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POLITICA AGRICOLA INTERNAZIONALE n. 4/2003 LE DENOMINAZIONI GEOGRAFICHE NEL SUPPORTO ALL’AGRICOLTURA MULTIFUNZIONALE Giovanni Belletti * Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze Abstract The multifunctionality of agriculture represents a problem of public policy when it comes from the joint production of commodity and non-commodity outputs. In this situation a market failure arises: in fact the non-commodity output level of production is sub-optimal compared to the socially desirable one. The solution to this market failure requires the enforcement of an appropriate principle of internalisation. An increasing attention is paid to the consumer-pays principle, which is based on the internalisation of non-commodity output production costs by the firm producing the commodity good; the firm can then recover these costs by means of the price of the (commodity) good or of a service linked to the non-commodity output. The problem is hence a reform of market institutions allowing the signalling of the specific attributes of the commodity output and/or of its production process or production system. In this way the market can indirectly remunerate the non-commodity outputs linked to the commodity ones. As far as this issue is concerned, the paper analyses the case of traditional cultivation and processing agro-food systems, where the commodity output is a typical agro-food product. The paper discusses opportunities and limits of geographical designations (EU Reg. 2081/92) as a tool for the implementation of the consumer-pays principle, with an empirical reference to the Tuscan extra-virgin olive oil case. The main critical points discussed in the paper are: Can the value created in the market of the typical product compensate for the difference between private benefit and social benefit? Does the value created in the market (by means of the typical product and/or of the services linked to it) remunerate those agents who effectively produce multifunctional goods? Do agents who benefit from the market remuneration have an incentive to the realisation of non commodity outputs? The central role of the code of practice and of the strategy of local actors in which PDO-PGI fits is stressed. JEL: Q18, Q29, D62 * Del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze. E-Mail: [email protected] Una precedente versione del presente lavoro è stata presentata al XXXIX Convegno annuale della Società Italiana di Economia Agraria (Firenze, 12-14 settembre 2002) nell’ambito del Gruppo di lavoro “Risorse e Sostenibilità” coordinato dal prof. Leonardo Casini.

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POLITICA AGRICOLA INTERNAZIONALE n. 4/2003

LE DENOMINAZIONI GEOGRAFICHE NEL SUPPORTO ALL’AGRICOLTURA MULTIFUNZIONALE Giovanni Belletti* Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze Abstract The multifunctionality of agriculture represents a problem of public policy when it comes from the joint production of commodity and non-commodity outputs. In this situation a market failure arises: in fact the non-commodity output level of production is sub-optimal compared to the socially desirable one. The solution to this market failure requires the enforcement of an appropriate principle of internalisation. An increasing attention is paid to the consumer-pays principle, which is based on the internalisation of non-commodity output production costs by the firm producing the commodity good; the firm can then recover these costs by means of the price of the (commodity) good or of a service linked to the non-commodity output. The problem is hence a reform of market institutions allowing the signalling of the specific attributes of the commodity output and/or of its production process or production system. In this way the market can indirectly remunerate the non-commodity outputs linked to the commodity ones. As far as this issue is concerned, the paper analyses the case of traditional cultivation and processing agro-food systems, where the commodity output is a typical agro-food product. The paper discusses opportunities and limits of geographical designations (EU Reg. 2081/92) as a tool for the implementation of the consumer-pays principle, with an empirical reference to the Tuscan extra-virgin olive oil case. The main critical points discussed in the paper are: Can the value created in the market of the typical product compensate for the difference between private benefit and social benefit? Does the value created in the market (by means of the typical product and/or of the services linked to it) remunerate those agents who effectively produce multifunctional goods? Do agents who benefit from the market remuneration have an incentive to the realisation of non commodity outputs? The central role of the code of practice and of the strategy of local actors in which PDO-PGI fits is stressed. JEL: Q18, Q29, D62

* Del Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze. E-Mail: [email protected] Una precedente versione del presente lavoro è stata presentata al XXXIX Convegno annuale della Società Italiana di Economia Agraria (Firenze, 12-14 settembre 2002) nell’ambito del Gruppo di lavoro “Risorse e Sostenibilità” coordinato dal prof. Leonardo Casini.

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1) LA PROBLEMATICA AFFRONTATA E GLI OBIETTIVI DEL LAVORO La multifunzionalità, concetto profondamente connaturato al modello agricolo europeo, consiste nel fatto che la società riconosce all’agricoltura lo svolgimento di un insieme composito di funzioni che si affiancano a quella tradizionale di produzione di beni alimentari e non alimentari destinati al mercato (commodity outputs). Tra tali funzioni vi sono il supporto alla vitalità e allo sviluppo socio-economico delle aree rurali (in special modo di quelle più marginali e svantaggiate) e il mantenimento e la riproduzione dell’ambiente fisico (inquinamento, clima, biodiversità, paesaggio …) e antropico (culture e tradizioni locali nelle loro varie manifestazioni), oltre che la sicurezza alimentare, l’igiene e la qualità dei prodotti, la varietà dell’alimentazione1. Il riconoscimento e gli stessi contenuti della multifunzionalità dell’agricoltura sono determinati dall’evoluzione della sensibilità sociale che si registra nei Paesi caratterizzati da elevati livelli di reddito, formazione culturale e conoscenza. In essi infatti fasce sempre più ampie di cittadini sviluppano una pluralità di dimensioni di valutazione sui diversi modi di “fare agricoltura” (non più solo relative alla quantità e qualità intrinseca dei prodotti), le quali si riflettono sulle scelte di consumo nonché sulla funzione di benessere sociale che orienta le azioni del decisore pubblico nella formulazione delle politiche settoriali. Se ci si allontana da un approccio «tattico» alla multifunzionalità (l’agricoltura è per sua natura multifunzionale e dunque è meritevole di per sé di un sostegno: posizione assunta da diversi governi) e la si interpreta invece come referenziale settoriale in base al quale improntare una trasformazione dei comportamenti delle imprese in base alle nuove attese della società (Allaire e Dupeuble, 2002), ne deriva una esigenza di revisione delle politiche pubbliche non solo in termini di spostamento di risorse tra il primo e il secondo pilastro della Politica agricola comune, ma anche di individuazione dei principi e degli strumenti più appropriati per il sostegno all’agricoltura multifunzionale. La multifunzionalità rappresenta infatti un problema di politica pubblica in tutte le situazioni in cui essa deriva dalla produzione congiunta da parte del settore agricolo di beni privati, cioè destinati al mercato e da esso remunerabili (commodity outputs, CO), e di esternalità rappresentate da beni e/o servizi « non privati » (non-commodity outputs, NCO), cioè non remunerabili dal mercato a causa del fatto che il loro consumo non è perfettamente escludibile e/o rivale (OCSE, 2001.a)2. Da ciò può derivare un fallimento del mercato, in quanto la produzione di NCO si determina a un livello sub-ottimale rispetto a quello socialmente desiderabile; la correzione delle esternalità richiede di analizzare il tipo di congiunzione tra la produzione del CO e di ciascun NCO ad esso legato, nonché le caratteristiche di bene pubblico possedute dai vari NCO (Vatn, 2000; OCSE, 2001.a). Il presente lavoro analizza legittimità, opportunità e limiti degli approcci di creazione di mercato per gli NCO basati sul principio di internalizzazione consumatore-pagatore e applicati a una particolare tipologia di agricoltura multifunzionale, quella dei sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione che danno luogo a prodotti agroalimentari

1 Per una discussione su tali funzioni si vedano ad esempio Romstad et alii (2000) e OCSE (2001.a). 2 La non escludibilità comporta che, date le caratteristiche fisiche e/o istituzionali (struttura dei diritti proprietà) del bene considerato, è impossibile o estremamente costoso escludere qualcuno dal consumo del bene. La non rivalità comporta che il bene può essere consumato da un dato individuo senza una riduzione della possibilità di consumo da parte di altri individui.

