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Il laboratorio ludico–sportivoe motorio tra corpo, movimento,

emozione e cognizione

Maurizio Sibilio

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Copyright © MMVIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–1272–7

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2007

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A Glauco

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Indice* Introduzione ................................................................................ 9 Capitolo I – Corpo ed emozioni .................................................. 13 I.1. Approcci scientifici per lo studio del rapporto tra corpo,

movimento ed emozioni .................................................... 13 I.2. Modelli teorici e chiavi interpretative ............................... 15 I.3. Intelligenza emotiva .......................................................... 18 I.4. La dimensione corporea dell’emozione ............................ 20 I.5. Corpo, cognizione ed emozione ........................................ 22 I.6. Il sistema limbico .............................................................. 24 Capitolo II – Attività motoria e meccanismi mnemonici ............ 29 II.1. Attività motoria e meccanismi mnemonici ....................... 29 II.2. Apprendimento e memoria ................................................ 33 Capitolo III – Corpo, memoria ed apprendimento ...................... 37 III.1. Il corpo come soggetto della cognizione ........................... 37 III.2. Corporeità e attività ludico sportive: chiavi interpretative

e linee di ricerca ................................................................ 41 III.3. Attività motorie e sportive a carattere educativo: dalla te-

oria alla prassi educativa ................................................... 52 III.4. Attività motorio – sportive e ricerca didattica ................... 56 Bibliografia ................................................................................. 61

* La ricca ricerca bibliografica ed i paragrafi III. 2, III. 3, III. 4, sono stati realizzati grazie al

contributo di Nadia Carlomagno, Francesca D’Elia e Michela Galdieri.

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Indice 8

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Introduzione

Al pensiero noi chiediamo di dissipare le nebbie e le o-scurità, di mettere ordine e chiarezza nel reale, di rivela-re le leggi che lo governano. La parola complessità, dal canto suo, non può che esprimere il nostro disagio, la nostra confusione, la nostra incapacità di definire in modo semplice, di nominare con chiarezza, di mettere ordine nelle nostre idee. «Complessità» è una parola–problema e non una parola soluzione.

E. Morin, Introduzione al pensiero complesso

Le riflessioni scientifiche sul rapporto dicotomico corpo–mente ri-

portano frequentemente e spesso acriticamente e ritualmente al pensie-ro di Renè Descartes1:

ma che cosa sono io? Una cosa che pensa. E che cos’è una cosa che pensa? È una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente […] e siccome ora so che noi non concepiamo i corpi se non per mezzo della facoltà d’intendere che è in noi, e non per l’immaginazione, né per i sensi2. La distinzione sostanziale tra mente e corpo viene dimostrata da De-

scartes affermando che l’attributo essenziale della mente è il pensiero, quello del corpo è l’estensione, e che questi due attributi sono incompati-bili e costituiscono il dualismo tra “res cogitans” e “res extensa”, la sepa-razione netta tra materia e mente, tra cose e coscienza, tra soggetto e og-getto. Questa radice filosofica ha marcato una separazione delle diverse dimensioni umane che ha condizionato per troppo tempo la riflessione scientifica in campo educativo, facendo prevalere nel campo della forma-zione le caratteristiche di intellettualismo, di verbalismo, di astrazione, concedendo spazi secondari alla sfera dinamica della corporeità,

1 R. Descartes (1596–1650). Filosofo, scienziato e matematico francese, noto anche con il nome italianizzato di Cartesio, è considerato uno dei fondatori del pensiero moderno. Il suo cele-bre motto “cogito ergo sum” (penso dunque sono) fu il punto di avvio per la formulazione dei principi su cui si basa la conoscenza scientifica.

2 R. Descartes, Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima, in Opere, vol. I (48, 208–214), Laterza, Bari 1967, cit. in: U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano 2002, p. 41.

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in questa accezione riduttiva, il corpo è stato a lungo inteso come fattore di limi-tazioni e di sofferenze per l’essere umano […] di qui una pedagogia del corpo pesantemente declinata sul disciplinamento puntuale e rigoroso delle posture, dei desideri e delle pulsioni, dello sguardo e dello stesso abbigliamento3. La ricerca filosofica, pedagogica e psicologica sulle diverse dimen-

sioni della persona e sul rapporto tra soggetto, emozioni e meccanismi dell’apprendimento, ha caratterizzato la storia del ventesimo secolo, ma solo in questi ultimi decenni, grazie alle ricerche svolte in ambito neuroscientifico, la corporeità ha conquistato un vero protagonismo, evidenziando le possibili relazioni tra movimento e cognizione: «la valorizzazione della dimensione corporea trova la sua premessa nella riformulazione del concetto di corpo, inteso oggi come “medium” di conoscenza e di comunicazione con se stessi, con gli altri e con l’ambiente»4.

In questi ultimi anni, l’attenzione all’integralità della persona, al corpo come espressione di una vera potenzialità dei processi formati-vi, ha impresso una spinta ermeneutica per la interpretazione della possibile relazione tra corpo e mondo psichico, nella quale l’autono-mia funzionale di ciascuna delle due dimensioni è garantita proprio dalla relazione reciproca che lega l’una all’altra.

L’azione corporea nelle sue molteplici espressioni è quindi consi-derabile come un valore rappresentativo dell’identità personale che trascende la “fisicità della sua forma”, assumendo una dimensione e-ducativa cruciale nella fase evolutiva dei processi educativo–formativi:

nella persona, infatti, non esistono separazioni e il corpo non è il “vestito” di ogni individuo, ma piuttosto il suo modo globale di essere nel mondo e di agi-re nella società. Per questo l’avvaloramento dell’espressione corporea è allo stesso tempo condizione e risultato dell’avvaloramento di tutte le altre dimen-sioni della persona5. Per il superamento dei confini culturali che ancora schematizzano

la differenza tra psiche e soma è necessario ridefinire le scienze uma-ne ancorandole nel tempo ad una cornice interdisciplinare sempre più ricca, cha sappia attingere criticamente ai progressi dei diversi versanti di ricerca per una riconsiderazione del corpo e dell’azione, dei suoi

3 F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Bari 2001, p. 164. 4 Ivi, p. 163. 5 Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati per la scuola primaria.

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Introduzione 11

valori, delle sue forme e dei suoi significati, delle sue potenzialità «in questa accezione, il corpo si pone sempre più come linguaggio, perce-zione attiva, intuizione precategoriale, luogo di liberazione delle pro-prie potenzialità sensuali, immaginative e comunicative»6.

6 Ivi.

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Capitolo I

Corpo ed emozioni

«Ognuno sa che cos’è un’emozione finché gli si chiede di definirla»

J. LeDoux, Il cervello emotivo

I.1. Approcci scientifici per lo studio del rapporto tra corpo, mo-vimento ed emozioni

Il rapporto tra corporeità ed emozioni è stato oggetto di numerosi

studi nel corso di secoli. Una nuova scienza nota con il nome di Fisio-gnomica o scienza della fisionomia, si affermò nel Settecento avendo tra i suoi principali sostenitori figure del mondo scientifico come Gian Battista Della Porta1, Kaspar Lavater2 ed infine Cesare Lombroso3 che teorizzarono la relazione tra carattere individuale della persona e tratti fisionomici. Con Lombroso in particolare si indagò su indizi fisiologi-ci e genetici che fungessero da indicatori di forma di devianza «zigo-mi sporgenti, occhi strabici, sopracciglie folte e prominenti, naso stor-to, sono state associate ad altre caratteristiche non fisiche, come la mancanza di senso morale, vanità,crudeltà»4 Darwin5 nell’Ottocento,

1 Gian Battista Della Porta, (1535–1615) fu un’eclettica figura in bilico fra il mago, lo scien-ziato, il letterato; ricevette un’educazione in filosofia e scienze naturali ed ebbe contatti con Pao-lo Sarpi e Tommaso Campanella; scrisse fra l’altro diverse commedie, delle quali solo quattordi-ci sono pervenute sino a noi; nel 1579 fondò l’Accademia dei Segreti che si distinse dalle altre accademie letterarie del tempo per il tentativo di studiare la natura con metodi sperimentali.

2 Johann Kaspar Lavater (1741–1801), fu scrittore, pensatore e poeta svizzero. Coltivò con profondo entusiasmo gli studi fisionomici, tendenti cioè a conoscere e classificare l’uomo nella sua interiorità psichica e mentale, attraverso le fattezze del volto e del capo.

3 Cesare Lombroso, psichiatra, antropologo e criminologo del XIX, nacque a Verona nel 1835. Incaricato di un corso sulle malattie mentali all’università di Pavia, divenne in seguito di-rettore dell’ospedale psichiatrico di Pesaro e professore di igiene pubblica e medicina legale all’Università di Torino di psichiatria e infine di antropologia criminale. Compì studi di medicina sociale che costituiscono una delle fonti principali della legislazione sanitaria italiana. Ma il suo nome resta legato soprattutto all’antropologia criminale, di cui è ritenuto il fondatore.

4 G. De Leo, La devianza minorile, Carocci, Roma 1990, p. 25.

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Capitolo I 14

fu uno dei primi ad analizzare la vita emotiva dall’espressione esterna, visibile che descrisse nel testo “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali” pubblicato nel novembre del 1872. Secon-do Darwin le emozioni sono riconducibili alla catena evolutiva, sintesi delle origini dell’uomo e di un sistema di comunicazione non verbale in parte appreso dall’ambiente «Il gesto reattivo dei progenitori è di-venuto segno; impedito nella sua traiettoria naturale ha acquistato una funzione “espressiva”, ha costituito un linguaggio, anzi la forma ele-mentare e universale del linguaggio»6.

Le manifestazioni fisiche e mimico–gestuali delle emozioni, secondo la teoria innatista, sono riconosciute come una caratteri-stica identificativa di una specie, dimostrando che tutto il genere umano deriva da un unico ceppo, «Un lupo che mostra una zanna utilizza gli stessi muscoli facciali di un essere umano che si sente in collera, o minacciato. La stessa fisiologia di base è stata tra-mandata ed è stata utilizzata all’infinito nel corso di ere di evolu-zione della specie»7.

Negli anni Quaranta si affermò l’approccio culturale che ipotizzò l’origine culturale delle manifestazioni espressive, giustificata dalla diversificazione di modelli gestuali e mimico–motori dell’emozione tra popoli e comunità diverse.

L’esperienza emotiva non è indipendente dal costruttivismo socia-le, che ne influenza le forme espressive a prescindere dalla radici bio-logiche e ne trae le caratteristiche identificative come succede nello «stato mentale che i giapponesi chiamano “amae”, una parola che non ha equivalente nelle lingue indo–europee. Indica una condizione che spiegherebbe, dicono alcuni, aspetti importanti della struttura della personalità giapponese»8; in realtà, aggiunge Dylan Evans9, «il termi-ne amae indica proprio quella sorta di “contentezza per la totale accet-tazione da parte dell’altro”»10.

5 C. Darwin, naturalista inglese (1809–1882), studiò dapprima medicina ad Edimburgo, poi si dedicò agli studi ecclesiastici al Christ’s College di Cambridge. Il suo maggiore interesse fu per le scienze naturali, laureatosi in tale disciplina, visitò le coste orientali dell’America del sud e numerose isole del Pacifico, fra cui le isole Galapàgos.

6 C. Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. XIII.

7 C.B. Pert, Molecole di emozioni, TEA, Milano 2005, p. 155. 8 J. LeDoux, Il cervello emotivo, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2003, p. 119. 9 D. Evans, svolge attività di ricerca sui sistemi intelligenti presso la University of the West

of England. Al prestigio di studioso unisce qualità di grande divulgatore. È collaboratore abituale di giornali e trasmissioni radiofoniche e televisive.

10 D. Evans, Emozioni. La scienza del sentimento, Laterza, Roma–Bari 2001, p. 4.

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Un modello innatista–darwiniano torna alla ribalta negli anni Ses-santa, con ricercatori come Paul Ekman11 che teorizzano emozioni primarie come gioia, paura, collera, innate ed universali e sottolineano come esse non vengono apprese ma facciano parte del nostro bagaglio genetico.

I.2. Modelli teorici e chiavi interpretative Nel presentare alcuni cenni teorici sul tema dei fenomeni emozio-

nali, è utile ricordare il contributo offerto da Charles Darwin, che con la sua teoria evoluzionistica, ipotizzò un meccanismo selettivo che ri-guardava non soltanto i caratteri fisici della specie ma anche i processi mentali e i comportamenti.

Secondo Darwin le emozioni e le loro diverse espressioni sono in grado di assicurare l’adattamento all’ambiente dell’individuo e la sua sopravvivenza «L’idea che più proponiamo è l’idea che l’evoluzione è un processo in cui l’organismo e l’ambiente permangono in continuo accoppiamento strutturale»12. Ulteriori contributi allo studio dei feno-meni emozionali, furono offerti da William James

medico come Freud e di una dozzina di anni più vecchio, aveva una perfetta padronanza degli elementi della struttura e della funzione del cervello quali venivano compresi al suo tempo, […] lasciò una teoria della base delle emo-zioni che pur essendo sbagliata, tenne campo per molti anni, teoria nota come di James e Lange, dal suo coscopritore danese Carl Lange13. James14 evidenzia nella sua teoria il rapporto senso–somatico de-

scrivendo la fonte viscerale delle emozioni che corrispondono alle sensazioni coscienti delle modificazioni corporee. Secondo James,

11 P. Ekman, psicologo, professore di Psicologia alla University of California Medical Scho-

ol, ha consacrato una vita allo studio delle emozioni primarie e alle manifestazioni di esse attra-verso le espressioni facciali. Adottando un approccio etologico ha cercato di dimostrare, andando contro il paradigma antropologico e riagganciandosi a Darwin, che le espressioni facciali non sono culturalmente determinate, ma si tratta di schemi innati, biologicamente determinati ed uni-versalmente diffusi.

12 H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza. Un nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana, Garzanti, Milano 1987, pp. 75–76.

13 M. Konner, L’ala impigliata, Feltrinelli, Milano 1984, pp. 127–128. 14 W. James (1842–1910), si laureò in medicina nel 1869 all’Università di Harvard, ma negli

anni successivi si dedicò allo studio della filosofia e della psicologia, di cui negli Stati Uniti fu il primo docente universitario. Insieme a Peirce, fu l’esponente più rappresentativo del pragmati-smo ottocentesco.

