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«Noi tendiamo ad identificare la cultura con la nostra cultura: quindi la morale con la nostra morale e l'ideologia con la nostra ideologia. Questo significa: 1)che non usiamo la parola in senso scientifico. 2)che esprimiamo con questo, un certo insopprimibile razzismo verso coloro che vivono, appunto, un'altra cultura» Pier Paolo Pasolini, 1975

IL CIMITERO EBRAICO IN ITALIA: STUDIO DI UN LUOGO DELLA MEMORIA E DEL SUO ASPETTO STORICO-RELIGIOSO

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«Noi tendiamo ad identificare la cultura con la

nostra cultura: quindi la morale con la nostra

morale e l'ideologia con la nostra ideologia. Questo

significa:

1)che non usiamo la parola in senso scientifico.

2)che esprimiamo con questo, un certo

insopprimibile razzismo verso coloro che vivono,

appunto, un'altra cultura»

Pier Paolo Pasolini, 1975

Il cimitero ebraico in Italia 1

IL CIMITERO EBRAICO IN ITALIA: STUDIO DI UN LUOGO

DELLA MEMORIA E DEL SUO ASPETTO STORICO-RELIGIOSO

Questa ricerca, ha lo scopo di promuovere la conservazione e la valorizzazione di un

elemento ben preciso, facente parte del patrimonio culturale ed identitario delle comunità

ebraiche; i cui membri, con il loro straordinario lascito, hanno testimoniato e testimoniano

ancora oggi, la presenza di oltre duemila anni di storia.

S’intende, dunque, proporre un’indagine accurata dei maggiori luoghi di sepoltura ebraici,

analizzati dal punto di vista della storia, della religione e della storia dell’architettura.

Partendo dagli “orti” o “campanacci” medievali e rinascimentali, fino ad arrivare alle sezioni

israelitiche nei cimiteri moderni, si arriverà a spiegare la regolamentazione degli spazi,

gestiti in un clima di antigiudaismo e di diffidenza nei confronti delle varie comunità

ebraiche.

Tuttavia, il patrimonio a cui abbiamo accennato, è caratterizzato non solo dalla presenza di

queste “città dei morti”, ma dalle Sinagoghe, dalle catacombe ebraiche di Venosa e Roma ad

esempio, dai grandi Templi dell’Ottocento e del Novecento e da tutto ciò che venne ricavato

dai piccoli spazi dei vari ghetti.

Ci soffermeremo, in maniera più ampia, sulla fitta rete di cimiteri ebraici che per la loro

antichità ed il loro valore artistico, rappresentano un patrimonio fondamentale per la

conoscenze della presenza ebraica in Italia e per la stessa storia del paese.

Più della metà del patrimonio artistico presente nel mondo è concentrato in Italia e quello

ebraico ne rappresenta un tassello vasto ed importante; non stupisce, dunque, che oggi nel

nostro paese ci siano musei e strutture adibite alla conservazione del patrimonio culturale

e artistico di questo tipo.

Non sorprende che molti musei trattino, ovviamente, di temi legati alla Shoah, come ad

esempio quello di Roma o di Ferrara e l’esigenza di promuovere strutture di questo tipo si è

Il cimitero ebraico in Italia

sviluppata, in maniera quasi prepotente, dopo la fine della seconda guerra mondiale,

quando si è fatta più urgente la necessità di riunire in un determinato luogo, oggetti,

documenti, arredi e tutto quando rappresentasse la testimonianza dei vari accaduti.

Inoltre, molte comunità sparse sul territorio e nel periodo successivo al 1945, erano

diventate molto esigue o erano scomparse del tutto: l’urbanizzazione aveva, infatti, indotto

già all’inizio del Novecento, molti ebrei, a spostarsi dalla campagna nei grandi centri urbani,

dove nascevano le industrie; la persecuzione e la deportazione avevano poi inflitto un

nuovo duro colpo alla vita comunitaria; tuttavia, fin dagli anni successivi alla cacciata dalla

Spagna, gli ebrei si stanziarono in moltissime città d’Italia, a partire da Casale Monferrato,

città destinata ad essere per secoli un’importante punto di riferimento per l’ebraismo

italiano; è proprio in quei secoli che, mentre in gran parte del Piemonte i Savoia attuavano

politiche contrarie agli ebrei, nel Monferrato i Gonzaga furono più tolleranti, ma nonostante

ciò gli ebrei monferrini consideravano la loro posizione sempre in bilico tra la condizione

di straniero e quella di suddito, con sbilanciamenti da una parte o dall’altra, a seconda delle

epoche e dei regnanti: per continuare a vivere in città talvolta dovevano versare ai sovrani

ingenti tributi a sostegno delle spedizioni militari o di particolari concessioni che veniva-

no attribuite di volta in volta.

UNA STORIA ROMANA.

Non va dimenticato che, dalla seconda metà del Cinquecento, molti degli ebrei cacciati dalla

Spagna, non si stabilirono solo nella zona di Monferrato, ma anche sul lido romano prima e

all’interno della città poi; il punto di partenza per una riflessione importante, potrebbe

essere il 1555, l’anno dell’elezione al soglio pontificio di Gian Pietro Carafa, che scelse il

nome di Papa Paolo IV e fu il fautore della bolla definita “infame”: Cum Nimis Absurdum, con

cui il pontefice andò ad istituire i ghetti nello Stato della Chiesa.

Fu per suo volere, che gli ebrei presenti sul territorio, si affrettarono a traslocare nei

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quartieri a loro riservati e non solo a cambiare mestiere, ma ad adeguarsi ad uno stile di

vita completamente nuovo, che prevedeva anche l’umiliazione e l’isolamento culturale; la

reclusione degli ebrei nel ghetto di Roma, nel 1555, oltre a relegare questa gente ai margini

della città, fu un evento traumatico e di rottura, in quella che all’epoca era una storia più

che millenaria.

Intanto il mondo andava incontro al cambiamento e la prepotente comparsa di Martin

Lutero e di altri riformatori, ne era un esempio, ma pensiamo anche al continuo conflitto

con l’impero Ottomano; fu proprio in questo quadro che ci si cominciò ad interrogare sulla

sorte degli ebrei e proprio Paolo IV, riprese in mano le vecchie regole sulla separazione

fisica dai cristiani e sull’umiliazione servile a cui il gruppo doveva essere sottoposto.

GLI EBREI E LO SPAZIO PUBBLICO.

Molto importante, ai fini di questa ricerca sullo studio di uno spazio identitario e pubblico

così importante come il cimitero ebraico, sarà comprendere la gestione dell’unica forma di

proprietà immobiliare concessa agli ebrei nella seconda metà del 1500; parliamo della

Gazagà, cioè il titolo di possesso in enfiteusi di un bene.

Nel 1592 il cardinal camerlengo Enrico Caetani, intestò a tale Mosè Sacerdoti, una

inhibitione in Curia per viam accessum, quest’ultimo chiese ed ottenne, dunque, una

protezione speciale dalla vigilanza e dagli impedimenti frapposti dalla Presidenza delle

Strade al libero sfruttamento del suo posto nel mercato di Piazza Navona.

Ma com’era gestito lo spazio riservato agli ebrei? Oltre alle botteghe, la comunità poteva

affittare anche delle porzioni di suolo pubblico, talvolta riparato da portici, su cui i

venditori erigevano le strutture necessarie ad esercitare il proprio mestiere; proprio come

avveniva con le gazagòt delle abitazioni (lo jus gazagà era lo speciale diritto di inquilinato

di cui godevano gli ebrei costretti a vivere nei ghetti), questi titoli di possesso potevano

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essere suddivisi in quote, oggetto di compravendita o entrare in un asse ereditario.

Si trattava di un vero e proprio patrimonio, parte integrante del capitale di un singolo o di

una famiglia; ora, in linea di massima, i posti di mercato e le zone adibite al lavoro ed ai

mestieri, si trovavano dentro il quartiere ebraico o nelle sue immediate vicinanze,

nonostante la segregazione, queste zone brulicavano di contatti, scambi e commerci, dando

vita ad una cittadella sita proprio nel cuore della Roma dei papi.

L’inizio di questa fase, molto dura per gli ebrei romani, costituiva solo l’inizio di un periodo

altrettanto difficile, che sarebbe durato fino al XIX secolo; con la fase dei ghetti e della

gestione degli spazi dedicati alla comunità ebraica, iniziò una vera e propria resistenza

culturale da parte di una minoranza nei confronti di un potere che operava pressioni

profuse, con lo scopo di convincere gli ebrei a rinunciare alla propria identità culturale e

religiosa.

Il cimitero ebraico in Italia

INTRODUZIONE.

