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Mercoledì 16 dicembre 2015 Rassegna associava 2 Rassegna Sangue e emoderiva 9 Rassegna sanitaria, medico-scienfica e Terzo seore 14 Prima pagina 18 Rassegna stampa A cura dellUfficio Stampa FIDAS Nazionale

Rassegna stampa - noidellafidas.com · gruppi che costituiscono la nostra associazione ADAS SALUZZO FIDAS" Alla presenza del Sindaco Bruna Giordano, visivamente compiaciuta della

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Mercoledì 16 dicembre 2015

Rassegna associativa 2

Rassegna Sangue e emoderivati 9

Rassegna sanitaria, medico-scientifica e Terzo settore 14

Prima pagina 18

Rassegna stampa

A cura dell’Ufficio Stampa

FIDAS Nazionale

Rassegna associativa

TARGATOCN.IT Gruppo ADAS Donatori Sangue Tarantasca regala un defibrillatore al Tarantasca Calcio

E’ stato consegnato venerdi 11 a Tarantasca nel grande salone polivalente alla pre-senza di tantissimi giovani giocatori e loro genitori il Defibrillatore Semi Automa-tico del valore di circa 1500 Euro dono del gruppo Donatori del Sangue di Taran-tasca ADAS Saluzzo FIDAS alla A.S.D. Gem Tarantasca Calcio Una grande soddisfazione commenta il capogruppo donatori Gabriele Ghibaudo -"con questo progetto coroniamo nel migliore dei modi i primi 5 anni di attività del nostro gruppo di donatori in costante crescita, che ora conta quasi 100 iscritti e una media di 50 sacche di sangue ad ogni prelievo contro le 15 delle prime donazioni. Abbiamo intenzione di lavorare sodo per mantenere questo trend di crescita positi-vo al fine di donare sempre più sangue ma anche contribuire a realizzare progetti nel nostro Comune di Tarantasca a favore di altre realtà o delle persone con esi-genze particolari " Alla serata hanno partecipato i vertici del direttivo ADAS Saluzzo Fidas con il presidente Luciano Biadene -" il progetto proposto dal Gruppo di Tarantasca ci ha convinto da subito e abbiamo come direttivo concesso il finanziamento derivato dal budget premio della Fitwalking del Cuore di Saluzzo edizione 2015 ove la no-stra associazione si è piazzata al primo posto per numero di iscritti. Il nostro in-tento è sempre di devolvere i budget dei premi acquisiti da queste manifestazioni a favore di progetti come questo, facendo ovviamente un turn-over rispetto ai 23 gruppi che costituiscono la nostra associazione ADAS SALUZZO FIDAS" Alla presenza del Sindaco Bruna Giordano, visivamente compiaciuta della siner-gia tra le associazioni del paese , il direttivo dell’ASD Gem Tarantasca Calcio ha voluto omaggiare tutti i partecipanti di un ricco rinfresco . Il presidente Luca Bo-sio- “ Grazie a questo importante e prezioso dono da parte del Gruppo ADAS Do-natori Sangue di Tarantasca l’impianto sportivo da oggi è dotato di uno strumen-to essenziale che ognuno di noi si auspica di mai dover utilizzare. Abbiamo volu-to investire sulla formazione del nostro staff formando tramite i canali ufficiali tut-ti gli allenatori e i dirigenti per il corretto utilizzo del defibrillatore. Ringrazio in primis il gruppo Donatori Sangue di Tarantasca e tutti i partecipanti alla Fitwal-king del Cuore rinnovando la partecipazione alla prossima edizione del 18 Gen-naio a Saluzzo a nome di ADAS” Il vicepresidente ADAS Saluzzo Fidas Livio Delfiore da anni responsabile del coordinamento delle iscrizioni alla Fitwalking del Cuore ha sottolineato la grande partecipazione ottenuta quest’anno (oltre 1000 iscritti ADAS ) che ha permesso di finanziare oltre che il progetto del defibrillatore di Tarantasca anche l’Istituto Istruzione Superiore “ Giolitti Bellisario “ di Barge per acquisto di materiale di-dattico.

