68
Infrastrutture e sviluppo socio-economico del territorio* Laura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3 Introduzione 6 Dotazione infrastrutturale e sviluppo 6 Esternalità, benessere, sostenibilità 8 Il ritardo italiano e l’ampiezza dei divari territoriali 8 Ruolo centrale degli Enti locali 9 I vincoli finanziari alla crescita degli investimenti degli Enti locali 9 Viabilità e trasporti 12 Infrastrutture e competitività del territorio 12 Investimenti in viabilità e trasporti: dinamica della spesa e ruolo degli Enti locali 12 La viabilità 15 Il trasporto pubblico locale 18 Gestione del territorio e ambiente 23 Pubblico-privato nei servizi pubblici locali 24 Divari territoriali: infrastrutture e investimenti nell’idrico e nei rifiuti 26 Tutela dell’ambiente e urbanistica 28 Infrastrutture scolastiche 32 Investimenti pubblici nella scuola: dinamiche della spesa e ruolo degli Enti locali 34 Differenze territoriali negli investimenti degli Enti locali nel settore scuola 36 Divari territoriali nel patrimonio scolastico italiano 37 Settore sociale 41 Il ruolo dei Comuni: un’analisi attraverso la composizione della spesa 41 La spesa per investimenti: dinamiche e divario territoriale 44 Indicatori di struttura nel settore sociale e relazione con la spesa per investimenti 45 Le residenze per anziani 45 Gli asili nido 48 *Il presente contributo è tratto da “Finanza Locale Monitor”, marzo 2011, Intesa Sanpaolo ** Servizio Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo *** Ref. Ricerche

 · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

  • Upload
    others

  • View
    3

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Infrastrutture e sviluppo socio-economico del territorio*Laura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini***

Executive summary 3

Introduzione 6

Dotazione infrastrutturale e sviluppo 6Esternalità, benessere, sostenibilità 8Il ritardo italiano e l’ampiezza dei divari territoriali 8

Ruolo centrale degli Enti locali 9I vincoli finanziari alla crescita degli investimenti degli Enti locali 9

Viabilità e trasporti 12Infrastrutture e competitività del territorio 12Investimenti in viabilità e trasporti: dinamica della spesa e ruolo degli Enti locali 12La viabilità 15Il trasporto pubblico locale 18

Gestione del territorio e ambiente 23Pubblico-privato nei servizi pubblici locali 24Divari territoriali: infrastrutture e investimenti nell’idrico e nei rifiuti 26Tutela dell’ambiente e urbanistica 28

Infrastrutture scolastiche 32Investimenti pubblici nella scuola: dinamiche della spesa e ruolo degli Enti locali 34Differenze territoriali negli investimenti degli Enti locali nel settore scuola 36Divari territoriali nel patrimonio scolastico italiano 37

Settore sociale 41Il ruolo dei Comuni: un’analisi attraverso la composizione della spesa 41La spesa per investimenti: dinamiche e divario territoriale 44Indicatori di struttura nel settore sociale e relazione con la spesa per investimenti 45Le residenze per anziani 45Gli asili nido 48

BOX - Asili nido, partecipazione femminile e sviluppo 51

*Il presente contributo è tratto da “Finanza Locale Monitor”, marzo 2011, Intesa Sanpaolo** Servizio Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo*** Ref. Ricerche

Page 2:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Executive summaryLe Amministrazioni locali realizzano una quota rilevante degli investimenti pubblici del nostro Paese (72,9%) e le loro decisioni rappresentano pertanto un elemento importante per definire le prospettive di sviluppo dei territori, sia in termini di crescita del PIL e competitività, ma anche in un’accezione più ampia che tenga conto della sostenibilità sociale e ambientale. Infatti, l’impatto diretto sul PIL della dotazione infrastrutturale coglie solamente una parte degli effetti economici, mentre ne sottostima l’impatto più generale sul benessere. Le infrastrutture concorrono a determinare le potenzialità di sviluppo in modi diversi. Vi sono casi in cui l’effetto di un’infrastruttura sull’economia è diretto e riconducibile con immediatezza. In altri casi si tratta di infrastrutture il cui impatto economico è riconoscibile solamente in seconda battuta: a titolo esemplificativo, infrastrutture che migliorano la qualità dell’ambiente, si pensi al caso di un depuratore, aumentano certamente la qualità della vita, ma il loro legame con lo sviluppo non è immediato; lo stesso vale per le infrastrutture sociali, oggi riconosciute come uno dei fattori che contribuiscono allo sviluppo economico.

Nell’ultimo decennio gli Enti locali sono stati soggetti a vincoli sempre più stringenti dati dal Patto di Stabilità Interno (PSI) e dal blocco dell’autonomia tributaria, e per questo hanno mostrato una tendenza a contrarre la spesa non indifferibile, tipicamente, gli investimenti. E’ avvenuto, infatti, uno schiacciamento della spesa in conto capitale (-22% tra il 2004 e il 2008), che ha risentito delle difficoltà di ordine finanziario in misura più accentuata rispetto alla spesa corrente, circostanza legata anche al fatto che quest’ultima è caratterizzata dalla presenza di componenti più rigide, come il costo del lavoro dei dipendenti dell’Amministrazione, o dalla necessità di soddisfare attraverso la spese bisogni essenziali e difficilmente comprimibili. È peraltro da sottolineare come i vincoli finanziari risultino più stringenti proprio sulle aree più arretrate del Paese determinando una carenza di investimenti che va ad ampliare le già significative differenze in termini di dotazione infrastrutturale sul territorio.

La capacità degli Enti locali di far fronte all’emergenza della carenza nelle infrastrutture negli anni a venire dipenderà in modo cruciale dai futuri assetti che emergeranno dal federalismo fiscale, sia per quanto riguarda la risultante autonomia tributaria degli Enti, sia riguardo all’aspetto delle modalità di determinazione dei fabbisogni standard. Tuttavia, almeno per il periodo transitorio che precederà l’applicazione definitiva del federalismo, non sembra possibile comunque poter parlare di una vera e propria autonomia d’entrata. Anche la decisione di sbloccare gradualmente le aliquote dell’addizionale Irpef, date le forte limitazioni, non sembra possa sortire effetti rilevanti sui bilanci dei Comuni.

Inoltre, le risorse che ogni Ente può utilizzare dipendono – almeno in parte ora e sempre più in prospettiva in un’ottica di crescente federalismo - dal grado di sviluppo economico, quindi dal livello del reddito del territorio. Naturalmente, la disponibilità di mezzi economici è condizione necessaria, ma non sufficiente per un’offerta adeguata di servizi, dato che sono necessarie anche considerazioni circa l’efficienza della spesa così come sulle scelte di policy sottostanti, che possono portare a privilegiare determinate voci di spesa a fronte di altre e quindi ottenere assetti molto differenziati a parità di risorse utilizzate.

Delle funzioni di spesa degli Enti locali, la viabilità e i trasporti rappresentano la quota più consistente degli investimenti (30,4% degli investimenti complessivi degli Enti locali, pari a 103 euro per abitante) e i dati a disposizione evidenziano come questo sia uno dei settori meno colpiti dalla straordinaria contrazione degli investimenti pubblici italiani degli ultimi anni. Nonostante ciò, permane in Italia la mancanza di un orientamento deciso verso politiche di incentivazione a forme di mobilità sostenibile, che acquistano sempre più importanza relativamente ad aspetti legati sia alla competitività che di carattere sociale e ambientale. Emblematica è la preferenza degli italiani per il trasporto in automobile, a

2

Page 3:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

discapito del trasporto pubblico locale, oltre che della mobilità ciclistica e pedonale. Sotto questi aspetti, oltre la distanza che separa l’Italia dai principali paesi europei, si sottolinea il ritardo che ancora caratterizza il Mezzogiorno rispetto alle aree più sviluppate del Paese. L’esito è una mobilità urbana ancora parzialmente “immobile” caratterizzata da un traffico sempre più congestionato e da tempi di spostamento sempre troppo elevati.

Con le funzioni relative alla gestione del territorio e dell’ambiente, altra componente di rilievo negli investimenti degli Enti locali (tali investimenti rappresentano il 22,6% degli investimenti complessivi, pari a 77 euro per abitante), si intendono sia i servizi pubblici locali legati all’ambiente (idrico e rifiuti) che l’urbanistica e la gestione del territorio. Si tratta di funzioni all’apparenza molto diverse tra loro, ma che hanno in comune le questioni ambientali legate alla gestione del territorio, che passano attraverso sia una gestione efficiente dei servizi essenziali alla collettività che la riqualificazione delle aree urbane per la creazione di una rete di infrastrutture per un ambiente urbano competitivo, efficiente e sostenibile.

Il servizio idrico e lo smaltimento dei rifiuti sono di competenza quasi esclusiva degli Enti locali e delle imprese pubbliche locali. In questo ambito i divari territoriali sono molto evidenti e in costante peggioramento. Ma non è, almeno per il servizio idrico, una carenza delle risorse spese a determinare la minore qualità degli impianti e della gestione dei servizi ambientali nelle aree meridionali del Paese (al Sud si sono investiti 49,1 euro per abitante in media annua tra il 2004 e il 2008 nel Servizio idrico, la media nazionale è pari a 47,4 euro). In effetti, sembra mancare nel Mezzogiorno una gestione di tipo imprenditoriale dei servizi pubblici ambientali, e di contro si osserva una prevalenza delle gestioni in economia da parte dei Comuni. Il superamento della gestione completamente pubblica e il passaggio a una gestione industriale e integrata dei servizi dovrebbero permettere di raggiungere livelli di efficienza e redditività maggiori. Sia nell’idrico che nella gestione dei rifiuti questo paradigma sembra non aver preso piede al Sud, con conseguenze negative per il sistema, sia in termini di qualità del servizio che di risorse, vale a dire di maggiori costi a carico della collettività.

Nel settore dell’istruzione le Amministrazioni locali svolgono una funzione fondamentale in quanto la legge attribuisce a Comuni e Province tutte le competenze in materia di fornitura, costruzione e manutenzione degli edifici scolastici, oltre a essere di loro competenza i servizi accessori quali mensa e trasporto scolastico (gli investimenti sono pari al 10,7% del totale della spesa degli Enti locali, 36 euro annuali per abitante nel periodo 2004-08). Quanto appena elencato costituisce “ambiente dell’apprendimento”, ciò che la Commissione Europea definisce nell’ambito dei programmi di riqualificazione del patrimonio scolastico delle Regioni più arretrate, che deve costituire la base per una politica di riduzione dei costi sociali ed economici che emergono da un sistema scolastico inefficiente. Il problema nel Paese è duplice: il patrimonio scolastico appare inadeguato su tutto il territorio, mentre permangono importanti divari sia di spesa che di qualità della dotazione del sistema scolastico a livello territoriale, e a questo divario corrispondono indicatori di scolarizzazione molto meno soddisfacenti al Sud. Al Sud si riscontra una percentuale di edifici scolastici che necessitano di interventi di manutenzione urgente decisamente maggiore (45% contro il 21% al Nord e il 26% al Centro). Il che non sorprende dato che il numero di edifici che hanno goduto di interventi di manutenzione straordinaria negli ultimi cinque anni in termini percentuali varia dal 62% al Nord al 43% al Sud. Si intuisce quindi la necessità di politiche orientate a una programmazione più efficiente degli investimenti, soprattutto nelle aree più svantaggiate. Per fare questo è chiaramente necessario che le Amministrazioni locali abbiano risorse sufficienti, ovvero è necessario invertire il trend degli ultimi anni in cui, a causa di limitazioni all’autonomia tributaria e di spesa imposte dal Patto di Stabilità Interno, gli Enti locali hanno dovuto contrarre oltremodo proprio gli investimenti, anche nel settore dell’istruzione (-18% in termini reali tra il 2004 e il 2008).

Page 4:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Gli investimenti nel settore sociale sono una posta di dimensioni inferiore dal punto di vista quantitativo: rappresentano il 4,9% delle spese per investimenti complessive di Comuni e Province, pari a 17 euro annuali nel quinquennio 2004-08. Tale voce di spesa risulta essere quella più penalizzata dalle decisioni delle Amministrazioni locali, che hanno ridotto di più di un quarto (-27%) la spesa per investimenti tra il 2004 e il 2008. Inoltre si tratta di infrastrutture, come ad esempio è il caso degli asili nido o delle residenze per anziani, che non svolgono un ruolo diretto nel processo di produzione e per questo motivo il loro impatto economico non appare immediato. In realtà la disponibilità di questo genere di infrastrutture potrà avere in futuro un impatto economico significativo, sia perché il rispettivo rilievo occupazionale sarà crescente, dato l’invecchiamento prospettico della popolazione, sia per la rilevanza che essi hanno sulle scelte di partecipazione femminile al mercato del lavoro, uno degli aspetti che spiegano il ritardo di sviluppo dell’economia italiana. L’ampiezza dei divari nella dotazione di risorse fra le Regioni italiane è significativa anche per questa funzione.

4

Page 5:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere
Page 6:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

IntroduzioneQuesto lavoro analizza gli investimenti pubblici italiani realizzati dagli Enti locali, Comuni e Province1. Le Amministrazioni locali realizzano una quota rilevante degli investimenti pubblici del nostro Paese (72,9%) e le loro decisioni rappresentano pertanto un elemento importante per definire le prospettive di sviluppo dei territori. In particolare, gli investimenti degli Enti sono esaminati nei capitoli che seguono scomponendoli sulla base delle principali funzioni di spesa cui essi sono finalizzati e cercando di confrontarne livelli e dinamiche con indicatori di dotazione infrastrutturale lungo il territorio. I livelli degli investimenti sono fra le variabili dell’intervento pubblico, una di quelle maggiormente differenziate lungo il territorio nazionale, presentando in genere un ampio gap delle Regioni meridionali rispetto alle aree più avanzate del Paese. Dato il ruolo importante che gli investimenti pubblici giocano rispetto ai processi di sviluppo locale, pare emergere uno dei tanti “circoli viziosi” dello sviluppo economico italiano, per cui si investe meno dove ce ne sarebbe più bisogno.

La struttura del lavoro è la seguente. Nella prima parte si evidenziano le relazioni fra dotazione infrastrutturale e sviluppo del territorio, con riferimento sia alla competitività che alla capacità di generare un percorso di crescita inclusiva. Si adotta, cioè, un concetto ampio di sviluppo economico associando alla nozione di crescita misurata dal reddito, e quindi da indicatori aggregati come il PIL, quella di sviluppo sostenibile a livello sociale e ambientale.

Successivamente si fa un breve cenno al tema della dotazione infrastrutturale del nostro Paese, degli investimenti e del divario fra le aree del territorio. Si passa poi a esaminare il ruolo delle Amministrazioni locali (Comuni e Province) nel realizzare gli investimenti declinando l’analisi in base alle principali funzioni di spesa: viabilità e trasporti, territorio e ambiente, istruzione, settore sociale.

Dotazione infrastrutturale e sviluppo L’aggregazione sociale nei centri urbani è collegata a processi storici che hanno alla loro base una ratio economica. In particolare, i processi di sviluppo economico tendono ad aggregare forze propulsive intorno ad alcuni snodi territoriali, i pole de croissance secondo i primi teorici della crescita, che fungono da driver per l’intero territorio circostante. La crescente concentrazione delle attività nei centri urbani riflette poi i cambiamenti strutturali legati prima allo sviluppo industriale, e poi alla terziarizzazione del processo produttivo, e conseguentemente alla riduzione del peso dell’agricoltura in termini di occupazione. La concentrazione urbana delle attività economiche è legata alla presenza di esternalità positive che determinano quindi dei vantaggi competitivi per i centri al crescere della loro dimensione, le cosiddette “economie di agglomerazione”. A esse si aggiunge poi l’effetto dimensionale puro, dovuto al fatto che per alcune attività vi sono economie di scala che richiedono una dimensione minima elevata per potere essere pienamente sfruttate. Di fatto i territori urbani divengono dei luoghi di rafforzamento della competitività dei singoli attori che vi fanno parte, e lo sviluppo dell’intera area non può che riflettere la rispettiva capacità di rafforzare la posizione competitiva dei soggetti, imprese e lavoratori che operano al suo interno.

La nozione di competitività è quella che meglio introduce il tema della dotazione infrastrutturale, aiutando a cogliere il ruolo essenziale che questa svolge all’interno dei meccanismi di un’economia sempre più globalizzata.

1 Non ci occupiamo invece della componente degli investimenti realizzati dalle Regioni e dalle ASL, che rappresentano un 20% circa degli investimenti pubblici locali, concentrati prevalentemente sulle infrastrutture in campo sanitario. Per un’analisi di questo punto si rinvia a “La spesa pubblica per investimenti nel settore sanitario” in Intesa Sanpaolo, Finanza locale monitor, marzo 2010 e “Il mondo della salute fra sostenibilità finanziaria e governance federalista”, Intesa Sanpaolo, ottobre 2010.

6

Page 7:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Non è un caso che la dotazione infrastrutturale rappresenti uno dei driver della crescita riconosciuti nella letteratura economica corrente. A essa possono essere ricondotte funzioni talmente importanti da fare sì che un’eventuale carenza nella dotazione infrastrutturale possa produrre effetti distruttivi sul funzionamento del sistema economico. Questo essenzialmente per il prevalere di effetti di complementarietà (si pensi alle vie di collegamento, ma in generale a tutte le reti). Sovente è lo stock di capitale pubblico ad assolvere una funzione complementare al capitale privato, al punto che una forte carenza di infrastrutture può addirittura annullare la profittabilità di un investimento da parte di un’impresa. Talune infrastrutture hanno un impatto sul prodotto elevatissimo, ad esempio è il caso delle infrastrutture di trasporto nei punti di traffico maggiormente congestionato, mentre altre non hanno alcun impatto (il caso estremo è rappresentato da opere completamente inutili o addirittura mai completate, che ripetutamente affollano le cronache nel nostro Paese). In sostanza, non si deve guardare soltanto alla quantità di investimenti in infrastrutture, ma anche al processo di selezione che conduce a definire le priorità fra progetti alternativi.

Dal lato dei costi di finanziamento, questi hanno invece un effetto negativo sul prodotto, via maggiore tassazione, o eventualmente indirettamente attraverso tariffe elevate che remunerano il costo degli investimenti stessi. L’effetto complessivo sulla crescita dipende dunque dal saldo fra i benefici dell’infrastruttura e i suoi costi.

Una volta qualificata nei termini sopra discussi, la dotazione infrastrutturale risulta un pilastro essenziale di qualsiasi strategia di sviluppo, ma con effetti di quantificazione incerta, legati molto ad aspetti qualitativi e alle modalità di selezione dei progetti, nonché alle procedure che concorrono a definirne i relativi costi.

La relazione fra investimenti infrastrutturali e crescita economica non è agevole da quantificare, anche in considerazione del fatto che in diversi casi i canali di trasmissione che ne qualificano il legame con lo sviluppo possono essere anche indiretti. Ad esempio, possono operare attraverso l’aumento della competitività stimolando gli investimenti privati, e questo fa sì che il tempo per il completamento della trasmissione possa essere anche molto lungo.

La misura del prodotto marginale del capitale pubblico è quindi estremamente controversa. Tuttavia, c’è consenso sul fatto che quando siamo in presenza di dotazioni infrastrutturali molto basse l’impatto di un loro aumento sul prodotto può essere consistente, mentre solo quando la dotazione infrastrutturale eccede un determinato valore “di saturazione” gli effetti sull’output tendono a diminuire sino ad azzerarsi. Infine, deve essere ricordato come in un’economia globalizzata la performance delle imprese tende a riflettere sempre di più la rispettiva capacità di competere su mercati internazionali aperti. Fra i fattori che determinano la posizione competitiva di un’impresa vi sono anche le condizioni prevalenti sul territorio dove essa produce, e la dotazione infrastrutturale in questo senso ha un peso rilevante. Nel caso di dotazioni infrastrutturali importanti, si pensi a un porto o a un aeroporto, che qualificano le opportunità di investimento su un territorio, possono esservi anche effetti di ricaduta legati alla capacità di attrazione di Investimenti diretti esteri sul territorio.

Page 8:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Esternalità, benessere, sostenibilitàIl tema della dotazione infrastrutturale del territorio può essere poi affrontato non solo dal punto di vista meccanico dei suoi effetti diretti sulla crescita del prodotto. Conta certamente la capacità di generare esternalità in senso lato che è in buona misura colta dagli effetti sul prodotto del settore privato. Questi effetti in sostanza incidono in aggregato sulla dinamica della produttività totale dei fattori, nonché sulla capacità di attrarre capitali e lavoratori su un territorio. Le esternalità producono cioè effetti anche indiretti, e che si possono esplicare su periodi temporalmente molto estesi.

E’ in quest’ottica che si deve affrontare una seconda questione, legata agli effetti più ampi in termini di impatto delle infrastrutture sul benessere. Il caso della qualità dell’ambiente urbano risulta evidentemente emblematico per mettere in luce elementi del benessere non colti nelle misure tradizionali del reddito.

Vi è oggi consapevolezza dell’importanza di associare alla nozione di crescita misurata dal reddito, e quindi da indicatori aggregati come il PIL, un concetto più ampio di benessere che si riferisca alla nozione di “sviluppo” nell’accezione più ampia del termine. A ogni modo, molte infrastrutture ispirate a obiettivi diversi dalla crescita, considerazioni di carattere sociale, hanno comunque ugualmente un effetto sul prodotto. Diverse infrastrutture – musei, teatri - migliorano l’accessibilità e la tutela del patrimonio artistico e culturale e in tal modo supportano anche la filiera del turismo. Lo stesso vale per diverse infrastrutture di carattere ambientale (ad esempio i depuratori o gli inceneritori). Le infrastrutture scolastiche incidono sul processo educativo, favoriscono la formazione di capitale umano e aiutano a realizzare l’uguaglianza delle opportunità. Inoltre la dotazione infrastrutturale conta in ambito sociale soprattutto sui temi della cura degli anziani e dei bambini e favorisce in tal modo la conciliazione degli impegni lavorativi con quelli familiari, con effetti positivi sull’offerta di lavoro femminile.

Si può dunque a ragione affermare che l’impatto diretto sul PIL della dotazione infrastrutturale coglie solamente una parte degli effetti economici, quella più diretta, mentre ne sottostima l’impatto più generale sul benessere, tanto più ricordando la natura di bene pubblico della maggior parte di esse. Entrano qui in gioco considerazioni legate alla sostenibilità sociale di qualsiasi modello di crescita. Come oramai pienamente acquisito nel modello di sviluppo di riferimento per le economie europee, già assunto nei target della strategia di Lisbona e più recentemente ribadito nelle indicazioni di Europa 2020, una strategia di crescita inclusiva è condizione per la sostenibilità del modello di sviluppo che perseguiamo. L’impatto sociale della dotazione infrastrutturale non è quindi secondario e deve essere pienamente incorporato fra gli obiettivi della politica economica, tanto più in un paese come l’Italia in cui le divaricazioni territoriali in termini di dotazione di infrastrutture fisiche sono più ampie che in altri paesi.

Il ritardo italiano e l’ampiezza dei divari territorialiSe la dotazione infrastrutturale rientra fra le determinanti dello sviluppo economico, il posizionamento relativo dell’Italia rispetto agli altri paesi definisce una delle questioni importanti da affrontare in un qualsiasi programma di policy volto ad affrontare il tema della bassa crescita della nostra economia. Difatti, la carenza negli investimenti pubblici è uno degli aspetti sui quali l’economia italiana presenta in molti casi una posizione di svantaggio rispetto alle altre economie2.

