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La Newsletter settimanale del 18 febbraio 2016
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L'AVVENIRE DEI LAVORATORI La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894 Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo Direttore: Andrea Ermano
> > > PDF scaricabile su http://issuu.com/avvenirelavoratori < < <
e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 18 febbraio 2016
Per disdire / unsubscribe / e-mail a > [email protected] Per iscrivervi inviateci p.f. il testo: "includimi" a > ADL Edizioni In caso di trasmissioni doppie inviateci p.f. il testo: "doppio" a > ADL Edizioni
IPSE DIXIT
Il guaio è che non è detto - «È come se un coro… si levasse per dire a
Renzi: fermati finché sei in tempo, oltre un certo limite non potrai più
tornare indietro. / Ma… la sensazione è che questo genere di
raccomandazioni difficilmente saranno accolte. Renzi infatti ha scelto
una linea, diversa da quella dei suoi critici… A suo giudizio le scelte
economiche, e più in generale la cooperazione e l’idea di solidarietà
che stanno alla base del sogno europeo, non sopravvivranno, se
l’Unione non sarà in grado di rinunciare alle sue rigidità e far fronte
alle nuove sfide, come quella dell’immigrazione, che i Paesi partners
tentano inutilmente di aggirare. L’Europa intera, non solo l’Italia
rischia di essere travolta dai propri egoismi: ecco cosa pensa Renzi. Il
guaio è che non è detto che abbia torto.». – Marcello Sorgi
Profughi in Europa, anno 2015
Conformemente alla Legge 675/1996 tutti i recapiti dell'ADL Newsletter sono utilizzati in copia nascosta. Ai sensi del Codice sulla privacy (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 13) rendiamo noto che gli indirizzi della nostra mailing list provengono da richieste d'iscrizione, da fonti di pubblico dominio o da E-mail ricevute. La nostra attività d'informazione politica, economica e culturale è svolta senza scopi di lucro e non necessita di "consenso preventivo" rivestendo un evidente carattere pubblico come pure un legittimo interesse associativo (D.L. 30.6.2003, 196, Art. 24). L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.
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ECONOMIA
Prezzo del petrolio
e rischi geopolitici
Ci sono forze nell’economia globale di oggi che “concorrono a
mantenere bassa l’inflazione”? Irresponsabilmente riemergono
vecchie tesi di geopolitica che vedono nella guerra "l’occasione" per
una ripresa dei prezzi…
di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)
e Paolo Raimondi, Economista
Mario Draghi ha recentemente smosso le acque torbide della finanza
affermando che «ci sono forze nell’economia globale di oggi che
concorrono a mantenere bassa l’inflazione».
È la sua seconda dichiarazione di grande impatto politico ed
economico. La prima fu nel luglio 2012 quando disse «faremo tutto
quello che è necessario» per difendere l’euro dagli attacchi speculativi
internazionali. In entrambi i casi è chiaro che non si riferisce a giochi
interni all’Europa ma a forze politiche di oltreoceano.
Riteniamo che sulla questione del crollo dei prezzi delle commodity
ed in particolare di quello del petrolio sia doveroso fare qualche
approfondimento. Innanzitutto il prezzo del petrolio è stato più volte,
per non dire sempre, oggetto sia di grandi operazioni speculative che di
interventi e decisioni di interesse squisitamente geopolitico.
In quest’ottica va letto l’andamento del prezzo del petrolio. Si
ricordi che fino alla metà del 2004 si aggirava intorno ai 40 dollari al
barile. Nel 2006 salì a 70 dollari, a luglio del 2008 raggiunse i 145
dollari. A fine 2008 precipitò a 30 dollari, per poi risalire a 110 nel
2011. Dal 2014 il prezzo è sceso fino ai circa 30 dollari attuali.
In generale i prezzi riflettono una situazione di deflazione a seguito
della globale recessione economica con la generale riduzione delle
produzioni e dei commerci. Ma è altrettanto vero che un tale
‘ottovolante’ non può rappresentare l’andamento reale della domanda e
dell’offerta!
Dal 2014, oltre alla speculazione, si è attivata una vasta e pericolosa
strategia geopolitica, guidata dell’Arabia Saudita ed avallata dagli Usa,
tesa a far precipitare il prezzo del petrolio, aumentandone la
produzione, per indebolire l’Iran e la Russia.
Le dinamiche dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime sono
anche collegate al “male profondo” dell’economia mondiale che si
chiama “bolla del debito”.
Il crollo dei prezzi si è accompagnato ad un alto indebitamento delle
imprese leader nel settore delle commodity, del petrolio in particolare.
Si considerino le imprese americane del settore dello shale gas e le
varie corporation petrolifere dei Paesi emergenti, che hanno
largamente attinto risorse finanziarie sia dal settore bancario che sul
mercato obbligazionario. I dati parlano chiaro.
