica!
Ora è sempre più chiaro perché il PSE abbia aderito al PD, più che il
PD al PSE.
Conservate questa raccolta di scritti di Social Europe che la
mailinglist del Rosselli ha con merito diffuso. Quando si discuterà di
occasioni perdute sapremo di cosa e di chi parlare.
Felice C. Besostri, Milano
To recent Articles in Social Europe
Jürgen Habermas - Why Angela Merkel Is Wrong On Greece
SPIGOLATURE
Euro-Dracma: derby
su terreno scivoloso
di Renzo Balmelli
RUSPE. Sostiene Frau Merkel che se fallisce l'euro fallisce anche
l'Europa. E' probabile. Resta però da capire di che cosa parliamo, se
dell'Europa degli affari o quella della solidarietà. Ovvero due concetti
antitetici. Qualcuno ha paragonato il difficoltoso salvataggio della
Grecia a un derby che si disputa sul terreno scivoloso del referendum
tra la moneta unica e la dracma. Una sorta di resa dei conti tra il rigore
monetario per cui i debiti si pagano e le bizzarre improvvisazioni del
governo ellenico. In prospettiva però la vera sfida è ben un'altra, è
quella cruciale dal cui esito dipendono la stabilità e gli equilibri
dell'unione sempre più stretta fra i popoli sognata dai padri fondatori.
In quest'ottica non è pensabile la sciagurata ipotesi della Grecia, culla
della democrazia, alla deriva nello scenario instabile del Mediterraneo
ed esiliata ai margini della storia. No, Atene e l'UE, che ci ha
preservato da guai maggiori, non meritano di crollare sotto le ruspe
salviniane e il ghigno beffardo degli euroscettici. Sarebbe come se
Platone finisse in serie B.
6
ORRORE. Dire , dopo i tragici episodi di Sousse e Lione, che ci
troviamo nell'anticamera della terza guerra mondiale, è forse
prematuro. Per quanto incuta paura e dia l'impressione di essere
inafferrabile, sul piano militare il terrorismo jihadista non può vincere
la sua battaglia con le armi di cui dispone. Nella sua reale dimensione è
ancora un fenomeno locale, fratricida e scomposto. Qualsiasi esercito
serio può sconfiggere l'Isis senza soverchie difficoltà. Ma la soluzione
non è stanarlo con la forza. Serve all'opposto una reazione lucida,
considerando che il Califfato è un'inquietante, sfuggente creatura
proteiforme che si avvale di imponenti e subdoli strumenti mediatici
per mobilitare le sue truppe. Certo, indignarsi per l'orrore delle teste
mozzate è giusto, ma non basta. Se davvero fosse una guerra, è con
l'energia e la vitalità delle idee che va combattuta da ogni lato, tuttavia
con maggiore tenacia di quanto fatto fino adesso.
PRECARIETÀ. Fin dalle sue origini, il Banco dei pegni, che un
tempo si chiamava Monte di Pietà, è sempre stato un crocevia di
esistenze e destini segnati dalla precarietà. Letteratura e cinematografia
vi hanno attinto a piene mani per illustrare la difficoltà della
condizione umana. "L'uomo del banco dei pegni", di Sidney Lumet, è
stato il primo film che ha affrontato il tema dell'olocausto come
memoria lacerante, occupandosi più dei sopravvissuti che delle vittime.
Ora è in libreria "Una giornata al banco dei pegni", ed. Einaudi, di
Elena Loewenthal, un dolente affresco che attraverso le dure prove
della quotidianità descrive lo stato d'animo di chi ha "visto, sentito,
sofferto, sperato lungo il percorso di piccoli addii e grandi pezzetti di
vita". Nel mezzo della crisi non è fuori luogo immaginare che il libro
abbia inequivocabili risvolti di attualità.
ALI. A parte gli uccelli e gli aerei, il verbo volare non si addice
propriamente all'essere umano quale funzione autonoma. Ci sono,
questo si, i voli pindarici , quelli della fantasia e con sempre maggior
intensità lo sfarfallio dei sondaggi che a seconda dei casi si
trasformano in un incredibile campionario di iperboliche velleità. Sui
giornali di famiglia Berlusconi mette le ali nelle preferenze, ma lo
spostamento è di pochi decimali, quanto basta per un passettino, ma
non per alzarsi da terra nemmeno di un centimetro e allontanare
l'ombra delle "olgettine". Già Pirandello, senza scomodare
Shakespeare, aveva messo a fuoco la dicotomia del " troppo rumore
per nulla", tra ciò che è e ciò si vorrebbe essere nella ricerca di
affermazioni che il più delle volte sono chimere elettorali. Volare
sempre più su è eccitante, ma solo se è Modugno a farci sognare.