Sul suolo italiano, esiste una fitta rete di cimiteri ebraici, attualmente, solo una piccola

parte di questi sono in uso e aperti regolarmente al pubblico mentre la maggior parte versa

in condizioni del tutto precarie.

Il valore artistico e il tesoro rappresentato dalle opere marmoree che sovrastano alcune

tombe, rappresentano, come detto, un patrimonio di valore inestimabile per la conoscenza

della comunità ebraica del nostro paese tutto.

Mentre, in alcuni casi, queste testimonianze sono andate distrutte, oggi è cura di molti

comuni, compiere numerosi sforzi per la salvaguardia e la catalogazione di questo

patrimonio che, altrimenti, rischia di essere perduto.

In questo momento, i cimiteri ebraici esistenti sul suolo nazionale (e divisi per regione)

sono i seguenti:

Cimiteri della Lombardia

Del Piemonte

Del Trentino-Alto Adige

Del Veneto

Della Liguria,

Del Friuli-Venezia Giulia

Dell’Emilia-Romagna

Della Toscana

Delle Marche

Dell’Umbria

Del Lazio

Passeggiare nei cimiteri ebraici, quindi, non vuol dire recarsi soltanto a Praga, Vienna o

Varsavia, ma anche Ferrara, Venezia e Roma, a prova del fatto che il nostro paese è ricco di

testimonianze cimiteriali importanti e che meritano di essere conosciute e riconosciute

nella loro suggestione.

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Emblematiche le parole di Primo Levi, nella premessa di un testo come “La comunità

Ebraica di Venezia e il suo antico cimitero”, di Aldo Luzzatto: “Nei cimiteri ebraici, non si ha,

o almeno non predomina, l’impressione del lutto. Il lutto è quello recente e struggente di chi

ha perduto un familiare, una persona cara che ha frequentato, di cui ricorda le fattezze, le

abitudini, la voce.

Qui il lutto è remoto, travolto dai secoli: prevale la sensazione della pace, del riposo eterno che

tutti i rituali promettono ai defunti, su tutti si estende il mantello verde dei rampicanti,

immagine della vita greggia, immemore, che sommerge il ricordo”.

Tra i numerosi simboli della religione ebraica, grappoli d’uva, mani benedicenti dei

Kohanim e brocche dei Leviti, in questi luoghi si può conoscere, attraverso le iscrizioni sulle

pietre tombali, la storia di una comunità, ma anche dei singoli; soffermarsi su uno spaccato

di vita che oggi non esiste più, ma che continua nella pace eterna.

Con queste premesse, misurarsi con lo studio di un tema come quello dei luoghi di

sepoltura ebraici, vuol dire entrare in contatto con un concetto, altresì caro alla concezione

ebraica del mondo: quello della memoria; la stessa memoria che serve a tenere il ricordo

vivo e longevo, oltre a fornire un’idea storica ed antropologica della visione della morte

nell’uomo.

Si affronteranno le vicende delle comunità ebraiche presenti sul suolo italiano, tra il XV e il

XVIII secolo, riguardanti la continua ricerca di uno stile “giudaico” e la continua ricerca di

terreni da adibire a cimiteri o su cui costruire nuove sinagoghe.

Nel periodo precedente è possibile trovare numerosi piccoli cimiteri ebraici, nati in

maniera del tutto autonoma, in centri urbani di dimensioni medie e collocati in zone

periferiche.

Inoltre, l’eclettica commissione di stili, soprattutto legata alle iconografie orientaliste che

fra la seconda metà del XIX secolo e i primi due decenni del Novecento contraddistinguono

l’architettura sinagogale, prevede una non banale trasposizione nell’architettura funeraria.

Certo è, che da questo punto di vista, appare come particolarmente interessante, l’intreccio

tra le questioni normatico-religiose legate alla tradizione; molti studiosi hanno ripresentato

l’analisi di alcuni casi legati alle politiche antiebraiche messe in atto dal medioevo fino al

Il cimitero ebraico in Italia

1938, in cui ci furono conseguenze anche per gli spazi cimiteriali ebraici che furono oggetto

costante di violazioni e profanazioni.

Per comprendere l’importanza dei cimiteri ebraici è, infine, necessario sottolineare come

alcune regole della ritualità funebre e di sepoltura abbiano fortemente influito

sull’immagine di questi luoghi e generato una grammatica dello spazio di sepoltura

giudaico molto originale.

DAL DECESSO ALLA SEPOLTURA: METODOLOGIE DEL LUTTO EBRAICO.

Una delle verità religiose fondamentali del culto ebraico, è rappresentata dall’assoluto

obbligo di visita ai malati, una visita che ha lo scopo di portare sollievo psicologico ed aiuto

materiale; tutti, senza limiti di sesso o età, sono sottoposti a questo dovere.

Quando, nei casi più gravi, l’agonizzante muore, i suoi occhi vanno chiusi ed il corpo,

incluso il volto, saranno coperti totalmente.

Circa venti minuti dopo il decesso, il corpo avvolto dal lenzuolo bianco va steso in terra e

intorno alla salma vanno disposte delle candele a testimoniare l’importanza della luce come

simbolo dell’anima; al posto del lenzuolo possono essere usati specifici teli di lino, chiamati

Takhrikhin e costituiti di due parti: una a forma di camicia e l’altra a forma di pantaloni.

Fondamentale, prima della sepoltura, è il lavaggio detto anche Rechitzah, un rito che segue

un ordine ben preciso e di solito viene curato da personale specializzato che sa come

muoversi; in questa fase avviene il taglio delle unghie e la rasatura della barba.

Finché la salma del defunto sarà in casa, non si potrà mangiare vicino a lui, se proprio

questo non si potesse evitare, sarebbe meglio mangiare in un’altra stanza o mettere un

divisorio fra se e il corpo senza vita; mangiare di fronte a un defunto è una grande

mancanza di rispetto, perciò questa regola vale sia per le persone in lutto che per tutte le

altre.

Molto importante è anche il rito legato alla lacerazione delle vesti (Qeri’ ah), mentre

anticamente, questa era una pratica che riguardava tutti coloro che erano stati in contatto

Il cimitero ebraico in Italia

col defunto, successivamente il tutto è stato ridimensionato: l’obbligo sussiste per coloro

che sono in lutto e sono coinvolti a livello famigliare, quindi: genitori, fratelli, figli, coniuge.

La lunghezza della lacerazione deve essere di almeno 10 cm ed è raccomandabile sia fatta

in privato, soltanto dopo la lacerazione del vestito e trascorsi sette giorni, suddetto potrà

essere ricucito, ma solo in modo sommario e trascorsi i trenta giorni dal decesso, si potrà

rammendare in maniera più precisa.

IL LUTTO PRIMA DELLA SEPOLTURA.

Tutti sono tenuti ad osservare la Aninùth, ovvero il lutto che precede la sepoltura, esso è lo

stato dell’Onén, cioè di colui che è in lutto e che non ha ancora sepolto la persona cara;

Onén vuol dire “addolorato” e quando questo stato d’animo è presente, la persona che

dovrà affrontarlo, dovrà osservare determinati divieti: egli non potrà sedere ad una tavola

imbandita e dovrà consumare il suo pasto o in terra o al massimo seduto su di uno sgabello.

Egli non può avere rapporti sessuali, né dire le benedizioni, in generale è esentato da tutti i

precetti positivi; va ricordato, tuttavia, che tali divieti cessano di esistere il sabato e

decadono totalmente quando la persona colpita dal lutto inizia le pratiche per la sepoltura.

Rimane in vigore il divieto di avere rapporti sessuali.

Per tutto ciò che riguarda il funerale, va detto che, in ebraico il termine che sta ad indicare

l’accompagnamento del morto è Halwajath ha-meth, ora, accompagnare il defunto è un

dovere, se un ebreo, ad esempio, vede passare durante un funerale la salma di un uomo che

non conosce, deve obbligatoriamente seguire il feretro per almeno due metri.

Di solito, durante questa fase, si usa leggere il salmo 91, che tratta della protezione divina

da ogni disgrazia e pericolo, ma in generale, parlare di un defunto al suo funerale è un

onore, anche se dovere di chi ha subito il lutto è non eccedere troppo nelle lodi alla

persona.

Il cimitero ebraico in Italia

Generalmente l’orazione si fa al cimitero, in un lasso di tempo abbastanza breve, che

precede la sepoltura, tuttavia, in vita, si può anche manifestare la volontà di non farsi fare

l’orazione pubblica.

LA SEPOLTURA.

“Polvere sei e alla polvere tornerai” (Gen. 3-19) è una frase che ricorda l’importanza per un

ebreo, di essere sepolto sotto terra per adempiere a ciò che è scritto nella Torah.

