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Publius Per un’Alternativa Europea Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 15 - Maggio/Settembre 2013 distribuzione gratuita Giornale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani È ormai riconosciuto da tutti che il vero problema che af5ligge la zona euro è la debolezza delle istitu zioni di governo di cui è dotata e che af5inché l’Eu ropa torni a crescere e ad essere competitiva sulla scena mondiale è necessa rio consolidare l’unione monetaria con le quattro unioni (bancaria, politica, 5iscale ed economica); è altrettanto evidente che la ragione per cui non si pro cede speditamente in que sta direzione è perché manca la volontà politica per farlo. E’ in questa otti ca che vanno valutate le recenti, importanti, aper ture sia da parte del nuovo governo in Italia, sia da parte del presidente Hol lande. Fino a poche setti mane fa, erano infatti solo la cancelliera Merkel e il ministro Schaeuble a ri chiamare la necessità di sciogliere il nodo del l’unione politica per com pletare l’unione monetaria e a porre la questione della condivisione della sovrani tà come condizione neces saria per una piena solida rietà all’interno dell’euro zona. Oggi, invece, Enrico Letta ha ricordato, sia nei suoi discorsi di fronte al Parlamento italiano sia nei colloqui con la cancelliera Angela Merkel, il presiden te François Hollande ed i responsabili delle istitu zioni europee, l’esigenza di uno sbocco federale per l’Unione economica e mo netaria. E Hollande (ed è la prima volta che in Francia succede) ha affermato di voler raccogliere la s5ida tedesca per la realizzazio ne dell’unione politica, po nendo anche il termine temporale di due anni “qualunque siano i governi in carica”. Purtroppo, le dif5icoltà nel districare il groviglio giu ridicoistituzionale che impedisce il governo della moneta e morti5ica la legit timità democratica in Eu ropa, sono note. La più complessa riguarda l’esi genza di conciliare i rap porti all’interno dell’Unio ne tra la Gran Bretagna (e gli altri paesi non euro) e l’eurozona che dovrebbe dotarsi di proprie istitu zioni federali di governo. E’ proprio questa, pertan to, la s5ida che bisogna avere il coraggio di affron tare e nei confronti della quale i partiti politici e le istituzioni nazionali ed europee dovranno schie rarsi in vista delle prossi me scadenze, coinvolgen do i cittadini in un dibatti to costituente europeo. Illudersi che sia ancora possibile rinviare signi5i cherebbe accettare la di sgregazione dell’Europa e la 5ine dei suoi valori di civiltà. Indice pag.1 Editoriale Publius pag.2 Perchè è così necessaria l’unione bancaria europea, ma è così dif9icile farla Anna Costa Maria Vittoria Lochi pag.4 E’ rinato il motore franco tedesco? Nelson Belloni pag.5 I movimenti sociali e la crisi dell’impegno politico in Europa Claudio Filippi Giulia Spiaggi pag.7 SOS Mercosur Davide Negri

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Publius - per un'alternativa europea. Numero 15, Maggio / Settembre 2013. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia

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PubliusPer un’Alternativa Europea

Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 15 - Maggio/Settembre 2013

distribuzione gratuita

Giornale degli studentidell’Università di Pavia.

Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi

e di domani

È   ormai   riconosciuto   da  tutti   che   il   vero   problema  che   af5ligge   la   zona   euro  è  la   debolezza   delle   istitu-­‐zioni   di   governo   di   cui   è  dotata   e   che   af5inché   l’Eu-­‐ropa   torni   a   crescere   e   ad  essere   competitiva   sulla  scena  mondiale   è  necessa-­‐rio   consolidare   l’unione  monetaria   con   le   quattro  unioni   (bancaria,   politica,  5iscale   ed   economica);   è  altrettanto  evidente  che   la  ragione  per  cui  non  si  pro-­‐cede   speditamente   in   que-­‐sta   direzione   è   perché  manca   la   volontà   politica  per   farlo.  E’   in  questa   otti-­‐ca   che   vanno   valutate   le  recenti,   importanti,   aper-­‐ture  sia  da  parte  del  nuovo  governo   in   Italia,   sia   da  parte   del   presidente   Hol-­‐lande.   Fino   a   poche   setti-­‐mane   fa,   erano  infatti   solo  la   cancelliera   Merkel   e   il  ministro   Schaeuble   a   ri-­‐chiamare   la   necessità   di  sciogliere   il   nodo   del-­‐

l’unione   politica   per   com-­‐pletare   l’unione  monetaria  e  a  porre  la  questione  della  condivisione  della  sovrani-­‐tà   come  condizione  neces-­‐saria  per  una  piena  solida-­‐rietà   all’interno   dell’euro-­‐zona.   Oggi,   invece,   Enrico  Letta   ha   ricordato,   sia   nei  suoi   discorsi   di   fronte   al  Parlamento  italiano  sia  nei  colloqui   con   la   cancelliera  Angela  Merkel,  il  presiden-­‐te   François   Hollande   ed   i  responsabili   delle   istitu-­‐zioni  europee,  l’esigenza  di  uno   sbocco   federale   per  l’Unione   economica   e   mo-­‐netaria.  E  Hollande  (ed  è  la  prima   volta   che   in  Francia  succede)   ha   affermato   di  voler   raccogliere   la   s5ida  tedesca   per   la   realizzazio-­‐ne  dell’unione  politica,  po-­‐nendo   anche   il   termine  temporale   di   due   anni  “qualunque  siano  i  governi  in  carica”.  Purtroppo,   le   dif5icoltà   nel  districare   il   groviglio   giu-­‐

ridico-­‐istituzionale   che  impedisce   il  governo   della  moneta  e  morti5ica  la  legit-­‐timità   democratica   in   Eu-­‐ropa,   sono   note.   La   più  complessa   riguarda   l’esi-­‐genza   di   conciliare   i   rap-­‐porti   all’interno   dell’Unio-­‐ne   tra   la  Gran   Bretagna   (e  gli   altri   paesi   non   euro)   e  l’eurozona   che   dovrebbe  dotarsi   di   proprie   istitu-­‐zioni   federali   di   governo.  E’   proprio   questa,   pertan-­‐to,   la   s5ida   che   bisogna  avere   il  coraggio  di   affron-­‐tare   e   nei   confronti   della  quale   i   partiti   politici   e   le  istituzioni   nazionali   ed  europee   dovranno   schie-­‐rarsi   in   vista   delle   prossi-­‐me   scadenze,   coinvolgen-­‐do  i   cittadini  in  un  dibatti-­‐to   costituente   europeo.  Illudersi   che   sia   ancora  possibile   rinviare   signi5i-­‐cherebbe     accettare   la   di-­‐sgregazione   dell’Europa   e  la   5ine   dei   suoi   valori   di  civiltà.

Indice

pag.1  EditorialePublius

pag.2  Perchè  è  così  necessaria  l’unione  bancaria  europea,  ma  è  così  dif9icile  farla

Anna CostaMaria Vittoria Lochi

pag.4  E’  rinato  il  motore  franco-­‐tedesco?

Nelson Belloni

pag.5  I  movimenti  sociali  e  la  crisi  dell’impegno  politico  in  Europa

Claudio FilippiGiulia Spiaggi

pag.7  SOS  MercosurDavide Negri

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L’unione  bancaria  è  uno  dei  quattro  pila-­‐stri   della   politica   5inanziaria   dell’euro,  insieme   a   quello   5iscale,   economico   e  politico.Tutto   parte  dalla  necessità  di   salvaguar-­‐dare  la  moneta,  che  è  il  vincolo  di  unione  più  forte  tra  i  17  paesi.L’unione   bancaria   ha   già  delle   scadenze  precise.   Perchè   necessaria?   A   che   cosa  serve?  Come  funzionerà?  Chi  si  oppone  e  perché?