BASTA. Rieccoci all'ennesima fanfaluca dei diari di Mussolini di cui
non si sentiva la mancanza e nemmeno la necessità. Come se non
fossero già circolate infinite variazioni sul tema, rivelatesi dopo
approfonditi esami dei falsi clamorosi, da sotto la polvere dei tempo
salta fuori un nuovo documento inedito sorretto da presunte perizie che
ne comproverebbero l'autenticità. La qualcosa appare quanto mai
discutibile trattandosi non dell'originale, bensì di una copia del diario
7
che risalirebbe al 1942 e nel quale il Duce appare sempre più
insofferente nei confronti dei tedeschi. Magari ci avesse pensato prima.
Forse non ci sono intenti speculativi, ma è curiosa l'insistenza di
presentare sotto un'altra luce colui che Fini definì "il più grande statista
del secolo" e che i nostalgici si ostinano a considerare tale. Perciò basta
con le speculazioni editoriali che non possono cambiare ne riscrivere il
passato.
FELICITÀ. Questa i ricercatori delle università del Texas e dello
Iowa non ce la dovevano fare. Negare l'autenticità e la spontaneità del
bacio più celebre della storia contemporanea in una Times Square
festante per la fine della guerra, è un duro colpo all'immaginario
collettivo di intere generazioni. E' come se venissero a dire che il
capolavoro di Hayez sullo stesso tema è una crosta senza valore. Ma
quando mai. A 70 anni da quell'evento nella famosa piazza di New
York ciò che veramente conta è la forza dell'abbraccio tra l'infermiera
e il marinaio, non la loro identità. Centrale in quanto espressione di
pura felicità è il significato intrinseco di quell'icona tramandata ai
posteri per illustrare la fine di un incubo. E che tale deve restare quale
monito contro tutte le guerre di ieri e di oggi. Con tutto il rispetto per
gli studiosi, si potrebbe dire, parafrasando Pascal, che il cuore conosce
ragioni che la ragione della scienza non conosce.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Grecia, ecco cosa si può fare
Le autorità europee dovrebbero accettare la realtà e valutare il debito
ellenico nei propri bilanci al valore effettivo stimato dal mercato, cioè
il 50%, “abbonando” al Governo Tsipras la differenza.
di Marcello Minenna Docente di Finanza matematica all’Università Bocconi (Milano)
Soltanto dieci mesi fa, i media declamavano l’uscita della Grecia della
crisi, grazie ai primi dati di Pil positivi (+ 0,6%, un po’ come l’Italia...)
dopo una recessione durata 7 anni. In un report, la Commissione
europea rivendicava gran parte dei meriti, evidenziando il successo
finale delle politiche di austerity e del programma di riforme
strutturali, su cui si riconosceva la Grecia avesse fatto significativi
passi in avanti.
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Il 30 giugno 2015 la Grecia ha dichiarato sostanzialmente default sul
debito nei confronti del Fondo monetario internazionale ed è fuori dai
programmi di aiuto dell’Unione europea, mentre il fallimento della
trattativa con l’Eurogruppo e l’escalation delle tensioni finanziarie sui
mercati internazionali per via dell’imminente “Greferendum” stanno
gettando di nuovo un’ombra sulla tenuta dell’Unione monetaria.
Come si è potuto passare da un estremo all’altro con così tanta
rapidità, nonostante il quadro macroeconomico europeo sia migliorato
e sia stato avviato anche il Quantitative Easing della Bce di Mario
Draghi? Sebbene si possa tacciare il nuovo governo greco guidato da
Alexis Tsipras di scarsa diplomazia o addirittura di avventatezza,
bisogna riconoscergli il merito di avere smascherato l’elefante
nell’armadio: l’enorme e insostenibile debito pubblico della Grecia.
Al di là delle riforme strutturali e dell’aggiustamento dei conti, la
cura della Troika fatta di prestiti a lungo termine e austerity, ha fallito
nel porre sotto controllo il fardello principale che affligge l’economia
greca e che continuerà a impedirne una reale ripresa anche in futuro. Il
rapporto debito-Pil del paese ellenico, da un non lungimirante valore
del 140% nel 2010, anno del primo salvataggio, è passato a oltre il
180% nel 2015, nonostante nel 2012 sia stata portata a termine
(principalmente a spese delle banche e dei fondi pensione greci) anche
una sostanziosa riduzione del debito di oltre 100 miliardi di euro.
Un elemento-chiave è che dei 312 miliardi attuali del debito greco,
oramai quasi il 70% è stato acquistato dalle istituzioni europee (il
Fondo Salva-Stati Efsf, la Bce) e dai governi; pertanto, qualunque
riduzione del valore del debito che lo riporti a livelli più sostenibili –
cioè ripagabili dal contribuente greco – dovrà essere coperta a livello
europeo. Ecco perché la Merkel e l’Eurogruppo fanno orecchie da
mercante su questo tema: i costi politici di una reale risoluzione della
crisi greca rischiano di essere elevati, soprattutto per i partiti che hanno
fatto della difesa esclusiva degli interessi nazionali un passpartout per
raggiungere posizioni di governo.