Anche per quanto riguarda la sepoltura ci sono norme e regole da seguire, in primo luogo la

cosa migliore sarebbe seppellire il defunto avvolto solo da un lenzuolo, oggi, si usa

chiaramente, anche la bara, purché il concetto rimanga quello originario ed essa sia messa

sotto terra.

Durante il seppellimento, i parenti e le persone vicine al defunto, si passano la vanga di

mano in mano, per partecipare al rito di sepoltura in maniera attiva, così che tutti possano

gettare della terra sulla bara; appena finito, tutti provvederanno a recitare una formula di

Qaddish, ovvero un’antichissima preghiera ebraica che può essere recitata solo in presenza

di un Minian: il quorum di dieci maschi che abbiano passato i tredici anni di età.

Un aspetto fondamentale, che s’intreccerà poi con lo studio di uno spazio come il cimitero

ebraico, è che la sepoltura è perenne, sono assolutamente vietate le riesumazioni e gli

spostamenti della salma; anche per questi divieti, tuttavia, esistono delle eccezioni:

Se la salma vuole essere trasferita in Eretz Israél

Se si vuole collocare la salma vicina a quella di parenti stretti

Se è stato, fin dall’inizio, stipulato un contratto di sepoltura non permanente

Se la tomba è indecorosa.

Ovviamente, i singoli casi, dovranno essere passati al vaglio dell’autorità rabbinica

competente.

Il cimitero ebraico in Italia

Il rabbino ha il compito di decidere se la cremazione, che solitamente non è pratica vista di

buon occhio all’interno del mondo ebraico, sia o meno possibile; va quindi studiato ogni

singolo caso, in vista del fatto che, aumenta sempre di più il numero degli ebrei che

manifestano la volontà di essere cremati.

Ora, per quanto il cimitero, sia il luogo sacro ove riposano le salme dei defunti, una volta

tornati a casa e dopo aver partecipato al rito della sepoltura, ci si deve obbligatoriamente

lavare le mani ed è importante porre l’accento sul fatto che il lavaggio deve avvenire

appena fuori dal cimitero e dunque prima di entrare nell’abitazione; è consono anche

mangiare qualcosa una volta usciti dal cimitero, atto che molti considerano come la volontà

di ritornare alla vita normale, è come voler affermare che la vita non solo riprende, ma

continua.

LO SPAZIO SACRO: IL CIMITERO.

All’interno dello spazio adibito a cimitero, è buon costume comportarsi con particolare

serietà e ricordare che qui è proibito fare qualsiasi cosa non si avvicini ad una sepoltura;

come ad esempio studiare, mangiare e bere.

Anche per recarsi all’interno di questa superficie, è necessario che cadano delle occasioni

precise, come ad esempio un anniversario di morte, a meno che questo non cada di sabato,

in tal caso si potrà andare la domenica a visitare la tomba e, proprio in riferimento ai

defunti, è obbligatorio, entrando al cimitero, recitare queste frasi: “Benedetto Tu Signore

Dio Nostro che vi ha creato secondo la giustizia e vi ha nutrito secondo giustizia e vi ha

raccolto e conosce il numero di tutti voi, in futuro vi farà rivivere e vi farà risorgere secondo

giustizia. Benedetto tu o Signore che fa rivivere i morti”.

Una benedizione questa, a cui alcuni aggiungono dei passi di Isaia (26.19): “Vivranno i tuoi

morti, il mio corpo senza vita sorgerà, sorgerete ed esultate voi che state nella polvere, perché

la mia è rugiada di luce e a terra farai cadere le ombre”; benedizione questa, che a volte si

trova scolpita su una lapide posta all’entrata dei cimiteri ebraici.

Il cimitero ebraico in Italia

Esiste, inoltre, fin dai primordi della religione ebraica, l’usanza di visitare le tombe dei

defunti in particolari momenti di disgrazia, il Talmud dà a questa usanza, due particolari

interpretazioni:

Visitando le tombe, l’uomo entra in contatto con la morte e prende pian piano

coscienza di quello che inevitabilmente avverrà.

Passando tra le tombe si può invocare la difesa delle anime dei morti, ma solo di

quelli definiti giusti.

Ci sono delle norme da seguire anche per quanto riguarda la costruzione di una lapide,

ovvero il segno di riconoscimento che va apposto sulla tomba.

Va detto che, su di essa non dovrà apparire nient’altro che il nome del defunto,

possibilmente scritto in caratteri ebraici ed è preferibile che essi siano incisi per meglio far

fronte all’inevitabile usura del tempo; sono severamente ed universalmente vietate le foto,

anche perché la tomba deve essere il più modesta possibile, è proibito anche camminare,

calpestare o sedersi su di essa.

Ricordiamo che, come detto poc’anzi, all’interno di un cimitero ebraico è vietato mangiare,

ecco perché se, all’interno di tale spazio, ci fossero alberi da frutta, essi andrebbero

estirpati ed i frutti gettati via.

LA VISIONE DELLA VITA DOPO LA MORTE NEL PENSIERO EBRAICO.

Gli ebrei del tempo della Bibbia, credevano nell'al di là? Nella lingua ebraica non esiste

neppure questa espressione ed il termine “Olam” non ha il senso dell’eternità, ma viene

inteso come "tempo lontanissimo" e riferito sia al passato che al futuro.

La morte per gli ebrei era la fine di tutto: non esiste l’al di là e tutti, buoni e cattivi, dopo

morti si scende nello "Sheol", cioè in quella che secondo la concezione mitologica della terra

dell'epoca, era considerata un’enorme caverna sotterranea, dove ridotti a larve e ad ombre,

ci si nutre di polvere.

Il cimitero ebraico in Italia

Questo era tutto quel che si credeva in Israele riguardo alla vita dopo la morte: tutti, buoni

e cattivi, quando si muore si riceve la stessa sorte: nella caverna sotterranea come spettri a

mangiare polvere: "i morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno" (Is 26,14).

Non esistendo quindi un "al di là", la retribuzione per il bene e il male compiuto avveniva

su questa terra, il bene era compensato con una lunga vita, abbondanza di figli e prosperità,

mentre il male veniva punito con vita breve, sterilità e miseria, e la colpa dei padri veniva

punita nei figli fino alla quarta generazione.

Secondo la teologia del libro del Deuteronomio: “Io Yahvé tuo Dio sono un Dio geloso, che

punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per quanti mi

odiano” (Dt 5,9), poi corretta all’interno dello stesso libro: “Non si metteranno a morte i

padri per una colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno

sarà messo a morte per il proprio peccato” (Dt 24,16).

Il profeta Ezechiele contesta questa visione della vita ed afferma che Dio retribuisce sempre

e subito le azioni dell'uomo e che ognuno è responsabile del suo agire: “Colui che ha peccato

e non altri deve morire; il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio.

Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità” (Ez 18,20).

Teologia, questa del profeta Ezechiele, semplice ed accettabile, ma contraddetta dalla realtà

che non si presenta così. Per questo nella polemica interviene un autore, che è rimasto

sconosciuto, il quale scrive il "Libro di Giobbe" proprio per contestare questa idea teologica

dove si afferma che il buono è premiato ed il malvagio punito, e presenta un uomo pio e

buono al quale capitano tutte le disgrazie di questo mondo (compresa quella d'amici che lo

vanno a consolare ed offrire i loro "buoni consigli") per dimostrare che non è vero che i

buoni vengono premiati.

A tirar fuori dal vicolo cieco in cui queste dispute teologiche avevano condotto, sarà un

anonimo autore del II secolo, il quale per dare coraggio ai martiri della persecuzione

religiosa del terribile Antioco Epifane introduce un nuovo, rivoluzionario elemento, quello

di un ritorno alla vita dei morti per il giudizio finale.

Resurrezione però limitata ai giusti del popolo giudaico: “Molti di quanti dormono nella

polvere si desteranno: gli uni alla vita eterna, gli altri all'ignominia perpetua" (Dn 12,1-2).

Il cimitero ebraico in Italia

E' la prima volta che nella Bibbia compare il termine "vita eterna" ed è proprio alla vita

eterna, cioè per sempre, che l'autore contrappone una "ignominia perpetua", cioè una

disfatta definitiva, irreversibile, il fallimento definitivo (l'espressione "ignominia o sconfitta

perpetua" (ebr. herpat 'olam), si trova nel salmo 78,66, senza alcun senso di sopravvivenza

eterna (in Isaia 66,24 si menzionano i "cadaveri" non degli esseri risuscitati che soffrono).

Quando, dunque, si tratta il concetto di vita dopo la morte, non si deve intendere la

sopravvivenza di un'anima, ma la persona stessa che continua la sua esistenza in una

diversa dimensione e in una continua crescita e trasformazione di se stessa, verso la piena

realizzazione.

