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Publius - per un'alternativa europea. Numero 14, Marzo - Aprile 2013. Giornale degli studenti dell'Università di Pavia.
PubliusPer un’Alternativa Europea
Confederazione dei giornali universitari pavesi Numero 14 - Marzo/Aprile 2013
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
La situazione politica ita-‐liana dopo le elezioni è particolarmente critica, sarà dif7icile arrivare ad un accordo tra le forze politi-‐che che esprima un gover-‐no stabile. Una parte degli elettori ha scelto un voto di protesta contro una classe politica da cui non si sente più rappresentata. Mentre un'altra parte ha ceduto al richiamo di idea-‐li populisti e nazionalisti che rappresentano una fuga dalla realtà in quanto non sono soluzione all'at-‐tuale situazione di crisi europea. Conseguenza di queste scelte è l'ingover-‐nabilità che può determi-‐nare una svolta autorita-‐ria, come nel 1922, e, come allora, contagiare il resto dell'Europa, e portare alla disgregazione dell'UE. Se dovesse prevalere l’ingo-‐vernabilità oppure se si dovesse formare un go-‐verno senza precisi impe-‐
gni europei, quando verrà il momento di ricorrere all'aiuto della BCE e del fondo salva Stati per far fronte agli attacchi della speculazione internaziona-‐le, chi potrebbe mostrarsi solidale e comprensivo con gli italiani? E a quel punto, in nome di che cosa i cittadini do-‐vrebbero resistere alle si-‐rene del populismo e del nazionalismo? Così sareb-‐be affossata la prospettiva della trasformazione del-‐l'unione economica e mo-‐netaria in una unione ban-‐caria, 7iscale, economica e politica. Queste sono le responsabilità di fronte alle quali si trovano gli ita-‐liani. Tutto dipende ormai dall'esito del tentativo di dar vita ad un governo che, oltre ad introdurre le ri-‐forme istituzionali minime indispensabili al Paese, dovrebbe impegnars i apertamente a rispettare
gli obblighi assunti in sede europea senza mettere in pericolo la costruzione dell'unità europea e con-‐tribuendo a completare l’unione monetaria con l’unione economica e poli-‐tica. Se ciò accadrà, sarà possibile mettere anche la Francia e la Germania di fronte alla responsabilità di varare un piano per lo sviluppo sostenibile e l'oc-‐cupazione 7inanziato da risorse proprie provenien-‐ti da una tassa sulle tran-‐sazioni 7inanziarie e una tassa sulle emissioni di CO2 destinate ad alimen-‐tare un bilancio autonomo dell'eurozona. Solo imboc-‐cando questa strada sarà possibile coniugare la cre-‐scita al rigore, al quale so-‐no state 7inora contrappo-‐ste ricette nazionali e po-‐puliste destinate al falli-‐mento.
Publius
Indice
pag.1 EditorialePublius
pag.2 Un budget per l’eurozona
Giulia Spiaggi
pag.4 Cameron e il nuovo ruolo del Regno Unito
Maria Vittoria LochiLuisa Trumellini
pag.5 Il rapporto Gallois e i limiti della politica industriale francese
Nelson Belloni
pag.7 Mali, un con>litto che ha origini lontane
Giacomo Ganzu
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Il deludente esito del dibattito sulle prospettive di 7inanziamento del-‐l’Unione europea 2014-‐2020 che si è concluso nell'ultimo Consiglio euro-‐peo ha evidenziato come il procedi-‐mento intergovernativo a ventisette che caratterizza l'attuale sistema di formazione, gestione e impiego del bilancio europeo non è adeguato a promuovere la crescita, lo sviluppo e l’occupazione per fondare il rilancio economico dell'Europa. L'alternativa è rappresentata dal piano per la così detta unione economica e politica presentato nel blueprint della Com-‐missione europea e nel documento redatto dai quattro presidenti di Consiglio, Commissione, Parlamento e Banca Centrale che prevede la creazione di “un bilancio autonomo per l'eurozona dotato di una capacità 7iscale per aiutare i paesi membri ad assorbire gli shock”. La proposta è stata oggetto di auto-‐revoli ri7lessioni, tra cui quelle con-‐tenute in alcuni documenti editi dal centro studi Bruegel, in particolare A Budget for Europe’s Monetary Union, di Guntram Wolf (n. 2012/22, di-‐cembre 2012). La ri7lessione prende avvio dalla storia della creazione del-‐l'euro ed evidenzia come le proposte iniziali di accompagnarlo ad una vera unione economica non si sono realiz-‐zate, mentre le regole stabilite dal
