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Farmacologiadelle emozioni
17 passioni in mostra
LE EMOZIONI MALATE
INIZIO
DEPRESSIONEANSIA EDISTURBI D’ANSIA
IL CERVELLO E IDISTURBI D’ANSIA
Le emozioni sono funzioni complesse e delicate espressione di meccanismi nervosi la cui attività si modifica in relazione alla condizioni del nostro organismo, in rapporto al nostro stesso comportamento, alle pressioni ambientali, a ciò che apprendiamo o subiamo.
Per queste ragioni, le emozioni possono talora non funzionare come dovrebbero, essere ad esempio inappropriate agli eventi, troppo intense o durature o al contrario assenti, piatte, limitate nel tempo. Quando ciò accade siamo di fronte a un disturbo emotivo.
Quando disfunzionale, ognuna delle emozioni porta a un tipico problema emotivo. Ad esempio, una tristezza accentuata e protratta nel tempo può condurre alla depressione; la paura può degenerare in ansia, attacco di panico o fobia; la rabbia in comportamenti violenti o antisociali o addirittura, se diretta contro se stessi, in autolesionismo, suicidio.
Le emozioni malate
LA DEPRESSIONEE IL CERVELLO
PSICOFARMACOLOGIA DELLA DEPRESSIONE
GENI, CRESCITA NERVOSA E DEPRESSIONE
LA REGOLAZIONE DELL’ATTIVITÀ DEI GENI
LE EMOZIONI MALATE
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DEPRESSIONEANSIA EDISTURBI D’ANSIA
IL CERVELLO E IDISTURBI D’ANSIA
Le disfunzioni emotive dipendono soprattutto da alterazioni nei processi di neurotrasmissione che hanno luogo nel cervello emozionale, ciò spiega come mai gli psicofarmaci possono curare i disturbi emotivi.
Abbiamo però visto che anche i comportamenti e i processi mentali possono modificare l’attività neuronale nel cervello emotivo. Questo chiarisce come mai anche la psicoterapia, che cura attraverso la parola o l’intervento sul comportamento, possono guarire i disturbi emotivi.
Esamineremo due diffusi disturbi emotivi, l’ansia e la depressione, partendo dalle emozioni primarie della paura e della tristezza, indicando sinteticamente anche i diversi tipi di cura disponibili.
LA DEPRESSIONEE IL CERVELLO
PSICOFARMACOLOGIA DELLA DEPRESSIONE
GENI, CRESCITA NERVOSA E DEPRESSIONE
LA REGOLAZIONE DELL’ATTIVITÀ DEI GENI
sopra
Micrografia di una sezione di ippocampo, un centro del cervello coinvolto nei processi emotivi, di apprendimento e della memoria
a fianco
Immagine di una sinapsi ottenutacon il microscopio a scansione elettronica
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IL CERVELLO E IDISTURBI D’ANSIA
La principale caratteristica dell’ansia è la sua connotazione emotiva: un sentimento di inquietudine, preoccupazione, una sensazione di pericolo imminente ma meno precisato rispetto a quello legato alla paura. Ancora, rispetto alla paura, che è un’emozione connessa a una minaccia presente, l’ansia è riferita a un rischio futuro.
L’ansia è una condizione complessa che, passando per le emozioni, coinvolge la sfera biologica allo stesso modo di quella cognitiva.
A livello del corpo l’ansia innesca la cosiddetta reazione di emergenza, la risposta fisiologica preparatoria alla lotta o alla fuga: aumento del battito cardiaco, della respirazione, della pressione sanguigna, della sudorazione, rilascio dell’adrenalina nel sangue.
Il piano emotivo lo abbiamo già descritto e un’altra importante caratteristica psicologica dell’ansia è la sua capacità di aumentare la vigilanza e l’attenzione.
La sfera cognitiva entra in gioco nella valutazione degli stimoli legati all’ansia e delle potenziali conseguenze delle situazioni da cui essa dipende.
Ansia e disturbi d’ansia
LA DEPRESSIONEE IL CERVELLO
PSICOFARMACOLOGIA DELLA DEPRESSIONE
GENI, CRESCITA NERVOSA E DEPRESSIONE
LA REGOLAZIONE DELL’ATTIVITÀ DEI GENI
Edward Munch, Ansia, 1894
Oil on canvas 94X73cm
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Uno stimolo e una situazione infatti non sono ansiogeni in sé stessi, ma per il giudizio che ne si dà e per la valutazione delle possibilità che si ha di affrontarli.
