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Pipeline Express Di Enrico Bianda PRESENTAZIONE Pipeline express - L'oleodotto Baku Supsa Il petrolio e il gas sono gli strumenti di pressione della politica estera russa di questi ultimi decenni. E nel disegno complessivo di una nuova egemonia energetica va ridisegnandosi l'insieme delle relazioni economiche e politiche dell'Asia Centrale e di parte dell'Europa Orientale. Georgia e Azerbaijan non sfuggono a queste logiche: sui loro territori passano alcuni oleodotti strategici per gli equilibri europei e mondiali. Tra questi la pipeline Baku Supsa è tra le più importanti e delicate, visto che parte del suo trac- ciato passa attraverso territori fragili come l'Ossezia del Sud. Enrico Bianda ha viaggiato lungo il trac- ciato dell'oleodotto per raccontare le storie di chi vive lungo questa faglia politica ed energetica. RUMORE DI MACCHINA CON LA PIOGGIA, Taxi a Batumi Georgia MUSICA E’ lungo le faglie energetiche che sembra giocarsi il destino dei rapporti tra Oriente e Occidente : tra l’Europa orientale e il mondo occidentale che è ostaggio della sua sete di petrolio e gas. Il Caucaso è uno dei teatri dove si gioca questa guerra: campo minato delle relazioni tra Russia e quel che resta dell’esplosione dell’ex URSS: Georgia, Armenia, Azerbaijan, e poi Abkhazia, Ossezia del Sud, Nagorno Kabarak. Conflitti sedati, ma che si scaldano ad ogni accenno di tensione. STACCO AEROPORTO BATUMI TAXI BATUMI VERSO POTI

Pipeline Express

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Pipeline Express Di Enrico Bianda

PRESENTAZIONEPipeline express - L'oleodotto Baku SupsaIl petrolio e il gas sono gli strumenti di pressione della politica estera russa di questi ultimi decenni.E nel disegno complessivo di una nuova egemonia energetica va ridisegnandosi l'insiemedelle relazioni economiche e politiche dell'Asia Centrale e di parte dell'Europa Orientale.Georgia e Azerbaijan non sfuggono a queste logiche: sui loro territori passano alcuni oleodotti strategici per gli equilibri europei e mondiali. Tra questi la pipeline Baku Supsaè tra le più importanti e delicate, visto che parte del suo trac-ciato passa attraverso territori fragili come l'Ossezia del Sud. Enrico Bianda ha viaggiato lungo il trac-ciato dell'oleodotto per raccontare le storie di chi vive lungo questa faglia politica ed energetica.

RUMORE DI MACCHINA CON LA PIOGGIA, Taxi a Batumi GeorgiaMUSICA

E’ lungo le faglie energetiche che sembra giocarsi il destino dei rapporti tra Oriente e Occidente : tra l’Europa orientale e il mondo occidentale che è ostaggio della sua sete di petrolio e gas.

Il Caucaso è uno dei teatri dove si gioca questa guerra: campo minato delle relazioni tra Russia e quel che resta dell’esplosione dell’ex URSS: Georgia, Armenia, Azerbaijan, e poi Abkhazia, Ossezia del Sud, Nagorno Kabarak. Conflitti sedati, ma che si scaldano ad ogni accenno di tensione.

STACCO

AEROPORTO BATUMITAXI BATUMI VERSO POTI

L’aereo da Istambul è atterrato in questa piccola città sul Mar Nero, e in taxi cerco di arrivare a Poti. Il porto commerciale più grande della Georgia. Da li partono le petroliere per la Turchia. E poi il Mediterraneo. Da Poti proseguono anche gli oleodotti sotto il Mar Nero.

Rumore del Porto

A Poti il rumore di fondo ti accoglie la mattina presto, ed è un ronzio sommesso e continuo che non termina mai. E’ il lento lavoro dei terminal e delle navi da carico che attraversano il bacino del Mar Nero verso le coste della Romania, della Bulgaria, dell’Ucraina e poi della Turchia.I silos dei vari terminal torreggiano nella luce chiara virata al grigio verde di questa città silenziosa. Da qui, a ritroso, l’oleodotto arretra fino a Supsa. E poi la sua strada segue da vicino le montagne del Grande Caucaso per andare verso sud est, fino al Caspio, a Baku. Li il petrolio e il gas partono. Seguirò la pipeline Baku Supsa, un oleodotto strategico, per raccontare chi vive lungo questa faglia energetica, politica e culturale che taglia il Caucaso longitudinalmente.