2 Per una rassegna su questo aspetto si rinvia a “La dotazione infrastrutturale dell’economia italiana nel confronto con i maggiori partner europei” in Intesa Sanpaolo, Finanza locale monitor, maggio 2009.

8

Page 9:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Peraltro, la dotazione infrastrutturale presenta divergenze di rilievo lungo il territorio nazionale, dimostrandosi una delle determinanti delle difficoltà di sviluppo nel Mezzogiorno. Naturalmente, se vale l’ipotesi che un vasto programma di investimenti può sortire gli effetti maggiori proprio dove la dotazione di capitale è carente, se ne può desumere che è proprio nelle Regioni del Sud che la produttività di un incremento delle opere pubbliche sortirebbe i maggiori effetti in termini di crescita del prodotto.

In realtà, come illustrato diffusamente in questo lavoro, è da diversi anni che l’evoluzione degli investimenti pubblici, al Mezzogiorno in particolare - ma anche nel resto del Paese - è molto debole, con una tendenza all’ampliamento dei divari fra le Regioni in termini di dotazione infrastrutturale che si aggiunge alla più generale perdita di posizioni dell’intero Paese in ambito internazionale.

Ruolo centrale degli Enti localiAgli Enti locali spetta un peso importante nel finanziamento e nella realizzazione degli investimenti pubblici in Italia. Tale aspetto del decentramento non è tipico soltanto della realtà italiana, ma è condiviso da molte altre economie3. La ragione di tale impostazione riflette il fatto che molte opere hanno per loro natura un bacino d’utenza circoscritto dal punto di vista geografico. Inoltre, il ruolo preponderante attribuito agli Enti locali appare opportuno, dato che la conoscenza delle realtà territoriali dovrebbe consentire di selezionare i progetti di investimento di cui maggiormente necessita l’economia locale.

La ripartizione degli investimenti pubblici sulla base dei centri di spesa è offerta nella tavola seguente dalla quale si osserva come nel corso degli anni Duemila la quota degli investimenti pubblici realizzata dagli Enti locali sia risultata superiore al 70%. Tale quota è costituita in parte (il 20% circa) da Regioni e ASL, con un peso preponderante della componente degli investimenti finalizzati alle infrastrutture sanitarie. Elevata è la quota degli investimenti pubblici realizzata da Comuni e Province, che insieme totalizzano quasi il 50% degli investimenti pubblici nel complesso.

La composizione degli investimenti della PA secondo i centri di spesa (valori in % del totale degli investimenti della PA)

Totale PA Enti previdenza Amministrazioni centrali

Amministrazioni locali

1980 100 3,0 42,5 54,51990 100 5,8 27,2 67,02000 100 1,3 23,0 75,72009 100 3,3 23,8 72,9Fonte: elaborazioni Ref. su dati Istat

La composizione degli investimenti degli Enti locali secondo i centri di spesa(valori in % del totale degli investimenti della PA)

ASL Comuni Province Regioni Altre Amministrazioni locali

1980 6,9 32,1 3,4 10,1 2,01990 5,7 38,7 3,9 10,8 7,92000 7,8 44,0 5,6 11,9 6,52009 6,5 40,9 6,8 12,8 5,8Fonte: elaborazioni Ref. su dati Istat

I vincoli finanziari alla crescita degli investimenti degli Enti locali

Le difficoltà osservate sul versante della finanza locale nel corso degli ultimi anni non hanno agevolato l’andamento degli investimenti. Difatti, le finanze degli Enti locali hanno attraversato nel corso degli ultimi anni una fase difficile, con finanze

3 Sul punto si rinvia a “Il finanziamento degli investimenti pubblici a livello europeo: il ruolo delle Amministrazioni locali” in Intesa Sanpaolo e Ref., Finanza locale monitor, novembre 2010.

Page 10:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

strette fra i limiti dal lato delle entrate e vincoli sull’evoluzione dei saldi di bilancio. Le entrate hanno sofferto dei tagli ai trasferimenti dal centro non compensati da un allargamento degli spazi di autonomia tributaria; nel contempo sulle Amministrazioni pesavano i target ambiziosi in termini di saldi di bilancio indicati dal Patto di Stabilità Interno (PSI). E’ avvenuto quindi uno schiacciamento della spesa in conto capitale, che ha risentito delle difficoltà di ordine finanziario in misura più accentuata rispetto alla spesa corrente, circostanza legata anche al fatto che quest’ultima è caratterizzata dalla presenza di componenti più rigide, come il costo del lavoro dei dipendenti dell’Amministrazione, o dalla necessità di soddisfare attraverso la spese bisogni essenziali e difficilmente comprimibili4.

I risultati in aggregato possono evidentemente essere poi declinati prendendo in considerazione le diverse tipologie di investimenti. In questo lavoro abbiamo preso in esame le cinque funzioni a cui è destinata la percentuale maggiore di investimenti da parte di Comuni e Province. Come evidenziato nella tabella seguente, il 75% della spesa per investimenti degli Enti locali è destinato alle funzioni di Gestione del territorio e Tutela dell’ambiente, Gestione del territorio e Tutela dell’ambiente, Settore sociale, Istruzione.

La dinamica degli investimenti tra il 2004 e il 2008 penalizza tutti i settori: la spesa Sociale è quella che risulta più penalizzata (-27% in termini reali) seguono gli investimenti per la Gestione del territorio e Tutela dell’ambiente (-24%), la spesa per Istruzione (- 18%). Inferiore risulta la perdita per Beni culturali e Turismo (- 10%) e Viabilità e Trasporti (-15%).

Dinamica degli investimenti degli Enti locali tra il 2004 e il 2008 (euro reali, 2004 =100)

707580859095

100

2004 2005 2006 2007 2008Totale Viabilità e trasporti AmbienteSettore sociale Istruzione Cultura e turismo

90

788285

7376

Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntivi di Comuni e ProvinceInvestimenti degli Enti locali: le funzioni principali di spesa (euro pro-capite reali, media 2004-08)

Viabilità e trasporti

Gestione territorio

e ambiente

Settore sociale

Istruzione Beni culturali e

turismo

Altro* Totale

Piemonte 111 72 21 35 23 116 377Valle d'Aosta ND ND ND ND ND ND 1.019Lombardia 104 63 18 44 14 92 335Trentino 210 234 67 109 52 230 902Veneto 119 43 17 43 12 119 353Friuli VG 164 87 25 51 33 174 533Liguria 136 81 12 22 15 85 353Emilia Romagna

135 52 24 45 17 78 351

Toscana 110 75 16 35 21 86 343Umbria 108 91 20 32 24 119 393Marche 108 88 26 39 19 109 389Lazio 91 75 12 29 12 65 2844 Sul tema della pressione dei vincoli di bilancio sull’evoluzione della spesa per investimenti degli Enti locali si veda anche Ifel, Ref. (2009) Il quadro tendenziale delle finanze comunali Cap.1, in Economia e finanza locale, dicembre 2009 Rapporto Ifel e Ref.

10

Page 11:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Abruzzo 116 83 16 37 14 97 363Molise 143 163 21 38 20 90 474Campania 103 88 13 28 8 66 306Puglia 49 83 8 23 11 76 250Basilicata 150 115 14 44 25 92 440Calabria 95 78 9 38 16 62 298Sicilia 42 51 8 21 8 52 182Sardegna 118 198 25 38 61 145 586Italia 103 77 17 36 16 90 339Valori %Piemonte 29,5 19,1 5,5 9,2 6,0 30,7 100,0Valle d'Aosta ND ND ND ND ND ND 100,0Lombardia 30,9 18,9 5,4 13,2 4,1 27,6 100,0Trentino 23,3 26,0 7,4 12,0 5,7 25,6 100,0Veneto 33,7 12,2 4,9 12,1 3,3 33,8 100,0Friuli VG 30,7 16,3 4,6 9,5 6,2 32,6 100,0Liguria 38,5 23,1 3,4 6,4 4,4 24,2 100,0Emilia Romagna

38,5 14,8 6,9 12,9 4,8 22,1 100,0

Toscana 32,1 22,0 4,5 10,3 6,1 25,0 100,0Umbria 27,6 23,0 5,0 8,0 6,1 30,2 100,0Marche 27,7 22,7 6,8 9,9 4,8 28,1 100,0Lazio 32,1 26,4 4,3 10,1 4,4 22,7 100,0Abruzzo 31,9 22,9 4,4 10,2 3,8 26,7 100,0Molise 30,3 34,3 4,4 7,9 4,1 19,0 100,0Campania 33,7 28,7 4,3 9,0 2,5 21,7 100,0Puglia 19,5 33,1 3,2 9,3 4,4 30,5 100,0Basilicata 34,1 26,2 3,2 10,0 5,6 20,9 100,0Calabria 32,0 26,1 3,0 12,7 5,3 20,9 100,0Sicilia 23,3 27,9 4,4 11,7 4,4 28,3 100,0Sardegna 20,1 33,8 4,3 6,5 10,4 24,8 100,0Italia 30,4 22,6 4,9 10,7 4,8 26,6 100,0* Funzioni generali di amministrazione di gestione e di controllo, Giustizia, Polizia locale, Settore sportivo e ricreativo, Sviluppo economico, Servizi produttiviFonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntivi di Comuni e Province

Page 12:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Viabilità e trasportiInfrastrutture e competitività del territorio

Vi è oggi una crescente consapevolezza del fatto che le potenzialità di sviluppo di un’area vanno collegate alla capacità del territorio di attrarre imprese e capitali dall’esterno e alla presenza di incentivi per le imprese autoctone in grado di sostenere la crescita e lo sviluppo delle attività in loco. Le condizioni di attrattività di ciascun’area sono determinate in misura cruciale da “fattori di contesto”, fra i quali vi è la dotazione infrastrutturale.

L’effetto delle infrastrutture di trasporto e di rete sull’economia è diretto e riconoscibile con immediatezza, avendo tali infrastrutture caratteristiche di complementarietà rispetto al processo di produzione: in taluni casi senza un’adeguata dotazione infrastrutturale non vi sarebbero neanche gli investimenti privati.

L’identificazione dei canali attraverso i quali le infrastrutture che favoriscono la mobilità possono condizionare lo sviluppo economico sono di diversa natura; il legame non è solo di tipo quantitativo, in generale la relazione fra dotazione infrastrutturale e sviluppo non ha un’elasticità valida in ciascun contesto. In alcuni casi però i valori possono essere anche molto elevati, soprattutto quando un dato investimento consente di risolvere una situazione di congestione. A titolo esemplificativo, una misura almeno intuitiva dell’impatto economico di una data carenza infrastrutturale nel campo della viabilità urbana può essere desunta calcolando il tempo eccedente dei valori “normali” che un lavoratore medio spende nell’attività di commuting. Nei grandi centri urbani, quindi, la perdita di benessere derivante da una dotazione infrastrutturale inadeguata può essere significativa.

Evidentemente, se un’infrastruttura consente di ridurre tali perdite, ne può conseguire un effetto sullo sviluppo, legato sia a effetti positivi sull’offerta aggregata, che ad aumento della dimensione del mercato.

L’effetto di domanda deriva dal fatto che la dotazione infrastrutturale legata alla mobilità nel territorio, può favorire lo sviluppo attraverso l’allargamento della dimensione del mercato di riferimento: in un contesto economico sempre più globalizzato, l’accessibilità rispetto agli snodi del commercio può risultare un aspetto essenziale per alcuni settori; conta quindi sia la presenza di grandi infrastrutture che definiscono i collegamenti nazionali e internazionali, sia la connessione sul territorio agli snodi di tali reti. A titolo di esempio, lo sviluppo turistico di un’area può dipendere sia dalla prossimità rispetto a un aeroporto che la colleghi ai grandi flussi di traffico internazionali, sia dalle infrastrutture che collegano il territorio a quell’aeroporto.

Vi è anche un effetto di offerta, legato al fatto che una dotazione infrastrutturale che faciliti la mobilità sul territorio può ampliare la dimensione del mercato del lavoro locale, agevolando i rapporti professionali, e favorendo le imprese nella ricerca di skills specifici. Da questo punto di vista la gestione del sistema dei trasporti locali, favorendo il commuting ma anche gli altri spostamenti sul territorio, svolge un ruolo cruciale di diffusione dello sviluppo. Miglioramenti della posizione competitiva derivano anche dalla possibilità che aumenti della dotazione infrastrutturale riducano i costi di produzione. In particolare, nei centri di grandi dimensioni l’efficienza del sistema produttivo è legata direttamente al sistema di trasporto urbano, e alla capacità di questo di assicurare spostamenti rapidi a costi accessibili.

12

Page 13:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Investimenti in viabilità e trasporti: dinamica della spesa e ruolo degli Enti locali

Gli investimenti pubblici nei settori della viabilità e dei trasporti hanno presentato nel corso degli ultimi anni un andamento difforme da quanto osservato per gli investimenti complessivi. Se, infatti, negli ultimi anni si è avuta una tendenza delle Pubbliche Amministrazioni a contrarre la spesa in conto capitale, ciò ha interessato il settore dei trasporti in misura solo marginale. Come si evince dal grafico, gli investimenti totali in rapporto al PIL hanno subito nel periodo 2004-08 un calo di circa 3 decimi, mentre nel settore dei trasporti la percentuale degli investimenti sul prodotto si è comunque mantenuta su un livello pressoché costante, intorno ai 7 decimi di PIL.

Una quota consistente di questi investimenti è di competenza delle Amministrazioni locali: nel 2008 sono stati effettuati da Comuni e Province il 63% circa degli investimenti in viabilità (essenzialmente le strade, compresa l’illuminazione pubblica e le infrastrutture legate al trasporto su strada come gallerie, ponti, parcheggi, capolinea di autobus ecc.) e il 77% per gli “altri trasporti” (aggregato che comprende oltre ai trasporti diversi dalla strada – ferrovie, trasporto marittimo, aereo, fluviale e lacuale – anche le spese connesse al finanziamento e la gestione di linee di trasporto pubblico, anche stradale).

Investimenti pubblici nel settore dei trasporti

2,02,12,22,32,42,52,62,7

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Investimenti della PA in % del PIL

0,400,450,500,550,600,650,700,75

Totale investimentiViabilità e trasporti (scala dx)

Fonte: elaborazioni Ref. su Conti Pubblici Territoriali

Per gli Enti locali, come del resto per tutti i settori della PA, la maggior parte degli investimenti del settore trasporti sono impegnati per tutto ciò che riguarda la viabilità. Sul totale degli investimenti in trasporti, la percentuale che riguarda il trasporto su strada, da cui sono escluse le somme destinate ai trasporti pubblici, arriva nel 2008 all’80% circa per gli Enti periferici, e all’83% per il complesso della PA5.

Emerge dai certificati consuntivi che per gli Enti locali circa il 30% del totale delle risorse investite mediamente nel periodo 2004-08 sono confluite nelle funzioni riguardanti la viabilità e i trasporti. Secondo la fonte Conti Pubblici Territoriali, questa percentuale si è accresciuta notevolmente nel tempo, passando dal 24% nel 1996 al 31% circa nel 2008.

La dinamica degli investimenti della periferia nel settore dei trasporti è stata trainata negli anni dalla crescita sostenuta della spesa in viabilità, che in più di un decennio è aumentata di quasi due decimi di PIL.

5 Fonte: Conti Pubblici Territoriali.

Page 14:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Investimenti degli Enti locali nei trasporti

0,0

0,1

0,2

0,3

0,4

0,5

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008In % del PIL

Totale sett. trasportiViabilitàAltri trasporti

Fonte: elaborazioni Ref. su Conti Pubblici Territoriali

Per quanto riguarda le competenze degli Enti, mentre le Province si occupano essenzialmente di strade (la quasi totalità della spesa è, infatti, imputata al settore viabilità), ai Comuni competono anche i trasporti pubblici locali e l’illuminazione pubblica, che insieme costituiscono circa il 9% degli investimenti totali in viabilità e trasporti.

Investimenti di Comuni e Province in Viabilità e Trasporti (euro pro-capite reali, media 2004-08; valori %)

Euro Valore %COMUNIViabilità e trasporti 79,0 100,0

di cui:Viabilità, circolazione stradale e servizi connessi

63,7 80,7

Illuminazione pubblica 5,3 6,7Trasporti pubblici locali e servizi connessi 2,0 2,5

PROVINCEViabilità e trasporti 24,1 100,0

di cui:Viabilità 23,8 98,9Trasporti 0,3 1,1

di cui:Trasporti pubblici locali e servizi connessi 0,1 0,2

Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntivi

La distribuzione territoriale degli investimenti locali in viabilità evidenzia l’esistenza di differenze marcate soprattutto sul versante della spesa dei Comuni. I Comuni del Centro-Nord spendono in proporzione molto di più rispetto a quelli del Sud e delle Isole, sebbene al netto delle Regioni a statuto speciale le differenze risultino leggermente attenuate. Il dato dei Comuni del Sud poi evidenzia investimenti particolarmente contenuti di alcune Regioni, ovvero Calabria, Puglia e Sicilia, la cui spesa (espressa in termini pro-capite) è praticamente la metà della media nazionale. Il dato relativo agli investimenti in viabilità delle Province presenta una situazione meno netta; aggregando per macroaree non si riscontrano differenze salienti nella spesa, ad eccezione del dato particolarmente basso delle Isole. Si evidenzia poi il caso delle Province calabresi, che a differenza dei Comuni spendono quasi il doppio rispetto alla media nazionale. Puglia e Sicilia rimangono invece i fanalini di coda.

Investimenti di Comuni e Province in Viabilità e Trasporti (euro pro-capite reali, media 2004-08)

COMUNI PROVINCETrentino AA 209,9 Trentino AA 69,9Friuli VG 138,9 Friuli VG 58,4Liguria 114,7 Liguria 45,2Veneto 95,0 Veneto 40,7Emilia Romagna 94,5 Emilia Romagna 34,5Sardegna 91,6 Sardegna 32,9Basilicata 91,6 Basilicata 30,3Abruzzo 83,2 Abruzzo 30,3

14

Page 15:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Marche 82,3 Marche 26,4Campania 81,3 Campania 25,5Piemonte 81,2 Piemonte 24,9Lazio 80,2 Lazio 23,9Lombardia 79,7 Lombardia 23,7Umbria 78,2 Umbria 22,0Toscana 75,8 Toscana 21,2Molise 73,6 Molise 12,0Calabria 50,3 Calabria 11,0Puglia 36,6 Puglia 9,9Sicilia 32,5 Sicilia NDValle d’Aosta ND Valle d’Aosta NDNord 95 Nord 27Nord-Ovest 84 Nord-Ovest 25Nord-Est 110 Nord-Est 28Centro 79 Centro 22Mezzogiorno 59 Mezzogiorno 22Sud 64 Sud 26Isole 47 Isole 14Italia 79,0 Italia 24,1Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntiviLa sola analisi dei dati di spesa non permette comunque di avanzare giudizi di merito sull’impegno degli Enti nei settori di viabilità e trasporti e sul tipo di politiche adottate. Un aspetto che emerge comunque dai dati è il peso crescente che il trasporto su strada ha sugli investimenti. Focalizzando l’attenzione sugli Enti locali, e in particolar modo sulle città, un approccio di questo tipo sembra allontanarsi dal concetto di mobilità sostenibile, che vorrebbe un progressivo allontanamento dall’utilizzo di mezzi privati e inquinanti per favorire il ricorso a mezzi alternativi, in primis il trasporto pubblico locale (TPL), ma anche i mezzi privati non inquinanti: tipicamente la bicicletta, ma anche la possibilità di percorrere tratti a piedi, favorendo le aree pedonali e investendo nella sicurezza dei pedoni stessi.

I dati disponibili non sono sufficientemente dettagliati per poter distinguere ciò che nella spesa per la viabilità riguarda la mobilità sostenibile (ovvero ciclistica e pedonale). Inoltre, solo per il 2008 nei certificati consuntivi compare il dettaglio della spesa di Comuni e Province per il trasporto pubblico locale, e quindi la ripartizione territoriale non risulta molto significativa in quanto trattandosi di spesa in conto capitale rappresenta una posta che varia notevolmente di anno in anno a seconda dei progetti intrapresi.

Solo affiancando ai numeri della spesa dati di struttura è possibile fornire un quadro sulla situazione della mobilità urbana nel Paese, da cui emerge, al di là delle differenze Nord-Sud, un notevole ritardo di tutto il Paese nei confronti di altri paesi europei, dove si fanno invece progressi verso modalità di spostamento alternative e sostenibili.

La viabilitàL’ambito all’interno del quale collocare l’analisi dell’impatto economico di questo tipo di infrastrutture sull’economia del territorio è ancora quello della mobilità e del suo effetto sulle economie da agglomerazione. La possibilità di una maggiore mobilità accresce il numero di opportunità “accessibili” a un dato costo.

L’esigenza di una rete stradale adeguata aumenta al crescere della dimensione del territorio urbanizzato e della rispettiva frammentazione. Se l’effetto dimensionale, vale a dire la crescita delle città, si lega allo sviluppo economico, è allora evidente che la dotazione infrastrutturale nel settore della viabilità è un ingrediente essenziale dello sviluppo.

D’altro canto, per le grandi aree urbane, è crescente l’esigenza di coordinare le politiche volte a migliorare la viabilità con quelle, discusse nel paragrafo seguente, finalizzate a favorire il trasporto pubblico. Le esigenze ambientali e di congestionamento suggeriscono che l’ampliamento dell’accessibilità urbana deve essere conseguito attraverso una crescente integrazione della viabilità con gli

Page 16:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

spostamenti consentiti dal trasporto pubblico locale e con mezzi alternativi alle automobili private. Inoltre, se per i grandi centri urbani le infrastrutture volte a potenziare il trasporto collettivo, come ad esempio le metropolitane, appaiono una scelta appropriata, per i centri di medie dimensioni questo genere di infrastrutture risulta troppo costoso, dato che il costo fisso degli impianti è rilevante e risulta di fatto sottoutilizzato al di sotto di una soglia minima di traffico passeggeri.

Del resto pur essendosi, negli ultimi anni, ampliato il consenso sull’esigenza di accrescere il peso dei trasporti pubblici locali, la quota degli spostamenti soddisfatta attraverso il trasporto collettivo resta ancora minoritaria rispetto al peso dei mezzi privati. La mobilità automobilistica rappresenta ancora la quasi totalità della domanda di spostamento nel Paese: la preferenza degli italiani per le quattro ruote private, infatti, supera ormai da anni l’80% della domanda totale di mobilità, contro circa l’8% dei ciclomotori e poco più del 10% dei mezzi pubblici6. Questa sperequazione risulta ancora più accentuata nei Comuni di dimensioni inferiori alle grandi città (sotto i 100 mila abitanti) dove più del 90% dei cittadini sceglie l’autovettura per i propri spostamenti.

Una linea di investimenti su cui si punta da qualche anno per migliorare la viabilità dei centri urbani7 è quella dei tunnel stradali, strategia che in alcuni casi si presta peraltro a un finanziamento attraverso capitali privati, circostanza attraente in un periodo di risorse pubbliche scarse, remunerati attraverso il pagamento di un pedaggio.