Eppure i costi finanziari di una ristrutturazione del debito greco non
sarebbero così tremendi: il sistema di garanzie dei governi europei che
protegge i 140 miliardi di euro del debito in mano al Fondo Salva-Stati
consentirebbe l’emissione e il rimborso di obbligazioni del Fondo Efsf
in maniera regolare, anche se la Grecia non fosse in grado di onorare il
debito. Peraltro, già adesso, Atene non dovrebbe né rimborsare, né
pagare gli interessi al Fondo Salva-Stati prima del 2022. E non solo. I
35 miliardi di titoli greci nel bilancio della Bce, che non fruttano
interessi, non provocherebbero necessariamente delle perdite
finanziarie per i governi dell’Eurozona.
Rimarrebbero gli 80 miliardi prestati direttamente dai governi (10
dall’Italia) alla Grecia, che potrebbero essere agevolmente gestiti,
consentendo per esempio al Fondo Efsf di rilevarli in toto, insieme ai
20 miliardi di euro che il governo di Tsipras deve ancora al Fondo
monetario internazionale. Una completa “europeizzazione” del debito
greco dunque, che consentirebbe di guadagnare tempo e di predisporre
un’adeguata soluzione di ristrutturazione, senza effetti negativi
immediati per nessuna delle parti in causa.
Quanto vale realmente il debito greco nelle mani dell’Europa? La
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risposta sta sul mercato: sebbene i titoli in circolazione siano oramai
limitati, il mercato sta esprimendo una valutazione chiara attraverso lo
spread: chi compra e vende per professione attività finanziarie ritiene
che il debito greco abbia il 90% di probabilità di non essere ripagato
interamente; il valore dei titoli greci risulta di conseguenza dimezzato
rispetto a quello nominale.
Le autorità europee dovrebbero dunque accettare la realtà e valutare
il debito nei propri bilanci al valore effettivo stimato dal mercato, cioè
il 50% circa, “abbonando” al governo greco la differenza. Questo
consentirebbe immediatamente di riportare il rapporto debito-Pil sotto
controllo, abbattendolo dal 180% attuale fino a “valori tedeschi”,
intorno al 75%. Una moratoria che “pre-consolidi” il debito all’interno
del Fondo Salva-Stati è apparsa anche nelle pieghe della proposta in
extremis di Tsipras all’Eurogruppo, che avrebbe potuto evitare il
referendum. È stato un peccato che la Germania, con il supporto del
governo italiano, abbia affossato una proposta che avrebbe potuto
essere una base utile per un accordo definitivo, come lo stesso
Hollande si era augurato. Anche se, a onor del vero, la Germania
avrebbe potuto bloccare da sola la proposta, avendo la quota di
maggioranza relativa nel Fondo Salva-Stati.
Ora in realtà si va a grandi passi verso il referendum, il cui esito è
assolutamente incerto, così come lo sono le conseguenze. Una vittoria
del sì significherebbe la sicura fine politica del governo Tsipras,
sostituito da un governo tecnico che accetterebbe il bail-out della
Troika a condizioni molto peggiori di quelle che erano state offerte a
febbraio e in condizioni economiche di assoluta emergenza; in un
contesto di recessione e deflazionistico infatti la nuova cura Troika,
che tanto assomiglia alla vecchia, non funzionerà, e accelererà gli
eventi verso un nuovo focolaio di crisi incentrato sulla ristrutturazione
del debito che ora si cerca di ignorare.
Se vincerà il no, sicuramente si potrebbe rischiare la deriva finale
che porterebbe la Grecia all’istituzione di una moneta parallela;
auspicabilmente però questa pronuncia democratica del popolo greco
potrebbe essere un momento di riaggregazione dei paesi dell’Eurozona
intorno a una soluzione possibile di ristrutturazione del debito
concordata, che possa salvaguardare i creditori quanto possibile e
reintegrare l’economia del paese ellenico all’interno dell’Eurozona
verso un percorso di crescita comune.
Un obiettivo perfettamente raggiungibile per il popolo greco, ma
finora negato da assurde e inefficaci politiche di austerity. E chissà,
magari risolvendo la crisi della Grecia, anche i mercati finanziari
inizieranno a credere nuovamente nell’Eurozona e quindi a
scommetterci; il che equivale a dire a operare per far convergere le
curve dei tassi d’interesse degli Stati membri e quindi per ridurre lo
spread, che come sappiamo è la grande anomalia della nostra area
valutaria e la base dell’inesorabile disgregazione a cui da anni stiamo
assistendo.