Rassegna

sangue e emoderivati

Osservatorio Malattie Rare.it Emofilia A, scoperta una molecola che potrebbe impedire lo sviluppo di inibitori

di Ilaria Vacca

15 Dicembre 2015

Un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dal Dipartimento di Medicina spe-rimentale dell'Università di Perugia e dalla Mc Master University (Hamilton, Ca-nada) in collaborazione con l'Associazione italiana dei centri di emofilia (Aice) e grazie anche a un finanziamento Telethon ha individuato una molecola in grado di bloccare gli anticorpi scatenati dall'organismo in reazione alle terapie a cui si sottopongono le persone con emofilia, denominati ‘inibitori’. Lo studio è stato pubblicato di recente sulla rivista scientifica The Journal of Clinical Investigation. L'emofilia è una malattia ereditaria dovuta a un difetto della coagulazione del san-gue, che si distingue in due forme, A e B, a seconda del fattore mancante (rispettivamente VIII nella A e IX nella B) e che impedisce al sangue di coagularsi correttamente, provocando così gravi emorragie. Oggi i pazienti con emofilia ad oggi riescono ad avere una buona qualità di vita grazie alla terapia sostitutiva, che consiste nell'infusione del fattore mancante. Purtroppo però, nel tempo, un numero significativo di pazienti (circa il 20-30%) possono sviluppare anticorpi diretti con-tro la terapia, rendendola così inefficace. I ricercatori hanno riscontrato che i pazienti con emofilia A che sviluppano anticor-pi contro il fattore VIII presentano un difetto nell’espressione e nella funzionalità dell’enzima indoleamina deossigenasi (IDO1), che catalizza la conversione dell’aminoacido essenziale triptofano in chinurenine. Questa proprietà conferisce a IDO la capacità di inibire la risposta immunitaria sia causando la deplezione dal microambiente di triptofano, che è necessario ai linfociti T per proliferare ed espandersi, sia producendo metaboliti che possono causare l’apoptosi dei linfociti T. Gli scienziati hanno dunque sperimentato sul modello murino affetto da emofilia A la somministrazione di questa molecola, osservandone la capacità di inibire lo svi-luppo di anticorpi contro il fattore VIII e preservare così l'efficacia della tera-pia. Un r isultato molto impor tante, secondo i r icercator i, per i pazienti in atte-sa delle nuove prospettive aperte, per esempio, dalla terapia genica. Infatti, grazie a questa tecnica, in futuro si potrebbe correggere il difetto alla base dell'emofilia tramite l'utilizzo di un virus opportunamente modificato in grado di trasportare una versione corretta del gene difettoso in questi pazienti. Ma nel frattempo occorre migliorare l'efficacia della terapia attualmente disponibile, che rappresenta il tratta-mento di prima scelta per questa malattia.

DILEI

Cellule staminali, donarle o tenerle per sé? Dalla raccolta del cordone ombelicale al suo utilizzo in medicina