Il Caucaso è stato una polveriera sempre pronta ad esplodere. Conflitti etnici e territoriali hanno minato una convivenza resa difficile dalla molteplicità di popolazioni che abitano queste terre: e poi le religioni, gli assetti tribali, i confronti secolari tra regioni sulle quali pesano secoli di dominio prima russo poi sovietico che hanno fatto crescere un sentimento anti russo molto diffuso in alcune regioni.

La Russia non è del tutto Russia senza il Caucaso, eppure la Russia teme il Caucaso, ha sempre rappresentato una minaccia, o meglio, lo spauracchio etnico della minaccia.C’è un canto circasso che recita Non dormire cosacco nella notturna tenebra. Di là dal fiume va il ceceno”.

STACCO

A Poti, tra fango e pioggia in una malandata stazione degli autobus cerco di farmi spiegare come mettermi in marcia alla volta di Gori, la mia prossima tappa. Un viaggio di diverse ore attraverso le montagne, mi avvicinerò alla catena del grande Caucaso arrivando a lambire le regioni dell’Ossezia del Sud.

SUONI

Il viaggio avviene, come sempre in queste terre, a bordo di una marshutka, uno delle migliaia di minivan che attraversano ogni giorno le strade del Caucaso.

SUONI VIAGGIO MINIVAN POTI_GORI

Il tracciato che seguo, la western early oil pipeline, porta il greggio da Shah Deniz, il giacimento al largo di Baku a Supsa.Questo oleodotto doveva avere quale punto di forza il fatto di evitare il territorio russo lungo tutto il suo percorso. Le cose stanno andando in modo diverso.

SUONI

Gori è la seconda città della Georgia, è famosa soprattutto per una cosa. Qui è nato Stalin. E a Stalin questa gente è ancora molto attaccata, al punto che per abbattere la statua, due anni fa, statua che sorgeva nella principale piazza, è stato necessario un cordone sanitario fatto da esercito e polizia. Ma Gori è anche la città georgiana più vicina all’Ossezia del Sud, repubblica de facto autonoma, rivendicata da Tbilisi, all’origine della guerra lampo del 2008 che vide l’intervento della Russia a difesa delle mire indipendentiste sud ossetine. La guerra per la Georgia causò la fuga di migliaia di sfollati, che ancora oggi vivono nei campi profughi sparsi per il paese, cui si aggiungono quelli scappati dall’Abkhazia al confine con la Russia nelle regioni nord occidentali.

STACCO MINIVAN POTI GORI

La marshutka mi lascia allo svincolo a diversi chilometri dalla città.Dopo una contrattazione estenuante con i tassisti che aspettano sul ciglio dell’autostrada, decido che è meglio proseguire a piedi: lungo la via d’accesso da Nord della città si scorgono le baracche del campo profughi. Un villaggio con casette basse tutte uguali che inizialmente, 7 anni fa, doveva accogliere temporaneamente gli ossetini georgiani. Da allora nulla è cambiato il timore di scontri permane, e i profughi preferiscono restare qui.

A Gori la guerra nel 2008 è arrivata a lambire la periferia. Poi l’avanzata dei russi si è arrestata.Questa storia mi interessa perché da allora i confini della repubblica autonoma dell’Ossezia del Sud si sono modificati sensibilmente. Con conseguenze inaspettate sull’oleodotto che sto seguendo.Incontro Henry, analista della missione di monitoraggio dell’UE che si occupa di vigilare sul confine tra Georgia e Ossezia del Sud.

Mi mostra come riconoscere gli edifici che i russi utilizzano per monitorare la frontiera, in territorio ossetino: si riconoscono dai tetti rossi e segnano la via del petrolio.

STACCO

Henry, che chiede che non venga rivelato il cognome, mi racconta che di fatto la situazione è molto diversa rispetto a quando la pipeline è stata progettata: non sanno che cosa aspettarsi con l’irrigidirsi delle relazioni tra Georgia e Russia. Ad oggi lungo il confine dell’Ossezia del sud si rileva una presenza massiccia di guardie di confine. Per un perimetro di poche centinai di chilometri si contano 3800 guardie con 19 stazioni di controllo russo e ossetino lungo il confine.Lungo tutto il perimetro della frontiera video camere a infrarossi e rilevatori di movimento.