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Economia
In gioco il futuro dell’Europa, non solo della Grecia
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
La vicenda greca svela la vera natura dell’Europa. Sono ore cruciali,
quindi, non solo per il futuro della Grecia ma anche dell’Unione
europea. Purtroppo gli organi di informazione riportano il “ping pong”
tra Bruxelles e Atene in un modo tanto astratto e banale da confondere.
Si afferma soltanto che la Troika, e anche Berlino, non possono
accettare le proposte del governo di Tsipras. Si ha la sensazione che
spesso non le si conosce nemmeno! Invece sarebbe doveroso partire da
esse per qualsiasi valutazione.
Il piano elaborato dal governo ellenico è chiaro e sintetico,
contenuto in un documento di 10 pagine. Per il popolo greco sarebbe
un boccone amaro, non una piacevole passeggiata. Si prevede
l’aumento delle entrate fiscali dell’1,51 del Pil già nel 2015 e del
2,87% nel 2016. Si va oltre la stessa richiesta della Troika. L’Iva,
inoltre, verrebbe alzata al 23%, mantenendola al 13% soltanto per i
beni di primissima necessità e al 6% per i farmaci e i libri.
La prevista riforma delle pensioni è molto simile a quella italiana ed
è “calibrata” sulla media europea. La spesa pensionistica verrebbe
ridotta nel 2016 per un importo pari all’1,05% del Pil e dell’1,1%
l’anno successivo.
Certo il sistema pensionistico greco è andato in tilt negli ultimi anni
a causa dell’aumento del prepensionamento consentito a seguito della
crisi e della disoccupazione galoppante. La riforma proposta dovrebbe
portare l’età pensionabile a 67 anni, come nel resto dell’Europa.
Non vorremmo che la volontà di Atene di mantenere una certa tutela
per le “famiglie più vulnerabili” e l’intento di voler “garantire un
reddito minimo non basato su tagli di beni e servizi reali che sono già
sotto la media europea” abbia irritato qualche partecipante ai summit
europei. Dovrebbe però essere chiaro a tutti che, se a un malato grave
si toglie l’ossigeno, si ottiene soltanto un cadavere.
Il governo ellenico annuncia anche l’aumento del contributo di
solidarietà e quello, dal 26 al 29%, delle tasse sui guadagni delle
imprese. Inoltre per i profitti oltre il mezzo milione di euro si prevede,
soltanto per il 2015, un tassa extra del 12%. Vi è anche l’impegno nella
lotta all’evasione e nel perseguire i capitali portati illegalmente
all’estero.
Si può affermare che trattasi di un piano realistico tanto che vi
sarebbe anche un certo riguardo per le banche elleniche che
rimarrebbero private. Anche quelle partecipate dal governo
arriverebbero alla completa privatizzazione, con l’impegno di “non
intraprendere alcuna azione che metta in discussione la loro
solvibilità”. Indirettamente si tratta di una concessione non di poco
conto alle altre banche europee, a cominciare da quelle tedesche, che in
passato hanno fatto il bello e cattivo tempo nel sistema bancario greco.
Certo a fronte dei citati impegni concreti, realmente attuabili, vi è
11
stata anche la richiesta di utilizzare i 35 miliardi di euro che
spetterebbero alla Grecia nel periodo 2014-2020. Tali fondi europei,
unitamente a quelli del programma “Investment Plan for Europe”,
dovrebbero servire a finanziare importanti progetti pubblici e privati. Il
diniego di Bruxelles sarebbe dovuto al fatto che i 38 miliardi di euro
messi a disposizione nel sessennio 2007-2013 non hanno prodotto
risultati positivi. Ciò è vero ma non è imputabile soltanto alla Grecia.
Responsabile è la politica di austerità generalizzata imposta dalla
stessa burocrazia europea. Si ricordi che il debito pubblico greco, che
oggi è pari al 177% del Pil, era del 107% nel 2007.
Se le proposte del governo greco sono credibili non si comprende
l’ostilità di Bruxelles e della Troika.
Secondo noi vi sono tre possibili chiavi di lettura. Si pensa che
programma di Tsipras non sia veritiero, quasi una sorta di truffa. Così
si inficia il principio di fiducia e di reciprocità su cui si basa l’Unione
europea. Un domani si potrebbe non credere agli impegni di qualsiasi
altro governo, anche di quello tedesco.
Sorge il dubbio, senza essere complottisti, che qualcuno
irresponsabilmente stia “facendo un test” sulla dissoluzione
dell’Unione europea. Un esperimento che potrebbe sfuggire di mano a
chi comunque pensa di controllare e gestire la crisi.