Dal 2007 al 2008 sono quasi raddoppiate le donazioni di sangue del cordone ombelicale, ricco di cellule sta-minali. A Milano esiste uno dei centri d’eccellenza per la conservazione di questi campioni. La Milano cord blood bank della Fondazione Policlinico Mangiagalli, creata nel 1993 ha raccolto in 15 anni circa 21mila campioni, di cui 7500 disponibili per trapianto. In tutto il mondo ad oggi, sono state distribuite 400 donazioni, per curare in particolar modo leucemie e linfomi nei bambini. Nel 2008 sono state 706 le donazioni conserva-te rispetto alle 488 del 2007. Abbiamo intervistato il professor Paolo Rebulla, direttore del Centro di Medicina Trasfusionale, Terapia Cellulare e Cr iobiologia, Dipar timento di Medicina Rigenerativa della Fonda-zione Policlinico Mangiagalli. Secondo le statistiche, la donazione del cordone ombelicale sta crescendo moltissimo in sala parto, lei che dati ha? Noi l’anno scorso abbiamo raccolto circa 1600 donazioni, che sono una volta e mezza rispetto all’anno prima. Questo ha permesso di mettere in banca (si segue sempre la logica di mettere le unità più ricche di cellule per-ché sono quelle più efficaci per il trapianto) 706 unità rispetto a 488 del 2007, con un’attività del 45% in più. Come funziona il centro che lei dirige? C’è un programma predisposto di qualità che lega un certo numero di sale parto nella regione Lombardia, si accede di solito alle sale parto di maggiore numerosità perché il programma di controllo di qualità è semplice, ma comunque impegnativo (dobbiamo formare il personale e visitare periodicamente queste sale parto) e quindi ci si concentra sulle sale parto che hanno una maggiore attività. Faccio un esempio, in Lombardia noi preleviamo presso 21 sale parto, un quarto di quelle esistenti, però coprendo questo 25% siamo presenti nelle sale parto che effettuano il 40-45% dei parti. Con quest’azione di selezione c’è un’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse disponibili. Le sale parto prelevano sulla base di un’accurata storia medica sul papà, sulla mam-ma e sulla famiglia, analoga a quella dei donatori di sangue, con qualche cosa in più. E dopo aver raccolto questa storia medica e il consenso informato di mamma e papà, si effettua la raccolta che viene eseguita al termine del parto. Quindi è molto importante ricordare che non si tocca il bambino o la mamma, si effettua un prelievo molto simile a quello tradizionale, si preleva il sangue in una sacca di plastica sterile e questo prelie-vo viene fatto pungendo la vena del cordone ombelicale. Il cordone ombelicale è quella struttura che raccorda il bambino alla placenta. Questo prelievo viene fatto dopo che il cordone è stato reciso, prima che la placenta venga esplulsa dalla mamma. Un prelievo che non comporta nessun rischio e nessun dolore né per la mamma, né per il bambino. Questo prelievo può essere fatto sia per parto naturale che per cesareo? Sì, in entrambi i casi. Anche se operativamente alcuni centri preferiscono il parto naturale. Nel primo caso infatti c’è una organizzazione più semplice per alcuni aspetti. Altri sono orientati magari su entrambi o anche su una prevalenza di parti cesarei. È una scelta della banca e della sala parto. Si parla spesso di donatori compatibili e di compatibilità dei campioni, ci può spiegare in sintesi quali sono le variabili per la

compatibilità?

Nel mondo dei trapianti esiste un sistema, un particolare gruppo sanguigno, che analogamente ai gruppi sanguigni che regolano la

trasfusione di sangue, regola la compatibilità nel mondo del trapianto. Questo sistema si chiama Hla, antigene dei globuli bianchi

umani. Dentro questo sistema ci sono sei caratteristiche che identificano il donatore e sei che identificano il ricevente. Dall’assorti-

mento e dalla valutazione di un’identità, o per lo meno del grado percentuale di identità (6 su 6 identità totale, 3 su 6 vuol dire

identità del 50% e così via) si sceglie il donatore e il ricevente. Nel trapianto tradizionale si punta ad avere la migliore compatibilità

possibile, teoricamente 6 su 6. Con il sangue placentare che è meno aggressivo dal punto di vista immunologico si possono ac-

cettare una o due incompatibilità fra donatore e ricevente. Questo facilita molto l’identificazione di un donatore compatibile. In

questo caso con il cordone ombelicale si può avere una compatibilità anche parziale.

