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1 L'AVVENIRE DEI LAVORATORI www.avvenirelavoratori.eu La più antica testata della sinistra italiana, Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano > > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < < e-Settimanale - inviato oggi a 44281 utenti - Zurigo, 7 maggio 2015 Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni IPSE DIXIT L’argento è più vile «L’argento è più vile dell’oro, l’oro delle virtù». Orazio Se volete deprimervi «Se volete deprimervi sul futuro dell'Europa, leggete quel che scrive Wolfgang Schäuble sul New York Times. Troverete un ripudio di ciò che sappiamo di macroeconomia, delle intuizioni che l'esperienza europea degli ultimi cinque anni avvalora. Nel mondo di Schäuble l'austerità conduce alla fiducia, la fiducia genera crescita e, nel caso in cui per il vostro Paese ciò non funzionasse, ciò significa solo che lo state facendo nel modo sbagliato». Paul Krugman Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà. Giustizia e legalità Cooperazione internazionale per colpire la ’Ndrangheta globalizzata Il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione parlamentare antimafia, commenta l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata dal procuratore De Rao e dall’aggiunto Gratteri e condotta dagli uomini dello Sco e dell’Fbi. di Giuseppe Lumia, senatore della Repubblica

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La Newsletter settimanale del 7 maggio 2015

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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI www.avvenirelavoratori.eu La più antica testata della sinistra italiana,

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <

e-Settimanale - inviato oggi a 44281 utenti - Zurigo, 7 maggio 2015

Per disdire / unsubscribe / e-mail > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a: ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a: ADL Edizioni

IPSE DIXIT

L’argento è più vile – «L’argento è più vile dell’oro, l’oro delle

virtù». – Orazio

Se volete deprimervi – «Se volete deprimervi sul futuro dell'Europa,

leggete quel che scrive Wolfgang Schäuble sul New York Times.

Troverete un ripudio di ciò che sappiamo di macroeconomia, delle

intuizioni che l'esperienza europea degli ultimi cinque anni avvalora.

Nel mondo di Schäuble l'austerità conduce alla fiducia, la fiducia

genera crescita e, nel caso in cui per il vostro Paese ciò non

funzionasse, ciò significa solo che lo state facendo nel modo

sbagliato». – Paul Krugman

Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

Giustizia e legalità

Cooperazione internazionale per

colpire la ’Ndrangheta globalizzata

Il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione

parlamentare antimafia, commenta l’inchiesta della Direzione

distrettuale antimafia di Reggio Calabria guidata dal procuratore De

Rao e dall’aggiunto Gratteri e condotta dagli uomini dello Sco e

dell’Fbi.

di Giuseppe Lumia, senatore della Repubblica

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La ‘Ndrangheta da anni occupa i piani alti della criminalità in Italia e

nel contesto internazionale. Ancora oggi il traffico di droga costituisce

una risorsa fondamentale che consente all'organizzazione criminale di

costruire potere economico e collusivo e di instaurare relazioni

fortissime, come quelle con le famiglie mafiose newyorkesi dei

Gambino, Lucchese, Bonanno, Colombo e Genovese.

In questo settore la ‘Ndrangheta ha rafforzato la sua posizione con i

cartelli sudamericani, per la sua affidabilità nei pagamenti, per l'abilità

nel riciclare denaro sporco grazie alla rete di colletti bianchi di cui

dispone, ma soprattutto per la capacità di garantire un mercato di vaste

proporzioni come quello europeo.

A questa ‘Ndrangheta globalizzata si risponde con operazioni

condotte a livello internazionale. La cooperazione è fondamentale per

disarticolare il traffico di stupefacenti e colpire al cuore

l’organizzazione.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Torture

A metà del Seicento, il filosofo Thomas Hobbes diceva che lo Stato

moderno è stato creato per salvaguardare l’incolumità e la sicurezza

degli individui. Oggi, un altro filosofo, Giorgio Agamben dice che “lo

stato di eccezione tende sempre più a presentarsi come il paradigma di

governo dominante nella politica contemporanea”.

Nello stato di eccezione le leggi sono sospese e le garanzie

giuridiche delle persone sono disattivate. Nello stato di eccezione la

vita umana è abbandonata senza alcun riparo, esposta agli abusi e alla

tortura. Agamben la chiama nuda vita. Nude vite degli attivisti nella

scuola Diaz al G8 di Genova; di Stefano Cucchi, di Federico

Aldrovandi, di Francesco Mastrogiovanni, di altri di cui si conosce la

sorte e di chi, e sono molti, si sa poco o nulla; nude vite di immigrati e

rifugiati nei deserti e nei campi di concentramento in Libia e in

Tunisia; sui barconi che solcano uno dei tratti di mare più sorvegliati al

mondo, sorvolati dai velivoli, monitorati dai dispositivi di controllo

nazionali e sovranazionali e poi abbandonati allo stato di eccezione del

mare , dei trafficanti, degli speronamenti; nuda vita degli immigrati nei

Cara, nei Cie, in galera, nelle camere di sicurezza di polizia e

carabinieri, nei fermi e nei controlli notturni agli angoli delle strade e

nelle piazze.

Lo Stato italiano è stato condannato per la seconda volta (dopo la

sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2013 sulle

condizioni disumane e degradanti in carcere) perché a Genova ha

praticato la tortura.

Dovrebbe essere condannato anche per le stragi nel Mediterraneo,

ma in questo caso, insieme all’Italia, il giudice della Corte europea

dovrebbe condannare tutte le istituzioni che rappresenta.

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La Nagazzetta http://www.naga.it/

SPIGOLATURE

Sfida all'ultimo voto tra

laburisti e conservatori

di Renzo Balmelli

SFIDA. Fino a ieri i sudditi di Elisabetta non avevano occhi che per la

principessina Charlotte. Ora la scena è mutata. Oggi la Gran Bretagna

vota e la confraternita degli sfegatati anti europeisti di Nigel Farage,

insidiosa mina vagante di queste elezioni, punta sulla vittoria di David

Cameron. Non tanto per simpatia, ma per la semplice ragione che se il

premier venisse riconfermato difficilmente potrà rimangiarsi la

promessa di indire il referendum sull'UE che manda in solluchero i

nemici dell'integrazione, ma minaccia di aprire prospettive

destabilizzanti sulle due sponde della Manica. Nell'immediato, però,

considerata l'estrema incertezza dei sondaggi e il peso di un'altra

incognita, quella rappresentata dai nazionalisti scozzesi che potrebbero

essere l'ago della bilancia di eventuali coalizioni, la cosa che gli

elettori maggiormente temono è l'incubo dell'ingovernabilità.

