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Le favole di nonna Graziella di Graziella Alga www.piazzadelgrano.org

Le favole di Nonna Graziella

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Mensile d'informazione politica e cultura dell'Associazione comunista "Luciana Fittaioli" con sede a Foligno (PG)

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Le favole di nonna Graziella

di Graziella Alga

www.piazzadelgrano.org

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Care amiche,eccomi di nuovo qui a scrivere unlibro. Questa volta non ci sarannoda leggere consigli per voi ma unaraccolta di favole dedicata alla mianipotina Matilde.Fin da quando era piccolina la bimbami ha chiesto di raccontarle dellefavole ed io, per accontentarla, misono inventata storie di draghi, diconigli, di galline ecc.Vedendo che le piacevano tanto eche ancora adesso continuano apiacerle, ho pensato di immortalarlein un libro, così quando sarà grande,potrà raccontarle ai suoi figli e sa-rà un ricordo in più che le rimarràdella sua cara nonnina.Tra una favola e l’altra scriverò an-che due racconti per adulti, cosìaccontenterò grandi e piccini.

02-06-2009 Graziella Alga pag. 3

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IL GATTINO GIUSTOLOE MAMMA RINA

C’era una volta un bel gattino di no-me Giustolo.Era di un colore rossiccio ma sullaguancia destra spiccava una mac-chia marrone e sotto il collo unastriscia bianca tutta frastagliata.Era cosi bello e tenero da sembrareun peluche e lui viveva felice e se-reno con la mamma Rina che, perquanto lo amava, esaudiva tutti isuoi desideri e i numerosi capricci.Passava le sue giornate correndo eacchiappando farfalle ma quandoaveva fame non c’era nessuno chepoteva fermarlo e più cresceva, piùdiventava noioso.Infatti, ogni cinque minuti gridava:“mamma voglio il latte, mamma vo-glio il latte”!

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Mamma Rina era tanto buona e perfarlo stare zitto, cercava sempre diaccontentarlo; un bel giorno però,sentendolo continuamente gridare “mamma voglio il latte,mamma voglioil latte”, non resistette più e pren-dendolo per un orecchio gli disse:“se ti sento ancora pronunciarequeste parole, ti metto in punizionein cantina per sei ore”.Giustolo non avrebbe mai credutoche mamma Rina sarebbe arrivata atanto così continuava ad esseresempre più noioso e sempre affa-mato fin quando la mamma, non po-tendone più, lo prese in braccio,loportò davvero in cantina, lo mise inun cestino e gli disse: “ora non timuovere da qui, rimarrai per sei orein punizione e guai a te se ti sentomiagolare; quando saranno passatele sei ore, ti verrò a prendere e saròio che deciderò quando sarà il mo-mento di mangiare”! Mamma Rina

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uscì e lui rimase al buio solo soloma non provò neanche a piangereperché si rese conto di aver vera-mente esagerato e triste triste siaddormentò finchè non sentì la vocedella mamma che lo chiamava. Si al-zò di scatto, corse ad abbracciaremamma Rina e le disse: “da oggi inpoi non ti farò più arrabbiare, faròsempre quello che mi dirai perché inpunizione non ci voglio più andare”!La mamma, commossa, lo abbracciòforte, lo attaccò al seno e final-mente gli diede una bella poppata dilatte e gli pulì il suo bel visino.

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ANNA, BAMBINA CAPRICCIOSA

Anna era una bambina bellissima mamolto capricciosa.Andava a scuola ed era la più bravatra tutte le sue compagne ma avevaun grande difetto: non smetteva maidi chiacchierare e appena finiti icompiti,si alzava continuamente di-sturbando i suoi amici. Un giorno lamaestra, non potendone più, mandò achiamare i suoi genitori.I poverini sapevano che Anna in ca-sa era molto vivace ma non immagi-navano che anche a scuola distur-basse tanto e così promisero allamaestra di farla ragionare cercandodi calmarla un pochino. Purtroppoperò le dolci parole dei genitori nonvalsero a nulla, né ebbero l’effettodesiderato le tenere coccole che lefacevano continuamente così, con

