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PAOLA VENTRONE L’ARNO COME ‘LUOGO TEATRALE’ FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMX Estratto dal volume: LA CIVILTA ` DELLE ACQUE TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO a cura di ARTURO CALZONA eDANIELA LAMBERINI II

L'Arno come 'luogo teatrale' fra medioevo e rinascimento

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PAOLA VENTRONE

L’ARNO COME ‘LUOGO TEATRALE’

FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO

F I R E N Z E

L E O S. O L S C H K I E D I T O R EMMX

Estratto dal volume:

LA CIVILTA DELLE ACQUETRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO

a cura di

ARTURO CALZONA e DANIELA LAMBERINI

II

PAOLA VENTRONE

L’ARNO COME ‘LUOGO TEATRALE’

FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO

1. Se si considera la centralita dell’Arno nella topografia urbana fio-rentina, e il rilievo che gli spetta in tutte le vedute della citta, dalle piuantiche, come quella attribuita a Piero del Massaio del 1472 ca. che ornaalcuni codici della Geografia di Claudio Tolomeo, alle piu recenti, comequella di Giuseppe Carocci ripresa da San Miniato della seconda meta delXIX secolo,1 per fare, fra i molti possibili, solo gli esempi di due estremicronologici, appare quanto meno sconcertante la vistosa rarita dei riferi-menti cronistici e documentari ad una sua utilizzazione come luogo tantocerimoniale quanto teatrale.

Il fiume non ha alcun ruolo particolare nelle feste di san Giovanni, lecelebrazioni patronali che conferivano visibilita e carisma alle componenticostitutive dell’identita cittadina, sia attraverso la processione gerarchicadei suoi corpi sociali religiosi e civili, sia attraverso l’esibizione dei manu-fatti e delle abilita che avevano costruito e continuavano a garantire lapotenza e la ricchezza di Firenze.2 Pur attraversando il fiume sul ponte aSanta Trinita e rientrando poi dal Ponte Vecchio dopo aver percorsoBorgo San Jacopo, i cortei patronali, che recavano le offerte al Battistadepositandole nella chiesa omonima, non riservavano all’Arno alcun ge-sto rituale specifico, come se, simbolicamente, il governo comunale non

1 Se ne puo vedere una carrellata nei siti: http://expo.khi.fi.it/galleria/vedute-di-firenze/vedute, e http://www.palazzo-medici.it/mediateca/it/sezioni_iconografia.php?mode=sezioni&id_mode=1 (giugno 2009).

2 Per la storia delle feste patronali di san Giovanni fino alla prima eta granducale mi per-metto di rimandare a PAOLA VENTRONE, La festa di san Giovanni: costruzione di un’identita civicafra rituale e spettacolo (secoli XIV-XVI), in «Annali di Storia di Firenze», II (2007), pp. 49-76,che rende conto della vasta bibliografia precedente.

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volesse conferire una particolare preminenza identitaria a quel fiume che,tuttavia, era un elemento fondamentale dell’economia cittadina, soprat-tutto per l’industria della lana e delle pelli, per il funzionamento dei mu-lini, oltre che, ovviamente, per il trasporto.3

Questa situazione appare ancor piu sorprendente se confrontata, adesempio, con il caso di Pisa, anch’essa attraversata dall’Arno con la mede-sima emergenza topografica. A Pisa, infatti, il fiume aveva un ruolo cen-trale nella festa patronale dell’Assunta, celebrata il 15 agosto. Il palio, lagara che normalmente concludeva le celebrazioni di carattere identitarionei comuni della Penisola,4 vi veniva infatti conteso sia per terra, con latipica competizione di cavalli che ancora oggi rende famosa Siena, sialungo il corso del fiume, con la regata delle fregate: imbarcazioni veloci,maneggevoli e prive di copertura che venivano portate da otto o diecirematori. La natura identitaria di questa manifestazione, e la conseguenteimportanza annessa all’Arno come elemento caratterizzante della citta,appare evidente anche dal suo comportamento nel tempo: essa fu rego-

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3 Per le attivita economiche che si svolgevano sull’Arno e, in generale, per il rapportofra Firenze e il suo fiume principale, rimando allo studio di FRANCESCO SALVESTRINI, Liberacitta su fiume regale. Firenze e l’Arno dall’Antichita al Quattrocento, Firenze, Nardini, 2005,con riferimenti bibliografici, e alla relazione del medesimo in questi stessi atti.

4 Il tema delle feste identitarie nelle citta di eta pre-moderna sta incontrando, negli ul-timi anni, un interesse crescente presso gli storici. Fra i molti contributi mi limito a richia-mare: City and Spectacle in Medieval Europe, ed. by Barbara A. Hanawalt and KathrynL. Reyerson, Minneapolis-London, University of Minnesota Press, 1994; Aspetti e componentidell’identita urbana in Italia e in Germania (secoli XIV-XVI) - Aspekte und Komponenten der stadti-schen Identitat in Italien und Deutschland (14.-16. Jahrhundert), Atti del Convegno (Trento, Isti-tuto storico italo-germanico, 9-11 novembre 2000), a cura di Giorgio Chittolini e Peter Jo-hanek, Bologna, il Mulino, 2003; ELODIE LECUPPRE-DESJARDIN, La ville des ceremonies. Essai surla communication politique dans les anciens Pays-Bas bourguignons, Turnhout, Brepols, 2004; Ledestin des rituels. Faire corps dans l’espace urbain, Italie-France-Allemagne. Il destino dei rituali. «Fairecorps» nello spazio urbano, Italia-Francia-Germania, ed. par Gilles Bertrand e Ilaria Taddei,Roma, Ecole Francaise de Rome, 2008. Al tema delle Identitas e stato anche dedicato ilXIV Curs d’estiu - reunio cientıfica, Comtat d’Urgell, svoltosi a Balaguer, dall’1 al 3 luglio2009; mentre su un argomento assai vicino (CIVIS/CIVITAS. Cittadinanza politico-istituzio-nale e identita socio-culturale da Roma alla prima eta moderna) si e svolto il IIIº Incontro Interna-zionale del Seminario permanente: Medieval Writing. Settimane polizianee di studi superiorisulla cultura scritta in eta medievale e moderna (Siena-Montepulciano, 10-13 luglio 2008).Sul palio si veda l’ampia casistica, non soltanto senese, documentata dall’ormai classico WIL-

LIAM HEYWOOD, Palio and Ponte. An Account of the Sports of Central Italy from the Age of Dante tothe XXth Century, London, Methuen and Co., 1904 (trad. it. Palio e Ponte: gli sports dell’Italiacentrale dai tempi di Dante fino al ventesimo secolo, prefazione di Alessandro Falassi, Palermo,Edikronos, 1981).

larmente disputata fino all’assoggettamento a Firenze del 1406,5 ma con laperdita della liberta la sua realizzazione divenne saltuaria, proprio per ilvalore simbolico che la distingueva.

Fu, infatti, significativamente riesumata nel 1440 per festeggiare la vit-toria di Anghiari conseguita il 29 giugno dall’armata fiorentina che erariuscita a sconfiggere le truppe milanesi guidate da Niccolo Piccinino.In quel caso, pero, il significato identitario del palio fluviale fu piegatoa concelebrare anche le glorie della dominante, come testimonia il fattoche il premio, costituito, come consuetudine, da un vitello coperto di undrappo scarlatto, recasse non solo l’arme del Comune di Pisa ma anchequella della Repubblica fiorentina.6 Indicativa, in tal senso, fu anchela ripresa della gara, di segno totalmente opposto, fatta dai pisani nel1495 per manifestare il proprio giubilo in seguito alla promessa di CarloVIII di liberare la citta dal giogo fiorentino,7 come pure la sua cessazionedopo la definitiva conquista di Pisa da parte di Firenze nel 1509: entrambiesempi dell’importanza identitaria della competizione navale.

Il caso di Pisa, del quale ho voluto ribadire il rilievo identitario con-ferito all’uso cerimoniale del fiume all’interno della celebrazione patrona-le, rende ancora piu curiosa la quasi totale assenza dell’Arno dal panoramaspettacolare fiorentino prima del principato, soprattutto in considerazionedel significato che avevano le feste in quel periodo.

Lo spettacolo, nelle societa di eta pre-moderna, non era, infatti, undivertimento o un passatempo, nel senso in cui oggi lo intendiamo, maera una funzione della societa stessa, rispondeva, cioe, a esigenze sempremolto precise e motivate, legate ad ambienti, scopi, salienti politici e cul-turali, e per questa ragione le forme dello spettacolo erano assai variate, inrelazione al compito che a ciascuna di esse veniva riconosciuto e assegna-to. La festa era il grande contenitore di spettacoli, all’interno del quale essi

5 Per informazioni sulla festa dell’Assunta e sui palii pisani cfr.: PIETRO VIGO, La Festadell’Assunta in Pisa nel secolo XIV, Roma, Tipografia di Roma, 1882, pp. 5-28 [estratto da«Gli studi in Italia», V (1882), fasc. VI, vol. I]; ID., Una festa popolare a Pisa nel Medio Evo:contributo alla storia delle costumanze italiane, Pisa, Mariotti, 1888; W. HEYWOOD, Palio and Pontecit., pp. 12-15.