Le imprese impegnate nei settori del petrolio e del gas che nel 2006
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avevano sottoscritto prestiti bancari per 600 miliardi di dollari, nel
2014 ne contavano ben 1.600 miliardi. Un aumento del 13% annuo. Le
stesse imprese, spesso attraverso l’utilizzo di filiali offshore, hanno
fortemente aumentato anche le loro emissioni di obbligazioni,
passando dai 455 miliardi nel 2006 ai 1.400 miliardi di bond nel 2014.
Un aumento annuo del 15%.
L’emissione di obbligazioni nel periodo indicato è aumentata del
13% in Russia, del 25% in Brasile e del 31% in Cina. È appena il caso
di ricordare che in questo lasso di tempo le imprese petrolifere dei
Paesi emergenti hanno contribuito con grandi dividendi ai bilanci dei
rispettivi governi. Perciò la drastica caduta dei prezzi sta mandando in
crisi anche i budget pubblici di molti Paesi.
L’attuale basso prezzo del petrolio sta generando una serie di
conseguenze. In primo luogo, essendo i titoli azionari e obbligazionari
delle imprese petrolifere collegati al prezzo del petrolio, i loro valori di
mercato ne stanno inevitabilmente risentendo. Inoltre con la
diminuzione dei profitti è cresciuto il rischio dei dissesti e dei
fallimenti oltre che il costo degli eventuali finanziamenti richiesti. Ad
esempio, il tasso di interesse di un’obbligazione petrolifera che era di
330 punti nel giugno 2014 oggi è salita a 1.600 punti. Aumenti simili si
sono registrati anche per i credit default swap, quei derivati sottoscritti
per garantirsi contro le variazioni dei tassi di interesse.
Una seconda inevitabile conseguenza è la progressiva mancanza di
liquidità per le imprese petrolifere coinvolte. Per farvi fronte
inizialmente si aumenta la produzione con l’intento di mantenere un
flusso di cassa attivo, ma spesso si è costretti a una riduzione degli
investimenti o alla dismissione di parte del patrimonio dell’azienda.
Una terza conseguenza, la più rischiosa, si manifesta nella tendenza
ad aumentare la vendita di future petroliferi e di acquisti di derivati put
option come garanzie sull’andamento dei prezzi. Di fatto ogni aumento
dei future petroliferi tende a saturare ulteriormente il mercato
contribuendo alla discesa del prezzo del petrolio. In una fase di caduta
del prezzo, la speculazione gioca al ribasso: si vende, sulla carta, a 100
oggi per ricomprare domani a 90. Il contrario di quanto succedeva nei
periodi di crescita del prezzo quando si comprava un derivato a 100 per
venderlo a 110 alla scadenza, partecipando così all’esplosione dei
prezzi.
È un meccanismo perverso della finanza, del debito e della
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speculazione. Non si possono immaginare soluzioni efficaci alle gravi
distorsioni del sistema senza rivederne l’architettura.
Tale urgenza, secondo noi, non è più eludibile in quanto
irresponsabilmente si ripropongono vecchie tesi di geopolitica che
vedono solo nella guerra o in una grande e diffusa destabilizzazione
"l’occasione" per determinare l’aumento del prezzo del petrolio e delle
altre commodity.
SPIGOLATURE
Infanzia rubata
E bruciata
di Renzo Balmelli
SCHIAVI. Ogni anno il 12 febbraio si celebra la Giornata interna-
zionale contro lo sfruttamento dei bambini soldato. L'impegno è lode-
vole anche se talvolta scivola via un po' troppo in sordina per una ma-
nifestazione che considerando l'estrema gravità del fenomeno merite-
rebbe un maggiore risalto mediatico. Difatti nonostante la Convenzione
ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, la ricorrenza è
funestata dai drammatici dati sui casi di minorenni assoldati da eserciti
regolari o irregolari e da individui privi di scrupoli che ne fanno
oggetto di un turpe mercato di esseri umani. Centinaia di migliaia di
ragazzine e ragazzini strappati alle loro famiglie e impiegati come
soldati, schiave sessuali, stuprate o adibiti a lavori faticosi, se sfuggono
alla morte subiscono traumi dai quali non si riprenderanno mai per
tutta la vita. La piaga infernale dall'infanzia rubata e bruciata è in
aumento in tanti Paesi africani ma anche in alcuni dell'Asia e del Sud-
america malgrado gli strumenti a disposizione del Diritto internazio-
nale di cui i responsabili di violenze inenarrabili ridono senza ritegno.
ASTUZIA. Quanto sono insistenti i seguaci di Schwarzenbach, il
politico di Zurigo che detestava i "Gastarbeiter" meridionali. Insistenti
nel rovistare tra gli istinti più riposti per ricavarne vantaggi elettorali.