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Capitolo I 16

l’aspetto mentale delle emozioni è prigioniero della sua fisiologia e alla base dell’esperienza emotiva vi sarebbe un meccanismo retroatti-vo dalla periferia dell’organismo al sistema nervoso centrale: nell’atto di piangere il corpo subisce uno sconvolgimento fisiologico, lo stimo-lo seguendo uno schema di retroazione sensoriale, ritorna alla mente sottoforma di specifiche sensazioni corporee, un processo retroattivo esprimibile secondo la seguente configurazione:

Grafico 1. J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castaldi, Milano, 1998, p. 48.

Gli studi di Walter Cannon15 hanno chiarito che i centri di attivazione, di

controllo e regolazione dei processi emotivi, si collocano nella regione ta-lamica, che stimola i muscoli e i visceri e rimanda l’informazione alla cor-teccia. Cannon ha dimostrato che le emozioni vanno studiate nella loro di-versità sotto il profilo psicologico e non fisiologico, in quanto le risposte funzionali sono spesso le stesse a prescindere dalla tipologia di stato emoti-vo; infatti di fronte a situazioni di gioia o di dolore alcuni segni funzionali come il ritmo respiratorio e la frequenza cardiaca, possono corrispondere. Cannon, ritenendo che la risposta fisiologica avesse un ruolo cruciale e che le risposte fisiche rendono le emozioni diverse dagli altri stati mentali con-divise alcuni aspetti delle teorie di James. Entrambi i ricercatori implicita-mente affidano al miglioramento del rapporto corpo–persona perseguibile attraverso l’esperienza motoria, la ricerca di una possibile attività di concor-renza al processo dialogo somato–emozionale. Secondo la corrente cogni-tivista che ha «gettato nuova luce sulla maniera di usare l’intelletto per ri-solvere problemi […], è il modo in cui pensiamo che determina in larga misura non solo il comportamento, ma anche i suoi risultati»16.

15 W. Cannon, (1871–1945), fisiologo statunitense, studiò presso l’Università di Harvard,

ove in seguito fu docente di fisiologia e poi direttore del dipartimento dal 1906 al 1942. Egli legò il suo nome alle ricerche sul processo della digestione, il sistema nervoso e i meccanismi di auto-regolazione corporea.

16 A.T. Beck, L’amore non basta, Astrolabio, Roma 1990, p. 7.

RETROAZIONE

(segnali corporei

di ritorno al cervello)

SENTIMENTO (Paura) STIMOLO RISPOSTA

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Corpo ed emozioni 17

L’emozione viene considerata come un fenomeno risultante da due componenti, una di natura fisiologica, l’altra di natura psicologica, lega-ta cioè, alla percezione e alla spiegazione della situazione emotigena.

Il versante dell’appraisal o della valutazione cognitiva sostiene che esiste sempre una valutazione della situazione che si manifesta corpo-reamente alla quale si attribuisce un significato soggettivo, come so-steneva lo psicologo N.H. Frijda: «le emozioni non sono attivate quin-di dall’evento nella sua obiettiva realtà, ma dai significati e dai valori che un individuo attribuisce agli eventi che lo vedono protagonista»17.

Con questo approccio «I processi di valutazione (appraisal) elabo-rativi determinano se uno stimolo è “buono” o “cattivo”, e di conse-guenza se dobbiamo avvicinarci o allontanarci da ciò che l’ha genera-to […], il processing emozionale prepara il cervello e il resto del cor-po all’azione»18.

Grafico 2. J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castaldi, Milano 1998, p. 54, modificato.

La centralità del momento valutativo e dell’attribuzione di si-

gnificato, viene sottolineata anche da Siegel19, secondo cui le emo-zioni sono fenomeni dinamici creati all’interno dei processi cere-brali di valutazione di significati che risentono di influenze sociali, di rapporti interpersonali rispetti i quali la mente non è neutrale e la valutazione rappresenta un complesso sistema di meccanismi in cui

17 L. Anolli, Le emozioni, Unicopoli, Milano 2002, pp. 31–43. 18 D. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello

Cortina Editore, Milano 2001, p. 124. 19 D. Siegel, dirige l’Infant and Preschool Service della University of California, Los Ange-

les. È professore di psichiatria alla UCLA School of Medicine. Dirige inoltre il Dipartimento di studi interdisciplinari alla Children’s Mental Health Alliance Foundation di New York.

STIMOLO

(Orso)

VALUTAZIONE (Può procurarmi

danni, morte)

TENDENZA O PREPARAZIONE

ALL’AZIONE (andare lontano,

aumento del battito cardiaco, ritmo re-

spiratorio)

SENTIMENTO (paura)

RISPOSTA

(fuga)

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Capitolo I 18

partecipano fattori interni ed esterni, dallo stimolo alle aspettative del soggetto20.

Questo tipo di approccio attribuisce al corpo, alle diverse esperien-ze realizzabili informa dinamica e intenzionale, la capacità di solleci-tare una capacità interpretativa, una funzione di analisi e valutazione.

Il rapporto tra uomo e ambiente ha caratterizzato un significativo filone di ricerca del ventesimo secolo sulla dimensione culturale del-le emozioni, definite come comportamenti acquisiti e culturalmente trasmessi, non geneticamente determinati, ma favoriti dall’assimila-zione e la rappresentazione di norme, valori e credenze sociali. L’emozione si identifica come prodotto socio–culturale, risposta co-ordinata utile a regolare le interazioni sociali fra gli individui, non finalizzata a garantire la sopravvivenza biologica come sostenuto dalla teoria evoluzionista. Uno dei nodi problematici di questa ipote-si teorica sostiene Paul Ekman, è rappresentato dalle caratteristiche di alcune emozioni innate ed universali, definite primarie che non sono il frutto di relazioni sociali21.

Infine le teorie psicoevoluzionistiche, come le teorie evoluzioni-stiche di Darwin, definiscono le emozioni come processi finalizzati alla realizzazione di scopi universali connessi con la sopravvivenza della specie e danno importanza alla valutazione dello stimolo e al-le risposte fisiche, confermando la stretta connessione mente–corpo, basata sulla descrizione soggettiva delle sensazioni connesse alle emozioni: «Innanzitutto hanno basato la conoscenza dei pro-cessi di valutazione su quanto dicevano i soggetti, su riflessioni in-trospettive verbalizzate»22.

I.3. Intelligenza emotiva Il collegamento tra emozioni e sistema cognitivo si fonda su ricer-

che condotte nel campo delle neuroscienze da angolazioni, metodi sperimentali e quadri epistemologici diversi che hanno trovato un ter-reno comune di confronto e di scontro, «hanno dato forma per la pri-ma volta nella storia dell’uomo, a ciò che è stato sempre fonte di pro-fondo mistero: ci hanno mostrato il funzionamento di questa massa

20 Ibid. 21 D. Evans, op. cit., p. 5. 22 J. LeDoux, op. cit., p. 56.

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Corpo ed emozioni 19

intricata di cellule proprio nel momento in cui noi pensiamo e sentia-mo, immaginiamo e sognamo»23.

La relazione tra funzioni cerebrali emotive e razionali interdipen-denti è stata mutuata da ricercatori come Peter Salovey e John Mayer24 e solo successivamente da Goleman25 come una «capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le fru-strazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedi-sca di pensare; e, ancora, la capacità di essere empatici e di sperare»26.

Molti scienziati come Christophe Andrè e Francois Lelord27, utiliz-zano un termine alternativo a quello di “intelligenza” per definire il livello emotivo, riconducendo il sistema delle emozioni ad una speci-fica “competenza umana”, che contiene implicitamente la coscienza del proprio stato emotivo per indicare una complessa abilità che ri-chiede una consapevolezza del proprio stato emotivo, «preferiamo il termine competenza emotiva, perché dal punto di vista etimologico, “intelligenza” presuppone semplicemente una comprensione, mentre ciò che gli autori chiamano “intelligenza emotiva” prevede anche la capacità di esprimere e di agire»28.

Le emozioni come espressione complessa intrinseca ed estrinseca di processi rivolti anche ad altre persone necessitano di una capacità regolativi, attraverso comportamenti soggettivi e collettivi adattivi, «L’uomo di oggi non si rassegna al fatto che la sua sensibilità maturi in maniera caotica […]. Il culto dell’emozione dunque dovrà essere completato con un elemento strumentale grazie al quale si imparerà a coltivare le proprie emozioni»29.

23 D. Goleman, Intelligenza emotiva. Che cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli, Milano

1996, p. 14. 24 J. Mayer, psicologo della New Hampshire con P. Salovey, psicologo di Yale, è uno dei

padri dell’intelligenza emotiva. 25 D. Goleman, psicologo cognitivista, professore di Psicologia ad Harvard. Ha avuto il

grande merito di aver contribuito a sviluppare un atteggiamento culturale più rispettoso e favore-vole alle emozioni.

26 Ivi, p. 54. 27 C. André e F. Lelord sono psichiatri e psicoterapeuti presso l’ospedale Sainte–Anne di Pa-

rigi e sono tra i migliori specialisti francesi su ansie e fobie, e spiegano come guarire: nessun metodo miracoloso, ma aneddoti, spiegazioni scientifiche e storiche e consigli pratici.

28 C. Andrè, F. Lelord, La forza delle emozioni, Corbaccio, Milano 2001, pp. 315–316. 29 M. Lacroix, Il culto dell’emozione, Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 45.

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Capitolo I 20

I.4. La dimensione corporea dell’emozione La vasta gamma di approcci neurobiologici, psicologici, pedagogi-

ci ed antropologici per lo studio dei rapporti tra corporeità ed emozio-ne esprimono a pieno la complessità di un processo di sistematizza-zione. Nel 1884 «William James, pubblicò l’articolo “What is an Emoticon” (Che cos’è un’emozione?), nella rivista di filosofia “Mind”»30, ponendo già allora il tema di una riflessione transdiscipli-nare, di una comparazione teorica sull’argomento che ripropone il rapporto corpo–mente.

Più recentemente lo studio del rapporto tra meccanismi neurofisio-logici e sensazioni corporee ad essi associate, ci riporta a valutare il rapporto tra sensazione, percezione e significato, analizzando il rap-porto tra corpo e coscienza, cercando di tracciare i confini tra infor-mazione somatica, meccanismi e schemi cognitivo–interpretativi. L’emozione secondo una efficace definizione della neurobiologa Mi-chela Balconi, non può essere considerata come un fenomeno univoco dalla struttura semplice ma come «un’esperienza che produce senti-menti […], presenta delle modificazioni fisiologiche in risposta a de-terminati stimoli, […] è dotata di correlati emotivi (come la valutazio-ne dello stimolo emotigeno), ed ha, infine, risvolti sul piano del com-portamento»31.

È implicito un legame forte tra corpo ed emozione nel quale la fisi-cità è il terreno di coltura che traduce le informazioni intrinseche di una esperienza in sensazioni corporee che si diversificano l’una dall’altra proprio per il differente impatto senso–percettivo in quanto se «uso il termine emozione lo faccio nel senso più ampio del termine, includendo non solo le esperienze familiari all’uomo come ira, paura e tristezza, oltre che gioia, soddisfazione e coraggio»32.

Daniel Goleman arricchisce questo concetto collegando il termine emozione «a un sentimento e ai pensieri, alle condizioni psicologiche e biologiche che lo contraddistinguono, nonché ad una serie di pro-pensioni ad agire»33.

Il corpo è quindi paragonabile ad uno strumento musicale grazie al quale la somma di segni grafici di uno spartito diventano melodia, ma è anche il mezzo di decodifica che aiuta il livello interpretativo dei di-

30 J. LeDoux, op.cit., p. 45. 31 M. Balconi, Neuropsicologia delle emozioni, Carocci, Roma 2004, p. 31. 32 C.B. Pert, op.cit., p. 156. 33 D. Goleman, op. cit., p. 333.

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versi eventi, ognuno dei quali si valuta in rapporto agli effetti corporei che produce. Secondo Damasio34, anche gli organismi più semplici, intercellulari, sono capaci di agire emotivamente «i movimenti veloci e zigzaganti sembrano “collerici”, i salti armoniosi e irruenti appari-ranno “gioiosi”, gli arretramenti “dettati dalla paura”»35, ma per la per-sona l’emozione è qualcosa di molto più grande e complesso, di stra-ordinario e misterioso «l’emozione umana non riguarda solo il piacere sessuale o la paura dei serpenti, ma anche il piacere […] per l’intensa bellezza di parole e idee che emergono nei versi di Shakespeare, […] l’armonia che Einstein ricercò nella sua equazione»36.

Secondo Keith Oatley37 il patrimonio emozionale esprime limiti, manifestazione corporee, impulsi e rappresentazioni che sfuggono alla volontà, «le emozioni concernono l’aspetto corporeo, fattuale, i nostri limiti. Spesso esse si manifestano come una specie di esigenza che sfugge al controllo volontario»38.

Daniel Goleman cerca di classificare le diverse sfumature delle emo-zioni, «Le derivazioni più esterne sono gli umori o stati d’animo, […] più attenuati e più durevoli delle emozioni, […] i temperamenti, ― al contra-rio, costituiscono ― la propensione ad evocare una certa emozione o u-more che rende le persone malinconiche, timide o allegre»39.

I diversi approcci che mettono le basi alle definizioni dei diversi studiosi sulle emozioni e sui sentimenti, si collegano costantemente al corpo, alla relazione dinamica e reciproca corpo–sensazione–coscien-za. «un problema essenziale per comprendere chi siamo, […] l’emo-zione e le reazioni affini sono schierate sul versante del corpo, mentre i sentimenti si trovano su quello della mente»40.

In particolare l’incontro tra psicopedagogia e neurobiologia apre, secondo LeDoux41, una chiave interpretativa delle emozioni che può

34 A. Damasio, laureato in Medicina è professore di Neurologia e presidente del Dipartimento di Neuro-logia presso il College of Medicine della University of Lowa, nonché professore incaricato presso il Salk Institut for Biological Studies di La Jolla. Le sue ricerche sulla neurologia della visione, della memoria e del linguaggio, e i suoi contributi allo studio della malattia d’Alzheimer gli hanno procurato fama internazionale.

35 A.R. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000, p. 92. 36 Ivi, pp. 51–52. 37 K. Oatley, nacque a Londra, in Inghilterra. Professore all’Università di Cambridge, medi-

co e psicologo, si è distinto per gli studi sulle emozioni. 38 K. Oatley, Psicologia ed emozioni, il Mulino, Bologna 1997, p. 71. 39 D. Goleman, op. cit., pp. 332–334. 40 A.R. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Mila-

no 1995, p. 18. 41 J. LeDoux, è considerato uno dei più importanti studiosi di neurobiologia. Ha scoperto che

nel cervello gli input sensoriali viaggiano dapprima diretti al talamo e all’amigdala; un secondo segnale viene poi inviato dal talamo alla neocorteccia. Insegna all’università di New York.