Comunque sia, la sfida all'ultimo voto tra i laburisti, che hanno a cuore

i lavoratori, e i conservatori ,che a cuore hanno invece i milionari e i

potenti, è destinata a lasciare il segno non soltanto a Londra, ma anche

sulla solidità dell'Europa e il suo futuro.

SCENEGGIATA. Papà io ti caccio, e io, figlia mia, ti ripudio. Con

accenti da tragedia shakespeariana, la faida in casa Le Pen che vede la

bionda Marine nei panni di Bruto e il padre Jean Marie nell'ingrato

ruolo di Cesare, è diventata una succosa sceneggiata mediatica a metà

strada tra politica e gossip. A lei non vanno più genio i propositi

razzisti pronunciati dal genitore su ebrei, nazismo e olocausto. Ma c'è

un ma. Il tentativo di pulizia etica ha tutta l'aria di essere un

escamotage per rendere più presentabile il Front National che sogna

addirittura l'Eliseo. Nella " querelle" Le Pen contro Le Pen si tratta ora

di capire non tanto chi dei due sia più antisemita e xenofobo, ma

piuttosto se davvero nel partito s'è creata una frattura tale da minarne la

compattezza nel cavalcare le bacate ideologie di estrema destra sulle

quali ha costruito la sua indecorosa fortuna.

ODE. E' curioso osservare quanto sia diversa la percezione che si ha

dei politici italiani in patria o se visti dall'estero. Emblematico a tale

proposito è il caso di Matteo Renzi di cui si può dire tutto e il contrario

di tutto, ma non che non abbia in casa una folta pattuglia di "nemici"

sebbene abbia incassato la fiducia sull'Italicum. All'opposto, dopo il

voto tormentato e segnato dalla pittoresca imitazione dell'Aventino

inscenata dalla destra, l'Europa si è fatta invece persuasa che ora l'Italia

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vede rosa nella ricerca della formula giusta per garantire la stabilità.

C'è però un dettaglio che probabilmente è sfuggito alla stampa

internazionale; e cioè che l'approvazione della legge è avvenuta alla

vigilia del 5 maggio, l'ode manzoniana che ammonisce quanto poco ci

voglia per passare dagli altari alla polvere.

SOLIDARIETÀ . All'EXPO2015 si racconta la storia del cibo, ma per un

miliardo di individui il cibo è solo un racconto. Tale pensiero,

condensato nella vignetta di Repubblica, è quello che dovrebbe

convogliare gli sforzi e le iniziative della rassegna per raccogliere una

sfida che non è esagerato definire epocale. Si tratta di ridefinire il

concetto di solidarietà ancora troppo spesso frenato dalla logica

spietata delle multinazionali che crea spaventose sacche di

sottosviluppo in cui si vive ( si fa per dire) con meno di un dollaro al

giorno. Sbaglia però chi pensa di arrivarci con la violenza che per sua

natura vanifica sul nascere le speranze di ridurre il divario tra il resto

del pianeta e la parte minoritaria del mondo. Quella parte che si

definisce moderna e civilizzata, ma ancora una volta incapace di

fermare quei quattro imbecilli mascherati che hanno devastato Milano,

perdendo però la partita sul campo.

CARRELLO. Dalla Germania all'Italia i negozianti di confine

sorridono. Ogni fine settimana i loro empori sono presi d'assalto dalla

clientela svizzera che nonostante le prediche anti europee dei populisti

se ne va tranquillamente a fare spesa all'estero a condizioni

decisamente favorevoli. Nessun slogan è stato in grado di arginare "i

frontalieri del carrello" che riempiono il frigorifero spendendo molto

meno che sotto casa. Sul piano interno il fenomeno preoccupa. Quando

si tocca il portafoglio non è facile fare breccia nel cuore della gente che

da un lato magari dice no alla libera circolazione delle persone, ma

dall'altro ,fatti due calcoli, pare poco incline a rinunciare ai vantaggi

della libera circolazione degli acquisti nella vicina UE che dopotutto

non sembra poi così ostile come la dipinge la propaganda nazionalista.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

Uno sguardo sul

futuro della sinistra

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Nel nuovo libro di Giacinto Militello (Ediesse) il racconto di una

nuova sinistra possibile. Capace di difendere i più deboli ma anche di

porsi alla guida dei grandi processi di cambiamento in atto nel

mondo per non lasciarli in mano alle destre. Solo il lavoro congiunto

del pensiero liberale e del pensiero socialista e di quello dei cattolici

democratici può fondare una moderna prospettiva liberalsocialista

capace di far rinascere il paese. È questo uno degli assunti de “La

prospettiva liberalsocialista. Uno sguardo sul futuro della sinistra”,

l’ultimo volume di Giacinto Militello, figura storica della sinistra

politica e sindacale in Italia, pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro).

Giacinto Militello, figura storica della sinistra politica e sindacale in

Italia, ha pubblicato per Ediesse (p. 203, 13 euro) un pamphlet

appassionato e ricco di informazione e documentazione.

“Il pensiero liberalsocialista – ha spiegato l’autore nel corso di un

intervista andata in onda su RadioArticolo1 – distingue nettamente

la tradizione socialista da quella comunista, la tradizione liberale da

quella liberista: è cioè il tentativo di mettere assieme libertà e

giustizia sociale, libertà dell'individuo e uguaglianza. Si tratta di

un'impresa enorme. Bobbio, a questo proposito, suggerisce di non

tentare una sintesi filosofica rispetto a queste due grandi tradizioni,

quella liberale e quella socialista, ma piuttosto un incontro di

interessi, una soluzione politica per mettere insieme queste due

grandi tradizioni democratiche del pensiero politico italiano”.

L’intervista di www.rassegna.it

Solo il lavoro congiunto del pensiero liberale, del pensiero

socialista e di quello dei cattolici democratici può fondare una

moderna prospettiva liberalsocialista capace di far rinascere il paese.