In vista del prossimo affondo hanno nel mirino il referendum per
l'espulsione dei criminali stranieri, problema serio di per sé già regola-
to da leggi severissime, che però nelle loro mani diventa una potentis-
sima "arma di distrazione di massa". Con diabolica astuzia gli strateghi
del fronte populista elvetico hanno partorito un mostriciattolo giuridico
di facile suggestione che non serve a nulla tranne che ad alimentare la
cultura del sospetto. Intuendo la pericolosità del testo che antepone la
giustizia punitiva a quella giusta in barba ai Diritti umani, Parlamento,
governo e ampi settori della società civile vi si oppongono con fer-
mezza. Ma in un clima continentale sempre più brutalmente xenofobo
e contagioso, la partita per il NO si fa ostica. Sotto l'occhio dell'Europa
e il tifo della vociante galassia "lepenista", si vota a fine febbraio di un
anno bisesto che nella tradizione popolare fa rima con funesto.
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RICORDO. Verissimo e inconfutabile: l'emigrazione italiana nella
Confederazione elvetica è una storia di successo; un successo però non
regalato, ma conquistato a caro prezzo. Nel corso degli anni, dalla
tragedia di Mattamark a molte altre rimaste impunite, tante sono le
pagine di una grandiosa vicenda umana scritte con l'inchiostro del
dolore. Lungo è l'elenco degli emigranti restituiti alle famiglie in una
cassa di legno tra mortificanti lungaggini burocratiche per vedere
riconosciuti i propri diritti. Col passare del tempo gli anniversari
provvedono a fare in modo che su quei drammi non cada la patina
dell'oblio. Mezzo secolo fa la località di Robiei, nel cantone Ticino, fu
teatro di una delle peggiori disgrazie che abbia colpito i cantieri di
montagna. Nella galleria della diga rimasero imprigionate 17 persone,
due pompieri svizzeri e 15 lavoratori italiani, asfissiati dalla mancanza
di ossigeno. Non fu la fatalità, ma l'avere scordato che si aspettavano
braccia ed erano arrivati uomini. I loro nomi scolpiti sulla lapide
ricordano ai posteri il sacrificio dei caduti sul lavoro che hanno
contribuito in modo esemplare a costruire il benessere del Paese.
TELEFONO. E' già stata definita la " telefonata della guerra fredda",
ossia più formale che sostanziale, quella intercorsa tra Putin e Obama
per rendere meno cupo il futuro della Siria. Nell'ottica diplomatica, il
brusco ritorno alla terminologia del passato già evocata dal premier
russo Dimitri Medvedev, in effetti non promette nulla di buono se non
nuovi i temporali. La Russia a Damasco c'è e fa sapere di volere
restarci, mentre le relazioni tra Washington e Mosca rimangono
imbrigliate dalle divergenze di fondo sulle modalità per arrivare al
cessate il fuoco. Intanto la diplomazia balbetta, limitandosi ad
applicare un cerotto del tutto inadatto a cicatrizzare la spaventosa ferita
che in quella regione ha innescato la più grave tragedia umanitaria del
secolo. Ad Aleppo, splendida città distrutta e senza vita, migliaia di
persone fuggono dalle bombe di origine sospetta, dalle armi stupide
che fanno strage di civili e aggravano le sofferenze della popolazione
anziché debellare il terrorismo.
PACE. Se non fosse irriverente verrebbe da dire: non è mai troppo tar-
di. Agli occhi del profano tuttavia non risulta facile capire come mai
due Chiese importanti come quella cattolica e ortodossa che affidano la
loro missione alla riconciliazione tra i popoli, abbiano deciso soltanto
oggi di andare oltre un millennio di incomprensioni e divisioni per tro-
vare un comune terreno d'intesa sulle calamità che sconvolgono il
mondo. Mille anni non sono una bazzecola. Stando alla prima impres-
sione, pare vi sia un senso di urgenza dettato dalla gravità della situa-
zione nel vertice cubano di Papa Francesco e del Patriarca Kirill, final-
mente non più ingabbiato negli antichi dogmi. Superati gli steccati, ciò
che più conta ora è l'esortazione a non lasciare cadere il tavolo nego-
ziale per porre fine al dramma che si sta consumando in Medio Oriente. Per
dare un senso compiuto al messaggio dell'Avana, capitale che dopo la
caduta dell'embargo è sempre più crocevia di storiche iniziative, è però
indispensabile che il processo avviato in questi giorni dia risposte
all'odissea di tutti, dei cristiani e dei fedeli di altre religioni, anch'essi
vittime del caos e dei soprusi. Prima appunto che sia troppo tardi.
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ATTACCO. A dieci mesi dalle presidenziali, la destra repubblicana
sta rendendo impossibile la vita a Obama scatenandogli addosso il
fuoco incrociato del livore. Tutta la bile accumulata nei due mandati
ormai prossimi alla fine di colui che i suoi rivali considerano "l'intruso
di colore nella Stanza ovale", ora travolge gli argini senza nessun
riguardo per la dignità della funzione. La parola d'ordine nel giro di
Trump consiste nel negare al Presidente le sue prerogative con metodi
che vengono considerati un attacco senza precedenti se non addirittura
un oltraggio all'esecutivo. L'ennesima sfida ruota attorno al braccio di
ferro per l'eredità di Antonin Scalia, il giudice italo-americano
scomparso a 79 anni, che da ultra conservatore ha favorito tra l'altro la
nascita di movimenti radicali come il Tea Party. Dall'esito del
confronto politico-istituzionale che Obama è determinato a condurre
senza farsi imporre umilianti diktat, forse capiremo meglio come sarà il
volto dell'America quando avrà scelto il nuovo inquilino della Casa
Bianca.