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Capitolo I 22

diventare un terreno di incontro tra settori scientifici tradizionalmente distinti sul piano epistemologico e dei metodi di ricerca «Sarebbe me-raviglioso avere una conoscenza scientifica delle emozioni: ci darebbe un’idea del funzionamento più intimo e occulto della mente»42.

I.5. Corpo, cognizione ed emozione Negli ultimi anni alcune ricerche si sono indirizzate a dimostrare

che l’emozione precede la cognizione ed è relativamente autonoma da essa e produce risposte involontariamente intelligenti, risultato di un sistema più rapido dell’analisi e della elaborazione cognitiva:

Grafico 3. J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castaldi, Milano, 1998, p. 56, modificato.

In campo neuroscientifico, ricercatori come Antonio Damasio e Jo-

seph LeDoux, hanno teorizzato un tipo di percezione conscia – inconscia degli stimoli, ipotizzando una elaborazione inconscia ma spesso efficace delle informazioni afferenti «Dal canto suo, LeDoux ha sottolineato il coinvolgimento delle strutture sottocorticali e in particolare dell’amigdala nell’esperienza emotiva, evidenziando il ruolo della via anatomica perife-rica per la valutazione dello stimolo/evento emotigeno»43.

Secondo questa ipotesi di ricerca il processo di riconoscimento e valutazione dello stimolo avviene attraverso due percorsi anatomici distinti:

• una via talamica bassa e veloce che offre informazioni somma-

rie ed essenziali e consente all’organismo una risposta immediata ma poco differenziata;

42 J. LeDoux, op. cit., p. 25. 43 M. Balconi, op. cit., Carocci, Roma 2004, p. 84.

STIMOLO

(orso)

SENTIMENTO (Paura)

REAZIONE EMOTIVA

INCONSCIA (non è piacevole)

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• una via corticale alta e lenta che prevede l’invio di informazioni analitiche che forniscono maggiori dettagli sulla struttura percettiva e semantica dello stimolo44.

Il rapporto tra emozione, coscienza e controllo è la caratteristica

di tutte le attività di gruppo comprese quelle motorie e sportive, fa-vorendo e concorrendo ad una vera educazione emozionale che ca-pitalizza gli aspetti emozionali e ne controlla gli effetti e le possibi-li implicazioni negative. L’esperienza guidata, flessibile e creativa come quella del corpo impegnato nelle attività motorio–sportive, favorisce un rapporto armonico tra coscienza ed emozione, tra meccanismi naturali che regolano il rapporto tra corpo, esperienza e risposta senso–percettiva e intenzionalità del soggetto che è con-sapevole delle sue reazioni, le prepara, le prevede, le controlla e le utilizza molti animali trascorrono la vita accontentandosi del loro pilota emotivo automatico, ma quelli che possono passare anche al controllo volontario godono dell’enorme vantaggio che deriva dalla combinazione delle funzioni emotive con quelle cognitive.[…] Ma anche la cognizione contribuisce all’emozione, dandoci la capacità di decidere l’azione da intraprendere, […] È una delle nostre at-trezzature mentali più utili perché ci consente di passare dalla rea-zione all’azione45.

Nell’esperienza motoria gli stati fisiologici e cognitivi, vanno con-siderati, nella loro interdipendenza, nella consapevolezza che una e-sperienza ha sempre delle implicazioni senso–percettive che richia-mano la coscienza della situazione, una prima analisi della situazione. Il gioco ludico–sportivo e le attività di gruppo a carattere motorio so-no quindi veri laboratori per sperimentare la costruzione di una rela-zione circolare tra emozione e corporeità, riproducendo il meccanismo di utilizzazione del “motore emozionale” che l’attore utilizza nei di-versi momenti interpretativi, quando il corpo spinge l’azione scenica o quando la trama trascina il coinvolgimento corporeo e gestuale.

Le emozioni si manifestano in circostanze particolare ma gli elementi che le suscitano non sono puramente fisici, ma psicologici. Con il termine “fi-sico”, intendo dire che, quando viene presentato uno stimolo, esso ha un effetto sistematico, indipendentemente dalla persona a cui viene presenta-to o dalle valutazioni del destinatario; […] le emozioni, però dipendono

44 J. LeDoux, op. cit, pp. 170–171. 45 Ivi, p. 182.

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anche dalle valutazioni di ciò che è accaduto in relazione agli scopi e ai pensieri di ognuno46. Il passaggio dalla sensazione alla coscienza, crea la consapevolezza

dell’emozione, l’attivazione della via corticale talamica nella fase di va-lutazione dello stimolo emotigeno, quando il cervello può valutare l’informazione prima ancora di averne analizzato le caratteristiche. Il rapporto cruciale tra esperienze corporee come il gioco e memoria emo-tiva, richiama una riflessione sul rapporto tra corpo, memoria e mecca-nismi di apprendimento. La memoria emotiva gioca infatti un ruolo fondamentale nei meccanismi di apprendimento in quanto gli stimoli vengono registrati, immagazzinati e recuperati, con modalità diverse ri-spetto alle informazioni cognitive, attraverso un significato ed una mar-catura emotiva inconscia che l’attività motorio–sportiva al contrario aiu-ta a governare, stabilisce le regole per utilizzarne le potenzialità ine-spresse per migliorare la prestazione o determinare un risultato47.

Le emozioni sono difficili da verbalizzare, come è noto: operano in uno spazio psichico e neurale al quale la coscienza fa fatica ad accedere.[…] Già siamo riusciti a determinare molto bene certi meccanismi emotivi, fondamentali sia per gli animali che per gli umani, e con queste informa-zioni ci sarà più facile capire come le funzioni evolute recentemente ― il linguaggio e la coscienza ― contribuiscano all’emozione e soprattutto come interagiscano con i sistemi più profondi, non verbali e inconsci, che sono il cuore e l’anima della macchina emotiva48.

I.6. Il sistema limbico William James nel 1884 affermava che la fonte delle emozioni fos-

se puramente viscerale e non cognitiva, scaturisse in altri termini dal corpo e non dalla mente e che anzi, un sistema cerebrale deputato al suo controllo neanche esistesse. Secondo la teoria periferica, «l’evento emotigeno determinerebbe immediatamente una serie di risposte neu-rovegetative che sono avvertite dal soggetto. La percezione di queste modificazioni neurofisiologiche sarebbe alla base dell’esperienza e-motiva»49.

46 K. Oatley, Psicologia ed emozioni, il Mulino, Bologna 1997, p. 77. 47 M. Balconi, op. cit., pp. 81–82. 48 J. LeDoux., op. cit., p. 75. 49 L. Anolli, Le emozioni, Unicopoli, Milano 2002, p. 16.

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Walter Cannon nel 1927, ipotizzava che l’esperienza emotiva si ve-rificasse indipendentemente dall’espressione somatica.

L’ipotalamo del cervello diventava la sede delle emozioni che, sot-to forma di segnali chimici si trasmettevano attraverso le connessioni neurali al midollo allungato e di lì al corpo. L’esperienza emotiva, pertanto, secondo Cannon, nasceva prima nella mente e poi nel corpo.

Negli anni trenta del Novecento, Paul Pierre Broca50, neurologo anatomista francese, chiamò “lobo limbico” la zona corticale localiz-zata verso il centro del cervello e che circondava il tronco encefalico, «Va ricordato che Broca non aveva fatto alcun accenno al coinvolgi-mento nelle emozioni di questa struttura, che soltanto più avanti fu re-sa evidente»51.

Al “lobo limbico” di Broca, si aggiunsero ben presto, nuove strut-ture grazie agli studi pionieristici di Papez, neurologo americano, par-ticolarmente importante nella vita emotiva degli individui. Il “circuito cerebrale” che da lui prese il nome, risultava composto, non solo da sistemi corticali primitivi collocati intorno al tronco encefalico, ma in-cludeva anche circuiti cerebrali come il talamo anteriore, la corteccia del cingolo, l’ipotalamo, i corpi mammillari, «È filogeneticamente il sistema più antico tra le strutture cerebrali e svolge anche funzioni psicologiche prioritarie grazie al fatto che possiede una rete articolata di connessioni con molteplici strutture»52.

Grazie ai suoi studi giunse alla conclusione che dalla corteccia all’ipotalamo, e poi ancora alla corteccia, si creava un circuito che per-metteva al pensiero di influire sulle reazioni emotive e viceversa. Secon-do tale schema risulta evidente una relazione tra strutture sottocorticali limbiche e centri corticali superiori al fine di garantire l’integrazione tra risposte fisiologiche e processi cognitivi. Il suo merito è quello di aver fornito una spiegazione esaustiva del rapporto esistente tra strutture sotto-corticali e corticali con l’interazione importante per l’esperienza emotiva tra tre strutture: tronco encefalico, sistema limbico e neocorteccia.

Pur non avendo compiuto direttamente ricerche sulle emozioni è stato capace di sintetizzare le informazioni e le idee presenti a quel tempo formulando for-

50 Paul Pierre Broca, (1824–1880), chirurgo e antropologo francese. Studiò medicina a Pari-

gi, dove insegnò chirurgia patologica. Si distinse nella ricerca medica, in particolare per la sco-perta dei centri cerebrali del linguaggio (una di queste regioni è oggi conosciuta come area di Broca) e per le sue ricerche sull’afasia. Pioniere nello studio dell’antropologia fisica, verso la fine della sua carriera, fu eletto membro a vita del Senato francese.

51 G. Perna, op. cit., p. 82. 52 M. Balconi, op. cit., p. 37.

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Capitolo I 26

se la più influente teoria delle emozioni, perché ipotizzò che esistesse un si-stema emozionale nella parte mediale del cervello le cui strutture e connessio-ni sono ancora attuali53. Si deve, invece a Paul MacLean54, il concetto di “Sistema limbico”,

quale sede delle emozioni e l’aggiunta di ulteriori componenti anatomi-che quali l’amigdala, i gangli della base, la corteccia frontale, compo-nenti essenziali del cervello nella sua “Teoria del cervello trino”, secon-do la quale il cervello comprenderebbe tre strati che rappresentano tre diversi stadi dell’evoluzione umana: il paleoencefalo o cervello rettili-neo, cioè il midollo allungato responsabile della respirazione, della cir-colazione sanguigna, della temperatura corporea; il cervello paleo-mammifero o sistema limbico sede delle emozioni; il cervello neo-mammifero o neocorteccia, nel lobo anteriore, sede della razionalità ed orientato verso l’ambiente esterno da cui riceve le sue informazioni.

Ciascuno strato è autosufficiente rispetto agli altri, è in grado di a-gire in modo autonomo, di organizzarsi e risolvere nelle varie situa-zioni i problemi di diversa natura che possono presentarsi, tutti ele-menti che hanno assicurato la sopravvivenza della specie perché come scrive L. Gallino55, «È un cervello funzionalmente unitario e tuttavia triplice e trino»56.

Con Paul MacLean siamo agli anni Sessanta e Settanta, e «Le cono-scenze in questo campo hanno visto […], ― sostiene J.P. Changeux57 ― un’espansione paragonabile, per ampiezza, solo a quella fisica all’inizio del secolo, o della biologia molecolare verso glia anni Cinquanta»58.

Le diverse ricerche hanno consentito una prima definizione struttu-rale del sistema libico, inteso come un circuito costituito da un insie-me di strutture corticali e sottocorticali, fra loro interconnesse da fasci

53 G. Perna., op. cit., p. 83. 54 Paul MacLean, neuroscienziato statunitense direttore del Laboratory of Brain Evolution

and Behaviour di Bethesda, negli anni Sessanta ha compiuto gli studi più significativi sul sistema limbico.

55 Luciano Gallino (Torino 1927), sociologo, fondò nel 1956 un centro di ricerca sociologica e fu uno dei primi in Italia a compiere studi di sociologia industriale e del lavoro. Professore in-caricato di sociologia e titolare di una cattedra di sociologia presso l’Università di Torino, ha diretto la rivista “Quaderni di sociologi” e ha ricoperto la carica di presidente del Consiglio ita-liano per le scienze sociali. Negli ultimi anni si è occupato di temi relativi alla scienza informati-ca e all’intelligenza artificiale.

56 L. Gallino, Evoluzione del cervello e comportamento umano, Einaudi, Torino 1984, p. XII. 57 J.P. Changeux, è professore al Collège de France e all’Institut Pasteur di Parigi, membro

dell’Accademia delle Scienze e presidente del Comitato Nazionale di Bioetica di Francia, è uno dei padri della moderna Neurobiologia.

58 J.P. Changeux,, L’uomo neuronale, Feltrinelli, Milano 1986, p. 8.

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di fibre che trasportano specifici neurotrasmettitori, e conosciute come corteccia cingolata, corpo calloso, setto, talamo, ipotalamo, ippocam-po, corpi mammillari ed amigdala. Si tratta di strutture che svolgono un ruolo centrale nel coordinare le attività cerebrali e nell’integrare processi mentali fondamentali come l’attribuzione di significati, l’elaborazione delle esperienze sociali e la regolazione delle emozioni. Uno dei punti di discussione più importanti che ha contraddistinto la ricerca in questi anni è rappresentato dall’esistenza o meno di un sin-golo sistema che sia responsabile dell’esperienza emotiva, «non esiste un unico centro cerebrale per l’elaborazione delle emozioni ma piutto-sto un certo numero di sistemi distinti e connessi che separano le con-figurazioni emotive»59.

L’espressione “sistema limbico”, in realtà, non indica l’esistenza di una vera e propria struttura, ben organizzata e definita nel cervello, «La prova che una qualche area limbica fosse coinvolta in un qualche processo emotivo ― sostiene Joseph LeDoux ― è stata a volte gene-ralizzata ed è servita a convalidare l’idea che l’intero sistema fosse coinvolto nelle emozioni»60.

Alla luce delle nuove teorie fondate sull’esistenza di uno scambio di informazioni esterno ai confini del sistema nervoso vero e proprio, incentrato su una comunicazione anche chimica fra le cellule, oltre che sinaptica, quest’idea di un sistema unico sembra perdere la sua egocentricità, «I neuroscienziati sono concordi da tempo nel ricono-scere che le emozioni sono controllate da alcune parti del cervello. Si tratta di un assunto “neurocentrico”, che ora ritengo errato, o almeno incompleto»61.