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tipici, discutendo in particolare – con riferimento al caso degli oli extravergini in Toscana – i possibili ruoli delle denominazioni geografiche. 2) MULTIFUNZIONALITÀ, SISTEMI TRADIZIONALI DI COLTIVAZIONE E TRASFORMAZIONE E PRODOTTI AGROALIMENTARI TIPICI La perdita di multifunzionalità dell’agricoltura, in Italia e nell’Unione Europea, è in larga parte derivata dalla crisi dei sistemi tradizionali di coltivazione (IEEP, 1994; Battershill e Gilg, 1998; Caraveli, 2000; Hodge, 2000) e dalla progressiva affermazione di sistemi produttivi di tipo omologato (Basile e Cecchi, 1997), basati sull’adozione di principi di azione e pacchetti tecnologici standardizzati e intensivi. Questi ultimi, se pure hanno consentito il soddisfacimento della funzione di alimentazione, determinano una realizzazione sub-ottimale di funzioni congiunte rispetto agli obiettivi di benessere sociale in quanto non garantiscono il processo di riproduzione delle risorse basato sulla adattabilità delle varietà coltivate (e delle specie allevate) e delle relative tecniche alle specificità degli ambienti in cui il processo produttivo viene svolto. Nelle situazioni, frequenti soprattutto nelle aree marginali, in cui la specificità delle risorse impiegate nell’agricoltura tradizionale comporta una loro intrasferibilità in modelli omologati e/o in altri settori economici, si rileva la permanenza di sistemi tradizionali di coltivazione e di trasformazione di prodotti agroalimentari, il cui mantenimento è assunto come obiettivo socialmente desiderabile dall’operatore pubblico in considerazione della molteplicità delle funzioni, ovvero dei non-commodity outputs (NCO), che tali Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione possono garantire accanto a quella di produzione del bene primario. Quest’ultimo in taluni casi possiede i caratteri di prodotto “tipico”, cui fasce più o meno ampie di consumatori attribuiscono valore in virtù della provenienza da uno specifico contesto territoriale e che per questo viene identificato anche nelle transazioni commerciali con il nome geografico dell’area di produzione; in tale contesto il nome geografico svolge la funzione di indicatore sintetico della qualità del prodotto e del processo produttivo che lo origina. Di norma la multifunzionalità dei Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione deriva da un sistema complesso di relazioni tra produzione agricola, fattori e metodi produttivi impiegati, e caratteristiche naturali e umane dell’ambiente locale, così come dalla complementarietà dell’azione di numerosi soggetti. La rilevanza della dimensione collettiva determina problemi di scala (perché i NCO vengano prodotti è necessaria la partecipazione di un certo numero di soggetti rispetto al totale di quelli operanti nel territorio) e problemi di coordinamento delle azioni dei singoli individui coinvolti nella produzione dei NCO.

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3) IL PRINCIPIO CONSUMATORE-PAGATORE NEL QUADRO DELL’INTERVENTO PUBBLICO A SOSTEGNO DELLA MULTIFUNZIONALITÀ 3.1. La legittimità del sostegno ai Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione per la promozione della multifunzionalità Il carattere di complessità dei Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione non riguarda solamente la sfera del funzionamento interno (sistema di relazioni tra attività agricole e risorse locali, molteplicità dei soggetti coinvolti), ma anche quella degli output da essa generati. Di norma infatti i Sistemi tradizionali di coltivazione generano congiuntamente allo svolgimento dell’attività agricola una pluralità di NCO tra loro interdipendenti3; tali NCO hanno carattere collettivo in quanto derivano dall’interazione di numerosi agenti (imprese, ma non soltanto), e alcuni di essi sono di misurazione particolarmente difficile e costosa a causa della loro natura immateriale e/o complessa (si pensi ad esempio alle funzioni di valenza socio-culturale svolte nell’ambito dei Sistemi tradizionali). L’interdipendenza tra le diverse funzioni di tipo non-commodity output e la presenza di elevati costi di transazione pongono in questione la validità di alcuni principi standard di disegno delle politiche ambientali, e in particolare quello del direct targeting di ciascuna misura ambientale a uno specifico obiettivo misurabile4. Dal punto di vista economico ciò rende il supporto al mantenimento di un Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione una soluzione potenzialmente preferibile al supporto a ciascuna delle singole funzioni di tipo NCO da esso svolte, il che autorizza a discuterne i presupposti, i principi di applicazione e i possibili strumenti da impiegare. 3.2. I presupposti del sostegno ai Sistemi tradizionali: produzione congiunta e esternalità Le diverse tipologie di strumenti utilizzabili per risolvere il fallimento del mercato relativo alla produzione congiunta di output di tipo commodity e non-commodity sono inserite nella seguente equazione che rappresenta il problema di ottimizzazione di un’impresa agricola operante nell’ambito di un Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione (Romstad et alii, 2000):

( ) ππθ

θ ≥++−+Δ+Δ+=⎭⎬⎫

⎩⎨⎧

LSazyCzpypzy

Maxzyqs ),(1

,, (1)

dove y e yp rappresentano i vettori delle quantità e dei prezzi di mercato dei CO, sΔ un sussidio di prezzo ai CO e qΔ un premio di prezzo che il prodotto può ottenere sul mercato grazie alla qualità differenziale originata dalla presenza di NCO; z e zp sono 3 “The protection of certain land uses and a wider conception of landscape becomes interrelated with the protection of rural culture and societies more generally” (Hodge, 2000, p.261). 4 Vatn (2000, pp.13-14) rileva come “if increased precision increases transaction costs more than what is gained in environmental quality, claiming high precision may make a specific policy inefficient (Pareto irrelevant). One should, however, not stop searching for alternative policy options when experiencing such a situation. Instead there may exist large domains where net gains exist if one is willing to reduce somewhat on the claims of precision ... It may be less costly to structure the policy such that two goals that are positively related are obtained by the way of only one measure. Reduced transaction costs may more than pay for the implied reduction in precision.” (Vatn, 2000, pp.13-14).

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vettori di quantità di NCO e di relativi pagamenti diretti; θC è la funzione di costo relativa alla tecnologiaθ ; a un pagamento per ettaro e LS un trasferimento forfetario; e π il reservation profit dell’agricoltore. Le variabili sΔ , qΔ , a e LS , pur non direttamente finalizzate a specifici obiettivi multifunzionali, possono essere impiegate nell’ambito di politiche rivolte a preservare la multifunzionalità dei Sistemi tradizionali di coltivazione (vale a dire rivolte a garantire un livello ottimale di NCO) a seconda del tipo e della forma della relazione che lega la realizzazione dei NCO alla produzione del CO. Tale relazione può essere ricondotta a tre tipologie: (a) di indipendenza, (b) di produzione congiunta stricto sensu, o (c) di complementarietà (Pilati e Boatto, 1999; Romstad et alii, 2000; OCSE, 2001). Nel caso (a) la realizzazione del NCO non ha relazioni con quella del CO, anche se può essere effettuata all’interno di un’azienda agricola (ad esempio la preservazione di fabbricati rurali di pregio); nel caso che il NCO sia fornito a un livello insufficiente la sua realizzazione può essere affidata anche ad imprese non agricole5 Nel caso (b), dato un input non-allocabile, risulta impossibile produrre il CO senza la produzione simultanea del NCO (dNCO/dCO > 0). La relazione tra CO e NCO è cioè rigidamente determinata dalla tecnologia esistente, ed è possibile ottenere il livello desiderato di multifunzionalità (NCO) garantendo la produzione di un corrispondente livello di output principale (CO). Ciò legittima un sostegno del NCO mediante interventi accoppiati rispetto al CO; infatti anche nel caso in cui il NCO sia osservabile e misurabile, un sostegno parametrato al livello di NCO effettivamente conseguito genererebbe costi di transazione addizionali e dunque una perdita di benessere. Nel caso (c) di complementarietà, data la quantità di un input x, un aumento nella produzione del CO aumenta la possibilità di produrre il bene NCO6. In questa situazione la multifunzionalità non è l’effetto di una rigidità tecnologica bensì deriva da una scelta delle imprese del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione, le quali (anche a tecnologia data) possono allocare diversamente i fattori disponibili conseguendo un diverso mix di CO e NCO. Dunque un sostegno del NCO mediante misure accoppiate al CO (sostegno del prezzo del prodotto agricolo) incentiva l’incremento delle rese e può comportare l’abbandono delle tecniche tradizionali7, mentre gli altri strumenti indicati nella (1) sono potenzialmente efficienti a questo fine. Nella realtà la relazione tra CO e NCO assume spesso forme intermedie rispetto alle tipologie esposte risultando variabile al variare del livello di produzione del CO (Gatto e Merlo, 1999; Hodge, 2000; Romstad et alii, 2000), e comunque presenta caratteri specifici per ciascun NCO e nei diversi territori; ciò ne richiede un’attenta valutazione preliminare all’adozione delle politiche di intervento. Un secondo aspetto fondamentale per il disegno di strategie di sostegno alla multifunzionalità dei Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione è quello della

