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Ipsos Flair Collection Italia 2012: la difficile ricomposizione NOBODY’S UNPREDICTABLE

Ipsos Flair - italia 2012 - La difficile ricomposizione

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IPSOS FLAIR è la lettura annuale del paese da parte degli esperti di Ipsos, arrichita da ipotesi interpretative, e da alcune previsioni sul mondo che ci circonda.

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Ipsos Flair Collection

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Italia 2012: la difficile ricomposizione

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NOBODY’S UNPREDICTABLE

In un anno di straordinari cambiamenti che ridisegnanol'Italia, i nostri 11 esperti sisono liberamente confrontatiper interpretare il paese. Nasce così il secondo volume diIpsos Flair, uno strumento che immaginiamo utile per individuare i segnali, forti edeboli, che caratterizzeranno il 2012.

Nando PagnoncelliLuca Comodo

Ipsos Public Affairs (riga2)Andrea AlemannoChiara FerrariCecilia Pennati

Ipsos MediaCT (riga3)Gian Menotti ContiNora SchmitzClaudia D’Ippolito

Ipsos Marketing (riga 4)Massimo De Benedittis Marta PavanChiara Berardi

Gli Specialisti

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Italia 2012: la difficile ricomposizione

Ipsos edizioniFebbraio 2012

© 2011 - Ipsos2

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Introduzione

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Ipsos Flair: comprendere per anticipare

Anche quest’anno, come è già successo nel 2011, vi propo-niamo la nostra lettura del paese, le nostre suggestioni, leipotesi interpretative, qualche previsione.

Ipsos conduce ogni giorno migliaia di interviste, che diventa-no milioni in capo ad un anno. Interroga la società che ci cir-conda con le metodologie più diverse: dal telefono al web,dai focus ai forum on line, dai colloqui in profondità alle inter-viste via smartphone.

Parliamo con milioni di italiani, diversi fra loro e spesso, appa-rentemente, distanti. Siamo il paese delle cento città, ognunacon il proprio genius loci, ma anche il paese che sa trovareuna cifra comune quando il gioco si fa duro.

Questo paese così diverso e insieme così simile ci passa sottogli occhi tutti i giorni. Che ci occupiamo dello yoghurt o del-l’ultima manovra finanziaria, del mercato del lavoro o dellebevande gassate, stiamo guardando alla complessità di unmondo che ci racconta in continuazione la sua storia.

Ogni pezzo di questo racconto è prezioso. Serve a dirci di noisotto le più diverse forme. Noi aiutiamo i nostri clienti a dipa-nare la storia, a guardarne i singoli aspetti senza trascurare lavisione di insieme.

I nostri clienti hanno bisogno di capire cosa fanno i loro clien-ti. E questo tanto più in un momento come quello che stiamoattraversando. Oggi, tutti insieme, lavoriamo per trasformare inopportunità un rischio. Lavoriamo per rendere la crisi una possi-bilità, per non adagiarci sulla sconfitta.

Con loro cerchiamo di capire quali siano le tendenze, quali lepossibilità.

La nostra struttura, con le sue aree di expertise (Marketing,Pubblicità, Media, Opinione, Loyalty, Observer), ci consente diguardare alle diverse individualità che convivono in ciascuno dinoi: consumatore, elettore, spettatore, lavoratore, lettore,venditore …

Le molteplicità, l’articolarsi delle individualità, la superfetazio-ne degli ego che faticano a ricomporsi sono i segnali di un

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cammino difficile ma possibile. Stiamo in un passaggio stret-to, in cui tutte le energie sono necessarie. Siamo chiamati arendere conto di quel che abbiamo fatto. E’ una sfida com-plessa, dalle tante risposte. Orientarsi e comprendere non èfacile.

E’ quello che vogliamo condividere con voi. Il fluire del rac-conto ci aiuterà, speriamo, a capire dove potremmo andare,cosa ci potrebbe capitare.

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Indice

La politica 09

Vent’anni dopo 10La lunga agonia 11Senza politica 13La caduta della credibilità 15Una breve fiammata 17La fine di un paradigma 19Le ultime convulsioni: tra democrazia e mercati 22Il nocchiero della nave in gran tempesta 24Mario & Mario: ottimati al potere 25Neoguelfi in una società autodiretta 27Tutti a casa: la democrazia a disagio 30Senza partiti: l’implosione del sistema 32

La crisi, l’economia, il mercato 035

Uno sguardo ai fondamentali 36Con le unghie e con i denti: la battaglia delle famiglie 39La contrazione dei consumi 42La povertà cronica 46Consumare meno, consumare meglio 49

Costume e società 053

Convergere e co-creare 54Disconnettersi e decelerare 55L’economia del riciclo 58

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Marche e stili di consumo 061

Sempre la rete … 62Il destino del brand 63Post edonistici 67I nuovi consumatori: gli immigrati 68I profili di consumo 71Gli acquisti: una prospettiva evolutiva 79

Media e nuovi media 085

La dotazione tecnologica delle famiglie italiane 86La rete nel panorama mediatico 87Comprando in rete 94Nuovi modelli di business 95La stampa: nuove fruizioni 96La televisione: una rivoluzione silenziosa 98La nuova vitalità della radio 101I media locali: un presidio “orizzontale” 102La filiera dell’intrattenimento 103

Conclusioni: un paese da ricomporre 0105

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La politica

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Vent’anni dopo

“Un’atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa […] nel nostroPaese. E’ stata stupefacente e brutale la rapidità con cui latendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal clima difesta collettiva […] ai poveri saldi di fine stagione […] ha fattomozzare il fiato, ha riportato in primo piano il plumbeo climadei tempi della stagnazione. Sono bastati pochi mesi […] per-ché quasi tutti gli indicatori economici assumessero un segnonegativo; la cattiva congiuntura mondiale ha cominciato adassomigliare minacciosamente alla recessione […]. Alla fine,la situazione italiana si è configurata come una perfida com-binazione di crisi economica conclamata e di marasma politi-co pericolosamente vicino al collasso del sistema. Quel cheforse è peggio, l’idea che l’Italia è un malato terminale si è dif-fusa irresistibilmente, permeando la collettività con quella chesi potrebbe chiamare senza retorica una cultura del pessimi-smo. Aspettative tutte di carattere negativo sono divenutel’unico orizzonte visibile. Non è un caso che lo scrollone piùappariscente, quello che è sembrato innescare l’alterazione diun sistema di equilibri ampiamente collaudati, sia venuto daisettori geneticamente filogovernativi, quelli dell’imprenditoriae dell’industria. Ma diverse altre linee di crisi, svariate linee difaglia di possibili sconvolgimenti tellurici, si erano manifesta-te sul piano politico con cruda nitidezza nel corso dell’anno”.Una meravigliosa analisi di quello che è successo nel corso del2011? Sembrerebbe proprio di sì, fatto salvo che queste per-fette parole sono state scritte esattamente vent’anni fa daEdmondo Berselli per Il Mulino1.

E’ utile partire da qui: siamo un paese che si ripropone, chenon risolve i suoi problemi di fondo, strutturali, sistemici. Incui i particolarismi, per citare Diamanti nell’introduzione allostesso testo a proposito del ruolo archetipico della DC, sonoassemblati senza miscela, mediati senza sintesi, generatori di“compresenza” più che di “coerenza”.

Un paese il cui sistema politico non si autoriforma se non pereventi esterni (la prima guerra mondiale che chiude il lungociclo liberale, la seconda guerra che chiude il fascismo, lamagistratura che chiude la prima Repubblica, l’Europa chechiude la seconda …).