Trattato di Maastricht sono state pensate per governare una situazio-‐ne di relativa stabilità, ma si sono rivelate drammaticamente inadegua-‐te per gestire le crisi. La creazione di un bilancio dell'eurozona aiuterebbe a restituire 7iducia e credibilità sui mercati alla moneta unica e ai paesi che la utilizzano. Il suo principale scopo dovrebbe essere la politica di s tab i l i zzaz ione per scongiurare il rischio di shock asimmetrici nella zona euro. L’esperienza dimostra infatti che “re-‐gional governments in a monetary union cannot provide a 7iscal respon-‐se to large and deep balance-‐sheet recessions because of the unwil-‐lingness of investors to 7inance ex-‐ternal debt. National 7iscal policy be-‐comes ineffective. Monetary policy, by de7inition, does not address deep recessions that are purely regional” (p.5). Ma anche in casi di crisi che investono l’intera area monetaria la funzione di un budget di natura fede-‐rale è indispensabile per invertire il trend recessivo. Le politiche 7iscali regionali sono infatti poco ef7icienti, perché i singoli paesi aspettano di usufruire dell’intervento dei partner e rimandano o minimizzano le politi-‐che di stimolo; solo un intervento a
livello centrale può sbloccare la si-‐tuazione. Un’ipotesi che invece non viene pre-‐sa in considerazione è quella della possibilità di usare il bilancio per 7i-‐nanziare un grande piano di rilancio dello sviluppo socialmente ed ecolo-‐gicamente sostenibile. La proposta di un piano per la crescita è stata avan-‐zata dalla Francia, mentre nello sce-‐
nario prospettato dal Bruegel la gestione dei beni pubblici tra cui la salvaguardia dell'am-‐biente e il mantenimento della sicurezza sociale dovrebbe restare ancora al livello dell'Unione a
ventisette.Per quanto riguarda il 7inanziamento del bilancio, le risorse dovrebbero essere reperite o con l'imposizione 7iscale diretta sui cittadini, che si po-‐trebbe realizzare istituendo una tas-‐sa europea, oppure con erogazioni da parte dei bilanci nazionali. Chiara-‐mente la prima ipotesi è preferibile in quanto il 7inanziamento al budget non sarebbe più basato sul metodo intergovernativo con tutte le conse-‐guenze negative che ne derivano. Una possibilità potrebbe essere la tassa sulle transazioni 7inanziarie che favorirebbe la regolamentazione dei mercati e che già undici dei paesi eu-‐ro hanno adottato mantenendo però la gestione al livello nazionale. Oppu-‐re la tassa sulle emissioni di anidride carbonica, una misura che aiutereb-‐be la conversione della produzione verso modelli ecologicamente soste-‐nibili. Nello studio del Bruegel lo scenario ideale in cui istituire il bilancio ad hoc dovrebbe essere allargato a quei paesi dell'Unione che hanno già adot-‐tato le misure necessarie per entrare nell'euro stabilendo un cambio 7isso tra la loro moneta e l'euro. In seguito si presenterà la necessità di ridiscu-‐tere i rapporti economici e commer-‐ciali all'interno del mercato comune con i paesi al di fuori di quest'area. Il tentativo di stabilire dei criteri per valutare quando un paese ha diritto di ricevere l'aiuto dal bilancio dà luogo a diverse ipotesi. Uno dei me-‐todi possibili è quello di considerare le variazioni del PIL che però non è più ritenuto un parametro esauriente
Un budget per l’eurozona
Un bilancio dell'euro-zona aiuterebbe a restituire fiducia e
credibilità sui mercati alla moneta unica