Questa è la tesi di fondo dl suo libro, nel quale viene spesso evocata la

differenza tra liberalismo e liberismo. Ma in Italia la “rivoluzione

liberale” di Gobetti è stata evocata anche a sproposito.

Militello Mi fa piacere che si citi Gobetti. Perché la rivoluzione

liberale di Gobetti era affidata soprattutto alla classe operaia, vista e

proposta come classe dirigente del paese. Mentre la rivoluzione

liberale di cui ha parlato Berlusconi era soltanto un modo per fare i

propri interessi e non certo per portare i deboli e gli operai alla guida

del paese. Sono due concetti completamente diversi.

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Quali sono, in sintesi, le asticelle che separano liberalismo da

liberismo?

Militello Il liberismo tende a ignorare o addirittura, come abbiamo

visto, a colpire i diritti dei più deboli e a consacrare un'idea di società

basata sul denaro, sul profitto, sulle diseguaglianze. Il pensiero liberale

invece è tutta un'altra cosa: comprende bene che per inverare il

concetto di libertà si ha bisogno di coniugarlo con quello di giustizia

sociale e di eguaglianza di tutti i cittadini e di progresso della

democrazia.

Quale ruolo ha nella costruzione di questa prospettiva progressista

il sindacato?

Militello Nel sindacato ho passato 30 anni della mia vita: lo

considero la mia famiglia. Per me è un bene prezioso e una grande

conquista democratica dei lavoratori che va assolutamente difesa, oggi

e domani. Tuttavia attualmente il sindacato corre il pericolo di subire

pesanti sconfitte. Pur essendo ancora capace di mobilitare masse, di

organizzare grandi manifestazioni e di incontrare il popolo, rischia di

non avvertire che nella società si stanno sviluppando due processi

opposti: da una parte c'è effettivamente la deindustrializzazione e il

declino dell'assetto produttivo e sociale del paese, ma dall'altra parte

c'è anche il cambiamento, l'innovazione tecnologica, l'automazione, e

il lavoro che diventa sempre più consapevole e capace di affrontare

problemi complessi. Se il sindacato tenta di fermare il declino senza

però capire che deve guidare e promuovere il cambiamento diventa

conservatore e si indebolisce. Il risultato è che questo cambiamento

verrà guidato dai liberisti. Per queste ragioni, la fase attuale per il

sindacato è sicuramente molto difficile.

A proposito del lavoro che cambia e della conoscenza, in Cgil sei

stato tra i primi a occuparti di professioni…

Militello Sì, e anche questo è un tema importante e ricco di

prospettive: non si può pensare che l’unica dimensione sia quella, pure

importantissima, del conflitto in fabbrica. La società è molto più

complessa. Ci sono, appunto, i lavoratori autonomi, che hanno una

propria cultura, una professione, una volontà di affermarsi nella società

con il loro sapere e le loro conoscenze. Il futuro del sindacato e quello

del lavoro sono sempre più legati al livello di conoscenza che ogni

singolo lavoratore immette nel processo produttivo. Il futuro del lavoro

sta nel suo matrimonio con la conoscenza, con l'esperienza e con la

formazione. Più fa questo e più il lavoratore diventa autonomo, anche

se magari è inquadrato come dipendente. L’innovazione tecnologica

non è un'invenzione dei padroni ma un bisogno e una tappa della

civiltà verso la modernità. Certo l'innovazione tecnologica purtroppo

crea anche il digital divide, gli esclusi, tanto lavoro puramente

esecutivo, poco dignitoso e pagato sempre meno. Ecco, allora, che il

grande compito del sindacato è difendere i più deboli, i più poveri e

quelli che hanno meno conoscenza ma, contemporaneamente, trovare

nuove alleanze sociali e nuovi strumenti organizzativi per stare insieme

ai lavoratori della conoscenza. Questo è il futuro, e se non ci si prepara

ad affrontarlo si resta indietro. Lo scenario attuale tiene insieme

povertà e innovazione e a tutti e due questi poli dobbiamo trovare una

risposta adeguata, altrimenti si finisce per restare inesorabilmente

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indietro.

Quindi la sinistra è forte se è in grado di rappresentare insieme i

deboli e i poveri…

Militello Proprio così. Dobbiamo rappresentare e stare con i

deboli, ma per vincere la battaglia e per guidare il cambiamento

abbiamo bisogno anche di altre forze sociali. Dobbiamo interrompere

questo andazzo deprimente che negli ultimi tempi ha offuscato la luce

della sinistra, diventata ceto politico senza più riferimenti sociali. Se

non lo faremo saranno tecnocrazia e populismi di destra a guidare i

processi in atto.

Economia

Pasteggiare con il cianuro no!

I derivati e il fallimento del metodo economico

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

Negli anni passati i governi italiani hanno sottoscritto con 17 banche

internazionali e 2 banche italiane vari tipi di derivati finanziari che a

dicembre 2014 avevano un valore nozionale di 163 miliardi di euro.

Oggi essi hanno una valutazione di mercato (mark to market) negativa

per oltre 42 miliardi. Questa è la somma che si dovrebbe sborsare se

dovessero essere conclusi adesso. Non lo si deve fare subito. Ma ciò

dimostra la pericolosità dei derivati e l’irresponsabilità di chi li ha

negoziati.

In ogni caso dal 2001 al 2004, in 4 anni lo Stato ha già pagato ben

13 miliardi di euro a causa di derivati andati male. Questi soldi sono

usciti “quatti quatti” dal bilancio pubblico per arrivare sui conti delle

solite banche “too big to fail”. Contemporaneamente – lo si ricordi - ci

si strappava i capelli per trovare qualche centinaia di milioni per i

lavoratori, per i disoccupati, per i precari, per i pensionati e per le Pmi.

Forse era una messa in scena perché i riflettori non venissero puntati

sui miliardi che silenziosamente fluivano verso le banche

internazionali.

“L’esperienza pregressa faceva presumere che …”. Con queste

parole inizia sempre la giustificazione per le incompetenti, e a volte

fraudolenti, operazioni fatte con i derivati. Più che una insostenibile

scusa, esse rivelano il fallimentare pensiero che ha dominato la politica

economica in Italia e anche nel resto del cosiddetto mondo avanzato.