Sebbene il grado di ansia suscitato dalle varie condizioni sia legato alla personalità di un individuo, è chiaro che ad esempio un esame tende a generare ansia maggiore in chi è consapevole di aver studiato poco.
Quando la condizione ansiosa si fa troppo acuta o troppo protratta o risulta sproporzionata agli stimoli, si può essere di fronte a un disturbo d’ansia.
Tra i disturbi d’ansia rientrano anche le fobie, come quella per i ragni, per l’altezza, per gli spazi chiusi o la pura di parlare in pubblico; il disturbo di panico; il disturbo post-traumatico da stress e il disturbo acuto da stress.
In tutti i disturbi d’ansia è in gioco una distorsione dell’emozione della paura e anche per questo i meccanismi nervosi implicati si somigliano.
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Edward Munch, Dolore, 1908
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I circuiti cerebrali dei disturbi d’ansia sembrano coinvolgere l’ippocampo, la corteccia prefrontale, in particolare, ma soprattutto l’amigdala, centro del cervello emozionale e principale stazione di elaborazione degli stimoli associati alla paura.
Le alterazioni neurofarmacologiche in corso di ansia più studiate sono riguardano i circuiti neuronali che usano il neurotrasmettitore GABA, l’acido amino gamma butirrico.
Il cervello e i disturbi d’ansia
Micrografia neuroni dell’ippocampo
Immagini di Risonanza magnetica funzionale che
dimostrano l’attivazione dell’ippocampo e in particolare
dell’amigdala durante una condizione di ansia percepita
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GENI, CRESCITA NERVOSA E DEPRESSIONE
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Cervello umano, visione frontale
Cervello umano, sezione
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Come abbiamo visto, il GABA inibisce l’attività dei neuroni, che nell’ansia risulta generalmente accresciuta. Così, sostanze e farmaci che potenziano l’attività del GABA tendono a diminuire l’ansia.
È il caso dei tranquillanti o ansiolitici come le benzodiazepine, qui riportiamo la struttura chimica del diazepam, conosciuto in commercio come Valium e del clonazepam. Più recentemente il disturbo d’ansia è stato associato alla depressione. Il trattamento dell’ansia patologica prevede così anche la somministrazione di farmaci antidepressivi.
Struttura chimicadel clonazepam
Cristallo di diazepam
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GENI, CRESCITA NERVOSA E DEPRESSIONE
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Neurone contenente GABA
Struttura chimicadel GABA
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Anche il neurotrasmettitore noradrenalina sembra essere implicato nei disturbi d’ansia. La noradrenalina è al centro dell’organizzazione della reazione d’allarme e della risposta allo stress. Da essa dipendono le sia le attivazioni fisiologiche come l’aumento del battito cardiaco, della
pressione arteriosa, del rilascio di adrenalina, sia le attivazioni psicologiche, come il potenziamento della vigilanza e dell’attenzione.
Le ricerche neurofarmacologiche suggeriscono che un aumento dei livelli di noradrenalina sia associato agli stati d’ansia e alle fobie. A parziale riprova di questa ipotesi la riduzione dell’ansia che si ottiene con la somministrazione di farmaci che attenuano le funzioni della noradrenalina, come la clonidina.
Sfortunatamente gli psicofarmaci possono avere anche diversi effetti indesiderati, dato che la loro azione si distribuisce su tutti i neuroni del cervello dotati dello specifico recettore per il farmaco e non solo sulle cellule nervose effettivamente implicate nel disturbo emotivo.
Struttura chimicadella noradrenalina
Struttura chimicadella clonidina
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Neurone noradrenergicodel Locus coeruleus, nucleo cerebrale profondo e origine delle vie nervose che usanola noradrenalina
Modello schematico 3D dei recettori adrenergicimentre si legano a una molecola di adrenalina
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Le benzodiazepine ad esempio inibiscono l’attività del cervello e possono causare in questo modo sonnolenza e difficoltà di concentrazione. Un altro rischio dell’assunzione di benzodiazepine è la dipendenza. Questi effetti collaterali sconsigliano l’uso delle benzodiazepine a lungo termine. La base di un intervento curativo su un disturbo d’ansia persistente
dovrebbe essere allora la modificazione delle relazioni che il soggetto ha con se stesso, con gli altri e con gli stimoli che evocano l’ansia o le fobie. Uno strumento utile in tal senso è la terapia cognitivo comportamentale.