6 Annali pisani di monsignor Paolo Tronci vicario generale dell’illustriss. e rev. monsignor Giu-liano de’ Medici arcivescovo di Pisa, Lucca, presso Giuseppe Giusti, 1828-1829, tomo 1, p. 115.

7 Riferisce lo storico Portoveneri che il 22 giugno 1495 «si corse in Arno un palio: diraso in seta al primo brigantino, al secondo un palio di panno, al terzo un paio di calze»:Memoriale di Giovanni Portoveneri dall’anno 1494 sino al 1502, in «Archivio storico italiano»,VI (1845), 2, pp. 281-360.

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si articolavano nelle loro diverse manifestazioni.8 Essa era anche una dellerare occasioni di visibilita per chi la organizzava: visibilita degli enti re-sponsabili – fossero essi il signore nei regimi principeschi, o il governoin quelli repubblicani, oppure rioni, quartieri, singole famiglie, confrater-nite, corporazioni e cosı via – e visibilita dei luoghi che la ospitavano. Perquesta ragione la festa va considerata come una espressione di linguaggipolitici che si costruiscono attraverso il simbolismo dei cerimoniali. Essaha rappresentato un momento fondamentale della creazione e della co-municazione dei linguaggi della politica perche la visibilita che garantivaai suoi organizzatori e finanziatori si traduceva in conferimento di carismae in esibizione di preminenza sociale, che era quanto sia i governi comu-nali, sia le signorie ricercavano per legittimare la propria autorita sui ri-spettivi dominı o stati.

E, dunque, possibile definire il messaggio portato dalla festa come unlinguaggio simbolico formulato attraverso le presenze (ma anche le assen-ze) degli enti o dei soggetti promotori, la scelta e l’articolazione dei luo-ghi dove si svolgevano le manifestazioni che la venivano a comporre, leforme, i soggetti e i modelli espressivi scelti (cavalleresco, processionale,religioso, drammatico, scenotecnico e cosı via). Nella vita civile dei co-muni, perennemente minacciati dalle interne contese tra fazioni avversee impegnati a controllare e a prevenire il rafforzamento politico e il pre-dominio di certe famiglie su altre, la festa costituı, infatti, una delle pocheoccasioni propizie per l’ostentazione della ricchezza dei cittadini promo-tori e per la loro affermazione sociale. Per questa ragione l’indagine con-testuale consente di far luce sul mutamento incessante delle forme in cui icittadini plasmavano lo spettacolo nelle sue molteplici funzioni di costru-zione identitaria, di dialettica tra poteri centrali e poteri periferici, di di-namica fra luoghi cultuali eccellenti del pubblico e luoghi alternativi dellapieta riservata dei gruppi laici e religiosi, o della convivialita esclusiva del-le elites.

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8 Per una classificazione delle tipologie festive in uso nelle citta toscane tardo-medievali,si veda FRANCO CARDINI, Le feste in Toscana tra Medioevo ed eta moderna, Pistoia, Societa pi-stoiese di storia patria, 1987 («Incontri pistoiesi di storia, arte, cultura», 38), pp. 1-15. Sulconcetto di festa come categoria ermeneutica del teatro rinascimentale, benche soprattuttorivolto all’ambito del teatro di corte rinascimentale, si veda l’ancora fondamentale saggiodi FABRIZIO CRUCIANI, Per lo studio del teatro rinascimentale: la festa, in «Biblioteca teatrale»,V (1972), pp. 1-16. Ora ristampato in Il teatro italiano nel Rinascimento, a cura di Fabrizio Cru-ciani e Daniele Seragnoli, Bologna, il Mulino, 1987, pp. 31-52, con il titolo Il teatro e la festa,che comprende anche il saggio Dietro le origini del teatro rinascimentale, in «Quaderni di teatro»,VII (1985), 27, pp. 14-21.

In questo periodo, insomma, lo spettacolo rispecchia ed esprime le di-namiche sociali, politiche e culturali della citta che lo promuove e deglienti che se ne fanno carico, e si modifica in relazione ai mutamenti dellemedesime dinamiche e istanze. Per questo motivo esso deve essere ana-lizzato come la stilizzazione simbolica di significati che vengono tradottiin comportamenti e sistemi di relazioni sociali e interpersonali per tra-smettere messaggi ben precisi e altrettanto precisamente diretti, comeho voluto sinteticamente esemplificare con le vicende emblematichedel palio fluviale pisano in regime di liberta e di assoggettamento.

Nel caso di Firenze, il sistema festivo incomincio a cercare una rego-lamentazione istituzionale solo con gli Statuti del 1322-25,9 e riuscı a tro-vare una articolazione piu stabile un cinquantennio dopo, in conseguenzadel riassetto governativo oligarchico del 1382 determinato dalla rivoltadei Ciompi di quattro anni prima, che aveva instaurato un pericoloso,quanto effimero, regime ‘largo’, con un’ampia partecipazione di espo-nenti delle arti minori e degli artigiani. Nel periodo precedente, le fontitestimoniano ricorrenti e diseguali manifestazioni spettacolari (corti d’a-more organizzate da gruppi magnatizi soprattutto nel periodo di calendi-maggio, processioni, giochi cavallereschi, sfilate di brigate di lavoratoriminuti),10 che non riuscirono ad affermarsi come tradizioni continuative,cioe non riuscirono ad istituzionalizzarsi, o furono impedite a farlo daistanze politiche contrastanti, e che percio ritengo vadano considerate co-me tentativi di trovare forme di espressione e di comunicazione dell’iden-tita dei diversi gruppi politici e sociali che li organizzavano: una sorta di‘sperimentazioni’ cerimoniali che solo dalla fine del Trecento trovaronoespressione stabile in due linguaggi dominanti, quello cavalleresco e quel-lo religioso, dei quali si fecero tangibile manifestazione altrettante tipolo-gie spettacolari.

Durante il periodo repubblicano, infatti, si istituirono, si selezionaro-no e si consolidarono le feste attraverso le quali la citta venne costruendola propria identita, e alle quali volle affidare la proiezione esterna dellapropria immagine, a partire, soprattutto, dalla celebrazione patronale di

9 Statuti della Repubblica fiorentina, a cura di Romolo Caggese, nuova edizione a cura diGiuliano Pinto, Francesco Salvestrini e Andrea Zorzi, Firenze, Olschki, 1999.

10 Per queste manifestazioni mi limito a rimandare alle notizie raccolte e commentate daRICHARD C. TREXLER, Florentine Theatre, 1280-1500. A Checklist of Performances and Institu-tions, in «Forum Italicum», XIV (1980), pp. 454-475: 460-461; ID., Public life in RenaissanceFlorence, New York, Academic Press, 1980, pp. 216-224.

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san Giovanni. Con il principato, invece, e in maniera irrevocabile dopol’insediamento di Cosimo I nel 1537, il significato e la funzione del teatronella societa fiorentina cambiarono profondamente, perdendo lo strettorapporto dialettico con i cittadini che esso aveva intrattenuto durante ilregime precedente. Di conseguenza, le scelte dei luoghi e delle tipologiedegli spettacoli da realizzare furono, di volta in volta, dettate da altre mo-tivazioni, piu propriamente dinastiche, propagandistiche, ludiche e ricrea-tive, ma non furono piu espressione delle tensioni sociali della comunitadei fiorentini. In eta granducale, inoltre, l’Arno venne utilizzato comeluogo teatrale piu spesso che nel periodo precedente, come avvenne,ad esempio, nel 1608, con la rappresentazione navale dell’Argonautica cu-rata da Giulio Parigi, Jacopo Ligozzi e Ludovico Cigoli per le nozze diCosimo II con Maria Maddalena d’Austria.11

2. Sulla base di queste brevi considerazioni introduttive appare, dun-que, evidente come la quasi totale assenza di notizie sull’utilizzazione del-l’Arno come luogo teatrale o ludico durante il periodo considerato, vale adire la sua esclusione di fatto dalla sfera dei processi cerimoniali, non possaessere considerata casuale ma costituisca un problema al quale e necessariodare una spiegazione storica. Due sole manifestazioni realizzate sul fiumemi sono, infatti, note per l’eta repubblicana: il cosiddetto ‘palio dei navi-celli’ e il bagno-battesimo di capodanno degli emarginati gravitanti nellazona del Mercato Vecchio. Della prima ricorrenza, in realta, non ho tro-vato riscontri documentari precisi: secondo una tradizione, recuperata direcente dal Comune di Firenze nell’ambito del rilancio delle celebrazionipatronali di san Giovanni, essa doveva forse celebrare la festivita di sanJacopo maggiore, il 25 luglio, con una regata dei renaioli, i lavoratori sot-toposti che trasportavano la sabbia per le imprese edili.12

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11 Su questo spettacolo si vedano: Feste e apparati medicei da Cosimo I a Cosimo II. Mostradi disegni e incisioni, Catalogo della mostra (Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe, 1969), acura di Giovanna Gaeta Bertela e Annamaria Petrioli Tofani, Firenze, Olschki, 1969,pp. 120-127; La scena del principe, Catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi,1980), Firenze, Edizioni Medicee s.r.l., 1980, pp. 399-400; ROY STRONG, Arte e potere. Lefeste del Rinascimento, 1450-1650, Milano, Il Saggiatore, 1987, pp. 244-252 (ed. or. Suffolk,The Boydell Press, 1984); SARA MAMONE, Dei, semidei, uomini: lo spettacolo a Firenze tra neo-platonismo e realta borghese (XV-XVII secolo), Roma, Bulzoni, 2003, pp. 140-142.

