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Cronaca e sicurezza

01 cronaca e sicurezza sul lavoro

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Cronaca e sicurezza

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• Dati INAIL 2015/16• Diritto penale e sicurezza sul lavoro• Processo Thyssen• Processo Eternit• Incidente al Porto di Messina• Processo Pirelli• Gilardoni spa – indagine per vessazioni• Morire di superlavoro: il Karoshi

AGENDA

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Dati INAIL 2015/16

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Relazione annuale INAIL

Sono poco meno di 637mila le denunce di infortunio registrate nel 2015 dall’Inail, in diminuzione del 4% rispetto al 2014 e del 22,1% rispetto al 2011. Gli infortuni riconosciuti sul lavoro sono stati poco più di 416mila (-6,6% rispetto al 2014), di cui il 18,2% avvenuto “fuori dell’azienda”, cioè “con mezzo di trasporto” o “in itinere”. Il dato “fuori azienda” è rilevante per la valutazione accurata delle politiche e delle azioni di prevenzione.

Infortuni e morti sul lavoro 2015

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Relazione annuale INAIL

Delle 1.246 denunce di infortunio con esito mortale (erano 1.152 nel 2014), gli infortuni accertati “sul lavoro” sono stati 694 (di cui 382, il 55%, “fuori dell’azienda”), con una riduzione del 2% circa rispetto al 2014 e del 23,4% rispetto al 2011. Il dato tuttavia non è consolidato perché sono ancora in istruttoria 26 infortuni.Gli infortuni sul lavoro hanno causato circa 11 milioni di giornate di inabilità con costo a carico dell’Inail. In media circa 82 giorni per gli infortuni che hanno provocato menomazione e 20 giorni in assenza di menomazione.

Infortuni e morti sul lavoro 2015

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Relazione annuale INAIL

Si conferma l’andamento crescente nella serie storica del numero delle malattie professionali. Le denunce di malattia sono state circa 59mila (circa mille e 500 in più rispetto al 2014), con un aumento di circa il 24% rispetto al 2011. Ne è stata riconosciuta la causa professionale al 34%, il 3% è ancora “in istruttoria”. E’ importante ribadire che le denunce riguardano le malattie e non i soggetti ammalati, che sono circa 44mila, di cui circa il 39% per causa professionale riconosciuta.I lavoratori deceduti nel 2015 con riconoscimento di malattia professionale sono stati 1.462 (il 27% in meno rispetto al 2011), di cui 470 per silicosi/asbestosi (l’85% è con età al decesso maggiore di 74 anni).

Malattie professionali 2015

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Dati Osservatorio Sicurezza Vega

Elaborazione Statistica degli Infortuni Mortali sul Lavoro al 30/11/16

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

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Sentenze

Il caso: un elettricista esperto, formato come RLS, dipendente di una società, durante un lavoro sale incautamente su un tetto per meglio posizionare dei cavi, il suo peso fa cedere il tetto e precipita al suolo procurandosi un trauma cranico.Il processo: vengono imputati per lesioni colpose il DDL e il RSPP per inadempienze in materia di salute e sicurezza.

Cassazione Penale, Sez. 4, 03 marzo 2016, n. 8883

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Sentenze

Il dibattito: data l’esperienza e la formazione del lavoratore, oltre a tutte le misure di prevenzione adottate dal DDL, la Corte dibatte se era da prevedersi un siffatto comportamento da parte del lavoratore, e se di questo possa essere possano essere responsabili il DDL e il RSPP.

La sentenza: la Suprema Corte assolve i due imputati in quanto il comportamento posto in essere dal lavoratore non era azoicamente (eziologicamente?) prevedibile.

Responsabilità del DDL e RSPP

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

Abbiamo compreso in questi anni di riflessioni sulle sentenze in materia di salute e sicurezza, come le strade della giurisprudenza, nel senso delle decisioni prese dai giudici nel risolvere una determinata controversia interpretando e applicando una norma giuridica, non siano spesso né semplici da seguire, né univoche nelle direzioni.È perciò utile ogni tanto fermarsi e raccogliere informazioni per capire verso dove sta andando la giurisprudenza, a partire dalle sentenze della Corte suprema di Cassazione che costituiscono un importante criterio orientatore.

Dove va la giurisprudenza in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro?