La terapia cognitivo comportamentale è un trattamento psicoterapico finalizzato a identificare, comprendere e cambiare gli schemi di pensiero e di comportamento.
Le particolari tecniche variano in funzione dei diversi approcci teorici e dei disturbi affrontati. Comunemente però esse possono includere la discussione e la messa in questione delle idee,delle valutazioni e dei giudizi riferiti a ciò che produce il disturbo; l’annotazione su un diario di eventi significativi e dei relativi pensieri, emozioni e comportamenti, la loro eventuale analisi; la graduale esposizione a stimoli che causano il disagio, l’elaborazione e l’esecuzione di modalità alternative di affrontarli.Nei disturbi d’ansia la terapia cognitivo comportamentale sembra avere un grado di efficacia superiore ai farmaci e un effetto più duraturo.
Struttura chimicadel lorazepam
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La rielaborazione cognitiva dei giudizi e della valutazione degli stimoli ansiogeni o fobici e l’apprendimento di nuove strategie per affrontarli e per regolare le emozioni porta a effettivi cambiamenti nella struttura e nelle funzioni dei circuiti cerebrali coinvolti: cambiare la mente può cambiare il cervello.
localizzazione dei recettori per il GABAnel cervello di ratto
Risonanza magnetica funzionale che dimostra
il cambiamento nelle attivazioni cerebrali
di un soggetto con fobia per i ragni prodotto
dalla terapia cognitivo comportamentale
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La tristezza è un’emozione che può portare alla depressione. Quest’ultima è una condizione assai comune, che ogni individuo sperimenta almeno una vita nel corso della vita.
Un sentimento normale di depressione è associato a un lutto o a una separazione, a un insuccesso esistenziale come la perdita del lavoro o una bocciatura a scuola.
Comportamenti e sentimenti come chiudersi in sé, rimuginare, perdere l’interesse verso le cose, l’apatia, l’autocritica, i sensi di colpa e di inadeguatezza, potrebbero avere infatti una funzione adattativa, permettere cioè a un individuo di guarire da una ferita psicologica, esaminare le cause di un fallimento, rielaborare un progetto di vita.
Se tuttavia questi sentimenti permangono nel tempo e compromettono le relazioni sociali, la capacità di lavorare o studiare; se addirittura si accompagnano a pensieri ricorrenti di morte, allora siamo di fronte a una depressione patologica: una condizione che richiede tempestivamente una qualche forma di intervento.
Depressione
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La depressione grave è infatti una patologia assai rischiosa e potenzialmente associata a suicidio a incidenti dovuti alla compromissione dell’attenzione e della concentrazione.
È noto che circa oltre il 70% dei suicidi è associato a depressione e che circa il 20% dei soggetti con depressione maggiore tenta il suicidio.
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La depressione è poi fortemente associata all’uso di alcol e droghe, e determina fatalmente l’assunzione di stili di vita patogeni (cattiva alimentazione, cattiva qualità del sonno, sedentarietà, ecc.) che favoriscono l’insorgere di malattie organiche.
Edward Munch,Mailinconia II, 1900-1901
Tomografia ad emission di positroni del cervello di un soggetto depresso da cui si nota la riduzione dell’attività nelle zone della corteccia prefrontale (localizzate in alto nelle sezioni del cervello riportate)
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La depressione è correlata a cambiamenti nella struttura, nella forma e nelle funzioni del cervello e dei neuroni.
Un soggetto depresso appare andare incontro a una relativa atrofia dell’ippocampo e della corteccia prefrontale.
Gli eventi depressivi sembrano cioè portare alla riduzione del numero di neuroni di queste parti del cervello, alla retrazione delle fibre cellulari che permettono il collegamento tra i neuroni e quindi la loro comunicazione, il flusso di informazioni e di segnali.