12 Un documento di deroga alla proibizione della navigazione notturna dei navicelli inArno in occasione della festa di san Jacopo, e che potrebbe, pertanto, riferirsi ad una cele-brazione legata a quella ricorrenza, e citato da F. SALVESTRINI, Libera citta su fiume regalecit., p. 38 e nota. Non ho, invece, trovato notizia di questo palio ne negli statuti fiorentini

La seconda manifestazione e la inversione dei ruoli, di sapore pretta-mente carnevalesco, che vedeva protagonisti i marginali del MercatoVecchio. Costoro, tuffandosi nell’Arno il primo di gennaio, facevano laparodia dell’investitura cavalleresca cosiddetta ‘bagnata’, quella, cioe, nellaquale il novello cavaliere veniva nominato dopo essere stato immersonella fonte battesimale.13 Leggiamo la descrizione di questo rituale burle-sco nelle Proprieta di Mercato Vecchio di Antonio Pucci:

Del mese di dicembre i buon briganti,che quivi son, si ragunano insiemee chiaman un signor di tutti quanti.

Quand’e fatto il signore, ciascun premeper farsi bel di robe e di cavagli,ne allor paion colle borse sceme.

Coll’aste in man, forniti di sonagli,armeggian per la terra, ognun sı gaioch’ogn’altro par che di suo fatto abbagli.

E poi il dı di calen di gennaiovanno in camicia con allegra frontecurando poco grisoppo o rovaio,

e ’n sulla terza, sopra ’l vecchio ponte,si fanno cavalier, gittansi in Arnodov’e dell’acqua piu cupa la fonte.

Quando bagnati son, com’io v’incarno,si ciban di cocomer per confetto,

del 1321-25, ne in ROBERT DAVIDSOHN, Storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1972-1973, I. Nelsito http://www.renaioli.it/palio_navicelli.htm (maggio 2009), l’erudito locale Luciano Ar-tusi cosı ricostruisce la manifestazione, senza tuttavia dichiarare le fonti delle sue affermazioni:«Il 25 luglio nella ricorrenza festiva di sant’Jacopo (cosı era detto in Firenze l’apostolo sanGiacomo Maggiore) alla sera, fino dal lontano 1250, i barcaioli disputavano a furia di vigorosicolpi di stanga il ‘‘Palio dei Navicelli’’. La tipica ‘‘regata’’ era organizzata dal priore dellachiesa di Sant’Jacopo sopr’Arno (che ne sosteneva tutte le spese), sullo specchio d’acquafra il ponte Vecchio e la pescaia di Santa Rosa. La partenza dei navicelli avveniva propriodal greto su cui ancora aggetta, sui caratteristici sporti, l’abside della chiesa [...]. Il priore,con questo caratteristico palio disputato coi navicelli senza timone, commemorava il santoal quale era dedicata la chiesa, le cui membra dopo la decapitazione avvenuta in Giudeanel 42 per ordine di Erode Agrippa furono amorevolmente raccolte dai suoi discepoli chesi imbarcarono nottetempo su un ‘‘navicello privo di vela e timone’’ e miracolosamente rag-giunsero la Galizia (in Spagna) dove diedero onorata sepoltura al corpo ed alla testa del santo,primo apostolo a testimoniare la sua fedelta a Cristo». La regata sarebbe stata dimessa alla finedel Settecento.

13 LUCIA RICCIARDI, «Col senno, col tesoro e colla lancia». Riti e giochi cavallereschi nella Fi-renze del Magnifico Lorenzo, presentazione di Franco Cardini, Firenze, Le Lettere, 1992,pp. 19-52 (a pp. 50-52 si fa riferimento alla festa di Mercato Vecchio).

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e poi tornano in piazza non indarno;ma con le trombe e con molto diletto

ismontan da cavallo al fuoco adorno,che a lor costa poco nell’effetto,

perche da’ gintiluomini dintornodonato e lor legname e selvaggiume,vitello e polli, in cosı fatto giorno.

Cacciato il freddo che recon del fiume,non barattieri paion, ma signori,andando a mensa con gentil costume:

appresso v’ha di molti splendori,nappi d’argento v’ha da tutte bande,sonator di stormenti e cantatori,

lesso ed arrosto con molte vivande;e poi di presentare e’ par corteseciascun secondo che tra loro e grande.

Poi ch’hanno desinato all’altrui spese(che tutto vien di dono e di giuoco),ed e’ cavalcan veggendo il paese.

Da quella sera in la fan sanza cuoco,perocche, forse per le borse vote,non e chi piu per loro accenda il fuoco;

ma ricomincian le «dolenti note»,14

tornando al pentolin con tal tenoreche ’n pochi dı sottiglian lor le gote;

e posson dir: «nessun maggior dolorech’a ricordarsi del tempo felicenella miseria», e cio disse l’autore; 15

che dove avean capponi e pernice,la vitella e la torta con l’arrosto,hanno per cambio il porro e la radice.

E quel ch’era signor si vede sposto.16

Il bagno invernale in Arno, come appare evidente dal capitolo terna-rio del Pucci, e solo un momento del piu complesso rituale di rovescia-mento gerarchico che consentiva ai poveri emarginati del Mercato Vec-

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14 Le «dolenti note» sono evidente citazione dantesca da Inferno, V, 25.15 Ancora una citazione dantesca da Inferno, V, 121-123.16 ANTONIO PUCCI, Proprieta di Mercato Vecchio, in Poeti minori del Trecento, a cura di Na-

talino Sapegno, Milano-Napoli, Ricciardi, 1970, vv. 166-214, pp. 408-410. Notizie biogra-fiche sul Pucci si trovano in WILLIAM ROBINS, Antonio Pucci, Guardiano degli Atti della Mercan-zia, in «Studi e problemi di critica testuale», 61 (2000), pp. 29-70, con bibliografia.

chio di rivestire per qualche giorno (significativamente in coincidenzacon il periodo dei saturnalia romani di dicembre) i panni dei grandi cit-tadini, imitandone i comportamenti che conferivano loro onore e neesprimevano la preminenza sociale. I piu miseri fra i fiorentini, che ilPucci definisce briganti e barattieri attribuendo valore quasi sinonimico aidue termini per sottolineare la condizione di precarieta e la vita di espe-dienti di questi individui,17 formavano, infatti, una brigata, eleggevano unsignore quale loro capo e, armati di lance e di sonagli, andavano armeg-giando a cavallo per la citta, secondo l’uso dei giovani rampolli delle fa-miglie aristocratiche largamente attestato da fonti coeve e successive.18

Coronavano poi la temporanea ‘promozione’ cavalleresca con l’investitu-ra ‘bagnata’ nelle acque gelide dell’Arno, e spingevano il rovesciamentorituale fino a mangiare, in pieno inverno, un cibo tipicamente estivo co-me il cocomero. Infine, ritornavano nella loro piazza al suono delle trom-be per festeggiare con un lauto banchetto, allietato da strumenti musicalie da cantori e del tutto simile a quelli che venivano offerti in onore deinovelli cavalieri, dando cosı l’impressione di essere dei signori, e non deipitocchi destinati, il giorno dopo, a tornare alla loro abituale condizionedi marginalita e di miseria.

L’intera iniziativa non solo era tollerata dal ceto dirigente fiorentino,ma ne era addirittura finanziata («che a lor costa poco nell’effetto, / per-che da’ gintiluomini dintorno / donato e lor legname e selvaggiume»),nella consapevolezza dell’inoffensiva transitorieta di un rovesciamentoche aveva come fine ultimo proprio quello di ristabilire e consolidarel’ordine gerarchico costituito, ma anche nel rispetto di un sistema di al-leanze che, durante le lotte fra i Bianchi e i Neri, aveva ricorrentementeschierato i magnati e il popolo minuto contro il popolo grasso.19

Oltre a queste due manifestazioni, le cronache riportano soltanto spo-radiche quanto episodiche occasioni di impiego ludico, non direi spetta-

17 Per questa accezione dei due termini si vedano gli esempi riportati in NICCOLO TOM-

MASEO – BERNARDO BELLINI, Dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 1865, alle voci‘brigante’ e ‘barattiere’.