Perchè  necessaria?La  crisi  dal  2007  a  oggi,  ha  messo  in  luce  la  cattiva  gestione  del  settore  5inanziario  a  livello  mondiale,  derivante  dalle  libera-­‐lizzazioni  eccessive  partite  già  dagli  anni  Ottanta  e  continuate  nei  decenni  succes-­‐sivi.Molti   fanno   risalire   i   guasti   del   sistema  all’abolizione  del  Glass-­‐Steagall  Act,   una  legge   introdotta   da   Roosevelt   a   salva-­‐guardia  del   risparmio   negli  USA  dopo   la  crisi   del   ‘29   che   stabiliva,   come   scrive  l’economista  premio  Nobel   Joseph  E.  Sti-­‐glitz  nel  suo   libro  Bancarotta,  “una  netta  distinzione  tra   banche  commerciali   (che  prestano   denaro)   dalle   banche   di   inve-­‐stimenti   (che   organizzano   la   vendita   di  obbligazioni   e   azioni)”.   Essa   prevedeva  inoltre   di   “fare   in  modo   che   le   persone  incaricate   di  custodire   il   denaro   del   co-­‐

mune  cittadino  nelle  banche  commerciali  non   intraprendessero   attività   rischiose  come  quelle   delle   banche   di   investimen-­‐to”.   Abolendo   questa   legge   il   sistema  bancario   aveva,   dunque,   aggirato   una  serie   di   norme   volte   a   assicurare   un   si-­‐stema  5inanziario  sicuro  e  solido.Anche   l’economista   olandese   Dirk   Beze-­‐mer   aveva   rilevato   che   l’era  del   credito  facile   e  della   deregolamentazione  aveva  creato   un   grandissimo  divario   tra   5inanziamento  delle   imprese   dell’econo-­‐mia   reale   e  5inanziamento  bancario,   mettendo   in   ri-­‐salto   come  i  5inanziamenti  delle   banche   in   qualche  modo   erano   stati   in   gran  parte   assorbiti   dalle   ban-­‐che   stesse.   In   particolare  negli   USA   il   sistema   5inanziario,   nel   suo  complesso,   aveva  ottenuto  nel  2007  più  dell’80%  dei  capitali  prestati  alle  banche,  contro   il   60%   del   1980.   Tali   5inanzia-­‐menti   avevano   alimentato   la   nascita   dei  prodotti   5inanziari,   i   derivati,   basati   an-­‐che  sui  prodotti  immobiliari,  che  davano  grande  ed  immediata  redditività,   a   fron-­‐te,   però,   di  gravi  rischi.   I   prestiti  di  ban-­‐che  ad  altre  banche,  che  erano  stati  gros-­‐so   modo   costanti   5ino   al   1980,   da   quel-­‐l’anno   5ino   al  2007  sono   quasi   triplicati  

negli  USA,  arrivando  a   toccare  la  dimen-­‐sione  di  5,8  volte  il  PIL.Tutto  ciò  ha  prodotto  una  grande  distor-­‐sione   nel   funzionamento   dell’economia,  facendo   crescere  a   dismisura   il   peso   del  settore   bancario   anche   in   Europa,   dove  esiste  una  moneta,  ma  non  esistono  mec-­‐canismi   di   controllo   e  di   stabilizzazione  continentaliE   sono   proprio   questo   gran  disordine   e  

questo   divario   dimensionale  che   determinano   la   necessità  di  un  controllo   e   di   una  disci-­‐plina.

A  che  cosa  serve?Le   banche   europee   dopo   la  crisi  sono  state   salvate  dall’in-­‐tervento   degli   Stati   che   però,  soprattutto  nei  paesi  più  debo-­‐

li,  hanno  visto  aumentare  il  loro  già  forte  debito.Il   legame   banche-­‐debiti   degli   Stati   è,   in  effetti,   uno   degli   elementi   fondamentali  per   comprendere   la   complessità   di   que-­‐sti  problemi.Le  banche,  che  erano  sorte  in  Europa  per  5inanziare  le  guerre  dei  principi  e  dei  re  e  per   5inanziare   i  bisogni  dei  cittadini,  so-­‐no  diventate  bene5iciarie  di  aiuti  in  cui  lo  Stato   è   prestatore   in   ultima   istanza.  Esempio   rilevante  è   stato   l’aiuto   dei   go-­‐

Perchè è così necessaria l’unione bancaria europea, ma è così difficile farla

L’unione bancaria è uno dei quattro pi-lastri della politica

finanziaria dell’euro, insieme a quello fi-scale, economico e

politico

Scheda personaggio - Lionel RobbinsLionel  Robbins   fu  un  economista  britannico  (1898-­‐1984).   La   formazione   accademica   di  Robbins  è  riconducibile  alla  scuola  margina-­‐lista,  teoria  economica  che  individua  nel  be-­‐ne5icio  marginale  l’origine  della  diversità  dei  prezzi  dei  beni.  Per  via  della  sua  formazione  liberale   classica,   egli   fu   inizialmente   un   ac-­‐ceso  oppositore  di  Keynes   e  della  sua  teoria  generale.  Tuttavia,  successivamente  Robbins  divenne   anch’egli   un   sostenitore   dell’inter-­‐vento  pubblico   in  economia.   A  differenza  di  Keynes,   Robbins   individuava   nell’ordine  economico   internazionale   l’origine   dei   pro-­‐blemi   dell’economia   contemporanea   e   con-­‐seguentemente,   sosteneva   che   nessun   go-­‐verno   nazionale   poteva   essere   in   grado   di  per   sé  di  condurre  politiche  economiche  ef5i-­‐cienti   per   un’economia   le   cui  dimensioni   diventavano   sem-­‐pre  più  mondiali.  Da  qui  la  necessità  di  governi  sovranazio-­‐nali  in  grado  di  affrontare  i  problemi  dell’economia  interna-­‐zionale.   Fu   docente   alla   London  School   of   Economics   and  Political   Sciences   dal  1929,   istituto   che   contribuì   a   far   cre-­‐scere  in  termini  di  prestigio  e  produzione  scienti5ica  nel  cor-­‐so  della  sua  lunga  carriera.