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per valutare la situazione economica. Un'altro sistema potrebbe essere quello di osservare l'evoluzione del mercato interno; un altro fare riferi-‐mento al livello dello spread per cal-‐colare l'entità del 7inanziamento a cui il paese ha diritto. Naturalmente il paese destinatario del 7inanziamento deve essere anche vincolato alla rea-‐lizzazione di opportune riforme per rilanciare lo sviluppo e la produttivi-‐tà, in modo da arginare le preoccupa-‐zioni dei paesi più stabili dell'area che temono la possibilità che un pae-‐se più debole diventi dipendente dai 7inanziamenti dei partner. Per lo stesso motivo il periodo di tempo durante il qua-‐le erogare il 7inanzia-‐mento deve essere cali-‐brato in modo da non essere troppo breve al punto da non lasciare il tempo di applicare le necessarie riforme; né troppo lungo, tanto da disincentivare il governo del paese a cercare di sforzarsi di uscire dalla situazione corrente. Rispetto a questi studi che vogliono dimostrare, prima ancora di entrare nei dettagli tecnici delle ipotesi di realizzazione, la necessità di un bi-‐lancio comune per la sopravvivenza dell’area euro, alcuni economisti ri-‐tengono invece che l'istituzione di tale bilancio non sia indispensabile per risolvere la crisi. Ad esempio Da-‐niel Gros, in una nota datata 7 di-‐cembre 2012, The False Promise of a Eurozone Budget, sostiene, rifacen-‐dosi all’esperienza americana, che solo una piccola percentuale dell’in-‐tervento a sostegno della ripresa di uno Stato della federazione viene operata dal trasferimento di fondi dal
budget federale; e che quindi si rive-‐lano più ef7icaci misure come quelle atte a realizzare l’unione bancaria, che serve anche ad impedire il blocco del mercato dei capitali, che di per sé ha una funzione decisiva nel-‐l’assorbimento degli shock. Quello che Gros non sembra tenere in considerazione è sia il ruolo di un bilancio federale per permettere il corretto funzionamento dei meccani-‐smi di stabilizzazione che il mercato mette in atto solo in contesti protetti dalla garanzia (in ultima istanza poli-‐
tica) che deriva da un bilancio unico ef7icace; sia il fatto che nessuna unione monetaria è so-‐p r a v v i s s u t a s e n z a un'unica politica econo-‐mica e 7iscale. Per questo la sola istituzione del bi-‐
lancio non è di per sé suf7iciente, ma si deve anche com-‐ pletare l'unio-‐ne bancaria in modo che a livello europeo c i s ia un'istituzione che controlli l'operato delle banche e in caso di necessità sovrintenda al loro ri7inanziamento. Considerando poi la disparità esi-‐stente tra i merca-‐ti del lavoro dei paesi europei sono urgenti delle ri-‐forme che li armo-‐nizzino per ridurre la disoccupazione e aumentare la
competitività. Rimane in7ine aperta la questione di chi e come debba es-‐sere gestito il bilancio. Anche in que-‐sto caso vengono avanzate, a livello di ri7lessione teorica, diverse ipotesi. La prima prevede delle pratiche au-‐tomatiche con delle regole decise a priori; questo metodo, anche se ga-‐rantisce una certa rapidità delle deci-‐sioni, manca però di discrezionalità e di 7lessibilità. Una seconda ipotesi prevede di af7idare le decisioni ai rappresentanti dei governi sotto il controllo della Commissione in modo che ogni situazione venga valutata singolarmente. Però questa soluzione si basa sulla necessità dell'accordo tra i governi, ed è un metodo che si è spesso rivelato lento e inadeguato. Il nodo principale che non viene af-‐frontato da questi studi è dunque quello della legittimità democratica, indispensabile nella misura in cui si devono decidere criteri di gestione del bilancio legittimi ed ef7icaci quin-‐
di applicare le riforme che da queste decisioni derivano. La stessa im-‐posizione 7iscale neces-‐saria per dotare il bi-‐lancio di risorse pro-‐
prie richiede una rappresentanza veramente democratica. Questo si può realizzare solo a partire dalla differenziazione delle responsabilità e funzioni di controllo in seno al Par-‐lamento europeo tra parlamentari eletti nell’eurozona e fuori di essa, su questioni di bilancio, 7iscali ed eco-‐nomiche riferibili all’area euro. E in prospettiva con la convocazione di una Convenzione costituente per re-‐digere una costituzione che istituisca un governo per l'eurozona.