18 Sulle brigate fiorentine di iuvenes rimando solo a R.C. TREXLER, Public life in Renais-sance Florence cit., pp. 215-235; FRANCO CARDINI, L’acciar de’ cavalieri. Studi sulla cavalleria nelmondo toscano e italico (secc. XII-XV), Firenze, Le Lettere, 1997, passim; L. RICCIARDI, «Colsenno, col tesoro e colla lancia» cit., passim.

19 Su questa dinamica mi limito a rimandare al lucido sguardo di NICCOLO MACHIAVELLI,Istorie fiorentine, in ID., Tutte le opere, a cura di Mario Martelli, Firenze, Sansoni, 1971, libro II,capp. 14-23, pp. 667-674, che sintetizza e commenta le testimonianze dirette dei cronistidue-trecenteschi.

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colare in senso proprio, per lo piu occasionate dall’evento eccezionaledella gelata del fiume, come avvenne, ad esempio, negli inverni, partico-larmente rigidi, del 1313, 1354, 1396. In quelle circostanze l’Arno diven-tava l’insolito teatro di riunioni conviviali, di corse di cavalli e addirittura,nel 1490, di una partita di palla al calcio. Si trattava, tuttavia, di divertis-sement del tutto estemporanei e privi di qualsiasi collocazione nel sistemadelle feste istituzionali cittadine, oltre che ricordati solo fuggevolmentedalle fonti per l’inusualita del loro accadimento.20

3. Di ben altro impegno organizzativo fu lo spettacolo allestito in Ar-no nel 1304, sul quale intendo particolarmente soffermarmi.21 Varie sonole cronache che ne trasmettono la memoria: il capostipite, in ordine cro-nologico, fu Paolino Pieri, probabile testimone diretto, se non addiritturaoculare, dell’evento, al quale fecero seguito Giovanni Villani, Marchion-ne di Coppo Stefani, il canterino e banditore del Comune Antonio Puc-ci, e da ultimo Giorgio Vasari. Si tratta di una rappresentazione dell’in-ferno, realizzata nel fiume da un gruppo di fiorentini il giorno dicalendimaggio: un avvenimento che, come la rappresentazione brunelle-schiana dell’Annunciazione allestita nella chiesa di San Marco durante ilconcilio del 1439 per propagandare la riunione delle Chiese di Orientee di Occidente,22 e rimasta un hapax nella storia dello spettacolo fioren-tino, e proprio per questa sua eccezionalita merita una lettura approfon-dita, per quanto le notizie pervenuteci lo consentiranno.

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20 Riferimenti all’Arno ghiacciato e all’organizzazione occasionale di feste sulla sua su-perficie si trovano in R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze cit., VII, pp. 552-553, e in F. SALVE-

STRINI, Libera citta su fiume regale cit., p. 47: la sottoutilizzazione del fiume come luogo ceri-moniale e teatrale, da me riscontrata nella lettura delle cronache citate nel corso del presentelavoro, trova conferma nella documentazione spogliata e citata in entrambe queste opere, ein particolare nella seconda, interamente dedicata allo studio storico dell’Arno.

21 Questo spettacolo e ricordato da ALESSANDRO D’ANCONA, Origini del teatro italiano,Torino, Loescher, 18912, I, pp. 94-96, che si limita a sottolinearne il carattere non dramma-tico; da R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze cit., IV, pp. 377-378 e VII, p. 558, che lo menzionain relazione al crollo del ponte alla Carraia e alla presenza delle compagnie festive;R.C. TREXLER, Public life in Renaissance Florence cit., p. 220, che lo collega alla partecipazionedi popolani minuti; TIMOTHY VERDON, Effetti speciali nello spettacolo e nell’arte quattrocentesca, in«Biblioteca teatrale», n.s., 19/20 (1990), pp. 7-20: 9-12, che ne mette in luce la dimensionedi «Kolossal» scenotecnico.

22 Ho sostenuto questa ipotesi nel saggio: La propaganda unionista negli spettacoli fiorentiniper il Concilio del 1439, in La stella e la porpora. Il corteo di Benozzo e l’enigma del Virgilio Ric-cardiano, Atti del Convegno (Firenze, Biblioteca Riccardiana, 17 maggio 2007), Firenze, Po-listampa, 2009, pp. 23-47.

Data la relativa esiguita delle fonti che ne tramandano la memoria, ela difficolta, a questa altezza cronologica, di trovare altri episodi consimili,fiorentini e non, con i quali paragonarla per trarne possibili indizi inter-pretativi, ritengo opportuno riportare di seguito tutte le descrizioni in or-dine cronologico, cominciando da quella di Paolino Pieri:

Et poi ancora in questo tempo, nel trecento quattro piu di mille, il dı di Ca-len di Maggio; & per quello dı per allegrezza de la pace si fecero in Firenze piucompagnie & giuochi, intra quali fu una di Borgo San Friano, il Segnore de laquale il Sezza’ d’Aprile fece metter bando & ricordare a qualunque persona, ogrande o piccolo che fosse, che volesse sapere le novelle dell’altro mondo o vo-lesse ringiovanire, che l’altro dı andassero nel Reame di San Friano, che v’avea unbuono & molto verace Maestro venuto; per la quale novella & bando molti ven’an-daro, che non tornaro mai sanza esserne recate. Impercio che il die seguente,ch’era Calen di Maggio, dipo’ desinare vi si traeva quasi tutta Firenze. Un giuo-co si facea in Arno in piu navicelle, onde conciofosse cosa che ’l ponte era alloradi legname, tanta gente vi si rauno suso, che ’l peso fu sı pericoloso, che nonpossendo sostenere, cadde il ponte & caddero in Arno piu di due mila tra uo-mini, & femmine, & fanciulli, de’ quali da dovero moriro da cento in su, cheandaro nell’altro mondo, & sepperne bene veraci novelle, siccom’era profetato& bandito il dı d’innanzi, & piu ne sarebbero morti, se quelle navicelle che fa-cevano il giuco [sic], non vi fossero essute in Arno, che avrebbero altresı saputequelle novelle.23

Giovanni Villani, pur non trovandosi a Firenze al momento dell’av-venimento,24 aggiunge altri elementi alla descrizione del Pieri, certamenteraccolti da testimoni diretti:

Come cadde il ponte alla Carraia, e morivvi molta gente.In questo medesimo tempo che ’l cardinale da Prato era in Firenze, ed era in

amore del popolo e de’ cittadini, sperando che mettesse buona pace tra.lloro,per lo calen di maggio MCCCIIII, come al buono tempo passato del tranquilloe buono stato di Firenze,25 s’usavano le compagnie e brigate di sollazzi per lacittade, per fare allegrezza e festa, si rinnovarono e fecionsene in piu parti de

23 Cronica di Paolino Pieri Fiorentino delle cose d’Italia. Dall’anno 1080 fino all’anno 1305, acura di Anton Filippo Adami, Roma, nella Stamperia di Giovanni Zempel, 1755 (ristampaanastatica: Roma, Multigrafica, [1975]), p. 78, con interventi di ammodernamento nell’in-terpunzione e corsivi miei.

24 Si trovava, infatti, in Francia e nelle Fiandre: R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze cit., IV,p. 399, nota.

25 «Bonum et pacificum statum» e la formula politica ricorrente nei documenti e nellecronache per indicare i periodi di stabilita del regime.