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grande dispiacere, decisero di punirlanon facendole vedere per due sereconsecutive i cartoni animati che lepiacevano tanto.Anna, sentendo ciò, non si scompo-se, anzi, fece finta di niente e pro-pose alla mamma di apparecchiare latavola e di aiutarla a preparare la ce-na. La mamma, tutta contenta, lefece mettere il grembiulino e le in-segnò ciò che doveva fare ma Anna,che era rimasta molto male per lapunizione avuta, cominciò a giocarecon i cuscini buttando tutto all’aria; poi voleva giocare con i coltelli,con i bicchieri e con le bottigliecosicché la mamma, impaurita, cer-cò di prenderla per un braccio ma labambina si divincolò così repentina-mente che cadde a terra battendo lamanina in un bicchiere rotto cadutoprecedentemente.La bambina, vedendo che si era fattaun taglio sulla mano e che il sangue

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affluiva abbondantemente, cominciòa piangere sommessamente e scossadai singhiozzi andò di corsa a rifu-giarsi nelle braccia della mammache la cullò come una neonata e latranquillizzò dicendo che non eraniente di grave e che da lì a qualchegiorno tutto si sarebbe risolto.Per sicurezza la portarono al pron-to soccorso e Anna, mentre andava-no all’ospedale, non smise mai diparlare e mentre si trovava fra lecalde braccia della madre, promise dinon farla più arrabbiare e di essereuna brava bambina in modo che isuoi genitori fossero fieri di lei.Anna cambiò radicalmente e anche ascuola si comportò come una bam-bina modello…forse la lezione le eraservita!

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MAMMA SASCIAE LA PICCOLA AGNESE

“Come è cresciuta la mia bambina ecome è bella”!Era ciò che pensava mamma Sasciavedendo la sua piccola Agnese di dueanni sgambettare qua e là rincorren-do il gattino Zorro.“Mamma mamma”, gridò all’improvvi-so la piccola Agnese, ho fatto lapipì addosso, scusami mamma manon ho fatto in tempo a dirtelo.Infatti erano molti giorni che lamamma le ripeteva continuamente didirglielo e che l’avrebbe messa inpunizione se avesse continuato a di-subbidire, ma Agnese tutta presa daisuoi giochi, se ne dimenticava com-pletamente.La bambina sicura dell’ amore dellamamma pensava:”mia madre mi ama

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così tanto che non farà mai unacosa del genere “!Invece quel giorno, dopo l’ ennesimavolta che l’aveva cambiata, la mammaperse completamente la pazienza eprendendo Agnese per un braccio ledisse;”ora è arrivato finalmente ilmomento della punizione così impa-rerai a dar retta a tua madre. Andraia dormire per due ore nel tuo lettoe non voglio sentirti frignare”.“Mamma, io non ho sonno”ripetevaAgnese tra le lacrime, ma la mammanon volle sentire ragioni e dicendoleche l’avrebbe svegliata lei, chiuse laporta alle sue spalle e andò in cuci-na a preparare la cena.Fu piccola la punizione che inflis-se alla bambina ma le fece capireche non sempre si può giocare.Infatti da quel giorno tutto cam-biò, la bambina crescendo divennepiù responsabile e ubbidiente con lagioia di mamma Sascia che la copriva

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continuamente di baci.

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LA PRINCIPESSA FIORELLINA

C’era una volta una principessa dinome Fiorellina.Era tanto bella ma tanto cattiva. Vi-veva in una bellissima reggia con tan-ti servitori e molti gattini ma tuttila temevano perché gli faceva conti-nuamente tanti dispetti.Così quando la vedevano arrivare, sisparpagliavano qua e là evitando diincontrarla.Uno dei servitori che si chiamavaArmando, cercava di addolcirla contante buone parole, ma lei rispondevasempre con fare altezzoso e lotrattava come un demente.Nessuno dei servitori sapeva comeprenderla, ma un bel giorno, mentrela principessa stava a prendere ilsole nel suo giardino fiorito, sentìin lontananza un cavallo che galop-