Tra  le  sue  frasi  più  celebri:  “Se   il   mondo   fosse   stato   uni0icato   in   un   solo  Stato   federale,   è   indubbio   che   sarebbero   so-­‐pravvissuti   problemi   bancari   della   massima  importanza.  Ma   possiamo   affermare,   quasi  a  colpo   sicuro,   che   tra   di   essi   non   vi   sarebbe  stato  posto  per  il  «problema»  del  trasferimen-­‐to   e   dell’equilibrio   tra   paese   e   paese   nella  forma  in  cui  lo  conosciamo.”“In   uno   Stato   mondiale,   con   una   moneta  mondiale,  alcuni  paesi  potrebbero   trovarsi  di  fronte   a   gravi   dif0icoltà   0inanziarie.   Certe  banche   locali  potrebbero  accordare  un   credi-­‐to  eccessivo  e  fallire.  Produttori  locali  potreb-­‐bero  soffrire  di  tali  diminuzioni  nella  doman-­‐da  per  i  loro  prodotti  da  trovarsi  nell’impossi-­‐bilità  di  pagare  i  debiti  che  hanno  verso  i  loro  

creditori   stranieri.   Ma   non   si   veri0icherà   mai   un   abbandono  della   base   monetaria   internazionale,   né   un   crollo   dell’unità  monetaria  internazionale.  Nulla  di  tutto  ciò  accadrebbe  se  non  fosse  per   l’intervento  degli  Stati  sovrani  indipendenti…   “  [Lio-­‐nel  Robbins,  “L’economia  piani0icata  e  l’ordine  internazionale,  trad.  ital.,  Milano,  1948,  pp  180  e  182]

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verni   americani   e   europei   alle   banche  nella  grande  depressione  degli  anni  tren-­‐ta  e  gli  aiuti  concessi  in  occasione  di  que-­‐st’ultima  crisi.Il   fatto  che  i  gruppi  bancari  sia  diventati  colossi   transnazionali   rende   ancora   più  dif5icile   il   compito   degli   Stati   nazionali  europei  per  intervenire  a  salvarli,  sia  per  l’onere  insostenibile,  che  per  il  fatto  che  non   essendo   istituti   solo   nazionali   non  rientrano   tra   gli   interventi   giusti5icabili  agli  occhi  dei  propri  cittadini.Nello   stesso   tempo   esiste   un  altro   lega-­‐me   tra   Stati   e   banche:   le   banche   di   di-­‐mensione  europea  hanno   infatti  effettua-­‐to   molti   investimenti   in  titoli   del   debito  pubblico  di  molti  paesi  della  zona  euro  e  sono   quindi   fortemente   interessate   al  fatto  che  questi  non  vadano   in  bancarot-­‐ta.Da  qui  la  necessità  di  attivare  un  sistema  di   sorveglianza   attraverso   la   BCE   e   di  riordinare  il  settore  5inanziario.

Come  funzionerà?  Poiché   l’obiettivo   è   rendere  convergenti  le  condizioni  di  5inanziamento  delle  ban-­‐che   nei   diversi   paesi,   la   Commissione  europea   e   i   paesi   dell’eurozona   hanno  

convenuto  che  l’unione  bancaria  poggi  su  tre  fondamentali  meccanismi:  • il  primo   è  la  supervisione   unica  che  

dà  il  potere  alla  BCE  di  monitorare  le  circa   6000   banche   dell’Unione.   In  realtà   la  BCE   si   occuperà   solo   della  sorveglianza   di  quelle   banche,   circa  200,   il   cui   bilancio   supera   i   30  mi-­‐liardi   di   euro.   Le  altre   saranno   sog-­‐gette  al  controllo  delle   autorità  ban-­‐carie   nazionali.   Questa   supervisione  europea  inizierà  dal  2014;

• il   secondo   è   che   il   MES   (   il   nuovo  fondo   salva   stati)  ricapitalizzi  diret-­‐tamente   le   banche   in   dif5icoltà,   che  ora   sono   aiutate   a   livello   nazionale,  con  aggravio  dei  relativi  bilanci  degli  Stati;

• il  terzo   riguarda   l’attivazione  di  una  sorta  di  garanzia  europea  sui  deposi-­‐ti   bancari  per   favorire   la   5iducia   dei  risparmiatori  e  dell’intero  sistema;

Chi   si   oppone   alla   realizzazione   del-­‐l’unione  bancaria  e  perché?Mentre   la  decisione  sulla   supervisione  è  già  avviata,  ci  sono  riserve  su  come  capi-­‐talizzare   le   banche   in   crisi   e   sull’istitu-­‐zione   dei   fondi   di   garanzia.  Questo   per-­‐chè,  come  scrive  Edwin  Le  Héron  nel  suo  libro   A   quoi   sert   la   Banque   centrale  eu-­‐

ropéenne?,   ciò   presupporrebbe   la   crea-­‐zione  di  un  sistema  politico  di   tipo   fede-­‐rale,  un’autorità  soprannazionale  politica  garante.  Non  deve  stupire  dunque  che  le  obiezioni   vengano   soprattutto   dalla  Germania  e  dall’Olanda,  decise  a   limitare  l’accesso   delle   banche  ai   fondi   del  MES,  sapendo   che   le   perdite   che   potrebbero  veri5icarsi   su   questo   meccanismo,   che  permette   di   indebitarsi   sui   mercati   5i-­‐nanziari,   si   riverserebbe   sugli   Stati   più  solidi  della  zona  euro.  Punto  molto  controverso  resta  in  propo-­‐sito   quello  sulle  condizioni  dell’interven-­‐to,  in  particolare  sulla  presa  in  carico  dei  debiti  contratti  anteriormente  all’entrata  in   vigore   della   supervisione   bancaria  unica.   A   questo   proposito   la   Germania  non  vuole  impegnarsi   su  un  rischio  non  misurabile   ex   ante,   dato   che   essa   è   il  primo  azionista  della  BCE  e  del  MES.Ecco   perché   è   impensabile   realizzare  l’unione  bancaria  senza  avviare  anche   la  creazione  di  un  potere  politico  a  livello  di  zona  euro,  che  preveda  un  trasferimento  di  sovranità  dagli  Stati  membri  alla  fede-­‐razione  europea  nei  campi  indispensabili  a  gestire   la  moneta,  la  5inanza  e   l’econo-­‐mia  su  scala  continentale.  

Anna  CostaMaria  Vittoria  Lochi

da  pag.  2

Il  rapporto  tra  la  cancelliera  Merkel  ed  il  presidente  Hollande  è  stato  interpretato  da   molti   giornalisti   e   dagli   stessi  esponenti   del   mondo   politico   come   un  confronto   tra   destra   e   sinistra   (più  precisamente   tra   austerità   e   crescita),  impersonato   da   due   leader   che  rappresentano   sia   forze   politiche   sia  paesi   diversi.   Pochissimi   hanno   invece  evidenziato   come   la   Germania   si   sia  dichiarata   pronta   a   creare   l'unione  politica  europea,  mentre   la  Francia,  per  l’eurozona,  ha  continuato   a  sostenere   la  prospettiva  intergovernativa.La   visione   francese  è   confermata   anche  dal  documento  redatto  dal  PS  durante  la  Convention   Europe   du   Parti   socialiste,  l’aprile   scorso.   Il   testo   comincia   con  buone   ri5lessioni   sul   passato   e   buoni  propositi   per   il   futuro:   richiama   l'idea  del   progetto   europeo   come   progetto   di  pace,   il   modello   economico   europeo  come  modello   per   il  mondo   e   propone  che  la  Francia  si   impegni  per   affrontare  a   livello   europeo   le   grandi  s5ide:  quella  ecologica,   quella   demogra5ica,   quella  politica  e   quella   tecnologica.  Ma  i   limiti  del   documento   emergono   non   appena  

gli   estensori   iniziano   a   sostenere  che   per   affrontare   i   problemi   in  Europa   bisogna   prima   risolvere  quelli   in   patria,   senza   voler  prendere   atto   del   fatto   che   la  recessione   francese,   così   come   le  dif5icoltà   a   livello   industriale   del  paese,   non   si  possono   superare   in  un   singolo   paese   con   politiche  nazionali.   Basti   pensare   alla  questione   della   competitività:  grazie   soprattutto   al   vantaggio  demogra5ico,   unitamente   ormai  allo   sviluppo   tecnologico,   la   Cina  può   mantenere   il  costo   del   lavoro  mensile  molto   più  basso   di   quello  francese   e   a l   tempo   stesso  conquistare   fette   sempre   più  ampie   nei   settori   industriali   di  gamma   superiore;  non  può   essere  certo   la   polit ica   industriale  francese   lo   strumento   per   affrontare  questa   dif5icilissima   s5ida,   né   può  bastare   la   politica   estera   francese  a   far  valere   i  diritti   dei   lavoratori   francesi   a  fronte  di  una  Cina  sempre  più  potente.Un  ulteriore  aspetto  criticabile  di  questo  documento  è   il   tentativo  di  trasformare  

la   crisi   economica   e   politica   in   una  contrapposizione   tra  destra  e  sinistra,  e  di   voler   interpretare   da   questa  angolatura  molti  momenti  del  processo  di   integrazione   europea.   Si   ritiene,   nel  

E’ rinato il motore franco-tedesco?