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la citta, a gara l’una contrada dell’altra, ciascuno chi meglio sapea e potea. Infral’altre, come per antico aveano per costume quegli di borgo San Friano di farepiu nuovi e diversi giuochi, sı mandarono un bando che chiunque volesse saperenovelle dell’altro mondo dovesse essere il dı di calen di maggio in su ’l ponte allaCarraia, e d’intorno a l’Arno; e ordinarono in Arno, sopra barche e navicelle,palchi, e fecionvi la somiglianza e figura dello ’nferno con fuochi e altre pene e martori,e uomini contrafatti a demonia, orriboli a vedere, e altri i quali aveano figure d’animeignude, che pareano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissimegrida, e strida, e tempesta, la quale parea idiosa e spaventevole a udire e a vedere;e per lo nuovo giuoco vi trassono a vedere molti cittadini; e ’l ponte alla Carraia, ilquale era allora di legname da pila a pila, si carico sı di gente che rovino in piuparti, e cadde colla gente che v’era suso; onde molte genti vi morirono e anne-garono, e molti se ne guastarono le persone, sı che il giuoco da beffe avenne colvero, e com’era ito il bando, molti n’andarono per morte a sapere novelle del-l’altro mondo, con grande pianto e dolore a tutta la cittade, che ciascuno vi cre-dea avere perduto il figliuolo o ’l fratello; e fu questo segno del futuro danno che incorto tempo dovea venire a la nostra cittade per lo soperchio delle peccata de’ cittadini, sıcome appresso faremo menzione.26

Neppure Marchionne di Coppo Stefani, pote assistere personalmentealla festa in Arno, in quanto nel 1304 non era ancora nato,27 ma la sostan-ziale coincidenza fra il suo resoconto e quello dei due storici precedentine conferma l’attendibilita:

Come cadde il ponte alla Carraia, e perche, cioe per una festa.In questo anno addivenne che una festa si fece in Firenze, la quale con ban-

do fu gridata che chi volesse andare a vedere le pene dell’ ’nferno andasse adArno tra ’l Ponte alla Carraja e quello di Santa Trinita; e quivi ebbono moltiordigni di palchi sopra l’acqua e di barche, ch’erano acconce per modo che vi si fa-ceva fuochi e caldaie con acque e con pece, e con ogni generazione di pena e d’uomini informa di dimonj ed in forma d’anime; e cosı ando la cosa per modo che molti ven-nono a vedere; ed essendo il ponte alla Carraia di legname si carico per modo digente che non resse, e chi v’era suso, o la maggior parte, caddono di su in giunell’acqua e ne’ fuochi e in sul legname; di che molta gente si guasto e morı pervedere la detta festa, e cosı andarono a vedere come son fatte le pene dello ’nferno. Ecio fu nell’anno del Signore 1304.28

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26 Nuova Cronica di Giovanni Villani, edizione critica a cura di Giovanni Porta, Parma, Fon-dazione Pietro Bembo-Guanda, 1991, libro IX, cap. LXX, vol. II, pp. 131-132, corsivi miei.

27 Nacque, infatti, nel 1336: se ne veda la sintetica ma esauriente biografia, completa deiriferimenti bibliografici, di LORENZO TANZINI nel sito http://www.dssg.unifi.it/SDF/diziona-rio/Stefani.htm (maggio 2009).

28 MARCHIONNE DI COPPO STEFANI, Cronaca fiorentina, a cura di Niccolo Rodolico, in Re-

A queste testimonianze, e in particolare a quella del Villani che diret-tamente versifica, Antonio Pucci aggiunge alcuni dettagli di grande inte-resse che, pur non essendo stato neppure lui, presente allo spettacolo,29

egli stesso dichiara di aver ripreso da scritture precedenti («secondo ch’an-cor dicon le carte»):

Correvan gli anni allor del sagrificio 1mille trecento quattro, che lontanosi fece il Cardinal da tale ufficio.

Nel detto tempo in Borgo San Friano 4di giovani si fece una brigataa lor diletto, e poi d’ogni cristiano,

con nuovi giuochi e sı bene ordinata 7che malagevol mi sarebbe a direcome fu propiamente assimigliata.

Per tutta la citta fecer bandire 10che chi volıe novelle di vantaggiodell’altro mondo vedere ed udire,

andasse il giorno di Calen di Maggio 13al ponte alla Carraja, e di presentedell’altra vita vederebbe il saggio.

Onde vi trasse quel dı tanta gente 16ch’egli era pieno il ponte, e d’ogni partele case lungo l’Arno similmente.

E, secondo ch’ancor dicon le carte, 19sopra le pile il ponte era di travie non di pietre murato con arte.

Et in sull’Arno aveva piatte e navi 22con palchi d’assi: or udirai bel giuoco,e come que’ che’l facieno eran savj.

Dall’una parte avea caldaje a fuoco, 25dall’altra avea graticole e schedoni,ed un gran Diavol quivi era per cuoco.

Nella sentina avea molti dimonj, 28i qua’ recavan l’anime a’ tormenti,ch’ordinati erano di molte ragioni.

rum Italicarum Scriptores, XXX/1, n.s., Citta di Castello, S. Lapi, 1903, rub. 243, pp. 91-92,corsivi miei (cito dall’edizione anastatica: Reggello (Fi), FirenzeLibri, 2008).

29 Era, infatti, nato attorno al 1310, e aveva lavorato alla versificazione della Nuova cro-naca del Villani fino al 1373 o 1376: cfr. W. ROBINS, Antonio Pucci cit., p. 56, che si soffermaanche sulle modalita esecutive del poema pucciano.

13

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Qual si ponia sopra carbon cocenti, 31e qual nella caldaia che bollivae di sentina uscivano i lamenti.

La gente che d’intorno il pianto udiva 34e poi vedea a sı fatto governoco’ raffi e cogli uncin gente cattiva,

che parean tutti Diavoli d’inferno, 37ispaventevoli a chi li vedea,immaginando que’ del luogo eterno,

chi piangea di quello e chi ridea: 40ma chi avea d’uom conoscimentola verita del fatto conoscea.

L’anime ch’eran poste a tal tormento 43eran camice di paglia ripienee vesciche di bue piene di vento,

per modo acconcio che parevan bene, 46guardando dalla lunge le persone,che fosser poste a cosı fatte pene.

Sette tormenti v’eran per ragione, 49punendo i sette peccati mortali,e sovra ognuno scritto in un pennone:

«in questo luogo son puniti i tali». 52Alcuna volta v’avresti vedutiserpenti e draghi feroci con ali,

e contraffatti Diavoli cornuti 55che forcon da letame avieno in manodi piu ragion, tutti neri e sannuti.30

Questa festa, dunque, si distingue per la sua unicita, per la complessita

organizzativa, per la densita di significato e per il finale tragico con il crol-

lo del ponte alla Carraia, che probabilmente fu una delle ragioni che con-

tribuirono alla fortuna della trasmissione della notizia stessa, ripetutamen-

te ripresa da una cronaca all’altra.Il contesto in cui gli autori collocano consequenzialmente la menzio-

ne dello spettacolo e quello delle paci tra le famiglie, magnatizie e di po-

polo, ottenute dal Cardinale Niccolo da Prato come legato papale, in un

momento in cui i fiorentini sembravano ancora nutrire delle aspettative

positive sul loro esito. I primi anni del Trecento furono, infatti, per Fi-

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30 ANTONIO PUCCI, Centiloquio, in Delizie degli eruditi toscani, a cura di Ildefonso da SanLuigi, Firenze, Cambiagi, 1770-1789, IV, pp. 195-197, corsivi e numerazione dei versi miei.

renze anni di aperta guerra civile tra le fazioni dei guelfi bianchi e deiguelfi neri, tra i ‘grandi’ colpiti dagli Ordinamenti di Giustizia di Gianodella Bella, del 1293 – che li escludevano dalla partecipazione al governodel Comune –, e il ‘popolo grasso’, che cercava di mantenere il controllopolitico della citta. Le fonti storiche coeve, efficacemente sintetizzate daRobert Davidsohn, restituiscono l’immagine di un centro urbano costan-temente in armi, di fazioni in conflitto sempre pronte ad esplodere in oc-casione di un qualsiasi raduno, fosse esso una festa di matrimonio, unfunerale o anche una processione,31 di feroci omicidi compiuti impune-mente per le strade, di incendi e saccheggi delle case delle consorterie av-versarie, che culminarono negli scontri avvenuti fra il 4 e il 10 febbraiodel 1304, vedendo addirittura il tentativo, da parte di Corso Donati, didare fuoco al palazzo del Podesta: un vero e proprio inferno in terra, ali-mentato dalle ingerenze di papa Bonifacio VIII a favore dei guelfi neri. Ela stessa sequenza di conflitti che porto Dante Alighieri all’esilio.

Morto il bellicoso predecessore, il nuovo pontefice, Benedetto XI,volle cercare di mettere fine a quella terribile situazione, mandando ilCardinale Niccolo da Prato come arbitro esterno. Giunto in citta il 2marzo del 1304, il prelato domenicano fu accolto trionfalmente e otten-ne, gia pochi giorni dopo, la balıa «di fare pace tra’ cittadini d’entro e’loro usciti di fuori».32 Nel tentativo di coinvolgere la popolazione nellasua azione pacificatrice, e di rendersi cosı favorevole l’opinione pubblica,il Predicatore raduno ripetutamente la cittadinanza nelle piazze principali:in piazza San Giovanni il 17 marzo per la richiesta della balıa; in piazzaSanta Croce il 19 aprile per consegnare alle societa armate cittadine, dalui stesso ricostituite, i gonfaloni con le rispettive insegne; in piazza SantaMaria Novella, il 26 aprile, per sancire pubblicamente alcune riconcilia-zioni tra famiglie nemiche e il richiamo in patria di alcuni fuoriusciti.33

La lettura della festa in Arno va, dunque, spiegata alla luce di questopreciso contesto politico. Tornando alle fonti, sul piano dell’occasione edella responsabilita organizzativa, esse concordano nel definire: l’assolutanovita dello spettacolo (Villani, Pucci al v. 7); le date del bando pubblico

31 Per una piu precisa narrazione di tutti gli avvenimenti di questi anni, che si riferi-scono ad altrettanti momenti della faida fra Cerchi e Donati, mi limito a rimandare, datala necessita di contenere la lunghezza di questa relazione, al resoconto di R. DAVIDSOHN, Sto-ria di Firenze cit., IV, il cap. I: «Bonifacio VIII e Firenze».