È anche vero che la propensione a spostarsi con l’auto privata nelle grandi città sta subendo negli anni una leggera flessione, dove tra il 2007 e il 2008 la percentuale di persone che scelgono l’autovettura è scesa di qualche punto, dal 60,4% al 58,9%.

Questa tendenza è anche dovuta al caro del carburante che rende l’utilizzo di questo mezzo sempre meno concorrenziale. Si tratta di un aspetto che acquisirà un rilievo crescente in futuro, alla luce delle tensioni che oramai da oltre un quinquennio stanno caratterizzando i mercati petroliferi: i centri urbani caratterizzati da una maggiore disponibilità di servizi di trasporto relativamente economici si caratterizzeranno per un gap favorevole sul potere d’acquisto delle famiglie, liberando risorse per altri acquisti, ed effetti positivi sulla domanda di beni e servizi.

Resta il fatto che, secondo dati ISTAT, il tasso di motorizzazione relativo ai Comuni capoluogo italiani è cresciuto fino al 2009, anche se a ritmi non sostenuti. La distribuzione regionale dell’indicatore evidenzia poi una propensione all’utilizzo dell’automobile più accentuata tra le Regioni del Centro-Sud.

6 Fonte: Isfort, IV Rapporto sulla mobilità in Italia, 2009. Distribuzione percentuale degli spostamenti motorizzati.7 Ad es. Ramella F. (2010) Contrordine: meglio il tunnel dei mezzi pubblici www.lavoce.info.

16

Page 17:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Tasso di motorizzazione nei Comuni capoluogo

610611612613614615616617618

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Numero autovetture per 1.000 abitanti Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

La prevalenza nell’utilizzo dell’automobile offre una spiegazione per quanto riguarda la parziale “immobilità” del Paese dove il traffico è sempre più congestionato e i tempi di spostamento sono sempre troppo elevati. La congestione però rimane in ogni caso un problema che riguarda più da vicino i grandi centri urbani, anche se è proprio qui che l’autovettura ha iniziato a perdere posizioni rispetto a mezzi alternativi.

Secondo un rapporto elaborato da Cittalia, nei grandi centri metropolitani la stragrande maggioranza dei cittadini impiega un tempo superiore ai 30 minuti per i propri spostamenti regolari in un giorno feriale. La statistica riguarda solo le sei città più grandi, ed evidenzia come il problema della congestione del traffico non sia una questione Nord-Sud, ma sia maggiormente legato alla dimensione stessa del centro urbano.

Indicatori di mobilitàTasso di

motorizzazione

Incidenti su strade

urbane

Densità ZTL

Aree pedonali

Stalli di sosta di scambio

Numero autovetture

su 1.000 abitanti

Numero per 1.000

auto, 2009

Kmq per 1.000 kmq sup. comune

Mq per 1.000

abitanti

Numero parcheggi per

1.000 autovetture

Piemonte 628,0 3,6 15,9 61,0 17,4Valle d'Aosta (1) 2.078,9 0,9 23,4 5,7 8,4Lombardia 581,2 5,8 25,7 28,4 24,0Trentino-Alto Adige

554,1 3,1 3,5 18,5 34,4

Veneto 555,3 4,2 4,4 152,9 42,5Friuli-Venezia Giulia

586,6 4,5 0,8 26,2 11,9

Liguria 483,6 10,5 6,7 11,0 22,4Emilia-Romagna 599,8 5,9 3,8 35,2 24,1Toscana 598,0 6,7 5,2 46,7 20,9Umbria 672,9 3,4 8,6 66,5 26,9Marche 636,0 4,7 5,6 22,5 15,3Lazio 709,5 5,6 3,9 13,6 7,0Abruzzo 649,4 2,9 0,8 29,0 21,1Molise 675,3 1,3 16,4 20,5 1,2Campania 585,1 2,6 14,0 25,3 5,9Puglia 563,9 4,1 1,7 12,6 8,2Basilicata 669,3 1,4 2,1 3,9 2,3Calabria 612,7 1,8 2,6 12,6 19,7Sicilia 634,9 3,4 7,7 6,0 6,5Sardegna 643,2 3,0 3,8 44,3 17,3Nord 585,2 5,1 8,5 50,5 24,4Centro 673,3 5,6 5,1 25,9 11,9Sud 614,9 3,0 4,8 17,7 9,6Italia 617,0 4,5 6,0 34,0 16,3(1) Il tasso di motorizzazione è influenzato da minore tassazione su nuovi veicoli Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Page 18:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Tempo impiegato in spostamenti (giorni feriali, valori %)Roma Milano Napoli Torino Palermo Genova

Non effettua spostamenti regolari

4 6 4 3 7 4

Fino a 30 minuti 12 22 20 26 32 27Da 31 a 60 minuti 35 35 37 33 31 40Da 61 a 120 minuti 35 30 29 28 21 23Oltre 120 minuti 14 7 10 10 9 6Media approssimata (min) 74 60 63 62 58 53Popolazione residente (milioni) 2,7 1,3 1,0 0,9 0,7 0,6Fonte: Rapporto Cittalia, Città mobili, 2009

Evidentemente quindi le politiche poste in atto finora non sono sufficienti. Oltre al trasporto pubblico locale, di cui si tratterà più avanti, anche gli investimenti nel settore viabilità possono essere orientati a ridurre la congestione e incrementare la sostenibilità dei comportamenti di mobilità dei cittadini, non solo con la realizzazione di infrastrutture per lo scorrimento veloce come i tunnel stradali, ma anche incidendo sul trasporto cosiddetto lento, a piedi o in bicicletta.

In effetti, la densità delle piste ciclabili in Italia è cresciuta nell’ultimo decennio, da 5,6 km per kmq di superficie nel 2000 a 13,3 nel 20088. Il fatto che le vie ciclabili siano più che raddoppiate però non necessariamente significa che le due ruote siano effettivamente da considerarsi un mezzo di trasporto alternativo all’auto, o quantomeno che i ciclisti abituali abbiano vita facile nel nostro Paese. La densità di strade comunali percorribili in auto è, infatti, decisamente superiore sul territorio nazionale, pari a 222 km per kmq, quasi venti volte in più. In questo caso il confronto territoriale fa emergere un profondo divario nel Paese: ordinando i capoluoghi di Provincia per rapporto tra densità di vie percorribili in auto e densità di vie ciclabili, su 80 città per cui è disponibile il dato la prima città del Sud è Cosenza al 27esimo posto, dove il rapporto tra i due indicatori è di 1 a 8,3 (32 km di piste ciclabili per kmq contro 267 di strade).

Ma la presenza di piste ciclabili non è il solo elemento che può favorire il cambiamento nelle abitudini di trasporto dei cittadini: la realizzazione di questi percorsi deve essere parte integrante di un sistema di trasporti sostenibile, senza il quale cesserebbe la loro ragion d’essere. Da questo punto di vista, numerosi sono gli aspetti da tenere in considerazione.

La sicurezza delle strade è uno di questi, e riguarda non solo l’utilizzo delle due ruote, ma anche la possibilità di percorrere tratti a piedi. Il numero di pedoni coinvolti in incidenti stradali è aumentato negli ultimi 15 anni rispetto al minimo del 1993, e la pericolosità delle strade urbane sembra essere più legata a fattori di congestione stradale dovuta alla dimensione demografica e allo sviluppo delle aree urbane. Difatti, sebbene si riscontri una maggiore propensione all’utilizzo dell’automobile nelle regioni meridionali, le strade urbane del Centro-Nord appaiono comunque mediamente più pericolose rispetto a quelle del Sud.

8 ISTAT, Densità di piste ciclabili nei capoluoghi di Provincia, Indicatori sui trasporti urbani 2000-08.

18

Page 19:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Pedoni coinvolti in incidenti stradali

12

16

20

24

28

32

1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008Migliaia di morti e feriti

Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Una politica integrata di trasporti urbani sostenibili deve garantire la presenza di aree ciclopedonali diffuse, incentivando la presenza di zone a traffico limitato (ZTL), zone con limite di velocità a 30 km/h (zone30) e aree ciclopedonali o pedonali. Deve inoltre puntare allo sviluppo dell’intermodalità attraverso la presenza di parcheggi e spazi sicuri e accessibili in prossimità delle fermate dei mezzi pubblici.

Sotto questi aspetti, i dati presentati nella tabella a pagina 23 su ZTL, aree pedonali e soste di scambio evidenziano la presenza di differenze regionali molto marcate. A differenza di quanto osservato per il numero di incidenti, la dotazione al Nord è superiore rispetto al Centro-Sud.

Il trasporto pubblico locale Il trasporto pubblico locale, come molti altri servizi a rete, è caratterizzato solitamente da rendimenti di scala crescenti, e per questo motivo ha le caratteristiche di un monopolio naturale. E’ per questo che tradizionalmente questi servizi sono sotto la sfera dell’azione pubblica.

Oltre alle considerazioni di carattere prettamente economico, ve ne sono altre, cui il dibattito ha assegnato un peso crescente nel corso degli ultimi anni, relative alla tutela dell’ambiente. L’obiettivo di contenere l’inquinamento dei centri urbani spinge a sostenere il trasporto pubblico rispetto ai mezzi privati.

Naturalmente, l’importanza del trasporto pubblico locale non è la stessa nei diversi ambiti territoriali. Un aspetto importante è la dimensione del territorio e la rispettiva densità abitativa; città di grandi dimensioni sono praticamente dipendenti dal sistema del trasporto pubblico locale, il cui rilievo è viceversa più limitato nel caso delle città di piccole dimensioni, dove è prevalente l’utilizzo dei mezzi privati.

Il rendimento atteso dal punto di vista sociale, associato alle infrastrutture nel trasporto locale, può essere rappresentato dal tempo risparmiato negli spostamenti moltiplicato per il valore di tale tempo. Una proxy di tale valore è costituita dal salario orario di coloro che risparmiano tale tempo. E’ chiaro come la convenienza economica di tali infrastrutture sia decisamente più elevata nei grandi centri urbani, dove infrastrutture di trasporto, come ad esempio le metropolitane, consentono elevati risparmi di tempo, oltre a essere fruite da una popolazione con salari medi relativamente elevati.

L’aspetto del diverso rilievo del trasporto locale a seconda delle caratteristiche di ciascun’area suggerisce come sia importante che il processo decisionale faccia capo alle Autorità locali, che possono definire le priorità grazie alla conoscenza del territorio.

Page 20:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Su questo punto va comunque segnalato come la limitata autonomia finanziaria, che ha caratterizzato gli Enti negli ultimi anni, possa aver rappresentato un limite alle scelte; difatti, i trasporti pubblici locali sono quasi sempre un servizio fornito a fronte di una tariffa insufficiente a coprirne i costi; d’altro canto, le esternalità positive generate dai mezzi pubblici, ad esempio in termini di minori congestioni di traffico e minore inquinamento, fanno sì che del loro sviluppo non benefici solamente l’utenza diretta, ma l’intera popolazione. Si giustifica quindi pienamente il ricorso alla fiscalità generale per il finanziamento di quelle infrastrutture il cui rendimento atteso per la comunità è superiore al suo costo.

E’ questo evidentemente un ambito in cui i limiti all’autonomia tributaria degli Enti locali rappresentano un vincolo che può produrre scelte sub-ottimali. D’altro canto, poiché le esternalità positive del trasporto pubblico locale si producono comunque all’interno del territorio, e quindi a vantaggio dei rispettivi cittadini, un finanziamento con un prelievo locale rappresenta in linea di principio una scelta superiore rispetto al finanziamento attraverso la fiscalità generale. In questo senso, l’applicazione del federalismo fiscale potrebbe comportare un miglioramento, sebbene nell’attuale formulazione del decreto, ancora nella fase transitoria, si configuri una situazione incerta dal punto di vista dell’autonomia degli Enti.

Il trasporto pubblico locale è cresciuto nell’ultimo decennio, sia in termini di domanda, ovvero passeggeri all’anno sulla popolazione totale, che dal lato dell’offerta, cioè in termini di densità delle reti e dotazione di automezzi.

Dal lato dell’offerta, si osserva un incremento della densità delle reti di trasporto pubblico locale (in particolare di autobus, ma anche tram, filobus, metropolitane e funicolari), calcolata per i Comuni capoluogo, che dal 2000 al 2008 è passata da 114 a 120,5 km per 100 kmq. Si tratta comunque della metà rispetto alle vie percorribili in auto, che coprono circa 222 km per 100 kmq. Nello stesso arco di tempo il numero di autobus in dotazione nei Comuni capoluogo si è accresciuto da 8,5 a 9 vetture per 10 mila abitanti.

Anche la domanda di trasporto pubblico è aumentata contestualmente: il numero di passeggeri trasportati da mezzi pubblici in un anno sul totale degli abitanti si è accresciuto del 13% dal 2000 al 2009, sebbene nel 2009 si sia osservata una leggera flessione rispetto al 2008.

Domanda di trasporto pubblico in Italia

205210215220225230235240

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009Comuni capoluogo, passeggeri per abitante

Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

20

Page 21:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Densità di linee di trasporto pubblico locale

111112113114115116117118119

2000 2002 2004 2006 2008Comuni capoluogo, km per 100 kmq

Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

La distribuzione territoriale di domanda e offerta di trasporto pubblico locale evidenzia la presenza di differenze regionali non necessariamente legate a fattori di sviluppo, sebbene dal dato aggregato per macroarea domanda e offerta di trasporti pubblici risultino decrescenti da Nord a Sud.

Il Lazio e la Lombardia, soprattutto per la presenza di Roma e Milano, dominano la classifica in termini di passeggeri di mezzi pubblici sul totale degli abitanti. Ma, mentre in Lombardia la densità di linee di trasporto pubblico appare adeguata (o quantomeno decisamente al di sopra della media nazionale), il Lazio si colloca in linea con la media del paese nonostante la quota di passeggeri sia molto più elevata, evidenziando quindi una carenza di dotazione rispetto alla richiesta effettiva. Dai certificati consuntivi degli Enti locali emerge però come proprio nel Lazio gli investimenti in trasporti pubblici locali del 2008 siano i più elevati del Paese9.

Al di là della ripartizione territoriale, che potrebbe non essere particolarmente significativa in quanto il dato si riferisce ai pagamenti in conto capitale del solo anno 2008, si è già sottolineato come la maggior parte delle spese interessino la viabilità, mentre la quota degli investimenti effettuati direttamente dall’Ente locale dedicata al trasporto pubblico locale è solo minoritaria.

Questo perché nel campo dei trasporti pubblici locali un ruolo fondamentale hanno le imprese pubbliche locali. È possibile cogliere la dimensione del fenomeno in tema di investimenti ricorrendo ai dati dei Conti Pubblici Territoriali, dove si rilevano anche i dati di spesa delle imprese pubbliche, sia nazionali che locali. La funzione di spesa “Altri Trasporti” comprende anche gli investimenti nei trasporti pubblici, inclusi quelli su strada, che per le imprese pubbliche locali rappresentano una quota importante di investimenti10.

Includendo quindi la spesa delle aziende pubbliche locali, emerge come comunque la quota dedicata al trasporto pubblico sia una piccola parte del totale: contro le circa 100 euro pro-capite spese per la funzione di viabilità e trasporti dagli Enti locali, la spesa delle aziende pubbliche è pari a poco più di 20 euro per abitante (in media nel periodo 1996-08).

Domanda e offerta di trasporto pubblico localeDensità di reti

di TPLDomanda di

trasporto pubblicoInvestimenti in TPL

di Comuni e Province

Investimenti in trasporti di imprese

pubbliche localiKm per 100 kmq

di superficiePasseggeri

per 1.000 abitantiEuro pro-capite

(2008)Euro pro-capite

(media 1996-08)

9 Il dato presentato nella tabella a pagina seguente si riferisce ai pagamenti del solo anno 2008 (unico anno in cui è disponibile il dettaglio riguardo agli investimenti in trasporto pubblico locale, e come tale non necessariamente rappresentativo delle politiche di spesa degli Enti in quanto potrebbe contenere pagamenti straordinari che riguardano solo il 2008.10 Il 20% circa del totale degli investimenti delle imprese pubbliche locali. La parte restante si divide sostanzialmente tra acque, rifiuti, edilizia abitativa e urbanistica, più altre attività in campo economico.

Page 22:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Vda 580 Laz 491 Laz 8,37 Taa 59,62Lig 311 Lom 454 Cam 6,09 Lom 43,06

Fvg 256 Ven 286 Lig 4,83 Laz 34,75Cam 216 Lig 223 Abr 3,07 Umb 29,00Lom 201 Fvg 213 Lom 1,23 Ven 26,94Taa 193 Cam 206 Tos 1,09 Ero 26,47Pie 190 Taa 160 Pie 0,82 Fvg 22,13Mol 177 Pie 149 Bas 0,70 Tos 18,68Cal 173 Ero 121 Pug 0,53 Lig 16,92

Umb 163 Tos 114 Cal 0,50 Cam 16,71Mar 158 Sar 105 Taa 0,34 Pie 14,78Laz 131 Sic 72 Ero 0,26 Abr 14,29Ven 124 Abr 69 Fvg 0,20 Sar 13,92Pug 122 Mar 67 Sic 0,16 Mar 12,60Tos 108 Umb 62 Mar 0,13 Pug 6,98Abr 94 Pug 56 Sar 0,12 Cal 6,25Bas 87 Vda 44 Ven 0,09 Sic 6,07Ero 83 Cal 41 Umb 0,08 Vda 0,00Sic 75 Mol 32 Mol 0,00 Mol 0,00Sar 56 Bas 23 Vda Nd Bas 0,00

Nord 149 Nord 258 Nord 0,94 Nord 30,91Centro 129 Centro 342 Centro 4,36 Centro 26,31

Mezzogiorno 95 Mezzogiorno 102 Mezzogiorno 2,11 Mezzogiorno 10,12

Italia 120 Italia 234 Italia 2,02 Italia 22,77Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT e certificati consuntivi

Si conferma poi una tendenza a spendere di più nelle Regioni del Centro-Nord, e in particolare spiccano Lombardia e Lazio per valori di spesa elevati rispetto alla media nazionale.

Il confronto internazionale riguardo il trasporto pubblico urbano su ferro (metropolitane e linee suburbane) evidenzia poi come vi sia un generale ritardo dell’Italia nella dotazione di infrastrutture delle grandi città rispetto ai principali paesi europei. Nel confronto effettuato su base nazionale l’Italia occupa sempre l’ultima posizione.

Allo stesso modo città come Roma e Milano, che dovrebbero contendersi il primato di principali città europee, si collocano invece al di sotto di città paragonabili per importanza non solo turistica, ma anche culturale ed economica.

Trasporto urbano su ferro: confronto internazionaleMetro Ferrovie suburbane

Km per milione di

abitanti

Numerolinee

Km per milione di

abitanti

Numerolinee

Germania 7,4 41 Germania 24,9 81Spagna 12,0 30 Spagna 30,3 35Regno Unito 8,1 14 Regno Unito 26,4 71Francia 5,4 27 Francia 10,6 31Italia 2,7 11 Italia 9,8 32Fonte: elaborazioni Ref. su Legambiente, dossier Pendolaria

Trasporto urbano su ferro: confronto internazionale - le cittàMetro Ferrovie suburbaneKm Numero

lineeKm Numero

lineeLondra 416 11 Parigi 587 22Madrid 284 12 Barcellona 494 7Parigi 215 16 Monaco di

Baviera442 7

Berlino 148 10 Madrid 367 11Barcellona 113 11 Leeds 349 12Amburgo 101 3 Birmingham 345 5Valencia 89 3 Londra 337 23Monaco di Baviera

86 6 Berlino 332 15

Francoforte 85 4 Manchester 228 9Newcastle 78 2 Valencia 206 6Milano 75 3 Roma 195 7

22

Page 23:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Dortmund 55 3 Milano 186 8Colonia 45 5 Stoccarda 177 6Lille 45 2 Siviglia 168 4Bilbao 39 2 Amburgo 150 6Norimberga 38 3 Colonia 141 4Roma 37 2 Liverpool 121 5Napoli 32 3 Hannover 120 5Lione 29 4 Cardiff 109 7Tolosa 28 2 Belfast 108 3Stoccarda 23 4 Dresda 101 3Marsiglia 22 2 Francoforte 96 9Siviglia 18 1 Bilbao 87 4Wuppertal 13 1 Napoli 67 5Glasgow 10 1 Norimberga 67 3Bochum 10 1 Malaga 67 2Torino 10 1 Rostock 58 3Rennes 9 1 Lille 50 7Palma de Mallorca

7 1 Tolosa 47 2

Genova 6 1 Palermo 39 2Catania 4 1 Bologna 38 5Duisburg 4 1 Glasgow 37 7Bologna 0 0 Genova 35 2Palermo 0 0 Bielefeld 35 2Bari 0 0 Torino 22 2Hannover 0 0 Bari 9 1Dresda 0 0 Donostia 3 1Rostock 0 0 Dortmund * 4Bielefeld 0 0 Duisburg * 2Duesseldorf 0 0 Duesseldorf * 7Essen 0 0 Essen * 5Leeds 0 0 Catania 0 0Birmingham 0 0 Wuppertal 0 0Manchester 0 0 Bochum 0 0Liverpool 0 0 Lione 0 0Cardiff 0 0 Marsiglia 0 0Belfast 0 0 Rennes 0 0Malaga 0 0 Newcastle 0 0Donostia 0 0 Palma de

Mallorca0 0

Fonte: elaborazioni Ref. su Legambiente, dossier Pendolaria

Page 24:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Gestione del territorio e ambienteLa funzione di spesa afferente la gestione del territorio comprende un’ampia gamma di servizi per loro natura anche molto differenti. Molto differenziata è anche la distribuzione delle competenze tra livelli di governo.

Guardando ai dati di spesa complessiva per livelli di governo11 si osserva come sul totale della spesa pubblica per le funzioni relative alla gestione del territorio, agli Enti locali faccia capo circa il 70% del totale delle risorse spese dalla PA. Se si osserva il dettaglio delle singole funzioni emergono poi alcune differenze nella distribuzione delle competenze. Nella gestione del territorio rientrano, infatti, alcune public utilities, come il servizio idrico e lo smaltimento dei rifiuti, che sono di competenza quasi esclusiva degli Enti locali e delle imprese pubbliche locali.

Ampliando l’analisi al settore pubblico allargato, comprendente quindi anche le imprese pubbliche locali e nazionali, emerge il ruolo fondamentale di queste ultime nella fornitura di alcuni dei servizi riguardanti la gestione del territorio.

Spesa totale e investimenti nella gestione del territorio (anno 2008)Edilizia

abitativa e urbanistica

Acqua Fognature e

depurazione Acque

Ambiente Rifiuti

Milioni di euroSpesa totaleAmm. Centrali 684 251 28 830 33Amm. Regionali 883 317 295 2.680 14Amm. Locali 3.616 41 2.089 3.300 4.818Totale PA 5.183 609 2.411 6.810 4.865Imprese pubbliche nazionali

16 45 0 0 0

Imprese pubbliche locali 3.040 6.680 1.204 448 6.311Totale SPA consolidato 7.825 7.198 3.572 6.815 11.159InvestimentiAmm. CentraliAmm. RegionaliAmm. Locali 2.186 17 1.047 1.378 148Totale PA 2.237 95 1.110 2.560 184Imprese pubbliche nazionali

0 0 0 0 0

Imprese pubbliche locali 999 2.012 221 48 702Totale SPA consolidato 3.236 2.107 1.330 2.608 886% Investimenti su spesa tot.