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testo,  che  tutte  le  cariche  delle  istituzioni  europee   siano   di   destra,   che  molti   Capi  di   Stato   e   di   governo   fossero   di   destra  durante  la  crisi  e  che  di  destra  sia  oggi  la  Merkel,   anche   quando   avanza   proposte  per   far   evolvere   i l   processo   di  integrazione.   L'intera   visione   europea   è  pensata   impropriamente   sulla   base   di  categorie   nazionali,   anche   quando   si  ipotizza   la   nascita   di   un   grande  partito  socialista   europeo,   senza   mai   tenere   in  considerazione   il   fatto   che   questa  possibilità   è   legata   alla   nascita   di   un  potere   statale  europeo;  solo   in  una  vera  federazione  potranno   infatti   svilupparsi  la   dialettica   e   il   dibattito   politico   (e   di  conseguenza  le  organizzazioni  politiche)  secondo   i   canoni   della   democrazia,  mentre   in   un   contesto   sostanzialmente  confederale  come  quello  attuale  de5inito  dal  Trattato  di  Lisbona  il  quadro  politico  determinante   rimane   quello   nazionale,  ed   è   per   questo   che   è   ancora   a   questo  livello   che   si   sviluppano   il   confronto,   la  formazione   del   consenso   e   le   stesse  forze  politiche.L'idea   che   l'Europa   attuale,   ancora   non  democratica,  sia  già  un  terreno  adeguato  per   sviluppare   politiche   comuni   è  confermato   da   varie   proposte,   che   non  sono  concepite  in  modo  strumentale  per  aprire   la  via  ad  avanzamenti  sul  terreno  sovranazionale,   ma   sono   considerate  degli   obiettivi   in   sé:   è   in   questa   ottica  che   v iene   concepito   l 'uso   del le  cooperazioni   rafforzate   per   la   Tassa  

s u l l e   t r a n s a z i o n i  5inanziarie   (la   cosiddetta  Tobin   Tax),   oppure   il  rafforzamento   della   BEI   e  l ' i s t i t u z i o n e   d i   u n a  comunità   europea   per  l'energia,   sempre  a   trattati  invariati.   Al   tempo   stesso  viene   anche   giustamente  ricordata   come   battaglia  cruciale   quella   per   i l  r a f f o r z a m e n t o  d e l l ' e u r o z o n a ,   e   s i  preferisce   accantonare   il  dibattito   sulle   votazioni   a  maggioranza   piuttosto   che  all'unanimità   in   seno   al  C o n s i g l i o   e u r o p e o ,  privilegiando   invece   la  questione  dell'integrazione  differenziata   e   sostenendo  l'istituzione   di   un   bilancio  ad   hoc   de l l ' eurozona  5inanziato   con   risorse  proprie   (al   contrario   di  quello   dell'Unione  europea  a   ventisette   in   cui   sono   i  singoli   governi   a   versare   i  fondi).  Ma   l'idea  politica  di  fondo   rimane   comunque  ancorata  all’ipotesi  che  una  

maggiore   integrazione   sia   possibile  senza   modi5icare   i   trattati   esistenti  (nonostante   la   proposta   del   bilancio  dell'eurozona   implichi   in   realtà   una  modi5ica   dei   trattati);   ed   è  sulla   base   di  questa   idea   che   vengono   criticate  duramente   sia   la   Merkel   che   la   Corte  c o s t i t u z i ona l e   t e de s c a   quando  sostengono   che   per   realizzare   il  R e d e m p t i o n   F u n d   ( o s s i a   l a  mutualizzazione   parziale   del   debito)  bisogna   superare   il  de5icit   di   legittimità  democratica  del  livello  europeo.Un   punto   che   si   ritrova   più   volte   nel  d o c umen t o   è   a n c h e   l a   c r i t i c a  all'austerità,   intesa   come   una   politica  che   una   Germania   virtuosa   cerca   di  i m p o r r e   a i   p a e s i   d e l l ’ E u r o p a  meridionale.  Mai,   pertanto,   si   prende   in  considerazione  il  fatto  che  sono  proprio  i  limiti   dell'Unione   europea   come   è  attualmente   costituita   che   impediscono  di   fare   politiche   comuni   diverse   da  quelle  del  rigore  dei  conti  pubblici,  e  che  quindi   per   fare   politiche   europee   di  crescita   e   sviluppo   serve   innanzitutto  l’unione  politica.  Nel  complesso   lo   spirito   del   documento  si  può  riassumere   in  una  frase  presente  proprio   nel   testo,   che   recita:   “l'amicizia  franco-­‐tedesca   non   è   l'amicizia   tra   la  Merkel   e   la   Francia”,   e   il   futuro  dell'Europa  dipende   quindi   dai   risultati  delle  elezioni  tedesche.  Di  fatto,  l’effetto  più  positivo  prodotto  da  

questo  documento   dei  socialisti  francesi  è,   paradossalmente,   proprio   quello   di  aver   suscitato   reazioni   critiche   molto  forti,   soprattutto   nella   stessa   Francia.  Tra   le   principali   personalità   che   hanno  preso   posizione   denunciando   i   toni  eccessivi   del   documento   si   elencano  infatti   non   solo   il   presidente   del  Parlamento  europeo  e  socialdemocratico  tedesco   Martin   Schulz   e   il   ministro  tedesco   degli   esteri   Westerwelle,   ma  anche   il   primo   ministro   francese   Jean-­‐Marc   Ayrault   e,   soprattutto,   Hollande  stesso,   anche   se  indirettamente,   quando  i l   16   magg io   s i   è   p ronunc ia to  accogliendo   (ed  è   la   prima   volta   che  un  capo  di  Stato  francese   lo   fa)  la   proposta  tedesca   di   marciare   verso   l'unione  politica,   aggiungendo   addirittura  l’indicazione   della   scadenza,   5issata   nei  prossimi   due   anni.   Il   presidente   ha  voluto   sottolineare   quattro   punti:  l’esigenza   di   un   governo   dell'eurozona  che  si  riunisca  ogni  mese,  quella  dell'uso  dei   fondi   del   bilancio   europeo   a   favore  dei   giovani   e   a   sostegno   delle   politiche  per   l'impiego,   quella   dell'istituzione   di  una   comunità   europea   dell'energia   per  affrontare   le   s5ide   del  nuovo  modello   di  sviluppo   sostenibile   e   quella   di   un  budget  ad  hoc  per  l'eurozona.E’   stata   sicuramente   l’evoluzione   del  quadro  politico  ed  economico   europeo  a  rendere   possibile   un   discorso   così  innovativo.  Da  un  lato   il   fatto   che  i  dati  macroeconomici   hanno   ormai   mostrato  che   la   Francia   è   entrata   in   recessione,  assestando   così  un  duro   colpo   al  paese,  che   si   somma   alle   criticità   del   sistema  industriale  evidenziate  già  dal  Rapporto  Gallois;   e   preoccupando   la   classe  dirigente   francese   al  punto  da  spingerla  negli   ultimi   mesi   a   prendere   in  considerazione  livelli  di  integrazione  che  portino   al   superamento   della   sovranità  nazionale.   Dall'altro   lato   i   risultati  delle  elezioni   italiane,   che   hanno   portato   ad  un  governo   che  impedisce  di  riproporre  l’antistorica   dicotomia   tra   destra   e  sinistra  e  che  non  può   certo   spalleggiare  la   Francia   in   una   battaglia   politica   di  questo   tipo   contro   la   Germania   della  CDU.  Viceversa,  il  progetto  politico  su  cui  si   fonda   il   governo   guidato   da   Letta  sembra   fortemente   orientato   nella  direzione   della   realizzazione   degli   Stati  Uniti   d'Europa   e   a   trovare   su   questo  punto  gli  elementi  di  convergenza  con  la  Germania.Sembra   quindi   aprirsi   una   nuova  possibilità   per   la  battaglia   federalista   in  Europa,   nel   momento   in   cui   su   questa  prospettiva   sembrano   poter   convergere  Francia,  Germania  e  Italia.