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pando stava arrivando con in sella ilprincipe Teodoro. La principessa lo guardò e vedendoquel bellissimo ragazzo pensò:”Questo è l’uomo che da tantotempo aspettavo e lui sarà il miosposo”Il principe Teodoro scese da caval-lo, salutò con un inchino la bellis-sima creatura che le stava di frontee le propose di fare un giro con luinella tenuta della principessa.Lei accettò con entusiasmo equando ritornò nella reggia, salutòcon un bacio il principe e entrandoin casa cominciò a canticchiare e avolteggiare nel salone.Urlando di gioia chiamò a se tutti iservitori che rimasero sbalorditi e,impauriti, si presentarono di frontealla principessa ma rimasero fra-stornati vedendola tutta allegra efelice.Disse loro:“Cari servitori, mi voglio

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scusare con voi per come vi hotrattato sino ad oggi ma d’ora in poitutto sarà diverso; sono tanto feli-ce perché mi sono innamorata e vo-glio dividere con voi la mia nuova vi-ta. Oggi preparerete un bel pranzoche consumeremo insieme nellastanza più bella della reggia”.Fu un pranzo memorabile e da quelgiorno cominciarono ad amare cosìtanto la principessa che non la la-sciarono mai sola e esaudirono contanto affetto tutti i suoi desideri.Il principe tornò, chiese la manodella principessa e finalmente dopoil lussuoso matrimonio, la serenitàe la gioia regnò per sempre nella reg-gia.

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MAMMA OLIVAE LE SORELLE GIOCONDA E

ROSSANA

Il pollaio di mamma Oliva si stavarisvegliando, un tenue sole sbucavaall’orizzonte ma appena tutti i com-ponenti del pollaio uscirono all’aperto, si accorsero che era moltofreddo, infatti l’ inverno stava avan-zando. Mamma Oliva “la regina del pollaio”uscì per controllare che tuttofosse in ordine quando volgendo losguardo intorno, si accorse che ilgalletto Marameo stava mogio mo-gio accovacciato vicino al cancello.“Marameo, cosa fai li tutto infred-dolito”?“Mamma Oliva ti prego fammi entra-re, mi hanno cacciato e io ho tantafame”.

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Mamma Oliva si mosse a compas-sione e chiamando ad alta voce lesorelle Rossana e Gioconda disseloro:“Vi prego, aprite il cancello efate entrare Marameo.”Lui, tutto felice, ringraziò e feceuna bella scorpacciata di cibo maappena ebbe riempito lo stomaco,cominciò a rincorrere le galline, leoche, i pulcini e nel pollaio iniziò aregnare il panico.Quando Mamma Oliva si accorse delputiferio che il galletto aveva provo-cato, lo prese per un’ala e lo tra-scinò fuori dal cancello ordinandoglidi non farsi più vedere.Tutto intorno si calmò, fecero in-sieme la colazione e per tutta lagiornata regnò una grande pace.Il giorno dopo come tutte le matti-ne, Mamma Oliva andò a controllarefuori e rivide Marameo che stava alposto del giorno prima. Lei rientrò facendo finta di niente

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ma lo sguardo triste del gallettonon la lasciò neanche un momento esiccome aveva un cuore tanto tene-ro, lo fece rientrare facendogli unabella romanzina.Il galletto promise di comportarsibene, infatti mantenne la promessa eda quel giorno anche lui fece partedel pollaio di Mamma Oliva.I giorni passavano veloci quando unbel mattino si accorsero che inmontagna stava per nevicare.Mamma Oliva, vedendo che l’ invernoera arrivato, chiamò a se tutti glianimali e disse loro: “Cari amici èarrivato il momento di pensare alfreddo che verrà, ora prendete ilcarrello della spesa, dobbiamo farerifornimento perché l’ inverno saràmolto lungo, però prima andremo aprendere la chioccia Susanna che sitrova sola con i suoi pulcini.”Partirono in fila indiana tutti alle-gri,scherzando e ridendo fra loro