ANALOGIE. Per uno strano, ma non casuale concorso di circostanze,
la bufera che ha investito la sanità lombarda riporta alla memoria le
vicende legate agli anni di Tangentopoli. Anche Mani pulite ebbe
inizio nelle corsie del Pio Albergo Trivulzio che gestiva case di cura e
ospedali per anziani il cui direttore venne colto con le mani nel sacco
mentre intascava mazzette. Questa volta nel nuovo scandalo che si
abbatte sulla Regione Lombardia e che ha portato a numerosi arresti
eccellenti è finito in manette un alto papavero leghista che si fregiava
del titolo di padre della riforma sanitaria, tuttavia senza spiegare come.
Le gravissime accuse puntano il dito contro il potere politico usato
come strumento per accumulare ricchezze attraverso un sistema
chiamato "Spectre", un nome in codice irriverente e più che azzeccato
dietro il quale scorrevano fumi di danaro illecito. Insomma come ai
tempi di Tangentopoli il vizio della illegalità, carico di analogie con il
passato, arriva come una mazzata che rischia di vanificare la ripresa
morale e materiale avviata dal successo dell'Esposizione universale.
DISCORDIA. Solleva parecchie inquietudini in Svizzera la
prospettiva invero poco rassicurante di vedere il San Gottardo
trasformato in un groviera pieno di buchi in seguito alla paventata
realizzazione di un altro tunnel autostradale. La sorte del progetto
miliardario che fa gola a molti, è legata al referendum di fine mese sul
quale pesano molte incognite, tanto da essere già chiamato il traforo
della discordia. La vastità del cantiere, destinato a stravolgere gli
equilibri ambientali, pone infatti serie ipoteche sulla salvaguardia del
delicato eco-sistema alpino, già oggi sottoposto a carichi pesantissimi.
Con quattro corsie a disposizione incombe la minaccia di creare una
prateria di cemento sulla quale finiranno con lo scorrazzare mandrie di
bisonti motorizzati. Uno scenario da incubo in stridente contrasto con
la posta in palio se l'intento è invece quello di consegnare alle future
generazioni un mondo sano, intatto, grazie a una politica dei trasporti
rispettosa dell'ambiente e non solo al servizio dell'economia.
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LAVORO E DIRITTI
a cura di www.rassegna.it
Legge Madia, a rischio
anche l'acqua pubblica
Il decreto attuativo sui servizi pubblici locali previsto dalla 'riforma',
secondo la Cgil, contiene indicazioni che di fatto annullerebbero
l'esito del referendum del 2011. “Subito una legge di recepimento
dell'esito referendario”
L'acqua pubblica in Italia è a rischio. Così come la volontà popolare
espressa da oltre ventisette milioni di cittadini in occasione del
referendum del 2011. E' quanto denuncia la Cgil, criticando
aspramente il decreto attuativo sui servizi pubblici locali, previsto dalla
'legge Madia'.
Il testo non ancora ufficiale e attualmente in circolazione, infatti,
secondo quanto affermano i segretari confederali del sindacato di
Corso d'Italia Danilo Barbi e Fabrizio Solari, contiene indicazioni che
di fatto annullerebbero l'esito del referendum: l'esclusione del servizio
idrico dalla gestione in economia e il tentativo di inserire norme in
materia di tariffe, in contrasto con l'esito referendario”.
“Riteniamo - sottolineano Barbi e Solari - che il servizio idrico
debba essere posto nelle condizioni che le comunità locali,
appartenenti allo stesso bacino idrografico, abbiano la possibilità di
poter disporre anche di una gestione in economia del bene comune
quale è l'acqua”.
“Pur consapevoli della necessità di completare il riordino della
disciplina dei servizi pubblici locali, che devono diventare sempre più
competitivi e di livello economico e garantire i bisogni dei cittadini
nella loro comunità locale - avvertono i segretari confederali -
contrasteremo l'approvazione di quei punti del testo unico palesemente
in contrasto con i risultati del referendum”.
La Cgil, quindi, si attiverà per sostenere l'approvazione di una legge
di recepimento dell'esito referendario, “non solo per far sì che venga
rispettato il risultato giuridico, ma anche e soprattutto per il valore
politico e culturale che rappresenta”.
Da Avanti! online www.avantionline.it/
UE: comunità o contratto?