Tra gli altri impegni assunti dal governo ellenico vi sarebbero anche
la trasformazione del Pireo in un grande hub ed il suo collegamento
ferroviario con i vari corridoi di trasporto e di sviluppo in costruzione
sul continente eurasiatico. Noi riteniamo che, se si considera che da
tempo vi è un forte interesse cinese e russo nei settori succitati, non sia
l’economia, i conti in ordine, ne l’austerità, ma sia la geopolitica la
vera causa della chiusura e delle decisioni di Bruxelles e della Troika.
Ci sembra che si sta giocando con il fuoco in una fabbrica di
fiammiferi.
Da Avanti! online www.avantionline.it/
E ora l’Asse…
Qualcuno ricorda un’iniziativa incisiva del nostro Governo, proclami
e tweet a parte? Le stupefacenti ragioni della nostra assenza in
politica estera, a cominciare dal passato “Semestre europeo” a guida
(?) italiana.
di Carlo Correr
Pensavamo, e non da soli, che la ragione della mancanza di iniziativa
in politica estera dell’Italia dipendesse soprattutto dalla personalità
degli esponenti politici incaricati ai diversi livelli di occuparsene: da
Paolo Gentiloni, a Federica Mogherini, passando per Matteo Renzi.
Sui temi cruciali per il futuro dell’Italia, e dell’Europa,
immigrazione, crisi ucraina e crisi greca, il Governo in un anno e
mezzo di vita non ha lasciato praticamente traccia dietro di sé.
12
I vertici che si sono svolti negli ultimi mesi, hanno visto sempre in
prima fila, la coppia Hollande – Merkel, e poi Merkel da sola. E questo
nonostante il fatto che si discutesse di problemi di rilevanza strategica
per il nostro Paese e per il Continente. Non serve neppure ricordare
quale importanza abbia per noi avviare a soluzione il fenomeno
dell’immigrazione clandestina, oppure quello delle sanzioni alla Russia
di Putin o ancora gli effetti di una possibile (probabile?) grexit
sull’economia italiana.
Qualcuno ricorda un’iniziativa incisiva del nostro Governo,
proclami e tweet a parte?
Zero. Zero carbonella.
Ma la cosa stupefacente è scoprire oggi le ragioni di una tale
‘assenza’, o meglio di una fantasmatica presenza (a cominciare dal
passato Semestre europeo a guida italiana). Per questo ci viene in
soccorso l’addetta dell’ufficio stampa ufficioso di Palazzo Chigi che fa
uscire le sue veline sul principale quotidiano nazionale del Paese.
Ebbene oggi – in concomitanza con la presenza del nostro Presidente
del Consiglio all’università Humboldt a Berlino – ci ha spiegato che
Renzi ha deciso scientemente di aspirare a essere la ‘spalla’ di Angela
Merkel per scavalcare, a destra, l’altro temibile concorrente, il francese
François Hollande. Sì, insomma, che a partire dalla questione greca ha
scelto di ricalcare fedelmente, e presumiamo ossequiosamente, le
posizioni del Governo tedesco per non arrivare dopo François.
Beh, questo è già qualcosa. Temevamo che la nostra poco patriottica
inazione, fosse il frutto di pura incapacità, tanto che diversi, Claudio
Martelli ad esempio, rimpiangono personalità come Massimo D’Alema
o Enrico Letta. E invece no.
Qui siamo di fronte a una scelta strategica! Dalle parti di Palazzo
Chigi si è preso atto che l’Europa è a guida tedesca (eppure Angela
Merkel non l’hanno eletta gli europei, ma solo i tedeschi …) e quindi,
ci dicono, tanto vale stare subito col vincitore anziché arrivare tardi in
suo soccorso (come avrebbe detto quel gran genio di Ennio Flaiano).
La Germania sembra sulla strada della ripetizione di un errore
tragico. Ignora il monito di Helmuth Kohl (un gigante rispetto ad
Angela Merkel) che era meglio avere una Germania europeizzata
piuttosto che un’Europa germanizzata.
E l’Italia?
Con il Bel Paese siamo – come si intuisce da quanto trascrive la
collega sulla colonne del giornalone – alla riscoperta dell’‘Asse’ con
quasi 80 anni di ritardo. E considerando come andò a finire allora
(stessa leggerezza nell’analisi e stessa mancanza di solidi presupposti),
suggeriamo al nostro Presidente del Consiglio che forse sarebbe il caso
di rifletterci meglio prima di imboccare questa strada. O no?
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Da l’Unità di nuovo in edicola e in rete
http://www.unita.tv/
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Atene, il Pd, la sinistra.
Intervista con Gianni Cuperlo - Mario Lavia intervista Gianni
Cuperlo. Dagli ultimi sviluppi della crisi greca ai problemi del Pd e
alla difficile ricerca di un’unità interna.