32 Nuova Cronica di Giovanni Villani cit., libro IX, cap. LXIX, vol. II, p. 127.33 Per questi avvenimenti si veda ancora R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze cit., IV,

pp. 369-378, che indica specificamente i passi dei cronisti che li riportano.

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dell’avvenimento per le vie della citta – a sottolineare la volonta di richia-mare il maggior numero possibile di fiorentini –, il 30 aprile,34 e della rea-lizzazione dello spettacolo, il 1º maggio; la localizzazione nell’Arno degliapparati scenici, costruiti sulle barche di varia foggia e misura che veniva-no normalmente impiegate dai lavoratori fluviali per i loro traffici; la di-stribuzione degli spettatori sul ponte alla Carraia, allora di legname, e lun-go le sponde del fiume, particolarmente nel tratto proteso verso il ponte aSanta Trinita (Stefani); la molteplicita dei luoghi deputati collocati sulsupporto di una o piu imbarcazioni legate insieme; l’organizzazione pro-mossa da – o affidata a – una brigata festiva di carattere rionale (di giovanisecondo il Pucci, v. 5),35 quella di Borgo San Frediano Oltrarno («Reamedi San Friano» specifica il Pieri); 36 la realistica riproduzione scenica deiluoghi e dei supplizi infernali; l’uso sapiente di maschere, costumi, fan-tocci contraffatti per rendere verosimile, cioe credibile ed efficace, l’im-magine dell’inferno; la differenziazione delle pene e degli strumenti dellaloro esecuzione (graticole, caldaie piene di acqua bollente o di pece, fuo-chi, spiedi); infine l’indubitabile successo dell’iniziativa il cui enorme ri-chiamo di gente determino addirittura l’esito tragico del crollo del ponte.

Le precisazioni introdotte dal Pucci rispetto alle cronache precedentioffrono, inoltre, un quadro piu completo dello spettacolo, mettendone in

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34 Fraintende Trexler (Public life in Renaissance Florence cit., p. 220 nota) la testimonianzadel Pieri, segnalando che la compagnia responsabile della festa sarebbe stata guidata da un«signore» chiamato «il Sezza d’Aprile», perche l’edizione settecentesca della cronaca trascrivecon la maiuscola quello che e semplicemente l’uso fiorentino per indicare l’ultimo (‘sezza’,‘sezzaio’) giorno del mese: cfr. N. TOMMASEO – B. BELLINI, Dizionario della lingua italiana cit.,ad vocem.

35 Sui ‘giovani’ riuniti in gruppi rituali caratterizzati dall’eta anagrafica rimando soltantoa R.C. TREXLER, Public life in Renaissance Florence cit., pp. 387-399.

36 Importante notazione questa sul ‘Reame’, oltretutto dovuta all’unico possibile testi-mone diretto della festa, perche potrebbe essere un riferimento alle cosiddette Potenze, ladata di comparsa delle quali, nel panorama festivo fiorentino, non e ancora stata accertata.Si trattava di associazioni di giovani sottoposti («plebs» li definisce R.C. TREXLER, Public lifein Renaissance Florence cit., pp. 399-418) dedite ad attivita ludiche e ricreative politicamenterilevanti. Distribuite su base territoriale nei rioni di Firenze, rinominati ‘Regni’, ‘Reami’,‘Monarchie’, e identificate da proprie divise e insegne, esse assunsero un ruolo cerimoniale,non ancora del tutto messo a fuoco nelle sue funzioni e nelle modalita espressive, con picchidi maggiore visibilita in particolari congiunture: durante la signoria di Gualtieri di Brienne;negli ultimi anni dell’egemonia laurenziana, e poi, piu consistentemente, nel periodo gran-ducale, soprattutto nelle feste patronali di san Giovanni. Sulle Potenze cfr. anche DAVID RO-

SENTHAL, The Genealogy of Empires: Ritual Politics and State Building in Early Modern Florence, in«I Tatti Studies: Essais in the Renaissance», 8 (1999), pp. 197-234.

luce la sapiente orchestrazione delle varie componenti tecniche (visive,sonore, olfattive), evidentemente intesa ad amplificarne l’efficacia dida-scalica, giustamente attribuita dal poeta alla sapienza dei suoi ideatori(«or udirai bel giouco,/e come que’ che feciono eran savj», vv. 23-24), econsentendo in tal modo di avanzare anche una ipotesi sulla possibilecommittenza, quanto meno sul piano della concezione ideologica.37 Inprimo luogo, il poeta sottolinea non solo la differenziazione delle penee degli strumenti di tortura dei dannati, ma anche la loro dislocazionein luoghi deputati diversi (graticole da una parte, per arrostire i reprobi,caldaie dall’altra per bollirli), ottenuta grazie alla molteplicita delle imbar-cazioni usate come palchi. I diavoli-carnefici, spaventosi, cornuti, zannutie neri, armati di forconi, dovevano dare l’impressione di essere letteral-mente vomitati dalla sentina di queste barche che fingevano l’inferno,38

dalla quale uscivano anche le urla strazianti dei peccatori trascinati conuncini e arpioni («raffi»),39 oltre agli odori acri dei materiali bruciati pero con i fuochi (pece, indica il Pieri, e, possiamo credere, zolfo), certa-mente presenti a completare la verosimiglianza dell’apparato. A differenzadai demoni, i cui probabili interpreti furono i membri della stessa brigataorganizzatrice di San Frediano, i dannati erano fantocci di stoffa ripieni dipaglia o «vesciche di bue piene di vento», ancor piu leggere da trasportaree maneggiare, che potevano subire questi efferati trattamenti senza alcundanno reale e, da lontano, dovevano sembrare davvero persone vive.

L’effetto sul pubblico di questo sconvolgente spettacolo, non mancadi sottolineare il canterino, fu enorme, sia perche vivificava con suoni,azioni e odori quell’inferno che, fino ad allora, era stato evocato nel loroimmaginario soltanto dalle parole dei predicatori o dalle rappresentazioniiconografiche – pur sempre bidimensionali e mute per quanto impressio-nanti (e certamente dagli allora nuovi mosaici del Battistero di San Gio-vanni),40 – sia perche associava la loro diretta esperienza della visione delle

37 Sul piano finanziario, invece, non c’e nessun dato concreto al quale potersi affidare.38 Va segnalato che il termine ‘sentina’, usato dal Pucci non casualmente, indicava la

parte piu sudicia e nascosta delle navi, la fogna, e per questa ragione era passato a indicare,anche metaforicamente, il peggior livello di abiezione possibile (‘sentina di tutti i vizi’):N. TOMMASEO – B. BELLINI, Dizionario della lingua italiana cit., ad vocem.

39 «Raffi» e termine dantesco: cfr. alcune occorrenze ivi, ad vocem.40 La decorazione musiva del Battistero fiorentino, attribuita a Coppo di Marcovaldo

quanto meno per il disegno dei cartoni dell’inferno, e databile al 1270 ca.: cfr. JEROME BA-

SCHET, Les justices de l’au-dela. Les representation de l’enfer en France et en Italie (XII e-XVe siecle),Rome, Ecole Francaise de Rome, 1993, pp. 206-228, e CINZIA CONSOLI, Il ‘Giudizio Finale’

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transitorie sofferenze subite dai condannati dalla giustizia a pene corporali– che normalmente venivano eseguite in luoghi pubblici perche fosserodi monito alla collettivita –,41 all’eternita dei supplizi infernali che sareb-bero potuti toccare loro per i peccati commessi, come non mancava diminacciare dal pulpito un predicatore di provata sapienza retorica qualeGiordano da Pisa:

In questo mondo sono molte pene imperfecte, pero che l’omo nolle potreb-be sostenere: che l’omo non potrebbe sostenere, due dı innanti ch’elli fusse me-nato ad tagliarsi lo capo, le pene di tagliarsi la carne, pero che la vita dell’omopogo puote sostenere. Anco veggiamo che quasi non dura lo facto del tagliaredel capo, che l’omo ne muore. Unde qui [scil.: in terra] non puo essere tormen-to perfecto. Ma quine [scil.: all’inferno] tutti li membri potranno essere tormen-tati et tante volte quante Dio comandera, et in ciascuna parte del corpo. Undetutte le budella saranno di fuoco et sosterranno somme pene. [...] Tutte le penedi questo mondo sono temporali et non possono essere perpetue. Unde le con-dennagioni di questo mondo non possono dare <pene> perpetue, ma tempo-rali. Or, se voi temete cosı queste pene temporali che sono nulla, come non te-mete di quella condennagione che conterra pena eternale? Di quella dannationenon potrete mai iscire.42

Di grande importanza, infine, e anche la menzione della presenza disette diverse tipologie di punizioni riservate a ciascuno dei sette vizi ca-pitali con le relative didascalie esplicative (vv. 49-52), perche rimandaal settenario dei peccati – vale a dire alla classificazione canonica alla qualefacevano riferimento tanto predicatori e confessori, quanto i fedeli – che,proprio in quei primissimi anni del Trecento, stava entrando nell’icono-

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del Battistero di Firenze e il suo pubblico, in «Quaderni medievali», 9 (1980), pp. 55-83: 63. Ri-salta in primo piano, in basso sulla destra, nella rappresentazione dell’inferno, un dannato in-filzato in uno spiedo e rigirato da un demonio munito di «raffio», mentre un altro, in veste dicuoco, lo unge con una salsa bollente. Non sembrano esservici, invece, calderoni per la bol-litura dei peccatori.