Il premier Renzi ha riferito ieri alle Camere in vista del Consiglio
europeo di oggi. "Sul tavolo del consiglio Ue – ha detto il premier –
ci sono vari dossier, dal referendum inglese all’immigrazione. Ma il
fil rouge è uno: se nei prossimi anni l’Europa torna ad essere
comunità o se sarà solo un contratto". Duro scontro con l'ex premier
Monti.
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(Roma, 17.2.2016) Parlare dei guai altrui per non affrontare i propri.
Sembra un po’ questa la strategia del Presidente del Consiglio italiano,
Matteo Renzi, che ieri ha riferito al Senato in vista del Consiglio
europeo di oggi che ha per tema la situazione esplosiva dei rifugiati
(esplosiva per la coesione dell’Ue) e il prossimo referendum in Gran
Bretagna sulla permanenza nell’Unione.
Quanto alla Brexit, il Presidente del Consiglio si è detto convinto
che occorra "fare ogni sforzo per far restare la Gran Bretagna". Renzi
ha messo in guardia dal dare "un segnale di controtendenza di portata
storica" come se già non ve ne fossero a iosa, aggiungendo però che
"non dobbiamo accettare pedissequamente le richieste di Londra. Noi
siamo per un compromesso e la lettera di Tusk va in questa direzione.
C’è da fare e da discutere e lo faremo, certo i paletti a cui l’Italia debba
attenersi è a mio avviso la centralità dell’euro, bisogna rafforzare con
forza la direzione dell’Europa".
Sul tema dei rifugiati, al pari della Cancelliera Merkel, anche Renzi
chiederà che si arrivi a una normativa europea unitaria sul diritto di
asilo: "L’Ue è nata quando i muri sono stati abbattuti e se questo non lo
dice una generazione di leader zigzaganti che si preoccupa più dei
consenso che del momento storico, toccherà a noi italiani dire che
l’Europa è nata non per arginare il mondo che sta fuori, ma come un
luogo entusiasmante in cui attirare la parte migliore del mondo e se ciò
non accade esiste un problema Europa e noi come italiani abbiamo il
dovere e diritto di segnalarlo".
(Il guaio è però che, al di là della retorica, l’Italia, come la Grecia,
rischia di finire stritolata dal ritorno delle frontiere che varrebbero solo
per noi trasformandoci in un imbuto per i disperati in fuga dalle guerre
e dalla povertà.)
Non può essere l’Italia da sola a fare i rimpatri, ma deve pensarci
l’Europa, ha spiegato Renzi sottolineando (come se fosse una cosa
facile e non praticamente impossibile) che "chi non ha diritto
all’accoglienza va rimandato a casa".
Tra i Paesi europei l’Italia risulta essere quello che ha fatto più
rimpatri, eppure "è opinione condivisa che non siano sufficienti". Deve
esserci un diritto unico di asilo – è la proposta che verrà condivisa da
Roma – perché non è possibile avere regole separate.
Ma oggi la vera questione in Europa “riguarda la prima e la seconda
banca tedesca", ha detto Renzi riferendosi soprattutto ai guai della
Deutsche Bank e anticipando l’argomento che utilizzerà per frenare
l’ipotesi di un ‘tetto’ ai Titoli di Stato custoditi nelle riserve delle
banche, ipotesi che spaventa non poco il Governo per la quantità di
Bot, Btp ecc. nei forzieri dei nostri istituti di credito.
"Noi porremo il veto su qualsiasi tentativo di tetto alla presenza di
titoli di Stato nelle banche… Saremo senza cedimento di una coerenza
e forza esemplare", ha aggiunto Renzi ricordando polemicamente che
"la vera questione delle banche in Europa è la questione enorme che
riguarda la prima e la seconda banca tedesca. Faccio il ‘tifo’ per loro,
ma il dato di fatto è che anziché occuparci dei titoli di stato italiani
bisogna avere la forza di dire che nella pancia di molte banche europee
c’è un eccesso di derivati e titoli tossici".
In effetti, la Deutsche Bank, che fino alla settimana scorsa aveva
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perso da inizio anno il 40% alla Borsa di Francoforte per
l’innalzamento a livelli esorbitanti dei premi sui derivati, ha registrato
un vero e proprio tracollo cui aveva fatto seguito l’annuncio da parte
dell’istituto tedesco del riacquisto di parte del proprio debito per un
valore di circa 5 miliardi di euro, un decimo di quello circolante.
Il Presidente del Consiglio ha poi ripetuto i soliti concetti
sull’Europa, l’austerity, la flessibilità e le riforme. "Dire che non basta
più una politica solo incentrata sull’austerity e che si occupa in modo
discutibile di banche e non di sociale significa essere coerenti con la
storia dell’Italia e dire anche un po’ di verità. Al Consiglio parleremo
di tante cose, ma il fil rouge è uno: capire se nei prossimi anni l’Europa
torna ad essere comunità o se sarà solo un contratto".