All’idea di un unico centro corticale per l’elaborazione delle emo-zioni, pertanto, si sostituisce, nella prospettiva di Daniel J. Siegel la certezza di un certo numero di sistemi distinti e connessi che separano le configurazioni emotive: le emozioni, dunque, non sono circoscritte ad aree cerebrali specifiche, al contrario si tratta di regioni limbiche che influenzano la maggior parte delle funzioni del cervello e dei pro-cessi della mente62.

Si tratta di processi che coinvolgono l’intero cervello e che hanno spinto gli studiosi a parlare di un “cervello emotivo”, in cui le moleco-le dell’emozione sembrano trovare la principale localizzazione.

59 A.R. Damasio, op.cit., p. 82. 60 J. LeDoux, op. cit., p. 105. 61 C.B. Pert, op. cit., p. 157. 62 D. Siegel, op. cit., pp. 122–130.

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Capitolo I 28

La chiave per la comprensione del funzionamento del cervello e-motivo è l’amigdala, simile per forma ad una mandorla e situata nel lobo temporale costituisce un punto di raccordo tra il sistema nervoso centrale e quello periferico con importanti funzioni nel processo co-gnitivo. Joseph Le Doux è stato uno dei primi a delineare più precisa-mente come, senza l’intervento della corteccia superiore, siano map-pati nelle diverse regioni dell’amigdala, i segnali in entrata e in uscita. Le informazioni sugli stimoli esterni afferiscono ai canali sensoriali come udito e vista e tramite fasci di nervi vengono trasmesse ad una “stazione di smistamento nervoso” rappresentata dal talamo sensoriale. Nella fase successiva la corteccia orbito–frontale analizza la natura dello stimolo, lo confronta con esperienze passate e invia le giuste ri-sposte all’amigdala.

L’amigdala è un po’ come il comandante sul campo di battaglia che, pur di-pendendo dal quartier generale ha una certa autonomia decisionale […], la prima risposta ad un segnale di pericolo avviene sul campo di battaglia (corpo guidato dal cervello) prima che il quartier generale (corteccia) ne venga a co-noscenza63. L’amigdala svolge una funzione comune anche all’ippocampo

memorizzando gli stimoli, anche la consapevolezza di natura corticale, di questo apprendimento in quanto il cervello può valutare uno stimo-lo, prima ancora di conoscerne la natura. La memoria emotiva consen-te di registrare, immagazzinare e recuperare informazioni diverse ri-spetto la memoria cognitiva. Appare chiara la complessità di un siste-ma regolativo delle emozioni e sono ancora incerti i livelli, le struttu-re, le aree e le connessioni, ma risulta evidente ed inconfutabile la re-lazione organica corpo–emozione e la capacità del movimento, del gioco, delle dinamiche di gruppo presenti nello sport di sollecitare e di essere solleticate dal sistema emozionale di cui sono parte integrante.

63 G. Perna, op. cit., p. 71.

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Capitolo II

Attività motoria e meccanismi mnemonici

Il primo autore e motore dell’universo è l’intelligenza, perciò la causa finale dell’universo deve essere il bene dell’intelligenza e questa è la verità.

S. Agostino

II.1. Attività motoria e meccanismi mnemonici

Secondo una prima analisi strutturale, la memoria comprende tre componenti:

• una istantanea, lo spazio in cui soggiorna per brevissimo tem-

po l’informazione in ingresso; • a breve termine «questo tipo di memoria costituisce ― spiega

Edoardo Boncinelli1 ― uno spazio mentale in cui gestire per qualche istante alcune informazioni, appena apprese o appena richiamate alla nostra memoria a lungo termine»2;

• a lungo termine, lo spazio in cui vengono collocati i prodotti dei vari apprendimenti ed ha la capacità di conservare l’informazione in maniera permanente, infatti, per un’acquisizione relativamente sta-bile di conoscenze occorre che immagini e concetti vengano trasferiti dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Questa ha una durata maggiore anche se non illimitata, e ci permette di avere delle conoscenze e di fare esperienza sulla base degli eventi passati3.

1 E. Boncinelli, è fisico e studioso di biologia molecolare, sta integrando ai suoi studi il pro-

blema dell’anima. 2 E. Boncinelli, Il cervello, la mente e l’anima. Le straordinarie scoperte sull’intelligenza

umana, Saggi Mondatori, Milano 2000, p. 202. 3 Ibid.

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Capitolo II 30

Il passaggio dalla memoria a breve termine a quella a lungo termi-ne, sembrerebbe comportare delle modificazioni permanenti o semi permanenti di alcuni contatti sinaptici tra neuroni di specifiche regioni del cervello. Queste modificazioni comporterebbero progressivamente una nuova fisionomia delle reti cerebrali la cui funzioni sarebbero condizionate anche da strutture emotive in quanto ogni situazione sti-molo viene ricordata sia per le sue caratteristiche oggettive che per il significato emotivo, «Le emozioni possono essere apprese, subire un’evoluzione o modificarsi, anche sulla base delle sollecitazioni de-rivanti dal contesto. Tutto ciò può essere chiamato apprendimento emotivo, che necessita a sua volta di una memoria emotiva, distinta, almeno in parte da quella cognitiva»4.

L’esistenza di vie neurali che aggirano la corteccia cerebrale colle-gando il talamo all’amigdala, spiega come mai nell’amigdala possa esserci un vero archivio emotivo di ricordi ed un repertorio di risposte intelligenti ma non intenzionali grazie a quella via corticale bassa e veloce che esclude la neocorteccia al sopraggiungere dello stimolo emotivo. Secondo Daniel Goleman mentre l’ippocampo, ricorda i fat-ti, l’amigdala ne trattiene il sapore emozionale5, dando alla memoria un doppio livello di cui uno razionale ed uno emotivo.

Joseph LeDoux definisce a questo proposito due tipi di memoria che operano in parallelo:

• la memoria emotiva (implicita) vero magazzino delle infor-

mazioni in base alle quali uno stimolo produce una risposta emotiva, ed è mediata dall’amigdala che memorizza i ricordi a livello implicito;

• la memoria delle emozioni, (cosciente, dichiarativa o esplici-ta) o ricordo cosciente di un’esperienza emotiva, mediata dall’ippo-campo e dalle aree corticali connesse che si occupa dell’immagazzina-mento dei ricordi a lungo termine.

I differenti sistemi di memoria fungono in parallelo come strutture complementari che colorano emotivamente le informazioni attraverso una circolarità e reciprocità che rende costante il principio di interdi-pendenza. Il sentire corporeo espressione di uno stato emozionale im-plica e induce il fenomeno associativo mnesico e il ricordo d’altra par-

4 Ivi, p. 216. 5 D. Goleman, Intelligenza emotiva. Che cos’è, perché può renderci felici, Rizzoli, Milano

1996, pp. 40–42.

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Attività motoria e meccanismi mnemonici 31

te evoca una sensazione emozionale che è un fenomeno vissuto fisi-camente. L’ippocampo, pur rappresentando come struttura meno dell’1% dell’intero sistema nervoso centrale, regola funzioni fonda-mentali come la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la tempera-tura corporea, smistando contestualmente di concerto con l’amigdale, informazioni provenienti dal sistema nervoso, allo scopo di favorire risposte efficaci agli stimoli emotigeni.

La memoria emotiva è selettiva e precede il sistema mnemonico–razionale per una diversa maturazione dell’amigdala rispetto all’ippo-campo, favorendo l’immagazzinamento inconsapevole delle informa-zioni a carattere emozionale; la non funzionalità dell’amigdala produ-ce un fenomeno definito “cecità emotiva”6 che consiste nella incapaci-tà di apprendimento e memorizzazione delle esperienze emotive.

Lo studio sui meccanismi della memoria esplicita ed il ruolo che svolge l’ippocampo coinvolge le diverse fasi dell’accrescimento umano

durante il suo secondo anno di vita il bambino acquisisce progressivamente la capacità di ricordare le sue esperienze nell’ordine in cui si sono verificate, il che gli permette di sviluppare il senso del tempo e della successione degli e-venti […] contemporaneamente nella sua mente si crea una “mappa di rappre-sentazioni” che gli consentono di collocare le cose nello spazio7. In entrambe queste funzioni gioca un ruolo fondamentale l’ippo-

campo che, come “organizzatore cognitivo”, sarebbe essenziale nel determinare lo sviluppo di un senso di sé nel tempo e nello spazio gli stimoli vengono in un primo tempo registrati come “ricordi sensoria-li”, che vengono ritenuti per circa mezzo secondo: tale memoria “tam-pone” contiene le attivazioni iniziali del sistema percettivo. Dalla massa di informazioni generate da questi processi sensoriali, solo al-cune vengono selezionate dalla “memoria di lavoro” che, in assenza di ripassi successivi, le mantiene al massimo per trenta secondi. Se inve-ce i circuiti implicati vengono riattivati, le informazioni corrispondenti possono essere ritenute per periodi relativamente più lunghi oppure essere immagazzinate più stabilmente nella memoria a lungo termine8.

La memoria di lavoro è la capacità sulla quale si fonda l’appren-dimento che consente il collegamento tra informazioni e rappresen-

6 Ivi, p. 34. 7 D.J. Siegel, La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello

Cortina Editore, Milano 2001, pp. 34–35. 8 E.R. Kandel, J.H. Schwartz, T.M. Jessel, Fondamenti delle neuroscienze e del comporta-

mento, CEA, Milano 1999, pp. 679–681.

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Capitolo II 32

tazioni selezionate e di volta in volta archiviate dalla memoria a lun-go termine, senza attivazioni geniche o sintesi proteiche, ma attra-verso cambiamenti funzionali a livello sinaptico, con una tempora-nea attivazione neuronale. Questa capacità che facilita i processi di apprendimento matura nei primi anni di vita e si differenzia da sog-getto a soggetto.

Nella memoria esplicita a lungo termine l’ippocampo assicura l’immagazzinamento ed il recupero delle tracce di memoria in altre regioni cerebrali che, per rimanere permanentemente impresse nel si-stema mnesico è necessario un “consolidamento corticale”. Si tratta, secondo alcuni modelli teorici, dell’attivazione che permette di rior-ganizzare archiviare le rappresentazioni provenienti da diverse aree cerebrali nella “corteccia associativa” senza tracciare nuovi engrammi.

La memoria, nei suoi possibili rapporti con l’esperienza corporea e motoria può essere ricondotta a quattro elementi di riflessione:

• le informazioni sono custodite in due magazzini cerebrali di

cui uno a breve termine, nel quale la traccia permane qualche minuto ed uno a lungo termine nel quale un processo nervosi rende persistente la traccia che è recuperabile grazie ad un sistema specifico al quale si collega il ricordo, «La memoria comprende stadi successivi e varia in maniera continua»9. L’esperienza motorio–chinestesica, prevalente nella memoria a breve termine, può aiutare il consolidamento di tracce mnemoniche, collegando la partecipazione emotiva dell’azione corpo-rea all’informazione da archiviare;

• le informazioni archiviate come tracce nella memoria a lun-go termine determinano cambiamenti e modificazioni fisiche del li-vello neurale «La memoria a lungo termine può essere dovuta a mo-dificazioni cerebrali di tipo plastico»10. Il movimento, si ipotizza, possa contribuire a consolidare alcune informazioni con una colori-tura emotiva;

• le tracce producono cambiamenti che coinvolgono nella me-moria a lungo termine aree diverse del cervello Le modificazioni pla-stiche che codificano la memoria sono spesso localizzate in zone di-verse del sistema nervoso. Questa relazione tra aree diverse favorisce una riflessione sulla dimensione plurisensoriale dell’esperienza del

9 E. R. Kandel, J.H. Schwartz, T.M. Jessel, Principi di neuroscienze, a cura di Virgilio Perri,

Giuseppe Spidalieri, Milano:CEA, 1994, p. 1028 10 Ivi, p. 1030.

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Attività motoria e meccanismi mnemonici 33

corpo che si può accompagnare all’informazione, disegnando una traccia arricchita da una marcatura pluridimensionale;

• i diversi tipi di memoria sono il risultato di sistemi diversi e si collegano a differenti circuiti nervosi «La memoria riflessiva e quella dichiarativa comportano l’intervento di circuiti neuronali diversi»11. Il corpo in movimento con le sue potenzialità emotive può contribuire ad arricchire questo sistema complesso.

II.2. Apprendimento e memoria L’apprendimento è la capacità di acquisire conoscenze e modifica-

re il proprio comportamento utilizzandole «la memoria permette di mantenere una traccia degli eventi passati, l’apprendimento permette di trarre da questi eventi e dalla loro traccia una lezione progressiva, necessaria per affrontare il mondo e la vita stessa»12 ed il rapporto tra apprendere e memorizzare equivale alla relazione tra due funzioni ce-rebrali distinte ed integrate.

Esiste una stretta relazione tra ambiente e apprendimento, tra espe-rienza e modificazione neurale, a dimostrazione di una capacità poten-ziale della persona di utilizzare efficacemente il rapporto con l’am-biente «l’apprendimento è una modifica della capacità di realizzare un compito sotto l’effetto di un’interazione con l’ambiente»13.

I processi di apprendimento sono dipendenti dallo sviluppo encefa-lico, dalla capacità di relazione sinaptica in quanto

i processi apprenditivi si attivano in virtù della plasticità neurale, che regola la modificabilità individuale in relazione alle stimolazioni formative. Il sistema cognitivo è però solo parzialmente modificabile e […] va considerata l’ipotesi che il soggetto che apprende non sia mai completamente educabile14. Secondo Tulving15 apprendimento e memoria esprimono un si-

stema neurale, un complesso costituito da modelli di comportamen-

11 Ivi, p. 1031. 12 E. Boncinelli, op. cit., p. 179. 13 O Houdè, Dizionario di scienze cognitive: neuroscienze, psicologia, intelligenza artificia-

le, linguistica, filosofia, Editori Riuniti, Roma 2000, p. 54. 14 E. Frauenfelder, F. Santoianni, Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori,

Napoli 2002, p. 64. 15 E. Tulving (1927). Psicologo sperimentale noto per la sua ricerca sulla memoria episodica.

È stato professore di Psicologia all’Università di Toronto, ed è attualmente ricercatore presso l’Istituto di Ricerca Rotman vicino Toronto.

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ti e forme mentali che «hanno la funzione di dare forma alla cono-scenza e al comportamento di un organismo attraverso la sua inte-razione con il mondo, in modo da aiutarlo ad adattarsi e a soprav-vivere»16.

La complessa struttura del cervello grazie alle esperienze si modi-fica, produce nuove connessioni sinaptiche, favorisce la secrezione di neurotrasmettitori chimici che, a loro volta, facilitano il sistema tra-smissivo delle informazioni «tali modificazioni strutturali si tramutano in modificazioni della funzionalità del cervello stesso con la conse-guenza che ogni apprendimento ha il potere di riorganizzare in modo diverso la funzionalità di quest’ultimo»17.