41,4 29,3 37,2 38,3 7,9

Valori %Spesa totaleAmm. Centrali 8,7 3,5 0,8 12,2 0,3Amm. Regionali 11,3 4,4 8,2 39,3 0,1Amm. Locali 46,2 0,6 58,5 48,4 43,2Totale PA 66,2 8,5 67,5 99,9 43,6Imprese pubbliche nazionali

0,2 0,6 0,0 0,0 0,0

Imprese pubbliche locali 38,9 92,8 33,7 6,6 56,6Totale SPA consolidato 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0InvestimentiAmm. Centrali 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0Amm. Regionali 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0Amm. Locali 67,6 0,8 78,7 52,9 16,7Totale PA 69,1 4,5 83,4 98,1 20,8Imprese pubbliche nazionali

0,0 0,0 0,0 0,0 0,0

Imprese pubbliche locali 30,9 95,5 16,6 1,9 79,2Totale SPA consolidato 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

11 La fonte sono i dati dei Conti Pubblici Territoriali. Dove non esplicitamente indicato si fa riferimento al 2008, ultimo dato disponibile.

24

Page 25:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Fonte: elaborazioni Ref. su Conti Pubblici TerritorialiAll’interno del settore pubblico allargato, la percentuale di spesa erogata congiuntamente da Amministrazioni e imprese pubbliche locali sale all’84%, mentre vi sono alcuni ambiti in cui si riscontra un ruolo non secondario dell’Amministrazione centrale e delle Regioni, ovvero l’urbanistica e l’edilizia abitativa e le funzioni relative all’ambiente. Per le prime, a Stato e Regioni compete circa il 20% della spesa; per le seconde poco meno della metà.

Lo stesso schema si riscontra quando si restringe la visuale alla sola spesa per investimenti. Anzi, il ruolo delle realtà locali, siano esse imprese pubbliche o gli Enti stessi, appare ancora più rilevante, fatta eccezione per le funzioni relative all’ambiente in cui ancora le competenze si suddividono equamente tra centro e periferia.

Di fatto, a eccezione dei servizi di tutela dell’ambiente, per tutte le altre funzioni di spesa di gestione del territorio, gli investimenti di imprese pubbliche ed Enti locali rappresentano quasi il totale degli investimenti del settore pubblico allargato.

Pubblico-privato nei servizi pubblici localiStoricamente il dibattito sulle infrastrutture a rete ha oscillato fra le posizioni a favore di una presenza maggiore del settore pubblico piuttosto che del settore privato. Il fatto che questi siano settori caratterizzati da economie di scala e quindi intrinsecamente caratterizzati da un grado di monopolio elevato ha giustificato la permanenza di queste attività nell’ambito della sfera pubblica. D’altro canto la ricerca di maggiore efficienza spinge da diversi anni il legislatore nella direzione di un maggiore orientamento al mercato nella gestione dei servizi.

I tentativi di riforma che si sono susseguiti dagli anni Novanta, fino alla più recente riforma dei “servizi pubblici locali a rilevanza economica” nell’ultima versione del cosiddetto decreto Ronchi12, hanno determinato una progressiva spinta ad aumentare la fornitura dei servizi pubblici a rilevanza economica tramite imprese, anziché tramite gli uffici tecnici comunali.

Il risultato è che dagli anni Novanta al 2008 c’è stato un graduale spostamento della gestione dall’Ente pubblico alla forma d’impresa e la percentuale di spesa effettuata dalle imprese pubbliche locali nei servizi riguardanti ambiente e territorio è aumentata considerevolmente. Questo processo ha caratterizzato anche gli investimenti, sia nel settore idrico che nello smaltimento dei rifiuti. In entrambi i casi la percentuale di investimenti effettuati dalle imprese locali sul totale del settore pubblico allargato si è notevolmente accresciuta, passando, dal 1996 al 2008, nei rifiuti, dal 53% al 79%, nell’idrico dal 45% al 95% per l’erogazione dell’acqua e dal 5% al 17% per la depurazione.

In Italia il dibattito sull’opportunità che la gestione privata di rilevanti servizi pubblici risulti effettivamente in una maggiore concorrenza sul mercato, e non vada invece a discapito dell’utenza attraverso un aumento delle tariffe, è ancora aperto.

Non è semplice fornire una visione univoca della questione, e prova di ciò è la sostanziale confusione normativa che per quasi un ventennio ha caratterizzato il sistema dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti e trasporti locali in primis), con un susseguirsi di riforme mancate. In generale, è indubbio che soprattutto nell’idrico si rende necessario un intervento incisivo che riformi lo stato attuale delle cose.

È noto come la dispersione di rete di acqua potabile, data dall’acqua immessa su quella effettivamente erogata, sia troppo elevata, pari a circa il 47% nel 2008, per cui il sistema di gestione dell’approvvigionamento idrico finora utilizzato non 12 Si veda per una trattazione dettagliata Servizi Pubblici Locali Monitor di maggio 2010, a cura del Servizio Studi Banca Intesa e Ref.

Page 26:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

ha funzionato a dovere. Vero è che gli investimenti pubblici nella distribuzione dell’acqua, veicolati quasi totalmente da imprese pubbliche locali, sono aumentati in modo considerevole dagli anni Novanta a oggi, con un incremento di un decimo di PIL.

Investimenti nella distribuzione dell'acqua

0,000,020,040,060,080,100,120,14

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Spesa di Enti e imprese pubbliche locali in % del PIL Fonte: elaborazioni Ref. su Conti Pubblici Territoriali e ISTAT

A ciò però non è corrisposto finora un miglioramento consistente del funzionamento delle reti, tant’è che tra il 2005 e il 2008 la percentuale di dispersione di acqua si è ridotta a livello nazionale soltanto di un punto, passando da 48 a 47 litri ogni 100 di acqua potabile erogata.

Le fonti di finanziamento, se non dalla fiscalità o dalle tariffe, devono necessariamente pervenire dal ricorso al debito, e l’incapacità dei gestori di coprire i costi con ricavi porterebbero, di fatto, a una contrazione degli investimenti, evitando la soluzione al problema della dispersione dell’acqua. Tanto più che in Italia il costo del servizio idrico è uno dei più contenuti d’Europa, anche in riferimento al solo prezzo dell’acqua.

Non è detto che il meccanismo della gara sia il più indicato in Italia alla selezione del migliore gestore, che garantisca efficienza nella fornitura del servizio, e nemmeno che il ricorso al settore privato comporti necessariamente un miglioramento nella qualità del servizio. Si è però avuto modo di constatare come la gestione fino a ora non abbia subito sostanziali miglioramenti.

Costo del servizio idrico nei paesi europei (anno 2007)

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900Danimarca

UKFrancia

SvizzeraGreciaOlanda

FinlandiaBelgio

AustriaGermania

SveziaNorvegiaUngheria

PortogalloSpagnaLituania

ItaliaRomania

Euro per consumo annuo di 200 mc Fonte: elaborazioni Ref. su IWA

Prezzo dell'acqua al metro cubo nelle città europee (in euro; periodo 2003-06)Italia Germania Spagna FranciaRoma 0,40 Berlin 2,10 Madrid 0,80 Paris 2,30

Milano 0,20 Hamburg 1,50 Barcelona 1,10 Lyon 2,70Napoli 0,60 München 1,40 Valencia 0,60 Toulouse 2,50

26

Page 27:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Torino 0,40 Köln 1,60 Sevilla 0,70 Strasbourg 2,30Palermo 0,60 Frankfurt am Main 2,00 Zaragoza 0,50 Bordeaux 3,00Genova 0,60 Essen 1,90 Málaga 0,40 Montpellier 2,20

Fonte: elaborazioni Ref. su Eurostat EU cities

Due punti fondamentali da affrontare per evitare che tale riforma non abbia effetti soddisfacenti sulla qualità del servizio e anzi si scarichi sulle bollette degli utenti sono, da un canto, la creazione di meccanismi che costringano la gestione delle reti a perseguire l’efficienza; dall’altro, l’introduzione di criteri di regolazione delle tariffe dell’idrico che impediscano al costo del servizio per gli utenti di diventare insostenibile, data per l’appunto la natura pubblica del bene acqua.

Divari territoriali: infrastrutture e investimenti nell’idrico e nei rifiutiNel dibattito recente, oltre ai temi di carattere economico, intervengono anche questioni ambientali. In effetti, le modalità di erogazione di servizi come l’erogazione dell’acqua, i servizi di fognatura o lo smaltimento dei rifiuti determinano costi anche molto diversi.

Inoltre, il processo di espletamento di tali funzioni è anche differenziato a seconda dell’efficienza della macchina amministrativa, tant’è che si può a ragione affermare che gli indicatori di dotazione infrastrutturale su questo genere di settori possono essere utilizzati almeno in parte come una misura indiretta della capacità di amministrare il territorio. Rilevanti risultano anche alcune caratteristiche strutturali delle reti (per gli acquedotti la lunghezza e l’età delle reti...).

Nell’ambito della distribuzione dell’acqua, la sperequazione tra Regioni della dotazione infrastrutturale appare evidente. La tavola illustra la declinazione territoriale del dato relativo al grado di dispersione delle reti idriche comunali: la capacità delle reti di trattenere l’acqua che trasportano è molto più scadente al Sud e nelle Isole. A livello regionale, in tutte le Regioni del Mezzogiorno la percentuale di acqua dispersa è superiore al valore medio nazionale, di per sé già elevato. In alcune Regioni lo spreco di acqua appare insostenibile. Ad esempio in Puglia, dove si riscontra il maggior tasso di dispersione di acqua potabile, per ogni 100 litri di acqua erogata, ne vengono immessi nella rete quasi 90 litri in più.

Le infrastrutture nei servizi pubblici locali dell'ambienteDispersione reti

idriche (litri dispersi ogni 100 erogati)

Raccolta differenziata (% su tot rifiuti urbani)

Smaltimento in discarica (% su

tot rifiuti urbani)2008 2009 2007

Piemonte 46,50 46,92 40,26Valle d’Aosta 49,25 48,70 64,78Lombardia 26,68 40,44 9,40Trentino AA 27,49 51,91 33,91Veneto 42,80 43,48 26,33Friuli VG 68,29 40,43 24,21Liguria 38,81 25,22 75,73Emilia Romagna

31,51 45,09 33,94

Toscana 38,26 36,20 40,53Umbria 47,53 33,12 37,57Marche 33,88 35,87 58,91Lazio 54,89 21,06 68,51Abruzzo 77,25 26,07 55,52Molise 78,36 12,43 68,61Campania 63,46 25,86 30,54Puglia 87,29 15,62 77,42Basilicata 48,94 21,46 63,94Calabria 49,57 15,02 40,90Sicilia 54,12 6,71 88,12Sardegna 84,78 34,48 41,05Nord 36,42 42,13 28,67Centro 47,49 26,90 54,74

Page 28:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Sud 64,94 16,98 57,71Italia 47,17 30,43 44,78Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Anche per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti, le differenze territoriali, sia nelle modalità di raccolta che di smaltimento sono evidenti. Con riferimento alle città capoluogo, la raccolta differenziata, in termini di percentuale di rifiuti raccolti in modo differenziato sul totale è ancora modesta a livello nazionale, e con ampie diversità da Nord a Sud. La spaccatura è inequivocabile anche quando si raggruppano le città per Regione: tutte le Regioni del Mezzogiorno (ad eccezione della Sardegna) si collocano al di sotto della media nazionale. Inoltre non sembra esserci su questo fronte nessun processo di convergenza. Sebbene a livello nazionale e indistintamente in tutte le macroaree si osservi una tendenza crescente nella percentuale di rifiuti raccolti in modalità differenziata, la distanza tra Nord e Sud del Paese era praticamente la stessa nel 2000 e nel 2009. I progressi fatti poi portano comunque a valori ben lontani dai target imposti dalla normativa di riferimento13, che avrebbero dovuto portare la percentuale di raccolta differenziata al 50% entro il 2009, per arrivare al 65% entro il 2012.

Raccolta differenziata: dinamica territoriale

05

1015202530354045

2000 2003 2006 2009% sul totale dei rifiuti nei Comuni capoluogo

Nord

Mezzogiorno

Centro

Fonte: elaborazioni Ref. su ISTATUn altro aspetto dello stesso fenomeno riguarda la modalità di smaltimento, che in concomitanza con percentuali basse di raccolta differenziata si verifica maggiormente attraverso la discarica, mentre strutture più efficienti e sostenibili come gli impianti di termovalorizzazione e compostaggio sono invece ancora scarsamente presenti, soprattutto al Centro-Sud, sebbene con qualche differenza regionale.

La distribuzione territoriale della spesa pubblica per investimenti nell’idrico e nella gestione dei rifiuti però non dà conto delle differenze nella dotazione infrastrutturale.

Dai certificati consuntivi degli Enti locali emerge, infatti, che in media sono proprio gli Enti del Mezzogiorno a spendere di più per gli investimenti in questi due settori.

Investimenti degli Enti locali nei servizi pubblici ambientali (media 2004-08)Servizio idrico Smaltimento

rifiutiServizio idrico Smaltimento

rifiutiMilioni di euro Euro pro-capite reali

Piemonte 59,6 5,9 14,5 1,4Valle d’Aosta - - - -Lombardia 152,7 11,2 17,0 1,2Trentino AA 95,3 6,6 101,4 7,0Veneto 53,2 8,8 11,8 2,0Friuli VG 28,2 2,2 24,3 1,9Liguria 34,9 4,8 23,0 3,1Emilia Romagna

40,0 5,3 10,2 1,3

13 Specifici obiettivi per la raccolta differenziata sono fissati dall'Articolo 205, Comma 1 del Decreto Legislativo 152/2006 e dalla legge 27 del dicembre 2006, n. 296.

28

Page 29:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Toscana 36,3 11,0 10,6 3,2Umbria 6,0 2,9 7,4 3,6Marche 14,3 4,6 9,8 3,1Lazio 80,3 3,7 15,8 0,7Abruzzo 14,5 3,9 11,6 3,1Molise 10,3 3,0 33,4 9,8Campania 96,5 11,5 17,5 2,0Puglia 78,2 16,2 20,4 4,1Basilicata 7,9 2,4 14,1 4,3Calabria 30,4 4,3 15,9 2,3Sicilia 73,0 16,3 15,2 3,4Sardegna 128,8 7,1 82,4 4,4Nord 464,0 44,9 18,4 1,8Centro 137,0 22,2 12,7 2,0Sud 439,4 64,6 22,3 3,3Italia 1.040,5 131,7 18,7 2,3Fonte: elaborazioni Ref. su Certificati Consuntivi

Anche allargando la prospettiva al settore pubblico allargato, comprendendo quindi gli investimenti effettuati dalle imprese pubbliche locali, che come tali non compaiono nei bilanci degli Enti, si osserva un sostanziale allineamento della spesa pro-capite delle tre macroaree territoriali per quanto riguarda il settore idrico. Nell’ambito della gestione dei rifiuti invece si osservano spese più elevate al Sud da parte delle Amministrazioni locali, mentre aggregando gli investimenti del settore pubblico allargato in termini pro capite gli investimenti del Centro-Nord superano quelli del Mezzogiorno.

Non è quindi, almeno per il servizio idrico, una carenza delle risorse spese a determinare la minore qualità degli impianti e della gestione dei servizi ambientali nelle aree meridionali del Paese. In effetti, sembra mancare nel Mezzogiorno una gestione di tipo imprenditoriale dei servizi pubblici ambientali, e di contro si osserva una prevalenza delle gestioni in economia da parte dei Comuni. Il superamento della gestione completamente pubblica e il passaggio a una gestione industriale e integrata dei servizi dovrebbero permettere di raggiungere livelli di efficienza e redditività maggiori. Sia nell’idrico che nella gestione dei rifiuti questo paradigma sembra non aver preso piede al Sud, con conseguenze negative per il sistema, sia in termini di qualità del servizio che di risorse, vale a dire di maggiori costi a carico della collettività.

È chiaro come un miglioramento della gestione del servizio idrico e della gestione dei rifiuti contribuirebbe a innescare un processo virtuoso che avrebbe una serie di vantaggi di natura economica. Banalmente, si pensi alle perdite delle reti idriche. Minori perdite permetterebbero minori prelievi alla base, e quindi comporterebbero minori costi per le attività a monte della distribuzione stessa, quali lo stoccaggio e la depurazione.

Investimenti del Settore Pubblico Allargato nei servizi pubblici ambientali (media 2004-08)

Servizio idrico Smaltimento rifiuti

Servizio idrico Smaltimento rifiuti

Milioni di euro Euro pro-capite realiPiemonte 156,6 39,3 36,9 8,4Valle d’Aosta 7,0 0,7 58,9 6,2Lombardia 298,3 189,5 33,6 23,4Trentino AA 119,6 20,2 127,9 21,2Veneto 255,6 80,0 55,3 15,5Friuli VG 59,7 17,4 54,0 16,7Liguria 50,0 25,7 33,6 18,4Emilia Romagna

221,2 177,0 57,4 46,4

Toscana 321,4 99,5 56,1 24,1Umbria 47,6 12,3 58,3 15,2Marche 58,2 24,0 39,6 15,4Lazio 223,8 51,1 40,2 10,4Abruzzo 65,3 14,0 47,5 10,0Molise 10,2 2,7 32,2 9,6

Page 30:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Campania 250,3 45,3 43,5 7,8Puglia 162,8 36,3 36,9 9,9Basilicata 23,2 4,5 45,8 6,9Calabria 62,9 7,7 26,8 4,3Sicilia 181,2 61,7 40,1 12,3Sardegna 246,4 7,7 158,3 4,3Nord 1.168,0 549,9 46,5 22,5Centro 651,0 186,9 46,5 15,7Sud 1.002,3 179,7 49,1 8,8Italia 2.821,3 916,5 47,4 16,4Fonte: elaborazioni Ref. su Certificati Consuntivi

Tutela dell’ambiente e urbanistica

Nelle spese per la gestione del territorio degli Enti locali rientrano anche l’urbanistica e la tutela dell’ambiente. Anzi, per loro natura, il peso di queste funzioni sul totale degli investimenti per la gestione del territorio è particolarmente rilevante. In particolare, la voce di spesa più significativa, ovvero l’urbanistica, comprende tutti gli interventi di riqualificazione di aree urbane, ristrutturazioni o rifunzionalizzazioni di palazzi cittadini o poli (fieristici, universitari, ospedalieri…), oltre la predisposizione ex-novo del tessuto urbano che nasce attorno alla realizzazione di reti di infrastrutture afferenti altre voci di spesa.

In qualche modo questa funzione definisce la struttura urbana intervenendo sulla qualificazione delle aree e in tal modo interagendo con i rapporti economici che si instaurano sul territorio. L’elemento strategico insito nelle decisioni sulla pianificazione urbana acquisisce un ruolo particolare anche in termini di sostenibilità delle attività che intervengono su un dato territorio, sia dal punto di vista direttamente economico, che in relazione alle questioni ambientali sollevate dallo sviluppo urbano.

E’ oramai scontato che gli individui danno un valore importante al luogo di residenza sulla base di caratteristiche dell’ambiente urbano stesso e dei servizi a disposizione. Si tratta di caratteristiche cui alcuni studiosi di economia del territorio si riferiscono con l’espressione di “urban amenity”.

Si tratta di questioni che rientrano all’interno del più ampio dibattito sul concetto di benessere, e sui criteri più corretti per misurarlo, al fine di perfezionare le quantificazioni offerte dagli indicatori tradizionali. Alcuni studi che tentano di misurare gli effetti dell’ambiente sul livello di benessere ottengono che questo può essere anche molto elevato. Un metodo utilizzato per ricavare il valore di mercato di una migliore qualità dell’ambiente urbano consiste nell’utilizzo dei cosiddetti “prezzi edonici”. Ad esempio, confrontando i prezzi degli immobili sulla base di diverse caratteristiche, fra cui la qualità dell’ambiente urbano misurata ad esempio attraverso i servizi a disposizione dei cittadini nella zona in cui è localizzato l’immobile, si stima come questi fattori condizionano il valore delle case. Si dispone in tal modo di una quantificazione in termini monetari del valore di mercato attribuito alla qualità dell’ambiente urbano. Naturalmente, la misura indiretta del valore attribuito sul mercato a una migliore qualità dell’ambiente urbano può giustificare un impegno pubblico attraverso la tassazione nella misura in cui l’aumento della qualità dell’ambiente restituisce quanto prelevato ai contribuenti. Il ruolo attivo dello Stato è peraltro pienamente giustificato dalla natura di “bene pubblico” della qualità dell’ambiente, caratterizzato dalla non escludibilità dal godimento e da assenza di rivalità nel consumo.

Il fatto stesso che considerazioni relative alla qualità della vita influenzino la domanda abitativa diventa quindi una premessa per potere individuare la presenza di “economie di agglomerazione”.

Urbanistica ed edilizia economico-popolare coprono quasi la metà degli investimenti nella gestione del territorio effettuati dai Comuni; per le Province invece, che hanno essenzialmente competenza in materia ambientale, gli investimenti più rilevanti si riscontrano nella difesa del suolo e nei servizi di tutela e valorizzazione ambientale.

30

Page 31:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Investimenti dei Comuni per la gestione del territorio (media 2004-08)Urbanisti

ca e gestione

del territorio

Edilizia residenziale

pubblica e locale e piani

di edilizia economico-

popolare

Parchi e tutela

ambientale del

verde; altro

Urbanistica e

gestione del

territorio

Edilizia residenziale

pubblica e locale e piani

di edilizia economico-

popolare

Parchi e tutela

ambientale del

verde; altro

Milioni di euro Euro pro-capite realiPiemonte 88 34 13 21,1 8,2 3,0Valle d’Aosta - - - - - -Lombardia 133 107 29 14,7 11,9 2,9Trentino AA 21 33 5 22,4 34,8 5,1Veneto 44 34 8 9,8 7,6 1,6Friuli VG 23 7 7 20,1 6,2 5,8Liguria 36 6 7 23,7 4,2 4,1Emilia Romagna

46 34 11 11,4 8,5 2,5

Toscana 87 44 9 25,1 12,8 2,4Umbria 36 4 2 43,4 4,8 2,5Marche 48 17 3 32,9 11,8 2,1Lazio 170 64 8 33,5 12,5 1,4Abruzzo 51 8 3 40,9 6,2 2,5Molise 15 2 1 47,9 6,9 3,9Campania 206 102 17 37,3 18,6 2,8Puglia 122 37 16 31,4 9,5 3,9Basilicata 31 11 2 54,3 19,8 3,4Calabria 66 14 5 34,4 7,4 2,7Sicilia 83 30 7 17,4 6,3 1,3Sardegna 83 21 13 52,4 13,5 7,6Nord 391 256 79 15,4 10,1 2,9Centro 341 129 22 31,5 11,9 1,9Sud 656 226 64 33,1 11,4 3,1Italia 1.388 611 165 24,8 10,9 2,8Fonte: elaborazioni Ref. su Certificati Consuntivi

Investimenti delle Province per la tutela ambientale (medio 2004-08)Tutela

ambientaleDi cui: Difesa

del suoloTutela e

valorizzazione ambientale

Parchi naturali

e forestazione

Tutela e valorizzazione risorse idriche ed energetiche

Milioni di euroPiemonte 3,28 0,24 0,46 0,04 0,06Valle d’Aosta - - - - -Lombardia 28,38 17,79 3,18 1,97 0,33Trentino AA - - - - -Veneto 12,44 2,50 4,07 0,89 0,30Friuli VG 0,27 0,00 0,03 0,04 0,00Liguria 7,18 7,61 0,49 0,63 0,00Emilia Romagna

8,40 0,27 2,71 2,48 0,40

Toscana 21,20 12,34 1,15 2,40 0,10Umbria 5,88 0,00 1,20 0,04 1,80Marche 8,36 5,04 1,79 0,83 0,03Lazio 11,69 0,61 3,33 0,24 1,21Abruzzo 2,08 0,88 0,56 0,21 0,50Molise 0,16 0,06 0,08 0,00 0,02Campania 12,05 3,55 5,20 0,52 0,03Puglia 4,01 0,03 2,54 0,27 0,11Basilicata 0,74 0,00 0,01 0,61 0,00Calabria 9,22 4,37 1,10 0,58 4,38Sicilia 6,71 0,67 2,54 0,80 2,41Sardegna 3,45 0,55 0,99 0,03 0,00Nord 60 28 11 6 1Centro 47 18 7 4 3Sud 38 10 13 3 7Italia 145 57 31 13 12Fonte: elaborazioni Ref. su Certificati Consuntivi

Sul fronte delle competenze, a differenza dei servizi locali legati all’ambiente, nel campo dell’urbanistica e della tutela ambientale esse appaiono maggiormente diffuse tra i livelli di governo. Del totale della spesa della PA, la spesa per l’ambiente degli Enti locali ne copre la metà, mentre l’altra fetta più cospicua è di competenza regionale (circa il 40%). Nel settore dell’urbanistica e dell’edilizia

Page 32:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

abitativa l’attore principale è il comparto comunale, la cui spesa ammonta a circa il 70% del totale della PA14. Si riscontra poi un ruolo importante anche delle imprese pubbliche locali, alle quali compete il 37% circa del totale della spesa del settore pubblico allargato.