Ora, per poter comprendere l’importanza della conservazione dei cimiteri ebraici, è stato

necessario, dare un cenno, di quanto sia altrettanto fondamentale definire la componente

storico-religiosa di questo monoteismo; è stato doveroso soffermarsi (e ci torneremo più

avanti) sulle modalità di sepoltura e sulla ritualità, elementi senza i quali non sarebbe stato

possibile avere una totale comprensione dello spazio identitario del quale stiamo parlando.

Aspetti, questi, che rendono suddetta ricerca originale, grazie allo studio dell’elemento

architettonico messo in correlazione con l’elemento storico-religioso, che viene qui

proposto, come ulteriore elemento di studio e ricerca dei beni ebraici, non solo sul suolo

italiano.

CARATTERISTICHE DEL CIMITERO EBRAICO.

C’è una caratteristica che accomunati i cimiteri ebraici, essa è la disposizione delle

sepolture che si presenta volta ad est, cosi da fornire la possibilità a coloro che

risorgeranno, di farlo con il volto verso Gerusalemme.

Tralasciando, ma solo per ora, l’aspetto religioso e legato al rito, notiamo come i cimiteri

ebraici in Italia, presentino prevalentemente due tipologie di tombe: la prima è la

cosiddetta lastra tombale, posizionata nel terreno in maniera perpendicolare, una sorta di

Il cimitero ebraico in Italia

stele; mentre la seconda tipologia prevede il posizionamento sul terreno di una lastra

orizzontale.

Per quanto riguarda l’iconografia, spesso si trovano rappresentazioni di mani che versano

acqua, stemmi familiari o immagini appartenenti alla tradizione ebraica, va detto, tuttavia,

che non si tratta certamente di titoli o simboli nobiliari, poiché agli ebrei era vietato

possedere dei titoli.

Nonostante i simboli siano vari e ben presenti sulle lapidi, molto frequente e usato come

strumento di decorazione, è quello della scrittura, rappresentata da caratteri ebraici, ma

spesso anche nella lingua di origine del defunto.

Nonostante la presenza importante, sul suolo italiano, di aree adibite alla sepoltura di

persone di fede ebraica, possiamo asserire che dopo il 1179, in altre parole dopo il III

Concilio Lateranense, fu stabilito che fosse negata una sepoltura cristiana a chi prestava del

denaro, una delle poche professioni che era permesso svolgere agli ebrei, che, allo stesso

tempo vedevano aumentare il loro numero su tutto il territorio nazionale.

Quando un nuovo nucleo ebraico si formava all’interno di una città, si rendevano subito

necessari i contatti con le autorità locali, per l’affitto o l’acquisto di vari spazi pubblici, sia

per collocarvi i banchi del mercato, sia da adibire a cimitero.

Generalmente, il terreno che veniva affidato per la costruzione di un cimitero, era extra

muros, ovvero posto oltre il fossato che segnava il confine della città, in netto contrasto con

i cimiteri cristiani, assolutamente intra muros e vicine alle chiese.

È per questo motivo, ovvero per la collocazione dei cimiteri ebraici ai margini della città,

che spesso questi spazi per la sepoltura, venivano chiamati orti o campi o, addirittura, con

accezione tipicamente negativa: “campaccio” o “ortaccio”, si pensi al fatto che l’ostilità tra le

due comunità, quella ebraica e quella cristiana, erano così accentuate che spesso si

preferiva organizzare il corteo funebre di notte per evitare il rischio di aggressioni al

feretro.

È chiaro che ogni nucleo ebraico aveva bisogno del suo cimitero, si parla di una necessità

primaria che aumenta con lo sviluppo e la crescita demografica della stessa comunità, una

Il cimitero ebraico in Italia

comunità che durante il rinascimento, in Italia, visse un periodo di relativa calma che,

tuttavia, stava per concludersi con l’arrivo della Controriforma.

Nei tre secoli successivi, le condizioni di vita della popolazione ebraica peggiorarono

progressivamente, fino a che, come abbiamo accennato citando la bolla di Papa Carafa, tutti

i membri della comunità furono rinchiusi nei ghetti; la prima di queste “aree di reclusione”

fu istituita a Venezia nel 1516, quando la Serenissima, decretò che un gruppo di settecento

ebrei di origine tedesca e italiana, fossero chiusi all’interno di un’area posta ai margini della

città e precisamente nei pressi del convento di San Girolamo .

Bisognerà aspettare la fine dell’ottocento per vedere le cose cambiare, sia da un punto di

vista identitario e, per quel che riguarda suddetta ricerca, sia per gli spazi di sepoltura.

CAMBIAMENTI.

Con il riconoscimento dello statuto albertino del 1848 si arrivò, finalmente, all’uguaglianza

di tutti i cittadini di fronte alla legge e senza distinzioni di culto, l’articolo I garantiva una

libertà che fino ad allora sembrava cosa impossibile da raggiungere: “La religione Cattolica

Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato, gli altri culti ora esistenti sono tollerati

conformemente alle leggi.”

Gli ebrei cominciavano pian piano a lasciare i ghetti e a redistribuirsi su tutto il territorio

italiano, entrando sempre più a far parte delle attività politiche, economiche e sociali del

paese, questo cambiamento prevedeva anche una trasformazione epocale dal punto di vista

architettonico e degli spazi di sepoltura, senza contare che la fine del ghetto aveva portato

alla monumentalizzazione delle sinagoghe che, da strutture piccole e nascoste, diventavano

costruzioni sempre più complesse, con cupole e facciate molto elaborate.

L'istituzione delle sinagoghe è fatta risalire al periodo dell'esilio babilonese (586-538 a.C.),

continuata poi al ritorno in Israele e anche dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme

ad opera dei Romani (70 d.C.).

Il cimitero ebraico in Italia

La sinagoga rappresenta, inoltre, un’innovazione rivoluzionaria nella vita religiosa

dell'antico Oriente: è infatti il primo edificio di culto in cui i fedeli possono assistere al

complesso dei riti, principio che verrà successivamente ripreso dalla chiesa cristiana e dalle

moschee islamiche.

La comparsa delle sinagoghe segna una profonda ristrutturazione della religione ebraica,

non più incentrata sul culto sacrificale ma sullo studio, l'insegnamento e la meditazione dei

sacri testi, e la preghiera; dove erano presenti Ebrei dovevano esistere sinagoghe: era,

infatti, proibito loro vivere in località prive di luoghi di culto.

Questo precetto valse anche a Roma, la prima città occidentale sede di una comunità

ebraica tra le più antiche d'Europa, la cui esistenza nel corso dei secoli non ebbe

interruzioni; formatasi a partire dal II e I secolo a. C. con l'arrivo dei primi Ebrei che

sbarcarono al porto di Pozzuoli, conosciuto all'epoca come la “Porta d'Oriente”, questa

collettività crebbe velocemente e si organizzò in congregazioni (sinagoghé), ciascuna con

propri uffici e rappresentanti, sparse in vari punti della città, con accentuata presenza,

registrata anche per tutto il periodo antico e medioevale, nella zona di Trastevere.

Altri Ebrei si aggiunsero nel I secolo d.C. trasportati come prigionieri dai soldati romani al

termine della ribellione della Giudea contro Roma; il loro numero aumentò quindi

notevolmente, tanto che furono costretti a spostarsi anche in altre parti della città come la

Suburra, Campo Marzio e Porta Capena.

Con una certa sicurezza sono state attestate, attraverso epigrafi sepolcrali che testimoniano

un arco cronologico di almeno quattro secoli, più di dieci sinagoghe, i cui nomi rivelavano le

loro caratteristiche e gli strati sociali della comunità.

A cominciare dalla sinagoga dei Vernacoli, in riferimento ai più antichi immigrati, e degli

Ebrei, ovvero degli immigrati successivi, quindi quelle di Tripoli (di Siria), di Elea (città

dell'Asia Minore), che segnalavano i luoghi di provenienza dei fedeli; e poi ancora le

sinagoghe di famiglie e personaggi illustri di Roma, come la Agrippensis (da Marco Vipsanio

Agrippa, che ne finanziò la costruzione) presso Ponte Sisto, l'Augustea (che prendeva nome

dall'imperatore, il più benevolo verso la comunità che contava circa 8.000 unità, 1% della

Il cimitero ebraico in Italia

popolazione totale di allora), e quelle dei Severi, dei Volumnesi e degli Erodiani, le rionali

dei Campesi e dei Suburresi, quella dei Calcaresi, ovvero dei lavoratori della calce.

I resti di queste sinagoghe, che furono devastate perlopiù tra il IV e il V secolo, non sono

stati mai recuperati, mentre rammentiamo che nell'area degli scavi di Ostia Antica, durante

la costruzione dell'autostrada per l'aeroporto di Fiumicino nel 1961, è venuta alla luce la

più antica sinagoga del mondo occidentale di cui abbiamo vestigia, risalente al I secolo d.C.

e ampliata ed abbellita nel IV secolo.