I dati statistici sono molto utili per le analisi economiche. Lo studio

delle passate esperienze è senz’altro importante per evitare di ripetere

certi errori. Ma le decisioni di politica economica per il presente e per

il futuro non possono basarsi sui precedenti, sul passato. L’economia

esige una capacità di analisi vera delle sue leggi e degli andamenti per

compiere scelte, decisioni e azioni corrette.

Come funziona l’economia reale? Qual è il ruolo del credito? Quali

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devono essere i limiti della finanza? Sono alcune delle domande alle

quali non si può rispondere con la statistica. Occorre essere in grado di

formulare delle politiche giuste, anche nell’ipotesi di una totale

mancanza di dati statistici. Politiche misurabili durante il loro percorso

attuativo.

Nella finanza, voler invece perseguire col metodo di un continuo ed

identico “passo dopo passo”, soltanto perché fino a quel momento è

andato tutto bene, può portare alla catastrofe sistemica. Infatti all’inizio

tutte le speculazioni e le bolle finanziarie eccitano la fantasia,

stimolano maggior avidità e ingenerano quasi un senso di onnipotenza.

Il comportamento truffaldino della speculazione illude e nasconde la

verità. Però quando poi si cade, impreparati e illusi, ci si fa veramente

male.

Eppure la crescita progressiva ed esponenziale dei derivati più

pericolosi, come quelli Over the counter (otc), stipulati fuori dei

mercati regolamentati e non riportati nei bilanci, avrebbe dovuto

suonare l’allarme per tutti gli economisti ed in particolare per i

governi. Questa bolla era iniziata nel 1998 dopo l’eliminazione del

Glass-Steagall Act, la legge voluta nel 1933 dal presidente F. D.

Roosevelt dopo la Grande Depressione. Proibendo alle banche

commerciali di giocare con i depositi dei risparmiatori ai casinò della

speculazione, tale legge aveva avuto effetti positivi sia negli Usa che

nel resto del mondo occidentale

I derivati otc, sotto gli occhi di tutti, negli anni sono cresciuti a

dismisura con la complicità più o meno consapevole degli organi

preposti ai controlli bancari e finanziari. Nel 1998 ammontavano a 30

trilioni di dollari. Poi vi è stata una continua crescita:140 trilioni nel

2002, 250 nel 2004, 420 nel 2006, 600 nel 2007. A giugno del 2008,

alla vigilia del crac della Lehman Brothers e della crisi globale, erano

pari a 683 trilioni. Attualmente gli Otc si mantengono intorno ai 700

trilioni di dollari.

E’ a dir poco sconcertante il fatto che non si sia compresa la gravità

di tale abnorme andamento. E’ sorprendente che qualcuno possa

ancora ritenere che i derivati siano una specie di “polizza di

assicurazione”? Perché i contratti in derivati sono mantenuti nel

segreto per paura di destabilizzazioni finanziarie? Si sa che essi sono

gestiti, quasi tutti, da una ristretta “loggia” di una dozzina di banche

too big to fail.

Si mettano da parte le definizioni accademiche del derivato e si

affronti, nelle competenti sedi governative europee ed internazionali, la

dura realtà speculativa dei derivati e delle loro bolle. Non farlo sarebbe

esiziale per l’economia mondiale. E’ ben noto che in piccolissime dosi

anche i veleni possono essere utili. Pasteggiare con il cianuro no!

Da Avanti! online www.avantionline.it/

IL SÌ DEL QUIRINALE

di Ginevra Matiz

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Mattarella firma l’Italicum e Pippo Civati lascia il Pd mentre a sinistra

si annuncia la possibile nascita di una nuovo partito (Vendola). “Esco

dal gruppo del Pd. Per coerenza con quello in cui credo e con il

mandato che mi hanno dato gli elettori, non mi sento più di votare la

fiducia al governo Renzi. La conseguenza è uscire dal gruppo”. Alla

fine Civati ha deciso. Dopo diversi annunci e dopo essersi avvicinato

alla porta più in più di una occasione, questa volta il deputato della

minoranza Pd ha deciso di attraversare il Rubicone. La goccia è stata

l’approvazione del “Renzellum”, la nuova legge elettorale, con

l’imposizione del voto di fiducia da parte del presidente del consiglio.

Legge appena firmata dal Presidente della Repubblica. Firma che

secondo alcuni non avrebbe dovuto apporre. Tra questi il segretario

generale della Uil Carmelo Barbagallo: “Il Presidente della Repubblica

è un costituzionalista – aveva detto poco prima della firma – dovrebbe

vedere se ci sono alcuni aspetti che secondo me sono molto forzati”.

Ieri sera, evidentemente in modo non casuale, Vendola aveva

annunciato di essere pronto a sciogliere il gruppo parlamentare

“formare un raggruppamento nuovo, più grande”. Per Vendola questa

trasformazione nasce dal bisogno di “movimentare la scena perché –

aveva concluso – questa puzza di autoritarismo che promana Palazzo

Chigi è insopportabile”. Da Sel ha parlato anche il coordinatore

nazionale Nicola Fratoianni: “Siamo pronti a discutere con Civati e

dare vita al più presto ad una forza politica in grado di dare voce alle

tante distanze dal Pd che sono vicinanze per Sel. Siamo pronti a

mettere in discussione l’assetto dei nostri gruppi parlamentari e del

partito perché sappiamo che oggi è il tempo per costruire una risposta”,

ha aggiunto. Insomma l’approdo di Civati a Sel sembra scontato, anche

se probabilmente avverrà in un secondo tempo dopo un passaggio al

gruppo misto, ma soprattutto e da vedere se la sua decisione, ormai

nell’aria da tempo, rimarrà un caso isolato o sarà seguita da altri

dissidenti della sua area. Nel Pd – ha scritto Civati sul proprio blog –

“hanno promosso e approvato, senza voler parlare, di leggi elettorali,

riforme del lavoro e della Costituzione, cementificazioni e

trivellazioni, e ce li siamo trovati in tivù a deridere le ragioni di chi

difende l’ambiente o crede che il futuro passi attraverso soluzioni

differenti. Peccato (soprattutto per loro): perché invece il futuro

sarebbe a portata di mano, basterebbe imparare a sposare tradizione e

cambiamento, coniugando cose antiche come i diritti e nuovissime

come l’innovazione”.