La pianificazione urbanistica, che sta alla base degli investimenti effettuati nelle aree urbane, attraverso diversi strumenti stabilisce dove gli abitanti devono vivere, e disegna l’ambiente urbano, influenzando indirettamente gli stili di vita, e quindi i comportamenti degli individui stessi. Pertanto l’elaborazione di un piano regolatore deve tenere in considerazione tutti gli aspetti che determinano le condizioni necessarie per il vivere individuale, curando gli aspetti non solo di base (igienici e sociali), ma anche aspetti culturali e produttivi, sia in termini qualitativi che quantitativi. Va da sé che le conseguenze sullo sviluppo sociale, culturale ed economico di un’area passano anche attraverso la concezione di un piano regolatore che tenga conto di tutti gli aspetti elencati.

Un esempio di investimento urbanistico è la creazione e il mantenimento delle aree di interporto. L’interporto rappresenta un complesso organico di strutture e servizi finalizzati allo scambio di merci attraverso l’integrazione di diverse modalità di trasporto. Uno studio realizzato dal Censis15 ha evidenziato come le potenzialità di crescita sia economica che occupazionale indotte dalla presenza di un interporto sono ampie. Il rapporto offre una valutazione dell’impatto occupazionale derivante dalla presenza di aree di interporto stesso, sia direttamente, ovvero sul personale delle aziende all’interno dell’interporto, sia indirettamente sull’indotto rappresentato dagli addetti alla logistica e ai trasporti terrestri. Il contributo complessivo degli interporti oggetto dell’analisi al totale dell’occupazione nel comparto della logistica e dei trasporti terrestri sarebbe arrivato all’8,1% in soli due anni16.

Con il riferimento agli interporti si è dato conto dell’importanza sul tessuto economico e produttivo degli investimenti urbanistici. D’altronde, la creazione di un interporto, che sorge normalmente nelle aree industriali e periferiche dei centri urbani, permette di allontanare dal centro cittadino parte del traffico soprattutto di mezzi pesanti, avendo effetti positivi sulla mobilità e più in generale sulle condizioni dell’ambiente urbano.

La gestione del territorio ha attratto l’attenzione nel corso degli ultimi anni anche all’interno del dibattito sulla qualità dell’ambiente dal punto di vista delle aree verdi urbane, considerate sempre più uno degli elementi che concorrono a migliorare la qualità della vita dei residenti . Il perseguimento della sostenibilità urbana rappresenta un nodo strategico per gli obiettivi di sviluppo sostenibile, in quanto è nelle città che si concentrano la maggior parte delle attività umane, e di conseguenza le pressioni sull’ambiente e sulla qualità della vita. L’ecosistema naturale delle aree metropolitane, costituito dalle aree verdi urbane e dagli spazi agro-naturali delle zone esterne ai confini cittadini, rappresenta un patrimonio prezioso in questo senso, anche per altri aspetti legati ad esempio all’inquinamento atmosferico o al fenomeno della dispersione urbana17.

Gli investimenti per la tutela del verde urbano, evidenziati nella tabella seguente, sono una parte minoritaria rispetto al totale della gestione del territorio e sono 14 Dati Conti Pubblici Territoriali 2008.15 Il disegno dell'interportualità italiana. Fattori di crescita, sviluppo della logistica e dinamiche territoriali; UIR/CENSIS 2008.16 Fonte Censis. Il dato esclude la Lombardia, dove non sono presenti strutture di questo tipo.17 Dispersione urbana, o urban sprawl, indica il fenomeno della rapida crescita di aree metropolitane, soprattutto verso la periferia, in modo disordinato, caratterizzato da effetti quali la riduzione degli spazi verdi, un maggiore utilizzo dei mezzi motorizzati per la maggiore distanza dai mezzi di trasporto pubblico locale e la mancanza di adeguate infrastrutture di collegamento per la mobilità sostenibile.

32

Page 33:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

abbastanza omogenei sul territorio, al netto di alcune Regioni che paiono dedicare un’attenzione particolare a questo aspetto (come la Sardegna o il Friuli), e di altre, soprattutto al Centro, dove invece gli investimenti sono al di sotto della media nazionale.

Gli indicatori relativi alla dotazione di aree verdi urbane per i Comuni capoluogo (densità sulla superficie comunale e disponibilità per abitante) evidenziano una situazione variegata nel Paese, sulla quale incidono anche le diverse specificità demografiche e territoriali proprie di ogni singola realtà urbana. Parte della variabilità territoriale degli indicatori è quindi determinata da ragioni fisiologiche difficilmente modificabili. Sebbene valori molto bassi di presenza di verde urbano possono anche indicare la necessità di una politica più attenta alle questioni di sostenibilità, una valutazione sarebbe solo possibile attraverso un’analisi dell’effettiva accessibilità e fruibilità delle aree verdi, sulle quali non sono disponibili informazioni confrontabili e attendibili. Può essere quindi utile valutare un altro aspetto importante che è quello della pianificazione territoriale. I dati sull’avanzamento della pianificazione del verde urbano dei Comuni capoluogo (approvazione del piano del verde urbano e realizzazione del censimento delle aree verdi) evidenziano un’attenzione decrescente da Nord a Sud rispetto a questo tema.

Investimenti del Settore Pubblico Allargato nei servizi pubblici ambientali (media 2004-08)

Approvazione piano verde

urbano (a)

Realizzazione censimento

verde urbano (b)

Densità verde urbano

Disponibilità verde urbano

Valori % % sup. comunale Mq per abitantePiemonte 25 63 8 52Valle d’Aosta - 100 4 26Lombardia 42 92 11 36Trentino AA 50 100 12 120Veneto 14 86 6 63Friuli VG - 75 6 36Liguria 25 50 7 35Emilia Romagna

56 100 10 157

Toscana 30 80 13 205Umbria 50 100 8 186Marche 20 40 11 185Lazio 20 100 16 122Abruzzo - 75 29 677Molise - 100 1 18Campania 20 40 10 30Puglia - 75 5 101Basilicata 50 50 13 546Calabria 40 60 2 21Sicilia 11 67 6 90Sardegna 17 50 2 98Nord 32 83 9 75Centro 27 77 14 151Sud 15 61 7 112Italia 24 73 9 106(a) % su totale Comuni che hanno approvato il piano del verde urbano(b) % su totale Comuni che hanno realizzato il censimento del verde urbanoFonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Indirettamente legata alla presenza di aree urbane è la questione della qualità dell’aria. Il grafico evidenzia bene come negli ultimi anni al Nord, dove per la maggiore concentrazione di attività produttive, e quindi inquinanti, oltre che fattori riguardanti la densità urbana, l’attenzione verso gli aspetti della qualità dell’ambiente urbano si sia accresciuta, determinando una progressiva caduta del numero di giorni di superamento della soglia massima di concentrazione delle polveri sottili nelle città.

Page 34:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Qualità urbana dell'aria

20

40

60

80

100

120

2003 2006 2009N. medio giorni superamento livelli max; comuni capoluogo

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud Isole Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Infrastrutture scolasticheLa dotazione di infrastrutture scolastiche su un territorio rappresenta uno dei compiti degli Enti locali. Su questo aspetto, l’esigenza di un flusso di investimenti volti a migliorare la qualità del nostro stock di capitale, è nota.

In particolare, rilevano in questo settore non tanto esigenze di ampliamento della dotazione infrastrutturale, quanto più quelle mirate a contrastare l’obsolescenza del capitale esistente.

La presenza di molti edifici fatiscenti e inadeguati e la generale carenza del patrimonio infrastrutturale scolastico del nostro Paese inducono a ritenere che sia necessario un intervento incisivo del settore pubblico su questo fronte. Trattandosi di una funzione degli Enti locali, è ovvio che questo potrà avvenire solo con un’adeguata dotazione di risorse – proprie o trasferite – a questi Enti che, come è noto, nell’ultimo decennio sono stati soggetti a vincoli sempre più stringenti dati dal PSI e dal blocco dell’autonomia tributaria, e per questo hanno mostrato una tendenza a contrarre la spesa non indifferibile, tipicamente, gli investimenti. È peraltro da sottolineare come i vincoli finanziari risultino più stringenti proprio sulle aree più arretrate del Paese determinando una carenza di investimenti che va ad ampliare le già significative differenze in termini di dotazione infrastrutturale sul territorio. La capacità degli Enti locali di far fronte all’emergenza della carenza nelle infrastrutture scolastiche negli anni a venire dipenderà in modo cruciale dai futuri assetti che emergeranno dal federalismo fiscale, sia per quanto riguarda la risultante autonomia tributaria degli Enti, sia riguardo all’aspetto delle modalità di determinazione dei fabbisogni standard18.

Il ruolo delle infrastrutture, all’interno di meccanismi complessi come sono le relazioni economiche di un ambiente urbano, riflette anche l’interazione di questa dotazione di capitale con altri asset del territorio, fra cui il capitale umano. Gli investimenti volti a favorire l’accumulazione di capitale umano, e fra questi le infrastrutture scolastiche, costituiscono quindi in una certa misura uno stadio preliminare del processo di accumulazione di capitale umano. Le scuole peraltro hanno oggi un ruolo se possibile anche maggiore rispetto al passato, divenendo anche luogo di integrazione all’interno di una società multiculturale. Dotazioni infrastrutturali all’altezza sono necessarie, soprattutto nelle aree urbane periferiche, in un processo che deve necessariamente fornire opportunità formative omogenee agli studenti, 18 Almeno per il periodo transitorio che precederà l’applicazione definitiva del federalismo, non sembra possibile comunque poter parlare di una vera e propria autonomia d’entrata, dato che i tributi devoluti ai Comuni confluiranno comunque in un fondo che verrà successivamente ripartito tra gli Enti, configurandosi, di fatto, come un vero e proprio trasferimento. Anche la decisione di sbloccare gradualmente le aliquote dell’addizionale Irpef, date le forti limitazioni, non sembra possa sortire effetti rilevanti sui bilanci dei Comuni.

34

Page 35:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

riducendo le distanze fra scuole appartenenti a quartieri diversi caratterizzati da background sociali degli studenti che incidono poi sul percorso scolastico e sulle performance nel mercato del lavoro. Su questo punto, anzi, è riconosciuta l’esigenza di innalzare il livello di preparazione degli studenti italiani, al fine di allineare gli esiti del percorso scolastico a quelli dei paesi ai primi posti nelle classifiche internazionali, come ad esempio nei ranking elaborati dall’OCSE nei test PISA. La stessa Commissione Europea riconosce come obiettivo primario per le Regioni “Obiettivo Convergenza” quello del miglioramento della qualità dell’ambiente scolastico, anche per prevenire l’abbandono prematuro degli studi da parte dei giovani, in Italia ancora particolarmente elevato rispetto agli standard europei dettati già nell’ambito della Strategia di Lisbona (19% circa in Italia contro il limite del 10%). Il mancato completamento degli studi rappresenta, infatti, uno spreco di potenzialità, avendo elevati costi sia sociali, in termini di maggior rischio di marginalità sociale per i giovani che abbandonano la scuola, che economici, in termini di maggiori difficoltà per questi soggetti sul mercato del lavoro, con conseguenze di minore produttività del sistema economico.

Naturalmente, il legame fra strutture scolastiche e scolarizzazione non è immediato; le analisi sul tema hanno messo in luce anche una varianza nei risultati degli studenti italiani strettamente legata alle condizioni socio-economiche della famiglia, e quindi anche ai quartieri di provenienza.

In ambito europeo, il programma “Ambienti per l’apprendimento”19 si pone come obiettivo il miglioramento della qualità delle infrastrutture scolastiche, dagli edifici alle dotazioni di laboratori e strumenti per l’apprendimento, nelle Regioni “Obiettivo Convergenza”, al fine di stimolare una maggiore partecipazione scolastica delle popolazioni di aree più svantaggiate20.

Ciò a conferma dell’idea che un sistema scolastico che voglia assecondare il superamento degli effetti di appartenenza a un dato ambito sociale deve anche essere sostenuto da strutture scolastiche adeguate e distribuite omogeneamente nelle diverse aree urbane, anche per limitare i fenomeni di frammentazione sociale nei diversi istituti scolastici sulla base del quartiere di appartenenza.

Vi è poi un altro canale importante che lega la dotazione infrastrutturale scolastica allo sviluppo, nella misura in cui la presenza di infrastrutture migliori rientra fra gli asset fisici che aumentano il valore di un’area urbana, favorendo quindi l’attrazione di capitale umano.

Infine, se è agevole collegare la dotazione infrastrutturale nel settore dell’istruzione alla nozione di capitale umano, un passaggio successivo, e forse più importante, è rappresentato dal fatto che l’attenzione al sistema dell’istruzione definisce il sistema di valori su cui si fondano gli assetti della società; rendere disponibile un percorso formativo all’interno di ambienti scolastici all’altezza appare quindi anche come una politica di coesione sociale.

Investimenti pubblici nella scuola: dinamiche della spesa e ruolo degli Enti locali

Sebbene la questione dello stato di salute degli edifici scolastici italiani sia oggetto di crescente attenzione, date le condizioni allarmanti del patrimonio scolastico esistente, gli investimenti pubblici in questo campo negli ultimi anni hanno subito una battuta d’arresto.

Già di per sé le risorse pubbliche destinate all’istruzione in Italia non sono cospicue, come rivela il confronto con gli altri paesi europei. La spesa pubblica italiana nel settore dell’istruzione, valutata in rapporto al prodotto, è

19 Il Programma Ambienti per l’Apprendimento è un programma operativo di investimenti, co-finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito dell’Obiettivo Convergenza, il cui obiettivo primario è il miglioramento dell’attrattività del sistema scolastico in tutti i suoi aspetti.20 Unione Europea e Ministero dell’Istruzione, Rapporto annuale di esecuzione del Programma operativo nazionale “Ambienti per l’apprendimento”, giugno 2010.

Page 36:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

inferiore alla maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. Con un valore pari a circa il 4,6% del PIL, il nostro Paese si colloca ben al di sotto della media dell’Europa a 15 e a 27 (5,2% del prodotto), e di paesi come la Francia e il Regno Unito dove la spesa per istruzione si colloca intorno al 6% del PIL.

Si evidenzia poi negli ultimi anni, un calo della spesa per investimenti, che in rapporto al Pil si è ridotta di più di un terzo dal 2002 al 2008.

Parte del calo della spesa complessiva per l’istruzione è da attribuirsi al processo di riorganizzazione del sistema scolastico, che avrebbe dovuto prevedere un ridimensionamento del numero di edifici in funzione del numero di studenti anche al fine di razionalizzare la spesa e incrementarne l’efficienza. Una diminuzione del numero degli edifici scolastici c’è stata, anche se appare più legata al calo fisiologico del numero di studenti, che non a un reale accorpamento di punti di erogazione del servizio negli edifici presenti21.

Spesa pubblica per istruzione in Europa

0,0 1,0 2,0 3,0 4,0 5,0 6,0 7,0 8,0GRSKDEBGLUESIT

CZEARO

EU27EU15

HUNLATNOIE

MTPLLTPTBEFRFISI

UKLVEESEDKCY

Anno 2008, spesa totale in % sul PIL Fonte: elaborazioni Ref. su Eurostat

Investimenti in istruzione della PA

0,15

0,20

0,25

0,30

0,35

1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008Spesa in conto capitale in % del PIL

Fonte: elaborazioni Ref. su Conti Pubblici Territoriali

Il ruolo degli Enti locali in questo senso è cruciale. La legge quadro sull’edilizia scolastica attribuisce espressamente a Comuni e Province la competenza in

21 Cfr. Finanza Locale Monitor, febbraio 2010, “La dotazione infrastrutturale dell’economia italiana nel confronto con i maggiori partner europei”.

36

Page 37:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

materia di fornitura, costruzione, manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici scolastici. Sono inoltre di competenza degli Enti locali i servizi accessori a disposizione delle istituzioni scolastiche, quali in particolare i servizi di trasporto scolastico (gli scuolabus) e di mensa scolastica. La competenza in materia di istruzione si divide tra scuola primaria e secondaria inferiore (materne, elementari e medie inferiori) attribuita ai Comuni, e scuola secondaria superiore, che compete invece alle Province. I dati sulla spesa per investimenti sono coerenti con quanto appena affermato. Secondo la fonte dei Conti Pubblici Territoriali, nel 2008, dei circa 3,7 miliardi di spesa in conto capitale effettuata complessivamente dal settore pubblico nel campo dell’istruzione, 3,4 miliardi, ovvero il 91% del totale, sono stati erogati dalle Amministrazioni locali.

È proprio alla costruzione, manutenzione e messa in sicurezza delle scuole che viene destinata la maggior parte della spesa per investimenti. La percentuale di spesa in conto capitale destinata dagli Enti locali ai servizi accessori è, infatti, pari a circa il 10% del totale.

Dai bilanci di Comuni e Province si evince come gli investimenti in istruzione degli Enti locali si siano ridotti in termini reali del 18% circa dal 2004 al 2008, con un calo più evidente nei Comuni rispetto alle Province.Investimenti nella scuola di Comuni e Province

1.3001.3501.4001.4501.5001.5501.6001.650

2004 2005 2006 2007 2008

Milioni di euro reali

0100200300400500600700800

ComuniProvince (scala dx)

Fonte: elaborazioni Ref. su consuntivi

Sui tagli alla spesa per investimenti, generalizzati a tutti i settori di intervento degli Enti locali e non solo al comparto scuola, ha certamente inciso la carenza di risorse a disposizione delle Amministrazioni che ha caratterizzato soprattutto gli ultimi anni, via tagli all’autonomia tributaria e limitazioni pesanti imposte dal Patto di Stabilità Interno.

Nel campo dell’istruzione è però risultato debole anche il sostegno dell’Amministrazione centrale. Il mantenimento delle strutture scolastiche non è, infatti, competenza esclusiva degli Enti locali: anche il Ministero dell’Economia interviene erogando appositi finanziamenti finalizzati al miglioramento delle condizioni delle scuole attraverso appositi fondi assegnati alle Regioni.

La questione delle condizioni e della sicurezza degli edifici scolastici ha suscitato crescente attenzione, in particolare dopo il crollo avvenuto nel 2002 della scuola di San Giuliano di Puglia, anche riguardo l’aspetto dei criteri di costruzione antisismici delle scuole italiane.

Da questo punto in poi, ai fondi inerenti la programmazione ordinaria in materia di edilizia scolastica22 si è aggiunto un piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, che ha incluso la riqualificazione delle scuole all’interno del Programma Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo. Il piano straordinario per l’edilizia scolastica ha previsto un finanziamento pari a un miliardo di euro (ridotto poi a 773 milioni in seguito allo stanziamento per la

22 In attuazione della Legge 23 del 1996, la programmazione dell’edilizia scolastica si realizza mediante piani triennali e annuali, predisposti dalle Regioni sulla base delle proposte formulate dagli Enti locali e degli indirizzi generali della programmazione scolastica nazionale fissati precedentemente dal MIUR.

Page 38:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

ricostruzione delle scuole abruzzesi dopo il terremoto), a valere sul fondo infrastrutture, per la messa in sicurezza degli edifici. In conseguenza della crisi economica e delle necessità di contenimento della spesa pubblica, nel 2009 e nel 2010 la legge sulla programmazione dell’edilizia scolastica non è stata rifinanziata, mentre è stata concentrata l’attenzione sulle situazioni più urgenti, in particolar modo relativamente al rischio sismico.

Allo stanziamento di risorse non sembra però essersi affiancata una programmazione regolare di piani di investimento sul territorio, anche perché si registrano tempi lunghi per l’effettiva assegnazione delle risorse agli Enti locali che devono poi effettivamente avviare i lavori. Risale, infatti, all’aprile 2010, ben un anno dopo lo stanziamento iniziale delle risorse, la prima assegnazione di una parte del finanziamento, pari a 350 milioni di euro. Un caso emblematico di mancanza di programmazione riguarda il monitoraggio degli edifici stessi, il cui strumento di attuazione avrebbe dovuto essere l’anagrafe scolastica, che, istituita nel 1996, non è ancora stata completata, come denuncia il rapporto di Legambiente sulla situazione delle scuole italiane23.

Differenze territoriali negli investimenti degli Enti locali nel settore scuola

La distribuzione degli investimenti degli Enti locali nel settore dell’istruzione evidenzia la presenza di un ampio divario tra Centro-Nord e Sud del Paese, anche se nell’analisi del dettaglio regionale si riscontrano alcune particolarità.

Sul dato relativo ai Comuni del Nord incide in modo particolare la presenza delle Regioni a statuto speciale (a esclusione della Valle d’Aosta per cui non sono disponibili dati disaggregati per funzione), i cui investimenti nel settore istruzione, valutati in termini pro-capite in riferimento alla popolazione di età compresa tra i 3 e i 16 anni, sono più del doppio rispetto a quelli medi nazionali nel caso del Trentino, e superiori del 50% in Friuli.