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formando una bella famiglia.Arrivati a destinazione videro lachioccia Susanna tutta accovac-ciata che con le sue ali proteggeva ipulcini dal freddo ma quando lorosentirono il chiacchiericcio deinuovi arrivati, uscirono fuori tuttiallegri facendo una grande festa.Mamma Oliva ordinò a Susanna dipartire con loro e felici s’incammi-narono per andare al supermercato afare compere.Riempirono il carrello di tutte lecose che potevano servirgli per l’inverno, poi tornarono nella loro ca-sa felici e contenti.Mamma Oliva con accanto le sorelleRossana e Gioconda si rivolse atutti quanti: “Ora mangeremo insie-me, è stata una lunga e pesantegiornata però sono soddisfatta diaver riunito tutta la nostra fami-glia”.

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UNA GITA IN MONTAGNA

In una bella giornata di primavera,mamma Verca e papà Egetto disseroalla figlia Charlotte: “Vogliamo fareuna passeggiata in montagna?”Charlotte tutta felice si mise asaltare per la gioia e rispose: “Si,andiamo, sono tanto felice, ci diver-tiremo un mondo, ci porteremo an-che il pranzo e faremo un bel pic-nic”.La bambina con la mano nelle manidei suoi genitori si sentiva così si-cura, così serena che guardava contanto entusiasmo tutto ciò che lestava intorno.Mentre percorrevano il viottolo cheli portava in cima, Charlotte si al-lontanò un po’ per cogliere dei fio-rellini da portare alla mamma quandoall’ improvviso le si avvicinò un pic-

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colo angioletto.”Charlotte- le dis-se- non correre troppo qui ci sonodei piccoli sassi che potrebberofarti cadere, quindi ti prego di stareattenta perché la montagna a volteriserva brutte sorprese.”“Grazie angioletto, starò attenta,non ti preoccupare!” E si mise asaltellare qua e là rincorrendo unapiccola farfalla.All’improvviso scivolò in un piccolociottolo ma l’angioletto, che non l’aveva abbandonata un momento, laprese per un braccio e le disse:“Ora va dai tuoi genitori, porta i fio-ri a tua madre e non ti allontanare daloro perché io non posso rimanere,devo andare da altri bambini”.Charlotte ringraziò l’ angelo e dicorsa si rifugiò dai suoi genitoriche la portarono in cima alla monta-gna.Fu uno spettacolo meraviglioso, ilsole si stagliava splendido fra le alte

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montagne, il mare era di un azzurrocosì bello da sembrare un manto divelluto tempestato di pietruzzegialle, riflettendo il sole che sispecchiava nelle acque azzurre.Charlotte non si stancava mai di os-servare il grande spettacolo dellanatura, era entusiasta di ciò che ve-deva intorno e per lei fu una giorna-ta memorabile. Ringraziò i suoi genitori, li abbrac-ciò tanto forte coprendogli il viso dibaci mentre il suo piccolo cuoretraboccava di gioia.

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IL MAIALINO GEPPYE IL CONIGLIETTO GIOSUE’

“Ciao Giosuè, dove vai così allegro”?chiese il maialino Geppy al coni-glietto .“Vedi quel casolare in cima alla col-lina con intorno un bel prato verde?Vado a fare una bella scorpacciatad’erba, perché i miei fratelli che giàsono andati, hanno detto che l’erbadi quel prato è veramente deliziosaed è una squisitezza per il palato”.Il maialino che non guardava mai piùin là del suo muso, rimase scon-certato e, con un po’ d’ invidia, stavapensando a come poterci arrivare,perché anche a lui una bella scor-pacciata di quell’erba lo allettava. All’ improvviso gli balenò un’ idea edisse al coniglietto: “Giosuè, voglia-mo fare una cosa? Partiamo insieme

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e chi arriverà prima mangerà la por-zione più grande!” “Si, - rispose il coniglietto - , perme va bene….uno…due…tre…. via!”Partirono insieme ma il conigliettoche era più agile e piccolo, arrivòprima e quando Geppy, tutto ansi-mante, arrivò nel prato, non trovòneanche un filo d’ erba.Ben gli stava, perché lui, essendopiù grande, pensava di arrivare primalasciando a digiuno il piccolo Gio-suè e triste triste se ne tornò nellasua stalla a stomaco vuoto.Invece Giosuè tutto pimpante egioioso, cominciò a saltare qua e làsoddisfatto e pieno di energia.