Vi inviteremmo a partire da qui. Per dire se possiamo ancorafarcela, come direbbe Berselli, nonostante tutto. Se non siaforse venuto il momento in cui il nonostante non è più suffi-

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1 Edmondo Berselli “L’ultima recita dei partiti”(novembre dicembre1991) in “L’Italia, nono-stante tutto” Il Mulino2011

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ciente. Se insomma l’adattabilità e la capacità di sgusciare frale regole non sia più la cifra adatta per la nostra sopravvivenza.

La lunga agonia

Il 2010 si chiude con un paese straordinariamente preoccupa-to e in netta difficoltà.

Al centro la crisi che in quell’anno ha duramente colpito lefamiglie, intaccandone i risparmi, riducendo i consumi, ren-dendo sempre più difficile, se non impossibile, assolvere alruolo di principale ammortizzatore sociale del paese.

Al chiudersi dell’anno nulla è cambiato: la crisi rimane in tuttala sua gravità, mentre risposte dalla politica non se ne vedo-no. Il 14 dicembre 2010, per molti il giorno fatidico della spal-lata che avrebbe abbattuto il governo Berlusconi (i giornaliparlano di “giorno del giudizio”), si chiude con un nulla difatto. Berlusconi ha resistito ottenendo la maggioranza asso-luta per pochi voti grazie al gruppo dei responsabili. Tre votiin più, quattro transfughi che diventeranno presto famosi:Calearo (dal PD), Cesario (dall’API), Razzi (dall’IDV), Scilipoti(anch’egli dall’IDV).

Il 2011 si apre con un clima di sfiducia rassegnata. Il governovive alla giornata nelle mani di pochi personaggi, in qualchecaso pittoreschi, senza una prospettiva di medio periodo,l’opposizione non ha un programma alternativo e si presentaspesso divisa su questioni essenziali, il terzo polo non sembradecollare.

Comincia un lento processo di sfarinamento, con un paese installo.

L’agonia del berlusconismo segnerà gran parte del 2011, ago-nia senza alternativa. Un anno in cui il vecchio sembra mori-re e il nuovo non nasce.

Disagi, malesseri, difficoltà, sono evidenti. Possiamo tentare diriassumerli così:

- Uno sfaldamento del blocco sociale che ha sostenuto ilberlusconismo sino ad allora: la punta visibile è il gruppodirigente di Confindustria (Emma Marcegaglia dice afebbraio “gli industriali sono stati lasciati soli” e lo ripe-

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terà più volte nel corso dell’anno) ma dietro c’è il males-sere delle piccole imprese, delle partite Iva. Ci si allonta-na da Berlusconi, senza un piano B. A maggio gliimprenditori trevigiani inaugurano la loro nuova sedecon una marcia silenziosa che vede la partecipazione dioltre 2000 persone. Si manifesta un disagio profondo, sichiede alla politica un’impennata;

- Una difficoltà sempre più evidente per la Lega: il federa-lismo che pure approda in parlamento viene svuotato deisuoi effetti dalla crisi. Paradossalmente l’ipotesi di decen-tramento si scontra con un sempre maggiore accentra-mento delle scelte. L’alleanza con Berlusconi sta semprepiù stretta: difficile convivere con gli Scilipoti, difficilegiustificare il rallentamento del federalismo, difficileanche fare digerire alla base i comportamenti discutibilidel Presidente del Consiglio. Cominciano le critiche allostesso Tremonti, alleato di sempre;

- Una diarchia che si fa sempre più evidente tra Tremontie Berlusconi, con momenti in cui il Presidente del Consi-glio sembra nell’angolo, quasi rinunciatario. Momentinei quali il timone del governo e delle sue scelte sembrasaldamente, ed esclusivamente, nelle mani del supermi-nistro dell’economia;

- Una caduta della credibilità internazionale. La politicadelle “pacche sulle spalle” sembra sempre meno effica-ce. In momenti che si fanno davvero critici, la credibilitàe l’autorevolezza debbono basarsi su scelte anche diffi-cili, quando non dolorose, che dall’Italia sembrano nonarrivare. Di nuovo la Marcegaglia a settembre: “L’Italia èun paese serio e siamo stufi di essere lo zimbello inter-nazionale”.

La reazione degli elettori, lo vedremo, è un distacco rabbioso.Il governo del fare, portato sugli altari nel 2009, ha perso colpinel 2010 e nel 2011 resta privo del tutto di credibilità, attac-cato a pochi voti dopo aver avuto la più larga maggioranzadella storia repubblicana, senza una bussola, con un accaval-larsi di promesse che scompaiono il giorno successivo (la “fru-stata” all’economia promessa da Berlusconi, non arriverà mai).

L’agonia berlusconiana, lenta e lunga, non ha però solo a chefare con l’economia. Il degrado della vita politica e dei com-portamenti è sotto gli occhi di tutti: molti usano un linguag-gio triviale anche nelle aule parlamentari, gesti scurrili, ancheda ministri (La Russa e il “vaffa” al Presidente della Camera,per tacere del dito medio e delle pernacchie di Bossi), mentrei discorsi si fanno sempre meno razionali e sempre più emoti-

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vi. Il processo di avvicinamento dei politici ai cittadini, inaugu-rato alla fine degli anni ’80 è oramai tracimato. I cittadinisono attoniti e pensano che un livello così basso non sia maistato raggiunto nella storia repubblicana. Qualcuno conia unneologismo che ben si attaglia al clima: “scilipotizzazione”. Aquesto si aggiunge il mercato dei parlamentari, con perso-naggi deputati alla compravendita (Pionati lo ha rivendicatoapertamente, in occasione della compera del 14 dicembre2010). Le promozioni dei transfughi all’ultimo minuto per“pagare” la fiducia (Catia Polidori, nominata il 14 ottobreviceministro allo sviluppo economico dopo essere passata dalPDL a Fini, per poi passare al gruppo misto sostenendo Berlu-sconi, Aurelio Misiti, Giuseppe Galati e Guido Viceconte, tuttinominati lo stesso giorno).

I comportamenti privati del Presidente del Consiglio (escort,Olgettine, ecc.) domineranno le prime pagine dei giornali, maavranno scarso impatto sugli orientamenti degli elettori. Tut-talpiù serviranno ad aumentare la sfiducia di chi vi vede unsegno di disinteresse per la cosa pubblica e a rafforzare lemotivazioni di chi si oppone a Berlusconi. Chi si è indignato loha già fatto nel 2010, con lo scoppio del caso D’Addario e delcaso Ruby.

Senza politica

Il combinato disposto di un governo sempre meno credibile edi un’opposizione che non rappresenta una prospettiva prati-cabile spinge l’elettorato ad un distacco sempre più marcatodalla politica.

Fin dagli inizi del 2011 l’area “grigia”, astensionisti e incerti,assomma ad una cifra che si aggira intorno al 40%. All’areatradizionale che si colloca nello spazio dell’astensione e del-l’incertezza (età medio/alte, titoli di studio bassi, casalinghe epensionati, sud) si vanno aggiungendo in misura rilevante cetidinamici e normalmente partecipativi (classi di età centrali egiovanili, titoli di studio medio/alti, ceti professionalizzati, resi-denti nel centro nord e in comuni medio/grandi).

Si tratta quindi di ceti che non esprimono un banale, come sisarebbe detto qualche tempo fa, “qualunquismo” (sono tuttiuguali) ma una critica più articolata e approfondita (nessunosta rispondendo ai bisogni miei e del paese). D’altrondesegnali d’allarme erano emersi dal comportamento reale degli

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elettori già qualche tempo prima: se si guarda alle elezioniregionali del 2010 si scopre che coloro che meno degli altrihanno votato per i partiti sono stati i “rossi” toscani, che purehanno partecipato al voto un po’ più della media delle 13regioni coinvolte. Hanno votato i candidati, non i partiti.