Il divario Nord-Sud è meno marcato per quanto riguarda gli investimenti nelle scuole secondarie superiori, di competenza delle Province, per le quali il dato relativo al Trentino non è disponibile (e quindi non compreso nel calcolo) in quanto i flussi finanziari delle Province Autonome di Trento e Bolzano sono oggetto della rilevazione sui bilanci delle Regioni, dove non compare il dettaglio della spesa per funzioni. Oltre a ciò, sul livello di spesa del Mezzogiorno incide il dato relativo alle Province calabresi che presentano un livello di investimenti molto elevato, il che contribuisce ad avvicinare i valori di spesa delle due macroaree.Investimenti degli Enti locali nell'istruzione (euro pro-capite reali, popolazione 3-16 anni; media 2004-08)

Istruzione Scuola materna

Istruzione elementare

Istruzione media

Istruzione secondaria

superiore

Altro

Taa 703 Taa 137 Taa 402 Taa 138 Cal 158 Umb 66Fvg 434 Fvg 89 Mol 114 Fvg 72 Fvg 125 Ero 43Ero 365 Pie 58 Lom 114 Sar 68 Bas 116 Lig 42Bas 336 Ero 56 Fvg 112 Bas 68 Ven 105 Abr 41Lom 331 Lom 53 Sar 112 Ero 59 Ero 103 Lom 39Sar 320 Mar 48 Ven 106 Mol 57 Mar 100 Tos 38Ven 317 Abr 46 Ero 104 Lom 56 Abr 94 Fvg 35Mar 308 Tos 45 Mar 96 Tos 52 Laz 82 Pie 34Mol 307 Sar 38 Bas 89 Ven 47 Mol 81 Sar 33Tos 296 Ven 36 Pie 89 Pie 43 Pug 74 Mar 32Abr 294 Bas 36 Tos 89 Umb 40 Tos 72 Bas 26Pie 289 Mol 35 Abr 81 Cam 34 Umb 70 Taa 26Cal 272 Umb 29 Lig 68 Abr 33 Lom 69 Ven 23

Umb 259 Laz 21 Laz 63 Mar 33 Sar 69 Mol 20Laz 211 Lig 17 Cal 59 Laz 31 Pie 65 Cal 13Lig 209 Cam 13 Cam 56 Cal 30 Cam 59 Laz 12

Cam 173 Cal 12 Umb 53 Pug 25 Lig 58 Cam 10Pug 161 Sic 11 Sic 47 Lig 24 Sic 58 Pug 9Sic 144 Pug 11 Pug 43 Sic 21 Taa nd Sic 7

Vda ND Vda ND Vda ND Vda ND Vda ND Vda NDNord 342 Nord 55 Nord 117 Nord 55 Nord 79 Nord 35

23 Ecosistema scuola, edizione 2010.

38

Page 39:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

NO 309 NO 51 NO 103 NO 49 NO 67 NO 38NE 386 NE 59 NE 137 NE 64 NE 95 NE 32

Centro 252 Centro 32 Centro 74 Centro 38 Centro 81 Centro 26Mezz. 195 Mezz. 16 Mezz. 58 Mezz. 32 Mezz. 75 Mezz. 13

Sud 201 Sud 16 Sud 57 Sud 33 Sud 82 Sud 14Isole 181 Isole 17 Isole 61 Isole 31 Isole 60 Isole 12

Ita 269 Ita 36 Ita 87 Ita 43 Ita 78 Ita 25Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntiviIn generale, le zone in cui si registra una spesa notevolmente inferiore alla media nazionale sono Puglia, Sicilia e Campania. Anche in Calabria comunque, al netto della spesa registrata dalle Province, gli investimenti in istruzione sono relativamente contenuti. Al Nord, oltre alle Regioni speciali, anche l’Emilia Romagna mantiene livelli di spesa piuttosto elevati, così come Lombardia e Veneto. Viceversa, spicca la Liguria per la posizione molto bassa nell’ordinamento, a esclusione della spesa in servizi accessori.

Tra le Regioni del Sud che emergono invece per investimenti superiori alla media nazionale, si osservano in particolare la Basilicata, la Sardegna e il Molise.

I certificati consuntivi permettono di distinguere sia il livello di scuola a cui sono destinati gli investimenti (scuole materne, elementari, medie inferiori e superiori, la formazione professionale, oltre ai servizi accessori, in particolare mense scolastiche e trasporto scolastico), come evidenziato nella tabella a pagina precedente, sia il tipo di investimento. Questa seconda classificazione risulta di particolare interesse in quanto permette di isolare le spese che sono effettivamente destinate alla manutenzione degli edifici scolastici dagli altri investimenti, quali possono essere acquisti di beni durevoli destinati alla scuola, dai banchi ai computer. Non sorprende che le spese classificate come acquisizioni di beni immobili, quindi relative agli edifici (compresi gli interventi di manutenzione straordinaria), costituiscano la maggior parte degli investimenti. Sul totale della spesa media del periodo 2004-08 esse costituiscono, infatti, il 90% circa degli investimenti totali. Guardando al dettaglio delle aree di investimento, solo per la categoria residuale questa percentuale scende intorno al 70%. Non per nulla qui sono inclusi i servizi di mensa e trasporto scolastico, in cui gli investimenti possono quindi dividersi anche nell’acquisto di beni durevoli, gli stessi scuolabus ad esempio.

La distribuzione territoriale degli interventi di manutenzione degli edifici ricalca quasi esattamente l’ordinamento stilato in base al totale degli investimenti. Non è un caso quindi che tra i principali nodi irrisolti nella scuola italiana vi sia la situazione precaria degli edifici scolastici, e che sotto questo aspetto permanga ancora oggi una divaricazione Nord-Sud.

Divari territoriali nel patrimonio scolastico italiano

Una delle fonti più complete di informazioni sullo stato e la qualità delle strutture della scuola italiana è il rapporto di Legambiente “Ecosistema scuola”, che presenta i risultati dell’indagine svolta annualmente sulle scuole dei Comuni capoluogo e che riguarda numerosi aspetti: le condizioni degli edifici, le situazioni di rischio ambientale, le attività di manutenzione e i vari servizi offerti dalle scuole.

Anche il rapporto Legambiente ribadisce però le differenze territoriali.

I dati evidenziano in particolare l’esistenza di una serie di contraddizioni relative al patrimonio scolastico meridionale, che inducono a ritenere che la causa maggiore del divario sia da ricercare nella programmazione degli investimenti.

Il patrimonio scolastico delle Regioni del Sud risulta, infatti, essere relativamente più recente rispetto a quello del Centro-Nord, anche in conseguenza di un processo di scolarizzazione più tardivo di queste Regioni, tale per cui la percentuale di edifici realizzati prima del 197424

24 La data del 1974 viene utilizzata come riferimento in quanto risale a quest’anno l’entrata in vigore delle normative antisismiche, che costituiscono un importante discrimine rispetto alla percentuale di rischio degli edifici (scolastici e non), essendo il rischio sismico uno dei

Page 40:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

risulta essere decrescente da Nord a Sud. Le stesse considerazioni valgono per la percentuale di edifici costruiti originariamente come scuole (e quindi non adattati successivamente alla funzione scolastica), che al Centro-Nord sono inferiori rispetto al Sud.

Stato di salute degli edifici scolastici italiani (% sul totale degli edifici scolastici nei Comuni capoluogo)

Edifici realizzati prima del

1974

Edifici nati come scuole

Scuole a rischio

sismico

Prove evacuazione

Certificato di collaudo

statico

Piemonte 75,9 70,9 5,7 100,0 54,6Valle d'Aosta ND ND ND ND NDLombardia 79,7 84,7 14,3 100,0 35,9Liguria 81,9 82,0 100,0 100,0 64,9Trentino 39,6 99,2 0,0 100,0 81,3Veneto 68,4 98,4 44,1 72,1 34,4Friuli VG 77,9 98,4 100,0 100,0 96,0Emilia Romagna

59,0 92,6 27,8 99,7 60,2

Toscana 62,0 90,4 58,4 98,7 58,5Umbria 60,9 95,3 74,3 100,0 52,1Marche 58,3 92,2 100,0 100,0 11,1Lazio 47,5 85,4 61,9 94,2 63,2Abruzzo 63,3 97,5 63,3 59,2 33,3Molise 25,8 100,0 100,0 ND NDCampania 55,4 91,1 82,1 94,6 12,1Puglia 41,0 96,0 23,9 90,6 0,0Basilicata 52,1 100,0 100,0 55,0 NDCalabria 67,3 95,0 21,2 77,7 25,1Sicilia 56,6 86,0 88,0 100,0 22,4Sardegna 37,5 89,6 0,0 97,9 37,7Nord 68,9 89,5 41,7 96,0 61,0NO 79,1 79,2 40,0 100,0 51,8NE 61,2 97,1 43,0 92,9 68,0Centro 57,2 90,8 73,6 98,2 46,2Mezzogiorno 49,9 94,4 59,8 82,1 21,8Sud 50,8 96,6 65,1 75,4 17,6Isole 47,0 87,8 44,0 98,9 30,1Italia 58,4 91,8 56,1 91,1 43,7Fonte: elaborazioni Ref. su Legambiente "Ecosistema scuola" edizione 2010

Manutenzione degli edifici scolastici (% sul totale degli edifici scolastici nei Comuni capoluogo)

Edifici che necessitano di manutenzione

urgente

Edifici che hanno goduto di

manutenzione straordinaria

negli ultimi 5 anni

Spesa manutenzione

per edificio straordinaria

Spesamanutenzione

per edificio ordinaria

% su totale edifici Euro per edificioPiemonte 10,3 77,4 87.157 15.070Valle d'Aosta ND ND ND NDLombardia 44,9 73,0 87.249 15.440Liguria 15,4 54,9 1.556 4.167Trentino 13,0 53,7 55.935 10.119Veneto 34,5 62,0 36.008 4.250Friuli VG 20,2 59,6 33.765 15.135Emilia Romagna

9,0 56,1 90.779 26.505

Toscana 20,5 72,7 62.195 18.686Umbria 36,3 63,7 45.844 1.530Marche 29,8 14,4 16.901 1.202Lazio 19,1 18,5 53.854 23.588Abruzzo 48,3 42,5 28.647 4.661Molise 16,1 87,1 ND ND Campania 78,7 44,5 19.381 7.007Puglia 60,6 28,5 6.233 4.274Basilicata 21,3 50,0 18.182 4.462Calabria 58,6 57,3 18.228 6.493Sicilia 51,8 26,7 51.265 2.926Sardegna 29,7 7,4 11.608 7.791Nord 21,0 62,4 56.064 12.955NO 23,5 68,4 58.654 11.559NE 19,2 57,8 54.122 14.002Centro 26,4 42,3 44.699 11.252più elevati in molte zone del Paese.

40

Page 41:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Mezzogiorno 45,6 43,0 21.935 5.373Sud 47,3 51,6 18.134 5.379Isole 40,7 17,1 31.437 5.358Italia 32,5 50,0 40.266 9.628Fonte: elaborazioni Ref. su Legambiente "Ecosistema scuola" edizione 2010Servizi scolastici

Trasporto scolastico% edifici con servizio

Mensa scolasticaN. pasti ogni 10 alunni Pasti bio (%)

Piemonte 42,7 6,3 3,7Valle d'Aosta ND ND NDLombardia 30,4 7,1 0,0Liguria 39,7 5,8 0,0Trentino 0,0 2,8 18,2Veneto 28,5 4,8 1,7Friuli VG 16,4 4,9 48,1Emilia Romagna

29,7 4,7 0,0

Toscana 33,8 6,0 29,4Umbria 82,5 3,5 0,0Marche 70,2 4,6 0,0Lazio 42,6 6,0 0,0Abruzzo 49,4 10,3 0,0Molise 80,7 ND NDCampania 2,8 2,5 2,8Puglia 31,7 0,8 0,0Basilicata 27,5 1,9 0,0Calabria 29,3 0,3 0,0Sicilia 21,8 0,8 40,2Sardegna 50,3 4,0 0,9Nord 26,8 5,8 10,2NO 37,6 6,6 1,2NE 18,6 4,6 17,0Centro 57,3 5,8 7,4Mezzogiorno 36,7 1,2 6,3Sud 36,9 1,2 0,6Isole 36,0 1,3 20,6Italia 37,4 3,9 8,1Fonte: elaborazioni Ref. su Legambiente "Ecosistema scuola" edizione 2010

Nonostante ciò, secondo le dichiarazioni dei Comuni oggetto d’indagine, al Sud si riscontra una percentuale decisamente maggiore (45% contro il 21% al Nord e il 26% al Centro) di edifici scolastici che necessitano di interventi di manutenzione urgente. Il che non sorprende dato che il numero di edifici che hanno goduto di interventi di manutenzione straordinaria negli ultimi cinque anni in termini percentuali varia dal 62% al Nord al 43% al Sud. La differenza nelle politiche adottate risulta ancora più evidente osservando i dati relativi alla spesa per manutenzioni (sia ordinarie che straordinarie) che i Comuni dichiarano di destinare agli edifici scolastici: se in media al Nord si spendono quasi 60 mila euro per edificio, la cifra spesa al Sud non raggiunge i 22 mila euro per scuola.

Anche la questione del rischio sismico, che riguarda tutto il Paese e in particolar modo le Regioni del Centro, vede il Sud in posizione di retrovia (rispetto comunque a valori non brillanti anche per le altre Regioni): la percentuale di scuole in cui si svolgono prove di evacuazione è la più bassa del Paese, così come la quota di edifici scolastici dotati di certificato di idoneità statica.

Il fatto che gli investimenti nel settore dell’istruzione si siano ridotti negli ultimi anni in particolar modo al Sud, e che comunque i valori registrati siano molto inferiori qui rispetto al Centro-Nord, conferma quindi l’assenza di una politica orientata al recupero del patrimonio scolastico in declino, e alla riduzione del persistente divario che separa le due zone del Paese.

Anche nella dotazione dei servizi accessori quali trasporto scolastico e mense, il Sud presenta un ritardo rispetto al Centro-Nord, così come osservato per la spesa. La separazione non è però così netta come appare per la qualità degli edifici scolastici. La presenza nelle scuole del servizio di scuolabus presenta una distribuzione variegata tra le Regioni. Le Regioni speciali del Nord ad esempio presentano percentuali molto basse (Friuli) o addirittura non hanno questo servizio, o almeno questo vale per le scuole dei Comuni capoluogo. Allo

Page 42:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

stesso tempo vi sono Regioni al Sud dove si registrano percentuali soddisfacenti (Sardegna) o addirittura molto elevate (Molise).Graduatoria delle scuole superiori (Indicatore sintetico di qualità delle scuole)

Posizione

Provincia Punteggio

1 Bologna 63,452 Trento 62,693 Treviso 60,634 Ravenna 60,035 Pordenone 58,116 Bergamo 50,907 Rimini 50,508 Vicenza 48,999 Latina 48,9210 Torino 46,6711 Parma 45,6612 Pistoia 43,8613 Piacenza 43,3114 Ascoli Piceno 43,0315 Rovigo 42,5316 Belluno 41,5517 Firenze 40,4518 Campobasso 39,6419 Cremona 36,1320 Terni 35,9821 Ancona 35,3722 Macerata 34,8023 Modena 33,5024 Sondrio 33,4425 Lecco 33,2626 Savona 31,8327 Cuneo 30,7028 Catania 29,6229 Como 29,4630 Biella 29,3631 Teramo 27,4932 Cosenza 27,1433 Pesaro 27,1334 Isernia 26,8035 Benevento 26,1836 Frosinone 24,7437 Perugia 24,0338 Padova 16,6639 Agrigento 13,8940 Rieti 7,30Fonte: Legambiente

Anche per le mense scolastiche la presenza del servizio è molto più esigua nelle Regioni meridionali, come si evince dal numero di pasti serviti in un anno ogni dieci alunni. I dati della stessa indagine sulle scuole secondarie superiori permettono solo di osservare la graduatoria delle Province rispondenti stilata da Legambiente sulla base delle risposte ai quesiti pervenute, mentre il dettaglio delle informazioni è disponibile solo a livello nazionale.

Ciò dipende anche dalla scarsa partecipazione delle Province stesse, che hanno risposto in modo completo solo in 40 sul totale. Già la percentuale di risposta offre una prima indicazione sulla mancanza di un monitoraggio serio, e anche in questo caso sono le Province del Centro-Nord a essere più virtuose: metà delle Province del Centro-Nord hanno partecipato all’indagine, mentre solo il 17% al Sud. Inoltre la prima Provincia del Mezzogiorno che compare in graduatoria è Campobasso al diciottesimo posto su 40, e la successiva è Catania al ventottesimo. In generale comunque colpisce il fatto che in dieci anni di rilevazione il divario Nord-Sud abbia manifestato carattere persistente, al netto di alcuni dettagli.

Naturalmente non è possibile stabilire una correlazione diretta tra lo stato di salute degli edifici scolastici e i risultati che si registrano nei territori in termini di scolarizzazione della popolazione. I livelli di istruzione vanno prevalentemente collegati a fenomeni di contesto, e in buona misura legati agli aspetti del

42

Page 43:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

background familiare. In ogni caso è proprio uno dei compiti della scuola pubblica quello di attenuare le differenze legate al contesto sociale di appartenenza. Tenuto conto dell’importanza che il capitale umano svolge nei processi di sviluppo economico, si riconosce come le carenze nella dotazione infrastrutturale del sistema scolastico rappresentino uno dei meccanismi cumulativi che favoriscono la persistenza in condizioni di arretratezza.

Emblematico il fatto che le Regioni del Sud siano quelle in cui si registrano percentuali maggiori di abbandono prematuro degli studi da parte dei giovani.

Percentuali di abbandono prematuro degli studi (2009)

0 5 10 15 20 25 30Sud

CentroNord

SardegnaSicilia

CalabriaBasilicata

PugliaCampania

MoliseAbruzzo

LazioMarcheUmbria

ToscanaEmilia Romagna

Friuli VGVeneto

Trentino AALiguria

LombardiaValle d'Aosta

Piemonte

Popolazione 18-24 con al più licenza media Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT, 2009

Settore socialeIl ruolo dei Comuni: un’analisi attraverso la composizione della spesaL’azione dei Comuni nell’ambito dei servizi sociali si esplica attraverso una vasta gamma di attività socio-assistenziali rivolte alle diverse aree di utenza, che coprono sostanzialmente tutte le fasce deboli della popolazione, incluso il sostegno alla famiglia. Nella rilevazione sugli interventi e sui servizi sociali dei Comuni, l’ISTAT raggruppa le aree di utenza in sei categorie, ovvero famiglie e minori, disabili, anziani, soggetti dipendenti, immigrati e persone in povertà o disagio sociale.

In termini di impegno di risorse, è evidente come tra gli Enti gestori dei servizi sociali considerati dall’indagine i Comuni abbiano un ruolo di primo piano.

Nel 2007, anno più recente della rilevazione, nella media italiana il 74,6% della spesa complessiva era gestita direttamente dal Comune, mentre una percentuale molto esigua era affidata alle ASL e una più consistente era gestita in forma associativa. A questo assetto vi sono alcune eccezioni sul territorio, principalmente le Regioni speciali del Nord, nelle quali assume un peso notevole la gestione in forma associata, con un’ulteriore particolarità del Friuli in cui una percentuale non trascurabile della spesa è gestita dalle ASL. Queste ultime hanno un ruolo marginale o nullo in quasi tutte le altre Regioni, a eccezione del Veneto e della Toscana dove esse gestiscono rispettivamente circa il 33% e il 18% della spesa.

Tornando al dato nazionale, sul totale della spesa, le tre categorie alle quali i Comuni dedicano maggiori risorse sono le prime tre, ovvero minori (e famiglie), anziani e disabili, che insieme comprendono più dell’80% della spesa complessivamente impegnata dalle Amministrazioni comunali.

Page 44:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Spesa per servizi sociali dei Comuni per Ente gestore (anno 2007, valori percentuali)

Comune ASL Associazioni* TotalePiemonte 59,8 0,8 39,3 100Valle d'Aosta 42,5 0,0 57,5 100Lombardia 85,6 0,4 14,0 100Trentino 11,2 0,0 88,8 100Bolzano 0,0 0,0 100,0 100Trento 20,4 0,0 79,6 100Veneto 66,1 32,9 1,0 100Friuli VG 31,2 7,5 61,2 100Liguria 71,3 0,0 28,7 100Emilia Romagna

79,0 0,0 21,0 100

Toscana 68,1 17,7 14,2 100Umbria 70,5 1,8 27,8 100Marche 93,8 0,0 6,2 100Lazio 94,9 0,0 5,1 100Abruzzo 61,0 0,0 39,0 100Molise 82,5 0,0 17,5 100Campania 73,1 0,0 26,9 100Puglia 60,7 0,0 39,3 100Basilicata 82,8 0,0 17,2 100Calabria 96,1 0,0 3,9 100Sicilia 100,0 0,0 0,0 100Sardegna 94,2 0,0 5,8 100Nord-Ovest 75,7 0,5 23,8 100Nord-Est 58,4 10,9 30,7 100Centro 84,3 6,1 9,5 100Sud 70,2 0,0 29,8 100Isole 97,7 0,0 2,3 100Italia 74,6 4,4 21,1 100* Associazioni di Comuni (unioni, comunità montane), Distretto sociale, Consorzio, Comprensorio, Ambito socialeFonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Spesa complessiva dei Comuni per area di utenza e per Ente gestore (anno 2007, valori percentuali)

Comuni*

Altro* Totale Comuni*

Altro** Totale

Famiglie e minori 85,1 14,9 100,0 42,5 26,3 38,9Disabili 66,9 33,1 100,0 18,1 31,9 21,2Dipendenze 62,4 37,6 100,0 0,7 1,4 0,8Anziani 78,2 21,8 100,0 22,0 21,7 21,9Immigrati e nomadi 84,3 15,7 100,0 3,1 2,0 2,9Povertà, disagio adulti e senza fissa dimora

82,0 18,0 100,0 8,3 6,4 7,9

Multiutenza 65,1 34,9 100,0 5,4 10,3 6,5Totale 78,0 22,0 100,0 100,0 100,0 100,0* Comuni, comunità montane e associazioni di Comuni** Distretti sociali, Comprensori, ASL, Ambito socialeFonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Dai bilanci dei Comuni emerge come la maggior parte delle risorse destinate alle funzioni del settore sociale sia di tipo corrente, mentre gli investimenti costituiscono solo il 15% circa della spesa complessiva del settore25. Inoltre, al netto della spesa per il servizio necroscopico e cimiteriale, che non rientra tra i servizi sociali ma rappresenta una spesa per un servizio essenziale, la porzione di investimenti sul totale della spesa sociale in senso stretto si riduce al 10%. Questo tipo di composizione della spesa deriva sia dalle caratteristiche dei servizi offerti dai Comuni, che dalle modalità di erogazione degli stessi.

Vi sono, infatti, numerosi servizi offerti dai Comuni che non necessitano di strutture dedicate. Si pensi ad esempio ai vari servizi di integrazione sociale delle categorie deboli (anziani, disabili, poveri), o alle prestazioni fornite a domicilio come tutte le frange dell’assistenza domiciliare. La preponderanza di questo tipo di attività emerge dai dati di spesa corrente, composta in buona parte da spesa per prestazioni di servizi e da spese di personale. Inoltre, sempre osservando i 25 Valore calcolato sulla spesa media dei Comuni del periodo 2004-08.

44

Page 45:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

dati di spesa corrente, si nota la dimensione della voce trasferimenti, pari al 30% della spesa corrente, che spiega la rilevanza dell’erogazione di servizi in forma di sostegno economico o di contributo al pagamento di servizi forniti da soggetti esterni. È questo ad esempio il caso di voucher, assegni di cura e buoni socio-sanitari. Vi sono poi casi in cui la forma di gestione del servizio incide sui criteri di classificazione della spesa. Ad esempio, nel caso degli asili nido solo la metà degli asili è gestita direttamente dal Comune, mentre nel 20% dei casi il servizio è dato in concessione ad imprese consortili. È possibile quindi che i contributi che il Comune eroga in favore di queste strutture vengano classificati nei bilanci come trasferimenti e non come spesa di investimento.