Vai al sito dell’Unità
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
Due paradigmi in lotta
L’idea che mi sono fatto della questione greca è che il braccio di
ferro infinito fra il governo e la Troika non sia tanto per una
questione di soldi, quanto di potere.
di Riccardo Campa
La situazione, più o meno, è la seguente. La Grecia ha un debito di
330.000.000.000 di euro, non ha un soldo in cassa, e non beneficia
nemmeno del Quantitative easing. Ne è stata esclusa, anche se è il
paese che ne avrebbe maggiormente bisogno, essendo in deflazione
acuta. Il rapporto debito/PIL è aumentato negli ultimi cinque anni fino
a raggiungere il 180%, a causa – su questo ci sono pochi dubbi – delle
politiche di austerità. Per restituire una minima parte del debito, la
Grecia dovrebbe ora cavare altro sangue ai cittadini, applicando il
taglio delle pensioni, il licenziamento in massa dei lavoratori pubblici e
l’aumento delle tasse sulle strutture alberghiere. Con la certezza di
accelerare la spirale recessiva, facendo calare ancora il PIL e
affossando l’ultima risorsa economica: il turismo. Sennonché i greci
hanno eletto Alexis Tsipras proprio perché non vogliono morire di
fame, magari per restituire solo l’1% del debito. Perché di questo si
tratta. Non di tutto il debito, che non sarà mai ripagato. Così come non
sarà mai possibile estinguere quello italiano. Ci sono in scadenza rate
per 27 miliardi di euro. La Grecia chiede una ristrutturazione del
debito, oppure un prestito di altrettanti miliardi, con un tasso
d’interesse non usuraio, intorno all’1,5%, con scadenza a 30 anni.
Altrimenti l’operazione non ha senso. Ovviamente i creditori si
irrigidiscono. Dal loro punto di vista hanno perfettamente ragione,
perché significa fare un pessimo affare. Così come hanno le loro buone
ragioni i greci, quando dicono che non si tratta solo di affari, ma di vite
umane e di sovranità. Si scontrano dunque due paradigmi: quello del
primato dell’economia e quello del primato della politica.
La tensione tra le due concezioni del potere non nasce oggi, ma
proprio ora i nodi vengono al pettine. La visione neoliberista del
mondo ha preteso e pretende che gli Stati-nazione funzionino
esattamente come aziende. Non possono battere moneta, devono
finanziarsi sui mercati secondari, devono rinunciare alla sovranità sulle
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materie più disparate, devono aprire i confini alla circolazione di merci
e lavoratori. Tuttavia, il mondo finanziario sembra non voler accettare
anche l’ipotesi che gli Stati-nazione possano fallire e non onorare i
debiti, come qualsiasi azienda del resto. Insomma, devono essere
mucche da latte, magari magre e rinsecchite, ma immortali.
Perché l’eventualità del default fa letteralmente imbufalire i
creditori? In fondo, in passato, hanno perso miliardi investendo in
aziende con bilanci vicini a quelli di un piccolo Stato, come Enron o
Lehman Brothers. La differenza è che le aziende e i loro C.E.O. sono
in linea di principio perseguibili e punibili. I bancarottieri, se non sono
abbastanza immanicati da farsi salvare con gli aiuti di Stato, finiscono
in galera e si può attingere a quello che resta del loro patrimonio. Però,
mica si può mettere in carcere un governo e l’intero popolo che lo ha
eletto, né sequestrargli i beni. Chi manderà la polizia giudiziaria ad
arrestare l’esercito greco, magari spalleggiato da quello russo?
E allora? E, allora, l’unica speranza che restava ai creditori era
quella di distruggere definitivamente “la politica”. Ossia demolire la
reputazione dei rappresentanti del popolo, dei tribuni della plebe –
mostrando che i politici, se non sono corrotti, sono incoerenti –
affinché non si ripeta più in futuro una situazione come quella attuale.
Che situazione? La situazione di una classe politica che viene eletta,
gode della fiducia degli elettori, fa esattamente quello che gli elettori
gli hanno chiesto di fare (anche se magari è una fesseria), e se questo
non è possibile chiede ai cittadini di esprimersi direttamente con un
referendum. Ovvero, l’assoluta normalità della vita democratica. E,
invece, per la grande finanza e i suoi mandarini di Bruxelles il
referendum greco è “un golpe”. Insomma, capovolgono anche il senso
delle parole. Ma non è una novità. Per avere soltanto pronunciato la
parola “referendum”, il socialista Papandreu si è dovuto dimettere. E il
suo partito è scomparso dalla scena.
Quello che si sta profilando non è uno scenario roseo per la Grecia.