5 Anche quando la separazione del NCO dal CO risulta possibile è necessario però valutare attentamente non solo la sua convenienza economica ma anche gli effetti che essa può comportare sulla “qualità” della funzione NCO considerata (ad esempio la conservazione di specie biologiche ex-situ in molti casi non è comparabile con quella in situ svolta con scopi produttivi) nonché le possibili ripercussioni su altre funzioni NCO congiunte. 6 Vale a dire: y = f (z, x11), dy/dz>0 ; z = f (y, x12), dz/dy>0 ; con x = x11+x12. 7 L’uso di strumenti accoppiati potrebbe comunque risultare efficace a condizione di una loro applicazione in ambiti territoriali ristretti caratterizzati da specificità che vincolano le tecniche e il tipo di fattori da impiegare. Anche in questo caso può comunque risultarne difficoltosa la gestione oltre che la compatibilità con il quadro generale dell’intervento pubblico.

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individuazione delle caratteristiche degli NCO rispetto alle dimensioni della escludibilità e della rivalità nel consumo (OCSE, 2001; Merlo et alii, 1999), le quali – data la struttura dei diritti di proprietà – possono impedire la creazione di mercati per la remunerazione degli NCO come alternativa o accompagnamento all’intervento pubblico di tipo diretto (regolazione o incentivi). 3.3. Il principio consumatore pagatore I non-commodity outputs generati dai Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione sono qualificabili come esternalità positive sia sulla base del concetto di reference point (Bromley e Hodge, 1990) che sulla base di comparazioni del tipo with and without8, e richiedono dunque l’adozione di adeguati principi di internalizzazione. Il principio maggiormente impiegato, anche nell’ambito delle misure agro-ambientali dell’UE, è quello del provider-gets che prevede la corresponsione di incentivi pubblici agli agricoltori che realizzano i NCO. Principi alternativi sono il beneficiary-pays e il consumer-pays. Il principio beneficiary-pays (OCSE, 1999 e 2001.c), mutuato dalla finanza pubblica, individua i soggetti su cui grava l’onere della remunerazione del NCO, la quale può essere corrisposta agli agricoltori direttamente dai beneficiari oppure per il tramite dello stato mediante tributi. Il principio consumer-pays9 postula la internalizzazione dei costi del NCO da parte del soggetto che lo realizza e il loro successivo trasferimento sotto forma di un prezzo di un bene o di un servizio collegati al NCO. La completa internalizzazione delle esternalità generate dai Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione in base ai due principi appena ricordati risulta difficoltosa soprattutto per i NCO che hanno elevati valori di non-uso e/o ricadute di tipo globale (cioè all’esterno dell’area di produzione e al limite di portata planetaria), in quanto la presenza di tali componenti non consente di incorporare l’intero valore del NCO nel CO. Risulta infatti difficoltosa l’individuazione dei soggetti su cui far gravare l’onere nel caso di applicazione del principio beneficiary-pays, mentre non vi è coincidenza tra beneficiario del NCO e consumatore del CO o dei servizi legati nel caso di applicazione del consumer-pays. Più in generale, la presenza di elevati valori di non-uso e/o ricadute di tipo globale non rende possibile l’adozione di un corretto processo decisionale per l’allocazione delle risorse aziendali fra i diversi processi produttivi e per lo stesso intervento dell’operatore pubblico (Casini, 2002). Forme di comportamento eticamente motivato possono però contribuire alla correzione delle esternalità generate dall’attività agricola e dunque aumentare l’efficienza (Colman, 1994), anche attraverso un impiego strategico del consumo come mezzo per il raggiungimento di determinati obiettivi sociali. Soprattutto nel campo alimentare è infatti in forte crescita l’attenzione verso gli attributi dei prodotti derivanti dal processo di produzione e dai caratteri del territorio ove la produzione viene realizzata. Nelle società affluenti le considerazioni di ordine etico legate all’ambiente e alla

8 La determinazione del segno positivo o negativo dell’esternalità in questo caso si basa sul confronto degli effetti esercitati nel caso di presenza e nel caso di assenza dell’attività economica di un agente (Hanley et alii, 1998). 9 Nel corso degli anni ’90 il principio consumatore-pagatore è stato oggetto di attenzione da parte di istituzioni internazionali, quali le Nazioni Unite (Conferenza dell’ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo e il relativo documento finale Agenda 21), l’OCSE (OCSE, 1999 e 2001.c) e l’Unione Europea (Commissione UE, 2001).

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sostenibilità dello sviluppo entrano nella funzione obiettivo di un numero crescente di consumatori, i quali tendono ad esprimere una disponibilità a pagare in quanto cittadini e non necessariamente come diretti ed esclusivi beneficiari dei NCO realizzati congiuntamente al bene acquistato, generando quindi esternalità positive di consumo. Facendo riferimento alla (1), il principio consumatore-pagatore può essere concretamente applicato sia attraverso la grandezza zpz (acquisto diretto del NCO da parte dei consumatori su di un mercato completamente separato da quello del CO) 10 che attraverso la grandezza qΔ (acquisto del NCO “internalizzato” come attributo nel CO, con pagamento di un premio di prezzo per la “qualità” del prodotto) (figura 1). Una terza possibilità è rappresentata dall’acquisto di un servizio funzionale alla fruizione del NCO da parte del consumatore (Viaggi e Zanni, 1998): ciò presuppone da parte dell’agricoltore l’attivazione di un nuovo processo produttivo (ad esempio l’agriturismo che beneficia di elementi paesaggistici e culturali presenti nell’azienda e ne consente la fruizione), e quindi specifici investimenti e allocazione di fattori dedicati11. Vanno in questo caso considerati i probabili fenomeni di free-riding su scala locale: se il NCO non è completamente escludibile vi sarà competizione per il suo impiego tra l’agente che lo realizza e altri soggetti locali (agricoli e non agricoli) che ne fanno uso per valorizzare i propri beni o servizi, venendosi a determinare altresì una competizione sul mercato del servizio. Gli strumenti improntati al principio consumatore-pagatore sottintendono un approccio alle problematiche ambientali e al sostegno della multifunzionalità del tipo “di mercato”, secondo una accezione più restrittiva di quella sovente riscontrabile in letteratura, in quanto circoscritta ai meccanismi di tipo bilaterale caratterizzati dall’azione diretta dei consumatori (individuale o collettiva) volta ad incentivare la produzione di NCO mediante pagamenti impliciti od espliciti agli agricoltori (Challen, 2001)12. L’attivazione di mercati legati ai NCO richiede però una adeguata definizione dei diritti di proprietà sull’utilizzazione dei NCO stessi nonché un miglioramento della trasparenza e dell’informazione sui mercati, in modo tale da rendere possibile la segnalazione degli attributi rilevanti ai consumatori “sensibili”; tali aspetti, importanti anche nel caso dei prodotti tipici, rendono spesso necessario un intervento pubblico sulle istituzioni di mercato nonché una azione collettiva degli attori del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione interessato.