La composizione della spesa per servizi sociali dei Comuni può anche essere osservata partendo da un punto di vista diverso rispetto ai certificati consuntivi. I dati dell’indagine ISTAT sui servizi sociali dei Comuni distinguono la spesa per ciascun’area di intervento sociale dei Comuni in spesa per interventi e servizi, spesa per trasferimenti e spesa destinata alla gestione e al funzionamento delle strutture.

Spesa dei Comuni singoli e associati per area di utenza e per tipologia di intervento (anno 2007, valori percentuali)

Interventi e servizi

Trasferimenti in denaro

Strutture Totale

Famiglia e Minori 19,3 23,1 57,6 100,0Disabili 51,6 21,3 27,1 100,0Dipendenze 46,9 28,2 24,9 100,0Anziani 50,1 22,8 27,1 100,0Immigrati e nomadi 35,9 26,4 37,7 100,0Povertà, disagio adulti e senza dimora

32,0 54,2 13,8 100,0

Multiutenza 100,0 0,0 0,0 100,0Totale 39,8 23,7 36,5 100,0Famiglia e Minori 18,9 37,8 61,5 38,9Disabili 27,4 19,0 15,7 21,2Dipendenze 1,0 1,0 0,6 0,8Anziani 27,6 21,1 16,3 21,9Immigrati e nomadi 2,6 3,2 3,0 2,9Povertà, disagio adulti e senza dimora

6,3 18,0 3,0 7,9

Multiutenza 16,3 0,0 0,0 6,5Totale 100,0 100,0 100,0 100,0Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

La spesa per strutture rappresenta il 36% circa della spesa complessiva per i servizi sociali, superiore alla spesa per trasferimenti, ma inferiore alla spesa per interventi e servizi. Questa apparente discrepanza rispetto ai numeri che emergono dai certificati consuntivi in tema di investimenti dipende dal fatto che la spesa destinata alle strutture definita dall’ISTAT non comprende i soli investimenti dei Comuni, ma include tutte le spese sostenute dal Comune per le strutture residenziali o semiresidenziali di cui l’Ente è titolare, sia gestite direttamente dall’Ente, che affidate in convenzione a soggetti esterni. Rientrano quindi tra queste spese anche quelle che nei bilanci sono classificate tra le spese correnti, come i contributi erogati dal Comune direttamente agli utenti o alle strutture stesse per garantire la copertura delle rette, e che quindi non rappresentano investimenti in senso stretto. Il dato risulta comunque interessante in quanto offre un’indicazione del peso che l’esistenza di strutture ha sul settore sociale.

Concentrando l’attenzione sulle categorie sulle quali i Comuni spendono di più (infanzia, disabili e anziani) si osserva che la spesa per le strutture ha un peso notevole soprattutto sulla spesa per famiglie e minori, e buona parte delle risorse (quasi il 70%) è destinata agli asili nido. Minore è invece l’incidenza della spesa destinata alle strutture delle aree disabili e anziani, per le quali sono rispettivamente i centri semi-residenziali diurni (per la prima) e le strutture

Page 46:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

residenziali (per la seconda) a richiedere il maggior impegno economico a livello di spesa per le strutture.

Spesa dei Comuni in strutture sociali per area di intervento e tipologia (anno 2007, valori percentuali)FAMIGLIA E MINORI DISABILI ANZIANI

Strutture a ciclo diurno o semi-residenziale

84,2 Strutt. a ciclo diurno o semi-residenziale

61,8 Strutt. a ciclo diurno o semi-residenziale

21,6

Asili nido 68,0 Centri diurni 52,0 Centri diurni 14,9Servizi integrativi o innovativi per la prima

infanzia2,3 Centri diurni estivi 0,6 Centri di aggregazione/sociali 6,0

Centri diurni 3,9 Ludoteche / laboratori 6,2 Altro 0,7Centri diurni estivi 2,8 Centri di aggregazione/sociali 2,0

Ludoteche/laboratori 2,5 Altro 1,1Centri di aggregazione/sociali 4,2

Altro 0,5Strutture comunitarie e residenziali 15,8 Strutture comunitarie e

residenziali38,2 Strutture comunitarie e

residenziali78,4

Strutture residenziali 15,4 Strutture residenziali 36,0 Strutture residenziali 72,3Centri estivi o invernali 0,3 Centri estivi o invernali 1,8 Centri estivi o invernali 5,6

Altro 0,1 Altro 0,4 Altro 0,5Totale strutture famiglia e minori 100,

0Totale strutture disabili 100,

0Totale strutture anziani 100,

0Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

La spesa per investimenti: dinamiche e divario territorialePer focalizzare l’attenzione sulla spesa per investimenti dei Comuni nelle diverse aree del settore sociale, la fonte fondamentale sono le informazioni contenute nei certificati consuntivi. Coerentemente con quanto osservato nei dati ISTAT, l’attenzione si concentrerà sulle aree in cui l’intervento dei Comuni è maggiore in termini di risorse impegnate. Si tratta, in base alla classificazione dei conti comunali, di servizi per l’infanzia e i minori, in particolare gli asili nido, spesa per le strutture di ricovero per anziani e spesa per assistenza alla persona.

Come accennato, una parte consistente degli investimenti comunali nel settore sociale viene destinata al servizio necroscopico e cimiteriale, il quale però non costituisce un servizio sociale in senso stretto e sul quale quindi non si concentrerà l’attenzione.

In Italia la spesa per investimenti nel settore sociale da parte dei Comuni ha coperto nel periodo 2004-08 in media il 6% circa degli investimenti complessivi degli Enti. Si tratta di circa 17 euro su una spesa complessiva di 290 euro pro-capite (in termini reali ai prezzi del 2008).

Secondo quanto indicato dai dati dei certificati consuntivi degli Enti, essa ha seguito un trend decrescente nel quinquennio considerato, non solo in termini assoluti, ma anche nella sua incidenza sulla spesa per investimenti complessiva, riducendo di mezzo punto percentuale il suo peso su un ammontare di investimenti già di per sé calante.

In termini pro-capite reali gli investimenti nel 2008 erano pari a poco più dei due terzi di quanto realizzato nel 2004 (l calo in termini percentuali si è concentrato soprattutto nella spesa destinata alle politiche per gli anziani, che nel 2008 si è ridotta del 40% rispetto al 2004) da 19 euro pro-capite a meno di 14 euro.

Il dato nazionale non dà conto però delle consistenti differenze territoriali che caratterizzano il Paese.

46

Page 47:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Investimenti dei Comuni nel settore sociale: Italia

1,5

2,0

2,5

3,0

3,5

4,0

2004 2005 2006 2007 2008

AsiliAnzianiAssistenza

Nota: euro pro-capite reali; media 2004-08 Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntivi

I valori di spesa per investimenti nel settore sociale sono, infatti, molto differenziati lungo il territorio. Il dato medio della spesa pro-capite reale del periodo 2004-08 declinato per macroaree territoriali conferma il divario Nord-Sud: si osservano difatti dati di spesa decrescenti da Nord a Sud del Paese. Si va dal massimo di 25 euro pro-capite (media nel periodo 2004-08 dei valori reali a prezzi del 2008) al minimo di 11,5 euro per il Sud, rispetto al valore medio nazionale di 17 euro circa. Lo stesso pattern, con divari più o meno accentuati, si osserva se si considerano distintamente i principali servizi, ovvero asili, anziani e assistenza alla persona. La tendenza a una divaricazione Nord-Sud nei dati di spesa si conferma quando si guarda al dato regionale: salvo alcune peculiarità, la maggior parte delle Regioni del Sud si trova agli ultimi posti della classifica stilata sulla base della spesa per investimenti.

Investimenti dei Comuni nel settore sociale per Regione e tipologia di servizio (euro pro-capite reali, media 2004-08)

Totale Asili Prevenzione e

riabilitazione

Anziani Assistenza Servizio necroscopico

Taa 67,1 Taa 5,4 Taa 0,4 Taa 30,7 Taa 14,3 Mar 16,3Mar 26,4 Ero 4,8 Umb 0,2 Fvg 8,8 Sar 7,4 Umb 14,7Sar 25,3 Fvg 4,1 Sar 0,2 Sar 6,0 Ero 4,3 Mol 14,0Ero 24,0 Laz 2,6 Cal 0,1 Ero 5,0 Pie 4,0 Taa 13,8Fvg 23,3 Tos 2,4 Cam 0,1 Pie 4,6 Mol 3,6 Abr 12,1Pie 20,7 Pie 2,3 Mar 0,1 Mar 3,7 Tos 3,6 Bas 10,2Mol 20,6 Ven 2,3 Lom 0,1 Lom 3,7 Lom 3,4 Ven 9,8

Umb 19,8 Mar 1,9 Abr 0,1 Ven 3,0 Mar 3,0 Pie 9,7Lom 17,8 Lom 1,7 Fvg 0,1 Lig 2,1 Umb 2,8 Sar 9,4Ven 17,3 Abr 1,6 Tos 0,0 Mol 1,7 Bas 2,3 Ero 9,0Abr 16,0 Sar 1,3 Laz 0,0 Tos 1,6 Laz 2,2 Lom 8,4Tos 15,5 Lig 1,1 Ero 0,0 Abr 1,2 Ven 2,0 Fvg 8,1Bas 14,0 Cam 1,1 Pug 0,0 Cam 1,2 Fvg 2,0 Tos 7,5

Cam 13,1 Umb 0,9 Lig 0,0 Cal 0,9 Cam 1,8 Cam 7,2Laz 12,0 Mol 0,5 Ven 0,0 Bas 0,9 Sic 1,7 Lig 7,1Lig 12,0 Sic 0,5 Pie 0,0 Umb 0,9 Pug 1,6 Laz 5,9Cal 8,8 Bas 0,5 Bas 0,0 Laz 0,8 Lig 1,6 Cal 5,8Sic 8,1 Pug 0,4 Sic 0,0 Sic 0,7 Cal 1,6 Pug 5,5

Pug 7,9 Cal 0,2 Mol 0,0 Pug 0,2 Abr 1,0 Sic 5,1Vda ND Vda ND Vda ND Vda ND Vda ND Vda NDIta 16,7 Ita 1,9 Ita 0,1 Ita 3,0 Ita 2,9 Ita 8,2

Nota: per la Valle d'Aosta non si dispone dei dati di spesa disaggregati per funzioni Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntivi dei Comuni

In tutti i settori considerati (a esclusione del servizio di riabilitazione, per il quale si dispone soltanto del dato 2008, e che costituisce comunque una parte minoritaria in termini di spesa, e del servizio necroscopico), più della metà delle 8 Regioni meridionali si colloca nella seconda metà dell’ordinamento stilato sulla base dei valori pro-capite di spesa. Ciò è particolarmente evidente nell’area anziani e nella spesa per asili. Per quest’ultima, solo l’Abruzzo si colloca in

Page 48:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

decima posizione, con un valore di spesa comunque al di sotto della media nazionale. Riguardo i servizi agli anziani, il Molise si colloca in decima posizione con una spesa inferiore alla media nazionale, mentre in Sardegna si osserva un dato di spesa elevato, inferiore soltanto a Trentino e Friuli.

Indicatori di struttura nel settore sociale e relazione con la spesa per investimentiPer porre a confronto la dotazione strutturale e gli indicatori di sviluppo territoriale del settore è necessario distinguere tra le aree di intervento dei Comuni, al fine di verificare l’esistenza di eventuali relazioni tra i comportamenti di spesa osservati e le condizioni di offerta del servizio.

Si tratta peraltro di servizi la cui fornitura avviene con modalità differenti, e dove le competenze del Comune si differenziano notevolmente. Si prenderanno quindi in esame separatamente le spese dedicate alle residenze per anziani e agli asili nido, per le quali i dati disponibili permettono di stabilire una corrispondenza diretta tra le spese di investimento del Comune e gli indicatori territoriali relativi alle strutture.

Le residenze per anziani L’organizzazione dell’assistenza residenziale agli anziani è relativamente complessa in quanto esistono diverse tipologie di struttura che si differenziano a seconda delle prestazioni richieste dalle esigenze degli utenti. Si tratta inoltre di un’area che per sua natura ha un forte legame con il settore sanitario, pertanto le competenze in merito si dividono tra il Servizio Sanitario Nazionale, la Regione e il Comune, senza contare l’intervento del settore privato.

Secondo i dati ISTAT sull’assistenza residenziale relativi al 2006, i Comuni, singolarmente o in forma associata, gestiscono direttamente soltanto il 12% dei presidi residenziali di tipo socio-assistenziale per anziani (sia autosufficienti che non). Una parte non trascurabile delle strutture, il 18% circa, è gestita dalle IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza26), ma nel complesso il ruolo del settore pubblico, in termini di gestione delle strutture, risulta secondario rispetto ad altre realtà, che siano Enti religiosi o imprese non profit o altre imprese private.

Presidi residenziali socio-assistenziali per anziani per Ente gestoreNumero presidi Valore %

2002 2006 2002 2006Comuni (singoli o associati)

432 397 13,4 12,0

Provincia/Regione 3 4 0,1 0,0ASL 27 21 0,8 1,0IPAB 719 586 22,2 18,0Altro pubblico 18 38 0,6 1,0Ente religioso 797 770 24,6 23,0Impresa non profit 525 611 16,2 19,0Altro privato 713 788 22,0 24,0Totale 3234 3.280 100,0 100,0Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Il dato sul numero di presidi per Ente gestore evidenzia anche come la percentuale di strutture gestite direttamente dai Comuni si stia riducendo in favore del settore privato (profit e non profit), per cui parte della contrazione degli investimenti, che nel settore anziani appare ancora più evidente rispetto al complesso delle funzioni sociali, riflette uno spostamento della gestione del servizio dal settore pubblico verso quello privato.

Così come per la spesa, l’offerta di strutture residenziali varia enormemente da una Regione all’altra, riducendosi notevolmente da Nord a Sud del Paese. L’ordinamento stilato in base ad alcuni indicatori territoriali di dotazione di 26 Le IPAB sono Enti non profit che operano sotto il controllo delle Regioni.

48

Page 49:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

strutture per l’assistenza residenziale evidenzia come, qualunque sia l’indicatore preso in considerazione dei quattro proposti, tutte le Regioni meridionali (a eccezione di un unico caso) occupino le ultime posizioni della classifica. L’unica eccezione sarebbe l’Abruzzo per quanto riguarda il numero di posti letto per anziani in strutture residenziali, ponderati per la popolazione anziana residente.

Indicatori di struttura nei servizi agli anziani (media 2004-08; per i posti letto dato 2006)

Percentuale di Comuni coperti dal servizio (a)

Indice di copertura territoriale del

servizio (a) (b) (per 100

persone)

Indicatore di presa in carico degli

utenti (a) (c) (per 100

persone)

Posti letto per anziani per 1.000

abitanti +65 (d)

VdA 100 VdA 100 VdA 404 Pie 45Pie 96 Tos 99 TAA 293 FVG 41Tos 95 Pie 98 Ven 278 VdA 40Ven 94 Ven 98 FVG 176 Ven 39Ero 87 Ero 97 Tos 131 Ero 30

FVG 83 Lig 95 Ero 125 Lig 29Umb 75 FVG 95 Pie 107 Lom 29

Lig 71 Umb 94 Mar 88 Mar 22Lom 70 Lom 89 Lom 86 Tos 18TAA 65 Laz 88 Lig 76 Abr 16Mar 56 TAA 88 Sar 71 Mol 16Laz 54 Mar 84 Umb 59 Laz 14Sic 52 Sic 78 Laz 47 Umb 13Abr 46 Pug 73 Sic 37 Sar 10Pug 43 Abr 72 Pug 28 Pug 9Bas 40 Sar 63 Abr 27 Sic 8Sar 32 Bas 61 Cam 26 Cam 6

Cam 23 Cam 57 Bas 23 Cal 5Mol 7 Mol 30 Mol 16 Bas 5Cal 3 Cal 16 Cal 13 TAA NDIta 64 Ita 84 Ita 71 Ita 22

(a) comprende strutture comunali e strutture private dove il Comune provvede al pagamento delle rette (b) % di anziani che risiede in un Comune in cui è presente il servizio(c) Utenti sul totale della popolazione maggiore di 65 anni della Regione Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Dal grafico di dispersione degli investimenti rispetto a un indicatore di dotazione si intuisce una tendenza ad allontanarsi da un modello di convergenza, soprattutto nelle Regioni dove la dotazione appare inferiore. Le Regioni che si collocano nel grafico in basso a sinistra sono quelle per le quali sia gli investimenti che la dotazione di strutture risulta inferiore alla media nazionale. Si tratta principalmente di Regioni meridionali, ma tra queste si collocano anche il Lazio e l’Umbria. Per Liguria e Toscana a un indicatore di dotazione superiore alla media nazionale, corrispondono investimenti più bassi. Vi sono poi casi in cui nonostante l’offerta di strutture sia superiore alla media nazionale, gli investimenti continuano a mantenersi su livelli superiori. Questo fenomeno è evidente in Friuli, ma si osserva anche in Emilia Romagna e in Piemonte, e in misura inferiore anche in Lombardia, in Veneto e nelle Marche. La Sardegna costituisce un caso isolato, in cui è possibile che gli investimenti superiori alla media nazionale possano ridurre il divario che ancora separa la Regione in termini di dotazione dalla media del Paese.

Pur semplificando notevolmente quindi è possibile affermare che nell’area anziani è necessario uno sforzo in termini di investimento per colmare il divario che separa alcune zone, concentrate soprattutto nel Mezzogiorno, dal resto del Paese.

Limitando l’analisi alla dimensione dell’offerta il rischio è però quello di trascurare alcuni aspetti importanti riguardo alla questione dell’assistenza residenziale e al ruolo dei Comuni in questo ambito. Un sistema migliore si definisce non solo in base alle dimensioni, ma anche in base alle caratteristiche dell’offerta. Un aspetto importante, che permette di definire in modo meno equivoco un sistema

Page 50:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

migliore di un altro, è dato dalla presenza di posti in strutture socio-sanitarie rispetto a quelli in residenze assistenziali27.

Investimenti e offerta di strutture nell'area anziani

FVG

Sar

Ero PieMar Lom Ven

LigMol

TosAbr

CamCal

Bas UmbLazSicPug050

100150200250300350

0 50 100 150 200 250Dotazione (1)

Inves

timen

ti (2)

(1) Indicatore di dotazione: media degli indicatori della tabella a pag 57; Indice: Ita = 100; (2) Euro pro-capite reali; media 2004-08; Indice: Ita = 100; Il dato disaggregato non è disponibile per Valle d'Aosta e Trentino Alto AdigeFonte: elaborazioni Ref. su ISTAT e certificati consuntivi

Il processo di continuo invecchiamento della popolazione e il progressivo venir meno del concetto di famiglia estesa da un lato e della disponibilità femminile in ambito domestico dall’altro, accrescono difatti l’esigenza di assistenza formale agli anziani, soprattutto non autosufficienti.

Lo spostamento verso un sistema a prevalenza socio-sanitaria risponde quindi alla maggiore complessità dell’utenza anziana, attraverso l’adeguamento degli standard strutturali e degli aspetti organizzativi e funzionali.

Composizione delle tipologie di strutture residenziali: modello assistenziale vs modello socio-sanitario

05

101520253035404550

Valle

d'Ao

sta

Vene

to

Friuli

VG

Lomb

ardia

Ligur

iaEm

ilia Ro

magn

a

Piemo

nte

Mar

che

Tosca

na

Moli

se

Abru

zzo

Umbr

ia

Sard

egna

Pugli

aLa

zio

Sicilia

Calab

ria

Basili

cata

Camp

ania

Strutture assistenzialiStrutture socio-sanitarie

Nota: posti letto per 100 anziani per tipologia di struttura Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT

Il grafico sostanzialmente conferma il grande ritardo della maggior parte delle Regioni meridionali. In particolare Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Puglia sono carenti anche sotto l’aspetto qualitativo delle strutture, oltre a presentare un’offerta limitata e investimenti carenti.

La conclusione generale che si può trarre dalla breve rassegna presentata è quindi che vi sia una parte di paese dove urge colmare un divario importante. Questo è particolarmente evidente in alcune Regioni, nelle quali il fabbisogno di investimenti mirati alla riconversione di un sistema in enorme ritardo assume dimensioni rilevanti.

27 Rapporto INRCA (Istituto Nazionale di Ricovero e Cura per Anziani) 2009, ”L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia”.

50

Page 51:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Sul modello organizzativo dell’assistenza agli anziani si possono peraltro proporre anche alcune considerazioni in relazione al fatto che l’assenza di un numero sufficiente di strutture adeguate potrebbe essere uno dei fattori che hanno sollecitato la diffusione in Italia nel corso degli ultimi anni di un modello di gestione in ambito familiare basato sull’afflusso di uno stock ampio e crescente di lavoratrici immigrate.

Il settore dei “servizi alle famiglie e convivenze” ha difatti registrato una creazione occupazionale importante (circa 450 mila occupati nel corso degli anni Duemila) che ben rende l’idea della dimensione economica del fenomeno di cui stiamo parlando. Tale incremento occupazionale ha favorito in maniera pressoché esclusiva la creazione di occupazione composta da lavoratori immigrati, con un forte effetto di genere, trattandosi prevalentemente di occupazione femminile.

Il trend crescente della domanda di questi servizi è legato da un canto al processo di invecchiamento della popolazione, e dall’altro alla femminilizzazione della forza lavoro, che fa sì che gli impegni familiari, come la cura degli anziani, non possano essere assolti completamente, come accadeva in passato, all’interno del nucleo familiare. Il modello organizzativo scelto per affrontare l’invecchiamento della popolazione è quindi strettamente legato alle politiche per la conciliazione dei tempi di lavoro con i carichi familiari.

Gli effetti di una maggiore dotazione infrastrutturale sul mercato del lavoro possono quindi essere rilevanti cumulandosi da un canto quello costituito dal personale impiegato in queste strutture, e dall’altro l’effetto sull’offerta di lavoro indotto dall’aumento della partecipazione femminile. Questo secondo effetto naturalmente è rilevante anche in relazione al tema della dotazione di infrastrutture per l’assistenza all’infanzia, fra le quali rientrano, per quanto concerne gli ambiti di competenza degli Enti locali, gli asili nido.

Gli asili nido

I servizi all’infanzia, tra cui la gestione degli asili nido, a differenza dei servizi agli anziani, rappresentano una funzione di competenza tipicamente comunale. Questo aspetto emerge con chiarezza guardando ai dati di spesa (complessiva) distinti per spesa comunale (incluso il contributo alle rette per asili privati), compartecipazione dell’utenza e compartecipazione del SSN.

Spesa in asili nido: contributi per settore (anno 2008; valori %)

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Bolza

noCa

mpan

iaSic

iliaLa

zioLig

uria

Abru

zzo

Pugli

aUm

bria

Sard

egna

Calab

iaVa

lle d'

Aosta

Tren

tino A

AFri

uli V

GTr

ento

Moli

seTo

scana

Vene

toPie

mont

eEm

ilia Ro

magn

aM

arch

eBa

silica

taLo

mbar

dia Italia

Comuni Utenti SSN

Fonte: elaborazioni Ref. su ISTATIn tutte le Regioni italiane la spesa di competenza comunale non scende al di sotto del 73,5% della spesa totale, e la compartecipazione massima del SSN si riscontra in Lombardia, dove raggiunge l’1,6% della spesa complessiva.