L’apprendimento è, quindi, il risultato di nuove connessioni neurali e, da un punto di vista biologico, questo comporta la formazione di ramificazioni dendritiche ed una moltiplicazione di aree sinaptiche. Questi fenomeni sono stati osservati prevalentemente nelle forme e-lementari dell’apprendimento come:

• il riflesso condizionato; • l’abituazione corrispondente alla riduzione della capacità di

risposta comportamentale rispetto ad uno stimolo non significativo che viene ripetuto;

• la sensibilizzazione o amplificazione di una risposta in corri-spondenza di uno stimolo.

Nei mammiferi i circuiti neurali responsabili dell’apprendimento so-no complessi e uno dei più interessanti è quello che collega l’ippocampo con le aree preposte alla conservazione delle tracce mnemoniche.

L’ippocampo, grazie alla connessione con le aree medio–temporali, si ipotizza, sia responsabile del passaggio delle infor-mazioni nella memoria a lungo termine, garantendo il processo di consolidamento nel tempo della traccia informativa «esso gioca un ruolo critico nel collocare i nuovi ricordi di questo tipo nell’archivio della memoria»18. L’ippocampo, attraverso specifici segnali inviati alle aree medio–temporali attiverebbe circuiti spe-

16 E. Tulving, Subjective Organization in Free Recall of Unrelated Words, in Psycological

Review, 69, pp. 344–354; cit. da G. Mazzoni, L’apprendimento. Comportamento, processi cogni-tivi, neurobiologia, Carocci, Roma 2000, p. 16.

17 F. Frauenfelder, F. Santoianni, op.cit., p. 86. 18 R.F. Thompson, Il cervello: introduzione alle neuroscienze, Zanichelli, Bologna 1997, p.

261.

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Attività motoria e meccanismi mnemonici 35

cifici per l’archiviazione dell’informazione, il cui processo impe-gnerebbe diverse aree del cervello.

Negli ultimi anni il contributo della neurofisiologia ha reso possibi-le l’utilizzazione di alcune tecniche di indagine come l’imaging fun-zionale che stanno gradualmente chiarendo i meccanismi biologici che sottendono alla memoria ed all’apprendimento, aprendo un’interes-sante prospettiva per chiarire le possibili connessioni tra esperienze pluripercettive, collegate ad una informazione primaria, e processi di memorizzazione. In questa prospettiva la ricerca psicopedagogia sulla relazione tra esperienza motoria e meccanismi mnemonici apre una finestra neurobiologica originale che può ulteriormente chiarire i mec-canismi di influenza dell’azione nei processi di apprendimento.

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Capitolo III

Corpo, memoria ed apprendimento

III.1. Il corpo come soggetto della cognizione Il rapporto tra corpo e cognizione implicitamente segna i tempi di

crescita e di sviluppo della persona, è quasi una condizione scontata e molto spesso sottovalutata, esperienza preziosa per determinare una precondizione ai processi di sviluppo e di maturazione personale. I processi di apprendimento sono lo sviluppo naturale della evoluzione delle capacità senso–motorie, che rappresentano il primo strumento di accesso ai rapporti con l’ambiente, gli strumenti che gradualmente e progressivamente consentono la scoperta di se stessi e del mondo «fin dall’inizio manifestano un’autentica attività che, appunto, testimonia l’esistenza di una precoce assimilazione sensomotoria»1.

Piaget evidenziando la funzione motorio–intenzionale–adattiva dell’azione, ne chiarisce i rapporti con il processo geneticamente defi-nito dello sviluppo, descrivendo i processi di evoluzione sequenziale dell’accesso alla conoscenza. Questa capacità sensomotoria è più una forma intellettiva che una dimensione autonoma della persona, prece-de e prepara i processi cognitivi superiori che si fondano su livelli preparatori e propedeutici

una intelligenza del tutto pratica, basata sulla manipolazione degli oggetti, e che invece delle parole e dei concetti utilizza solo percezioni e movimenti or-ganizzati in “schemi d’azione” […] si ha in questo caso un’assimilazione sen-somotoria paragonabile a quella che sarà più tardi l’assimilazione del reale at-traverso i concetti ed il pensiero2. L’attività motoria, le cui espressioni si diversificano nelle forme ri-

flesse, che rispondono a meccanismi regolativi e conservativi, a forme

1 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino: e altri studi di psicologia, trad. it. Elena Za-

morani, Einaudi, Torino 2000, p. 17. 2 Ivi, p. 19.

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Capitolo III

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volontarie, che rispondono ad un sistema di rappresentazione, sono modalità per organizzare il rapporto tra persona e realtà. L’azione è una modalità costruttivista tipica della persona che scandisce i tempi, consente di conoscere i luoghi, stabilisce le relazioni possibili secondo regole e principi logici che progressivamente si evolvono nelle diverse forme e nei diversi canali della cognizione «la condotta verbale è un’azione che si compie […], evocando i movimenti invece che effet-tuarli e operando, mentalmente, attraverso questi travestimenti»3.

Una svolta nel campo della ricerca sui rapporti tra corpo e cognizio-ne è stata impressa da Donald Hebb4 che ipotizzò che le sinapsi potesse-ro modificarsi ed i processi di memoria corrispondessero al consolida-mento di legami neurali e al germogliamento di nuovi collegamenti

si può ipotizzare che i primi 10 o 15 anni di vita, gli anni in cui l’EM (Età Mentale) cresce, costituiscono il periodo in cui di fatto si formano nuove strut-ture concettuali: nuovi assembramenti cellulari che sorgono direttamente nella stimolazione sensoriale, o nuovi assembramenti di ordine superiore […]. Do-po di che, nel pensiero dell’adulto, ogni nuovo concetto è una riorganizzazio-ne dei preesistenti 5. Hebb implicitamente riconosce il valore dell’esperienza corporea

come soggetto di una conoscenza esplorativa che favorisce il processo di modificazione della rete neurale che è alla base della memoria e dell’apprendimento. Le attività motorie, i giochi di movimento, le pra-tiche presportive e sportive consentono una settorialità e globalità e-sperienziale, attivano un processo senso–percettivo a cascata, con ef-fetti pluviali che coinvolgono la persona con modalità irripetibili in altri contesti

quanto più ricca sarà l’esperienza dell’individuo, tanto più abbondante sarà il materiale di cui lui potrà disporre […] quanto maggiore sarà l’entità di ele-menti della realtà che avrà avuto a disposizione della sua esperienza, tanto più significativa e feconda ― a parità d’ogni altra condizione ― riuscirà la sua at-tività immaginativa6.

3 J. Piaget, Psicologia dell’intelligenza, Giunti–Barbera, Firenze 1952, p. 45. 4 D. O. Hebb (1904). Psicologo canadese, è stato uno dei personaggi più eminenti della psi-

cologia contemporanea. Ha compiuto i suoi studi presso la McGill University e Harvard dove ottenne il Ph.D. nel 1936. Ha lavorato presso l’Istituto di Neurologia di Montreal e gli Yerkes Laboratories of Primate Biology. Ha insegnato per vari anni alla McGill University ed è stato professore emerito di Psicologia a Halifax.

5 D. Hebb, Mente e pensiero, il Mulino, Bologna 1982, p. 197. 6 L.S. Vygotskij, Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti, Roma 1972,

pp. 29–31.

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La ricerca psicologica di Heeb con le sue possibili interpretazioni operative che coinvolgono il campo motorio, trova uno spazio di con-fronto e di integrazione con molti altri filoni di ricerca cognitiva come quello di Vygotskij, che ipotizza che sia proprio l’esperienza all’origi-ne processi psichici superiori che sono la risposta culturale alla richie-sta biologica di adattamento all’ambiente «È dunque la presenza dei bisogni o delle tendenze che ci mette in moto il processo dell’imma-ginazione, ravviva le tracce nervose, fornisce il materiale per tale la-vorio ― se la vita non ponesse alcun problema ― verrebbe a mancare ogni base per l’insorgere dell’attività creativa»7.

Secondo una possibile applicazione del modello di Hebb, l’esperienza motoria può contribuire nella sollecitazione del sistema nervoso, attivan-do circuiti e strutture specializzate per l’effetto riverberante, capace di mantenere l’eccitazione del neurone e di effettuare delle modifiche «le cellule neurali si assemblano, costituendo insiemi, gruppi di cellule, che si ripetono migliaia di volte e tendono a competere per acquisire la possibi-lità di trasmettere il maggior numero di riproduzioni di sé stessi»8.

Il filone di ricerca avviato da Hebb ha prodotto l’ipotesi più sugge-stiva sulla plasticità neurale, che dimostrando l’esistenza di una relazio-ne tra stimoli apparentemente non coerenti con l’informazione e proces-si mnemonici, possa giustificare l’ipotesi di un collegamento funzionale tra esperienze come quella motoria e traccia mnemonica (v. fig. 1).

Recenti studi condotti anche sull’ippocampo hanno ulteriormente approfondito questa modalità per il potenziamento della memoria a lungo termine «tale processo consiste in un incremento a lungo termi-ne dell’eccitabilità sinaptica»9.

La straordinaria novità di questo filone di ricerca consiste nel rico-noscere che quando stimoli diversi che possono essere per il soggetto deboli e forti sono attivi simultaneamente a livello cellulare, la via de-bole è potenziata dall’associazione con la via forte «Hebb ipotizzò l’esistenza di speciali sinapsi in cui la forza del segnale aumenterebbe ogni qualvolta coincidano le attività di una cellula presinaptica (cioè la cellula che fornisce il segnale sinaptica) e in una cellula postsinaptica (che riceve il segnale)»10.

7 Ivi, p. 48. 8 E. Frauenfelder, F. Santoianni, Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori,

Napoli 2002, p. 46. 9 R.F. Thompson, Il cervello: introduzione alle neuroscienze, Zanichelli, Bologna 1997, p. 266. 10 E. Frauenfelder, F. Santoianni, op. cit., p. 46.

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Una riflessione psico–pedagogica sugli effetti di questa ipotesi teo-rica conduce ad una rivisitazione complessiva della didattica, degli strumenti di comunicazione in ambito formativo, delle modalità di co-struzione degli ambienti di apprendimento, dei diversi percorsi di ac-cesso ai saperi attraverso l’utilizzazione della corporeità e dell’azione, infatti come sostiene Gardner11

le abilità implicate da un’intelligenza possono essere usate come mezzo per acquisire informazione. Gli individui possono quindi imparare utilizzando […] presentazioni cinestetiche o spaziali o legami interpersonali. Nello stesso modo in cui varie intelligenze possono essere sfruttate come mezzi di trasmis-sione, così il materiale da padroneggiare può ricadere in pieno nell’ambito di un’intelligenza specifica12.

Figura 1. La plasticità di Hebb, J. LeDoux, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Bal-dini e Castaldi, Milano, 1998, p. 222.

11 H. Gardner, nato nel 1943 negli Stati Uniti da una famiglia ebrea immigrata dalla Germa-

nia è docente di cognitivismo e professore associato di psicologia ad Harvard, nonché professore associato di neurologia all’Univerisità di Boston.

12 H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano 2005, p. 354.

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Questa particolarità del corpo in movimento di generare coinvol-gimenti emotivi, partecipazione, interesse diventa un fattore di trasci-namento, una marcatura corporea dell’esperienza cognitiva «se un e-vento della nostra vita ha una forte connotazione emotiva, sia positiva che negativa, è più facile che venga fissato nella memoria»13.

La corporeità, nelle sue forme naturali come il gesto, la mimica e più generalmente il movimento, esprime una forte capacità di manife-stare richieste, bisogni, attese secondo un codice personale e nello stesso tempo universale che arriva agli altri nella sua efficacia dando il vero significato ad ogni forma comunicativa «il nostro corpo esprime i sentimenti più intimi. I suoi singoli segnali (trasmessi dagli occhi, dal volto, dalle mani, dal modo di stare seduti o di muoversi) non possono essere oggetto di manipolazione»14.

Un corpo cognitivo, capace di aiutare apprendimenti, processi re-lazionali, dimensioni espressive, strumento di liberazione delle emo-zioni che diventano il grande potenziale per i processi mnemonici che si attivano con originalità ed armonia «le informazioni con una colorazione emozionale non trovano solo più facilmente le strade per la memoria a lungo termine, ma restano anche pronte per essere ri-chiamate»15.

III.2. Corporeità e attività ludico sportive: chiavi interpretative e linee di ricerca*

Il comportamentismo nato come scuola ufficiale nel 1913 ad opera

di Watson16, riconosceva come unica metodologia e conoscenza valida l’osservazione dei comportamenti, considerati in rapporto al proprio ambiente in termini di stimolo–risposta e, rifiutando concetti come vo-lontà, coscienza, mente e introspezione, in quanto privi di base empi-

* Questo paragrafo è stato realizzato da Michela Galdieri. 13 E. Boncinelli, Il cervello, la mente e l’anima. Le straordinarie scoperte sull’intelligenza

umana, Mondatori, Milano 2000, p. 215. 14 V.F. Birkembihl, Segnali del corpo, Franco Angeli, Milano 1998, cit. in M. Sibilio, F.

Gomez Paloma, La formazione universitaria del docente di educazione fisica. Le nuove frontiere dell’educazione attraverso il corpo, Ellissi, Napoli 2004, p. 108.

15 G. Friedrich, G. Preiss, Insegnare con la testa, in Mente e cervello, pp. 29–30 citato in: M. SIBILIO, Lo sport come percorso educativo. Attività sportive e forme intellettive, Guida, Napoli 2005, p. 5.

16 J.B. Watson (1878–1958). Psicologo americano, fu uno dei fondatori e dei maggiori teori-ci della psicologia del comportamento o behaviorismo, che intendeva assegnare alla psicologia un orientamento simile a quello delle scienze esatte.

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rica verificabile, affermava, indirettamente, il ruolo passivo dell’indi-viduo. La successiva corrente “neocomportamentista” grazie agli studi di B.F. Skinner17 recuperò il ruolo attivo del soggetto, sottolineando la sua disponibilità ad apprendere nel momento stesso in cui mette in at-to dei comportamenti ed opera nell’ambiente.