10 E’ ad esempio il caso del pagamento di un diritto di accesso da parte del visitatore che voglia fruire di un determinato NCO. 11 Il problema di ottimizzazione richiede l’inserimento di una equazione funzionalmente legata alla (1) tanto sotto il profilo del NCO (che entra come fattore nella nuova equazione) che dell’uso congiunto di fattori produttivi già presenti in azienda. 12 I meccanismi di incentivo di tipo bilaterale caratterizzati dalla presenza di un operatore pubblico (governo o agenzie governative) sono in questa chiave qualificabili come approcci di “quasi mercato”.

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Figura 1 – Livelli locali e globali nella produzione e riproduzione dei NCO e applicazione del principio consumatore-pagatore

Fattori localivs. esterni

Tecniche specifiche vs.generiche

Struttura socio-economica locale

PRODOTTOTIPICO

EFFETTI ESTERNI LOCALI :Sistemi tradizionali di coltivazione,sistemazioni fondiarie particolari,paesaggio e amenità rurali, metodiartigianali, intensità di lavoro,mantenimento di tradizioni…

Non-commodity

output (NCO)

EFFETTI ESTERNI GLOBALI:Effetti sullo sviluppo sociale/rurale,diversità alimentare, diversità biologica,diversità culturale …

LOCALE

GLOBALE

Vendita del NCO in quanto tale

Servizio per lafruizione del NCO

Venditadi unservizio

Vendita del prodotto tipico

LIVELLO LOCALE

LIVELLO GLOBALE

M

E

R

C

A

T

O

Effetti di riproduzione

SISTEMA LOCALE TRADIZIONALEDI PRODUZIONE

Remunerazione / Flussi monetari 4) DENOMINAZIONI GEOGRAFICHE E APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO CONSUMATORE-PAGATORE 4.1. Prodotti tipici e principio consumatore-pagatore La valorizzazione sul mercato del prodotto tipico di un Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione può consentire di remunerare e riprodurre le risorse specifiche locali e le pratiche produttive ad esse connesse, e dunque può rendere possibile la realizzazione dei NCO contribuendo al supporto della multifunzionalità dell’agricoltura. Sul lato della produzione, la specificità dei prodotti tipici si basa su risorse e pratiche produttive locali che hanno mantenuto caratteri di non omologazione grazie alla presenza di vincoli territoriali e ambientali e/o di strutture sociali conservative. Il territorio contribuisce alla qualità del prodotto tipico caratterizzandone non solo gli attributi tecnologici legati alle specificità ambientali (quali caratteri climatici o composizione dei terreni) e quelli derivanti dalle particolari modalità di esercizio del processo di produzione e trasformazione (spesso a loro volta originate dall’adattamento alle particolarità dell’ambiente locale)13, ma anche un insieme di attributi immateriali 13 E’ ad esempio il caso della raccolta anticipata di un prodotto agricolo resa necessaria dal particolare andamento climatico della zona di produzione, o quello dell’impiego di particolari tecniche di salatura

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derivanti da aspetti specifici del contesto produttivo (quali paesaggio o presenza di attrattive ambientali, cultura locale, gastronomia) che in alcuni casi possono essere valutati dal consumatore anche indipendentemente dal prodotto (ad esempio l’acquisto del prodotto tipico per sostenere un particolare modello produttivo di tipo artigianale o una alternativa al processo di industrializzazione dell’alimentazione). Taluni di questi attributi in alcuni casi possono essere fruiti solamente consumando il prodotto tipico all’interno della sua area di produzione. Questa ideale scomposizione degli attributi di qualità del prodotto tipico trova una corrispondenza a livello di creazione del valore sia sul lato del consumatore che del sistema di offerta (figura 2). Il valore complessivo del bene percepito dal consumatore è infatti articolabile in due componenti: il valore del prodotto in quanto tale e il valore derivante da specifici aspetti del territorio di origine e connessi alle funzioni congiunte svolte nell’ambito del Sistema tradizionale di coltivazione (e ai relativi non-commodity outputs). Sul lato dell’offerta il prezzo complessivo ottenuto dal produttore per il prodotto tipico può essere idealmente suddiviso tra una componente relativa agli attributi di conformità del prodotto, la cui entità è parametrata al prezzo di prodotti della sua stessa categoria merceologica che rispondono alla medesima funzione d’uso, e un sovrapprezzo derivante dalla particolare origine territoriale del prodotto stesso. La qualità differenziale del prodotto tipico percepita sul lato del consumo è connessa dunque anche alla presenza di un insieme di NCO, da cui deriva il premio di prezzo legato all’origine che può consentire la remunerazione degli stessi NCO. In questa chiave un importante ruolo di supporto alla valorizzazione del prodotto tipico può essere svolto dalle denominazioni geografiche (denominazioni di origine protetta – DOP - e indicazioni di origine protetta - IGP), introdotte dal Reg.(CE)2081/92. Figura 2 – Attributi del prodotto tipico e creazione del valore

Attributiintrinsecimateriali

Attributi intrinseciimmateriali

Attributiesterni

Attributi“di conformità”

Prezzo “base”

Sovrapprezzoottenuto

dall’origine

Valore attributitoal prodotto inquanto tale

Valore attribuito aspecifici aspetti

del Sistematradizionale e del

territorio diorigine (NCO)

PRODOTTOPRODUTTORE CONSUMATORE

Fonte: adattato da OCSE [1999] necessarie per la preservazione dei salumi in climi caldi.

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4.2. Aspetti critici nell’attivazione di mercati connessi alle funzioni congiunte dell’agricoltura Il sistema di relazioni tra le modalità di percezione del valore da parte dei consumatori, il prodotto tipico e le varie tipologie di funzioni congiunte (NCO) realizzate dai Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione è estremamente articolato e complesso, e diversificato nelle varie situazioni concrete. Ciascun NCO ha delle proprie caratteristiche in quanto bene “non-privato” (livello di escludibilità e di rivalità nel consumo), e dunque per ciascuno di essi non si offrono le medesime prospettive per l’impiego di strumenti basati sul principio consumatore-pagatore. Pur nell’ambito di questa variabilità di situazioni, vi sono tre aspetti critici per la possibilità di successo di una strategia basata sulla remunerazione dei NCO mediante creazione di mercati privati del prodotto tipico: - il valore creato sul mercato è tale da compensare la differenza tra il beneficio privato

conseguito dagli agenti del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione e il beneficio sociale da essi generato?

- il valore creato sul mercato va a beneficio degli agenti che effettivamente producono i NCO legati al prodotto tipico?

- gli agenti che percepiscono della rendita di origine hanno un incentivo alla prosecuzione della produzione dei NCO?