Dalla maggioranza del Pd nessuno sembra stracciarsi le vesti.

L’uscita di Civati è un problema in meno a meno che non diventi il

primo di una serie di deputati che seguano la stessa strada. Ipotesi al

momento molto improbabile. Il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini

ha detto di essere “dispiaciuto ma era una decisione preannunciata da

tempo”. Per quanto riguarda la maggioranza al Senato Guerini dice di

non essere “impensierito, non credo che la minoranza Pd lo seguirà”.

Civati “da tempo non votava in Aula a sostegno del governo – ha

proseguito Guerini -. La sua scelta era nell’aria, noi rispettiamo la sua

scelta”. Guerini non crede che la scelta di Civati possa influire su altri

deputati e senatori non troppo allineati con il segretario-presidente e

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sottolinea comunque di non aver timore che si crei un nuovo soggetto a

sinistra del Pd: “Già c’è e noi ci confrontiamo con loro”.

Per il deputato riformista Dario Ginefra “non può far piacere l’uscita

da un partito di qualsivoglia iscritto, figuriamoci di una persona con le

qualità di Pippo, ma la notizia della la sua scelta contribuisce a far

chiarezza. Si tratta in fondo della cronaca di una morte annunciata”.

Corradino Mineo ha già detto che non seguirà la scelta di Civati: “Il Pd

è la nostra trincea, mollare sarebbe come disertare. Quanto è accaduto

– dice il senatore ‘civatiano’ – è una cosa grave: Civati era uno dei due

sfidanti di Renzi alle primarie e la sua uscita e la prova che prosegue il

mutamento genetico del Pd di Renzi”.

Un’uscita che per Vannino Chiti non è da sottovalutare. “L’uscita di

un dirigente giovane come Civati è un segnale negativo. Esprime un

disagio e delle insoddisfazioni dovute non soltanto a scelte che si

possono non condividere, ma anche a un divario tra quello che il Pd

dovrebbe essere e quello che è realmente, anche nei territori”.

Preoccupazione arriva anche dall’ex capogruppo Roberto Speranza e

parla di “un atto che deve farci riflettere e non può essere liquidato con

una semplice alzata di spalle. Testimonia un malessere di tutto il Pd.

Vedere Bondi che vota la fiducia e sentire un mondo largo, il nostro,

molto critico con il Pd provoca inquietudine nell’elettorato. L’uscita di

un candidato segretario che alle primarie ha preso 40 mila voti deve

essere oggetto di riflessione” conclude Speranza.

Un’uscita che probabilmente renderà più facile la strada del governo

perché toglie forza a un’opposizione interna che stava diventando un

freno. Un oppositore fa più danni da dentro che da fuori. Da Renzi, per

ora, neanche una parola, impegnato in un incontro con i parlamentari

del Pd, sul problema della riforma della scuola.

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Da MondOperaio http://www.mondoperaio.net/

Numero chiuso

Da quanti anni non si assume più un ventenne in una redazione e

non si allarga ai trentenni la cerchia dei collaboratori?

di Luigi Covatta

L’altro giorno a palazzo San Macuto Guido Crainz, nel congratularsi

con Filippo Ceccarelli per l’archivio personale da lui donato alla

biblioteca della Camera (che contiene soprattutto ritagli della stampa

quotidiana), per sottolinearne l’importanza ha osservato che oggi è

proprio la stampa quotidiana ad ospitare il dibattito pubblico più

qualificato, che invece un tempo si svolgeva sulle riviste.

Sarà che per argomentare la sua tesi Crainz ha citato, oltre al

Mulino, anche “il mitico Mondoperaio degli anni ‘70”: ma in quanto

direttore del meno mitico Mondoperaio degli anni 2000 non ho potuto

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fare a meno di essere colto da un dubbio esistenziale e di pormi

qualche domanda (oltre che di recitare mentalmente un mea culpa).

In attesa del perdono divino, passo alle più laiche domande. Come

mai la rivista che ora dirigo è sostanzialmente esclusa dal dibattito

pubblico? Tralascio le scemenze sul digitale e sull’obsolescenza della

carta stampata, so anche che è caduto il muro di Berlino e che c’è la

crisi delle ideologie, e vengo al dunque.

Mondoperaio non è più “mitico” perché il Psi è crollato? Vero: ma

anche negli anni ’70 il (grande) successo della rivista non coincideva

col (modesto) successo del partito. Perché non c’è più Bobbio? Vero:

ma non è che nella stampa quotidiana ora si veda l’ombra di un

filosofo alla sua altezza. Perché fra i trentenni di oggi non ci sono

emuli di Ernesto Galli della Loggia o di Giampiero Mughini? Forse:

ma anche fra i nostri più giovani collaboratori ce n’è di mica male.

Perché non ci sono più Rinascita e La Discussione? Probabilmente è

l’unica risposta sensata, anche se Mondoperaio non è stato mai organo

stretto di partito.

E allora? Guardando Ceccarelli mi è venuto in mente che Lamberto

Sechi lo assunse a Panorama quando aveva poco più di vent’anni. E

che del resto io stesso (che anche allora non ero nessuno) a poco più di

trent’anni avevo libero accesso alle colonne della Repubblica di

Eugenio Scalfari.

Mi sono quindi chiesto da quanti anni non si assume più un ventenne

in una redazione e non si allarga ai trentenni la cerchia dei

collaboratori. Come se i trentenni degli anni ’70, felicemente salvati

dal disincanto degli anni ’90, avessero fissato un ferreo numero chiuso:

con le conseguenze che si possono apprezzare sia per la qualità del

dibattito pubblico che per quella dell’informazione.

FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/

Appello accorato ai lettori

Aiutatemi per favore a capire se con il jobs act

la disoccupazione è aumentata o diminuita.

di Giuseppe Tamburrano

A pag. 12 del Corriere della Sera del 1° maggio 2015 leggo una notizia

relativa all’occupazione: “+92.299 posti a marzo (mese del debutto del

jobs act)”.

Sotto, nella stessa pagina, nell’articolo di Mario Sensini: “A marzo,

secondo i dati dell’ISTAT, la disoccupazione è tornata a salire di due

decimali, toccando il 13%, livello record dopo il 13,2 del novembre

scorso. Il nuovo contratto a tutele crescenti e la decontribuzione… per

il momento non determinano la creazione di nuova occupazione… Nel

mese di marzo l’ISTAT ha registrato 52.000 disoccupati in più rispetto

a febbraio”.