Questa struttura si estende per 850 metri quadrati all'estremità meridionale del complesso

archeologico, decentrata rispetto al baricentro politico-amministrativo della città, a

dimostrazione dello stato di separazione sociale in cui vivevano gli Ebrei.

Oggi, se poco o nulla è rimasto delle antiche sinagoghe, possiamo asserire che sono, invece,

giunte sino a noi maggiori testimonianze ed informazioni sulle sepolture ipogee della

comunità; a Roma, a partire dal XVII secolo, sono state scoperte sei catacombe ebraiche

situate sulle principali arterie cittadine e precisamente nelle vie Portuense, Appia (vigna

Randanini e Cimarra), Casilina (già Labicana), Appia Pignatelli, Nomentana (con ingresso in

via Lazzaro Spallanzani verso l'interno di Villa Torlonia).

Scarse sono le notizie sulla comunità ebraica dopo la caduta dell'Impero romano

d'Occidente e le invasioni di Roma compiute da Alarico e Genserico; si deve arrivare

all'anno Mille per avere alcune indicazioni riguardanti l’esistenza della comunità nell'area

trasteverina, compresa tra la basilica di Santa Cecilia, la chiesa di San Francesco a Ripa e

quella di San Salvatore della Corte (attuale Santa Maria della Luce).

L'insediamento si estendeva anche all'Isola Tiberina e in parte dei rioni Sant'Angelo e

Regola, qualificando quel territorio come un proprio quartiere, ovvero una Giudecca,

denominazione propria del Medioevo di certe zone urbane abitate dagli Ebrei in tante città

italiane ed europee.

L'insediamento a Trastevere risulta anche dalla toponomastica del tempo: come la rua

Juadeorum, in prossimità della basilica di Santa Cecilia e il pons Juadeorum, che era

probabilmente ponte Sublicio.

Il cimitero ebraico in Italia

Scomparse le antiche sinagoghe, ne vengono costruite di nuove sempre a Trastevere: al

secolo XI risalgono la Scòla dei Quattro Capi all'isola Tiberina, che prendeva il nome dal

ponte (anticamente ponte Fabricio) al quale era vicina la sua sede e la Scòla Portaleone, che

rievocava nel nome la nota famiglia ebrea dei Pierleoni.

Nel 1893 un violento incendio distrusse completamente la Scòla Tempio danneggiando

anche la Scòla Castigliana, furono anni di grande disagio per l'esercizio del culto: dal 1892

venivano utilizzati per le cerimonie anche locali, presi in affitto, in via Agostino Depretis e

in via Giovanni Lanza e nel 1899 si inaugurarono un oratorio al n.12 di piazza dell'Esquilino

e un altro a via Modena 31, con due ingressi separati per uomini e donne.

Ma i cambiamenti non avvengono soltanto a livello architettonico o a livello sociale, ci sono

profonde mutazioni di carattere politico e demografico che caratterizzano la storia

dell’ebraismo in Italia tra Ottocento e Novecento; questi processi, che hanno avuto inizio

intorno al 1796, con l’avvento delle truppe napoleoniche sul territorio nazionale, hanno

portato all’abolizione delle differenze religiose e alla nascita di nuove legislazioni

riguardanti specialmente i cimiteri.

Vigeva, in questo periodo, l’obbligo di collocare i defunti, in territori al di fuori del centro

città, in luoghi aperti, soleggiati ed arieggiati, ma è nel 1804 che arriva la vera e propria

svolta, con l’editto di Saint Cloud.

Un editto che si prefiggeva di raggiungere risultati di carattere politico-ideologico, veniva,

infatti, imposto che le tombe fossero tutte uguali allo scopo di evitare discriminazioni tra i

defunti; Per i defunti illustri, invece, era una commissione di magistrati a decidere se far

scolpire sulla tomba un epitaffio.

Appariva chiaramente che questo editto possedeva, quindi, due motivazioni: la prima, che

abbiamo già citato e di carattere ideologico-politico, e la seconda di carattere igienico-

sanitario.

Com’era avvenuto per le Sinagoghe, le comunità ebraiche, sentivano il bisogno di

rivoluzionare anche gli spazi cimiteriali, e non solo da un punto di vista meramente

architettonico o ingegneristico, ma anche da un punto di vista simbolico e religioso.

Il cimitero ebraico in Italia

Ed ecco che vengono create delle condizioni generali da utilizzare per la costruzione dei

luoghi di sepoltura e che andranno a differenziare i cimiteri ebraici da quelli cristiani: in

primis il muro di cinta, esso deve circondare tutto il cimitero e deve essere dell’altezza

minima di 2,20 metri; i viali debbono diventare veri e propri quartieri e in ognuno di

questi ci debbono essere delle fosse comuni.

La costruzione di vari quartieri, presuppone la divisione di spazi distinti per adulti e per

bambini; per quanto riguarda invece l’ingresso, nei cimiteri israelitici esso deve essere

caratterizzato da un portone ed un cancello carraio.

La camera mortuaria è quella struttura ove si dispone una tavola di marmo, inclinata, di

1,90 metri di lunghezza dove si lavano le salme, obbligatorio è che nella stanza ci siano un

apparecchio per riscaldare l’acqua e dei canali di scolo per i liquidi.

Degno di nota anche il cortile dei cimiteri ebraici, decorato nel mezzo, da un’ampia fontana

munita di sbarre per appendere degli asciugamani, poiché dopo la cerimonia è obbligatorio

lavarsi e compiere le abluzioni in segno di purificazione.

CASI UNICI DI CIMITERO EBRAICO.

In questa sezione saranno indicate alcune delle principali caratteristiche dei cimiteri

ebraici di grandi città italiane come Roma, Firenze e Trieste.

Nella città eterna, le salme di uomini di fede ebraica venivano poste, fino al 1645, in un

terreno nei pressi di Porta Portese e di proprietà della Compagnia della Carità e della

morte.

Il cimitero era noto col nome di Campus Judaeorum e nel 1587 fu recintato con un muro sul

quale furono addossate le mura della nuova Porta Portese ed ovviamente, dopo suddetti

lavori, l’area adibita alla sepoltura dei corpi, diminuì in maniera consistente.

Col passare del tempo, poiché la zona era satura di lapidi e troppo distante dal ghetto, Papa

Innocenzo X diede alla Compagnia della Carità, la possibilità di acquistare altri terreni e di

costruire in zona Circo Massimo-Aventino una nuova ala del cimitero; soltanto quando

Il cimitero ebraico in Italia

Roma divenne capitale del Regno d’Italia vennero fatti lavori di ampliamento in una zona

diversa e che comprendeva l’antica base del cimitero del Verano, ampliato per l’occasione.

Il cimitero ebraico costruito sul terreno dell’Aventino, venne definitivamente abbandonato

e poi venduto nel 1934 al Comune di Roma che in tempi brevi liberò la zona da tutti i

capannoni e dagli edifici industriali.

Fu la comunità ebraica che, dopo la seconda guerra mondiale, acconsentì all’utilizzo dello

spazio rimasto libero per realizzare il Roseto di Roma, mentre il terreno fu poi ampliato nel

XVIII secolo, tanto che nella pianta del Nolli del 1748 si possono notare due aree ben

distinte, una denominata "Ortaccio degli Ebrei" e l'altra "Ortaccio vecchio degli Ebrei".

Il termine Ortaccio (dispregiativo dal termine latino "hortum", giardino) fu assegnato nel

Cinquecento al cosiddetto “ghetto delle meretrici” un termine poi ripreso per indicare,

appunto, in modo dispregiativo il cimitero ebraico.

L'editto emanato nel 1775 da Pio VI, analogo a quello già promulgato nel 1625 da Urbano

VIII, proibiva agli ebrei di collocare lapidi o iscrizioni a memoria dei loro defunti nei

cimiteri: quelle già esistenti vennero distrutte dall'autorità pontificia, salvo alcune che

furtivamente vennero trasferite e murate nel vicino Ghetto.

L'editto fu abolito nel 1846 da Pio IX ed immediatamente il cimitero si ricoprì di pietre

tombali e ricordi commemorativi, il Cimitero Ebraico dell'Aventino fu chiuso nel 1895 in

occasione della nuova sistemazione urbanistica del colle, ma venne demolito soltanto tra il

1930 ed il 1935 per aprire l'attuale via del Circo Massimo.

Allora la terra cimiteriale fu trasferita dalla comunità ebraica romana nel cimitero

israelitico del Verano: oggi tutto ciò che rimane di quest'area sono i cipressi che si ergono

isolati in alcune aiuole della zona o a stretto contatto con l'area del Roseto Comunale, ultimi

testimoni di un passato ricco di memoria e di sacralità.