Quanti campioni sono attualmente conservati nella banca di Milano? La nostra banca, che è stata fondata dal professor Girolamo Sirchia nel 1993, contiene circa ottomila donazio-ni. Questo patrimonio si inserisce all’interno di un patrimonio nazionale di circa 25-28mila donazioni raccolte in 18 banche, in un patrimonio mondiale di 500mila donazioni raccolte in un centinaio di banche. Di queste una quindicina circa ha conseguito un accreditamento di qualità internazionale e tra queste sia la banca di Mi-lano che quella di Pavia (che insieme formano la Banca del sangue placentare della Regione Lombardia) sono state accreditate per questo prestigioso standard Usa di accreditamento che si chiama Fact (Foundation for the accreditation of cellular therapy). Quanti campioni sono stati utilizzati? Noi distribuiamo mediamente ogni anno fra 40 e 50 trapianti. Questo numero è il risultato di una selezione circa 10 volte superiore: riceviamo richieste per circa 500 pazienti, poi bisogna verificare la compatibilità e le condizioni cliniche. Quindi questa intensa attività di ricerca coordinata dall’Ibmdr (il Registro dei donatori di midollo) di Genova porta alla nostra banca la distribuzione di circa 40-50 trapianti all’anno. In totale ne abbia-mo distribuiti circa 400. Tutte le banche italiane ne hanno distribuite finora 800 nella loro storia. Voi soddisfate richieste per la conservazione autologa? No, ma c’è un capitolo importante di raccolte dedicate. Non sono propriamente autologhe, cioè dedicate allo stesso paziente che dona (in caso di malattia genetica le cellule sono alterate e quindi l’utilizzo per se stessi non è appropriato). Le donazioni dedicate non sono numericamente rilevanti, ma sono assai importanti perché la raccolta dedicata in una famiglia in cui ci sia un fratellino con la leucemia può rappresentare un’elevata pro-babilità di avere una buona donazione, ben compatibile e quindi essere veramente un’azione di prima scelta in questi casi. Quindi in questi casi lo conservate il campione? Certo, c’è un programma molto ben organizzato in Lombardia che richiede la partecipazione di tutti gli ospe-dali, con delle malattie ben definite sulla base delle quali la famiglia presenta una richiesta alla direzione sani-taria dell’ospedale dove la mamma partorirà, questa richiesta viene poi inviata alla nostra banca che autorizza alla conservazione. In questo caso non c’è una selezione sulla sala parto. Secondo l’ordinanza ministeriale del 26 febbraio riprecisa le situazioni: la conservazione dedicata è consentita nei casi in cui vi sia un protocollo terapeutico scientificamente fondato e che vi sia un’indicazione clinicamente appropriata al trapianto. Questo vuol dire che ci deve essere la compatibilità e la condizione clinica del paziente che lo consenta. Cosa ne pensa di questa moda che si sta diffondendo di conservare le cellule staminali cordonali? Noi non raccomandiamo di seguire questa tendenza per due principali ragioni: primo perché condividiamo la perplessità delle società scientifiche che non identificando protocolli scientificamente validati non raccoman-dano alle famiglie di impiegare le risorse in questo senso. C’è anche un’altra ragione: se ogni famiglia si orienta a conservare per sé, ahimé dovrebbe anche considerare che nel momento in cui avesse bisogno di que-sto prezioso prodotto terapeuticamente importante sarebbe difficile andare a chiedere ad altri di cederlo. Quin-di è bene impegnarsi perché sia noto a tutti che l’utilizzo attuale è un utilizzo realistico nel senso della dona-zione solidale verso gli altri. Se tutti conservano in un frigorifero il proprio campione, poi non ce n’è per nes-suno e questo non è vantaggioso per la popolazione. Come funziona negli altri Paesi europei e negli Usa? Ci sono Paesi che hanno sistemi sanitari fondati sulla scelta individuale che non su un sistema solidaristico come in Italia. Negli Usa prevale una logica molto liberistica di scegliere e di decidere. E questo ha vantaggi e svantaggi come tutte le cose: l’americano nasce e cresce sapendo che deve contare molto su di sè, quindi ac-cetta anche – magari a malincuore – che se ha una grave malattia e non ha i soldi per permettersi le cure, muo-re più giovane di qualcun altro. Noi abbiamo grazie al cielo un sistema solidaristico sanitario e quindi penso sia appropriato raccomandare alla popolazione di perseguire obiettivi nei quali ci sia meno una visione indivi-duale e più una collettiva. Negli Usa di fatti si è aperto in maniera importante il concetto della conservazione autologa, nonostante le società scientifiche e gli esperti non lo raccomandino e il patrimonio di donazioni di-sponibili per la collettività è circa un decimo di quello che è conservato nelle strutture per la conservazione autologa. Ma da un cordone non si possono prelevare due campioni? Teoricamente sarebbe possibile, ma i protocolli attuali vedono il principale limite nella quantità delle cellule. Quindi tutti i protocolli attuali applicati alle malattie del sangue come leucemie e linfomi, raccomandano di utilizzare la massima dose cellulare disponibile. Deprivare le donazioni di una piccola o grande parte non è molto razionale.

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