Nelson  Belloni

5_  

I movimenti sociali e la crisi dell’impegno politico in Europa

Il  Forum  mondiale  dei  movimenti  socia-­‐li   si   è   concluso   il   30   marzo   2013   con  una  dichiarazione  in  cui  sono  riassunti  i  punti   della   piattaforma   strategica   co-­‐mune.   Il  documento   de5inisce  gli  ambiti  in  cui  i  movimenti  intendono  concentra-­‐re  la  loro  azione:• nell’ambito   dell’economia   e   della  

5inanza   globalizzate,   contro   le  mul-­‐tinazionali   e   le   organizzazioni   in-­‐ternazionali  (FMI,  BM,  OMC);

• sul  tema  dell’accesso   e  della  gestio-­‐ne   delle   risorse   naturali,   contro  l’attuale   sistema   di  produzione,   di-­‐stribuzione  e   consumo   e   per   la  so-­‐vranità  alimentare;

• contro   ogni  forma  di  violenza   sulle  donne  e  i  traf5ici  di  persone;

• nell’ambito   dei   rapporti   internazio-­‐nali,   contro   l’attivismo   delle  poten-­‐ze  mondiali,  motivato   dal  “falso  di-­‐scorso   in   difesa   dei   diritti  umani  e  della  lotta  contro   gli  integralismi”  e  in  favore  dell’autodeterminazione  e  della  solidarietà  tra  i  popoli;

• per  la  “democratizzazione  dei  mezzi  di  comunicazione  di  massa   e  per   la  costruzione  di  media  alternativi”.

I  movimenti  sociali  si  sono   riuniti  nella  città   in   cui   sono   cominciate  le  proteste  della   “Primavera   araba”,   per   difendere  con  forza  il  movimento  popolare  che  ha  sconvolto   il  Nord-­‐Africa,   e  che  “ha   con-­‐tagiato   tutti   i   continenti   del  mondo   ge-­‐nerando   processi   di   indignazione   e   di  occupazione  delle  pubbliche  piazze”.In  effetti  la  globalizzazione,  e  a  maggior  ragione  in  questa  fase  di  crisi  economi-­‐

ca  e  5inanziaria  che  sta  colpendo  tutto  il  mondo,   ha   ridato   vigore   ai   movimenti  che  agiscono   al  di  fuori  del  quadro   isti-­‐tuzionale   e   propugnano   cambiamenti  radicali   delle   istituzioni   economiche   e  sociali   in  nome  dei  valori  della  giustizia  sociale,   della   pace,   della   democrazia   e  della  libertà  dei  popoli.Sotto   questo   aspetto   i   mo-­‐vimenti   globali   di   oggi   ri-­‐chiamano   i   movimenti   so-­‐ciali   e   politici   che   hanno  occupato   la   scena   a  partire  dall’Ottocento   e  per   tutto   il  secolo   scorso.   Questi   mo-­‐vimenti   storici,   e   gli   ideali  che   li   hanno   caratterizzati,  hanno  giocato   un  ruolo   im-­‐portante   nell’emancipare   e   unire   gli  uomini   all’interno   degli   Stati.   La   diffe-­‐renza  maggiore,   rispetto   a  d  oggi,   è  do-­‐vuta  al   fatto   che  essi,  agendo   in  un  pe-­‐riodo   storico   in  cui   la  dimensione  delle  relazioni  economiche   e  sociali  non  ave-­‐va   ancora   raggiunto   il   livello   globale,  hanno  potuto  porre  in  secondo  piano   le  istanze   universalistiche,  che  pure   costi-­‐tuivano  un  aspetto  essenziale  dei  valori  che  propugnavano,  e  stabilire  uno  stret-­‐to   rapporto   con   i   movimenti   nazionali  che   in  quello   stesso   periodo   si   stavano  diffondendo  in  tutto   il  mondo.  Il  fatto  di  agire   all’interno   di   un   quadro   statuale  adeguato   rispetto   all’interdipendenza  sociale,   economica  e  politica  del  tempo,  con  l’obiettivo  di  farne  evolvere  il  regi-­‐me,   ha   reso   questi  movimenti  straordi-­‐nariamente  ef5icaci.

Il   legame   tra   il   na-­‐zionalismo   e   i  mo-­‐vimenti   liberale,  socialista   e   demo-­‐cratico   (incluso  quello   paci5ista)   è  entrato   in   crisi   in  Europa   già   all’ini-­‐zio  del  secolo  scor-­‐so   con   la   prima  guerra   mondiale  (che   ha   reso   evi-­‐dente   l’incompati-­‐bilità   del   naziona-­‐

lismo  con  il  paci5ismo)  e  con  il  fascismo,  sintomo   drammatico   del   fatto   che   gli  Stati  nazionali  non  riuscivano  più  a  con-­‐ciliare  le   istituzioni  e  la  vita  democrati-­‐che   con   la   seconda   rivoluzione   indu-­‐striale,   che   richiedeva   una   dimensione  continentale   dei   mercati   e   delle   istitu-­‐zioni  statali.