Il processo di insegnamento–apprendimento improntato al modello comportamentista, in alcuni contesti educativi ancora molto diffuso, ha avuto e ad ha il grave limite di legare il risultato alla sola motiva-zione del soggetto. Molte tradizioni tecnico–scientifiche riferibili alle attività sportive hanno privilegiato il modello comportamentista, pro-spettando una pratica che si fondasse sul rinforzo, sui benefici del ri-sultato, complessivamente su vincoli indotti ed esterni. Le diverse ri-cerche condotte sul campo hanno dimostrato la incapacità di questo modello di garantire costantemente il coinvolgimento ed il livello mo-tivazionale, riducendo la metodologia dell’insegnamento ad una rela-zione stimolo–risposta tipica dell’apprendimento lineare,

negli ultimissimi anni si è assistito a un notevole aumento dell’interesse per i processi cognitivi e della loro investigazione […] esso è stato una conseguen-za del riconoscimento dei processi complessi che intercorrono fra gli “stimoli” e le “risposte” dell’impostazione classica, stimoli e risposte sulla cui base le teorie behavioristiche dell’apprendimento speravano di creare una psicologia che aggirasse tutto ciò che aveva un sentore di “mentale”18. Le ricerche più recenti sui meccanismi cognitivi hanno messo in

evidenza sempre più chiaramente come l’acquisizione di nuove cono-scenze sia un processo nel quale l’individuo che apprende ha un ruolo attivo nella rielaborazione e riorganizzazione delle informazioni attri-buendo una funzione significativa alle conoscenze di cui già dispone ed alla modalità ed alla soggettività della loro organizzazione.

La psicologia cognitivista tenendo conto della struttura della cono-scenza e delle strategie per l’elaborazione dell’informazione, offre alla didattica occasioni di valorizzazione dei contesti di apprendimento attra-verso la ricerca e la creazione di nuovi metodi d’indagine e riconosce l’esistenza di un’ampia gamma di differenze individuali, di stili cognitivi, «L’insegnamento cognitivista è organizzativo di strategie»19.

17 B.F. Skinner (1904). Psicologo americano. Ha compiuto lavori sul condizionamento ani-

male che hanno contribuito alla messa a punto del concetto di condizionamento strumentale. 18 J.S. Bruner, J. Goodnow, G. Austin, A Study of Thinking, John Wiley, New York 1956, p. VII. 19 E. Frauenfelder, F. Santoianni, Percorsi dell’apprendimento percorsi per l’insegnamento,

Armando, Roma 2002, p. 49.

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Questo approccio si propone, cioè, di favorire da parte dell’alunno lo

sviluppo di processi cognitivi adeguati all’acquisizione di strategie effi-caci per affrontare i compiti scolastici, attraverso consequenziali fasi di spiegazione, esemplificazione, scomposizione e ricomposizione dei contenuti da apprendere affinché siano ben compresi e memorizzati.

Si introducono inoltre diversi tipi di conoscenze: le conoscenze di-chiarative che corrispondono al “sapere” del soggetto e le conoscenze procedurali che corrispondono al suo “saper fare”. I limiti di una teo-ria cognitivista che tende ad equiparare il pensiero ad un sistema com-putazionale, di elaborazione dell’informazione, sono stati evidenziati da Jerome Bruner20, nel tentativo di restituire alla psicologia e di offri-re alla prassi educativa il suo originario oggetto di indagine, ovvero la ricerca del significato di pensieri, emozioni, comportamenti dell’uo-mo, l’analisi del suo modo unico e personale di interpretare il mondo, gli altri, se stesso. L’originalità di questa ipotesi è di attribuire un ruo-lo fondamentale alla cultura, riconoscendo anche la corporeità come risultato di un processo culturale ma nello stesso tempo artefice di forme e modelli «In gran parte esso consiste nel fatto che l’essere u-mano si lega ad amplificatori delle capacità motrici, sensitive e rifles-sive trasmesse da una cultura»21.

Questa relazione costante tra l’Io e il mondo che si snoda attraverso la varietà e flessibilità del linguaggio, a cui già Vygotskij22 aveva attributo importanza si realizza attraverso un processo dinamico di costruzione di strutture e categorie mentali attraverso le quali l’uomo si adatta all’ambiente «gli esseri umani gradualmente apprendono a rappresentare il mondo in cui operano: attraverso l’azione, l’immagine ed il simbolo»23.

Già l’approccio senso–motorio di Jean Piaget24, sottolineando

20 J.S. Bruner è stato professore alla George Herbert Mead University, Graduate Faculty,

New School for Social Research e direttore del New York Institute for the Umanities presso la New York University.

21 J.S. Bruner, R. Rolver, P. Geenfield, Studi sullo sviluppo cognitivo, Armando, Roma 1968, p. 18. 22 Lev Semenovic Vygotsikij (1896–1934), fondatore della scuola psicologica di indirizzo “stori-

co–culturale”, è uno dei massimi psicologi di questo secolo. Il suo lavoro sistematico in psicologia co-minciò nel 1924 e si svolse nel breve arco dei dieci anni che gli restarono da vivere, dato che ad appena trentotto anni morì di tubercolosi. Si dedicò ad una serie di ricerche di psicologia evolutiva, e psicopa-tologia. La sua concezione educativa è considerata una vera e propria teoria dell’educazione.

23 J.S. Bruner, R. Rolver, P. Geenfield, Studi sullo sviluppo cognitivo, Armando, Roma 1968, p. 22. 24 J. Piaget, psicologo e pedagogista svizzero (1896–1980), avviato da Claparède agli studi

di psicologia dell’infanzia, si interessò particolarmente ai problemi della formazione e dello svi-luppo del pensiero e del linguaggio, costruendo per via sperimentale quella che egli ha chiamato una “epistemologia genetica”.

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l’importanza dello sviluppo psichico come un progressivo equilibrarsi, un passaggio continuo da uno stato di minor equilibrio ad uno di equi-librio superiore finalizzato all’adattamento all’ambiente, aveva rico-nosciuto nell’azione che il soggetto compie sulle cose, il motore di ogni apprendimento

si tratta d’una intelligenza del tutto pratica, basata sulla manipolazione degli oggetti, e che invece delle parole e dei concetti utilizza solo percezioni e mo-vimenti organizzati in «schemi d’azione» […] si ha in questo caso un’assimi-lazione sensomotoria paragonabile a quella che sarà più tardi l’assimilazione del reale attraverso i concetti ed il pensiero25. Questa spinta al fare e all’agire, che presuppone alla base un inte-

resse, una motivazione, identificabile in un bisogno fisiologico, in un’esigenza affettiva, in una spinta intellettuale, oltre a confermare l’indissolubilità della componente intellettiva, emotiva e soprattutto motoria, costituisce il primo gradino verso l’acquisizione della cono-scenza a partire da semplici azioni quotidiane. “Il sistema attivo di rappresentazione”, in cui il soggetto apprende in base all’esperienza diretta sulle cose e sulla realtà, si avvicina molto ai principi pedagogi-ci di Dewey26, la cui idea, in ambito educativo, era quella di «muovere dalla esperienza e dalla capacità dei discenti»27, un’esperienza che non si colloca sul piano della mera conoscenza teorica ma su quello dell’azione pratica, in quanto risultante dall’interazione tra l’organi-smo e l’ambiente in cui esso opera.

Egli si fece promotore della diffusione di un apprendimento attra-verso il fare, il famoso learning by doing, in quanto

il pensiero vien fuori in ogni caso da una situazione direttamente esperita. Nes-suno può pensare semplicemente in generale, né le idee possono sorgere dal nul-la […] è la natura della situazione in cui si è fatta esperienza di un’oscurità, un dubbio, un conflitto, o un disturbo di qualche sorta, in una situazione effettiva-mente sperimentata a far nascere l’indagine ed evocare la riflessione28.

25 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino: e altri studi di psicologia, Einaudi, Torino

2000, p. 19. 26 J. Dewey (1859–1952). Filosofo e pedagogista statunitense. Dopo aver insegnato nella

scuola media superiore conseguì il dottorato di filosofia presso l’Università di Baltimora, dove si dedicò allo studio del pensiero di Hegel. In seguito si allontanò dall’approccio idealistico e ap-profondì i temi del pragmatismo. Dal 1894 al 1904 insegnò filosofia all’Università di Chicago dove fondò la scuola laboratorio basata sull’esperienza attiva. Le sue opere spaziano dal campo della psicologia a quello della pedagogia, dalla logica alla religione, dall’etica all’estetica.

27 J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1968 p. 251. 28 J. Dewey, Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 170.

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Sottolineando lo stretto rapporto che lega l’azione alla formazione del pensiero, e attribuendo al corpo una dimensione centrale nel pro-cesso apprenditivo, Dewey anticipa una rivalutazione dei giochi moto-ri, delle diverse forme di giochi sportivi e delle attività di movimento come strumenti per la formazione e occasioni di espressione personale dei bambini. La prassi educativa, non può prescindere, pertanto, dalla considerazione dell’ impulso del ragazzo a fare, a costruire, un impul-so che si esprime «nel gioco, nel movimento, nei gesti, nell’inventare, poi si determina meglio e cerca sbocco nel plasmare materiali in forme tangibili e in forme corporee permanenti […] i ragazzi amano sempli-cemente fare e osservano attentamente quel che ne verrà fuori»29.

Questa interessante analisi dell’interscambio tra soggetto e og-getto, sembra tracciare un quadro descrittivo del valore pedagogi-co dei giochi sportivi e anticipare la funzione guida della scuola nella codificazione di ambienti adeguati e di regole indispensabili alla costruzione di percorsi educativi per «formare un ambiente nel quale il giuoco e il lavoro aiutino a facilitare lo sviluppo mo-rale e mentale che si desidera. Non basta introdurre semplicemen-te giuochi e sport, lavori ed esercizi manuali. Tutto dipende dal modo con cui questi vengono impiegati»30.

L’idea che la libertà e la spontaneità dei movimenti infantili debba essere supportata e valorizzata da specifiche e consapevoli azioni di-dattiche, trova conferma negli scritti della Montessori31, secondo la quale la conquista delle forme analitiche del pensiero astratto, passa dalla percezione sensibile e di Froebel32 «L’attività dei sensi e delle membra del lattante è il primo germe, la prima forma di attività corpo-rea, il primo impulso educativo […] Con il progressivo sviluppo dei sensi, contemporaneamente e conformemente si sviluppa nel bambino l’uso del corpo»33.

I sensi in quanto esploratori dell’ambiente, aprono la via alla cono-scenza e

29 J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1969, p. 30. 30 Ivi, p. 252. 31 M. Montessori (Chiaravalle, Ancona 1870 – Nordwijk, Olanda 1952). Pedagogista italiana

di formazione medica. Ha svolto le sue prime esperienze come pedagogista con i bambini porta-tori di handicap, elaborando un metodo applicato diffusamente anche ai bambini normodotati. Il “metodo Montessori” pone l’accento sulla libertà di iniziativa del bambino che, adeguatamente stimolato dall’insegnante, apprende in relativa autonomia.

32 F. Frobel (Turingia 1782 – Vienna 1852), educatore e pedagogista tedesco, fondò a Keil-hau l’Istituto Tedesco di Educazione Generale e istituì nel 1837. “L’istituto per le attività spon-tanee”, successivamente chiamato “Giardino d’Infanzia” o Kindergarten.

33 F. Froebel, L’educazione dell’uomo e altri scritti, Carocci, Firenze 1967, pp. 32–39.

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gli esercizi sensoriali risvegliano nei nostri bambini le loro attività centrali e le intensificano. Quando, isolato il senso e lo stimolo, il bambino ha delle perce-zioni chiare nella sua coscienza […] ed allorché le moltitudini delle sensazioni si sommano poi nella ricchezza dell’ambiente, le une si influenzano armoni-camente sulle altre, intensificando le attività risvegliate34. Una visione ancora incompleta della motricità, che ne valorizzava

gli aspetti ludici, abilitativi, preparatori ma che rinunciava ad esplora-re i rapporti tra azione e accesso alla conoscenza, che considerava i movimenti prevalentemente come strumenti di conquista dell’autono-mia «non hanno come scopo di dare una conoscenza, ma rappresenta-no dei mezzi che valgono a far esplicare spontaneamente le interne energie»35.

La strutturazione sensoriale e l’attribuzione di significato alla realtà esterna, riaffermano con forza la centralità del corpo, che nell’analisi di Maurice Merleau Ponty36, si pone come un prezioso strumento di mediazione con il mondo

la connessione dei segmenti del nostro corpo e quella fra la nostra esperienza visiva e la nostra esperienza tattile non si realizzano a poco a poco e per ac-cumulazione. Io non traduco «nel linguaggio della vista» i «dati del tatto», o viceversa; non raggruppo le parti del mio corpo a una a una. Questa traduzio-ne e questo raggruppamento sono fatti una volta per tutte in me: sono il mio corpo stesso»37. La considerazione della dimensione corporea «non più come og-

getto del mondo, ma come mezzo della nostra comunicazione con es-so»38, si accompagna all’idea di un corpo vivo, di un corpo personale, che parla di una presenza che ci rimanda al di là della sua materialità visibile: i sentimenti e gli stati d’animo sono di fatto invisibili ma resi manifesti agli altri attraverso il linguaggio corporeo e notevolmente condizionati dalle esperienze di vita di ognuno.

È sulla base di queste premesse che i recenti studi nel campo delle neu-roscienze hanno cercato di dimostrare la straordinarietà dell’essere umano che si estrinseca nella complessità dei meccanismi cognitivi, nel patrimonio emozionale, nella sua capacità di azione, di movimento, di pensiero,

34 M. Montessori, L’autoeducazione, Garzanti, Milano 1970, p. 175. 35 Ivi, p. 77. 36 M. Merleau Ponty (1908–1961) filosofo francese. È considerato il più originale erede del-

la fenomenologia di Husserl. 37 M. Merleau Ponty, Fenomenologia della percezione, R.C.S. Libri, Milano 2003, p. 214. 38 Ivi, p. 144.

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l’incrinarsi delle tradizionali barriere tra mente e cervello ha coinciso con una sequenza di scoperte grazie alle quali lo studio del cervello si è radicalmente trasformato […] l’esperienza modifica il sistema nervoso, e il risultato delle modificazioni è ciò che ci consente di imparare e ricordare […] Esiste un’architettura unitaria di base per il cervello, ma gli organismi hanno espe-rienza di situazioni sensoriali differenziate, ed è proprio l’unicità architetturale instaurata nell’evoluzione, allora, a fondare una base biologica per l’individualità39. Contrariamente a quanto si credeva un tempo, infatti, non esiste un

centro isolato preposto al movimento, alle emozioni, al pensiero, ma una relazione strettissima tra sistemi complessi: il pensiero, la co-scienza, la memoria, le emozioni, sono inestricabilmente collegati al comportamento motorio. Quello che noi percepiamo e definiamo co-me movimento è in realtà soltanto il risultato finale di una complessa serie di operazioni che il nostro cervello compie a livello più o meno inconscio e che coinvolge ogni sua area, in altri termini, all’interno di questa rete psicosomatica «esiste un’attività interrotta di scambio, ela-borazione e immagazzinamento di informazioni… che unisce la psi-che, comprendente tutto ciò che è di natura chiaramente non materiale, come mente, emozione e anima; al soma che è il mondo materiale del-le molecole, delle cellule e degli organi»40.