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

“Sicurezza prima di economia”, come sostenuto dalla giurisprudenza penale in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro. Un’affermazione, secondo l’autore, “lontana dal mondo anglosassone e tutt’altro che scontata quando la crisi economica detta le agende dei governi come delle Unioni di Stati. Eppure in Italia ‘le esigenze economiche e produttive di un’impresa non possono in alcun modo ledere la vita e l’integrità fisica del prestatore di lavoro’ (Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 2015, n. 20883).

Sicurezza prima di economia

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

Al di là della “prevalenza della sicurezza sulle economie necessarie per realizzarla”, viene ricordata anche “l’indicazione della misura adottata per giudicarle: la ‘massima sicurezza tecnologicamente possibile’ rilevabile con l’ordinaria diligenza. Vale a dire, uno standard che permetta di contenere le fonti di pericolo per i lavoratori adottando ‘nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. [A questa regola] può farsi eccezione nella […] ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza’ (Cass. pen., sez. IV, 30 maggio 2013, n. 26247).

La massima sicurezza tecnologicamente possibile

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

“Il debitore principale della sicurezza sui luoghi di lavoro è il datore di lavoro, individuato dalla giurisprudenza come colui che è ‘soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva’ (Cass. pen., sez. III, 14 giugno 2012, n. 28410).

Il debitore principale della sicurezza sui luoghi di lavoro

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

Il datore di lavoro “non può delegare ciò che lo Stato prescrive in una fattispecie penale determinando il soggetto responsabile della condotta. Semmai la delega può riguardare alcune funzioni cui, è vero, si collegano responsabilità. In questo senso, alla giurisprudenza piace parlare di trasferimento a terzi della posizione di garanzia. Sicché ‘in caso di una valida ed efficace delega di funzioni in materia di sicurezza, formalmente adottata ed espressamente accettata dal delegato, si verifica un trasferimento a terzi della posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro circa gli obblighi in materia di prevenzione e di sorveglianza antinfortunistica’ (Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2012, n. 25535).

La delega di funzioni

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

Tuttavia “rimane una sorta di responsabilità residua del vertice, ossia il datore di lavoro risponde fino alla prova contraria di una funzione delegata e delegabile. Il datore di lavoro, infatti, ‘quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro’ (Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 2014, n. 4361)”.

La delega di funzioni

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Diritto penale e sicurezza sul lavoro

Sul datore di lavoro “ricade la responsabilità per chi nomina. Si prenda, ad esempio, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, una specie di ‘consulente del datore di lavoro […]. I risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo è chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo’ (Cass. pen., sez. IV, 3 giugno 2014, n. 38100).

Culpa in eligendo

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Processo THYSSEN

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Processo Thyssen

Dopo otto anni e mezzo la storia giudiziaria del rogo alla ThyssenKrupp si chiude. La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Torino un anno fa. L’ex ad Harald Espenhahn è stato condannato a nove anni e otto mesi; i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz a sei anni e dieci mesi, il membro del comitato esecutivo dell’azienda Daniele Moroni a sette anni e sei mesi, l’ex direttore dello stabilimento Raffaele Salerno a otto anni e sei mesi e il responsabile della sicurezza Cosimo Cafuer a sei anni e otto mesi.

13 Maggio 2016: confermate le condanne

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Processo Thyssen

Il procuratore generale aveva chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza, perché le pene sarebbero troppo alte. I familiari delle vittime erano esplosi in un grido di rabbia: «Venduti». Poi è stato il giorno della verità per la strage Thyssen: la quarta sezione penale della Cassazione, presieduta da Fausto Izzo, ha deciso di confermare le condanne ai sei imputati nel processo per il rogo nello stabilimento di corso Regina Margherita a Torino, scoppiato la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007.

13 Maggio 2016: confermate le condanne

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Processo ETERNIT

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Processo Eternit

Non più omicidio volontario ma omicidio colposo plurimo per Stephan Schmidheiny, il magnate svizzero della Eternit sotto processo per le morti legate all’esposizione all’amianto. Un capo d’accusa, quello con cui il Gup Federica Bompieri lo ha rinviato a giudizio, che ora rischia di cambiare le sorti del processo torinese. Tanto che l’avvocato della difesa ha parlato di «una grossa vittoria».

30 Novembre 2016

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Processo Eternit

Non è tanto una eventuale pena ridotta per l’imputato numero uno a preoccupare i familiari degli operai morti, ma la concreta possibilità di prescrizione che si apre con la nuova ipotesi di reato formulata dai giudici del Tribunale di Torino. Secondo l’avvocato di parte civile Sergio Bonetto, la prescrizione potrebbe scattare in un lasso di tempo che va dai 12 ai 15 anni, rischiando di ripetere lo scandalo del primo processo Eternit, negli anni 80, quando dei 70 casi esaminati soltanto uno arrivò in Cassazione a poche settimane dalla prescrizione.