Intervista Natia Nadiratze Natia Nadiratze, operatrice di una ONG si occupa di costruire il dialogo tra le comunità lungo il confine con l’Ossezia del Sud.

- La pipeline in realtà non è un problema per le popolazioni che vivono lungo il confine tra i due paesi. Non lo semplicemente perché i problemi sono diversi e più urgenti: manca l’acqua per irrigare, sono zone molto povere che vivono di agricoltura e le comunicazioni stradali tra i paesi e i campi spesso sono interrotte dal confine e dai controlli che rendono molto difficile il passaggio tra una regione e l’altra. L’unica questione che può costituire un problema oggi è la protezione della pipeline: chi se ne occupa? Non è chiaro, la Russia evidentemente non se ne occupa anche se ormai parte del tracciato passa in territorio sotto il suo controllo. Responsabile è la multinazionale del petrolio BP, che assume personale del posto che si muove per lo più a cavallo e che attraverso alcune unità speciali del Ministero dell’Interno opera costituendo delle guardie private per la sicurezza. Questo potrebbe essere l’unico problema rappresentato dalla pipeline: come proteggerne il tracciato, in una regione dove le comunità sono poverissime e nulla sembra ricadere, in termini di ricchezza, sulle loro attività.

A Gori vivono molti ex operai della BP, che hanno vissuto la stagione della speranza legata al petrolio, prima statale poi privato. Gotcha Tedeluri è un operaio in pensione, ogni tanto si occupa di sicurezza per la BP

Le Georgia non ha altre risorse, ma per la Russia la Georgia è un punto strategico per far passare queste risorse da Baku, e questo rappresenta uno dei grandi interessi per la Russia.

Il progetto originario degli oleodotti prevedeva una linea verso Batumi da Baku e una verso Grozni, la Baku–Novorossiysk, prevedendo di raccogliere il petrolio ceceno lungo la via.

Parlando con le persone in questa regione particolarmente povera colpisce molto il silenzio o l’indifferenza attorno a questa linea del petrolio. In modo particolare se si pensa che siamo a pochi chilometri da un confine che ha scatenato una guerra solo 7 anni fa e che ha visto la delocalizzazione di migliaia di sfollati

Un aspetto interessante, uno dei piccoli vantaggi che la Georgia è riuscita a trarre dalla presenza della Pipeline, è legato proprio alla guerra del 2008: l’Europa per certo fece pressioni su Putin. Lei ricorda il viaggio diplomatico che fece Sarkozy in quel periodo, durante il conflitto? Ecco uno dei motivi e delle questioni dibattute fu proprio l’interesse EU sull’oleodotto che spinse la Russia a ritirare le truppe dalla periferia di Gori, perché non scordiamoci che durante la guerra le truppe russe arrivarono a toccare la nostra periferia. Secondo lei perché qualcuno si doveva interessare alla questione georgiana durante il conflitto? Se non perché di mezzo c’erano le risorse energetiche? Da allora, passata la guerra, è calato il silenzio.

Gotcha Tedeluri pone la questione centrale. Quanto conta il petrolio del Caucaso. Che cosa si fa per lui, quanta ricchezza porta e quanti conflitti potenzialmente può generare?

TAXI GORI

Da Gori una mattina parto per le regioni confinanti con l’Ossezia del Sud. Sono piccoli villaggi dove l’oleodotto esce in superficie, dove mi hanno raccontato di guardiani a cavallo che vigilano sulla linea, in verità pochi chilometri, qualche rara emersione, quasi che l’oleodotto seguisse la sua natura carsica, riportando il petrolio sotto terra, ed emergendo solo saltuariamente.

TAXI GORI

I villaggi verso i quali mi dirigo sono quelli che si affacciano lungo la valle del fiume LIAKHVI, il villaggio di AKHALDABA e di SHIDAKHARTLA. In questi mesi invernali molto fango, qualche spruzzata di neve mista a pioggia, le strade in sterrato che tra le

vie tortuose dei piccoli centri si trasformano in fretta in piccoli ruscelli. Nelle parti basse dei villaggi, verso valle, le tubature gialle o azzurre del gas, che percorrono le strade in passaggi sopraelevati. Una ragnatela che avvolge le case e i loro piccoli orti con rade piante di cavolo, barbabietole e verze.