Dura la replica all'ex premier Monti che in Senato aveva ammonito
Renzi dall'uso di toni e condotte irrituali in Europa al solo scopo di
ottenere mezzi punti percentuali di flessibilità laddove occorrerebbe
"decuplicare le forze" per ridurre l'evasione fiscale "Solo chi non vuole
vedere, può giudicare la nostra la posizione in Ue come quella di chi
batte i pugni sul tavolo per ottenere un decimale in più. Il decimale in
più ce lo possiamo prendere: abbiamo il deficit più basso negli ultimi
dieci anni, siamo terzi dopo Germania e Olanda per contenimento del
debito", ha detto Renzi. (Roma, 17.2.2016 / Avanti!/ADL)
Vai al sito dell’avantionline
Da l’Unità online http://www.unita.tv/
La situazione in Turchia
I curdo-siriani negano ogni coinvolgimento nell’attacco di Ankara
di Maddalena Carlino
Stamane un’esplosione ha colpito un convoglio militare nel Sud-est
della Turchia. E’ di almeno sei soldati morti il bilancio delle vittime di
questo attacco contro un convoglio militare turco avvenuto a
Diyarbakir, principale località delle regioni meridionali a maggioranza
curda: lo hanno reso noto le autorità turche, attribuendo la
responsabilità dell’attentato al Partito Curdo dei Lavoratori. A far
saltare in aria il convoglio è stata una mina fatta detonare a distanza
alle 9:40 locali da sospetti membri del Pkk. Attacchi del genere contro
i soldati sono stati compiuti diverse volte negli ultimi mesi nel sud-est
della Turchia, dopo che la scorsa estate è riesploso il conflitto tra
Ankara e i combattenti curdi.
Intanto le autorità turche non hanno dubbi: a commettere l’attacco di
ieri nel centro di Ankara, sarebbe stato un membro delle milizie curdo-
siriane Ypg in coordinamento con i guerriglieri del Pkk (il Partito dei
lavoratori del Kurdistan). La polizia turca avrebbe identificato l’autore
dell’attentato suicida: si tratterebbe di in un cittadino siriano entrato di
10
recente in Turchia come profugo e ritenuto vicino alle milizie curde
attive in Siria. Lo ha dichiarato il premier turco Ahmet Davutoglu
durante una conferenza stampa nella sede dello Stato maggiore
dell’esercito.
Accuse rispedite al mittente. Il leader dei curdi-siriani Salih Muslim
ha negato ogni responsabilità del gruppo o del suo braccio armato Ypg.
“La realtà è che nessuna nostra unità è coinvolta e ha niente a che fare
con le esplosioni”, ha detto Muslim. Anche il Pkk si era dichiarato
estraneo all’attacco, aggiungendo però che “potrebbe essere stata una
rappresaglia per i massacri in Kurdistan”.
Tensioni su cui è intervenuto anche il ministro degli Esteri, Paolo
Gentiloni che, incontrando ad Atene il presidente della Repubblica
greca Prokopis Paulopoulos, ha detto L’Italia “condanna i nuovi
gravissimi attacchi terroristici in Turchia di ieri ed oggi, che rendono
ancora più seria la minaccia contro cui dobbiamo combattere”.
Vai al sito dell’Unità
FONDAZIONE NENNI http://fondazionenenni.wordpress.com/
SU RAI STORIA
“Pietro Nenni, Anima socialista”
Il 9 febbraio 1891 nasce Pietro Nenni, uno dei protagonisti del
Novecento italiano e della sua politica, con una lunga militanza
socialista. A lui “Italiani”, il programma di Rai Cultura con Paolo
Mieli dedica il documentario di Enrico Salvatori “Pietro Nenni –
Anima socialista”, in onda martedì16 febbraio alle ore 21.30.
Il racconto parte dal fatidico 1956, l’anno della scelta di Nenni della
rottura con Mosca e con i comunisti italiani a seguito dell’invasione dei
carri armati sovietici in Ungheria. Si avviano le convergenze parallele
con la DC di Moro e Fanfani, che porteranno alla grande stagione del
centrosinistra.
E c’è anche, a ritroso, il Nenni delle origini: nato in una famiglia di
contadini inurbati, è testimone fin da bambino, degli sconvolgimenti
sociali della fine secolo, i moti del 1898 e il regicidio del 1900.
Repubblicano prima della Grande Guerra, socialista militante poi, vive
in Francia gli anni dell’esilio fascista, divenendo uno dei punti di
11
riferimento del movimento antifascista internazionale, Spagna
compresa.
Nel 1943 viene arrestato in Francia e dopo un passaggio in
Germania viene consegnato dalla Gastapo alla polizia italiana e
tradotto nelle carceri italiane fino al confino a Ponza. Scarcerato con la
caduta del fascismo, è animatore della lotta partigiana e uno dei
protagonisti della ricostruzione democratica dell’Italia che riassume
nella frase: “O la Costituente e la Repubblica o il caos”.