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LA STORIA DIGIUSEPPE E ARMADIA

Papà Giuseppe e mamma Armadia,erano sposati da tanti anni e deside-ravano tanto un bambino che non ar-rivava mai.Ma una sera mentre stavano seduti aprendere il caffè in salotto ed eranopiù tristi del solito, sentirono bus-sare alla porta guardandosi sbigotti-ti“Chi sarà mai a quest’ ora”?si chie-sero.Andarono ad aprire e ai loro occhiapparve una fatina tutta vestita d’oro, arzilla e sorridente.“Non siate tristi ragazzi, fra un po’di tempo una cicogna arriverà con ilbimbo che tanto desiderate e final-mente coronerete il vostro sogno.”Fecero entrare la fatina, le offriro-

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no da mangiare e al momento dell’addio la salutarono con un grandeabbraccio.Il tempo passava lentamente per idue ragazzi; essi lavoravano e face-vano tutto ciò che le toccava du-rante la giornata, ma erano diventaticosì apatici e così tristi che face-vano fatica ad arrivare fino a sera.“Perché la fatina ci ha illusi, perchéci ha raccontato cose che neanchelei può realizzare?”-ripetevano con-tinuamente.Ma un bel giorno, mentre stavano ingiardino a piantare dei fiori, videro dalontano una striscia luminosa chescendeva dal cielo lentamente e amano a mano che si avvicinava, rico-nobbero la forma di un corpo didonna. Miracolo!! Era la fatina d’oro che tanto tempo prima era ap-parsa alla loro porta.Ma non era sola, infatti con lei c’era una grande cicogna e sulle ali

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portava un grande cesto. Si posarono a terra e agli occhisbalorditi di Armadia e Giuseppe,dal cesto ricoperto da una candidacoperta, apparve la testolina di unbimbo pieno di riccioli d’ oro.Guardarono la fatina commossi e ledissero: “Pensavamo che ti eri di-menticata di noi”.La fatina rispose “Io, con l’aiutodel Signore, non mi dimentico maidelle promesse fatte ma non è finitaqui, all’ interno del cesto trovereteun’ altra sorpresa”.Infatti un gattino piccolo piccolofece capolino dal cesto con degliocchi così verdi da sembrare duepietre preziose.“Finalmente il vostro sogno si è av-verato” -disse la fatina- , però per-mettetemi che sia io a dare il nomeal bambino e a questo gattino. Ilbambino si chiamerà Rosalino e ilgattino, che diventerà l’ amico di vo-

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stro figlio lo chiamerò Susimbro”.Giuseppe e Armadia rimasero stu-pefatti, non sapevano come ringra-ziare la fatina, ma lei prontamente ledisse: “Non ringraziate me ma ilBuon Dio che ha permesso di darviquesta grande gioia” e, come era ar-rivata, si allontanò sorridendo volan-do verso il cielo.E tutti e quattro vissero felici econtenti.

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IL RITORNO INASPETTATO

Brr.. che freddo. Sento il mio cuo-re gelato , le mie mani come il mar-mo, tutto il mio corpo è freddo co-me le montagne innevate.Come è triste la mia vita!Sono sempre sola a combatterecontro tutto e tutti!Eccolo, anche questa mattina è dinuovo li, vedo il berretto tuttostorto che gli copre anche gli oc-chi, non da segni di vita e io che datre lunghi anni lo vedo sempre allostesso orario e alla stessa posizio-ne penso: Mi riconoscerà, mi vedrà,riconoscerà il suo bambino chetutte le mattine porto a scuola?Riconoscerà me che tutte le seredopo che ho scoperto dove si trova,gli lascio qualcosa da mangiare ca-muffandomi con parrucche e man-