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Nello stesso Corriere, Dario Di Vico conferma (p. 28): “Primo

Maggio del 2015… Avremmo tutti voluto che fosse una festa del

lavoro ritrovato, chiaramente non lo è”.

Rivolgo un fraterno appello ai lettori del blog perché mi aiutino a

capire se col jobs act, con il quale abbiamo perso una grande conquista

della sinistra (penso a Di Vittorio, a Nenni, a Brodolini) e cioè l’art.

18, l’occupazione è aumentata o invece non è diminuita.

E giacché mi trovo, vorrei anche chiedere di aiutarmi a capire che

cosa è il PD secondo i criteri classici di ogni libera democrazia: destra,

centro, sinistra.

E ancora di spiegarmi perché metà degli elettori italiani non votano

(quanti voteranno alle prossime regionali?)

Scrivetemi al blog della Fondazione Nenni che, non essendo

sostenuto da nessuno, è libero come un uccello di buon augurio perché,

nonostante tutto, continua a credere nel socialismo che, come disse

Turati, è immortale.

Per scrivere al Direttore, Giuseppe Tamburrano,

inviare una mail a: [email protected]

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (ADL in spagnolo) http://es.wikipedia.org/wiki/L%27Avvenire_dei_Lavoratori (Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo (Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Pertini e gli altri e le altre

Il 70° della Liberazione nel luogo dell’eccidio di Fondotoce. Oltre al

grande nome di Sandro Pertini. Eroi comuni, uomini e donne, nord e

sud. E qualcosa su mio padre. Riproduciamo qui il testo

dell'intervento tenuto dal professor Rolando alla Casa della

Resistenza, Fondotoce-Verbania, domenica 26 aprile 2015. Alla

manifestazione di Fondotoce sono intervenuti Irene Magistrini (Casa

della Resistenza), Mario Artali ed Emanuele Nicora (Fiap), Umberto

Voltolina e Stefano Rolando (Fondazione Pertini) nonché l’on.

Renzo Righi (già sindaco e parlamentare socialista di Como,

partigiano, segretario di Pertini quando era presidente della

Camera).

di Stefano Rolando *)

Ho conosciuto Sandro Pertini da ragazzo e – onorato di una amicizia di

famiglia – lo ho accompagnato per tutta la vita, rendendo poi in questi

ultimi venti anni – ove chiamato, ove possibile, attraverso le nostre

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Fondazioni – testimonianza sul monumento che è stato.

Ma Pertini stesso, come ha detto poco fa anche Mario Artali, era

cosciente che la storia eroica che rappresentava, o meglio che

incarnava, sarebbe diventata cultura di popolo trovando anche i

percorsi naturali per fare comprendere che senza l’antifascismo nel suo

complesso l’Italia che conosciamo e in cui abbiamo vissuto non

avrebbe avuto né una classe dirigente, né una Costituzione, né una

reputazione internazionale.

Proprio ieri, il 25 aprile, ho fatto da cittadino – cioè in rete – un

ennesimo diverbio con Giampaolo Pansa proprio su questo aspetto. Per

lucrare audience lui – che come giornalista, anche bravo giornalista, ha

largamente beneficiato della libertà di informazione generata dalla

cultura antifascista – mescola cose vere, verosimili e false. E’

certamente vero che una guerra civile non poteva essere, tragicamente

e per entrambe le parti, un minuetto ma una pagina violenta (pensando

poi la storia stessa a chiarire chi violava e chi difendeva la libertà). Ed

è anche vero che una certa storiografia ideologica ha sagomato la

Resistenza in un certo modo lasciando in ombra contributi civili e

militari, moderati o minoritari, persino non appartenenti. Ma è certo

falso dire che i resistenti italiani furono “quattro gatti” e che l’unico

loro scopo era riconducibile ad una trama per un successivo golpe

comunista. Se fossero stati “quattro gatti” noi oggi non ricorderemmo

70 mila caduti – di cui 1200 solo qui nel novarese, nel verbano e

nell’Ossola – altrettanti incarcerati e torturati, 40 mila mutilati a vita. E

se tutta la loro trama fosse stata unilaterale e golpista la storia politica e

progettuale che, in dialettica con le “forze alleate”, portò alla

Costituzione e alla Repubblica non sarebbe stata quella che

conosciamo.

“Quattro gatti” furono purtroppo i resistenti tedeschi (pur con atti di

eroismo) e questo spiega perché, per la verità e la complessità della

riscossa interna degli italiani, i vincitori della guerra permisero appunto

agli italiani di scriversi da sé la loro Costituzione ritrovando così

immediata dignità istituzionale e politica mentre imposero la carta

delle regole alla Germania (così come fu imposta al Giappone). Chi ha

beneficiato per tutta la vita professionale dell’art. 21 della

Costituzione, insieme a tanti altri diritti personali e collettivi, dovrebbe

rifletterci tornando a rileggere ogni tanto l’epigrafe dettata a Cuneo da

Piero Calamandrei: “Lo avrai camerata Kesserling il monumento che

pretendi da noi italiani…”.

Ci furono eroi, certo. Ci furono protagonisti coerenti, con atti

immensi di coraggio fisico.

Gli storici italiani hanno attribuito a Sandro Pertini questa dote,

coerentemente esercitata da esule e da rivoluzionario in patria, da

confinato e da organizzatore dell’insurrezione, con 16 anni di carceri,

confini ed evasioni. Lo stesso Pertini vedeva queste doti in altri e se

doveva fare nomi (ho riportato un colloquio del 25 aprile dell’85, in

occasione del quarantennale, che contiene cenni) faceva quelli di Leo

Valiani e di Giancarlo Pajetta. Senza dimenticare mai il nome di

Matteotti che, nel coraggio della resistenza parlamentare, mostrò al

mondo la natura e la brutalità del regime.