30 Novembre 2016

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Processo Eternit

A questo si aggiunge lo smembramento del processo nei tre tribunali competenti per territorio: oltre a quello che resterà a Torino, c’è Vercelli per le morti di Casale Monferrato, dove aveva sede lo stabilimento Eternit più grande, Reggio Emilia per Rubiera e Napoli per le vittime dell’impianto di Bagnoli. La conseguenza, spiegano dall’Afeva, l’associazione dei familiari delle vittime, è che nei tre processi si dovrà ricominciare nuovamente la trattazione del caso, serviranno tre nuove richieste di rinvio a giudizio con la possibilità che il capo d’accusa venga nuovamente modificato. Il vicepresidente di Afeva, Bruno Pesce, ricorda che a Casale Monferrato si conta una vittima di mesotelioma, la patologia causata dall’esposizione alla fibra d’amianto, ogni settimana. E che «la prescrizione tutela gli imputati ma non chi paga le pene di aver convissuto con la fabbrica»..

30 Novembre 2016

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Processo Eternit

Schmidheiny, lo ricordiamo, era già stato condannato in appello a Torino a 18 anni di carcere per disastro ambientale, ma poi è arrivata la prescrizione. Nel processo “Eternit bis” Guariniello cambia il capo d’accusa contestando l’omicidio doloso aggravato a 258 persone (tre prosciolte per prescrizione con la pronuncia di ieri). Davanti al giudice Federica Bompieri, la difesa dell’imprenditore svizzero tenta la carta dell’eccezione di competenza territoriale e poi, un anno e mezzo fa, quella della richiesta di annullamento perché ci sarebbe stato un giudizio precedente sulla stessa materia.

Il processo

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Processo Eternit

Investita della questione, la Corte Costituzionale a maggio scorso ha stabilito che si potesse procedere perché dalla condotta potenzialmente illecita di Eternit sono scaturite conseguenze, vale a dire nuovi decessi, non valutate nel precedente processo.Il processo prosegue, dunque, fino alla pronuncia del 29 novembre, con il gup che ha deciso però di derubricare l’accusa, il procedimento che torna alla fase delle indagini preliminari e sarà spezzettato in quattro diversi tribunali.Intanto il tempo passa e la prescrizione incombe.

Il processo

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Incidente sul lavoro al porto di Messina: 4 morti

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Incidente al Porto di Messina

Sono tre gli operai morti nel gravissimo incidente che si è verificato questo pomeriggio al porto di Messina, mentre altri tre lavoratori sono rimasti feriti, tra cui uno è gravissimo. Si tratta di marittimi impegnati in lavori di pulizia di una cisterna della nave “Sansovino” della Siremar attraccata al molo Norimberga. I sei lavoratori si sarebbero sentiti male mentre stavano eseguendo lavori di saldatura per una fuoriuscita di gas. Gli operai sono stati soccorsi da 118 e vigili del fuoco (sul posto sono accorse quattro squadre e gli specialisti del nucleo Nbcr) e trasportati al Policlinico di Messina.

29 Novembre 2016: morti in cisterna

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Incidente al Porto di Messina

La Procura di Messina ha inviato 6 avvisi di garanzia nell'ambito dell' inchiesta sull'incidente sul lavoro, costato la vita a tre marittimi, avvenuto martedì scorso a bordo della nave Sansovino. La Capitaneria di Porto ha notificato gli avvisi al comandante del Sansovino, a un altro ufficiale del traghetto; all’ amministratore delegato di Caronte & tourist isole minori, la società che ha rilevato la Sansovino e tutta la flotta della Siremar, e il titolare di una società napoletana che si occupa di lavori di manutenzione. Un sesto avviso di garanzia riguarda la società Caronte & Tourist isole minori. I reati ipotizzati sono omicidio colposo plurimo e lesioni gravi. La magistratura ha disposto per oggi anche l'autopsia sul corpo delle vittime.