Giulia Spiaggi
Il nodo principale è quello della
legittimità democratica
Sono urgenti delle riforme per ridurre la disoccupazione e aumentare la com-
petitività
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Mentre la crisi economica si appro-‐fondisce nell’eurozona, il vero pro-‐blema che l’Europa deve affrontare, al più presto, è quello di separare isti-‐tuzionalmente il quadro del mercato unico a venitsette – con la sua logica inevitabilmente intergovernativa, appena sfumata dal cosiddetto me-‐todo comunitario – dal quadro del-‐l’Unione monetaria, in cui deve poter iniziare a funzionare la logica federa-‐le di un potere sovranazionale auto-‐nomo, di un bilancio adeguato dotato di risorse proprie per promuovere la crescita e lo sviluppo, di una riparti-‐zione dei poteri e delle competenze che corrisponda al trasferimento di sovranità dagli Stati all’Europa.Le condizioni per avviare questa bat-‐taglia ci sono ormai tutte, da tempo. L’ultimo elemento di chiarezza l’ha fornito addirittura la Gran Bretagna. Cameron ha preso atto uf7icialmente della necessità di separare i due quadri. Nel suo attesissimo discorso sull’Europa, tenuto il 23 gennaio, il premier britannico Cameron ha usa-‐to parole chiarissime, e proposto la sua ricetta. “Those of us outside the euro recognise that those in it are likely to need to make some big insti-‐tutional changes. By the same token, the members of the eurozone should accept that we, and indeed all mem-‐ber states, will have changes that we need to safeguard our interests.... We understand and respect the right of others to maintain their commitment to this goal (to "lay the foundations of an ever closer union among the peo-‐ples of Europe", as European treaty commits the member states, n.d.r.). But for Britain – and perhaps for others – it is not the objective.And we would be much more comfortable if the treaty speci7ically said so, freeing those who want to go further, faster, to do so, without being held back by the others....”. Londra sa che sarebbe controproducente ferma-‐re la stabilizzazione del-‐l’Unione monetaria, la quale dipende da un “grande cambiamento istitu-‐zionale”. E ha interesse a rimanere nel mercato unico (“At the core of
the European Union must be, as it is now, the single market. Britain is at the heart of that single market, and must remain so.... “). La soluzione che propone è un nuovo trat-‐tato che prenda atto delle diverse esigenze. Certo, Cameron chiede anche che in questo nuovo contesto la Gran Bretagna negozi una partecipazione à la carte alla nuova Unione, sollecita più 7lessibilità nelle regole, una parziale rinazionalizzazione delle competenze, maggiore controllo dei parlamenti nazionali. Tutte proposte
da molti giudicate inac-‐cettabili e irrealistiche, che altri trasformano nell’ipotesi di un’uscita degli inglesi dall’UE e nella stipulazione di un nuovo patto come “asso-‐ciate member”, tipo la Svizzera e la Norvegia. Ma tutto ciò è seconda-‐rio: il problema è sfrut-‐tare questa oggettiva impasse della Gran Bre-‐
tagna, che non può fermare il proces-‐so di integrazione dell’eurozona – perché sa che ne va della sopravvi-‐venza dell’euro e, quindi, dello stesso
mercato unico – per completare dav-‐vero l’Unione monetaria: a partire dall’impegno per avviare, subito, una battaglia per un budget aggiuntivo
dell’eurozona fondato su risorse proprie (in primis la TTF che nasce in seno all’eurozona); per proseguire con l’apertura di un proces-‐so costituente per 7is-‐sare gli equilibri di una nuova Unione con di-‐versi gradi di integra-‐zione.Queste dovrebbero es-‐sere le battaglie del Parlamento europeo: i
proclami sulla Federazione europea senza riferimento al quadro in cui questa è realizzabile ormai non ser-‐vono più; e la difesa del metodo co-‐munitario o il sostegno al rafforza-‐mento dell’Unione presto a ventotto sono addirittura controproducenti. Quello che il Parlamento europeo deve avere la capacità di fare è di diventare avanguardia di una lotta costituente per trasformare l’Unione monetaria in un’unione politica fede-‐rale e per rifondare l’Unione europea su questa base.
Maria Vittoria LochiLuisa Trumellini
Cameron e il nuovo ruolo del Regno Unito
Il problema è sfrut-tare questa oggetti-
va impasse della Gran Bretagna, che non può fermare il processo di integra-zione dell’eurozona, per completare dav-vero l’Unione mone-
taria.
We would be much more comfortable if the treaty specifical-
ly said so, freeing those who want to
go further, faster, to do so, without being held back by the ot-
hers
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Il rapporto Gallois e i limiti della politica industriale francese