PIPELINE SCUOLA - suoni e voci

VOCI MAESTREDALI KEBADZENMAKA MAISURADZE

In una scuola incontro alcune maestre che mi aiutano a capire che cosa significa vivere accanto ad una linea strategica per le risorse energetiche europee, e non avere il riscaldamento per i ragazzi che studiano.

Mi raccontano anche - confermando dunque quanto ho sentito in città - che dei giovani a cavallo controllano il tracciato della pipeline, non sanno se questi cavalieri lavorino per la BP; le maestre finiscono per chiedere a me informazioni sul tracciato, su alcune costruzioni di cui non conoscono la funzione.

VOCI SCUOLA SINDACO VEPKHZA MDINARIDZE

Il sindaco, il rappresentante di 5 villaggi, una specie di capo provincia, si chiama GANGEBELI, non può affermare che i lavori abbiano avuto un effetto particolare sui villaggi, forse la Georgia ne ha ricavato qualcosa, mentre per i villaggi non c’è granché, a parte qualche diritto acquisito per l’utilizzo di terreni privati. Al momento a parte una decina di lavoratori impegnati in queste zone, non c’è altro.

L’approvvigionamento del gas è parziale, le donne di questa scuola la mattina avviano le stufe a legna, una per ogni classe, che devono restare accese tutto il giorno, non c’è quindi riscaldamento, il gas arriva a tratti, molte interruzioni, mentre il paese sorge accanto ad una ricchezza che scorre…

TAXI RIENTRO VERSO GORI

VIDEO GORI CONFINI

La mattina in cui devo partire per Tbilisi, ho la fortuna di venire a sapere che c’è un giovane reporter di una TV pubblica locale che ha realizzato da poco un’inchiesta che ha avuto molta eco in

Georgia: mi mostra il filmato realizzato lungo il confine con l’Ossezia del Sud, e mi racconta di avere le prove documentate del progressivo spostamento della linea di confine. Le milizie ossetine, con il supporto russo, hanno spostano fisicamente i cartelli della frontiera, facendo avanzare di alcune decine di metri il loro territorio su quello Georgiano. Si tratta di poche decine o centinaia di metri quadrati, ma sufficienti per rendere obsoleta l’idea della pipeline indipendente dalla Russia. Di fatto oggi la linea dell’oleodotto passa per alcuni, pochi, ma per alcuni chilometri in territorio controllato dalla Russia. Nel corso del mese di agosto la Georgia ha denunciato lo sconfinamento da parte ossetina presso le sedi diplomatiche dei paesi coinvolti e mi domando come mai il personale degli osservatori europei non raccolga questa provocazione: sapendo degli edifici vedetta controllati dai russi che mi sono stati mostrati solo il giorno prima.

La pipeline Baku-Supsa assume, di chilometro in chilometro, un significato speciale, strategico: per la Georgia la promessa di una ricchezza che è già passata, per l’Azerbaijan il segno di un’autonomia dalla Russia che viene messa ogni giorno in discussione, per l’Ossezia del Sud la possibilità di premere politicamente sull’acceleratore dell’indipendenza buttandosi sempre di più tra le braccia della Russia, che non resta a guardare quando di mezzo ci sono le risorse energetiche.

STACCO

Questa volta per raggiungere la capitale Tbilisi, da dove poi prendere un treno per entrare in Azerbaijan, trovo una macchina in condivisione con altri ragazzi. Il viaggio costa pochissimo ed è veloce. Tbilisi è la faccia contemporanea della Georgia, lontano da fango e neve, apparentemente lontano dalle tensioni con la Russia, si respira un’aria internazionale, come tutte le capitali di queste regioni a Oriente, i segni della convivenza rispettosa tra culture, nel passato, sono evidenti. Le Chiese ortodosse, con quella georgiana autocefala a spadroneggiare, gli ebrei, i musulmani, i cattolici. Tbilisi vuole essere europea e orientale insieme,

Chiesa ortodossa e cantoStazione e biglietti

Tbilisi è lontana dal tracciato della pipeline. Ma da qui posso prendere il treno per Ganca, la seconda città azera.

La stazione svolge apparentemente una duplice funzione: più che uno snodo per i treni, rappresenta, da vera capitale orientale, un cuore pulsante di attività, incontri, commerci, scambi e traffici.