Ma ci fu una complessa declinazione di quel coraggio. I nomi sono

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tanti. Presiedo la Fondazione legata al nome di Francesco Saverio Nitti

che esule a Parigi – dopo che gli squadristi gli distrussero la casa e

prima che i nazisti lo imprigionassero in Tirolo – fu un tessitore di

alleanze politiche e di legittimazione internazionale per predisporre le

vie della pur lunga e difficile trasformazione dell’Italia. Nella sua casa

passarono in tanti, da don Sturzo ai Rosselli, da Turati a Nenni, da

Saragat a Gobetti e Amendola (questi ultimi due, massacrati dai

fascisti e curati fin negli ultimi istanti di vita dal figlio medico

Federico). E sempre nelle diverse declinazioni di quel coraggio

dobbiamo ricordare chi – come Alcide De Gasperi – pur nell’ombra

della Biblioteca Vaticana mise la sua vita a disposizione di un pensiero

lungo per preparare, appunto nell’ombra, la classe dirigente che

sarebbe stata necessaria per il cambiamento del Paese.

E poi l’intelaiatura delle partecipazione politica che l’avvio del ‘900

aveva prodotto nell’Italia post-risorgimentale e prefascista, in cui si

erano formati i primi partiti di massa. Il fascismo spezzò questa genesi

(pur essendo a sua volta portatore di una nuova partecipazione sociale

alla politica), ma non cancellò figure che – a loro modo – fecero

resistenza e si ritrovarono, dopo molti sacrifici, all’appuntamento della

storia.

Proprio ieri, ero a Melfi appunto al Centro Nitti (dove tra l’altro è

custodita la biblioteca di casa di Carla e Sandro Pertini e dove vi è una

stanza che ricorda tutti gli esuli antifascisti italiani in Francia tra le due

guerre) in cui abbiamo presentato – con il sindaco della città Livio

Valvano e il direttore della rivista fondata da Pietro Nenni

“Mondoperaio” Luigi Covatta – la biografia di Attilio Di Napoli.

Nome forse sconosciuto ai più qui. Che fu leader del socialismo

melfitano, appunto in quel primo ‘900, sindaco della città, e dopo la

caduta del fascismo parlamentare e anche ministro nei governi di

transizione. La biografia lo chiama “intransigente”, perché avvocato

difensore dei braccianti e dei più poveri. Quando evitò il confino

accettando di neutralizzare la sua attività politica, attraversò così i

lunghi anni del fascismo: difese da avvocato la povera gente.

Ciò che vorrei dire, accanto a questi, come a tanti altri possibili nomi

non sempre di una storia maggiore, è che proprio in questi giorni,

attorno a questo settantennale, chi frequenta i social network vede un

fenomeno diffuso che non avevo percepito negli anni precedenti. Molti

postano la fotografia di un nonno, di una nonna, di un padre, di uno

zio, di un parente carabiniere, di un amico di famiglia, per ricordare

che all’epoca ebbero la schiena dritta, fecero il loro dovere, si presero

la responsabilità di esercitare il difficile diritto al coraggio civile.

Raccontano episodi che non entrerebbero nei libri di storia, ma che

sono entrati nel libro di tante famiglie come l’anello all’educazione

virtuosa che legava il paese reale a quella storia che spesso passa sopra

la testa di tanta gente, di tante famiglie.

Se in questa cornice mi è concessa una breve testimonianza

personale – che non ho mai fatto in pubblico – incoraggiato dalle

parole del presidente Ciampi, che sono scritte alle nostre spalle in

questo luogo, perché grazie a Ciampi la vicenda delle migliaia di

militari italiani trucidati a Cefalonia è stata riportata a piena luce –

vorrei dire una cosa riguardante mio padre.

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Il sottotenente Emilio Rolando, non ancora laureato in Economia