41 Su questo argomento mi limito a rimandare ad ANDREA ZORZI, Rituali di violenza, ce-rimoniali penali, rappresentazioni della giustizia nelle citta italiane centro-settentrionali (secoli XIII-XV), in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, Atti del Convegno internazio-nale (Trieste, 2-5 marzo 1993), a cura di Paolo Cammarosano, Roma, Ecole Francaise deRome, 1994, pp. 395-425; ID., La giustizia, le pene, la pace, in Storia della civilta toscana, I. Co-muni e signorie, a cura di Franco Cardini, Firenze, Cassa di Risparmio di Firenze-Le Monnier,2000, pp. 189-209.

42 GIORDANO DA PISA, Prediche inedite (dal ms. Laurenziano, Acquisti e Doni 290), a cura diCecilia Iannella, Pisa, ETS, 1997, predica V, pp. 47-48, con qualche lieve modifica nella in-terpunzione.

grafia del Giudizio Universale su iniziativa di artisti dell’Italia centrale, a ca-postipite dei quali si poneva il Giotto della cappella padovana degli Scro-vegni, realizzata fra il 1303 e il 1305.43 Rispetto all’indifferenziato infernodel Battistero di San Giovanni, invaso dalla presenza unificante del fuoco,e a quello gia compartimentato ma privo di didascalie della visione giot-tesca, questo della festa in Arno, se diamo fede alla testimonianza del Puc-ci, sembrerebbe aver introdotto una novita espressiva che sarebbe diven-tata una dominante iconografica soltanto dopo l’esecuzione degli affreschidi Buonamico Buffalmacco nel Camposanto di Pisa (1336-1340 ca.),44

che esercitarono un’immediata influenza sugli analoghi dipinti fiorentinieseguiti da Andrea Orcagna (1345 ca.) in Santa Croce e da Nardo di Cio-ne nella cappella Strozzi di Santa Maria Novella (1350-57 ca.). Al Buffal-macco, non a caso, il Vasari attribuı l’ideazione della festa in Arno:

Scrivono alcuni che, essendo Buonamico in Firenze e trovandosi spesso congli amici e compagni suoi in bottega di Maso del Saggio, egli si trovo con moltialtri a ordinare la festa che, in dı di calendi [sic] maggio, feciono gli uomini diBorgo San Friano in Arno sopra certe barche; e che quando il ponte alla Carraia,che allora era di legno, rovino per essere troppo carico di persone che erano cor-se a quello spettacolo, egli non vi morı, come molti altri feciono, perche quandoappunto rovino il ponte in sulla macchina che in Arno sopra le barche rappre-sentava l’inferno, egli era andato a procacciare alcune cose che per la festa man-cavano.45

L’associazione del nome di Buffalmacco a questo spettacolo e certa-mente suggestiva – anche se indimostrabile sulla scorta delle testimonian-ze coeve finora note –, sia per il particolare carattere dell’artista, un bello

43 Sul settenario dei peccati mi limito a rimandare al bel volume di CARLA CASAGRANDE –SILVANA VECCHIO, I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo, con un saggio di JeromeBaschet, Torino, Einaudi, 2000; sull’iconografia dell’inferno il riferimento fondamentale ea J. BASCHET, Les justices de l’au-dela cit.

44 Sui quali, oltre alla bibliografia ‘infernale’ sopra citata, rimando solo a LUCIANO BEL-

LOSI, Buffalmacco e il ‘Trionfo della Morte’, Milano, Continents Editions, 2003 [ed. or. Torino,Einaudi, 1974], al quale si devono l’attribuzione degli affreschi pisani al Buffalmacco e la da-tazione sopra indicata. Sulla novita iconografica dell’introduzione della classificazione sette-naria dei peccati, con le relative didascalie esplicative, da parte di Buffalmacco e degli ideatoridel programma del Camposanto pisano, cfr. JEROME BASCHET, I peccati capitali e le loro punizioninell’iconografia medievale, in C. CASAGRANDE – S. VECCHIO, I sette vizi capitali cit., pp. 225-260:237-241.

45 GIORGIO VASARI, Vita di Buonamico Buffalmacco, in Le opere di Giorgio Vasari, a cura diGaetano Milanesi, Firenze, Sansoni, 1906, I, pp. 510-511.

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spirito protagonista di alcune novelle di beffa del Boccaccio e del Sac-chetti; 46 sia per l’espressionismo antigiottesco e spesso grottesco dellasua pittura,47 che ben si attaglierebbe alle descrizioni cronistiche del no-stro inferno fluviale, come anche all’ironia sottesa a quell’invito a «saperele novelle dell’altro mondo» (Pieri); sia per l’innovazione dell’iconografiadel Giudizio Universale, con l’introduzione del settenario dei vizi esplici-tato dai cartigli che, sempre volendo dar fede al Pucci, verrebbe a trovarela sua prima attestazione proprio nella festa del 1304, anticipando gli af-freschi pisani del Buonamico stesso; sia, infine, perche l’unico probabiletestimone diretto dello spettacolo, Paolino Pieri, specifica che la compa-gnia di San Frediano «avea un buono & molto verace Maestro», a sotto-lineare il fatto che, pur non nominandolo, l’inventore tecnico di questoevento doveva essere reputato uomo di grande perizia.48

Per quanto riguarda l’attendibilita del Pucci, in quanto fonte seriore aifatti, essa rimane tanto difficile da certificare quanto l’attribuzione vasaria-na al Buffalmacco: metodologicamente non si puo, infatti, evitare di do-mandarsi se il rispecchiamento, nella struttura dell’apparato scenico, delsettenario dei peccati illustrati dalle relative didascalie – cui lui solo, frai vari testimoni, allude –, fosse reale, o se il poeta fosse stato influenzatodall’iconografia dell’inferno posteriore al modello pisano. I pennoni, inparticolare, ossia le bandiere con l’iscrizione dei peccati, sollevano qual-che perplessita sulla loro concreta realizzazione: avrebbero, infatti, dovutoessere enormi per essere leggibili, considerando la distanza che doveva se-parare il pubblico, raccolto sui ponti e sulle sponde dell’Arno, dalle bar-che collocate nel fiume; oppure avrebbero potuto esservi banditori e re-citanti incaricati di declamarne i testi fra gli spettatori.

Il dato che, pero, emerge con inequivocabile evidenza da tutte le fon-ti, al di la delle lacune informative sui dati tecnici – che, in realta, costi-tuiscono la regola e non l’eccezione nella documentazione sulla storia de-

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46 Si tratta, rispettivamente, delle novelle VIII, III, VI, IX; IX, V, del Decameron, e CXXXVI,CLXI, CLXIX, CXCI, CXCII, del Trecentonovelle.

47 Questo particolare stile ha contribuito alla decisa attribuzione del Giudizio Universaledel Camposanto pisano al Buffalmacco da parte di L. BELLOSI, Buffalmacco e il ‘Trionfo dellaMorte’ cit., passim.