È figura di spicco anche dopo i suoi ottant’anni, vivendo una tenace
maturità politica, dimostrata fino all’ultimo: apre la VIII legislatura del
20 giugno 1979, per evitare che sia un senatore neofascista a farlo,
prima di morire la notte del 1° gennaio 1980.
Il film è arricchito dai documenti dell’Archivio storico della
Fondazione Nenni e dalle testimonianze di Giuseppe Tamburrano,
biografo e presidente emerito della Fondazione (1985-2015); Giorgio
Benvenuto, presidente della Fondazione Nenni dal 2015; Paolo
Mattera, storico del socialismo italiano; e Maria Vittoria Tomassi,
nipote di Pietro Nenni e figlia della quartogenita Luciana.
Bello. Ma ancora più bello sarebbe se la Rai consentisse al pubblico
di rivedere il documentario sul suo sito internet. – La red dell’ADL
Convegno di Mondoperaio www.avantionline.it/
O la Repubblica o il caos
Nel febbraio di settant’anni fa, fu la scelta di Pietro Nenni ad essere
decisiva perché il governo convocasse, contestualmente alla già
prevista elezione dell’Assemblea costituente, il referendum popolare
sulla forma istituzionale dello Stato. Fino ad allora l’opzione delle
sinistre era favorevole ad attribuire la scelta fra Monarchia e
Repubblica alla stessa Assemblea costituente, mentre gli Alleati
preferivano che a pronunciarsi fosse il popolo. La scelta del
referendum sulla Repubblica e il ruolo di Pietro Nenni, sono al
centro di un convegno organizzato dalla rivista Mondoperaio presso
la biblioteca del Senato. Al convegno – O la Repubblica o il caos.
Pietro Nenni e la fondazione della Repubblica italiana – sono
intervenuti Riccardo Nencini, Luigi Covatta, Piero Craveri, Ugo
Intini, Cesare Pinelli. Presenti Pia Locatelli, capogruppo dei Psi alla
Camera e il deputato socialista Oreste Pastorelli.
di Luigi Covatta, direttore di Mondoperaio
La sera del 2 giugno 1946 Nenni la passò da solo, a casa sua, leggendo
un libro di Arthur Koestler. Lo colpirono le battute di due detenuti
politici che confrontavano le rispettive concezioni del senso dell’onore.
Per il primo l’onore era “vivere e morire per le proprie convinzioni”.
Per l’altro “rendersi utile senza vanità”. Nenni annota: “Sento alla
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maniera del primo, penso come il secondo”… Chissà se la nostra
Repubblica sarebbe mai nata senza il suo sentimento e senza il suo
pensiero?
Senza il suo sentimento, certo: perché la fede repubblicana, come
sappiamo, era per Nenni una specie di a priori. Ma soprattutto senza il
suo pensiero. “O la Repubblica o il caos”, per esempio, non era una
minaccia insurrezionalista, come dicevano i monarchici più settari. Al
contrario, era la sintesi del lucido ragionamento di uno statista al quale,
fortunatamente, non mancava neanche una marcata dimensione
tribunizia.
È il ragionamento che Nenni fece proprio settant’anni fa, alla vigilia
di quel 25 febbraio in cui il governo, innanzitutto per merito suo,
decise di convocare, contestualmente alle elezioni per l’Assemblea
costituente, un referendum popolare per scegliere la forma istituzionale
dello Stato.
La decisione, come sappiamo, non era scontata. Le sinistre, in
particolare, preferivano lasciare la scelta all’Assemblea, nel timore di
una deriva plebiscitaria a favore della monarchia. Ma Nenni, pur
sapendo che per i monarchici il referendum era “un sostituto del
plebiscito”, osservò che poteva “anche divenire un’altra cosa, se
contestuale alle elezioni per la Costituente”. E soprattutto ammonì che
il prolungarsi delle polemiche in seno al governo avrebbe potuto
determinare “un sussulto della piazza contro le nostre lentezze e
diatribe”: senza escludere “l’intervento degli Alleati, e forse un
intervento non soltanto politico”.
Questo significava, in quel mese di febbraio di settant’anni fa, “O la
Repubblica o il caos”. E significava anche che ad evitare il caos non
avrebbe comunque potuto provvedere una dinastia che aveva tradito la
fiducia del popolo per quasi vent’anni, dal 10 giugno del 1924 all’8
settembre del 1943. E pazienza se ora Umberto gli mandava a dire che
la monarchia britannica poteva sopportare un governo socialista,
mentre nella Repubblica italiana l’egemonia sarebbe inevitabilmente
toccata alla Dc. E pazienza anche se Maria Josè faceva sapere che il 2
giugno avrebbe votato per Saragat.
Fin d’allora il giudizio politico di Nenni trascendeva le ragioni
partigiane per privilegiare la stabilità del sistema politico. E perciò,
quando nacque la Repubblica e l’Avanti! titolò giustamente “Grazie
Nenni”, Ignazio Silone non volle celebrare una gloria di partito, ma la
salvezza e la rinascita della nazione..