all’Università Cattolica a Milano, partì volontario nel 1940, come

molti ragazzi facevano, per “amor di patria”. E raggiungendo con la

Divisione Cuneo la città di Brindisi non sapeva se da lì avrebbe preso

un aereo per l’Africa oppure una nave per la Grecia. Lo imbarcarono

su una nave per la Grecia, che in realtà giunse in Albania da dove

Mussolini pensava che si sarebbero spezzate le reni ai greci in quattro e

quattr’otto. Quei greci che, per difendere la loro patria e la loro casa,

aspettavano appunto gli italiani sugli stessi monti albanesi a molti

chilometri dal loro confine. Sulla Vojussa gli italiani – mal vestiti,

male armati, male informati – morirono come le mosche. E una volta

entrati – grazie ai tedeschi – in Grecia fino ad occuparla, quei ragazzi

avevano capito quasi tutto della storia in cui erano diventati piccoli

attori. Andai pochi anni fa nella piccola isola che poi, nel ’42, toccò a

mio padre comandare, come comandante di compagnia, l’isola di

Furni, vicino alle coste turche. Trovando ancora gente che li aveva

visti sbarcare. Ricordavano gli italiani con un certo affetto. Ma – così

mi disse una vecchia donna, vestita di nero, con due occhi lucenti -

quella gente chiamava gli italiani “purquades”, un misto di greco e

francese che corrispondeva alla domanda sul “perché” erano lì a fare la

guerra proprio ai greci. Domanda a cui nemmeno gli ufficiali sapevano

rispondere. La Divisione Cuneo occupò l’isola di Samos e il 9

settembre del ’43 il generale comandante riunì – come avveniva in

tutte le isole e in altre parti del mondo – ufficiali e soldati, tutti, per

leggere il proclama di Badoglio e chiedere (era la prima volta che

qualcuno nella vita chiedeva loro una cosa del genere) cosa volessero

fare. Naturalmente la risposta di massa era “tornare a casa”. Ma ciò era

l’unica cosa che - senza aerei e senza navi – non si poteva fare. In

verità la scelta era se tenersi le armi o – come volevano i tedeschi –

consegnarle appunto a loro, poco presenti sull’isola ma in grado di

riprendersi rapidamente il controllo. Il grosso fece un po’ all’italiana,

cercò di prendere tempo, molti pensavano che comunque gli inglesi o

gli americani li avrebbero salvati. Mio padre apparteneva a un reparto

di fanteria da prima linea, quindi d’assalto. Con dentro volontari, cioè

ragazzi di buona famiglia e avanzi di galera. Ma la guerra aveva

cementato rapporti reali. E quei ragazzi avevano già rapporti veri con il

popolo greco. E la stessa sera del 9 settembre gli spiegarono quello che

i greci sapevano, che mai gli inglesi o gli americani avrebbero messo il

naso in Grecia. La decisione così fu notturna e immediata. Radunò la

compagnia e per salvare la vita a 120 uomini propose loro di mettere

subito in rischio quella vita. All’unanimità tennero le armi e andarono

insieme ai greci sulle montagne di Samos per fare la resistenza contro i

tedeschi. Raramente sentii mio padre parlare della guerra (da cui tornò

a fine 1946, dopo aver portato la compagnia in Turchia e poi nel

periplo mediorientale fino in Egitto perché, condannato a morte dai

tedeschi, si consegnava in divisa come cobelligerante agli inglesi che

però misero lui e tutti quanti invece nel campo di concentramento di

Ismailia). Tornò per fare famiglia, dedicarsi alla ricostruzione e alla

vita industriale della Milano tornata a pulsare e per non vantarsi né di

appartenenze né di storie, che portavano in sé troppi dolori. Morì di

infarto nel 1971. Ma pochi mesi prima – con un bel ritardo istruttorio

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degli uffici del Ministero della Difesa – ricevette il plico e le

motivazioni della medaglia al valor miliare “per atti fieri e intrepidi

compiuti nel corso della guerra di resistenza insieme ai greci contro i

tedeschi sulle montagne di Samos nell’inverno del 1943”. Ripose con

un sorriso quella medaglia in un cassetto, dove teneva per sé la sua

tessera di “partigiano all’estero”.

Nel capitolo delle storie comuni ci sono poi le storie delle donne.

Che viste da vicino non sono mai “storie comuni”, ma quasi sempre

esemplari. Ne parlammo a Melfi in un recente 25 aprile con Marisa

Ombra, piemontese, che unisce al suo racconto umile di staffetta, una

memoria di famiglia e di ambiente che fa comprendere appunto quella

esemplarità, fatta di critica e di coraggio, tanto che lei è vice-presidente

nazionale dell’ANPI. Ne parlai con la figlia di Nullo Baldini (il

socialista fondatore della cooperazione romagnola) e nuora di Nitti,

Maria Luigia Baldini Nitti, che aveva conosciuto il carcere fascista a

Ravenna e poi il lungo esilio con il padre, nel quale sommò la sua

laurea in Diritto romano a Bologna con una seconda laurea in Storia

dei Trattati (che è una sorta di scuola diplomatica) alla Sorbona e la

dedizione quotidiana alla trama della “Concentrazione antifascista” di

Parigi che comprendeva quasi tutta la classe dirigente italiana del

dopoguerra. Lei – nel colloquio che mi diede quasi centenaria nel 2008

pubblicato da Bompiani – limitava il ricordo di tutto ciò al fatto che in

quegli anni “aveva servito il caffè” a tutti quegli illustri esiliati.

E ne parlai tante volte con una donna speciale, di cui vi mostro ora

la fotografia, casualmente scattata in piazza del Duomo a Milano

proprio nel gennaio del 1945. Come avete visto si tratta di Carla

Voltolina, sorella del qui presente Umberto e al tempo staffetta

partigiana assegnata alla sicurezza di uno dei massimi capi della

Resistenza, con cui preparava, nel piccolo covo di viale Tunisia,

l’insurrezione di Milano. Lei, la prima bandiera rossa sulla CGE

occupata. Si sposarono a Roma nel 1946 e senza la Carla – con tutte le

sue originalità - non si potrebbe scrivere una compiuta biografia di

Sandro Pertini. A lei abbiamo dedicato un convegno a Milano l’anno

scorso e la Fondazione Pertini sta avviando ora alle stampe un libro

che ne ricostruisce il profilo.

Carla Voltolina

Mi commuove avere qui accanto per parlare di Sandro Pertini l’on.

Renzo Pigni, oggi splendido novantenne, che fu tra i più giovani

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parlamentari socialisti nella seconda legislatura e che proprio alla

Camera dei Deputati fu il segretario di Pertini quando esercitò la

presidenza di quel ramo del Parlamento. Ed è giusto che sia lui a dire

qualcosa in più sul messaggio che la sua vicenda può ancora

trasmettere alle nuove generazioni di italiani.

Io mi limiterò a raccontare brevi episodi “visti da vicino” che, per

averli ripresi in un testo già citato, non annoto nel testo scritto di

questo intervento, limitando il cenno a voce.

Ma Pertini – legato a questo luogo che inaugurò nel 1964 –

rappresenta davvero la cornice giusta per riporre queste e le tante altre

storie che la Casa di Fondotoce custodisce e ci ricorda.

Per due volte fu protagonista di un tema cruciale nella storia d’Italia.

Quello del legame spezzato tra istituzioni e popolo. La prima volta con

il percorso militante della lotta di resistenza fino all’insurrezione delle

maggiori città italiane. La seconda volta, riconquistando la fiducia

degli italiani nelle istituzioni, con l’incarico di presidente della

Repubblica dal 1978 al 1985.

Colpisce l’osservazione – con cui voglio concludere – che nella

vicenda italiana il ruolo di capo dello Stato, che ormai sappiamo bene

che non ha carattere ornamentale, è toccato più a figure che hanno

rappresentato molto nel “simbolico politico” e magari meno di altre nel

“potere politico”.

Sandro Pertini con Giuseppe

Saragat a Fondotoce

Nella vicenda dei rappresentanti maggiori dell’antifascismo italiano il

Quirinale toccò a Giuseppe Saragat e a Sandro Pertini. Diversi, ma

uniti da una storia forte. Non si può non vedere che ciò avvenne nei

due periodi di maggiore riorganizzazione delle riforme e di rilancio

concreto del Paese – cioè una parte degli anni ’60 e una parte degli

anni ’80 – che alcuni continuano invece a descrivere come anni di

declino. Ma questa è un’altra storia a cui destinare altri commenti. *) Stefano Rolando è docente di Politiche pubbliche per le Comunicazioni

all’Università Iulm di Milano. Già direttore generale alla Presidenza del

Consiglio, è presidente della Fondazione Nitti, nella direzione della rivista

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Mondoperaio, membro della Fondazione Pertini e della Fondazione Grassi.

Presso Bompiani ha pubblicato il volume Quarantotto – Argomenti per un

bilancio generazionale, Milano, 2008.

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.