Il 5 novembre è stato pubblicato in Francia il rapporto stilato dal Com-‐missario generale agli investimenti Louis Gallois, che era stato incarica-‐to dal governo di analizzare lo stato di salute dell’industria del suo pae-‐se. Sulla base di questo rapporto, intitolato Patto per la competitività dell’industria francese, il governo ha poi adottato una serie di misure per cercare di rilanciare il settore indu-‐striale. Il rapporto è utile sia perché fornisce un’analisi completa della condizione in cui versa un paese eu-‐ropeo importante come la Francia, sia perché mostra i limiti delle poli-‐tiche economiche e degli obiettivi di uno Stato nazionale che, in quanto tale, risponde esclusivamente al proprio elettorato. Innanzitutto, l’eco che questo rapporto ha suscita-‐to in Francia, e il fatto stesso che sia stato commissionato, sono un ulte-‐riore prova del fatto che, rispetto alla logica dominante prima della crisi, il futuro dello sviluppo econo-‐mico non è più pensato in termini di ampliamento del settore dei servizi, in particolare di quelli 7inanziari, considerati 7ino a poco tempo fa as-‐solutamente prioritari, ma si cerca di perseguire un rafforzamento del settore industriale. Si torna a capire che la produzione manifatturiera comporta anche una serie di ricadu-‐te importantissime per il sistema-‐paese, a partire dall’accesso alle tec-‐nologie più avanzate e so7isticate, e che (come dimostrano la Cina e la Germania) è strategico sviluppare la propensio-‐ne alle esportazioni e alla creazione di alto valore aggiunto. Il rapporto par-‐te da un’analisi dei dati macroeconomici che fanno stimare a Gallois che la Francia si trovi in condizioni prossime ad una soglia critica, supe-‐rata la quale diventerebbe reale una minaccia di destrutturazione del-‐l’apparato industriale. La Francia è infatti passata da un rapporto tra PIL industriale e PIL globale di 18% nel 2000 a poco più del 12,5% nel 2011 e si colloca al 15° posto nel-‐l’eurozona. I paesi europei migliori, sotto questo pro7ilo, sono la Germa-‐nia (26,2%), la Svezia (21,2%) e
l’Italia (18,6%). Complessivamente la Francia ha perso due milioni di posti di lavoro nel ramo industriale che nel 2000 rappresentava il 26% degli impieghi mentre oggi rappre-‐senta il 12,6%, cioè la metà. Queste cifre mostrano che c’è, anche, un problema di mentalità che si è venu-‐ta a creare: uno dei luoghi comuni che occorre sfatare è che il lavoro
nel settore industriale oggi sia meno redditizio rispetto a quello nel settore dei servizi. Il governo si trova quindi con il problema di do-‐ver cercare di incenti-‐
vare il numero degli ingegneri, dei tecnici, degli operai, dei ricercatori, ecc. La Francia è passata dall’essere un paese esportatore nel 2000, seb-‐bene con una eccedenza lieve rispet-‐to alle importazioni, all’essere di-‐ventata un paese importatore con un consistente de7icit di 70 miliardi nella bilancia dei pagamenti. L’euro-‐zona è il maggior mercato di sbocco per i francesi, ma, nonostante ciò, la Francia rappresenta solo il 9% (12% nel 2000) delle esportazioni
interne all’eurozona mentre ad esempio la Germania rappresenta il 22% (20% 2000). Quali sono le ra-‐gioni della perdita di quote di mer-‐cato così ampie? La Francia sembra schiacciata da un lato dal modello tedesco, il cui settore industriale è posizionato su un segmento di gamma superiore meno sensibile al fattore prezzo ed è sostenuto da una politica economica che permette un contenimento dei costi (anche per effetto dei bassi salari nei servizi, inconcepibili in Francia) che avvan-‐taggiano ulteriormente le imprese, i cui margini di pro7itto superiori fa-‐voriscono la crescita degli investi-‐menti. Dall’altro lato, dai paesi emergenti che hanno costi unitari di produzione ancor più bassi e che al tempo stesso sono sempre più in grado di produrre beni di valore ag-‐giunto sempre maggiore e con con-‐tenuto tecnologico sempre più ele-‐vato. La reazione dell’industria fran-‐cese rispetto a questa duplice con-‐correnza è stata quella di cercare di preservare la competitività dei prezzi a discapito della sua competi-‐tività globale: i margini di guadagno
La Francia è passata dall'essere paese
esportatore a paese importatore
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si sono così abbassati dal 30% al 21% nel periodo 2000-‐2011, mentre nello stesso periodo in Germania crescevano del 7%. Di conseguenza il tasso di auto7inanziamen-‐to è crollato dall’80% al 65%, quando in Europa è vicino al 100%. Gli inve-‐stimenti per aumentare la produttività e l’innovazio-‐ne del processo di produ-‐zione sono calati drasti-‐camente e le imprese francesi, fatti salvi alcuni settori di punta, hanno perso terreno rispetto alle migliori industrie europee. Il primo settore su cui la Francia deve intervenire per invertire il trend negativo è dunque quello della ricerca, dell’in-‐novazione e della formazione. La spesa statale francese in R&S è tra le più alte in assoluto (2,24% del PIL), ma allo stesso tempo è bassa la quo-‐ta degli investimenti privati (solo l’1,4% del PIL, ossia la metà rispetto ai paesi scandinavi e alla Germania e molto inferiore in generale alla me-‐dia dell’eurozona). Inoltre, mentre in Germania il 5,4% delle imprese te-‐desche ha bene7iciato di 7inanzia-‐menti pubblici per la ricerca e lo svi-‐luppo, in Francia ciò è accaduto solo per l’1,4%. delle aziende Questo si-‐