In   questo   modo,   l’inade-­‐guatezza   del   quadro   sta-­‐tuale  nazionale  rispetto  al  livello   effettivo   di   interdi-­‐pendenza   ormai   raggiun-­‐to,   ha   minato   la   vita   dei  partiti   politici   che,   pur  essendo   stati   uno   stru-­‐mento   ef5icace   per   l’af-­‐fermazione   a   livello   na-­‐

zionale  dei   valori  democratici   e  di   giu-­‐stizia  sociale,  si  sono  dimostrati  inadatti  a  portare  avanti  la  battaglia  per  la  crea-­‐zione  di  un  potere   statuale  sovranazio-­‐nale   democratico   e   quindi   a   portare  oltre   i   con5ini   nazionali   la   lotta   per  l’emancipazione   degli   uomini,   a   causa  del   loro   ruolo   di  organizzatori   del   con-­‐senso  nell’ambito   delle   comunità  nazio-­‐nali.   Distaccandosi   dalle   motivazioni  profonde   che  animano   l’impegno  politi-­‐co  degli  individui,  i  partiti  sono  pertanto  andati   incontro   ad   un   processo,   lungo  ma   inesorabile,   di   corruzione   che   ha  coinvolto  gli  ideali  stessi  che  ne  stanno  alla  base.I  movimenti  sociali   sono  anche   il   frutto  di  questa  situazione  di  crisi  della  politi-­‐ca   nazionale.   Ma   se   da   una   parte   essi  traggono   alimento   da   quelle   istanze   di  giustizia   sociale   e  di   pace   che   non   tro-­‐vano  più  nei  partiti  degli  strumenti  ef5i-­‐caci  di   affermazione,  tuttavia   sono   tra   i  sostenitori   più   intransigenti   del   diritto  dei   popoli  alla   loro   sovranità   e  non   ri-­‐conoscono   in  genere  la  necessità  di  isti-­‐tuzioni  sovranazionali  la  cui  autorità  nei  settori   a   loro   assegnati   stia   al   di   sopra  degli  Stati.Per   questo   da   un   lato   contestano   i   go-­‐verni   delle   potenze   mondiali,   le   istitu-­‐zioni  internazionali  e  le  grandi  corpora-­‐tion,   5ino   a   spingersi,   in   alcuni  casi,   ad  una   critica   radicale  degli  assetti  econo-­‐

Il problema centrale che il mondo ci im-pone oggi di risolve-re è la contrapposi-zione tra l’estensio-ne delle comunità

sociali e le istituzioni politiche.

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mici  e  politici  mondiali;  tuttavia,  quando  cercano   con   le   loro   azioni   di   incidere  sulla   realtà   concreta,  non  sono   in  grado  di   proporre   istituzioni   alternative   a  quelle  nazionali  e  a  quelle  internazionali  create  per  promuovere   la   cooperazione  internazionale,   ma   che   hanno   nella   so-­‐vranità  esclusiva  degli  Stati  la  fonte  della  loro  legittimità  e  del  loro  potere.Analogamente,   il  programma   dei   movi-­‐menti  sociali,   pur  dando  espressione   ad  esigenze  reali,  non  riesce  ad  essere  con-­‐vincente  perché,  al  pari  di  quelli  dei  par-­‐titi,   non  sa  dare  una   risposta   ef5icace  ai  problemi   dello   sviluppo   dei   paesi   più  deboli   e   dell’utilizzo   sostenibile   delle  risorse  naturali.  Il  problema  centrale  che  il  mondo   ci   impone  oggi   di   risolvere   è  infatti  la  contraddizione  tra   l’estensione  delle  comunità  sociali,  che  ha  ormai  rag-­‐giunto   la   dimensione   dei   continenti   in  buona   parte   del   mondo   e   si   sta   ormai  spingendo   5ino   a  coincidere  con  il  mon-­‐do   intero,   e   le   istituzioni  politiche,   cioè  gli  strumenti  che  gli  uomini  si  danno  per  governare   la   società   e   per   risolvere   in  modo   paci5ico   le  controversie  che  in  es-­‐sa  si  pongono.  E’  chiaro  ormai  che  nelle  regioni  che  non  si   sono   ancora   unite   politicamente   a   li-­‐vello   continentale,   cioè   l’Europa,   l’   Afri-­‐ca,  larghe  parti  dell’America  latina  e  del-­‐l’Asia,  l’ottica  in  cui  devono  porsi  i  parti-­‐ti  e  i  movimenti  sociali  è  quella  di  trova-­‐re   un   mezzo   più   ef5icace   del   semplice  coordinamento   delle   politiche   decise   a  livello   locale   per   risolvere   i   problemi  comuni ,   s iano   essi  quelli   della   crescita  economica   e   sociale   o  dell’indipendenza   poli-­‐tica.   La   stessa   qualità  degli   obiettivi   e   dei  programmi,   e   l’incisivi-­‐tà  delle  proposte  di  cui  intendono   farsi   porta-­‐tori,  dipendono  in  larga  parte   dalla   capacità   di  acquisire   questa   nuova  visione.   “Think   global-­‐ly,   act   locally”   è   la   ri-­‐sposta  sbagliata  perché  insuf5iciente   di   fronte   a   problemi   che  superano   le   dimensioni   degli   Stati   na-­‐zionali   e   che   devono   necessariamente  essere   affrontati   insieme  per   essere   ri-­‐solti.  E  per  questo  le  soluzioni  che  anche  il   Forum   pre5igura   appaiono   così   poco  

adeguate   rispetto   alla   reale   s5ida   dello  sviluppo   e   del   progresso   delle   regioni  ancora  depresse.  Il  compito   principale  e  la  principale  responsabilità  dei  popoli  di  queste  aree  è  di  trovare  la  loro  via  verso  l’unità  per  poter  giocare  un  ruolo  positi-­‐vo  e  non  essere  semplicemente  al  traino  (o  vittime)  del  progresso  della  comunità  internazionale.Gli   europei   hanno   una   particolare   re-­‐sponsabilità   perché   in   Europa   è   stato  avviato   il   processo   che   ha   portato   al-­‐l’unione  economica  e  monetaria,  ma  che  risulta   ancora   molto   carente   sul   piano  delle   istituzioni   dell’unità   politica.   L’at-­‐tuale   crisi   economica   e   5inanziaria   ha  posto  gli  europei  di  fronte  ad  una  scelta  

cruciale  che  determinerà  il   futuro   non   solo   per  loro,   ma   per   il   mondo  intero.  I  cittadini  europei  possono   limitarsi   ad   op-­‐porsi   con   le   manifesta-­‐zioni   alle   lobby   della   5i-­‐nanza   e   dell’economia  internazionale  e  possono  ottenere,   votando   per   i  partiti   euroscettici,   il  ritorno   alle   monete   na-­‐zionali  e  la  riduzione  dei  poteri   delle   istituzioni  europee   nell’illusione  

che   ciascuna   comunità   nazionale   possa  trovare   al   proprio   interno   la   forza   per  uscire  da  sola  dalla   crisi;  oppure  posso-­‐no   concordare   un   programma   comune  di   interventi   coordinati   a   livello   euro-­‐peo.  Ma  devono  anche  capire  che  questo  programma  può  avere  successo  solo  se  a  

5ianco   degli   Stati   esisteranno   delle   isti-­‐tuzioni   europee   dotate   di   strutture   di  governo   indipendenti   da   questi   ultimi,  che  possano  procurarsi  autonomamente  le   risorse   5inanziarie   necessarie   e   che  rispondano   direttamente   ai   cittadini  attraverso   il   voto.   Solo   così   gli   europei  potranno   ridare   un   senso   al   loro   impe-­‐gno   politico   e   riacquistare   5iducia   in  quegli   ideali   di   libertà,   democrazia   e  giustizia  sociale  dei  quali  l’Europa  è  sta-­‐ta  maestra  nel  mondo.Gli  Stati  che  si  sono   spinti  più  avanti  nel  processo   di   integrazione   e,   tra   questi,  quelli   più   in5luenti   –   la   Germania,   la  Francia   e   l’Italia  –   hanno   in  questo   mo-­‐mento   una   particolare   responsabilità  perché  è  ormai  sul  campo   la  proposta  di  dotare  l’Eurozona  di  un  bilancio  comune  5inanziato   con   risorse   proprie   e   di   rea-­‐lizzare   per   questa   strada   un   governo  comune,   responsabile   di   fronte   ad   un  Parlamento,  col  compito  di  amministrar-­‐le.  E’  oggi  possibile  dar  vita  al  primo  nu-­‐cleo  della  Federazione  europea,  dal  qua-­‐le   potrà   prender   forma   il   progetto   del-­‐l’unità  politica  degli  europei.Per  questo  ai  movimenti  sociali,  al  pari  dei  partiti,  è  oggi  offerta  una  grande  op-­‐portunità  per  stabilire  un  legame  sano  e  vitale  con  i  cittadini:  porsi  al  5ianco  dei  federalisti  europei    per  dar  vita  ad  un  grande  movimento  popolare  che  colga  questa  occasione  che  ci  viene  offerta.  E’  5inito  il  tempo  delle  perplessità  ed  è  giunto  il  momento  di  agire:  per  la  Fede-­‐razione  europea,  subito!