L’area della cosiddetta “antipolitica” è presidiata da diverseforze, ma da due in maniera precipua: L’Italia dei Valori e ilMovimento 5 stelle legato a Beppe Grillo. Con qualche carat-terizzazione parzialmente diversa: Di Pietro mira a raccoglieresoprattutto i sentimenti antiberlusconiani molto presenti inun’area relativamente vasta del paese e non necessariamentecollocata solo a sinistra. L’esistenza di quest’area è testimonia-ta non solo dai molti dati di sondaggio visti nel corso degliultimi anni, ma anche, per esempio, dal notevole successo deIl Fatto Quotidiano che nel nome e nell’iconografia richiamapersonaggi del giornalismo italiano non certo dichiaratamen-te di sinistra (Biagi nel nome – il fatto, Montanelli nel logo delbambino col megafono – la voce). Diretto da Padellaro (exUnità) e condiretto da Travaglio, esemplifica bene il ritratto diun’area non definibile tout court con criteri di collocazionepolitica. E’ l’area dell’antiberlusconismo in cui si colleganoelementi politici, morali, estetici. Con una diffusione media ditutto riguardo, nel 2011 vicina alle 80.000 copie.

Il caso di Grillo sembra essere contemporaneamente sovrap-posto e distinto rispetto all’area dipietrista. Nelle motivazionidi simpatia verso Grillo convergono aspetti diversificati: unacritica alla politica più vasta rispetto all’antiberlusconismo (perquanto sia molto marcata la distanza dallo “psiconano” comeviene definito da Beppe Grillo), un’attenzione ai programmi(ambiente in primo luogo), uno sguardo attento alla parteci-pazione diretta dei cittadini, senza mediazioni. Il che fa sì chel’ambito privilegiato dei consensi al movimento 5stelle siaquello dei grandi centri urbani del centro nord. Vero ma nondel tutto: gli ultimi segnali, emersi nelle elezioni del Molisedove l’elettorato grillino ha fatto la differenza, impedendo diun soffio l’elezione del candidato di centrosinistra, ci diconodi una diffusione di questo consenso anche in aree non certometropolitane.

Insomma, il sentimento diffuso di distanza dalla politica nonpuò essere letto solo come “antipolitica”. E’ un’insofferenzadiffusa che richiede in molti casi alla politica di riprendere ilsuo ruolo, che critica in qualche caso puntualmente compor-tamenti, programmi e valori espressi dal ceto politico, didestra e di sinistra, che legge l’avventura berlusconiana come

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un’anomalia da un lato ma dall’altro anche come “autobio-grafia della nazione”, da cui magari occorrerebbe liberarsi.

E’ interessante notare come in questo allontanamento dallapolitica un contributo importante lo diano i cattolici osservan-ti e in particolare quel segmento piccolo ma non irrilevante(circa 13/14% della popolazione) di cattolici impegnati, cheprestano nelle associazioni, nelle parrocchie e negli oratoriattività di volontariato. Anche in questo caso si tratta di unelettorato piuttosto avvertito, almeno in una sua parte

In sostanza, siamo di fronte ad un processo complesso, artico-lato, all’interno del quale si evidenziano segmenti diversi checonvergono nel processo di raffreddamento generale del rap-porto con la politica. Per una parte rilevante dei “distanti” larichiesta è di una politica più adeguata, capace di rispondere aibisogni, di produrre le riforme necessarie alla modernizzazionee alla crescita del paese. Sono qui molti dei delusi del centrode-stra e del centrosinistra, che non vedono nel loro schieramentodi riferimento una risposta adeguata alle necessità.

Ma il sentimento di distanza dalla politica non è solo tipico delnostro paese (dove pure si enfatizza). L’Eurobarometro delnovembre 2011 mette l’Italia alla pari con la Francia collocan-do entrambi i paesi ai livelli minimi di fiducia nei partiti tra leprincipali nazioni europee. Poco meglio le altre (Regno Unito,Germania, Spagna). In Germania, e siamo al livello più elevatotra i paesi considerati, la fiducia nei partiti si attesta al 15%.

La caduta della credibilità

Credibilità è la parola centrale dell’anno. La capacità di deci-dere del governo centrale, che ha un solo nome, Berlusconi,il solutore dei problemi del paese, è oramai ridotta al lumici-no. Quello che si era presentato come il governo del “fare”,capace di dar vita a grandi opere (il Ponte sullo Stretto è lapromessa più faraonica che non avrà mai sviluppi, la SalernoReggio Calabria che torna più volte negli impegni, ecc.), dimettere mano a riforme liberali, di operare una ristrutturazio-ne efficientista della macchina pubblica, tende ad essere (esoprattutto ad essere percepito) come un governo chesopravvive, senza una direzione precisa.

L’incapacità del governo di rispondere alle attese sempre piùpressanti della popolazione non è però solo dettato dal tema

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del “fare” mancato. Accanto ci sono altre motivazioni noninconsistenti. La prima è la litigiosità. Il paese si aspetta coe-sione, unità, comunanza di intenti. Nell’immaginario degli ita-liani uno dei governi peggiori è l’ultimo governo Prodi, pro-prio per l’evidente (e pubblico) contrasto delle sue compo-nenti che si manifestava in forme aperte e intollerabili, conministri che intervenivano sui mezzi di comunicazione controle decisioni e le ipotesi del governo e che qualche volta parte-cipavano a manifestazioni antigovernative. E’ poi un paeseche ama l’unione, la chiarezza, la semplicità. La diarchia Tre-monti/Berlusconi, lo smarcarsi sempre più evidente della Lega,la presenza di segmenti della maggioranza che trattano suposti e prebende e fanno valere il loro voto come strumentodi contrattazione provocavano fastidio e in qualche casodisgusto. Al di là del giudizio pesante che i cittadini esprimo-no e che abbiamo già riportato, ciò che si perde è la convin-zione che si possa reagire alle difficoltà del paese: il Presiden-te taumaturgo ha lasciato il passo ad un leader logorato, cheha perso l’aura decisionista che lo ha caratterizzato in questilunghi anni.

La percezione dei cittadini è netta. Nel grafico qui sotto èriportato il livello di fiducia in Silvio Berlusconi dal 2009 sinoal novembre 2011, prima delle dimissioni:

Grafico 1 La fiducia in Silvio Berlusconi(% voti positivi – serie storica)

Fonte: Banca dati sondaggi Ipsos

Nessuno mette in dubbio le sue capacità di combattente:dopo ogni schiaffo la maggioranza dei cittadini ritiene checomunque saprà risollevarsi, tornare in pista. Pochi, pochissi-mi, leggono questi segnali come la fine di un’era. Eppure que-sta fine comincia a manifestarsi.

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Una breve fiammata

Le elezioni amministrative e referendarie rappresentano unradicale cambiamento del sentimento degli italiani.

Nelle elezioni locali sono coinvolti numerosi comuni capoluogoma soprattutto quattro grandi città: Torino, Milano, Bologna eNapoli. Due, Torino e Bologna, vanno al centrosinistra al primoturno, in continuità con i risultati precedenti; nelle altre dueinvece, Milano e Napoli, si verificano grandi cambiamenti.

A Milano vince Pisapia, un avvocato che proviene dalla sinistraradicale ma appartiene alla borghesia illuminata della città,candidato dopo aver vinto le primarie contro l’esponente indi-cato dal partito maggiore del centrosinistra, il PD. Un outsider.

A Napoli vince De Magistris, un magistrato dell’Italia dei Valo-ri di Di Pietro, che si era presentato da solo contro il centro-destra e contro il candidato del PD. Un outsider.

Infine bisogna ricordare i risultati di Cagliari dove vince al bal-lottaggio Zedda, un giovanissimo candidato di Sel, il partito diNichi Vendola. Di nuovo un outsider.