La depressione e il cervello
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Tomografie a emissioni di Positroni – SPECT – che dimostrano la diversità delle attività del cervello in un soggetto sano e in uno depresso. Si noti l’aspetto frastagliato e le cavità nell’immagine del cervello depresso, riscontri che indicano un abbassamento delle attività cerebrali in corso di depressione
Micrografia di un neurone
dove sono evidenziate in colore le parti
in corso di crescita
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La depressione potrebbe cioè essere un disturbo causato da una alterazione della normale neurogenesi, di quei processi cioè attraverso cui i neuroni creano, fanno crescere e mantengono le fibre e i contatti sinaptici attraverso cui viaggino gli impulsi nervosi e grazie ai quali il cervello può svolgere le sue funzioni.
Ippocampo e corteccia prefrontale sono due importanti centri nell’apprendimento, nella memoria e nei processi decisionali e nei comportamenti esecutivi.
La riduzione del numero di neuroni e dei loro collegamenti che accompagna la depressione spiegherebbe così le difficoltà cognitive, l’incapacità di pianificare e portare avanti un compito anche relativamente semplice che affliggono le persone depresse.
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Micrografia dell’ippocampo
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Dagli scorsi anni Cinquanta, gli studi sugli effetti di una serie di sostanze psicoattive ha portato all’elaborazione di ipotesi neurofarmacologiche della depressione che sono state anche alla base dello sviluppo di diversi farmaci antidepressivi.
Si era osservato ad esempio che sostanze in grado di diminuire o bloccare la trasmissione nervosa mediata dalle amine biogene, dopamina, noradrenalina e serotonina, provocava condizioni mentali e comportamenti assimilabili alla depressione.
Viceversa, sostanze in grado di aumentare l’azione di questi neurotrasmettitori attenuavano i sintomi depressivi e potevano portare a un miglioramento dello stato dell’umore.
Sulla base di queste osservazioni, ad esempio, erano stati sviluppati e messi in commercio gli antidepressivi triciclici, come l’imipramina, che bloccano la ricattura delle noradrenalina, della serotonina e della dopamina e quindi rendono disponibili questi neurotrasmettitori a livello delle sinapsi aumentandone l’attività.
Psicofarmacologia delladepressione
Struttura chimicadella imipramina
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Struttura chimicadella dopamina
Struttura chimicadella seratonina
Struttura chimicadella noradrenalina
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Gli inibitori delle monoaminossidasi – IMAO – sono stati un altro gruppo tra i primi degli antidepressivi. Gli IMAO, come ad esempio l’isocarbossazide, funzionano bloccando l’azione degli enzimi, le monoaminossidasi, che distruggono la noradrenalina, la dopamina e la serotonina, dopo la loro ricattura da parte dei neuroni
in cui è avvenuta la trasmissione nervosa. Il blocco delle monoaminossidasi determina quindi un aumento della disponibilità di questi neurotrasmettitori e aumenta l’attività dei circuiti in cui essi fanno da mediatori chimici dell’impulso nervoso.
Col tempo la ricerca si è concentrata sul ruolo delle singole amine nella depressione, soprattutto la dopamina e la serotonina. In particolare sono stati sviluppati gli inibitori selettivi della ricattura della serotonina - ISRS – il cui prototipo è la Fluoxetina, meglio conosciuta col nome commerciale di Prozac. Come dice il loro nome, questi farmaci bloccano la ricattura della sola serotonina, aumentando così la disponibilità nelle sinapsi e potenziando la trasmissione nervosa e l’attività nei circuiti nervosi che usano questo neurotrasmettitore.
Non ci sono prove certe che la carenza di monoamine sia all’origine della depressione. Se così fosse, ad esempio, le cure con antidepressivi inizierebbero a dare risultati in tempi relativamente rapidi, mentre è noto che occorrono almeno 6-8 settimane di terapia perché si possano rilevare i primi miglioramenti.
Struttura chimica dell’isocabossazide
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Struttura chimica della sertralina ?????
Struttura chimica della fluoxetina ?????
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Una delle idee più accreditate oggi sostiene che la depressione dipenda da difetti nella cascata dei processi che avvengono all’interno dei neuroni dopo la neurotrasmissione e in particolare di quelli che presiedono alla regolazione dei geni che mantengono la vitalità e la capacità del neurone di far crescere e di mantenere i collegamenti con altri neuroni: la neuroplasticità.Questa ipotesi è coerente con l’osservazione della riduzione del numero di neuroni, di fibre e di sinapsi che sembra caratterizzare chi soffre di depressione.