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telli vari? Mio figlio Giacomo spes-so mi chiede:”Mamma chi è quelvecchio che tutte le mattine stasempre al solito posto”?“Non lo so amore, sarà qualcunoche non ha una casa in cui andare.Se sapesse che è suo padre e chequando è nato lui è sparito dalla no-stra vita lasciandoci soltanto unmisero biglietto! Vi amo tanto – di-ceva – ma io non riesco a sostenerequesta vita che per me è diventataasfissiante. Asfissiante, questa parola è stataper me come un pugno nello stoma-co, sembravamo una famiglia unita efelice e nulla faceva presagire ciòche covava nel cuore di mio marito”.Soffrii tanto ma per amore di miofiglio mi rimboccai le maniche, nonavevo nessuno a cui rivolgermi per-ché i miei genitori vivevano lontano,per fortuna una vicina di casa chemio figlio chiamava nonna Marta, ci

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dava una mano, altrimenti neanche iosarei riuscita a continuare la solitavita.Di giorno lavoravo fino allo stremodelle forze per non pensare, maquando arrivava la sera e mi chiudevotra le mura domestiche, la forza miabbandonava completamente.Non mi bastavano più le braccine dimio figlio che mi stringevano tantoforte dicendomi tante paroline dolci,mi mancava mio marito, mi mancava-no le sue calde braccia che mi fa-cevano sentire unica e tanto amata,mi mancava tutto di lui e nella miaanima regnava lo spavento del futu-ro.Mio figlio, quando mi vedeva triste,mi diceva: “Mamma, non essere tri-ste, ci sono io a farti compagnia epoi si sta avvicinando il Natale, noifaremo un bel presepe e sono sicu-ro che arriverà il mio papà per pre-parare l’ albero insieme a noi”.

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Lui sapeva che suo padre faceva ilmarinaio e non poteva tornare quan-do voleva e, non conosceva la verità,perché a lui arrivavano continuamen-te cartoline e lettere da ogni partedel mondo, che io spedivo regolar-mente. Nel suo cuore di bambinoregnava la speranza di vedere suo pa-dre per la prima volta.Mancavano tre sere al Santo Natale,il presepe erapronto di fronte al camino acceso,l’ albero che mio figlio aveva volutocomprare, si trovava in un angolo delsalone pronto per essere addobbato,forse domani lo avremmo decorato,ma sarebbe stata una grande fatica.Giacomo era tutto elettrizzato,guardava con gioia il presepe illumi-nato, tutti i festoni colorati appesialle pareti del salone ed era orgo-glioso di ciò che lo circondava.“Mamma, quando papà arriverà e ve-drà questa meraviglia, rimarrà esta-

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siato!”Stavamo per andare a cena quandoun leggero bussare alla porta ci fe-ce sussultare.“E’ papà, è papà!”- cominciò a stril-lare Giacomo.Con il cuore che batteva all’ impaz-zata andai ad aprire e mi trovai difronte mio marito sciupato esmunto ma tutto in ordine.Con gli occhi lucidi si guardò in-torno e stringendoci in un abbracciosenza fine ci disse: “Sono guarito esono tornato.. per sempre”.Forse Gesù Bambino aveva fatto ilmiracolo.

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QUINTINAA PASSEGGIO NEL BOSCO

Era una domenica mattina. Le cam-pane della chiesa parrocchiale suo-navano a festa invitando tutti i fedelia partecipare alla Santa Messa.Anche Quintina sentì il suono fe-stoso delle campane e pensò: “An-drò a Messa nel pomeriggio cosìquesta mattina approfitterò per fa-re una passeggiata nel bosco e co-glierò anche qualche fungo per ilpranzo”.S’incamminò lungo il sentiero che laconduceva nel bosco; una grandepace regnava intorno, si sentiva so-lamente il rumore delle foglie sec-che che scricchiolavano sotto isuoi passi.Un odore acre di erba calpestata ar-rivava alle sue narici.