I risultati sono un vero e proprio terremoto: a Milano, culla diBerlusconi e del berlusconismo, la sconfitta è nettissima: alballottaggio Pisapia vince di 10 punti rispetto alla candidatadel centrodestra e sindaco uscente; lo stesso presidente delConsiglio, che si era candidato come capolista del suo partitochiamando gli elettori ad un referendum su di sé, dimezza lepreferenze rispetto a cinque anni prima.

La campagna del centrodestra, fondata sulla paura (con toniesasperati che preannunciano invasioni di zingari, occupazio-ne della città da parte dei centri sociali, ingresso di terroristinel governo locale) viene respinta dalla “forza gentile” diPisapia. E notoriamente Milano anticipa i fenomeni che carat-terizzeranno l’Italia. Qualcuno comincia a parlare di Pisapiacome del possibile “papa straniero” per il centrosinistra.

A Napoli, che aveva una giunta di centrosinistra incapace diaffrontare i problemi storici ed endemici della città, vince ilmagistrato che promette una riscossa miracolosa senza alle-arsi con nessuno: al secondo turno il centrodestra si astiene inmassa, decretando la sconfitta del proprio candidato, cheottiene un misero 35%.

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I referendum segnano un’ulteriore e questa volta nettissimadisfatta per il centrodestra (la Lega titolerà sul suo giornale:“siamo stufi di prendere sberle”). Bossi invita gli italiani a nonandare a votare, Berlusconi dichiara che lui personalmentenon si recherà alle urne.

Gli italiani al contrario vanno a votare in massa e, per la primavolta dopo quindici anni, un referendum raggiunge il quorumnettamente (57% considerando solo gli italiani che risiedononel paese, 54,8% considerando anche gli italiani residentiall’estero). Tutti i quesiti (due sulla privatizzazione dell’acqua,uno sulle centrali nucleari, l’ultimo sul legittimo impedimen-to) vengono approvati da circa il 95% dei votanti nonostan-te la contrarietà del governo. Il quorum si raggiunge in tuttele regioni del paese (anche in quelle, come la Calabria, tradi-zionalmente più astensioniste).

A votare vanno dai 10 ai 12 milioni di elettori del centrodestra;il Veneto, regione con una massiccia presenza leghista e con unPresidente della Lega votato a furor di popolo un anno prima,fa rilevare una partecipazione superiore alla media del Paese.Non si tratta solo di un cambiamento negli orientamenti eletto-rali degli italiani, quanto di una radicale trasformazione del sen-timento del paese: si conclama la caduta della credibilità di Ber-lusconi (è appena il caso di ricordare l’analogia con l’invito adandare al mare di Craxi nel 1991, esattamente vent’anniprima), emerge una stanchezza diffusa per le promesse nonmantenute, si cercano concretezza, capacità di fare.

La campagna referendaria (in particolare in relazione ai duequesiti sull’acqua) è dominata da un’idea forse ingenua malargamente condivisa, della predominanza del bene comune.Seguendo la campagna in rete si trova molta ideologia e pocopragmatismo, molte emozioni e poche analisi. Tuttavia sem-bra nascere un nuovo vocabolario. Diamanti lo certifica nel-l’indagine sul lessico degli italiani condotta per l’osservatorioDemos Coop a luglio. Le parole di successo sono, tra le altre,bene comune, merito, unità nazionale, solidarietà, giovani.Ma anche, a sorpresa, decrescita. Le parole impopolari sono,tra le altre, federalismo, individualismo, apparire, Ma anche,forse meno a sorpresa, stato e (ci sorprendiamo?) matrimoniogay. Le parole fuori dal gioco sono Padania, veline, Berlusco-ni e, c’era da aspettarselo, partiti.

Al di là dell’evidente effetto di desiderabilità sociale che forseamplifica l’adesione ad alcune parole (è difficile dire che nonci importa nulla del bene comune), la lettura di questi dati è

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piuttosto articolata: certo sembra finito un paradigma con lacrescita di termini anti individualistici e con l’idea-cardine cheil modello di sviluppo è messo in dubbio da molti aspetti con-vergenti (crisi ambientale innanzitutto, forse anche parzialerevisione dei modelli di consumo, convinzione che la crescitacontinua non sia più compatibile con una condizione di vitaaccettabile, la situazione dei centri urbani assaliti dalla conge-stione del traffico e dai loro effetti nefasti innanzitutto sullaqualità dell’aria). Ma per esempio è evidente il conflitto traunità nazionale (bene) e stato (male). O dietro c’è una sofisti-cata analisi sulla crisi degli stati nazione e sulla necessitàcomunque di un amalgama sovranazionale (Europa) chetenga conto delle caratterizzazioni dei singoli popoli oppurec’è un riflesso atavico che vede lo stato come, ad andar bene,altro da sé, ad andar male, un nemico.

L’iniziale lettura, un po’ enfatica, che vedeva nascere anche inItalia una sorta di primavera araba, forse va un po’ smorzata.

Il responso delle urne amministrative e referendarie è chiaro,gli sviluppi possibili molto meno.

Anche perché (e qui sta la brevità della fiammata) la spintaprodotta in primo luogo dalla mobilitazione referendaria nontrova sponde: tra maggio e giugno si contrae (non di molto,ma comunque in misura sensibile) la quota di incerti e asten-sionisti che premia, nei sondaggi, in particolare il PD e ingenerale la sinistra e il centrosinistra. Ma è un’apertura di cre-dito che rientra velocemente: il PD si schiererà contro l’aboli-zione delle province e scoppierà lo scandalo delle tangenti diSesto che coinvolge Filippo Penati, esponente di primo pianodel partito e per un certo periodo braccio destro del segreta-rio Bersani. Non è solo il PD: nel PDL il coinvolgimento nelmalaffare è anche più consistente. L’area “grigia” cresceimmediatamente e torna a livelli elevatissimi.

La fine di un paradigma

Berlusconi finisce, nel sentimento popolare, con una lungaagonia, come abbiamo visto, che si protrarrà sino all’autunnoinoltrato, con il rischio concreto di un default del paese. Emer-gono, con la campagna amministrativa, nuove leadershipdistantissime dall’approccio berlusconiano (Pisapia a Milanone è l’esempio, mitezza, dialogo, ascolto).

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Ma muore il berlusconismo? Viene sostituito da un nuovoparadigma? Esiste un uomo, un movimento, una forza cheraccoglie la fiaccola spenta ed è in grado di riaccenderla?Sembra proprio di no. Berlusconi finisce, il berlusconismo unpo’ meno.

Gli italiani ne sono persuasi. Da un lato ritengono che l’epo-ca di Berlusconi sia finita per quanto egli resista aggrappatoal governo. Ma sono anche convinti che non esista una veraalternativa politica (e sociale) al cavaliere e pensano che i valo-ri e il clima culturale prevalente nel paese rimangano quelliberlusconiani.

D’altronde non è proprio tutto da buttar via quello che vienedal berlusconismo (posto che è stato Berlusconi in qualchemodo a produrre o almeno spingere il profondo cambiamen-to del sistema politico italiano).

Piace moltissimo (e ce la vogliamo tenere) la semplificazionedel messaggio politico. Nella prima repubblica si capiva poco,anche se il sistema dei partiti esercitava una pedagogia dimassa che rendeva meno arduo e più digeribile il lessico poli-tico. Il crollo dei grandi partiti lascia il vuoto e accentua il solcotra il linguaggio comune e le astrusità del linguaggio politico.La modernizzazione mancata della seconda metà degli anniSettanta rende il distacco sempre più evidente, sino alla rot-tura degli anni ’80 (il riflusso). Adesso che abbiamo comincia-to a capirci qualcosa non vorremmo smettere.

Piace il bipolarismo, anche se ben temperato: se fino a menodi un anno fa rimaneva prevalente l’idea di una semplificazio-ne estrema (due partiti e basta) oggi tendiamo ad attenuarequesto atteggiamento e comincia ad emergere l’idea del tri-polarismo che conquista più di un quinto degli italiani. Maalla fine metà dei nostri concittadini rimane saldamente bipo-larista quando non bipartitista. Piace ancora molto l’idea distare di qua o di là.