Alain Berthoz41 descrive il movimento come lo strumento che più si avvicina a un “sesto senso”, per spiegare come nel cervello sia insita la capacità di anticipare ciò che sta per accadere nello spazio che ci cir-conda «la percezione non è solamente un’interpretazione dei messaggi sensoriali: essa è condizionata dall’azione, è una sua simulazione inter-na, è giudizio, è anticipazione delle conseguenze dell’azione»42.

Prima di muoversi e di compiere un’azione, il cervello calcola la posizione del proprio corpo, compie operazioni di relazione con lo spazio intorno e si confronta con le circostanze, dimostrandosi molto più simile ad un simulatore che ad un calcolatore, che utilizza i movi-

39 E. Bellone, Le vie della scoperta scientifica, Editori Riuniti, Roma 2004, pp. 8–9. 40 C.B. Pert, op. cit., pp. 220–221. 41 A. Berthoz è dal 1993 professore di Filosofia della percezione e dell’azione al Collège de

France e membro dell’Accademia delle Scienze francese. Dal 1989 dirige il Laboratoire de phy-siologie de la perception et de l’action (CNRS–Collège de France). Autore di numerosi articoli su riviste internazionali e quotidiani su temi legati al senso del movimento e, in particolare, sulle diverse componenti della sua percezione, esercita un’intensa attività come conferenziere presso università e centri di ricerca in più di venti paesi. In Italia ha pubblicato il saggio Il senso del movimento (McGraw–Hill, Milano 1998). In questa occasione presenta l’edizione italiana del suo ultimo libro: La scienza della decisione (Codice Edizioni, Torino 2004).

42 A. Berthoz, Il senso del movimento, McGraw–Hill, Milano 1998, p. 1.

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menti di un corpo nello spazio per elaborare un modello stabile della realtà, in equilibrio tra i sensi e i pensieri, cioè quei software che noi usiamo per dare una spiegazione alle sensazioni. L’idea che il cervello contenga nella sua organizzazione neurale gli schemi che costituisco-no veri e propri atti comportamentali è venuta anche dalle ricerche di Rizzolatti43, la cui scoperta dei “neuroni specchio” «depone a favore dell’esistenza di un repertorio di prepercezioni legato a un repertorio di azioni grazie al quale […] il cervello può simulare delle azioni per prevederne le conseguenze e scegliere la più appropriata»44, infatti,

il sistema dei neuroni specchio dell’uomo […] codifica atti motori transitori e intransitivi; è in grado di selezionare sia il tipo d’atto sia la sequenza dei mo-vimenti che lo compongono; infine, non necessita di un’effettiva interazione con oggetti, attivandosi anche quando l’azione è semplicemente mimata45. La struttura fisica del cervello, quindi, cresce e si modifica, non so-

lo perché viene nutrita e custodita ma, anche perché le esperienze di vita di un individuo conducono alla formazione di nuove connessioni, a livello di cellule cerebrali, e alla secrezione di neurotrasmettitori chimici che facilitano la trasmissione delle informazioni. Questo per-ché il cervello è un’entità altamente plastica e in continua variazione, plasmata dalle nostre esperienze. L’encefalo, infatti, costituisce uno strumento altamente selettivo, capace di ricevere, memorizzare, elabo-rare e riutilizzare tutta la massa delle informazioni che continuamente ricava dall’ambiente esterno, per progettare, guidare e controllare le sue attività biofisiche, psichiche e razionali.

Le cellule eccitabili specializzate nella ricezione di stimoli e nella conduzione degli impulsi provenienti dai nervi, trasmettono, le infor-mazioni ad altre parti del corpo grazie alle sinapsi che, come sosten-gono H. Maturana46 e F. Varela47,

43 G. Rizzolatti dirige il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Accademico dei Lincei, i suoi studi sulle basi biologiche dell’azione hanno rivoluzionato negli ultimi anni il panorama delle neuroscienze cognitive.

44 Ivi, p. 12. 45 G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,

Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 121. 46 H. Maturana, (1928) biologo, cibernetico, scienziato, ha inventato la sua teoria dell’autopoiesi.

Ha trascorso la sua carriera elaborando questa teoria attraverso un programma di ricerca biologica nel suo laboratorio di Santiago del Chile, ha collaborato e pubblicato in Italia con Francisco Varela.

47 F. Varela, studiò medicina e scienze all’Università del Cile a Santiago, ottenne il Ph. D. in biologia all’Università di Harvard nel 1970 e in seguito insegnò e condusse attività di ricerca in molti e prestigiosi Centri di ricerca e Università, come le Università di California di Berkeley, di New York, del Cile, il Max Planck Institut for Brain Research di Francoforte, il Polytechnical

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sono il punto di stretto contatto tra neurone e neurone o fra neurone e altre cel-lule […], in questi punti le membrane di entrambe le cellule, oltre ad aderire strettamente sono specializzate per la secrezione di molecole speciali, i neuro-trasmettitori. Perciò un impulso nervoso, che percorre un neurone e giunge in-fine ad una terminazione sinaptica, provoca la secrezione del neurotrasmettito-re che attraversa lo spazio compreso tra le due membrane e innesca un muta-mento elettrico nella cellula seguente48. È nel corpo, dunque, che esiste un’attività ininterrotta di scambio,

elaborazione e immagazzinamento di informazioni e gli input che pro-vengono da un ambiente stimolante, possono incidere in maniera de-terminante sulla formazione sinaptica perché, anche se sono miliardi i neuroni che caratterizzano un cervello umano adulto, essi sono con-nessi in modo specifico, ci sono connessioni ordinate e ben definite e quello che viene a realizzarsi, è una sorta di darwinismo neurale49 «le cellule si assemblano, costituendo insiemi, gruppi di cellule, che si ri-petono migliaia di volte e tendono a competere per acquisire la possi-bilità di trasmettere il maggior numero di riproduzioni di se stessi, in-serendosi in tal modo nella legge dell’evoluzione»50.

Tali osservazioni hanno notevoli ricadute in ambito educativo, in quanto presumono l’esistenza di stimoli che risultano essere più ade-guati e più efficaci, rispetto ad altri che possono risultare meno indica-ti; infatti, i primi possono essere detti “stimoli forti”, capaci di arrivare all’obiettivo, mentre i secondi possono essere detti “stimoli deboli”, ossia meno intensi, come sostiene Howard Gardner

le abilità implicate da un’intelligenza possono essere usate come mezzo per acquisire informazione. Gli individui possono quindi imparare utilizzando co-dici linguistici, presentazioni cinestetiche o spaziali o legami interpersonali. Nello stesso modo in cui varie intelligenze possono essere sfruttate come mezzi di trasmissione, così il materiale da padroneggiare può ricadere in pieno nell’ambito di un’intelligenza specifica51.

Institut di Zurigo, per citarne solo alcuni. I contributi che ha portato nei campi delle neuroscien-ze, della biologia teorica, dell’immunologia, della cibernetica, dell’intelligenza artificiale, hanno tuttora una portata fondamentale.

48 H. Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza. Un nuovo meccanismo per spiegare le radici biologiche della conoscenza umana, Garzanti, Milano 1987, p. 136.

49 G.M. Edelman, Darwinismo neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronale, Ei-naudi, Torino 1995.

50 E. Frauenfelder, op.cit., p. 46. 51 H. Gardner, op.cit., p. 354.

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Affinché ciò possa avvenire è necessario costruire un setting di ap-prendimento che ponga l’attenzione sulle differenti modalità di azione didattica. In particolare, i luoghi non prestabiliti, gli oggetti non strut-turati e le proposte di consegne non aspettate fungono da stimoli forti che, associati simultaneamente a semplici nozioni, racconti, riflessio-ni, rafforzano il perdurare dell’informazione, facilitando la conversio-ne dei dati dalla memoria a breve termine che, come spiega Edoardo Boncinelli, può essere intesa come «uno spazio mentale in cui gestire per qualche istante alcune informazioni, appena apprese»52, alla me-moria a lungo termine che «ha una durata maggiore anche se non illi-mitata, e ci permette di avere delle conoscenze e di fare esperienza sulla base degli eventi passati»53.

52 E. Boncinelli, op. cit., p. 202. 53 Ivi, p. 202.

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III.3. Attività motorie e sportive a carattere educativo: dalla teo-ria alla prassi educativa∗

Il quadro epistemologico tracciato fin ora evidenzia come il siste-

ma attivo di rappresentazione attraverso il quale la conoscenza avvie-ne a partire dall’azione, dovrebbe coesistere in ogni disciplina e per-corso educativo, avvalendosi dell’operatività in quanto «al bambino si può insegnare qualsiasi cosa, a qualsiasi età e in forma corretta»54.

L’insegnamento di una disciplina non va inteso come una mera tra-smissione di contenuti, in quanto il fine del processo di insegnamen-to–apprendimento è quello di aiutare gli studenti ad acquisire quelle competenze che possano mettere loro in condizione di imparare ad imparare, grazie ad un’educazione «improntata allo spirito del forum, della negoziazione e della ricostruzione del significato»55.

Un percorso attivo di co–costruzione di saperi è un percorso in cui i contenuti e le procedure proposte non si sovrappongono semplice-mente alle conoscenze già possedute, accumulandosi nel caos della mente, ma interagiscono con queste, stimolando un continuo confron-to, consolidamento e verifica delle stesse, permettendo così una loro ristrutturazione attraverso nuovi e più ricchi modi di connessione ed organizzazione. Non si tratta tanto di partire dalla “semplicità” di te-mi, procedure, azioni, per comprendere la complessità, quanto di tra-sferire l’immagine del sistema reticolare, che riflette il sistema siner-gico del cervello56, in ogni progetto educativo. Il metodo della com-plessità nella prospettiva di Morin57, chiedendoci di «pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le ar-ticolazioni tra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere la mul-tidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, di non dimenticare mai le totalità integratici»58, ci invita a restituire all’uomo la sua forma originale di stare al mondo, di rappre-

∗ Questo paragrafo è stato realizzato da Francesca D’Elia. 54 J. Bruner, Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, trad. it. Armando,

Roma 1964, cit. in J. Bruner, La mente a più dimensioni, trad. it. Rodolfo Rini, Armando, Roma 1998, p. 159).

55 J. Bruner, La mente a più dimensioni, trad. it. Rodolfo Rini, Roma: Armando, 1998, p. 152. 56 T. Buzan, Il pensiero del corpo, trad. it. Ida Rubini, Edizioni Frassinelli, 2005, pp. 3–5. 57 E. Morin, è una delle figure più prestigiose della cultura contemporanea. Tra le sue opere

tradotte in italiano: Il paradigma perduto (Milano 1974), Terra–Patria (Milano 1994), I miei demoni (Roma 1999), La testa ben fatta (Milano 2000).

58 E. M., Le vie della complessità, in G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), La sfida della com-plessità, Feltrinelli, Milano, 1988, pp. 58–60.

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sentarlo e di conoscerlo, sviluppando in lui, prima di ogni altra cosa, la comprensione del funzionamento plurimo della sua mente che è an-che fisicità, emozione, azione, «le informazioni non si trasformano au-tomaticamente in conoscenze; quello di cui abbiamo bisogno è di for-nire le capacità necessarie alle persone per poter accedere alle infor-mazioni e utilizzarle per costruire nuovi significati! è questa la mag-giore sfida che dobbiamo affrontare»59.

Ma con quali modalità si creano e organizzano nuove conoscenze? Quali gli ambienti di apprendimento che meglio possono rispondere alla sfida della complessità e sviluppare il potenziale umano attraverso una costante interazione tra emozioni, pensiero e azione? Quali le me-todologie che possono consentire questo processo di co–costruzione della conoscenza, efficace per l’apprendimento e che consenta una di-dattica partecipativa e non adultocentrica?

Lo scopo principale della prassi educativa, è quello «di consentire a chi impara di farsi carico della propria personale costruzione di si-gnificato»60. Se è vero che le conoscenze del soggetto si possono or-ganizzare in “mappe”, le quali determinano non solo i modi in cui le nuove acquisizioni vengono accolte, ma anche la molteplicità di azioni quotidiane e costituiscono strumenti efficaci per la rappresentazione delle conoscenze, per favorire l’apprendimento e per effettuare delle valutazioni, allora esse possono costituire un valido sistema per aiuta-re i docenti a organizzare le conoscenze per l’insegnamento, e un buon metodo per gli studenti per scoprire i concetti chiave e i principi con-tenuti nelle lezioni, nelle letture o in altro materiale didattico. Questo straordinario strumento del pensiero che rispecchia il funzionamento spontaneo del cervello umano e incrementa le facoltà in modo rapido e naturale

è il modo più semplice di inserire e prelevare informazioni dal cervello: è un mez-zo creativo ed efficace per prendere appunti formando una vera e propria mappatu-ra dei pensieri…Tutte le mappe mentali hanno qualcosa in comune. Tutte sfruttano il colore. Tutte hanno una naturale struttura che si irradia dal centro. E tutte usano linee, simboli, immagini in base a un insieme di regole semplici, naturali e di facile comprensione. Grazie ad una mappa mentale un lungo elenco di informazioni noiose può trasformarsi in un diagramma colorato, facile da ricordare, in sintonia con il modo naturale in cui il cervello elabora i dati61.

59 J. Novak, (2001) L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare

la conoscenza, trad. it. Renato Boccali, Carla Canuti, Trento: Erikson, p. 268. 60 Ivi, p. 20. 61 T. Buzan, Come realizzare le mappe mentali, Edizioni Frassinelli, 2006, pp. 6–7.