gni7ica che la spesa statale francese in R&S è poco orientata al sostegno del settore industriale, che così somma le due dif7icoltà, quella ad
ottenere 7inanziamenti statali e il basso tasso di auto7inanziamento. Il rapporto prosegue con un lungo elenco di criti-‐cità del sistema francese, che include la mancanza di medie imprese (il si-‐
stema è polarizzato tra grandi grup-‐pi a vocazione internazionale e im-‐prese troppo piccole per riuscire a svilupparsi e ad essere competitive sul mercato internazionale); una scarsa capacità di fare rete da parte delle imprese e un cattivo funziona-‐mento delle 7iliere; una scarsa soli-‐darietà territoriale; un’eccessiva de-‐localizzazione che ha for-‐temente destrutturato ampie 7iliere industriali; un mercato del lavoro che necessita di essere meglio organizzato per eliminare rigidità che pesano in ta-‐luni settori mentre in altri vige una totale mancanza di protezione. E cerca di evidenziare i vantaggi del paese su cui far leva per cercare di far ripartire il settore industriale,
che vanno dalle eccellenze nazionali, ad un buon sistema di infrastrutture e servizi pubblici, ad un basso prezzo dell’energia elettrica, ad un’alta qua-‐lità della vita e ad una produttività oraria del lavoro ancora tra le più alte in Europa. Sulla base di questi punti di forza, e con l’obiettivo di andare a correggere le debolezze, il rapporto indica una serie molto det-‐tagliata di proposte di riforme ed interventi che suggerisce al governo di avviare. Il quadro europeo, in questo contesto, è citato solo nella prospettiva di rafforzare le politiche comunitarie già in essere, concepite in un’ottica di coordinamento e co-‐operazione intergovernativa. Nessun riferimento, quindi, al dibattito in corso sul bilancio per l’eurozona, sull’ipotesi di un piano di sviluppo
europeo, sulle quattro unioni e sopratutto sul-‐l’unione politica, oltre che su parziali condivisioni del debito o progetti di part-‐nership euro-‐mediterra-‐nea. Le proposte restano
meramente nazionali, con tutti i limi-‐ti che le caratterizzano: ad esempio, sulla questione dell’energia, il rap-‐
Le proposte re-stano meramente
nazionali
Nessun riferi-mento al dibatti-to sull'Eurozona
Scheda personaggio - Konrad AdenauerKonrad Adenauer (Colonia, 5 Gennaio 1876 -‐ 19 Aprile 1967, Bad Honnef) fu primo cancelliere federale della Repubblica Federale Tedesca. Fu sindaco di Colonia dal 1917 7ino all’avvento del regime nazista nel 1933 e ri7iutò sempre ogni collaborazione con il NSDAP e con le autorità na-‐ziste. Questo ri7iuto lo costrinse a subire, 7ino alla 7ine del regime nel 1945, le continue angherie da parte delle autorità hitleriane. Durante i primis-‐simi anni del dopoguerra, Adenauer si adoperò per la riunione di tutti i gruppi politici popolari e democratici d’ispirazione cattolica e luterana in un solo gruppo politico. Il suo operato portò alla fondazione della CDU, (Christlich Demokratische Union) di cui Adenauer fu il primo presidente. A livello di politica estera la scelta di Adenauer fu il deciso e con-‐vinto schieramento della Repubblica Federale a 7ianco della NATO nel 1949. Successivamente, Adenauer si spese anche a favore del riarmo della Repubblica Federale in funzione non imperialista ma invece pro-‐europea ed antistaliniana. In tal senso, egli fu uno dei principali sostenitori della Conferenza di Messina e della Comunità Europea di Difesa. Adenauer, assieme a De Gasperi e Schuman, fu uno dei fondatori della CECA e suc-‐cessivamente 7irmatario del Trattato di Roma. L’adesione a questi progetti lo portò allo scontro domestico con l’opposizio-‐ne socialdemocratica e principalmente contro i grandi cartelli tedeschi, che vedevano minacciati il proprio ruolo. Durante il suo governo, grazie all’operato del ministro dell’economia
Ludwig Erhard, la Germania diede vita ed applicò il sistema chiamato della Soziale Marktwirtschaft, che univa il libero mercato con il ruolo regolatore dello stato. A suggello del suo attivismo in favore della pace e della riconciliazione europea, venne 7irmato il 22 Gennaio 1963 (l’ultimo anno del suo lungo Cancellierato) il trattato dell’Eliseo, che sanciva de7initivamente la nascita di un nuovo capitolo nella storia delle relazioni Franco-‐Tede-‐sche. Morì nella sua casa a Bad Honnef, nei pressi di Bonn. La 7iglia raccontò che le sue ultime paro-‐le (pronunciate in dialetto renano) furono: “Non c’è niente di cui preoccuparsi”.