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“Come si sta bene qui! Sembra distare in paradiso!” Lentamente siguardava intorno ammirando e con-templando i meravigliosi colori deglialberi autunnali.Mentre vagava qua e là cogliendoqualche fungo, sentì un rumoredietro di lei.Indovinate chi era? Era la lupa buo-na che tutti in paese conoscevano ea cui avevano attribuito il nome diFrizzante perché era sempre allegrae vivace.“Ciao Frizzante, come stai”?- disseQuintina- “e come mai questa mat-tina non stai nella tua tana a guar-dare quei gattini che hai preso conte?”“Ho sentito dei rumori e sono sce-sa per assicurarmi che non fossearrivato il lupo cattivo” rispose lalupa.“Ora vieni con me, ti farò riempire ilcestino di funghi, poi ti porterò

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nella mia tana per farti conosceretutti gli animaletti che vi sono den-tro”.Passeggiando piano piano, arrivaronoalla tana della lupa. Meraviglia!! La tana era piena di gat-tini e di qualche cagnolino e tuttiabbracciati e a pancia all’ aria, dor-mivano beatamente.Come erano belli e teneri!Quando sentirono i nostri rumori, sisvegliarono tutti insieme e ci guar-darono con degli occhi così dolci dasembrare il quadro di un pittore.Cominciarono a giocare tra loro eFrizzante, sdraiata sotto i miei piedi,cominciò a raccontarmi tutte leavventure avute con il lupo cattivoed io rimasi con lei finchè non sentiiil suono delle campane.Salutai la lupa e le promisi che ilgiorno dopo sarei tornata a trovarelei e la sua bella famigliola.Frizzante mi disse: “Se domani verrai

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verso le dieci, ti farò conoscere unbel cacciatore e mi auguro che siail tuo tipo così anche tu verrai atrovarmi tutti i giorni”.Infatti il giorno dopo tornò, fecela conoscenza del cacciatore chesi innamorò perdutamente di lei eanche Quintina provò lo stessosentimento con grande gioia della lu-pa che approvò con tanto entusia-smo il loro legame.Passarono i mesi, gli anni; il caccia-tore e Quintina mantennero la pro-messa di andare dalla lupa tutti igiorni ma in un inverno più freddodegli altri si accorsero che la lupanon aveva più la stessa vivacità diprima.A nulla valsero tutte le accortezzee le cure che le davano, lei dimagrivasempre di più e un bel giorno, allostremo delle forze, riuscì a dire aidue ragazzi: “Non rattristatevi perme, siete stati dei compagni meravi-

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gliosi, per me è arrivata l’ora dell’addio però permettetemi di farviun’ultima raccomandazione: guarda-te i miei animaletti come avete guar-dato me” e chinando il viso dall’altraparte chiuse gli occhi…per sempre.

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RICORDIDI UN TEMPO CHE FU

Sono le ore 23 di un giorno festivo.Fuori c’ è la neve.Sono sola perché mia figlia ventitre-enne è uscita con il suo fidanzato emio marito si è ritirato in camerasentendosi un po’ stanco.Apro leggermente le imposte dellefinestre e vedo un manto di neve chericopre tutto il paesaggio intorno.Sotto la luce dei lampioni la nevebrulica di bianco, il vento continuaad ululare da molte ore, gli alberisembrano staccarsi da terra ma peri miei occhi non è una brutta visio-ne, anzi, vedendo ciò mi sento sere-na, sono al sicuro nella mia bella eaccogliente casa.Il fuoco del camino arde scoppiet-tando e illumina la stanza di una lu-

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ce molto tenue; il caldo dei termo-sifoni si spande nell’ aria ed io, no-nostante mi senta piena di gratitudi-ne per la mia buona sorte,non possofare a meno di ritornare indietro di40 anni.Avevo 13 anni.Era una serata come questa, il fred-do pungente penetrava nelle ossa, lastrada era piena di neve.Era la nevicata del ‘56.Mio padre era a letto con la polmo-nite, la legna scarseggiava e nel ca-mino c’ erano solamente pochi zeppima all’ improvviso, verso la mezza-notte, come per incanto arrivò unfurgoncino pieno di carbone chescaricò in mezzo alla strada perchéper mancanza di catene non riuscivaandare avanti.Per me, mia madre e mia sorella, fuuna grande gioia e anche se si morivadal freddo, ci armammo di coraggio eportammo il carbone nella legnaia.