Non è quindi un caso che una delle prime iniziative per celebrare il
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70° anniversario della Repubblica sia stata presa dalla rivista fondata
da Pietro Nenni: una rivista che anche ora, nel suo piccolo e dopo tanti
disastri, cerca di tenersi lontana dal parocchialismo e si sforza di
contribuire al rinnovamento ed al consolidamento della nostra
democrazia.
Ovviamente questa iniziativa non sarà l’unica che prenderemo. Per il
2 giugno usciremo con un numero speciale in cui cercheremo anche di
capire per quali motivi e attraverso quali percorsi una Repubblica che
era nata come alternativa al caos ora rischia di precipitare a sua volta
nel caos. E per tutto questo settantesimo anno dell’Italia repubblicana
scandiremo le tappe del percorso che abbiamo alle spalle: senza cedere
a nostalgie o a recriminazioni: ma senza cedere nemmeno ad un
“presentismo” senza memoria che giorno dopo giorno sta erodendo le
fondamenta della nostra stessa identità nazionale.
MondOperaio - http://www.mondoperaio.net/
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Lettera dai deputati del PD estero
PER UN MUSEO
DELL’EMIGRAZIONE
Il Ministro per i beni culturali e il turismo Dario Franceschini ha
manifestato l’intento di rilanciare il Museo nazionale dell’emigrazione
italiana, spostando presso il Museo del Mare a Genova i materiali
attualmente esposti a Roma presso il Vittoriano e facendo della città
ligure il luogo simbolo della diaspora italiana nel mondo.
Ricordiamo che il Museo fu ideato e finanziato nel 2007 dal
Governo Prodi e istituito, su volere del Vice Ministro per gli italiani
all’estero Franco Danieli, con decreto del Ministro degli esteri
Massimo D’Alema. L’idea progettuale dalla quale esso è nato è stata di
quella di superare il ritardo che l’Italia aveva accumulato in questo
campo, pur essendo uno dei maggiori Paesi di emigrazione, e di
collegare l’istituzione museale alla transizione che l’Italia sta vivendo
da storica e ancora attiva realtà di emigrazione a realtà anche di
immigrazione, anzi a fondamentale snodo dell’immigrazione in
Europa.
Questa ipotesi, con la caduta del Governo Prodi e l’avvento del
Governo di centrodestra, fu ridimensionata e trasformata in una
esposizione documentaria, per altro in locali di notevole valenza
simbolica ma limitati e inadatti, dello sviluppo diacronico
dell’emigrazione italiana, con un’appendice finale relativa all’arrivo
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degli stranieri in Italia.
A livello parlamentare abbiamo fatto vivere l’ispirazione e il diverso
respiro del progetto iniziale presentando un disegno di legge per la
trasformazione dell’attuali museo in Museo nazionale delle migrazioni,
al quale abbiamo affiancato un secondo disegno di legge
sull’insegnamento multidisciplinare delle migrazioni nelle scuole, con
riferimento all’autonomia di programmazione formativa degli istituti.
Per avere un confronto su queste essenziali questioni di
impostazione del progetto relativo al Museo dell’emigrazione, l’On.
Marco Fedi, accompagnato dal Prof. Norberto Lombardi, a suo tempo
uno dei promotori dell’istituzione del museo, si è incontrato per conto
degli eletti all’estero del PD con il Capo della Segreteria tecnica del
MIBACT, Dott.ssa Giorgia Floriani e altri funzionari.
L’On. Fedi ha preso atto dei significativi passi in avanti che
l’operazione sta facendo a livello istituzionale, con il coinvolgimento,
oltre che del MIBACT e del Ministero degli esteri, titolare del Museo,
della Regione Liguria, del Comune di Genova e della locale
Università. In vista dell’apertura della fase di definizione scientifica
del progetto, ha sottolineato tre aspetti essenziali: quello di avere una
proposta museale che incorpori gli aspetti dell’emigrazione, vecchia e
nuova, degli italiani e, nello stesso tempo, la formazione nel nostro
Paese di consistenti comunità di migranti; quello di non limitarsi ad un
taglio tradizionalmente espositivo ma di concepire un sistema a rete
che si avvalga delle risorse della multimedialità e valorizzi il grande
patrimonio di conoscenze e rappresentazioni presente tanto nei musei e
nei centri di ricerca specializzati italiani che nelle più importanti
istituzioni museali internazionali; quello di dare il giusto risalto al
grande esodo meridionale, alla più recente emigrazione in Europa e
alle forme di mobilità che si stanno sviluppando negli ultimi anni.
L’incontro si è concluso con l’impegno ad avere ulteriori momenti
di approfondimento con l’obiettivo di giungere ad un progetto di ampio
respiro e coerente con il forte sviluppo dei fenomeni migratori.
I deputati del PD estero
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta, Tacconi
L'AVVENIRE DEI LAVORATORI EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897 Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.