Ma è anche lo scenario peggiore per la BCE, il FMI e la Commissione
europea. Se fossero riusciti a umiliare Tsipras – ovvero a raggiungere
quello che, a mio modesto avviso, era il loro obiettivo reale e realistico
– alla prossima tornata elettorale Syriza si sarebbe liquefatta come si è
liquefatto il PASOK, la gente si sarebbe persuasa che votare è inutile e
avrebbe disertato le urne, e il problema dell’allocazione del potere
sarebbe stato risolto: sarebbe rimasto saldamente in mano alle elite
finanziarie, per i decenni a venire, magari attraverso altre cessioni di
sovranità.
La Troika, però, non ha messo in conto che questo è lo stesso
scenario al quale punta Alba Dorata. Lo hanno detto a chiare lettere:
«Syriza vince le elezioni, viene messa con le spalle al muro dalla
finanza globale, applica le misure lacrime e sangue, e poi arriviamo
noi». E se l’ultimo baluardo della politica rimane il nazismo, forse non
ci resta che fare il tifo per Tsipras.
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia : (ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori
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(ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana
LETTERA da Torino
Ora che la parola Socialismo
non è più considerata un insulto…
Queste due ultime tornate elettorali, le regionali prima e i ballottaggi nei comuni poi,
hanno segnato probabilmente la fine della cosiddetta seconda Repubblica, tutti i
partiti che hanno rappresentato quel coacervo privo di valori e di ideali, qual è stato il
mondo politico nel ventennio passato, stanno esaurendo la loro funzione di armi di
distrazione di massa.
Quelle confederazioni di interessi particolari, distratti dalla loro funzione primaria,
il Potere fine a se stesso, non hanno saputo interpretare quanto si stava muovendo
nella società italiana, sempre più divisa, frammentata ed impaurita, ed hanno lasciato
campo libero a nuove forme di aggregazione politica che ormai dei vecchi partiti
hanno molto poco.
In particolare fa specie l’arretramento progressivo del PD, che Renzi ha tentato di
trasformare in qualcosa di “nuovo” (il Partito della Nazione), ma che è stato
penalizzato da una scelta, la rottamazione, che ha “pensionato” il vecchio ceto
politico ex PCI, il quale, in qualche modo, garantiva la prosecuzione sotto altro nome
di quelle pratiche consociative che assicuravano benefici per il proprio braccio
economico (la Lega Coop) ed al PD un radicamento ancora robusto nei territori.
Il fallimento dell’immagine del Partito delle “mani pulite”, dopo i casi di Sesto S.
Giovanni, Venezia, Roma ecc. ha provveduto a dare un ulteriore scossone, non è
casuale se i voti del PD ai ballottaggi, dopo la seconda ondata di arresti a Roma, sono
calati non solo in termini percentuali ma anche in termini assoluti.
Dopo i ballottaggi di domenica scorsa nulla è più uguale a prima, e nessuno,
neppure i leaders locali possono sentirsi al sicuro, si sta verificando una lenta ma
costante scissione dell’elettorato dal PD.
Il lento arretramento del PD verso quote pre-Renziane ed il probabile tentativo di
Renzi di dare un’accelerata al progetto del PdN, aprirà inevitabilmente la questione
di una sinistra che è passata, per parafrasare Calvino, da barone rampante a visconte
dimezzato per giungere infine ad essere cavaliere inesistente.
L’ipotesi vendoliana di un comunismo-libertario è rimasta attaccata al destino del
suo leader, la sinistra PD sconta i limiti di un ceto politico che si è formato alla
scuola delle Frattocchie ma che ormai ha esaurito la sua “spinta propulsiva” ed ha
anche subito una profonda “mutazione genetica”. Del PSI si sono ormai perse le
tracce, sopravvivono e lottano come dei giapponesi dei bravi militanti, ma ormai un
simbolo che fu nobile è stato ridotto, da un gruppo dirigente inadeguato, ad un
marchio commerciale senza più alcuna autonomia.
L’azione politica di Renzi ha generato una domanda di rinnovamento a cui non ha
saputo dare risposte, sta ballonzolando tra dirigismo centralistico e liberalismo à la
carte, senza mai saper scegliere e soprattutto senza mai spiegare esplicitamente gli
obiettivi di fondo che governavano i suoi atti, ed in politica la mancanza di chiarezza
non è mai utile, per un cittadino normale è preferibile un demagogo, qual i sono
Grillo e Salvini, ad un democratico confusionario.
Questo suo modo di agire ha però profondamente scompaginato il mondo politico,
è vero che non è (ancora) riuscito a stabilizzare il suo Partito della Nazione, ma ha
saputo, sia pure per motivi diversi, mettere in crisi una nomenclatura che si replicava
uguale a se stessa da un ventennio. Il Renzismo ha ucciso il padre ma non ha saputo
costruire una nuova idea di Partito in grado di sostituire il vecchio catto-comunismo,
sia per mancanza di Valori condivisi che per incapacità a dirigere il Partito stesso. La
sua fretta di andare ad occupare “la stanza dei bottoni” a Palazzo Chigi gli ha
impedito da un lato di consolidare il neo Partito Renziano e di converso ha scoperto
che non sempre (come già vide Nenni) i bottoni sono funzionanti.