Claudio  FilippiGiulia  Spiaggi

“Think globally, act lo-cally” è la risposta

sbagliata perché insuf-ficiente di fronte a

problemi che superano le dimensioni degli

Stati nazionali e che devono necessaria-

mente essere affronta-ti insieme per essere

risolti.

7_  

Dopo   l’  Unione  europea,   il  MERCOSUR  è  il   secondo   grande   processo   di   integra-­‐zione   economica   tra   paesi   sovrani   oggi  in   atto.   Tale   percorso,   iniziato   con   il  Trattato  di  Asunción  nel  1991,  affonda  le  sue   radici   nell’alleanza   strategica   tra  Argentina   e   Brasile.   E’   pertanto   dalla  loro   relazione  che  dipende  il   futuro  del-­‐l’integrazione   del   continente   sudameri-­‐cano  come  blocco  regionale.  

Negli   ultimi   mesi   le   relazioni   tra   i   due  paesi   sono   abbastanza   tese,   nonostante  la  retorica  uf5iciale  continui  ad  affermare  la  volontà  di  proseguire  verso  una  mag-­‐giore   integrazione.   La   causa   principale  delle   tensioni   è   l’evidente   squilibrio   di  potere  politico-­‐economico  esistente  tra   i  due   che   dà   al   Brasile   un   ruolo   decisa-­‐mente   privilegiato   (a   tratti   con   aspira-­‐zioni   di   egemonia   regionale).   Buenos  Aires,   per  non  perdere   in5luenza  nel  de-­‐terminare   il   futuro   della  regione,  ha  co-­‐minciato   una   guerra   commerciale   fatta  di  restrizioni  sulle  importazioni  brasilia-­‐ne  e  di  annullamento   delle  linee  di  inve-­‐stimento   alle   sue   compagnie   estrattive.  Per  capire  i  motivi  di  questi  passi   indie-­‐tro  di  oggi,  e  per   intuire   quali  saranno   i  passi   in  avanti,  bisogna  analizzare   la   si-­‐tuazione  dei  due  paesi  e  le  ragioni  politi-­‐che  strategiche  a  base  dell’integrazione.

Il  Brasile,  gigante  della  regione  sudame-­‐ricana,  reclama  con  la   forza  dei  suoi  nu-­‐meri   un   ruolo   di   primo   piano   interna-­‐zionale.  Però  un  paese  pur  di  dimensioni  continentali   ma   con   forti  squilibri   regionali   e   sociali  ha   bisogno   di     un   robusto  sviluppo   economico   per  sostenere   qualsiasi   tipo   di  politica   redistributiva   scel-­‐ga   di   adottare   e   per   rag-­‐giungere  il  pieno   impiego.  E  questo   sviluppo   è   possibile  solo   con   un   mercato   regio-­‐nale   aperto   e   integrato.   E’  questo  il  presupposto  su  cui  si   è   costruito   il   discorso  politico   integrazionista   che  trova  il  consenso   trasversa-­‐

le   di   partiti,   sindacati   e   industriali.   Il  secondo  motivo  che  trova  consenso  qua-­‐si  unanime  è   legato   ad  una  questione  di  politica   estera:   l’integrazione   latino-­‐a-­‐mericana   come   mezzo   di   lotta   contro  l’imperialismo   statunitense.   Per   gli  ope-­‐ratori  economici  brasiliani  è  ancora  vivi-­‐do   il  ricordo   dell’apertura  del   loro  mer-­‐cato   alla   competizione  estera:   inondazione   di  prodotti   importati   e  catene   di   fallimenti  industriali.  

L’America   “spagnola”,  nella  visione  brasiliana,  è   l’area   di   riferimento  commerciale   capace  di  assorbire   l’85  %  delle   sue   esportazioni   manifatturiere  che  hanno   raggiunto   i  35  mld  di  dollari  nel   2010.   In  un  documento   del   2012,   la  FIESP   (la   potente   Federazione   degli   in-­‐dustriali   di   San   Paolo)   ha   descritto   il  processo   d’integrazione   come   “un   pro-­‐cesso  di  rottura  con  una  storia  di  cinque  secoli   di   sottomissione   dei   nostri   inte-­‐ressi  nazionali  alle  potenze  straniere”.  Al  tempo  stesso   è  nell’area  delle  infrastrut-­‐ture   che   si   concentra   l’esigenza   di   svi-­‐luppo   industriale   della   regione,   ed   è  esattamente  in  questo  settore  che  il  Bra-­‐sile  esercita   la  sua  volontà  di  autonomia  geopolitica   e   di   espansione   del   proprio  capitale.   Le   necessità   infrastrutturali  della   regione   sono   immense;   un   solo  esempio:  in  Brasile  la  produzione  di  gra-­‐

no   è   aumentata   del   220  %  negli   ultimi  vent’anni,  ma  la  rete  ferroviaria  e  strada-­‐le   è   rimasta   la   stessa.   Risultato:   l’aprile  scorso   un  incidente  stradale  ha  bloccato  la   statale   BR   364   che  porta   al   terminal  ferroviario   collegato  con  il  porto   di  San-­‐tos.  In  poco   tempo   si  è  formata  una  coda  di  più  di  100  km  di  soli  camion  e  si  è  ac-­‐

cumulato  un  ritardo  di  60  giorni   nell’esportazione  del   prodotto.   Il  problema  è  che  i  piani  di  costruzio-­‐ne   delle   infrastrutture  sono   tutti   falliti  per  man-­‐canza   di   soggetti   privati  capaci   di   sostenere   lo  sforzo   economico,   anche  

se   c’era   il  sostegno  del  BID  (Banco  inte-­‐ramericano   di  sviluppo).   Solo   quando   il  governo  brasiliano  si  è   impegnato  diret-­‐tamente   si   è   riusciti   a   raggiungere   una  discreta   percentuale   di   progetti   appro-­‐vati   e  avviati.   Lo   strumento   di   5inanzia-­‐mento   utilizzato   è   il  BNDES,   la  Banca   di  sviluppo   nazionale  più  grande   del  mon-­‐do,  capace  di  erogare  100  mld  di  dollari  di  5inanziamenti  contro  i  40  della  Banca  mondiale.   Attraverso   questa   istituzione  il  Brasile  riesce  a  garantire   la  costruzio-­‐ne  nei  tempi  e  modi  dettati  da  Itamaraty  (l’in5luente   Ministero   degli   esteri   brasi-­‐liano  che  assiste   le  imprese  nei  processi  d’internazionalizzazione);   ma   –   regola  stabilita  nello   statuto   –   i   fondi  possono  essere  concessi  solo  ad  imprese  brasilia-­‐ne.  