Tra le sue frasi più celebri: “Ero fermamente convinto che se la partenza era
avvenuta in quel modo, se cioè i sei Stati partecipanti trasferivano volontariamente e senza alcuna riserva una parte della loro sovranità ad un organismo superiore, si poteva sperare che un’evoluzione simile si sarebbe compiuta anche in altri campi e con con ciò si sarebbe inferto un colpo mortale al nazionalismo”. “Mi opponevo ad un riarmo tedesco, motivando la mia opposizione con le gravi perdite umane subite dalla Germania nell’ultima guerra mondiale (...). Non era ammissibile sotto alcun punto di vista che dei tedeschi potessero venire arruolati nelle formazioni straniere come dei mercenari o dei lanzichenecchi (...). In caso estremo ero disposto ad esaminare una proposta di partecipazione tedesca all’armata di una Federazione europea”. (Adenauer, Memorie, cit. p. 393)
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Il con7litto in Mali, assurto all’atten-‐zione mondiale nelle scorse settima-‐ne in seguito all’intervento francese, è emblematico della crisi che sta in-‐vestendo l’intera regione nord afri-‐cana.La radice primaria è sicuramente locale: la regione, una delle più pove-‐re del pianeta, che vive stentatamen-‐te di agricoltura e che recentemente è stata direttamente colpita dalla diminuzione degli aiuti internaziona-‐li allo sviluppo, è da sempre in preda all’anarchia e alla violenza; sin dalla fondazione dello Stato del Mali la popolazione tuareg è impegnata in un aspro confronto con il governo centrale per rivendicare l’indipen-‐denza della propria regione (i terri-‐tori sahariani del Nord, chiamati Azawad). Le tensioni fondamentali-‐ste che scuotono il mondo arabo si sono inserite su questo terreno ferti-‐le, già a partire dalla guerra civile che ha insanguinato l’Algeria all’inizio degli anni Novanta e che si è conclu-‐sa con la scon7itta del Gruppo islami-‐co armato. I resti delle forze islami-‐ste si sono rifugiati nel Sahel e hanno dato vita alla cellula magrebina di Al Qaeda, 7inanziandosi innanzitutto
tramite i sequestri a scopo di estor-‐sione, in particolare di stranieri. Recentemente, la dissoluzione dello Stato libico, otre ad aver accresciuto l’instabilità dell’area e aver alimenta-‐to la nascita di traf7ici e, conseguen-‐temente, di bande criminali (alcune delle quali si sono ammantate della bandiera dell’Islam), ha aperto le frontiere a ingenti 7lussi di armi e al rientro in Mali della legione dei tua-‐reg che prestavano servizio nel-‐l’esercito di Ghadda7i. Questo insie-‐
me di fattori ha avuto, tra le tante conseguenze, anche quello di raffor-‐zare il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad e quindi di innescare una guerra civile nel paese che ha portato ad un colpo di Stato in Mali da parte di un gruppo di uf7iciali e ha creato le condizioni af7inché la regione tuareg dichiarasse la propria indipendenza. Di fronte a questo
Mali, un conflitto che ha origini lontane
porto tiene a sottolineare che lo svi-‐luppo delle risorse rinnovabili non deve mettere a repentaglio il basso costo dell’energia, tant’è che gli in-‐vestimenti suggeriti in campo ener-‐getico riguardano soprattutto il set-‐tore degli scisti bituminosi e del gas naturale, che sono idrocarburi. Non ci si pone quindi il problema di pre-‐venire un effetto collaterale, il mag-‐giore consumo energetico, legato all’auspicato aumento della produ-‐zione industriale, sacri7icando così l’obiettivo di lungo periodo del ri-‐sparmio energetico (strategico sotto molti punti di vista) in nome della competitività nel breve periodo. In questo senso basta fare un paragone con paesi come la Cina, l’India e il Brasile che possono permettersi di tutelare i propri interessi anche di lungo periodo investendo largamen-‐
te nel settore delle energie rinnova-‐bili e sostenibili (basti pensare che la Cina è il paese che investe mag-‐giormente per le rinnovabili al mondo). Più in generale, il rapporto, nel momento in cui affronta la que-‐stione di quale politica economica favorire tra la demand side economy e la supply side economy, rende evi-‐dente come il fatto di usare esclusi-‐vamente il criterio nazionale per valutare i vantaggi e gli svantaggi dei due modelli, impedisca un’anali-‐si razionale. Poiché si considera “importazione” anche ciò che pro-‐viene dagli altri paesi dell’Unione e si pone la questione che in un mer-‐cato unico i vantaggi del sostegno alla domanda interna ricadono an-‐che sugli altri partner commerciali, la scelta deve per forza ricadere sul-‐la supply side economy, e di conse-‐guenza si suggeriscono misure per il sostegno alle imprese e all‘esporta-‐
zione. Le risorse devono essere re-‐perite con un mix di tagli alla spesa pubblica e aumento delle imposte, con l’obiettivo di raccogliere in bre-‐vissimo tempo 30 miliardi di euro, che rappresentano l’1,5% PIL. L’ambizione di un grande piano di sviluppo si riduce, quindi, ancora una volta, alla decisione di puntare a tagli alle imprese e conseguenti au-‐menti della tassazione. Questo è il modo di ragionare più o meno in tutti i paesi europei. E visti gli in-‐successi che si accumulano, sempre più si conferma il fatto che il vero confronto non è tra austerità e inve-‐stimenti per la crescita, ma tra piani di sviluppo nazionali e piani euro-‐pei, capaci di avere l’impatto e il re-‐spiro all’altezza dei grandi competi-‐tor del XXI secolo.