Un meccanismo proposto riguarda il rapporto tra la neurotrasmissione mediata dalle monoamine - dopamina, noradrenalina e serotonina – e il gene che produce il BDNF, il fattore di crescita di derivazione cerebrale, una sostanza che promuove la vitalità e la plasticità dei neuroni.
Geni crescita nervosa e depressione
Micrografie che riprendono
fasi della crescita
di tessuto nervoso in
vitro senza (sopra) e con (sotto) BDNF
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Micrografia di un neurone dell’ippocampo in cui sono evidenziate le sinapsi eccitatorie in fase di costruzione
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Secondo questa ipotesi, stress, difficoltà, eventi luttuosi provocherebbero alterazioni nella catena di eventi che va dalla traduzione chimica del segnale nervoso sulla sinapsi verso il genoma, nel cuore della cellula nervosa. Qui si verificherebbe l’inibizione dell’attività del gene che sintetizza il BDNF. Il fattore di crescita non verrebbe più sintetizzato e così le cellule interessante andrebbero incontro ad atrofia e morte. Gli antidepressivi in questo senso agirebbero riattivando questo gene, un processo che richiede del tempo e che quindi darebbe anche conto della relativa lentezza dell’azione terapeutica di questi farmaci.
Anche l’azione delle psicoterapie, le terapie della depressione che usano la parola o la modificazione del comportamento, potrebbe essere spiegata dalla loro capacità di riaggiustare l’attività dei geni nei neuroni coinvolti e ripristinare quindi la funzionalità dei circuiti nervosi interessati.
Immagini da tomografia a emissione di positroni del cervello di soggetti
con depressione sottoposti a trattamento con venlafaxina, un
antidepressivo analogo al Prozac, e la terapia cognitivo comportamentale.
Lo studio dimostra che gli effetti terapeutici dipendono dall’analogie
delle modificazione al cervello prodotte dai due tipi di terapia
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Zone del cervello in cui è intervenuta crescita nervosanel corso di un trattamento per la depressione
Micrografia di un neurone durante l’apoptosi, la morte cellulare
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Il gene non è soltanto l’unità ereditaria di base degli organismi viventi e corrispondente a una sezione di DNA, ma rappresenta anche la struttura che contiene le informazioni per la produzione delle diverse proteine, i composti organici di base che costituiscono i mattoni di tutti gli organi e i tessuti viventi e da cui dipendono tutte le funzioni di un organismo vivente.
Grossolanamente si può dire che un gene ha due regioni. Una regione codificante, che specifica l’RNA messaggero (mRNA) il quale a sua volta codifica una determinata proteina. E una regione con funzioni di regolazione a monte di quella codificante fatta di due elementi di DNA, uno promotore e uno detto enhancer. L’elemento promotore rappresenta il sito dove l’RNA polimerasi inizia a leggere e a trascrivere la regione codificante del DNA in mRNA.
L’elemento enhancer riconosce invece i segnali delle proteine che determinano in quali cellule e quando deve essere trascritta la regione codificante del gene. In questo modo, un piccolo numero di proteine, o fattori di trascrizione, capaci di legarsi a segmenti diversi dell’enhancer, determina quante volte l’RNA polimerasi si legherà al promotore dando inizio alla trascrizione del gene.
Stimoli interni ed esterni quali gli stadi dello sviluppo, le concentrazioni di ormoni e di mediatori chimici, lo stress, l’apprendimento, l’interazione sociale, influenzano la
La regolazionedell’attività dei geni
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LA REGOLAZIONE DELL’ATTIVITÀ DEI GENI
formazione e il comportamento dei fattori di trascrizione genica, modulando sensibilmente l’espressione dei geni, ciò che si indica col termine di regolazione epigenetica. Detto altrimenti. Come una combinazione di geni dà forma al comportamento, incluso il comportamento sociale, così il comportamento e i fattori sociali - attraverso la loro azione sull’organismo e sul sistema nervoso centrale – modificano l’espressione dei geni e conseguentemente le funzioni delle cellule nervose, modulando di nuovo, allora, circolarmente, il comportamento e la proiezione dell’individuo nella dimensione psico-sociale.
La regolazione dell’espressione genica delle cellule nervose incorpora, in senso letterale, i fattori ambientali e psico-sociali. Nei processi di trascrizione del gene così gli apprendimenti, i pensieri, le emozioni, la cultura possono diventare natura, incorporandosi nel cervello, modellandolo nelle strutture e nelle funzioni.