L'area rimase incolta per molti anni finché nel 1950 divenne sede del nuovo Roseto

Comunale, in sostituzione di quello antico, che si trovava sul Colle Oppio, distrutto durante

la Seconda Guerra Mondiale.

Come ringraziamento alla comunità ebraica, che aveva permesso di ricreare il roseto in un

luogo sacro, venne posta all'ingresso del giardino una stele in ricordo della precedente

Il cimitero ebraico in Italia

destinazione, mentre i vialetti che dividono le aiuole nell'area collezione furono disegnati

con la forma della "menorah", il candelabro a sette bracci, simbolo dell'Ebraismo.

Via di Valle Murcia divide il roseto in due sezioni: nell'area superiore si trova la collezione

di rose botaniche, antiche e moderne, mentre quella inferiore, più piccola, ospita i settori

dove vengono messe a dimora le rose partecipanti al "Premio Roma" e la collezione delle

rose che, dal 1933, anno della prima edizione svoltasi al Colle Oppio, hanno vinto questa

prestigiosa manifestazione.

Il Roseto ospita circa 1100 specie di rose provenienti da tutto il mondo, persino dalla Cina

e dalla Mongolia: fra le più curiose vi sono la Rosa Chinensis Virdiflora, dai petali color

verde, la Rosa Chinensis Mutabilis, che cambia colore con il passare dei giorni e la Rosa

Foetida, una rosa maleodorante.

Nella città di Firenze, esiste una zona, che è quella a sud-est del centro città, dove sorgono i

primi luoghi di sepoltura ebraici; nel XVI secolo venne qui costruito un cimitero chiamato

poi La Piazzetta, ma tra gli antichi cimiteri, il più importante è quello che sorge nei pressi di

Porta Romana e che fu ampliato fino ad assumere la conformazione di una fascia di terra

lunga e stretta.

Il cimitero restò in funzione fino al 1870, quando poi ne fu aperto uno nuovo in via Caciolle,

(in zona Rifredi) questo luogo riveste, ancora oggi, un notevole interesse storico-artistico

per le tombe più antiche e la parte a sinistra dell'entrata venne espropriata da Comune per

erigervi un dispensario, oggi asilo: vi si trovavano tombe settecentesche, che in

quell'occasione vennero smontate e ricomposte nella zona vicino all'ingresso, con alcune

iscrizioni montate al contrario. Come si può notare se ci si reca sul posto, nessuna tomba

reca l'immagine del defunto, secondo l'usanza ebraica.

La cultura ebraica, conformemente al rigido insegnamento biblico, non apprezza l'idea di

sfarzo e ricchezza, per cui le tombe monumentali sono di solito molto rare. In questo

cimitero ne esistono solo tre, allineate lungo il viale centrale con i cipressi e risalenti al

periodo dopo l'unità d'Italia, quando il Regno era stato scomunicato da papa Pio IX e le

minoranze religiose poterono godere di un clima di tolleranza.

Il cimitero ebraico in Italia

La prima, della famiglia Levi, ha una forma piramidale che ricorda le tombe egizie, con

riferimenti alla tradizione simbolica dell'illuminismo francese: il triangolo visto come

figura perfetta che sottintende la perfezione.

La piramide è posta su un alto basamento, realizzata in blocchi squadrati di pietra e

illuminata all'interno da un piccolo occhio sul lato meridionale, oltre che dal portale

d'ingresso.

Quest'ultimo è coronato da un frontone triangolare e dallo stemma di famiglia, nella cella

sono ancora visibili corone essiccate di fiori e foglie, probabilmente rimasti lì dal rito

funebre originario, mentre la seconda cappella, posta accanto alla piramide, è più piccola e

pure ispirata allo stile neoegizio.

Appartenente alla famiglia Servadio ed eseguita intorno al 1875, ha colonne a fascio ed

all'interno il simbolo scolpito del sole alato; sul sarcofago sottostante è scolpita una corona.

Lo stemma si trova sul basamento e ad oggi l'esterno della cappella è in larga parte

nascosto dalla vegetazione.

La terza cappella, della famiglia Franchetti, è stata probabilmente progettata

dall'architetto Marco Treves, autore anche della sinagoga di Firenze e della risistemazione

del piccolo edificio all'ingresso.

Si tratta di un'edicola coperta da volta a botte con embrici a squama di pesce all'esterno.

Le pareti sono aperte e scandite da pilastri, con cornicione che gira all'esterno e un

frontone arcuato, il tutto finemente decorato.

Spiccano, inoltre, due sepolture a tempietto con colonne che ricordano le opere un po'

retoriche dell'Ottocento, come le scenografie teatrali, una risale al 1846 e fu scolpita

da Aronne Sanguinetti per Chiara Rafael: essa presenta colonne doriche, frontoni e acroteri;

mentre generalmente gli epitaffi sono scritti in ebraico e in italiano.

Passiamo ora alla descrizione del cimitero ebraico di Trieste: nel capoluogo giuliano la

maggiore tolleranza delle autorità asburgiche verso la minoranza israelita, aveva anticipato

di alcuni decenni, soluzioni che accostavano i cimiteri ebraici a quelli cittadini.

Il cimitero ebraico in Italia

Il Cimitero ebraico di via della Pace vede la luce a metà Ottocento quando, per l’espansione

del centro abitato e per lo scarso spazio disponibile, il vecchio cimitero di via del Monte

diviene inadeguato alle necessità degli ebrei triestini.

La Comunità accetta allora l’offerta del Comune di provvedere alle spese per l'impianto del

Nuovo Cimitero Ebraico che sorge, con una convenzione del 1842, nella zona che accoglie il

cimitero cattolico di Sant’Anna.

Nel 1909 il Cimitero di via della Pace accoglie anche i defunti fino allora tumulati nell’antica

area di sepoltura, che nel suo massimo sviluppo era giunta a toccare le pendici sotto il colle

di San Giusto.

L’amministrazione cittadina espropria, infatti, il versante nord-ovest del colle di San Giusto

per farne un parco, oggi chiamato Parco della rimembranza, la Comunità ebraica è dunque

obbligata a trasportare i resti dei suoi defunti, quasi 2 mila 360 salme, nell’ossario

dell’attuale cimitero.

Di quell’antico sito rimangono oggi le pregevoli lapidi di alcuni rabbini vissuti in città,

attualmente custodite nel lapidario “Gal Avanim” del Museo ebraico Carlo e Vera Wagner.

Il primo cimitero era sorto nel 1446, quando Michael, figlio di Salomone di Norimberga,

aveva acquistato per sé e per i correligionari un appezzamento di terreno nella contrada di

Santa Caterina, fino allora adibito a vigna, da destinare a cimitero.

Qui vengono seppelliti per quattro secoli gli ebrei triestini e nel tempo l’area si amplia fino

alla base del colle di San Giusto.

A ricordare ancor oggi questo storico sito sono alcuni versi del poeta Umberto Saba, che qui

ebbe sepolti i propri genitori.

L’attuale Cimitero ebraico di via della Pace è un luogo di grande fascino, dove il fasto

ottocentesco delle antiche tombe di famiglia è racchiuso dall’intrico di una fitta vegetazione

che richiama atmosfere e suggestioni praghesi; all’ingresso un monumento ricorda gli ebrei

triestini periti, durante la Shoah, nei campi di concentramento.

A fianco vi sono le tombe monumentali delle grandi famiglie ebraiche: i Morpurgo, i de

Parente e i baroni Elio e Giuseppe de Morpurgo.

Il cimitero ebraico in Italia

Un sacello a forma di tempio greco accoglie le tombe della famiglia Morpurgo de Nilma

mentre la Famiglia Coen Ara riposa in una cripta di stile neogotico.

Nel viale centrale si ergono le tombe dei rabbini, molte a forma di sarcofago e qui traslate

dall’antico cimitero di Via del Monte, mentre al di là dello struggimento che evoca, il

Cimitero rimane uno dei luoghi più cari e sacri alla Comunità ebraica di Trieste che vi vede

scritta la propria storia secolare.

LA PICCOLA GERUSALEMME.

Pitigliano è un piccolo comune toscano che si trova in provincia di Grosseto e il cui centro

cittadino è noto come “La piccola Gerusalemme”, per la storica presenza di una comunità

ebraica, da sempre ben integrata nel contesto sociale che qui aveva la propria sinagoga,

struttura cinquecentesca, all'interno della quale spiccano l'Aron sulla parete di fondo e

la Tevà al centro; sulle pareti sono conservate iscrizioni di versetti biblici mentre in alto si

trova il matroneo riservato alle donne.

Sotto il tempio ebraico si trovano i locali per il bagno rituale, il suggestivo forno

delle azzime, la macelleria e la cantina kasher e la tintoria.