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Facemmo un gran bel fuoco per lanostra felicità e per quella di no-stro padre che si sentì rassicuratosapendoci al calduccio.Sono passati tanti anni da allora, maquanti ricordi tornano nella nostramente specialmente quando si è so-li!Ricordo come se fosse adesso lamia piccola casa; non era arredatacome ora, c’ era solo il necessarioma quanta felicità, quanto senti-mento scaturivano da quelle mura equante le serate trascorse con miamadre e mia sorella accanto al fuo-co cantando lente canzoni degli annitrenta mentre aspettavamo nostropadre che tornava alle 22 dalla minie-ra!Che immensa gioia sentire la ghiaiascricchiolare sotto i passi che siavvicinavano e quanta dolcezza sen-tivamo mentre ci stringeva in quelcaldo e grande abbraccio.

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Il luccichio dei suoi occhi, la for-za del suo abbraccio è rimasto im-presso nella mia memoria comequalcosa di indelebile e difficilmen-te riuscirò a dimenticare tutta ladolcezza che vedevo in lui.Dedicato a mio padre.

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BIANCHINA E NERA

Bianchina e Nera erano due bambinegemelle. Si rassomigliavano cosìtanto da sembrare la stessa personae persino i loro genitori si confon-devano a riconoscerle Erano vestitesempre uguali e tra loro c’ era tantaarmonia e tanta complicità.Quando iniziarono la scuola, comin-ciarono a scoprire tante cose cheaccadevano nel mondo e siccomeavevano un animo tanto buono, sicommossero molto quando la mae-stra spiegò loro che in tanti paesipoveri, c’ erano bambini che moriva-no di fame.Nei loro animi di bambine non si era-no mai soffermate a pensare a ciòche avveniva intono a loro, maascoltandolo dalla voce della mae-stra, tornarono a casa molto tristi,

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cosi decisero di fare unfioretto.”Mamma”, - dissero - “si-no ad oggi noi abbiamo pensato sem-pre a giocare senza prendere in con-siderazione la triste realtà che c’ ènei paesi poveri ma ora, se tu sei d’accordo, cercheremo di preparareun bel pacco di cose buone, così,per il Natale che sta arrivando, vor-remmo far felice qualche bambino.Toglieremo dal nostro guardarobaqualche vestito, rinunceremo amangiare i cioccolatini e comprere-mo qualche piccolo alberello nata-lizio, così anche loro potranno ce-lebrare questa grande festa”. Lamamma acconsentì tutta entusiastae parlando a scuola dell’ iniziativache avevano preso le sue bambine,decisero di mandare tanti doni a unorfanotrofio di Mogadiscio. Tantafu la gioia che scaturì nei cuori diquesti bambini, soprattutto quandoarrivò il momento della spedizione,

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ma ancor di più quando da Mogadi-scio, giunse una lettera di ringrazia-mento con la foto di tutti i bambinidell’ orfanotrofio. Ora Bianchina eNera sono diventate grandi ma tuttigli anni a Natale continuano a man-dare dei pacchi dono, per quei bam-bini meno fortunati di loro..

Ora questo libro è terminato ed iomi auguro che attraverso le mie pa-role possiate trascorrere momentilieti e sereni.A voi tutti…buona lettura!

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Supplemento a “Piazza del Grano”Autorizzazione dei tribunale di Perugia n. 29/2009

via della Piazza del Grano n. 11 - Folignoe-mail [email protected]

novembre 2012

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Fin da quando era piccolina la bimba miha chiesto di raccontarle delle favole edio, per accontentarla, mi sono inventatastorie di draghi, di conigli, di galline ecc.

Collana INEDITI di Piazza del Grano