Piace l’idea della rivoluzione liberale, tanto cavalcata e maiagita. Anche qui bisogna prestare attenzione: spesso la rivo-luzione liberale è pensata per gli altri e non per sé. Scatta, noninfrequentemente, la difesa dei propri privilegi. E’ la sindromeNimby. Forse a un certo punto si era sperato di uscire dallasocietà bloccata, centrata su articolati corporativismi. Nono-stante il fatto che questo atteggiamento sembri essere atavi-co e profondamente radicato nella nostra società (la solita Ita-lia senza stato, senza ethos “repubblicano”), ci si contava

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almeno un po’. In realtà sia la destra che la sinistra, pur dadiversi angoli visuali, hanno contribuito a mantenere privilegiradicati. La destra guardando agli interessi di pezzi di societàche ne hanno garantito l’egemonia (perché liberalizzare signi-ficava anche e forse soprattutto mettere mano agli ordini pro-fessionali, ai grovigli delle partecipazioni incrociate, alla rottu-ra delle corporazioni), la sinistra ancorata alla difesa del postodi lavoro che limita lo sguardo a quelli che si sono cominciatia chiamare i garantiti senza leggere le profonde trasformazio-ni del mercato del lavoro e degli interessi di “classe”. Risulta-to la pratica scomparsa di quel minimo di ascensore socialeemerso durante e dopo il boom.

Ma piace anche il ruolo della televisione: veicolo principale(per fortuna sempre meno unico) dell’informazione politica,luogo (in questo caso quasi unico) del dibattito virato nellaforma dei talk show che continuano a riscuotere grandi suc-cessi, nonostante siano spesso (con qualche rara eccezione)luoghi di litigio e scarso se non nullo approfondimento vero.

Si butterebbero invece volentieri i tormentoni del passato chenon passa: l’anticomunismo ma anche il suo corrispettivo spe-culare, l’antiberlusconismo. Lo stallo della seconda repubblica(che a molti pare una prosecuzione della prima) è oramai evi-dente a tutti e nella seconda repubblica si sono portati pezzi(molti) della vecchia tra cui appunto l’anticomunismo (acomunisti morti) e la risposta antiberlusconiana (in cui il Cava-liere appare non infrequentemente come prodotto del mali-gno). Anziché far vincere il pesante e oscuro proceduralismoche richiede faticosi accordi basati su un principio cooperati-vo, prevale la logica amico-nemico, come se vivessimo peren-nemente in uno schmittiano “stato di eccezione”. Con laconseguenza da un lato di mirare a scrollarsi di dosso tutta lafarraginosità delle procedure democratiche, che, dice il Cava-liere, mi impediscono di lavorare, dall’altro di difendere que-ste procedure senza critica, senza la necessaria ricerca di unadeguamento al mondo che cambia. Si ragiona in termini diblocchi contrapposti e tutto rimane fermo.

E si critica anche l’eccesso di leaderismo, di personalizzazione.Questo è più strano, bisogna interpretarlo. In realtà il leaderche incarna valori e passioni piace agli italiani. La competizio-ne più gradita è quella dei sindaci, la legge elettorale che èmaggiormente piaciuta. Consente di scegliere persone sgra-vando molti dal fastidioso obbligo di esprimere un voto per ipartiti, di optare per programmi incarnati e visibili, di investi-re su una persona che si pensa dotata di poteri reali cui si

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potrà chiedere conto di ciò che ha fatto. Le perplessità sullapersonalizzazione sono critiche agli eccessi e forse una reazio-ne di noia alla presenza sul proscenio di uomini che sono sem-pre gli stessi.

In sostanza sembra che non ci sia un nuovo paradigma chenasce. Qualche vagito si trova, ma nessuno che ne prenda lafiaccola. La fine dell’individualismo in salsa italiana (con moltevenature neocorporative e senza liberalismo in azione) lasciain eredità spettatori perplessi, senza sbocchi.

Le ultime convulsioni: tra democrazia e mercati

Quella che per lungo tempo era sembrata un’endiadi si tra-sforma in un ossimoro. La crisi finanziaria (non la prima, masicuramente la più grave del dopoguerra) si conclama nelpieno dell’estate e rende evidente la difficoltà nel conciliare idue termini.

Il fenomeno è decisamente pesante: se fino ad ora le crisifinanziarie, sempre più importanti e sempre più vicine neltempo, sono state normalmente liquidate come “bolle” (dallanew economy all’immobiliare dei subprime) anche quandohanno ripercussioni gravi sull’economia mondiale, l’ultimacrisi si qualifica per essere una difficoltà profonda dei debitisovrani e per attacchi concentrici ad un sistema (l’Europa el’Euro).

E’ la stessa democrazia sovrana che viene palesemente messain discussione. La finanziarizzazione dell’economia globalemette in scena la sua rappresentazione più devastante. Non èuna novità, ma l’intensità e le forme che assume rendono evi-denti a tutti i rischi enormi che si stanno correndo.

Le profonde critiche al mercato finanziario non vengono soloda aree tradizionalmente antagoniste: il Sole 24 ore ospitaspesso, in particolare nel proprio supplemento domenicale,interventi, tra gli altri, di Guido Rossi, profondamente sfavo-revoli all’evolversi della situazione. Le sue tesi erano giàespresse in un volume del 2008 (“Il mercato d’azzardo” Adel-phi). Il mercato finanziario globalizzato va divorando i suoistessi presupposti, calpestando giorno dopo giorno i principidella democrazia azionaria, dell'interesse sociale, della crea-

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zione di valore sostiene Rossi, con una messa in mora dellapolitica. Questo tanto più in Italia dove la pratica del control-lo minoritario è diffusissima.

Sempre a parere di Rossi la finanziarizzazione esasperata, laderegulation post roosveltiana stanno mettendo in discussio-ne l’eguaglianza che è il fondamento principale del diritto dicittadinanza.

La politica occidentale balbetta e mostra un’estrema debolez-za. Obama rischia di portare il paese al default, l’Europa bar-colla e il duumvirato Merkel/Sarkozy non riesce ad esprimereuna direzione forte all’Unione. Zapatero annuncia le propriedimissioni per ridare fiato ai mercati. Papandreou cerca di resi-stere proponendo un referendum ma viene commissariato. Inquesto caso è evidente come la democrazia di un intero paesesia messa in mora dalla crisi.

Ma la finanza ha in alcuni casi trovato una sponda nella poli-tica: non dobbiamo dimenticare che la crisi finanziaria sembracolpire soprattutto gli Stati che – come moderni “apprendististregoni” della finanza globale – hanno creduto di poterlucrare facilmente consenso politico con la “leva finanziaria”:vale per la Grecia, ove era diventato prassi presentare bilancifalsificati; vale per l’Italia, ove anni di tassi bassi non hannocondotto ad una riduzione del debito, ma si è utilizzato tale“dividendo” implicito per sostenere inefficienze via via menosostenibili (per essere chiari: l’Italia dell’Euro ha pagato moltomeno interessi sul proprio debito, tali soldi in più sono statipuntualmente spesi in attività aggiuntive, senza utilizzarli perridurre lo stock di debito: in tal modo abbiamo affrontato ilnaufragio senza la scialuppa di una possibile politica fiscaleespansiva), vale per Spagna e Portogallo che hanno forzato lacrescita della propria economia su una bolla speculativa nellaquale molto spazio è stato dato alla leva finanziaria (in “debi-to” appunto). Se la politica si affida alla finanza, poi ne vienecondizionata: il ciclo politico è più lento e prevedibile dei mer-cati finanziari, e quindi questi fatalmente lo condizionano.