Cerco di capire a che ora parte il treno notturno, e se posso fermarmi a Ganca.

Biglietteria

Treno

I treni a Oriente spesso possono sorprendere il viaggiatore. D’un colpo, sali, lasciando il marciapiede caotico e desolante di una stazione, e ti ritrovi in uno scompartimento con quattro cuccette pulite, un tè fumante sul piccolo tavolino, e un cuscino ergonomico che ti aspetta. L’addetta al vagone, un po’ sergente maggiore un po’ secondino, distribuisce le coperte pulite in un sacco sigillato. Mi preparo al lungo viaggio, il treno si muove, e oltre il vetro pulito e la tendina bianca, scorre la periferia di Tbilisi. La città si distende, si appiattisce, mentre il buio guadagna terreno, le stazioni sembrano sempre di più baluardi di luce fioca nel buio assoluto delle campagne.

TRENO

La frontiera con l’ Azerbaijan. Due ore per le pratiche e i controlli, in piena notte, luci accese, verifiche ossessive da parte della polizia georgiana. Poi i controlli azeri: ognuno dei passeggeri viene fatto entrare, a turno, in uno scompartimento. Due soldati della frontiera, uno al mio fianco seduto sulla cuccetta, l’altro di fronte a me che fissa una video camera su di una valigetta in metallo. Mi chiede di restare fermo e inizia a lavorare. L’operazione andrà avanti per una quindicina di minuti, dopo di che occorre aspettare soli nello scompartimento che arrivino le indicazioni da qualche parte in Azerbaijan. Finalmente si riparte, il viaggio nella notte prosegue fino a che l’addetta dello scompartimento non mi sveglia: sono arrivato, ho pochi minuti per vestirmi e scendere nel freddo.

Ombre con valige salgono furtive sul treno, in un silenzio rotto solo dallo sbuffo dei freni idraulici. Sono a Ganca, vecchio centro industriale azero: qui vicino passa la pipeline.

GANGA MERCATI

Dopo la notte passata all’Hotel Ganja, santuario sovietico dalle centinaia di stanze solennemente arredate, in gran parte vuote,

inizio l’esplorazione della città, alla ricerca di qualche segno del passaggio, a qualche decina di chilometri verso sud ovest.La città si allunga luminosa affacciandosi sul viale principale, una fila di palazzi signorili, in stile imperiale, oltre i quali si ammassano i palazzi affollati dei quartieri popolari, dove abitano gli operai ormai disoccupati di una città che ha perso tutta la sua ricchezza industriale. Non è più un centro amministrativo della ex URSS e non ha più le fabbriche. La linea del petrolio è, anche qui in Azerbaijan, una promessa di ricchezza e niente più. Se ne parla con indifferenza, anche se, a differenza di quanto accade con la vicina Georgia, per ganja passano molti operai delle multinazionali del petrolio che operano nel paese. E’ proprio questo il tratto distintivo dell’Azerbaijan. Si ha a che fare con un una sovrapposizione di identità: operai di multinazionali che attraversano il paese toccando i luoghi del petrolio e del gas, vecchi contadini di un Caucaso rurale e arretrato.

CLIP SCUOLA SCACCHI GANJA

La sintesi delle contraddizioni e delle tensioni di questo paese, avvicinandomi alla capitale, che aspetta affacciata sul Mar Caspio con la sua ricchezza classista derivata dal petrolio e dal gas, potrebbe stare in questa scuola di scacchi per i più giovani. Al termine delle lezioni decine di ragazzini in divisa sciamano verso l’ingresso della scuola, che si trova in un’ala del vecchio palazzo governativo d’epoca sovietica che domina la piazza principale. Una facciata lunga quasi mezzo chilometro che abbraccia la vecchia moschea da una parte e il mausoleo di Heidar Aliyev, il padre dell’attuale presidente, ancora celebrato in tutto il paese come padre della patria. Nostalgia sovietica, piglio dittatoriale, società giovanissima e sostanzialmente laica.

CLIP MERCATO GANJA A Ganja passano, la notte, i convogli dei treni merci che arrivano dalle regioni a sud del paese. Attraversano la città, lentamente, producendo un rombo sommesso, mentre il gelo scende nel buio della periferia. Mentre aspetto il mio treno, la polizia mi perquisisce tre volte nel corso della notte. In fondo alla sala d’aspetto, coronata da un grande lampadario solenne, un mausoleo con busto e fotografie che ne ritraggono le gesta.