Le Denominazioni geografiche rappresentano un possibile strumento per migliorare la valorizzazione del CO, e dunque delle NCO ad esso congiunte, in quanto esse possono intervenire in senso positivo sui tre aspetti critici sopra presentati; allo stesso tenpo esse presentano però un insieme di problemi. Contributi positivi ed aspetti problematici delle Denominazioni verranno discussi nel paragrafo successivo con riferimento al caso degli oli extravergini della Toscana. 5) GLI OLI EXTRAVERGINI DI OLIVA IN TOSCANA 5.1. Caratteri e funzioni congiunte dell’olivicoltura toscana L’olio di oliva è una delle produzioni tipiche per eccellenza della Toscana, caratterizzata da una grande diffusione e da una forte connessione con la cultura locale e con gli assetti del territorio. L’olivicoltura toscana si trova in condizioni di svantaggio naturale rispetto alle zone di maggior produzione, a causa sia delle condizioni climatiche (specie nelle zone interne) che della giacitura dei terreni, da cui derivano costi di produzione molto elevati ma anche un insieme di funzioni congiunte di segno positivo. In effetti i modelli di gestione della coltura prevalenti nella regione sono quello della olivicoltura tradizionale (impianti a densità di impianto bassa e con prevalenza di piante anziane, ubicati in terreni ad elevata declività spesso terrazzati, con bassa o nulla somministrazione di input chimici e un elevato fabbisogno di lavoro per le varie operazioni colturali) e della olivicoltura semi-intensiva (che a differenza di quella tradizionale ha una densità di impianto più elevata e prevede un uso più sistematico di fertilizzanti di sintesi e pesticidi, un controllo della vegetazione spontanea e più

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frequenti lavorazioni del suolo), mentre è quasi del tutto assente l’olivicoltura intensiva moderna (caratterizzata da densità di impianto molto elevata, irrigazione, meccanizzazione delle operazioni colturali e della raccolta) (Beaufoy, 2001; Omodei Zorini, 2001). Una parte significativa dell’olivicoltura toscana contribuisce al mantenimento della biodiversità (preservazione di specie autoctone e della varietà degli agro-ecosistemi) e del paesaggio, alla gestione del suolo e delle acque soprattutto nelle aree collinari, ed esercita effetti positivi di tipo socio-economico (l’olivicoltura in molte aree marginali rappresenta una delle poche alternative colturali disponibili), sulla diversità alimentare e sul mantenimento delle tradizioni locali14. L’olivicoltura toscana ha attraversato a partire dagli anni ’80 una fase di grave difficoltà dovuta al venire meno delle tradizionali forme di collocamento del prodotto ai consumatori locali tradizionali, ai costi di produzione molto elevati determinati dalle particolari condizioni della coltivazione, e alla presenza sul mercato di numerosi oli, anche di marca, che si riferivano scorrettamente alla Toscana o ad altre sue note zone di produzione. Ciò impediva agli oli toscani autentici di far valere la propria origine e provocava un appiattimento dei prezzi percepibili sui canali commerciali di tipo lungo (Belletti, 2001), pregiudicando la stessa sopravvivenza di numerosi Sistemi olivicoli tradizionali di coltivazione e trasformazione dell’olivicoltura toscana. Ne è derivato un insieme di reazioni diversificate nell’ambito dei diversi Sistemi tradizionali: abbandono della coltura, introduzione di modelli di coltivazione di tipo moderno e intensivo (fenomeno comunque limitato ad aree ristrette), e soprattutto attivazione di strategie di valorizzazione del prodotto in congiunzione con le peculiarità del territorio. Tra queste strategie – accanto al ricorso a modalità innovative di vendita diretta o su canali altamente qualificati – un rilievo particolare ha assunto l’impiego delle denominazioni geografiche, volte ad ottenere il riconoscimento di un diritto collettivo di privativa sul nome geografico del territorio di produzione nel quale è incorporata la risorsa collettiva “reputazione del prodotto” (Belletti, 2001). La definizione dei diritti di proprietà sull’asset immateriale “nome geografico”, principale strumento che i produttori del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione hanno a disposizione per segnalare la qualità del loro prodotto specialmente sui canali di tipo lungo, rappresenta un passaggio fondamentale per consentire la percezione della rendita di origine e dunque la remunerazione integrale del processo produttivo, ivi compresa quella dei NCO prodotti congiuntamente al prodotto tipico. Nel corso degli anni ’90 sono state riconosciute in Toscana tre denominazioni (IGP Toscana nel 1998, DOP Chianti Classico e DOP Terre di Siena entrambe a fine 2000), mentre numerose altre sono in corso di riconoscimento o di formalizzazione della richiesta. L’adesione degli olivicoltori è stata molto forte e nel complesso i risultati commerciali positivi. Nel seguito intendiamo evidenziare i contributi positivi e gli aspetti problematici delle denominazioni geografiche nel supporto all’agricoltura multifunzionale, concentrando l’attenzione sui tre aspetti critici connessi alla creazione di mercati privati che sono stati sopra evidenziati. 14 Una analisi empirica degli effetti generati sui NCO in alcune aree della Toscana è svolta nell’ambito del progetto di ricerca comunitario “Definition of a common European analytical framework for the develpment of local agri-environmental programmes for biodiversity and lanscape conservation”, in corso presso il Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Firenze (www.aembac.org).

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5.2. La compensazione del divario tra beneficio privato e beneficio sociale L’ottenimento della IGP per l’olio toscano, grazie prevalentemente a un effetto di ripulitura dal mercato degli oli che riportavano scorrettamente in etichetta il riferimento alla Toscana, ha determinato innanzitutto effetti molto positivi sul mercato in termini di prezzi (tabella 1)15. La IGP ha però anche consentito l’ingresso dell’olio toscano nei canali di tipo lungo (grande distribuzione, anche come prodotto a marchio del distributore) e la penetrazione sui mercati esteri, eliminando i problemi di invenduto che in precedenza erano divenuti in alcune annate anche molto significativi. Positivi sono anche i risultati conseguiti dalle denominazioni Chianti Classico e Terre di Siena, nonostante la loro più recente entrata in funzione. Tab.1 – Andamento dei prezzi medi di campagna all’ingrosso sulla piazza di Firenze, valori assoluti e rapportati alla quotazione del prodotto provenienza Puglia 92/93 93/94 94/95 95/96 96/97 97/98 98/99 99/00 00/01 01/02Prezzi (Euro/q.le) IGP Toscano - - - - - - - 570 626 654Produzione locale (prov. FI) 468 516 509 476 518 575 582 365 366 n.d.Provenienza Puglia =100 IGP Toscano - - - - - - - 2,34 2,44 2,15Produzione locale (prov. FI) 1,77 1,76 1,52 1,11 1,28 2,05 1,97 1,50 1,42 n.d.Produzione Lazio 1,22 n.d. 1,10 1,02 1,13 1,30 1,56 1,54 1,61 1,30Produzione Spagna 1,03 1,05 1,06 0,91 0,96 1,06 1,06 1,15 1,22 1,06NOTA: Per la produzione toscana (IGP e locale): prezzi per partite di prodotto sfuso dal produttore, acidità max 1%, franco luogo di produzione o grossista. Per le altre provenienze: acidità max 1%, prezzi franco arrivo in cisterna. Fonte: elaborazioni su dati Camere di Commercio di Firenze Risulta invece difficoltosa la valutazione del livello di compensazione tra beneficio privato e beneficio sociale raggiunto grazie alle denominazioni, cioè la determinazione di quanta parte del valore economico totale generato dai Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione sia remunerata dai nuovi livelli di prezzo. In generale il consumatore, nella misura in cui beneficia e/o percepisce soltanto una parte del valore totale dei NCO, non esprime una disponibilità a pagare tale da remunerare completamente le funzioni congiunte, e in particolare le funzioni di portata più globale (valori di esistenza e di opzione). Le denominazioni hanno comunque contribuito ad evitare l’uscita dalla produzione di numerose aziende, supportando i relativi Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione. Alcune modalità di vendita sul canale breve o diretto, e in particolare la vendita in azienda congiunta ad altri beni e servizi (tipicamente mediante la ristorazione e l’ospitalità agrituristica16) consentono però di comunicare un maggior numero di attributi del prodotto tipico: le strategie di valorizzazione basate sulla logica della “qualità territoriale” risultano dunque in certe situazioni superiori alle strategie di “regolazione della reputazione” basate sull’impiego delle denominazioni (Pacciani et alii, 2001)17. In termini generali quindi il livello di compensazione raggiungibile