Il   Brasile   dunque   riconosce  l’esigenza   dell’integrazione  regionale  come  strumento  di  sviluppo   economico,  ma,  per  evitare  che  questa  aspirazio-­‐ne  assuma  connotati  egemo-­‐nici,   deve   basarsi   sulla   co-­‐struzione   d’istituzioni   so-­‐vranazionali   che   solo   i   soci  “latini”   possono   imporre   al  Brasile.   Tra   questi   l’unico  paese  della   regione   che   può  almeno   tentare   di   essere  portavoce   di   quest’esigenza  (per   dimensioni  geogra5iche,  

SOS Mercosur

Dopo l’ Unione europea, il MERCOSUR è il secon-do grande processo di integrazione economica tra paesi sovrani oggi in

atto.

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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 15 - Maggio/Settembre 2013

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Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009

Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.

risorse  minerarie  ed  economiche)  è  l’Ar-­‐gentina.

L’Argentina,   per   uscire  dalla   gravissima  recessione   del   2001-­‐2003,   ha   puntato  sul   ridare   potere   d’acquisto   alle   classi  medio-­‐basse  attraverso   politiche  di  sus-­‐sidi   sui   servizi   essenziali   e   assegni   di  spesa.   Gran   parte   di   questi   programmi  sono  pagati  da  royalties  (anche  del  30%)  imposte  sulle   esportazioni   di   commodi-­‐ties   come   grano,   soia   e  petrolio.   Ciò   ha  accentuato   sia   la   dipendenza   del   paese  dalle   5luttuazioni   dei   prezzi   internazio-­‐nali,   sia   la   bassa   diversi5icazione   del-­‐l’economia.   Il   paese   a   distanza   di   dieci  anni  non  ha  ritrovato   la   5iducia  nel  pro-­‐prio   sistema   5inanziario,   considerato  ancora  solo  uno   strumento  di  accumula-­‐zione   incapace   di   drenare   risorse   per  investimenti  nella   produzione.   Per   que-­‐sto  motivo  è  ancora  costume  cambiare   i  propri  risparmi   da   pesos   in  dollari  sta-­‐tunitensi  per  tesaurizzarli  o  esportarli  in  conti  correnti  all’estero.  La  mancanza  di  5iducia  nella  propria  moneta,  le  continue  tensioni  sindacali   per   l’aumento   dei   sa-­‐lari,   l’aumento   dei   prezzi   internazionali  delle  commodities  e  il  5inanziamento  del  debito   tramite   l’emissione  di  nuova  mo-­‐neta  si  traduce   in  una   in5lazione  del  25  %  (mai  riconosciuta  dal  governo   perché  aiuta  a  ridurre  lo   stock  di  debito  pubbli-­‐co)  che  erode  il  potere  d’acquisto   e  l’ac-­‐cumulazione  di  capitale  per   investimen-­‐ti.  Il  governo  vorrebbe  stimolare  la  crea-­‐zione   di   un’industria   nazionale   e   auto-­‐noma  proteggendole  con  barriere  doga-­‐nali   e   dazi  per   stimolare  la  sostituzione  delle   importazioni,   con   il   5ine   non   se-­‐condario   di   continuare   a   garantirsi   il  surplus   commerciale.   La   politica   della  

Casa  Rosada  è  purtroppo  l’eredità  di  più  di   trenta   anni   di   smantellamento   del  settore   industriale   strategico   pesante  per  mantenere  un’economia  dipendente  dalle   esportazioni   di   prodotti   a   basso  contenuto   tecnologico,   appannaggio   di  poche   grandi   famiglie.   Per   ricostruire  un’industria  nazionale  di  livello  tecnolo-­‐gicamente   autosuf5iciente   ha  bisogno   di  un  grande   mercato   di   sbocco   e   del   so-­‐stegno  5inanziario  e  tecnologico  che  solo  il   suo   grande   vicino   può   fornire.   Infatti  uno   dei   settori   in   cui   si   è  veri5icato   un  certo  livello  di  integrazione  con  il  Brasi-­‐le  (regolato   da  uno   speciale  protocollo)  è   nel   comparto   della   produzione   auto-­‐mobilistica  che  ha  permesso  ad  entram-­‐bi   i   paesi   di   mantenere   alti   livelli   di  esportazioni  e  di  sviluppo.  

Le   tensioni   commerciali   cominciano   a  farsi  sentire  tuttavia  proprio  per  la  man-­‐canza   di   coordinamento   della   politica  economica  nei  due  paesi:  il   Brasile   pro-­‐muove   sviluppo   e   concorrenza   mante-­‐nendo  una  moneta  forte  e  un  tasso   d’in-­‐5lazione   basso   per   garantire   la   forma-­‐zione  del  risparmio  e  fare  in  modo  che  le  importazioni  di  prodotti   stranieri  siano  di  stimolo  al  miglioramento  della  produ-­‐zione  interna.  Poi,  come  si  diceva,  l’indu-­‐stria   e   la   costruzione   di   infrastrutture  strategiche  nel  suo  complesso  è  sostenu-­‐ta  dal  BNDES  con  linee  di  5inanziamento  a   tassi  molto   bassi.   Diametralmente  op-­‐posta  è   invece  la  politica  economica   ar-­‐gentina   che,   nonostante   abbia   una   mo-­‐neta   svalutata   rispetto   al   real   e   quindi  con  con  prezzi  nominali  competitivi  per  l’export   in  Brasile,   a  causa   della  sua   in-­‐5lazione  troppo  alta  ha  prezzi  reali   inca-­‐paci  di  competere.  Inoltre  le  esportazio-­‐

ni   argentine   sono   costituite   quasi   tutte  da   prodotti   a   basso   valor   aggiunto,   al  contrario  di  quelle  brasiliane.

L’integrazione   economica   purtroppo   è  stata   pensata   senza   prendere   in   consi-­‐derazione  al  necessità  di  una  integrazio-­‐ne  politica  basata  su   istituzioni  sovrane  indipendenti   dai   governi   nazionali.   I  nodi   da   risolvere   sono   due:   il   primo   è  riequilibrare   il   potere   contrattuale   in  sede  di  trattative  tra  Brasile  e  Argentina,  attraverso  alleanze  strategiche  di  questo  paese  con  altri  vicini.   Il  secondo  punto  è  come   effettuare   queste   cessioni   di   so-­‐vranità   e   con   quali   5ini.   Ciò   che   serve  loro   è   l’esempio   dell’unica   area   del  mondo,  l’Europa,  dove  questo  processo  è  iniziato  senza  però  giungere  ad  un  risul-­‐tato   stabile.   Se   non  si   fa   l’Europa   unita  mancherà  il  necessario  modello  che  evi-­‐denzia   come   l’integrazione   economica  possa   essere   solo   una   tappa.   Senza  una  vera  Europa  politica  e  federale,  il  Brasile  comincerà   a   vedere   il   Mercosur   ed   il  resto   dell’America   latina   come   un’area  da  egemonizzare  mentre  l’Argentina  non  avrà  alcun  modello  a  cui  far  riferimento  sul   tavolo   delle   trattative   per   chiedere  una  integrazione  economica  equilibrata.  

Davide  Negri