L’intera Europa sembra essere nelle mani della Banca Centra-le, che cerca di resistere ai colpi della speculazione finanziaria.

Si rende evidente che l’assenza di una risposta politica mettea rischio la tenuta stessa dell’Unione Europea.

L’Italia è al centro della tempesta. Il suo fallimento mettereb-be a repentaglio l’Europa e la sua moneta. Il governo non

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sembra all’altezza della situazione. Si susseguono ipotesi dimanovra che vengono smentite o modificate il giorno dopo,si discute di ripresa e di rigore dei conti senza una soluzionecondivisa, le diversità di visione fra Tremonti e il resto delgoverno e della maggioranza si fanno evidenti sino a diventa-re laceranti.

Ai primi di agosto la BCE manderà una lettera segreta perindicare al governo italiano le misure da prendere, nel detta-glio. Il commissariamento diventa evidente, il governo sembraprivo di autorità oltre che di direzione.

Il nocchiero della nave ingran tempesta

Se da un lato dall’Europa arriva il commissariamento, quasimortificante quando si annuncia la visita di un’ampia delega-zione munita di esteso questionario da somministrare ai mem-bri del governo, dall’altro al palese arenarsi del governo rispon-de con un ruolo di supplenza il Presidente della Repubblica.

Da tempo il Presidente è divenuto una presenza molto rile-vante nella vita politica quotidiana. E’ vero che non si trattadella prima volta. Dalla crisi del sistema dei partiti i Presidentihanno avuto un ruolo sempre più rilevante e “interventista”.Tuttavia il Presidente Napolitano va sempre più assumendo unruolo di rappresentanza politica diretta. In primo luogoall’estero, dove il discredito del Paese assume dimensioniimbarazzanti (per arrivare alla fine alla famosa risatina discherno di Merkel e Sarkozy richiesti, ad un vertice europeo,di dire se Berlusconi li avesse rassicurati), la Presidenza dellaRepubblica diviene interlocutore dei principali leader.

Ma anche all’interno sempre più il Presidente Napolitano fada pungolo per Governo e Parlamento che spesso richiamaall’ordine su contenuti e tempi.

Gli italiani guardano al Presidente come all’unico punto di rife-rimento e all’unica persona in cui possano confidare. Se finoall’anno scorso era l’uomo dei richiami ai valori e ai principi,oggi diventa il garante solitario di una politica traballante.

La fiducia nel Presidente non solo rimane intatta, ma cresce aldiminuire della presenza fattiva della politica.

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Le preoccupazioni che esprime, i richiami che manda, gliobiettivi che propone sono compresi e condivisi da tutti oquasi.

Tuttavia il Presidente coglie con nettezza e preoccupazioneuna situazione di assenza della politica cui deve essere postorimedio e lo sottolinea con la consueta chiarezza. In una delletante occasioni in cui viene accolto trionfalmente nel corsodei suoi viaggi per il paese dice: “Queste manifestazioni d’af-fetto mi rendono felice, ma m’inquietano, perché i punti diriferimento istituzionale dovrebbero essere molti”.

Cogliendo esattamente il punto: il vuoto istituzionale è unproblema e un rischio per il paese.

Mario & Mario: ottimati alpotere

Il paese balla sull’orlo dell’abisso: la situazione italiana, a unpasso dal default, con rendimenti dei titoli di stato che rischia-no di rendere impraticabile la possibilità di un rientro dal debi-to e un governo che non riesce a rispondere, varando e smen-tendo manovre, tutte prevalentemente caratterizzate dal rin-vio e sonoramente bocciate dai mercati, rende necessario unintervento straordinario che il Presidente esercita con determi-natezza e forza.

Prima dell’incarico a Mario Monti, diventa operativa la nomi-na di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea e dello stes-so Monti come senatore a vita. I due fenomeni fanno appari-re l’Italia in ripresa, quanto meno in termini di credibilità eascolto a livello europeo e internazionale. Da paese messoall’angolo, torniamo ad essere, forse, un paese che ha unminimo di voce in capitolo.

L’investitura Mario Monti fa tirare agli italiani un avvertibilesospiro di sollievo. Prima ancora che sia formalmente defini-to, l’ipotetico governo Monti gode di un sostegno altissimo.Dalla fine di agosto, quando abbiamo ripreso i nostri sondag-gi continuativi sul clima del paese dopo la pausa estiva, tuttigli indicatori erano in crollo verticale: qualità della vita, aspet-tative economiche, fiducia nelle istituzioni facevano emerge-re un paese terrorizzato, sfiduciato, pervaso dall’idea che nonce l’avremmo fatta.

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Una soluzione non politica viene considerata il toccasana,vista l’incapacità di un ceto politico sempre meno rappresen-tativo. D’altronde, nel tempo recente, sono sempre stati i“tecnici” a risolvere le situazioni di difficoltà del paese.

Il governo Monti sembra il più tecnico tra i governi che ilpaese ha avuto. Le nomine sono fatte soprattutto tra esperti(qualcuno dice che più che un Consiglio dei ministri si trattadi un Consiglio di facoltà).

Il paese reagisce bene, convinto com’è di essere all’ultimaspiaggia. Gli indicatori risalgono, il rischio Grecia, paventatoda quasi tre quarti degli italiani ad ottobre, sembra farsi piùlontano.

La politica, nell’angolo, non può che approvare. Il nuovogoverno nasce con una maggioranza parlamentare larghissi-ma, all’opposizione nella sostanza solo la Lega.

Tuttavia i mal di pancia sono numerosi: nel centrodestra la cri-tica spesso si accentra sulla legittimità stessa del governo. Sivaluta l’incarico come una sospensione della democrazia equesto tema non è secondario. Se formalmente la proceduranon è discutibile e i passaggi non rappresentano una messain discussione delle forme, nella sostanza si tratta di unamessa in mora della rappresentanza. E’ tuttavia, come giàdetto, il prodotto di una débacle, quella della politica. Solouna piccola parte dei cittadini concorda con la tesi dellasospensione della democrazia.

Ancora, le critiche si incentrano sull’estrazione del governo,espressione delle banche (uno dei ministri di peso è CorradoPassera, ex ad di Banca Intesa) e della Chiesa (ben tre ministri,Riccardi, Ornaghi e lo stesso Passera erano stati relatori alrecente convegno di Todi, che ha riunito le principali associa-zioni cattoliche del paese sull’onda dell’intervento del cardi-nale Bagnasco).

Nel centrosinistra i malesseri si appuntano di più su un certosentore liberista del governo, in maniera evidente per Vendo-la e Di Pietro, ma non irrilevante nello stesso PD, almeno perbocca del responsabile economico Fassina.

La manovra presentata dal governo è pesante e dolorosa,centrata principalmente sulle entrate, con poco spazio per lariduzione delle spese e soprattutto indirizzata prevalentemen-te al lavoro dipendente e alle pensioni.

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La reazione del paese è straordinaria: della manovra piacepochissimo. L’aumento dell’Iva (82% sono critici sul provvedi-mento), l’ICI (criticata dal 68%), gli interventi sulle pensioni(69% contrari) non piacciono a nessuno o quasi. Nel comples-so si valuta la manovra come iniqua (lo pensa quasi il 70%degli italiani). Tuttavia, contestualmente, il governo mantieneuna valutazione elevatissima (oltre il 60% di consensi) e lostesso avviene per il premier (oltre due terzi degli italiani hafiducia in Mario Monti). Inoltre un segnale arriva anche sulfronte economico: le aste di collocamento di fine anno deiTitoli di Stato nazionali, cui sono ricorsi numerosi italiani, pre-sentano rendimenti inferiori a quelli contemporaneamentepresenti sul mercato libero, ove la presenza di investitori Ita-liani è ininfluente.

C’è la convinzione (che sembra molto meno presente tra ipolitici) della necessità di ingoiare la pillola per superarel’emergenza.