2 Dicembre 2016: avvisi di garanzia

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Incidente al Porto di Messina

Nel 2009 tre eventi mortali scossero l’opinione pubblica per il numero di morti e le tragiche analogie:-Molfetta: 5 morti all’interno di un’autocisterna-Mineo (CT): 6 morti all’interno del depuratore comunale-Sarroch: 3 morti in un silos della ditta SarasIn seguito a questa terribile escalation di morti venne emanato nel 2011 il DPR 177 che regolamenta il lavoro negli spazi confinati, stabilendo i requisiti di chi può operarvi, i metodi di controllo, i DPI da fornire, la documentazione da presentare, ecc.A 5 anni di distanza ci troviamo però a commentare nuovamente un tragico incidente che vede ben 4 morti in analoghe circostanze.

Spazi confinati: i precedenti

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Processo PIRELLI

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Processo Pirelli

Sono stati tutti assolti con formula piena i nove ex manager di Pirelli accusati a Milano di omicidio colposo e lesioni gravissime per i 28 casi di operai morti o ammalati a causa dell'amianto, dopo aver lavorato negli stabilimenti milanesi dell'azienda tra gli anni '70 e '80.Lo ha deciso il giudice della Quinta sezione penale del tribunale Annamaria Gatto che ha scagionato gli imputati "perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto". I familiari delle vittime hanno protestato urlando "vergogna", mentre su uno striscione esposto in aula avevano scritto: "Gli operai sono stati uccisi due volte, dai padroni e dai giudici".

19 Dicembre 2016: tutti assolti i 9 manager

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Processo Pirelli

Il PM Maurizio Ascione aveva chiesto condanne a pene comprese tra i 4 anni e mezzo e i 9 anni di reclusione per sei ex dirigenti Pirelli. Il pm aveva invece chiesto l'assoluzione "perché il fatto non costituisce reato" di altri tre ex dirigenti che ricoprirono un ruolo ai vertici di Pirelli per un arco limitato di tempo. Lo scorso marzo, però, il giudice della Quinta sezione penale ha deciso di disporre una perizia prima della sentenza e dopo che i legali di Pirelli Tyre spa, responsabile civile nel procedimento, avevano prodotto una serie di documenti in relazione a cessioni di rami d'azienda tra fine anni '70 e inizi anni '80.

19 Dicembre 2016: tutti assolti i 9 manager

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Processo Pirelli

Perizia che avrebbe accertato "la presenza degli attuali imputati nelle governance delle società" che hanno gestito gli stabilimenti e che evidenziava "elementi insufficienti" sul "controllo" del "'rischio amianto e messa in sicurezza delle sostanze nocive". Oggi, tuttavia, come accaduto già a Milano in altri e recenti processi ad ex manager di aziende, è arrivata per tutti gli imputati l'assoluzione con formula piena.Quello che è arrivato a sentenza lunedì è il processo bis frutto di un secondo filone dell'inchiesta. Il primo troncone del processo, dopo la condanna in primo grado degli imputati, si era concluso in appello con un'altra assoluzione per undici ex manager dell'azienda.

19 Dicembre 2016: tutti assolti i 9 manager

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Gilardoni spaIndagine per vessazioni

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Gilardoni spa

“Verme schifoso, grande asino, bambina viziata, cazzone, porca, scemo, cretino, deficiente, testa di cazzo, ignorante, ladro, poverino, coglione, bugiardo, imbroglione”. Questi alcuni degli insulti che Cristina Gilardoni avrebbe rivolto ai suoi dipendenti, in particolare agli addetti all’ufficio amministrazione della società, al terzo piano dell’azienda mandellese.

insulti, ceffoni e pizzicotti alla Gilardoni

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Gilardoni spa

E’ quanto riportato dalle carte di chiusura dell’indagini preliminari stilate dalla Procura di Lecco sull’inchiesta, realizzata dalla Squadra Mobile, sui presunti maltrattamenti subiti dai lavoratori della Gilardoni Raggi X da parte della loro titolare. “Escalation di azioni persecutorie e maltrattamenti”, come ha sottolineato il procuratore Antonio Chiappani illustrando mercoledì mattina il risultato dell’attività degli inquirenti.Maltrattamenti che per gli investigatori sarebbero testimoniati non solo dal racconto delle vittime ma anche da filmati e tracce audio raccolte dagli agenti attraverso la loro strumentazione all’interno dell’azienda. Frasi offensive ma anche “pizzicotti, graffi, schiaffi e ceffoni”, si legge ancora nelle carte della Procura.