Inoltre, come evidenzia l’ISTAT nella rilevazione rapida sui servizi socio-educativi della prima infanzia, dal punto di vista organizzativo, l’offerta di asili nido è gestita quasi interamente dai singoli Comuni, mentre la gestione in forma associata riguarda solo il 3,6% della spesa impegnata complessivamente. Solo in

Page 52:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Friuli e in Puglia si riscontra un coinvolgimento significativo (superiore al 30% della spesa) degli Ambiti sociali, che sono comunque forme di associazione comunale, mentre in Valle d’Aosta un quarto della spesa è gestito da Comunità montane.

Prendendo a esame gli indicatori di struttura riferiti agli asili nido, si riscontra ancora un divario territoriale molto evidente. Nei quattro indicatori proposti, le otto Regioni meridionali si trovano tra le ultime dieci, e spesso con un distacco notevole dai valori medi nazionali.

Indicatori di struttura nei servizi all'infanzia (media 2004-08; per i posti per bambino dato 2008)

Percentuale di Comuni coperti dal

servizio di asilo nido (a)

Indice di copertura territoriale del

servizio di asilo nido (a) (b) (per 100

bambini 0-2 anni)

Indicatore di presa in carico degli

utenti (a) (c) (per 100 bambini 0-2

anni)

N. posti in asili nido per

100 bambini 0-2

Vda 82 Ero 95 Ero 23 Ero 20Ero 76 Vda 91 Vda 21 Tos 15Tos 63 Tos 90 Tos 17 Vda 13Fvg 61 Lig 88 Umb 13 Mar 11

Lom 54 Mar 84 Mar 13 Pie 11Ven 48 Fvg 84 Lom 13 Umb 10Mar 44 Lom 83 Lig 12 Lig 10Lig 40 Umb 82 Pie 11 Laz 10

Umb 40 Laz 77 Laz 10 Lom 10Sic 33 Ven 75 Fvg 10 Fvg 8

Pug 28 Pie 71 Ven 9 Taa 7Pie 27 Sic 67 Abr 7 Ven 7

Bas 25 Abr 64 Sar 7 Abr 6Laz 22 Sar 56 Bas 6 Sar 6Abr 20 Pug 55 Sic 6 Sic 5

Cam 13 Bas 55 Mol 4 Mol 5Sar 13 Cal 40 Pug 4 Pug 4Cal 10 Cam 37 Cal 2 Bas 3Mol 4 Mol 36 Cam 1 Cam 1Taa ND Taa ND Taa ND Cal 1Ita 40 Ita 73 Ita 10 Ita 8

(a) Comprende strutture comunali e strutture private dove il Comune provvede al pagamento delle rette (b) % di bambini che risiede in un Comune in cui è presente il servizio (c) Utenti sul totale della popolazione minore di 3 anni della RegioneFonte: elaborazioni Ref. su ISTAT e certificati consuntivi dei Comuni

Ancor più che nel caso dei servizi agli anziani, la relazione tra spesa per investimenti e dotazione strutturale negli asili mostra come le Regioni nelle quali vi è un ritardo strutturale siano quelle che investono di meno, e in maggioranza si tratta di Regioni del Centro-Sud. Il grafico, in effetti, evidenzia l’esistenza di una correlazione positiva tra i due indicatori, ovvero le Regioni in cui la dotazione strutturale è più ampia sono anche quelle che hanno la tendenza a investire maggiormente negli asili nido e nei servizi all’infanzia. Emerge, infatti, il primato negli interventi nel settore sociale tipico delle Regioni del Centro-Nord, in particolare Toscana ed Emilia Romagna. Anche i dati disaggregati a livello comunale mostrano una dotazione più elevata, in particolare nelle città dell’Emilia Romagna e della Toscana.

Pertanto, i differenziali nella dotazione esistente paiono destinati ad ampliarsi nel corso del tempo.

52

Page 53:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Investimenti e offerta di asili nido

Ero

TosPieMar FVGAbr LomVenSar LigMol LazPug UmbCam

SicCal Bas0

50

100

150

200

250

300

0 50 100 150 200 250Dotazione (1)

Inves

timen

ti (2)

(1) Indicatore di dotazione: media degli indicatori di Tav. 7; Indice: Italia = 100; (2) Euro pro-capite reali; media 2004-08; Indice: Italia = 100; Il dato disaggregato non è disponibile per Valle d'Aosta e Trentino Alto AdigeFonte: elaborazioni Ref. su ISTAT e certificati consuntivi

Strutture e investimenti in asili nei capoluoghi di ProvinciaComune Regione Posti per bambini Investimenti pro-

capite media 2004-08

2006 2008

Bologna Emilia R. 34,0 36,8 1,0Parma Emilia R. 18,6 35,4 11,7Modena Emilia R. 31,0 31,7 4,1Firenze Toscana 32,8 31,4 1,7Pisa Toscana 31,3 31,0 6,3Siena Toscana 30,7 28,4 0,7Trento Trentino AA 25,9 27,4 9,2Reggio E. Emilia R. 26,8 27,2 1,3Piacenza Emilia R. 26,7 26,9 1,0Pavia Lombardia 25,6 25,5 2,9Milano Lombardia 22,7 25,2 2,7Torino Piemonte 16,6 17,6 3,4Roma Lazio 13,5 15,1 5,2Cosenza Calabria 5,9 5,9 0,0Belluno Veneto 6,1 5,9 1,0Fermo Marche 5,9 5,9 0,1Isernia Molise 5,1 5,5 1,3Bari Puglia 4,9 4,7 0,4Napoli Campania 3,6 4,5 0,6Palermo Sicilia 5,1 4,4 1,0Avellino Campania 5,1 3,6 2,7Crotone Calabria 0,0 1,6 0,0Foggia Puglia 1,1 1,4 0,3Fonte: elaborazioni Ref. su certificati consuntivi

Nella tabella si elencano i primi dieci e gli ultimi dieci capoluoghi di Provincia (tra quelli che nel bilancio dichiarano la presenza di asili nido comunali) per numero di posti disponibili ponderati per la popolazione dei bambini da 0 a 2 anni, oltre ai Comuni di Milano, Roma e Torino per la loro rilevanza. Anche per le singole città, a una maggiore offerta corrispondono mediamente anche investimenti pro-capite maggiori, e viceversa, nelle città in coda, si osservano investimenti pro-capite mediamente più bassi, il che rispecchia a grandi linee quanto osservato in generale a livello nazionale e regionale.

Chiaramente anche per quanto riguarda gli asili e i servizi all’infanzia, considerare solo le dimensioni dell’offerta come indicatore della bontà del servizio comporta una notevole semplificazione del tema in oggetto.

Le dimensioni dell’offerta di posti in asili nido sono notevolmente aumentate nell’ultimo decennio. A livello nazionale il numero di utenti di posti in asili nido finanziati dai Comuni è aumentato a livello nazionale del 60% dal 2000 al 2009. Non sempre però lo sviluppo dimensionale dell’offerta è stato adeguatamente accompagnato da miglioramenti nella qualità del servizio. Un indicatore di qualità è dato dal numero di bambini affidati a ciascun educatore, informazione contenuta nei certificati consuntivi dei Comuni.

Page 54:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Incremento dell'offerta e qualità del servizioN. utenti di asili finanziati dal

ComuneN. bambini per educatore

2006 2008 var % 2006 2008 var %Piemonte 12.567 13.154 4,7 6,4 6,5 0,9Valle d'Aosta

607 817 34,6 5,9 5,7 -2,5

Lombardia 34.674 38.341 10,6 6,5 7,2 11,0Trentino AA 2.765 2.970 7,4 6,8 8,7 27,5Veneto 13.288 13.990 5,3 6,0 5,9 -1,1Friuli VG 2.692 3.674 36,5 6,2 5,1 -17,2Liguria 4.385 4.787 9,2 4,7 4,7 -0,3Emilia Romagna

27.172 29.079 7,0 4,9 8,4 72,9

Toscana 16.484 16.443 -0,2 8,4 8,1 -3,5Umbria 2.696 4.462 65,5 4,9 4,7 -4,8Marche 5.252 5.617 6,9 7,3 7,8 7,1Lazio 14.835 18.997 28,1 5,7 7,1 23,3Abruzzo 2.081 2.673 28,4 6,3 6,4 1,6Molise 361 319 -11,6 4,5 4,9 7,6Campania 2.622 3.069 17,0 5,5 6,0 9,5Puglia 3.964 4.384 10,6 7,8 8,0 2,5Basilicata 822 978 19,0 12,9 10,3 -19,9Calabria 990 1.247 26,0 3,6 6,9 89,4Sicilia 9.280 8.664 -6,6 5,4 5,8 8,6Sardegna 2.372 2.597 9,5 7,7 11,5 48,6Italia 157.144 173.292 10,3 6,1 7,1 15,6Fonte: elaborazioni Ref. su ISTAT e certificati consuntivi

Considerando la variazione percentuale sia degli utenti degli asili a finanziamento pubblico, sia del numero di bambini per educatore tra il 2006 e il 2008, si evince come l’allargamento delle strutture non in tutti i casi sia andato di pari passo con un adeguamento nelle dimensioni del personale qualificato. Sulla media nazionale, il maggiore afflusso ai nidi ha determinato un ampliamento del carico di lavoro per ciascun educatore28.

A livello territoriale, molte sono le Regioni in cui si è seguito questo stesso schema, e non sempre l’osservazione combinata di questi due fenomeni porta alle stesse conclusioni riguardo il divario tra Nord e Sud. Ad esempio, in Emilia Romagna, a un aumento del 7% del numero di utenti è corrisposto un incremento del numero di bambini per educatore. Vero è che se si prende la media nazionale come benchmark, il passaggio da 5 a 8 bambini per educatore potrebbe essere visto in senso positivo come una migliore allocazione delle risorse. Viceversa, tra le Regioni meridionali la Basilicata avrebbe in questo periodo incrementato il bacino d’utenza e ridotto il numero di bambini per educatore da 13 a 10, avvicinandosi alla media nazionale pari a 7 bambini.

In sintesi, anche negli investimenti in asili nido il Paese presenta una forte divaricazione Nord-Sud che deve essere colmata, ma non sembra che il percorso della spesa per investimenti dei Comuni negli ultimi anni abbia spinto in questa direzione.

Il percorso di ampliamento dell’offerta deve però necessariamente tenere conto anche della qualità del servizio, pertanto anche l’allocazione della spesa corrente nei servizi deve seguire la stessa direzione quando maggiori risorse vengono destinate a investimenti in nuove strutture.BOX - Asili nido, partecipazione femminile e sviluppo

Le differenze riscontrate nei livelli di spesa e, conseguentemente, di offerta di servizi sociali sono strettamente legate allo sviluppo economico territoriale. Da una parte le risorse che ogni Ente può utilizzare per i servizi sociali dipendono – almeno in parte ora e sempre più in prospettiva in un’ottica di crescente federalismo - dal grado di sviluppo economico, quindi dal livello del reddito del

28 In questo caso non si dispone di un’indicazione sul numero ottimale di bambini per educatore. Si ritiene in ogni caso che un aumento di questo indicatore possa significare, se non un peggioramento della qualità in termini assoluti, un campanello di allarme al fine di evitare il rischio che all’aumento dell’offerta non corrisponda una migliore qualità.

54

Page 55:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

territorio; in altre parole, territori più ricchi hanno maggiori risorse e quindi si possono permettere livelli di spesa maggiori e quindi offerte più ampie. Naturalmente, la disponibilità di mezzi economici è condizione necessaria, ma non sufficiente per un’offerta adeguata di servizi sociali, dato che sono necessarie anche considerazioni circa l’efficienza della spesa così come sulle scelte di policy sottostanti, che possono portare a privilegiare determinate voci di spesa a fronte di altre e quindi ottenere assetti molto differenziati a parità di risorse utilizzate. D’altro canto, il legame tra i livelli di spesa e sviluppo economico funziona anche nell’altro senso: livelli maggiori di spesa in servizi sociali possono, infatti, favorire un maggior sviluppo economico. Ad esempio, la spesa in asili nido sostenuta dai Comuni può avere un effetto positivo sulla crescita.

Come è stato mostrato in precedenza, i livelli medi di spesa per investimenti nel settore degli asili nido, e di conseguenza l’offerta di servizi, sono piuttosto differenziati tra le Regioni. Ai livelli massimi troviamo Regioni del Centro-Nord, tipicamente Emilia Romagna e Toscana, mentre in coda alla graduatoria ci sono le Regioni meridionali. La graduatoria in termini di spesa per investimenti non è molto diversa da quella in termini di dotazione di strutture. L’offerta di servizi è in genere tanto più ampia quanto maggiore è la dotazione di strutture.

Lo stesso ampio divario territoriale evidenziatosi nei diversi indicatori utilizzati per valutare l’offerta di servizi si osserva d’altra parte anche negli indicatori di mercato del lavoro, come il tasso di attività e quello di occupazione. Le Regioni del Centro-Nord presentano difatti livelli di inclusione nel mercato del lavoro maggiori di quelli evidenziati nelle Regioni meridionali; sebbene questo sia vero in generale, ovvero in riferimento al complesso della popolazione in età lavorativa, è particolarmente evidente quando l’analisi viene ristretta alla componente femminile.

Come si può vedere chiaramente dal grafico seguente, che pone a confronto la copertura territoriale degli asili nido (in termini di percentuale di bambini 0-2 anni che hanno accesso ai servizi) con il tasso di occupazione femminile riscontrato a livello regionale, esiste una correlazione positiva: al crescere della copertura territoriale aumenta anche il tasso di occupazione femminile, nella classe d’età 25-44 anni.

Asili nido ed occupazione femminile

y = 0,72x + 9,57R2 = 0,73

2030405060708090

20 30 40 50 60 70 80 90 100Copertura territoriale degli asili nido (per 100 bambini 0-2 anni)*

Tasso

occu

pazio

ne

donn

e 25-

44 an

ni**

(*) media 2004-08; (**) 2009 Fonte: elaborazioni Ref. su dati ISTATLa scelta di tale classe d’età non è stata casuale; è proprio in questo intervallo che tendono a situarsi sia l’ingresso nel mercato del lavoro (in Italia sempre più ritardato data la crescente scolarizzazione che fa sì che i tempi della formazione si siano allungati rispetto ad alcuni decenni fa) così come la scelta di creare una famiglia. Come noto, è soprattutto per le donne che la conciliazione tra vita lavorativa e responsabilità familiari è più complicata, anche per eredità culturali difficili da mutare nel breve periodo che si riflettono nella suddivisione dei compiti di cura all’interno della famiglia.

Page 56:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Gli studi sull’offerta di lavoro femminile fanno spesso riferimento alla formalizzazione sviluppata nel filone di ricerca della New Home Economics. Partendo dal modello neoclassico di allocazione del tempo, da cui si deriva l’offerta di lavoro, si è considerata una scelta non più dicotomica (tra lavoro e tempo), ma tricotomica (tra lavoro formale, nel mercato, tempo libero e lavoro informale, cioè in famiglia). Tali modelli si sono rivelati particolarmente adatti allo studio dell’offerta di lavoro da parte delle donne, che tradizionalmente si fanno carico della cura dei famigliari e dello svolgimento di lavori domestici, mansioni non remunerate ma produttive. I costi della partecipazione sono connessi alla ricerca di un impiego e all'acquisto sul mercato formale di servizi (di cura dei famigliari e di mansioni domestiche) altrimenti svolti informalmente, oltre ai costi non monetari di rinuncia a parte del proprio tempo per l'educazione dei figli o per il tempo libero. I benefici sono invece legati alla retribuzione presente, ai flussi di reddito da lavoro attesi per il futuro oltre alle soddisfazioni professionali.

Numerosi lavori empirici hanno evidenziato una correlazione negativa tra la presenza di figli piccoli e l'offerta di lavoro femminile. Analisi econometriche29

hanno mostrato come la presenza di figli possa avere per le donne un effetto negativo sulla probabilità di inclusione nel mercato del lavoro. Abbiamo svolto un esercizio, stimando due semplici modelli probit in cui la variabile dipendente è, rispettivamente, la probabilità di essere occupato o di partecipare al mercato del lavoro, e viene regredita su alcune caratteristiche socio-demografiche, come l’età, il titolo di studio, l’area geografica di residenza, la cittadinanza, l’avere o meno dei figli. L’analisi è stata ristretta a un campione di donne di età compresa tra i 26 e i 50 anni (ovvero, le età centrali, escludendo così le code in cui subentrano altri fattori, come la transizione tra la scuola e il lavoro per le più giovani, e il graduale pensionamento per le più anziane). I dati utilizzati sono quelli della Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro (RCFL) condotta regolarmente dall’ISTAT; sono state considerate solo le donne che vivono in nuclei familiari “tradizionali”, escludendo quelle che vivono con i genitori o con altri famigliari (fratelli, suoceri, altri parenti), che sono più probabilmente esenti dai problemi di conciliazione. Come si può vedere, rispetto alla figura di riferimento, che nel nostro caso è una donna italiana con un diploma superiore, senza figli e residente nel Centro, ci sono delle caratteristiche socio-demografiche che implicano un incremento statisticamente significativo della probabilità sia di essere attiva che di essere occupata: queste sono l’aver conseguito un titolo di studio e l’essere residente nel Nord. Al contrario, l’essere immigrata, l’avere al massimo la licenza media oppure il risiedere nel Sud comportano una riduzione (in alcuni casi anche consistente) delle probabilità. L’avere dei figli è una delle caratteristiche per le quali si stima una riduzione della probabilità sia di essere attiva che di essere occupata. In altre parole, se l’unica caratteristica diversa da quella della figura di riferimento fosse l’avere un figlio, questo comporterebbe una riduzione dell’11% della probabilità di partecipare al mercato del lavoro e del 31% di essere occupata.

Probabilità di essere occupata o attiva secondo alcune caratteristicheAttiva Livello di

significativitàOccupata Livello di

significativitàEtà 0,03 *** 0,04 ***Obbligo -0,60 *** -0,82 ***Laurea 0,49 *** 0,40 ***Nord 0,31 *** 0,45 ***Sud -0,56 *** -0,86 ***Immigrata -0,44 *** -0,83 ***Figli -0,11 *** -0,31 ***Pseudo R2 0,33 0,26*** coefficiente significativo all’1%Riferimento: donna con diploma di scuola superiore, residente nel Centro italiana, senza figliFonte: elaborazioni Ref. con modello probit su un campione di 82.334 donne di età tra i 26 e i 50 anni costruito a partire dai microdati Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro ISTAT, 2009

29 Per una rassegna della letteratura empirica sul tema dell’offerta di lavoro femminile, si rimanda al capitolo L’offerta di lavoro in “Il mercato del lavoro in Italia. Analisi e politiche” (2009) a cura di Dell’Aringa C. e Lucifora C.

56

Page 57:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

Viene abbastanza naturale, visto l’impatto negativo che la presenza di figli – soprattutto se molto piccoli – può avere sulle probabilità di inclusione delle donne nel mercato del lavoro, pensare che i servizi sociali possano in parte smorzare tali effetti, facilitando la conciliazione. Del Boca30 ha studiato la relazione tra la disponibilità di posti nei servizi pubblici di child care e di opportunità di impieghi part-time, e le decisioni di fecondità e di partecipazione delle donne in Italia. Le stime hanno utilizzato dati dall'indagine della Banca d'Italia. La presenza di almeno uno dei genitori della donna, che possono aiutare nella cura dei bambini, ha un effetto positivo sulla probabilità di partecipare al mercato del lavoro e di avere figli; ma anche un contesto istituzionale che consente la conciliazione tra impegni familiari e lavorativi, come la disponibilità di servizi di child care o l'opportunità di ottenere impieghi part-time, risultano avere un effetto positivo e significativo sulla partecipazione. In loro assenza, il costo della partecipazione diventa molto gravoso per le donne con figli, se non possono fare affidamento all'assistenza informale di altri membri della famiglia.

Del Boca, Locatelli e Vuri31 hanno simulato gli effetti di alcune ipotesi di riforma dei servizi di child care sulla probabilità di partecipazione e di utilizzo di servizi formali di cura: ha maggiore effetto un aumento della disponibilità di servizi rispetto a un sussidio, anche quando questo copra quasi integralmente i costi. In altre parole, un elemento chiave nello spiegare la limitata partecipazione femminile al mercato del lavoro è rappresentato più che altro dalla scarsità dell'offerta di servizi di child care (e la loro rigidità, che ne rende difficoltoso il ricorso, soprattutto per le donne occupate a tempo pieno).

Non stupisce pertanto osservare tassi di partecipazione maggiori nelle Regioni dove l’offerta è più ampia. Ma perché tutta quest’attenzione alla partecipazione femminile al mercato del lavoro? L’inattività di parte della popolazione femminile non può essere semplicemente l’esito di scelte? Sebbene la libertà dell’individuo nel compiere le proprie scelte sia da rispettare, compito delle politiche è la creazione di incentivi affinché sia più conveniente per gli individui fare scelte che massimizzino anche l’utilità sociale. Una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro è auspicabile, e il fine ultimo è proprio lo sviluppo economico.

Negli ultimi anni, nonostante un’evoluzione demografica sfavorevole, si è osservata un’espansione dell’offerta di lavoro, e questo è stato possibile grazie all’incremento del tasso di partecipazione femminile. Quanto maggiore è il tasso di attività, tanto più ampia è l’offerta di lavoro, a parità di popolazione in età lavorativa. Un numero maggiore di persone che partecipano al mercato del lavoro è condizione necessaria (seppur non sufficiente, dato che occorre anche una domanda altrettanto elevata per il lavoro offerto) per un maggior livello dell’occupazione, che è uno dei fondamentali fattori della produzione. Questo è un aspetto di rilievo in una situazione di stagnazione, quale quella che caratterizza l’economia italiana da alcuni anni. Affinché i tassi di crescita dell’economia nel lungo periodo restino positivi servono due condizioni imprescindibili; da una parte è assolutamente necessario un miglioramento della dinamica della produttività, rimasta finora deludente, dall’altra, dato che le tendenze demografiche suggeriscono un progressivo assottigliamento della popolazione in età lavorativa nel lungo periodo, occorre un maggior coinvolgimento nel mercato del lavoro delle componenti che finora ne sono rimaste ai margini, ovvero le donne e i lavoratori più maturi.

D’altra parte, una crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro ha effetti non solo diretti sulla crescita economica, ampliando l’offerta potenziale, ma anche indiretti, incentivando la domanda di manodopera per le mansioni di cura delle famiglie. In altre parole, molte attività svolte ora informalmente

30 Del Boca D. (2002) ”The effect of child care and part time opportunities on participation and fertility decisions in Italy”, IZA discussion paper n. 427.31 Del Boca D, Locatelli M, Vuri D. (2003) ”Child care choices by Italian households”, ChilD working paper n.30/2003.

Page 58:  · Web viewLaura Campanini**; Fedele de Novellis***, Sara Signorini*** Executive summary 3. Introduzione. 6. Dotazione infrastrutturale e sviluppo. 6. Esternalità, benessere

all’interno della famiglia verrebbero svolte nel mercato, da personale professionale, e retribuite, andando così ad accrescere il reddito nazionale.

58