15 La tabella 1 si riferisce a transazioni di partite di prodotto sfuso; i prezzi spuntati dagli olivicoltori su altri canali sono di norma più elevati, soprattutto per il prodotto imbottigliato venduto su canali corti. 16 Si vedano ad esempio i risultati dell’indagine svolta da Malevolti (2003) sui rapporti tra turismo e prodotti alimentari tradizionali e tipici in Toscana. 17 Non altrettanto si può dire di altri segni di qualità “unidimensionali”, quali ad esempio il biologico, che nella filiera olivicola toscana non consentono di remunerare i fattori e le tecniche specifiche su base

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dipende fortemente dal tipo di strategia di valorizzazione adottata collettivamente dagli attori locali (Allaire e Belletti, 2002). 5.3. La remunerazione degli agenti che realizzano i NCO L’aumento del prezzo del prodotto tipico non implica la remunerazione delle imprese che effettivamente realizzano i NCO, tenuto conto della eterogeneità dei diversi Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione dell’olivo presenti in Toscana e delle differenze tra gli agenti operanti in ciascuno di essi in termini sia di capacità di accedere alla denominazione che di potere di mercato nell’ambito della filiera del prodotto tipico. In primo luogo, la modifica dei diritti di proprietà sulla risorsa collettiva “nome geografico” può determinare effetti di selezione anche nella sfera interna del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione protetto dalla denominazione, relativamente (Belletti, 2000; Lybbert et alii, 2002): - all’esclusione delle imprese di minori dimensioni e meno professionali, le quali

possono non essere in grado di usufruire della denominazione sia per la loro incapacità a conformarsi alla logica operativa richiesta dal sistema di certificazione della denominazione, sia a causa dei costi fissi connessi all’adeguamento della struttura aziendale al sistema di certificazione (necessità di specifiche professionalità e investimenti), che ancora a causa dei costi fissi di certificazione (derivanti in particolare dalle analisi chimiche e organolettiche), costi che aumentano la loro incidenza per unità di prodotto al diminuire della quantità oggetto di certificazione;

- all’esclusione delle aree più marginali ricomprese nel territorio della denominazione, caratterizzate da condizioni ambientali difficili e costi di produzione più elevati rispetto alle aree più vocate dello stesso territorio;

- all’auto-esclusione delle aree (e delle singole imprese) dotate di maggiore reputazione rispetto a quella media dell’intero territorio tutelato dalla denominazione.

I fenomeni di esclusione possono limitare fortemente l’impatto positivo sul Sistema tradizionale di coltivazione. Nel caso in esame peraltro all’aumento del prezzo degli oli con denominazione è corrisposta una forte riduzione di quello degli oli toscani con caratteristiche simili ma non certificati (tabella 1). Un secondo aspetto da considerare è quello della ripartizione dell’aumento del prezzo finale del prodotto tipico tra le diverse fasi e le diverse imprese che partecipano alla filiera del prodotto. L’aumento di prezzo può essere infatti assorbito da soggetti esterni all’area o da soggetti non coinvolti nella gestione del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione, o comunque può essere ripartito tenendo conto soltanto del contributo dei vari agenti al valore intrinseco del prodotto e non anche del contributo agli effetti esterni. L’obbligo previsto dai disciplinari di svolgere trasformazione e confezionamento nel territorio di produzione consente una maggiore capacità di controllo locale, la quale deve comunque essere rafforzata da forme di organizzazione collettiva delle imprese, necessarie anche per la concentrazione e la qualificazione commerciale dell’offerta18

locale, ma espongono invece il prodotto alla concorrenza di aree di produzione maggiormente vocate. 18 Nella IGP Toscana è centrale in questo senso il ruolo svolto dalla cooperazione (Belletti, 2000 e 2001).

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5.4. La riproduzione dei non-commodity outputs e il ruolo dei disciplinari Anche qualora la compensazione del divario tra beneficio privato e beneficio sociale sia adeguata, e qualora la remunerazione degli agricoltori che realizzano i NCO sia soddisfacente, non è detto che da ciò derivi la riproduzione dei NCO e dunque il mantenimento della multifunzionalità. Salvo che per la vitalità socio-economica delle aree rurali (che le denominazioni toscane hanno certamente supportato), il legame tra remunerazione degli agricoltori e riproduzione dei NCO non è diretto (congiunzione di tipo tecnico) ma passa invece dalla funzione di risposta degli agricoltori stessi all’aumento del prezzo del prodotto tipico. Il caso delle denominazioni toscane degli oli extravergini, a causa della loro recente introduzione, non fornisce sufficienti evidenze empiriche ma consente comunque di sviluppare alcune considerazioni generali. Il mantenimento della multifunzionalità risulta tanto più difficoltoso quanto più i sistemi di produzione del prodotto tipico sono flessibili (meno condizionati dalle specificità del territorio) e/o sono soggetti a pressioni verso l’omologazione. L’aumento della componente qΔ del prezzo del prodotto tipico (premio di prezzo ottenibile sul mercato grazie alla qualità differenziale originata dalla presenza degli NCO) può essere percepito dai produttori come incorporato nel prezzo yp del prodotto stesso e non invece come derivante dalla presenza di attributi legati alla produzione congiunta dei NCO. Ciò determinerà di norma un abbandono delle pratiche tradizionali e una intensificazione delle tecniche a scapito della quantità e qualità dei NCO ottenuti congiuntamente al prodotto tipico. Possono inoltre verificarsi comportamenti del tipo “passeggero clandestino”, volti deliberatamente ad appropriarsi dei benefici collettivi generati dai NCO senza farsi carico della loro riproduzione. Alcuni strumenti basati sul principio consumatore-pagatore consentono forme più o meno dirette di controllo sulla realizzazione dei NCO19 da parte dei consumatori; nel caso delle denominazioni – a causa del canale commerciale di tipo lungo sul quale esse di norma vengono utilizzate – prevale l’autocontrollo dei produttori, che si realizza principalmente mediante la codificazione collettiva nei disciplinari delle pratiche di coltivazione e trasformazione del prodotto tipico. Di norma però i disciplinari attribuiscono importanza agli aspetti di tipo tecnologico che hanno effetti sugli attributi intrinseci del prodotto tipico e dunque sulla costruzione e sul mantenimento della sua reputazione collettiva, piuttosto che agli aspetti legati alla multifunzionalità del Sistema tradizionale di coltivazione che pure concorrono – sia pure in termini meno diretti – alla definizione della qualità complessiva percepita dai consumatori. Ciò non dipende soltanto dalla logica “di filiera” che spesso è alla base della Denominazione (la quale di per sé non consente la creazione di valore per le esternalità ambientali e paesaggistiche generate dal Sistema tradizionale), ma anche dalla presenza di una relazione diretta tra specificazione puntuale di aspetti produttivi e costi di controllo. Per questo anche se le pratiche correntemente seguite nella zona di produzione hanno effetti positivi sui NCO, non si provvede alla loro codificazione nel disciplinare a meno che non siano strettamente funzionali alla qualità intrinseca del prodotto tipico.

19 Ad esempio la vendita diretta in azienda o le forme di community supported agriculture (Challen, 2001), nelle quali il NCO diviene di fatto uno degli elementi oggetto della transazione commerciale.