Questa città, che ospitò gli ebrei forse fin della fine del quattrocento, divenne per la

comunità un importante centro di rifugio nell’Italia centrale, a seguito delle restrizioni

dovute alle Bolle papali del 1555 e 1569 nello Stato Pontificio e ai provvedimenti del

Granduca di Toscana del 1570 e 1571.

Infatti rimasero immuni alle restrizioni i piccoli feudi indipendenti al confine tra Toscana e

Lazio, come la Contea di Pitigliano degli Orsini e quella di Santa Fiora degli Sforza e di

Castell’Ottieri degli Ottieri, oltre al Ducato di Castro dei Farnese.

In questi piccoli territori si rifugiarono numerose famiglie di fede ebreica, che potevano qui

vivere più liberamente ed esercitare le loro attività, a cominciare dal prestito di denaro.

Numerosi furono i banchieri ebrei e tra questi spiccarono i familiari del famoso medico

David de Paris, al servizio degli Orsini di Pitigliano e degli Sforza di Santa Fiora.

Il cimitero ebraico in Italia

Anche a Pitigliano il gruppo ebraico si consolidò, tanto da erigere un Tempio nel 1598, ma

quando, ai primi del seicento, i Medici aggregarono al Granducato di Toscana anche le

piccole Contee nel confine meridionale, gli ebrei qui residenti furono confinati nei ghetti.

Ben presto, rendendosi conto del loro notevole ruolo economico e commerciale, la

condizione degli ebrei fu migliorata con la concessione di fondamentali privilegi personali.

Così la comunità di questa zona conservò anche la possibilità di possedere beni stabili,

evento del tutto eccezionale all’epoca.

Nel frattempo, verso Pitigliano s’indirizzò una lenta, ma costante immigrazione di ebrei dai

centri vicini, man mano che i gruppi e le Comunità ebraiche, che vi risiedevano, andavano

in decadenza o scomparivano.

Rilevante è l’arrivo di ebrei dalla città di Castro, distrutta 1649 e di cui Pitigliano fu

moralmente l’erede, altri ebrei giunsero da Scansano, Castell’Ottieri, Piancastagnaio,

Proceno e poi nel settecento da Santa Fiora e Sorano, le cui Comunità ebraiche si avviavano

alla fine, mentre Pitigliano rimaneva l’unica Comunità ebraica in Maremma.

Nella seconda metà del settecento, la riforma illuministica dei Lorena, nuovi Granduchi di

Toscana, permisero anche agli ebrei di accedere parzialmente alle cariche comunali, così a

Pitigliano quest’ultimi ebbero i loro rappresentati nel Consiglio comunitario.

Nel piccolo comune toscano, unico erede delle “città rifugio” del territorio, le favorevoli

condizioni conservatesi per secoli resero possibile lo svilupparsi di eccezionali rapporti di

convivenza e di tolleranza tra la popolazione ebraica e quella cristiana, tanto che la

cittadina venne designata, come detto, la “piccola Gerusalemme”.

Lo straordinario rapporto tra cristiani ed ebraici fu definitivamente cementato da un

singolare episodio avvenuto nel 1799, quando il popolo e i maggioranti cristiani difesero gli

israeliti dai soprusi dei militari antifrancesi, che volevano saccheggiare il Ghetto.

A ricordo dell’accaduto, la Comunità ebraica istituì un’apposita cerimonia, celebrata ogni

anno nella sinagoga fino a qualche decennio fa.

Si apriva così l’Ottocento, il secolo di maggiore espansione demografica, economica e

culturale degli ebrei di Pitigliano, che raggiunsero un’alta percentuale (fino al 12%)

sull’intera popolazione pitiglianese.

Il cimitero ebraico in Italia

Le istituzioni della Comunità ebraica si rafforzarono con la fondazione di una Biblioteca e

del Pro Istituto Consiglio per opere caritative, grazie al generoso lascito nel 1854 di

Giuseppe e Fortunata Consiglio.

Pitigliano fornì rabbini a varie importanti Comunità italiane e personaggi di levatura

regionale al mondo ebraico, come i fratelli Flaminio e Ferruccio Servi, fondatori del “Vessillo

Israelita”, primo giornale ebraico italiano, e Dante Lattes una delle più forti e poliedriche

dell’ebraismo italiano del Novecento.

Per motivi commerciali la cittadina divenne a sua volta centro di disseminazione di ebrei in

numerosi paesi della Maremma toscana e laziale, ma tutti rimasero legati alla Comunità di

Pitigliano, alla cui Sinagoga usavano tornare per le maggiori festività religiose.

Le mutate condizioni economiche e sociali determinarono nel Novecento una lenta, ma

costante, emigrazione degli ebrei pitiglianesi verso città e centri più grandi, finche le leggi

razziali e le persecuzioni dell’ultima Guerra Mondiale accelerarono la fine della Comunità,

la cui ultima fiammella si spense con la chiusura della Sinagoga nel 1960.

Tuttavia durante la guerra molti ebrei si salvarono grazie alla generosa protezione della

popolazione locale, che offrì ospitalità, rifugio ed assistenza nonostante i rischi evidenti nel

momento più buio della storia.

Si chiudeva così degnamente la lunga vicenda di rapporti di tolleranza, di stima e molto

spesso di amicizia e di affetto tra cristiani ed ebrei, che costituiscono il valore fondamentale

dell’esemplare esperienza pitiglianese.

Perciò a Pitigliano, nonostante gli ebrei siano oggi ridotti a poche unità, quell’antico

rapporto continua in altre forme; dal restauro e conservazione dei monumenti ebraici

(Sinagoga, forno degli azzimi, bagno rituale, cimitero, museo ebraico,) alla scelta di

produrre vino kasher nella Cantina Cooperativa di Pitigliano, alla fondazione

dell’Associazione “La Piccola Gerusalemme”, che ha come fine la promozione di iniziative

per la valorizzazione della storia di Pitigliano.

Su un piccolo piano tufaceo, che si eleva ai piedi sud-orientali della più elevata rupe ove

sorge il centro della città, viene costruito, nel corso della seconda metà del 500, il cimitero

ebraico voluto fortemente da Niccolò IV Orsini, che inizialmente donò al suo medico la

Il cimitero ebraico in Italia

corrispondente area per poter costruire la tomba ove potesse essere sepolta la moglie di

religione ebraica.

In seguito, fu autorizzata la realizzazione di un vero e proprio spazio cimiteriale in questa

sede, per poter dare all'intera comunità ebraica pitiglianese uno spazio in cui poter

seppellire i propri cari.

L'origine del cimitero ebraico di Pitigliano gettò le basi per la costruzione della Sinagoga, di

cui sopra, e posta all'interno delle mura cittadine: il tempio venne, infatti, realizzato nel

corso dell'ultimo decennio del XVI secolo.

Il Cimitero è situato alle porte di Pitigliano ed inserito in un ampio terrazzamento ricavato

nel pendio della valle del fiume Meleta, adiacente allo sperone di tufo che caratterizza il

paese.

All'interno del cimitero si trovano numerose tombe, circa 280, alcune, le più antiche,

interamente ricavate in un unico e semplice blocco di travertino, le altre, più recenti, sono

in marmo travertino lavorato, a tal punto che alcuni casi possono essere considerate delle

vere e proprie strutture monumentali.

E’ particolare la presenza della statua di una bimba su una tomba e di un angelo pensante,

elementi degni di nota poiché, nei cimiteri ebraici, non dovrebbero esserci raffigurazioni

corporee di nessun genere.

Il cimitero ebraico in Italia

I RITUALI FUNERARI NELL’EBRAISMO.

La ricerca in questione, non potrà considerarsi conclusa, finché non ritorneremo in

maniera più consistente, sui temi già affrontati velocemente all’inizio di questa indagine,

ovvero quelli legati ai rituali funerari ebraici; considerandoli con la stessa importanza con

cui abbiamo trattato i cimiteri, non solo come luoghi identitari, ma come elementi

architettonici e religiosi degni di conservazione in Italia e altrove.

Forti della loro fede, per molti secoli, gli autori ebrei, partendo dal libro dei salmi fino ad

arrivare alla letteratura rabbinica, hanno cercato di trovare una risposta al problema della

sofferenza umana.

La questione è stata trattata seguendo un duplice punto di vista: secondo il primo, sarebbe

dovuta esistere una ricompensa, un premio dato ai giusti che sarebbe arrivato dopo la

morte, per il secondo tutto ciò che di negativo poteva accadere in vita e durante la

quotidianità, era comunque il volere di un disegno divino e quindi non contestabile e

giusto; tra le poche consolazioni, ne esiste una che non lascerà mai il fedele durante il suo

cammino, ovvero che il Dio di Israele è buono e misericordioso.