E’ però fuori dubbio che questo consenso da ultima spiaggianon potrà durare molto. Nel brevissimo è vincolato ad alcunecondizioni ed in particolare alla capacità di ridurre lo spreadmettendo in sicurezza i titoli pubblici e ridando fiato alleborse. Nel medio è collegato alla capacità di produrre equitàe crescita.

Neoguelfi in una societàautodiretta

Nell’ultimo scorcio dell’anno la Chiesa riprende un suo ruolopolitico. La messa in mora del berlusconismo la chiama incausa direttamente. Da tempo la base dei fedeli è criticaquando non disgustata: i comportamenti privati del premierprima e poi la manifesta difficoltà di fare ne rendono eviden-te il confliggere con la rete diffusa sul territorio.

Il mondo delle parrocchie, cui danno voce i giornali diocesa-ni, esprime disapprovazione con analisi sempre più cogenti epesanti. Non è più solo Famiglia Cristiana col suo direttorespesso criticato per le sue posizioni fuori dal coro.

La questione sembra complessa e rilevante. Potremmo sem-plificarla così. Due grandi ideologie sono in crisi: la socialde-mocratica da tempo, da quando almeno la sua creatura, lo

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stato sociale, sembra non essere più in grado di sostenersi nédi redistribuire in maniera soddisfacente una ricchezza che siriduce sempre più. La risposta liberista mostra la corda: dise-guaglianze sociali enormi, impoverimento complessivo, spa-ventoso vuoto del sociale e abbandono dell’individuo al sé,evidenziano la sua incapacità di rispondere ad un nuovomondo globale che pure essa ha contribuito a creare, con lasperanza di divenirne l’espressione unica (il pensiero unico).

L’unica risposta possibile, nel silenzio della socialdemocrazia enell’arretrare dei liberisti sconfitti, sembra l’economia socialedi mercato. Qualcuno mette insieme, con estrema proprietà,Marx e Leone XIII. E rispolvera, in un momento critico perl’Europa, in cui uno dei grandi stati, la Gran Bretagna si allon-tana dal Continente per continuare a rivolgersi ad un impro-babile asse con gli Stati Uniti, il modello “renano” fondatosulla Gemeinschaft, sulla comunità come collante centrale,contrapposto al modello anglosassone, individualista, dipen-dente dalla finanza. Le aziende in questo modello sono“prede” orientate esclusivamente al profitto. Nel modellorenano l’azienda si qualifica, citiamo ancora Berselli da“L’economia giusta”, “come community, non soltanto comecommodity, come comunità vitale non soltanto come mercescambiabile sul mercato”.2

Il cardinale Bagnasco ripropone queste linee con una forteaccentuazione “politica”, contribuendo ad un appuntamentodei movimenti cattolici a Todi da cui emerge una forte spintainterventista, l’idea non di un’inattuale riedizione della Demo-crazia Cristiana quanto di una struttura intermedia, una sortadi movimento organizzato in grado di parlare verso l’alto alleclassi dirigenti politico-economiche del paese e verso il bassoad un “popolo” sempre meno rappresentato.

Il dibattito era avviato da tempo, ma la crisi del berlusconismone accelera i tempi. Tra i tanti interventi vale la pena ricorda-re quello di Lorenzo Ornaghi, ex rettore della Cattolica diMilano e attualmente ministro dei Beni Culturali del governoMonti, che alla fine del 2010 lanciava una sorta di manifestoneoguelfo. Rivendicando ai cattolici un primato: “Rispetto adaltre […] ‘identità’ culturali […] disponiamo di idee più appro-priate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo anco-ra dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati.[…] Essere ‘guelfi’ implica la consapevolezza che la nostraposizione di vantaggio va di giorno in giorno consolidata.Consolidandola, saremo già pronti per quelle nuove ‘opere’che – soprattutto per ciò che riguarda la rilevanza e la capa-

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2Edmondo Berselli “L’economia giusta”Einaudi 2010

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cità attrattiva della nostra partecipazione alla vita politica delpresente – il futuro prossimo già ci domanda” (Lorenzo Orna-ghi “Sul presente e il futuro dell’Italia” intervento al X Forumdel Progetto Culturale dedicato al tema “Nei 150 anni del-l’Unità d’Italia. Tradizione e progetto” – corsivo nostro).

Gli italiani ascoltano con interesse: l’intervento del cardinaleBagnasco, seguito con attenzione da più di un quarto dei cit-tadini e conosciuto almeno a grandi linee dal 50%, riscuoteun diffuso apprezzamento, in particolare nelle sue parti tesea richiamare la politica al suo ruolo di sobrietà e capacità dirappresentanza.

E’, come abbiamo più volte detto, un paese che aspetta vociragionevoli ed è disposto ad ascoltarle, da qualunque parteprovengano.

Ma tutte le voci, compreso quelle provenienti dalla cattedra diPietro, vanno filtrate dalla coscienza individuale. Lo diconocon nettezza tutti gli italiani, compresi i cattolici praticanti edimpegnati nell’attività volontaria nelle parrocchie. La Chiesa,come le altre istituzioni del Paese, non è automaticamenteinvestita di un’autorità tale da rendere le sue parole nondiscutibili, anzi. La perdita di fiducia nella Chiesa (pur soste-nuta ancora da circa 60% dei cittadini), determinata negliultimi anni principalmente dall’emergere del fenomeno dellapedofilia, non si riprende. Anzi, scende ancora negli ultimimesi dell’anno, anche in relazione alla polemica sull'esenzio-ne dal pagamento dell’ICI.

L’archetipo comunitario su cui tutta l’analisi cattolica si fondaè quantomeno da ricostruire e da riconfermare giorno pergiorno. Il modello sembra essere più che non quello della soli-da Gemeinschaft, la comunità basata sulle relazioni personalistabili, piuttosto quello delle comunità virtuali che vediamocrescere in rete, basate su relazioni liquide, la cui durata nonè determinabile in un continuo comporsi e scomporsi.

E in questo quadro sembra in discussione anche il principio dinon negoziabilità dei valori e del fondamento di verità chesottostà alle posizioni ufficiali della Chiesa.

In un contesto in cui si chiede alla Chiesa di ridurre i propriinterventi morali e dove su alcuni dei principi cardine (quali adesempio il tema del fine vita, della contraccezione, dell’abor-to e più in generale, e soprattutto, della morale sessuale) leopinioni degli italiani – e anche di una parte rilevante dei pra-

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ticanti – sono molto distanti dalle posizioni della Chiesa.

Infine i cattolici non appaiono come un monolito, anzi le divi-sioni che percorrono la politica sembrano anche riflettersi sulmondo cattolico. Gli italiani sono convinti che difficilmente sitroveranno punti di accordo, tra i politici e tra le diverse asso-ciazioni cattoliche, soprattutto per quei temi che rappresenta-no in generale faglie importanti di frattura nella società enella politica: le politiche economiche, i temi etici, le politichefiscali.

In sostanza nella società del disincanto dove il luogo dellascelta è in interiore homine, nella propria coscienza che pre-tende di non essere eterodiretta, i punti di ricucitura dovran-no necessariamente essere centrati sul terreno della politica,delle politiche sociali, della redistribuzione, della produzioneoltre che della riproduzione.

Scommessa che i cattolici condividono con il resto della società.

Per dirla con Touraine, di fronte alla fine del sociale così comel’abbiamo conosciuto nella modernità preglobale, forse l’irru-zione dei soggetti non è solo degrado ma possibile ricostru-zione dei (faticosi) paradigmi fondativi.

Tutti a casa: la democrazia adisagio

L’ondata antipolitica non è solo, lo abbiamo detto, recrude-scenza forcaiola e populistica. Stiamo in un passaggio strettoe complesso in cui si conclama la difficoltà di funzionamentodel sistema democratico a fronte di una società talmentecambiata da essere irriconoscibile.