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Esiste in Italia uno spazio politico in cui posizionare un movimento politico
socialista? Ma soprattutto esiste un interesse da parte dei cittadini verso un
movimento alternativo all’individualismo che è stato la base del liberismo?
Lo spazio agibile per noi socialisti esiste, la scomparsa di tutte le formazioni
politiche che in questi anni si sono qualificate come “sinistra” apre un territorio
ampio in cui un movimento socialista può dislocarsi, dobbiamo però avere la
consapevolezza che l’ipotesi di rifondare il Partito Socialista Italiano non ha più
prospettive. La subalternità del PSI al PD lo ha progressivamente oscurato e oggi gli
consente al massimo di fare qualche azione locale utilizzando le scadenze elettorali.
Un Partito che vive di momenti casuali, legati alla presenza di qualche leader e che
agisce a macchia di leopardo non ha futuro, non sarà mai in grado di creare una
massa politica in grado di riportare in auge un’ideale.
Questi ultimi due anni hanno però intaccato in profondità anche l’azione di tutti
quei piccoli movimenti di area socialista che dal 2008 in poi si erano venuti a creare.
Da tempo ormai la loro azione si limita a pochi momenti identitari, che non
producono più azione politica. Si sta assistendo di converso a tentativi, privi però di
prospettive, di costruzione di un blocco unitario di opposizione all’interno del PSI,
sono azioni che magari creano una illusione momentanea destinata però a non avere
futuro.
La minoranza in un Partito che non c’è è una minoranza impotente.
Anche in questo ambito si assiste all’esaurimento della “spinta propulsiva” che
venne da due considerazioni: la necessità di salvaguardare il meglio della cultura e
della storia socialista in Italia e l’incapacità del PSI di fare da casa per tutti coloro che
si definivano socialisti.
La prima azione ha avuto uno sviluppo importante, oggi dirsi socialisti non è più
considerato un insulto, e, fortunatamente, da un po’ di tempo questa azione viene
svolta con maggiore impegno dalle Fondazioni di area (la Nenni in particolare).
Oggi però non è più sufficiente dare ospitalità a coloro che furono socialisti, la
domanda che emerge in modo ancora confuso è di una sinistra che sappia recuperare
i valori migliori del socialismo democratico e riformatore. Se si vuole rilanciare
l’Idea Socialista occorre orientare le antenne verso coloro che del socialismo ne
hanno sentito parlare male o proprio non sanno cos’è.
Esiste una domanda inevasa di valori e principii che hanno informato il socialismo
nel secolo scorso e che, da altre parti e sotto altre forme stanno riemergendo, sono
domande di eguaglianza, solidarietà e libertà che sono sempre state proprie del
mondo socialista.
Perché queste domande non trovano risposte? Perché manca un Partito?
No non perché manca un Partito ma perché non c’è un Progetto politico nazionale
(e sovranazionale) che si ponga l’obiettivo di riportare l’agenda della discussione
politica dal politicismo (cosa fanno Renzi e Berlusconi, ma cosa pensa Grillo e
Salvini quale felpa si mette?) verso i problemi reali che quotidianamente la gente
normale si trova di fronte ogni giorno.
Mentre l’economia produttiva (it’s the economy stupid) dopo anni di “crisi”,
utilizzata per “salvare l’economia finanziaria (come ben dice il Papa), sta imponendo
un nuovo modo di guardare la realtà, la Politica partitica è ancora tutta dentro un
gioco delle parti che ormai non interessa più nessuno.
Il segnale preciso di questa dissonanza tra decisori e popolo sono i voti delle
ultime settimane.
Il centrosinistra sta rifiutandosi di guardare in faccia la realtà, si attarda a discutere
sulla forma del partito migliore, il Partito delle città, quello della Nazione oppure
quello della “famiglia”, e, come sempre, nel momento in cui occorre analizzare con
freddezza i motivi del distacco tra cittadini ed istituzioni ci si perde a discutere di
stupidaggini.
Abbiamo di fronte a noi un paio d’anni per coagulare un movimento vero che vada
oltra le tristezze delle quote di Partito di cui si è detentori, che sia in grado di
ridefinire cosa significhi essere socialisti oggi.
Un primo passo è stato fatto.
La crisi odierna dei Partiti nasce da una vittoria che ha Besostri tra i suoi fautori, il
porcellum è morto ed anche l’italikum non se la passa troppo bene, ma deve essere il
primo passo di una lunga marcia per riportare il socialismo italiano a rivedere la luce.
Sempre Avanti! Care compagne e cari compagni
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Dario Allamano, Torino
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.