È un’inconfutabile verità, che la vita ebraica sia scandita da norme minuziose a cui far fede

nelle più disparate situazioni e per quanto riguarda la morte vige la collettiva visione

secondo cui questo è l’unico evento immutabile al quale nessuno può sfuggire.

La vita e il dolore sono concepiti come passi di un cammino di svelamento della sofferenza

che può essere intesa come purificazione, punizione, espiazione, conseguenza delle colpe

dei padri, ma anche come possibilità della misericordia di Dio in virtù dell’alleanza

dell’uomo con Lui.

In questa linea di pensiero la malattia può divenire occasione di consapevolezza, di

perdono dato e ricevuto, di guarigione dell’anima (espressione della grazia di Dio)

attraverso le sofferenze di cui l’uomo si fa carico e la vita, la salute e la guarigione derivano

da Dio, ma l’idea che solamente Dio può guarire, in modo miracoloso, in conformità a meriti

individuali, non è accettabile per l’ebraismo: nessuno deve presumere di avere tanti meriti

che gli garantiscano con sicurezza un intervento divino e quindi non deve confidare nella

Il cimitero ebraico in Italia

salvezza miracolosa che proviene da Dio, se non ricorre contemporaneamente a tutti gli

aiuti possibili, come quelli della medicina che l’uomo è stato in grado di trovare grazie

all’intelligenza fornitagli da Dio.

La persona ammalata ha quindi l’obbligo di rivolgersi al medico e curarsi e La tutela della

salute personale e del prossimo è un dovere più che un diritto e così l’esercizio della

medicina.

Nel caso in cui si pongano problemi particolari per l’osservanza delle regole tradizionali (ad

esempio riguardo allo shabbath, e alla kasheruth, norma alimentare) il malato o chi per lui,

deve informarsi presso l’autorità rabbinica per sapere come comportarsi.

Visitare i malati è una mitzwàh (precetto), un obbligo religioso; nel Talmud si dice che

anche il Signore visita i malati, La visita è quindi considerata come un’imitazione degli

attributi divini che servono da modello al comportamento umano, un dovere che tutti,

senza distinzione d’età o di importanza sociale devono compiere.

Secondo la tradizione chi visita i malati non solo deve occuparsi dei loro bisogni materiali e

dei loro affari terreni (lasciti di beni, sistemazione dei debiti, offerte in beneficienza), ma

deve anche pregare per la guarigione e perché egli possa sentirsi ancora utile, attivo e

inserito nella società; dovrebbe anche fare in modo di tenergli alto il morale cercando di

confortarlo.

Per questo durante la visita non si dovrebbe assolutamente mostrare tristezza: questo

atteggiamento infatti potrebbe essere controproducente.

Anche di Shabbat si possono effettuare visite e, se la malattia appare come particolarmente

grave, si ha il dovere di visitare il malato prima possibile.

Il visitatore, seduto al lato del letto del malato, è tenuto a pregare per la sua salute, in

qualsiasi lingua, non necessariamente in ebraico.

La tradizione suggerisce una formula molto breve che si basa sul principio che quando si

intercede per il malato si deve anche pensare a tutti coloro che si trovano nella stessa sua

situazione di infermità: “Il Signore abbia pietà di te in mezzo ai malati di Israele”.

Alla base c’è la necessità di tutelare il benessere fisico della persona per evitare ogni

possibile aggravamento delle sue condizioni (unitamente all’uso di analgesici da

Il cimitero ebraico in Italia

somministrare in caso di dolore acuto), in modo tale da non compromettere la sua

capacità-volontà di vita, al punto che anche una eventuale prognosi infausta va specificata

solo se si ritiene che il malato possa sopportarla con fede ed equilibrio.

In particolare, prima della morte è auspicabile la presenza di un rabbino o di amici che

preghino con lui e lo incoraggino a professare la sua fede davanti a Dio e a invocare la Sua

misericordia perché la pace dello spirito possa colmare il cuore nei momenti di sofferenza.

Un correligionario può aiutarlo a recitare la widdui (confessione) mentre il morente non va

lasciato solo, specialmente negli ultimi istanti, e possibilmente va accompagnato recitando

il Kaddish.

Chi chiude gli occhi ad un agonizzante – dice la Mishnah – è come se lo uccidesse, in genere

è proibita qualsiasi azione possa accelerarne la morte: non è permessa l’eutanasia, anche se

va garantita in ogni modo la dignità del paziente agonizzante e il suo diritto a non soffrire.

Se in generale non si può fare nulla che acceleri direttamente il processo del morire, in

determinate circostanze si possono però rimuovere impedimenti artificiali alla morte.

Tale distinzione è molto sottile e richiede grande competenza nella valutazione di ogni

singolo caso, che deve essere discusso dall’autorità rabbinica competente.

I criteri tradizionali per la definizione del momento della morte sono la cessazione del

respiro e del battito cardiaco.

Circa la possibilità di espianto degli organi, la decisione va affidata all’autorità rabbinica di

competenza; ci sono regole particolari anche per le partorienti in pericolo di vita: in genere,

prima che sia venuta alla luce la testa del bambino, la vita della madre precede quella del

feto e sono permessi farmaci atti a lenire il dolore.

Appena l’agonizzante muore, gli vanno chiusi gli occhi (non di sabato) e lo si deve coprire

completamente (anche il volto): ciò perché si ricordi la persona come era in vita e non da

morta.

Quest’uso è ulteriormente spiegato dai cabalisti, in rapporto a concezioni mistiche su

particolari visioni in punto di morte che non devono essere più turbate da estranei.

Prima di coprire definitivamente la testa c’è chi usa mettere della terra sugli occhi della

salma.

Il cimitero ebraico in Italia

E’ preferibile che queste operazioni siano compiute dal figlio maschio maggiore del

defunto.

Circa venti minuti dopo il decesso, la salma va spogliata (non dai familiari), rivestita con un

lenzuolo bianco e quindi sdraiata sul pavimento (affinché ceda calore e si rallentino i

processi di decomposizione), su cui si può poggiare un lenzuolo o un altro materiale

(quest’ultima operazione non di sabato).

Al posto del lenzuolo possono essere usate vesti di lino bianco particolari (takhrinkhin).

Si usa coprire la salma con un tallit (vestito quadrangolare con frange agli angoli).

Le braccia della salma devono essere distese lungo il corpo e la bocca deve essere chiusa, si

usa coprire gli specchi nel luogo del decesso per poi accendere (mai di sabato e di Kippur)

uno o più lumi accanto alla salma: la luce è un simbolo dell’anima e della vita.

Il lume deve rimanere acceso ininterrottamente per i sette giorni seguenti la sepoltura.

Prima della sepoltura la salma deve essere sottoposta alla rechitzàh, che serve ad onorare il

morto eliminando da lui ogni sporcizia e cattivo odore, mentre dopo il lavaggio si aggiunge

il taglio delle unghie e la rasatura della barba.

Se muore un neonato al quale non è stata fatta la milàh (circoncisione), gliela si fa prima

della sepoltura, E’ bene che, in ogni caso, anche il trasporto della bara venga eseguito

soltanto da ebrei.

CONCLUSIONI.

Lo scopo di questa ricerca è quello di occuparsi di una parte del patrimonio culturale

ebraico del Paese, un patrimonio che tratta di beni di interesse archeologico, architettonico,

storico-artistico, archivistico, bibliografico, musicale e di tradizioni, usi e riti che si sono

tramandati attraverso i secoli.

Essi rappresentano le tracce di una presenza ebraica nella nostra Penisola che dura

ininterrottamente da oltre duemila anni e che fa della comunità ebraica italiana la più

antica del Mondo dopo quella di Terrasanta.

Il cimitero ebraico in Italia

Questa comunità è sempre stata in Italia decisamente in una posizione minoritaria, ma ha

interagito con grande intensità con il più generale contesto sociale e ciò non soltanto

nell’epoca delle catacombe, ma permanentemente attraverso i secoli, partecipando

all’evoluzione dei valori umani, contribuendo al formarsi dei capisaldi della cultura,

assumendo parte attiva nell’avanzare del progresso scientifico e ricoprendo un importante

ruolo anche nel processo dello sviluppo economico.

Questi beni culturali sono dunque i testimoni di una convivenza che ha attraversato venti

secoli e più, dando esempio, allo stesso tempo, di integrazione e valorizzazione delle

diversità.

E’ una presenza, quella degli Ebrei, che ha sempre generato valore aggiunto nella vita e

soprattutto nella cultura del Paese, lasciando un segno assai più evidente di quanto sia

stata, nel tempo, la loro incidenza numerica rispetto alla generalità della popolazione.

Dott.ssa Tamara Mancini