Insulti, ceffoni e pizzicotti alla Gilardoni

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Gilardoni spa

“Non me ne frega un cazzo che tua mamma ha un tumore, organizzati”, avrebbe detto in un’occasione Cristina Gilardoni a un suo addetto, “vada al Cottolengo”. Una vera umiliazione per le maestranze, intimorite dalle minacce di licenziamento e di anche peggio (“per favore la pianti perché prendo un coltello e glielo tiro in pancia”). Sono ben 22 i casi di lesioni, con prognosi anche superiore ai 40 giorni, accertate dagli agenti.Il capo del personale, oggi licenziato, Roberto Redaelli per gli investigatori avrebbe “presenziato alle aggressioni fisiche e verbali della presidente, appoggiandola, dandole ragione, segnalandole i dipendenti da richiamare e ingiurando a propria volta costoro, tempestando di telefonate e mail i dipendenti in malattia, mettendone in dubbio le patologie addotte, denigrandoli anche di fronte a terzi”.

Insulti, ceffoni e pizzicotti alla Gilardoni

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Gilardoni spa

Gli investigatori definiscono il comportamento di Redaelli come una “forma di controllo esagerato” nei confronti degli altri lavoratori, ai quali non sarebbero stati riconosciuti ferie o permessi, con l’attivazione di “continui procedimenti disciplinari, irrogando plurime e reiterate sanzioni fino a ottenere le dimissioni volontarie o il licenziamento disciplinare”. Gli inquirenti contestano ai due anche “trattamenti economici discriminatori, diretti a subordinare l’assunzione, il trasferimento di un lavoratore, la sua affiliazione sindacale o partecipazione ad uno sciopero”, arrivando a concedere “un premio di 50 euro nella busta paga” a quarantasei dipendenti che non avevano preso parte allo sciopero del marzo 2010.

Insulti, ceffoni e pizzicotti alla Gilardoni

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Gilardoni spa

Un incubo da cui i dipendenti si sono svegliati solo alla fine del 2016, grazie alla decisione del tribunale di Milano che ha azzerato il consiglio di amministrazione dell’azienda, ponendone alla guida Marco Gilardoni, figlio dell’ex presidente. Tra i sei indagati dell’inchiesta ci sono anche i due medici del lavoro Stefano Marton e Maria Papagianni, a cui viene contestata tra le altre cose “l’inosservanza degli obblighi inerenti alla funzione di medico” in relazione alle misure di tutela della salute psicofisica dei lavoratori.

Insulti, ceffoni e pizzicotti alla Gilardoni

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Gilardoni spa

“Il nostro primo interesse era quello della tutela psicofisica delle persone coinvolte, era però necessario anche preservare la continuità aziendale di un’impresa che dà un reddito a centinaia di famiglie del territorio e che garantisce, con i propri prodotti, la sicurezza di strutture pubbliche come tribunali e aeroporti”. E’ il procuratore Antonio Chiappani a fare il punto sul lavoro degli investigatori sul caso della Gilardoni Raggi X, all’indomani della chiusura formale delle indagini.Insulti, oggetti scagliati contro i lavoratori, addirittura morsi: sono 22 i casi di lesioni, anche superiori ai 40 giorni di prognosi, accertati dagli agenti.

“Lavoratori psicologicamente devastati”

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Gilardoni spa

La svolta è avvenuta con la sentenza del tribunale di lavoro di Milano che nell’ottobre scorso ha accolto l’istanza presentata dal nipote Ascani Orsini nei confronti della zia Cristina Gilardoni per distruzione di valore di impresa, contestando alla presidente una cattiva gestione dell’azienda. Il palazzo di giustizia milanese, come sottolineato dal procuratore Chiappani, avrebbe rilevato un’ “irragionevolezza gestoria” che avrebbe potuto mettere in pericolo le sorti dell’azienda mandellese. Azzerato il consiglio di amministrazione, ora la Gilardoni Raggi X è guidata dal figlio Marco che da subito ha ristabilito le corrette relazioni con lavoratori e sindacati.

La svolta

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STRESS: Karoshi,il superlavoro che uccide

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Karoshi

Si può nel 2016 morire di super lavoro? Sì, in Giappone si può, tanto che a questo fenomeno è stato dato anche un nome. Si chiama karoshi e letteralmente significa “morte dovuta al sovraccarico di lavoro”, una tragedia per coloro che sono costretti a sacrificare tempo libero, nottate e vita privata al fine di dare il massimo nel proprio impiego.