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L’analisi dei disciplinari degli extravergini toscani conferma quanto detto: le disposizioni relative alle modalità di coltivazione richiamano per lo più in modo abbastanza generico le pratiche “tradizionali” delle varie zone di produzione, e dunque non hanno una reale efficacia nel vincolare i produttori alla realizzazione di NCO (tabella 2). E’ però interessante rilevare come alcune disposizioni, sia pure inserite per i loro riflessi sugli attributi propri del prodotto tipico, codificano pratiche diffuse di interazione tra il sistema di coltivazione e l’ambiente e quindi supportano effetti positivi sui non-commodity outputs (tabella 2): - varietà ammesse e biodiversità vegetale: una delle DOP (Seggiano) prevede la

prevalenza di una varietà tipica della zona, l’Olivastra Seggianese, mentre le altre prevedono un numero ristretto di varietà tipiche delle relative zone. La sola IGP, dovendo applicarsi a tutto il territorio regionale, consente l’impiego di 32 varietà;

- raccolta, qualità dei suoli e biodiversità animale: la raccolta delle olive direttamente dalla pianta e anticipata (entro il 31 dicembre di ciascun anno) esalta le particolarità organolettiche del prodotto tipico, ma ha anche effetti sulla tutela dell’ambiente (Beaufoy, 2001), in quanto non richiede terreni completamente puliti e pianeggianti (necessari invece anche con l’impiego di reti semi-permanenti) e dunque non comporta l’impiego intensivo di erbicidi e/o lavorazioni meccaniche. La permanenza del manto erboso, favorita anche dalle olive cadute sul terreno, preserva inoltre i terreni dall’erosione delle piogge invernali e favorisce la biodiversità animale.

I valori delle rese massime in olive e/o olio stabilite dai disciplinari (tabella 2) non rappresentano invece un limite stringente alla realizzazione di impianti moderni e all’adozione di pratiche più intensive rispetto a quelle attuali. Il disciplinare della IGP Toscana demanda al Consorzio di tutela la determinazione delle rese massime in ciascun anno, in modo da tenere conto dell’andamento della campagna produttiva. Gli altri disciplinari determinano delle rese massime in olive o in olio per ettaro, le quali possono essere espresse in rese ad albero ipotizzando diverse densità di impianto e successivamente confrontate con le rese ad albero medie effettive per comune determinate da AGEA ai fini della corresponsione dell’aiuto alla produzione (tabella 3). Dalla fisiologica alternanza produttiva della coltura consegue l’esigenza di fissare i tetti produttivi nei disciplinari con riferimento alle annate di maggior produzione (“di carica”); nel caso delle DOP Chianti e Siena le rese fissate nei disciplinari sono comunque compatibili anche nelle annate di carica con una elevata densità di impianto20 e con criteri di conduzione di tipo intensivo, cosa che non accade invece per la DOP Seggiano.

20 Si consideri che gli impianti intensivi moderni in Toscana presentano mediamente una densità di poco superiore alle 500 piante/ha, gli impianti tradizionali inferiore alle 300 piante e i vecchi impianti promiscui inferiore alle 100 piante.

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Tabella 3 – Confronto tra le rese massime previste dai Disciplinari e le rese medie effettive da domande di aiuto (campagne 1997/98 e 1998/99, rese per comune) CHIANTI CLASSICO SEGGIANO

Resa da Disciplinare: 650 kg olio/ha * Resa da Disciplinare: 50 q. olive/ha corrispondente a: kg olio

per pianta corrispondente a: kg olive

per pianta- densità di 200 piante: 3,25 - densità di 200 piante: 25,00- densità di 300 piante: 2,17 - densità di 300 piante: 16,67- densità di 400 piante: 1,63 - densità di 400 piante: 12,50- densità di 500 piante: 1,30 - densità di 500 piante: 10,00 Rese medie effettive comunali kg olio

per pianta Rese medie effettive comunali kg olive

per piantamedia zona (biennale) 0,82 media zona (biennale) 6,68max comune/anno 1,20 Max comune/anno 13,77min comune/anno 0,26 Min comune/anno 3,76

(*): con densità superiore a 200 piante. Fonte: elaborazioni su dati AGEA-Agecontrol e Disciplinari di produzione

POLITICA AGRICOLA INTERNAZIONALE n. 4/2003

Tab. 2 – Principali prescrizioni dei disciplinari degli oli extravergini di oliva della Toscana IGP TOSCANO DOP CHIANTI CLASSICO DOP TERRE DI SIENA DOP SEGGIANO DOP COLLI DI MAREMMA

STATO Funzionante Funzionante Funzionante In presentazione In presentazione VARIETÀ DI OLIVO AMMESSE

32 varietà di olivo specificate nel Disciplinare. Altre varietà massimo 5%.

Almeno l’80% di Frantoio, Moraiolo, Leccino, Correggiolo; al massimo 20% di altre varietà.

Almeno l’ 85% di Frantoio, Moraiolo, Leccino, Correggiolo; al massimo 15% altre varietà.

Almeno l’ 85% di Olivastra di Seggiano; al massimo 15% di altre varietà toscane.

Almeno l’ 80% di Frantoio, Moraiolo, Leccino, Pendolino, Canino; al massimo 20% di altre varietà.

ZONA DI COLTIVAZIONE

Delimitata nel Disciplinare in modo descrittivo (quasi tutto il territorio regionale)

Compresa tra le isoiete 650-850 mm. e tra le isoterme 12,5-15 C°. Altitudine superiore a 200 m.

Delimitata in modo descrittivo; ricomprende i territori collinari della provincia di Siena (escluse le aree di fondovalle).

Delimitata in modo descrittivo (otto comuni della zona dell’Amiata, di cui uno compreso solo in parte)

Intero territorio amministrativo della Provincia di Grosseto

MODALITÀ DI COLTIVAZIONE

Condizioni di coltura (sesti di impianto, forme di allevamento e potatura) tradizionali e caratteristicihedella zona e, comunque, atte a conferire al prodotto gli specifici caratteri qualitativi.

Non dettagliate. Esclusi oliveti in fasce del territorio ove non è possibile una corretta conduzione o con caratteristiche del suolo e ambientali dissimili dal resto del territorio. Eslcusi oliveti di nuovo impianto fino al 3° anno dalla piantagione.

Condizioni ambientali e di coltura degli oliveti tradizionali della zona di produzione.

Condizioni di coltura, forme di allevamento e potature delle piante tradizionali della zona di produzione; altre modalità sono ammesse purché non modifichino i caratteri del prodotto.

Condizioni di coltura, forme di allevamento e potature delle piante tradizionali della zona di produzione; altre modalità sono ammesse purché non modifichino i caratteri del prodotto

RESE MASSIME Definite ogni anno a seguito delle rilevazioni effettuate dalle Associazione dei produttori riconosciute e/o dal Consorzio di tutela.

La produzione di olio non può superare 650 Kg./ha per oliveti con densità superiore alle 200 piante/ha. Se la densità è minore max 3,25 Kg/pianta.

La produzione di olive non può superare 30 kg a pianta, e comunque i 12.000 kg per ettaro.

La produzione di olive non può superare 5.000 Kg./ha.

La produzione di olive non può superare 5.000 Kg./ha

RACCOLTA DELLE OLIVE

Direttamente dalla pianta con mezzi meccanici o brucatura

Staccate direttamente dalla pianta e raccolte eventualmente su reti o teli.

Raccolte direttamente dalla pianta. Staccate direttamente dalla pianta. Staccate direttamente dalla pianta.