48 Secondo il Vasari Buonamico morı nel 1340, all’eta di 78 anni (ma nella prima edi-zione delle Vite gli attribuisce 68 anni: cfr. Le opere di Giorgio Vasari cit., p. 519 e nota; eL. BELLOSI, Buffalmacco e il ‘Trionfo della Morte’ cit., p. 120). In entrambi i casi, nel 1304 Buf-falmacco avrebbe avuto una maturita anagrafica e artistica (32 o 42 anni) compatibile con lafama attribuitagli dalle fonti.

gli spettacoli del passato –, e la natura didascalica della festa in Arno del1304 che, nella sua assoluta unicita e nella scelta del soggetto, si puo spie-gare, a mio avviso, soltanto mettendola in relazione con la guerra civiledei mesi precedenti, e considerandola come la manifestazione di un po-tente monito, reso tanto piu efficace dall’espressivita e dalla verosimi-glianza proprie della comunicazione teatrale, contro le inimicizie e i con-flitti interni che, provocando omicidi, saccheggi, tradimenti, rapine e viadicendo, avevano, e avrebbero se non fossero cessati, indotto i fiorentini acontinuare a violare i peccati capitali rappresentati nella festa e a spianarsicosı la strada verso l’eternita delle pene infernali: le «novelle dell’altromondo». Non a caso il Villani, scrivendo diversi anni dopo l’avvenimentoe leggendolo alla luce delle lotte intestine che avevano continuato a la-cerare la citta anche in seguito, aveva commentato il crollo del ponte allaCarraia come un annuncio della punizione divina che avrebbe colpito ifiorentini con la grande alluvione del 1333, dando voce ad un diffusosentimento di precarieta esistenziale, certamente legato anche alle discor-die civili, cui certamente si accompagnava la contemporanea rinnovatafortuna iconografica del tema del Giudizio Universale: «e fu questo segnodel futuro danno che in corto tempo dovea venire a la nostra cittade perlo soperchio delle peccata de’ cittadini».49

Alla luce delle fonti e dell’insieme di considerazioni fin qui esposto,credo che l’ambito ideologico al quale far risalire l’invenzione di questospettacolo non possa che essere quello domenicano. Alla tradizione do-menicana, e specificamente alla Summa Theologiae di san Tommaso d’A-quino,50 risale il primo vero riconoscimento della liceita del teatro – enella fattispecie del mestiere dell’attore – come strumento di sollievo del-lo spirito umano, quando esso non avvenga in luoghi o con contenuti,gesti e strumenti che possano indurre al peccato: grazie a questa inizialeriabilitazione, infatti, fin dalla fine del Duecento lo spettacolo fu semprepiu spesso assunto come strumento di educazione accanto e insieme allapredica, come nel caso della quattrocentesca sacra rappresentazione fio-rentina, legata all’opera pastorale e pedagogica di sant’Antonino Pieroz-

49 La descrizione del «diluvio» del 1333, e il successivo dibattito sorto fra i savi e i re-ligiosi fiorentini se fosse da interpretare come una semplice calamita naturale o come unavera punizione divina (risposta, quest’ultima, per la quale propende senza incertezze il Vil-lani), si legge nel libro XII, capp. I-II della Nuova Cronica di Giovanni Villani cit., vol. III,pp. 3-26.

50 Secunda pars secundae partis, quaestio 168, art. 3. La Summa e consultabile on-line all’in-dirizzo http://www.corpusthomisticum.org/iopera.html (giugno 2009).

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zi.51 Alla medesima tradizione si deve anche l’applicazione sistematica delsettenario dei peccati tanto alla predicazione quanto all’iconografia delGiudizio Universale, come conferma proprio la matrice domenicana degliaffreschi pisani del Camposanto, la cui ideazione e stata a ragione ricon-dotta allo Studium del convento di Santa Caterina presso il quale lo stessoGiordano da Rivalto si era formato.52 Le circostanze politiche in cui lospettacolo fu realizzato potrebbero addirittura autorizzare ad avanzare l’i-potesi verosimile che l’iniziativa sia da attribuire a quello stesso CardinaleNiccolo da Prato che, consapevole dell’efficacia persuasiva della cerimo-nialita pubblica, non aveva esitato, fin dal suo arrivo in citta, a radunarepiu volte i fiorentini nelle piazze per conferire solennita al proprio ope-rato di paciere, e che forse aveva anche ideato la festa in Arno confidandonella forza deterrente dello strumento teatrale per scoraggiare possibili fu-ture riprese dei conflitti intestini.

4. In conclusione, considerando le potenzialita dell’Arno come luogoteatrale evidenziate proprio dalla festa del 1304, credo sia necessario avan-zare qualche ipotesi anche sulle possibili motivazioni della sua sottoutiliz-zazione, a Firenze, per la realizzazione di spettacoli durante l’eta repub-blicana.

Una prima spiegazione potrebbe derivare dallo stretto rapporto inter-corrente fra il fiume e alcune categorie di lavoratori salariati, soprattuttoquelli impegnati nei mestieri piu umili e sporchi quali la concia dei pel-lami, la tintura della lana, la macellazione degli animali, cioe con quei sot-toposti che avevano da sempre creato problemi ai regimi di popoloalleandosi con i magnati o appoggiando i tentativi di rivolgimenti poli-tici di tendenza assolutistica, come nel caso della breve signoria di Gual-

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51 Sul rapporto fra la sacra rappresentazione e Antonino Pierozzi mi permetto di riman-dare a PAOLA VENTRONE, Per una morfologia della sacra rappresentazione fiorentina, in Teatro e cul-ture della rappresentazione. Lo spettacolo in Italia nel Quattrocento, a cura di Raimondo Guarino,Bologna, il Mulino, 1988, pp. 195-225; EAD., La sacra rappresentazione fiorentina: aspetti e pro-blemi, in Esperienze dello spettacolo religioso nell’Europa del Quattrocento, Atti del XVI Convegnodel Centro Studi sul Teatro Medioevale e Rinascimentale (Roma-Anagni, 17-21 giugno1992), a cura di Miryam Chiabo e Federico Doglio, Roma, Torre d’Orfeo, 1993, pp. 67-99; EAD., La sacra rappresentazione fiorentina, ovvero la predicazione in forma di teatro, in Letteraturain forma di sermone. I rapporti tra predicazione e letteratura nei secoli XIII-XVI, Atti del Seminario(Bologna, Scuola Superiore di Studi umanistici, 15-17 novembre 2001), Firenze, Olschki,2003, pp. 255-280.

52 Sul rapporto fra l’affresco del Camposanto e la cultura domenicana cfr. J. BASCHET,Les justices de l’au-dela cit., pp. 327-337.

tieri di Brienne (1342-43).53 Dal momento che le sole feste legate all’Ar-no che abbiamo incontrato per il periodo precedente il principato – laregata dei navicelli e il bagno invernale dei marginali di Mercato Vecchio –avevano come protagonisti gente minuta, e possibile che l’esclusione delfiume dalla celebrazione identitaria di san Giovanni, e in generale dal pa-norama cerimoniale fiorentino confraternale e corporativo, sia dipesa daltentativo di sminuire l’importanza e l’autonomia di questi gruppi sociali edella visibilita che la festa poteva dare loro, tagliando fuori il corso d’ac-qua dai luoghi di spettacoli ricorrenti.

A questa motivazione potrebbe aggiungersi quella della liminalita delfiume in quanto luogo di giustizia ma, soprattutto, di eliminazione ritualedei cadaveri,54 che poteva portare ad una sua connotazione negativa inquanto contaminato dalla morte violenta, benche questa funzione nonimpedisse ad altre citta, come la stessa Pisa, di usare ugualmente i fiumicome luoghi di spettacolo.

Un’ultima ragione potrebbe trovarsi nella spinta centrifuga che, so-prattutto nelle turbolente vicende dei conflitti magnatizi e del difficile as-sestamento di un sistema governativo relativamente stabile che, di fatto,riuscı a delinearsi solo alla fine del Trecento, l’Oltrarno aveva sempreesercitato sui tentativi di affermazione di un potere centralizzato nel polocittadino settentrionale di piu antico inurbamento, eleggendo la zonameridionale della citta a luogo di arroccamento – favorito dal piu agevolecontrollo militare dei ponti – di tutte le principali rappresaglie magnati-zie.55 Quest’ultima motivazione potrebbe trovare conferma nel piu fre-quente impiego del fiume come luogo teatrale in eta granducale, e nellasua inclusione nel percorso cerimoniale della festa di san Giovanni, dovu-ti, entrambi, al nuovo rilievo urbanistico acquisito dal quartiere di Oltrar-no dopo il trasferimento della corte medicea a Palazzo Pitti, che ne avevadefinitivamente annullato le tendenze centrifughe e qualsiasi potenzialitaeversiva.

53 Su questo biennio cruciale per la storia fiorentina si veda la lucida ricostruzione diNICCOLO MACHIAVELLI, Istorie fiorentine cit., libro II, capp. 33-37, pp. 680-687.

54 Per la quale rimando alla relazione di Andrea Zorzi in questi stessi atti.55 Sulla tendenza ‘autonomistica’ dell’Oltrarno cfr. RONALD F.E. WEISSMAN, Ritual Bro-

therhood in Renaissance Florence, New York, Academic Press, 1982, in particolare il cap. I; eNICHOLAS A. ECKSTEIN, The District of the Green Dragon. Neighborhood life and social change inRenaissance Florence, Firenze, Olschki, 1995.

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