CLIP CONVOGLI NELLA NOTTE E VOCI DELLA POLIZIA alla stazione di Ganja

E’ l’ultima tappa del viaggio questa. Il treno che attraversa il paese da nord ovest a sud est, dal confine con la Georgia alla costa del Mar Caspio anche questa notte è in ritardo. Con le prime luci del giorno mi ritrovo ad osservare il deserto roccioso e desolato che sta alle spalle della capitale. Inseguendo con lo sguardo ogni abbozzo di tubo che attraversa le colline nella speranza che possa trattarsi della pipeline Baku Soupsa.

La periferia di Baku è un’interminabile paesaggio fatto di lamiere, capanne, strade di terra, cumuli di immondizia. E’ lo slum di ogni grande città nei paesi questo. La ricchezza si concentra nel centro finanziario e turistico, poche strade e tanto sfarzo, nella città vecchia trasformata in un gioiello minuziosamente restaurato.

Appena fuori dal centro nevralgico della finanza e del petrolio la città si perde in mille rivoli di povertà e disperazione. Lo Stato azero è una dittatura che si nasconde dietro la democrazia del petrolio. La propaganda del Presidente Ilam alijev passa dai grandi eventi sportivi che Baku ospita in questi anni fino all’Eurosong del 2013.

In taxi verso i terminal: Songacialy è la località lungo la costa che accoglie i principali terminal: all’orizzonte, in mare aperto, le piattaforme che estraggono il petrolio dal super-giant Shah Deniz: gran parte del greggio oggi arriva da pozzi off shore, al largo della costa, mentre i pozzi nell’entroterra con il passare dei decenni e lo sfruttamento intensivo hanno lentamente esaurito le scorte. Resta il paesaggio lunare alle spalle della capitale, pozzi grandi e pozzi casalinghi a formare un orizzonte post industriale unico.

Viaggio con Abuzer in questa parte del viaggio. Abbiamo provato ad ottenere l’autorizzazione ad entrare nell’area di uno dei terminal delle principali multinazionali del petrolio, SOCAR o BP. Non è stato possibile, tentiamo ugualmente un approccio.

CLIP IN TAXI DA BAKU

Lasciando la capitale Baku procedendo verso sud lungo la costa, attraversiamo un paesaggio fatto di ville faraoniche incomplete e schiere di unità unifamiliari per villaggi che mai verranno abitati. Giardini assetati con palme solitarie circondati da alte mura di cinta. Songacialy si annuncia con un monumento in stile sovietico a fare da spartitraffico. Le piattaforme al largo, i grandi terminal a destra, appena all’interno, poco prima della linea delle colline che segnano l’inizio del deserto. Da li parte la pipeline. Accedere all’area è impossibile. Gli ingressi sono presidiati da una milizia armata. Non portano le mostrine dell’esercito.

Tentiamo l’ingresso, un lungo controllo dei documenti, una perquisizione personale, l’esito è scontato. Non si passa. In lontananza scorgiamo una pattuglia che si avvicina alla nostra auto. L’autista viene fatto scendere e l’abitacolo minuziosamente perquisito. Fotograferanno l’autista e l’interno dell’auto alla ricerca di macchine fotografiche o registratori.

SUON GAS NATURALE

Azerbaijan significa letteralmente Custode del fuoco. Le risorse energetiche sono la ricchezza di questo paese. Gas e petrolio. Una delle faglie energetiche del nostro tempo passa da qui. Da questo mare, dai giacimenti di Shah Deniz I e II alla volta della Turchia, della Georgia. Io ho seguito il percorso a ritroso dell’oleodotto da Batumi a Baku. Ad una ventina di chilometri dal centro della capitale, andando verso est, si arriva al fuoco sacro generato dai giacimenti di gas naturale che fuoriesce da secoli tra le colline di Yanar Dagh. Queste fiamme crepitanti si muovono nel vento ormai da secoli. A loro si sono ispirati gli architetti del progetto faraonico che segna indelebile lo skyline di Baku, le Flame Towers. A suggello di quello che vuole essere il destino di questo paese stretto nella morsa di una dittatura: un ruolo strategico nello scacchiere delle risorse energetiche.