EPOCA DI RACCOLTA Stabilita annualmente dal Consorzio. Entro il 31 dicembre di ogni anno. Da ottobre al 31 dicembre. Da ottobre al 31 dicembre. Da ottobre al 31 dicembre. CONSERVAZIONE E TRASPORTO DELLE OLIVE

Non è prevista alcune disposizione. In cassette sovrapponibili forate su 5 lati, in strati max 30 cm; locali freschi e ventilati per max 3 giorni dalla raccolta.

Vietato l’uso di sacchi o balle; conservazione in locali freschi e ventilati e per non più di tre giorni dalla raccolta.

In cassette o altri contenitori rigidi; appositi locali freschi e per non più di tre giorni dalla raccolta.

In cassette o altri contenitori rigidi, vietato uso di sacchi o balle; appositi locali freschi e per max 3 giorni dalla raccolta

FRANGITURA Con processi meccanici e fisici, dopo un lavaggio delle olive a temperatura ambiente. Non è previsto un termine massimo entro il quale frangere le olive dopo la consegna al frantoio.

Con processi meccanici e fisici, dopo lavaggio delle olive. Temperatura max della pasta di olive = 28°. Frangitura entro 24 ore dall’arrivo delle olive al frantoio.

Lavaggio delle olive a temperatura ambiente; estrazione mediante processi meccanici e fisici. La frangitura deve avvenire entro 24 ore dal conferimento delle olive al frantoio.

Lavaggio delle olive con acqua a temperatura ambiente; estrazione mediante processi meccanici e fisici. Frangitura entro 24 ore dall’arrivo delle olive al frantoio.

Lavaggio delle olive con acqua a temperatura ambiente; estrazione mediante processi meccanici e fisici. Frangitura entro 24 ore dall’arrivo delle olive al frantoio.

CONFEZIONAMENTO Non è previsto alcun termine; deve avvenire in recipienti idonei di capacità non superiore a 10 litri.

Entro 3 mesi dalla notifica di idoneità, oltre si deve procedere a nuova campionatura. Contenitori di vetro con capacità fino a 5 l.; per confezioni da 3 a 5 l. anche contenitori metallici.

I recipienti devono essere in vetro o lamina metallica con capacità non superiore a litri 5.

I recipienti fino a 5 litri devono essere in vetro; ammesse confezioni da 5 litri anche in lamina metallica

I recipienti fino a 5 litri devono essere in vetro; ammesse confezioni da 5 litri anche in lamina metallica

IMMISSIONE AL CONSUMO

Non è previsto alcun termine. Entro 31/10 dell’anno successivo alla produzione; consumo entro febbraio dei 2 anni successivi alla produzione.

Indicazione in etichetta dell’anno di produzione.

La formazione dei lotti da inviare al consumo è consentita entro 14 mesi dalla data ultima di raccolta delle olive

La formazione dei lotti da inviare al consumo è consentita entro 14 mesi dalla data ultima di raccolta delle olive

CARATTERISTICHE AL CONSUMO

Acidità max (acido oleico) 0,6 %; n. perossidi max 16 meqO2/Kg.; colore dal verde al giallo oro; punteggio panel = 6,5.

Acidità max (acido oleico) 0,5%; n. perossidi max 12 meqO2/Kg.; colore dal verde intenso al verde con sfumature dorate; punteggio panel = o > 7.

Acidità max (acido oleico) 0,5 %; n. perossidi max 12 meqO2/Kg.; colore dal verde al giallo; punteggio panel = o > 7.

Acidità max (acido oleico) 0,5 %; n. perossidi max 12 meqO2/Kg.; colore dal verde al dorato; punteggio panel = o > 7.

Acidità max (acido oleico) 0,5 %; n. perossidi max 12 meqO2/Kg.; colore dal verde al giallo oro; punteggio panel = o > 7.

POLITICA AGRICOLA INTERNAZIONALE n. 4/2003

6) CONCLUSIONI Le denominazioni geografiche rappresentano una modalità di implementazione del principio consumatore-pagatore, e possono contribuire al mantenimento delle funzioni congiunte di tipo non-commerciale svolte dai Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione. Il riconoscimento di una denominazione ridefinisce infatti i diritti di proprietà sulla risorsa collettiva “reputazione” incorporata nel nome geografico dell’area di produzione e migliora il funzionamento del mercato, attraverso una riforma delle istituzioni che lo regolano, in modo da consentire la segnalazione credibile del complesso degli attributi del prodotto tipico. Presupposto essenziale per l’ottenimento della denominazione è dunque l’attivazione di processi collaborativi tra gli agenti del Sistema tradizionale di coltivazione e trasformazione volti alla costruzione di forme locali di governance che consentano l’estrazione della rendita di origine connessa al prodotto tipico, la sua utilizzazione a fini economici e la regolazione e distribuzione degli oneri e dei benefici che ne derivano, migliorando così la possibilità di riprodurre nel tempo non solo il prodotto tipico ma anche gli altri elementi, tra cui i non-commodity outputs ad esso connessi, che ne consentono la valorizzazione. Le denominazioni geografiche non sono però condizione sufficiente per il mantenimento o il miglioramento del livello complessivo di multifunzionalità dei Sistemi tradizionali di coltivazione e trasformazione. Nel caso di successo della strategia di valorizzazione, risultati positivi possono essere ottenuti soprattutto per i non-commodity outputs di tipo socio-economico e per quelli ad essi connessi (mantenimento di culture e tradizioni locali), mentre tutt’altro che scontati sono gli effetti sui non-commodity outputs di natura ambientale e paesaggistica. Gli effetti sulle varie funzioni congiunte dipendono, oltre che dal tipo di relazione che lega commodity e non-commodity outputs, dai caratteri dell’area di produzione e delle imprese in essa operanti e dal tipo di strategia locale di sviluppo in cui la denominazione si iscrive, la quale di riflette sul disegno del disciplinare. L’operatore pubblico può migliorare gli impatti positivi delle denominazioni sulla multifunzionalità non solo favorendo l’accesso delle imprese al loro impiego (formazione degli addetti e aiuto agli investimenti), ma anche stimolando i produttori perché essi integrino i non-commodity outputs nelle strategie di marketing aziendali e collettive in modo da agevolare la differenziazione del prodotto tipico sul mercato e allo stesso tempo da rendere i non-commodity outputs elemento essenziale del suo processo di valorizzazione. Tale risultato può essere favorito e potenziato anche mediante strategie collettive di sviluppo territoriale di più ampia portata, che lo stesso operatore pubblico locale può supportare favorendo i processi di auto-organizzazione degli attori coinvolti in modo tale da ridurre i problemi di carenza e asimmetria informativa, di coordinazione delle decisioni e di controllo dei comportamenti (Romano, 1998). Nonostante i limiti evidenziati e l’esigenza di essere inserite in una strategia collettiva di maggior respiro, il ricorso alle denominazioni per il supporto alla multifunzionalità, e in generale agli strumenti basati sul principio consumatore-pagatore e sul ricorso al mercato (Gustafsson, 1998), deve essere attentamente considerato dall’operatore pubblico prima di analizzare strumenti di incentivazione ispirati a principi diversi (Rege, 2000), i quali di norma risultano comunque necessari in special modo per le funzioni con ricadute su scala globale non remunerabili sui mercati privati.

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Ciò senza dimenticare l’esigenza prioritaria di rendere più compatibili le politiche di mercato con la multifunzionalità: nel caso dell’olio di oliva il disaccoppiamento previsto dal progetto di riforma della Organizzazione comune di mercato potrà consentire una modulazione degli aiuti legata alle funzioni non-commerciali svolte da alcune componenti marginali dell’olivicoltura, tenuto conto del fatto che esse in aree come la Toscana vanno a beneficiare in termini di immagine e reputazione anche le produzioni regionali praticate in condizioni ambientali più favorevoli. Bibliografia Allaire, G., Belletti, G. (2002) - Multi-functionality and the role of qualities related to

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