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Queste mappe possono essere utilizzate nella fase di progettazione delle attività ludico–sportive, come strumento di verifica degli ap-prendimenti in itinere, come un mezzo innovativo, trasversale ed e-semplificativo, per la diffusione dei contenuti disciplinari. Esse rap-presentano degli strumenti efficaci per la mediazione didattica e tro-vano nel laboratorio motorio e ludico–sportivo, un valido contesto di attuazione di esperienze originali e attività che, attraverso un’operati-vità ludico–motoria, migliorano il rendimento fisico e mentale della persona attraverso l’interrelazione e lo sviluppo dello straordinario e inespresso potenziale del corpo e del cervello in quanto «esercitando il cervello si può influenzare sensibilmente il corpo. Esercitando il corpo si può influenzare sensibilmente il cervello»62, sviluppando abilità e competenze cognitive spesso compresse dal sistema tradizionale d’insegnamento

la società fornisce un’attrezzatura strumentale di concetti, di idee e teorie che consentono al soggetto di raggiungere livelli mentali più elevati: i nuovi e più elevati concetti, a loro volta, trasformano il significato di quelli meno elevati […] Essi gli forniscono un mezzo per tornare sui propri pensieri e vederli in una luce nuova…è la mente che riflette su se stessa”63. Il laboratorio si pone come un luogo in cui è possibile favorire la

crescita cognitiva del bambino integrando esperienze operative di e-splorazione sensoriale e motoria ed esperienze di rappresentazione e simbolizzazione. I due livelli di sviluppo sono strettamente connessi, in quanto è a partire dall’azione e dall’interiorizzazione di schemi mo-tori che nasce la rappresentazione degli stessi. Nella teoria dello svi-luppo elaborata da Piaget, la costruzione di immagini mentali, che di per sé stesse non costituiscono conoscenza ma ne sono l’espressione simbolica, segue un’evoluzione che si può suddividere in quattro pe-riodi: durante la prima infanzia il bambino conosce il mondo in modo “sensomotorio”, la conoscenza è legata all’esplorazione sensoriale e motoria, la rappresentazione delle immagini ha una funzione imitativo simbolica ed è legata alla specificità e alla concretezza dell’evento.

Quando il bambino passa dalla prima alla seconda infanzia, acqui-sisce una percezione “preoperatoria” o “intuitiva”, sviluppa la capacità di rappresentarsi mentalmente non solo le sue percezioni immediate, ma anche quelle sperimentate in precedenza, dimostra però una certa

62 T. Buzan, Il pensiero del corpo, trad. it. Ida Rubini, Edizioni Frassinelli, 2005, p. XVI. 63 J. Bruner, La mente a più dimensioni, trad. it. Rodolfo Rini, Laterza, Bari 1998, p. 90.

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difficoltà a mantenere nella sua mente più fasi di uno stesso evento, spesso non riuscendo a percorrere a ritroso e a risalire alla situazione di partenza relativa ad una determinata sequenza (irreversibilità del pensiero).

Lo stadio successivo è contrassegnato dal “pensiero operatorio concreto” e da una profonda trasformazione del pensiero infantile; matura infatti sia la capacità di conservare contemporaneamente più rappresentazioni mentali, sia quella di metterle in relazione (reversibi-lità del pensiero); è in grado di operare attraverso rappresentazioni mentali, però ancora essenzialmente legate all’esperienza concreta, sono quindi necessarie la presenza di stimoli concreti e la possibilità di svolgere attività concrete.

Gli adolescenti che hanno raggiunto lo stadio “operatorio formale” sviluppano la capacità di operare mentalmente attraverso l’elaborazio-ne di concetti, astrazioni, generalizzazioni, deduzioni non necessaria-mente riferibili ai dati concreti dell’esperienza, ma sulla base anche di realtà puramente astratte ed ipotetiche, «attraverso una differenziazio-ne della forma e del contenuto, il soggetto […] diviene dunque capace di trarre le conseguenze necessarie da verità semplicemente possibi-li»64. Ed è proprio questo periodo che Piaget considera il punto d’arrivo dello sviluppo, grazie all’acquisita capacità di costruire ipote-si sulla realtà e di sottoporle a verifica mediante criteri logici.

Una didattica laboratoriale che si avvale della dimensione ludico–simbolica può dunque favorire i processi cognitivi in un percorso che dal primo anno e mezzo di vita, quando l’immagine appare con una funzione imitativo–simbolica arriva a delineare intorno ai sette otto anni immagini anticipatrici, capaci di riorganizzare le sequenze di un movimento o di anticiparne le successioni. Una metodologia dell’inse-gnamento, quella laboratoriale, tutta centrata sul piano operativo, dan-do spazio alla manualità, all’azione, alla creatività, alla dimensione ludica che sono elementi caratterizzanti dell’esperienza motorio–sportiva. Ogni gioco di movimento è potenzialmente di un compito cognitivo, una situazione problematica capace di costruire nuove mappe e reti concettuali più ricche. Il gioco con gli attrezzi, l’uso della palla nel laboratorio possono ancorare all’agire intenzionale ed al fare ludico informazioni e saperi, attivare conoscenze fisiche, elementi ma-tematici, concetti spaziali, in una meccanismo circolare che si articola

64 J. Piaget, B. Inhelder, La psicologia del bambino, trad. it. Chiara Andreis, Einaudi, Torino

2001, p. 115.

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tra teoria e prassi, nel quale la conoscenza anima il movimento ed il gesto finalizzato richiama con le sue forme ed i suoi significati i saperi freddi. Il laboratorio motorio–sportivo “riscalda” la prassi didattica, costruisce il colore del sapere, trascina la persona nelle trame della emozionalità che l’attività di gruppo sollecita in maniera naturale ed originale. È un vero incubatore dei saperi, una culla che prepara e ac-compagna alla conoscenza complessa del mondo, rinunciando alla tentazione di emarginare la fisicità dalla straordinaria esperienza uma-na del conoscere. Il laboratorio motorio, complementariamente ad al-tre forme didattiche, mantiene vivo il piacere della scoperta, alimen-tando l’ipotesi che essa non si replica meccanicamente ma si fonda si strade sempre diverse e stimolanti che considerano la persona come espressione somatocognitiva.

III.4. Attività motorio–sportive e ricerca didattica∗ La molteplicità degli approcci teorici che negli anni hanno caratte-

rizzato la ricerca didattica hanno complessivamente inesplorato alcune potenzialità del campo motorio. La ricerca sui meccanismi di appren-dimento, le modificazioni e le influenze del comportamento umano, il ruolo del gruppo nella relazione didattica, hanno permeato i contesti e-ducativi evolvendo le strutture metodologiche ed i contesti applicativi.

I percorsi della conoscenza, le chiavi di accesso e gli strumenti di fa-cilitazione per l’acquisizione dei saperi, hanno visto in questo ultimo periodo un rifiorire di aree interdisciplinari della ricerca, un rinnovato interesse per rivisitare le strutture epistemologiche delle discipline e per riposizionale il campo motorio–sportivo nelle scienze dell’educazione.

Un corpo soggetto dell’azione e della cognizione, attorno al quale convergono saperi psico–pedagogici, demoantropologici e filosofici, neurobiologici, anatomo–fisiologici, che consentano di liberare le e-nergie didattiche presenti nella dimensione dinamica e nella fisicità della persona.

È il vero presupposto per una riprogettazione dei contesti educativi, tendenzialmente sbilanciati alla valorizzazione della dimensione ver-bale, dei linguaggi iconici ed iconografici, sottovalutando la forza del-la corporeità per la costruzione di strutture spaziali e temporali del pensiero, per l’espressione di aspetti mimetici e compressi della per-

∗ Questo paragrafo è stato realizzato da Nadia Carlomagno.

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sonalità aiutando i processi educativi. Le attività motorie e sportive possono aiutare la costruzione di un nuovo filone della ricerca didatti-ca, caratterizzato da quadri interpretativi di atteggiamenti e compor-tamenti corporei fondati su elementi scientifici e risultati di esperienze di ricerca e da specifici modelli teorici complessi, ma molto utili per l’osservazione e la valutazione del processo di insegnamento/appren-dimento «la teoria può migliorare la pratica direttamente, fornendo un quadro esplicativo per guidare l’azione didattica, e indirettamente, promuovendo la ricerca educativa»65, dall’altro «solo attraverso il con-fronto della conoscenza personale con la storia della conoscenza ogni individuo può formarsi nella consapevolezza interpretativa e nel pen-siero criticamente fondato»66.

L’approccio interdisciplinare per la ricerca didattica è il presupposto di un processo di cittadinanza scientifica dell’area motoria e sportiva a carattere educativo, rinunciando alla settorialità scientifico–disciplinare e nel contempo rivalutando modelli teorici ed approcci di ricerca apparen-temente antitetici «le teorie scientifiche non muoiono perché deficitarie o insoddisfacenti; semplicemente tramontano quando ne vengono alla ribal-ta altre più affascinanti, più rigorose e più comprensive»67.

L’approccio bioeducativo interpreta a pieno questo approccio alla ricerca, trasformando la didattica delle attività motorie e sportive da prassi tecnico–operativa, regolata prevalentemente da principi bio-meccanici, conoscenze sui livelli funzionali, sui parametri fisiologici e sui meccanismi energetici a campo privilegiato per la ricerca didattica grazie. Si rende però necessario un ripensamento delle metodologie di insegnamento delle attività di movimento, che assumono il ruolo di strumenti da inserire nella cassetta degli attrezzi di chi si occupa di ri-cerca didattica, un moderno inventario di tecniche e metodi adeguati ai contesti della formazione e della sperimentazione didattica. Il labo-ratorio ludico–sportivo e motorio si pone come una interessante alter-nativa alla staticità e settorialità del recinto disciplinare, che consente di trattare i contenuti in un ambiente dinamico e creativo capace di co-struire un vero ingrediente emozionale che trascina i saperi.

65 J. Novak, L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la co-

noscenza, Erikson, Trento 2001, p. 12. 66 E. Frauenfelder, F. Santoianni, Percorsi dell’apprendimento percorsi per l’insegnamento,

Armando, Roma 2002, p. 11. 67 H. Gardner, Educare al comprendere: stereotipi infantili e apprendimento scolastico,

Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2001, p. 35.

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Il banco di prova del laboratorio motorio e ludico–sportivo sono la scuola dell’Infanzia e la scuola Primaria con i campi di esperienza e le mappe concettuali, terreni di coltura della valorizzazione della corpo-reità e dell’azione come “transfer positivo” per accedere ai saperi, «l’esperienza motoria può essere considerata il traino di apprendimen-ti tradizionali deboli, consentendo di arricchirli con un sistema poli-sensoriale»68.

La trasferibilità dei contenuti disciplinare attraverso l’esperienza motorio–laboratoriale, apre l’accesso ad un sapere plurimo, capace di ancorarsi simultaneamente ai diversi canali conoscitivi e sensopercet-tivi. Il corpo diventa soggetto interagente per la soluzione di problemi, per la rielaborazione di strategie complementari o alternative della co-noscenza, un vero motore di supporto alla didattica «un ambiente di apprendimento nel quale è possibile seguire un itinerario complesso dove si possono aprire spazi del “sapere, del saper fare e del saper es-sere” attraverso una didattica partecipata»69.

La pratica sportiva, grazie al laboratorio didattico scopre una dimensione non indirizzata solo alla performance, ma allo sviluppo del potenziale educativo, costruendo una palestra della socialità nelle quale il traguardo agonistico ed il primato lasciano spazio alla conquista di valori ed alla condivisione di modelli positivi. Una pratica ludico–sportiva nella quale vince chi rispetta le regole e non chi per il raggiungimento del risultato le ignora, e l’azione è il ban-co di prova di comportamenti soggettivi e collettivi socialmente u-tili. Un vero incubatore della socialità, della responsabilità ma an-che della creatività, capace di alimentare la curiosità del conoscere di fronte ai traguardi dei saperi più complessi attivando la dimen-sione multiesperienziale e multidimensionale dei processi di ap-prendimento. Questo ponte scientifico–culturale tra azione e cogni-zione attraverso il laboratorio valorizza alcune competenze ed abi-lità potenzialmente vicarianti sul piano formativo, rivalutando la dimensione educativa di un fenomeno complesso come quello della pratica sportiva.

68 M. Sibilio, La formazione universitaria del docente di educazione fisica. Le nuove frontie-

re dell’educazione attraverso il corpo, op. cit., p. 56. 69 Ivi, p. 39.

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I diversi filoni di ricerca didattica sul motorio–sportivo, aprono una finestra sul mondo del disagio, della disabilità e più generalmente sul-le modalità di costruzione del successo formativo, offrendo al mondo dell’educazione una proposta didattica che parta dalla soggettività, dai bisogni individuali della persona, dalle sua inscindibilità corporeo–cognitiva.

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Biografie dei coautori

Nadia Carlomagno svolge dal 2002 attività di ricerca sulla “trasferi-bilità dell’esperienza motoria e ludico–sportiva a carattere laboratoria-le per l’accesso ai saperi scientifici” presso l’Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica del C.N.R. Dottore in lingue e letterature stranie-re si è perfezionata in “Comunicazione e linguaggi non verbali: psi-comotricità, musicoterapica e performance” presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha svolto numerose esperienze formative e didat-tiche nel campo sportivo e teatrale ed è specialista nella comunicazio-ne corporea con particolare riguardo all’ambito motorio e sportivo. È stata docente di didattica laboratoriale a carattere motorio della SSIS scienze motorie dell’Università Parthenope di Napoli e dell’Università di Salerno, dal 2002 insegna presso l’Università Suor Orsola Beninca-sa di Napoli nell’Ambito dell’area dei Laboratori motori e sportivi del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria. È autrice di arti-coli e pubblicazioni sui temi delle attività motorie e sportive, con par-ticolare riferimento alla loro funzione integrativa. Francesca D’Elia, dottore in Scienze della Formazione Primaria, formatasi al CONI come Educatore Sportivo è perfezionata in “Le culture del corpo. I linguaggi non verbali per l’incontro interculturale” attraverso il Master conseguito presso l’Università degli studi “L’Orientale” di Napoli. Attualmente è impegnata nel progetto di ri-cerca “L’apprendimento attraverso il corpo: la trasferibilità dei saperi” presso l’Istituto per le ricerche e le attività educative IPE di Napoli. Michela Galdieri, dottore in Scienze della Formazione Primaria, for-matasi al CONI come Educatore Sportivo è perfezionata in “Le cultu-re del corpo. I linguaggi non verbali per l’incontro interculturale” at-traverso il Master conseguito presso l’Università degli studi “L’Orien-tale” di Napoli. Attualmente è impegnata nel progetto di ricerca “L’apprendimento attraverso il corpo: la trasferibilità dei saperi” pres-so l’Istituto per le ricerche e le attività educative IPE di Napoli.

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AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

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Finito di stampare nel mese di ottobre del 2011dalla «Ermes. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15

per conto della «Aracne editrice S.r.l. » di Roma