Il Karoshi o superlavoro

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Karoshi

Tokyo, 29 dicembre 2016 - Il presidente e ceo di Dentsu Inc, la più grande agenzia pubblicitaria del Giappone, si dimetterà a seguito della morte di una giovane dipendente. La ragazza si è suicidata "per l'eccessivo carico di lavoro" costretta a svolgere straordinari per oltre 100 ore al mese. La vicenda ha colpito molto l'opinione pubblica nipponica, che considera le morti da superlavoro ("karoshi") un grave problema sociale. Il ministero del Lavoro nipponico nei giorni scorsi aveva deciso di portare dinanzi alla giustizia l'azienda pubblicitaria.

Giappone, impiegata suicida per gli orari di lavoro

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Karoshi

Il giorno di Natale dello scorso anno (2015) Matsuri Takahashi, una giovane dipendente 24enne, si suicidò lanciandosi dal terrazzo del dormitorio aziendale. La ragazza era arrivata a lavorare anche 105 ore in più al mese, nonostante i registri della Dentsu mostrassero un conteggio entro i limiti legali (secondo la famiglia, l'azienda forzava l'impiegata ad annotare meno ore di quelle che lavorava effettivamente). La 24enne si è tolta la vita dopo sette mesi di lavoro nell'azienda, di cui aveva raccontato le dure condizioni anche nel suo account su Twitter (parlava anche di 20 ore al giorno alla scrivania). A settembre di quest'anno i tribunali hanno riconosciuto il caso di "karoshi".

Giappone, impiegata suicida per gli orari di lavoro

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Karoshi

Alcuni giorni dopo il riconoscimento del caso, le autorità hanno stabilito che anche la morte nel 2013 di un altro impiegato 30enne dell'azienda fosse dovuta all'eccesso di lavoro. Le due vicende hanno suscitato viva inquietudine nel Paese asiatico, tanto che il governo questa settimana ha approvato un pacchetto di misure d'emergenza per prevenire altre tragedie. Intanto l'inchiesta sulla Dentsu ha svelato che una trentina di impiegati sono stati obbligati a lavorare più di un centinaio di ore extra al mese, il che sembra dimostrare che si trattasse di una pratica sistematica dell'azienda, che è leader nella pubblicità in Giappone, e quinto gruppo mondiale del settore.

Giappone, impiegata suicida per gli orari di lavoro

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Karoshi

Il Giappone riconosce ufficialmente due tipi di ' karoshi': la morte per malattia cardiovascolare legata all'eccessivo lavoro; e il suicidio conseguente a stress mentale legato al lavoro.

Cos’è il Karoshi

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Karoshi

Ma in Giappone esiste un'asticella, un limite, un confine che determina quant'è "il massimo"di ogni lavoratore? Stilato di recente, un vero e proprio Libro bianco fa un resoconto dettagliato lungo 280 pagine in cui si traccia un quadro drammatico del fenomeno, considerato ancora un tabù dal Governo. Nel dossier viene rivelato che quasi l'11 per cento delle aziende ha riconosciuto almeno 80 ore di straordinario al mese per ogni dipendente (come il 44 per cento delle compagnie Tech), mentre quasi il 12 per cento ha dichiarato che il proprio personale denuncia ben oltre le 100 ore di straordinario ogni 30 giorni.

Cos’è il Karoshi

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Karoshi

Come dire che nel Paese dell'imperatore Akihito quasi una compagnia su quattro, circa il 23 per cento, ha dei dipendenti che riportano conseguenze letali a causa dello stress da lavoro eccessivo, come problemi di cuore, infarti ed esaurimenti nervosi.

Non solo: nel 2015 i lavoratori che si sono suicidati o sono morti per problemi di cuore o di respirazione causati da super lavoro hanno raggiunto la cifra spaventosa di 2.310.

Cos’è il Karoshi

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Karoshi

Numeri che mettono il governo giapponese di fronte a una piaga nascosta, ma reale, determinata da una carenza cronica di manodopera, una crisi a lenta combustione derivata dal declino demografico e dalla resistenza storica all'immigrazione. Inoltre la cultura del Sol Levante porta a pensare che in un ufficio, lo straordinario faccia parte dell’orario di lavoro normale. Nessuno lo impone, ma i lavoratori lo vivono come se fosse obbligatorio. Se dunque la settimana lavorativa di base ammonta a 40 ore, molti lavoratori restano (secondo le stime del dossier) anche 49 ore in più, spesso non chiedendo di conteggiare quel tempo come straordinari, per paura di una valutazione negativa da parte dei superiori.

Cos’è il Karoshi