Nelson Belloni
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Publius - Per un’alternativa europeaNumero 14 - Marzo/Aprile 2013
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Direttore responsabile: Giacomo GanzuRedazione: Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Andrea Corona, Laura Filippi, Giacomo Ganzu, Gianmaria Giannini, Luca Lionello, Maria Vittoria Lochi, Gabriele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Elena Passerella, Gilberto Pelosi, Giovanni Salpietro, Giulia Spiaggi, Francesco Violi, Gabriele Volpi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
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Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
Iniziativa realizzata con il contributo concesso dalla Commissione Permanente Studenti dell’Università di Pavia nell'ambito del programma per la promozione delle attività culturali e ricreative degli studentiDistribuito con licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic.
scenario la comunità internazionale si è ritrovata, come spesso accade, impotente. Le Nazioni Unite si sono decise solo nel dicembre del 2012, su iniziativa francese, a creare, con una risoluzione, la Missione interna-‐zionale di appoggio al Mali (AFI-‐SMA), sotto il controllo operativo degli Stati africani della regione, con l’obiettivo di “rico-‐s t ru i re l a capac i tà d’azione delle forze ar-‐mate maliane” per re-‐cuperare il nord del paese e riconquistare nel giro di qualche mese il controllo del territo-‐rio. Ma l’operazione è fallita clamorosamente, anche per l’intervento di gruppi islamisti che hanno iniziato a conquistare il sud del paese, co-‐stringendo l’esercito maliano a bat-‐tere in ritirata. E’ stato questo preci-‐pitare della situazione che ha spinto la Francia ad intervenire direttamen-‐te nel con7litto. Formalmente l’ope-‐razione gode del supporto delle na-‐
zioni Unite, come pure dei partner europei, e il fatto di fermare l’avan-‐zata dei gruppi fondamentalisti ha suscitato un forte consenso. Ma è abbastanza evidente che non potrà trattarsi di un intervento risolutivo: nell’area il caos rimane solo momen-‐
taneamente congelato, ma la situazione di estrema povertà e la disgregazione delle isti-‐tuzioni statuali in tutta la regione che va dl Corno d’Africa al Sahel impediscono una vera stabilizzazione. Non c’è da stupirsi che il fon-‐damentalismo islamico attecchisca e riesca a riorganizzarsi in questo contesto, accrescendo
ulteriormente l’instabilità dell’area. E’ evidente che occorrerebbe una capacità di intervento ben più pro-‐fonda ed incisiva per avviare un per-‐corso di rinascita della regione. Da parte loro gli Stati Uniti, sin da quando è venuto meno il confronto a tutto campo con l’URSS, non hanno
più l’interesse strategico ad impe-‐gnarsi direttamente, né intendono reperire le risorse per farlo. Sarebbe naturalmente, per ragioni storiche e geogra7iche, e per ragioni di evidenti interessi economici e politici, compi-‐to degli europei cercare di stabilizza-‐re l’area; ma la mancanza di unità politica fa sì che non esista una poli-‐tica estera e di sicurezza europea, e ancor di più implica che l’Europa non abbia gli strumenti per essere un punto di riferimento politico.La divisione degli europei sta co-‐stando molto ai cittadini del vecchio continente in termini economici e sociali; ma sta costando molto anche a tante aree del mondo che bene7ice-‐rebbero di una presenza politica eu-‐ropea e del suo supporto, prima fra tutte l’Africa. Speriamo che se mai gli europei riusciranno a dar vita ad una vera federazione per queste tormen-‐tate regioni non sia ormai troppo tardi, e che non si crei una situazione di caos irreversibile nei prossimi decenni.
Giacomo Ganzu
La divisione degli eu-ropei sta costando
molto ai cittadini del vecchio continente in termini economici e sociali; ma sta co-
stando molto anche a tante aree del mondo che beneficerebbero di una presenza poli-
tica europea.