Si avverte un disagio profondo proprio per le risposte chemancano: in una realtà che dà luogo a sempre più dramma-tiche diseguaglianze sembra perdersi la ragion d’essere stessadel sistema democratico che dovrebbe invece produrre inclu-sione, benessere diffuso, crescita della cittadinanza. Ancheperché, se la democrazia è dialettica delle parti, sono le partiad essere cambiate.

Come dice Galli: “La democrazia oggi non soffre tanto dellasua storica difficoltà a fare unità a partire dall’indipendenza

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delle parti; soffre semmai della scomparsa delle parti che,interconnesse, la costituiscono: Stato, soggetto, partiti, popo-lo – mentre la scena è dominata da un capitale profondamen-te trasformato e fuori controllo. […] La crisi nella democraziaè diventata, o sta diventando, crisi della democrazia.”3

La reazione dei cittadini è di insofferenza per questa situazio-ne, aggravata certo dallo storico malfunzionamento del pub-blico e della politica nel nostro paese. La colpa è della casta.

La polemica sui costi della politica è enorme e oramai storica.Anche se poi, guardando bene, si scopre che tutto sommatoi costi dei parlamentari italiani non sono molto diversi daquelli di molti dei principali stati europei.

Tuttavia si è davvero convinti che intervenire sulla politica con-tribuisca a migliorare le finanze pubbliche. Richiesti di indica-re il provvedimento prioritario per affrontare la crisi, doman-da fatta nell’autunno inoltrato, oltre 60% degli italiani metteal primo posto la riduzione dei parlamentari. E fin qui non c’èda stupirsi. Ma poco meno della metà (47% per la precisione)è anche convinto che questo sarebbe l’intervento più vantag-gioso per le finanze statali, addirittura più efficace di unapatrimoniale.

Ci si scaglia contro il pubblico accusandolo di avere un eccessodi dipendenti, scoprendo poi che tutto sommato l’incidenza deidipendenti pubblici italiani è inferiore alla media europea.

Il disagio, quando non il disprezzo o addirittura la rabbia –stanno tornando gli insulti ai politici per strada come ai tempidi tangentopoli – sono probabilmente eccessivi, ma testimo-niano della incapacità della politica nel far fronte ai cambia-menti e alle nuove richieste. D’altronde siamo al punto piùbasso della fiducia nei partiti (12%), un punto mai raggiuntoneanche negli anni di Tangentopoli.

Il coro, unanime o quasi, è “tutti a casa”. Il ricambio totale esenza sconti della classe politica attuale del paese, la palinge-nesi rigeneratrice, è richiesta non solo dai disgustati ma daglistessi elettori per i propri partiti. Sono soprattutto gli elettoridel centrosinistra che chiedono a gran voce un cambiamentoradicale, ma anche nel centrodestra l’attesa è di un profondorinnovamento.

L’inadeguatezza della politica è evidente e non solo in Italia. Iltema è quello di avere una classe dirigente aggiornata, con

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3 Carlo Galli “Il disagiodella democrazia” Einau-di 2011

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una cultura globale, con letture adeguate, con analisi che tra-valicano i confini nazionali, con relazioni vaste.

Questo manca. Il costo vero della politica, come qualcuno hacorrettamente sottolineato non è tanto il peso economicodella casta, quanto la sua incapacità di decidere per il benedel paese. Torna l’urgenza di avere degli statisti, delle perso-ne che, secondo la celebre definizione degasperiana, sianocapaci di guardare alle prossime generazioni, non alle prossi-me elezioni.

Il ceto politico italiano, a partire dalla seconda Repubblica,pare non essere capace di adeguarsi a queste necessità, eoggi sembra aver raggiunto uno dei livelli più bassi mai visti.

La cultura politica rimane spesso ancorata al passato, ancoraincistata nel novecento, inadeguata.

La richiesta quindi di mandarli tutti a casa ha in qualche modoun suo fondamento: abbiamo bisogno di adeguarci allenuove sfide.

Non secondario, in questo, il comportamento di non pochirappresentanti della classe politica. Con l’arrivo del nuovogoverno fa notizia il premier che si mette in coda al check-in,che si porta (da solo!) il trolley alla stazione Termini, che sipaga l’ingresso alla mostra. La sobria normalità sembra un’ec-cezione.

Senza partiti: l’implosione delsistema

E’ nel sostanziale vuoto politico-istituzionale prima descrittoche si apre una fase nuova per il paese, in cui la bussola sem-bra assente.

I partiti hanno alzato le braccia, incapaci di far fronte aglieventi, consegnandosi nella mani dei tecnici. Apparentemen-te una situazione transitoria. Si fa la manovra, si prendono iprovvedimenti necessari, poi tutto torna come prima.

In realtà tutto dovrà, necessariamente, cambiare. Perché sicu-ramente da questa situazione non si uscirà come prima alme-no sul lato della spesa pubblica, che è stata il volano principa-

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le della politica per lunghi anni. Le risorse saranno minori, laredistribuzione del reddito dovrà trovare nuovi canali.

Si dovranno individuare nuovi destinatari della ridotta possibi-lità di spesa ridisegnando il sistema di welfare e la rete degliammortizzatori sociali. Per far funzionare il paese bisogneràspostare risorse dal modello del male breadwinner (sostenutoin misura rilevante dalla spesa pensionistica) ai giovani e alledonne, sostenendo percorsi di vita, garantendo redditi di cit-tadinanza, esplorando l’ottimizzazione dei servizi in una piùefficiente e più stretta relazione pubblico/privato.

La drastica riforma delle pensioni scardina modelli di vita, retidi relazione e sostegno. Andremo verso un mondo in cui larete della solidarietà familiare si farà più leggera.

Siamo di fronte ad un processo in cui stanno cambiando (e lovedremo) stili di consumo e di vita, e non solo per imposizio-ne della crisi. E’ in parte un’interiorizzazione della decrescita,che comporta modelli di consumo più virtuosi, più sostenibili,più compatibili con la scarsità di risorse. La politica dovrà rap-portarsi a questo nuovo clima, alle mutate condizioni di vita.

La competitività delle imprese, se il trasferimento di ricchezzadall’Occidente ai paesi emergenti manterrà i ritmi che abbia-mo visto negli ultimi anni, dovrà sempre più essere giocato suinnovazione, crescita della produttività (riducendo il costo dellavoro per unità di prodotto che nel nostro paese rimane unodei problemi principali), specializzazione. Di nuovo ridisegnan-do il ruolo della formazione, della scuola, dei centri di ricerca.A meno che non si voglia progressivamente diventare i forni-tori di manodopera a basso costo per il mondo avanzato.

Non si vede quale partito, nella sua struttura attuale, sia ingrado di raccogliere una sfida simile.

Sia nel centrosinistra che nel centrodestra convergono cultu-re, visioni, interessi che faticano a ricomporsi.

Quello che sembra mancare è un’etica repubblicana, cioè unsentimento condiviso delle responsabilità collettive. E’ il ruolodella borghesia (“la proprietà obbliga”), ma la borghesia èstata in Italia poca cosa, così come le élites che pure hanno“fatto” il paese, dal Risorgimento in poi.

La scomposizione e ricomposizione dei partiti non è solo unanecessità auspicabile, ma sembra essere nei fatti: si scompon-

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gono e ricompongono interessi e campi di forza.Certo, molto dipenderà dalla durata del governo Monti. Secadrà a breve, è probabile che si vada al voto a scenari sostan-zialmente invariati (ma il rischio è ricominciare l’agonia con unceto politico che non si è riaccreditato nel paese). Se dureràsino alla scadenza della legislatura, la ricomposizione divente-rà necessaria.

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La crisi, l’economia, il mercato

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Uno sguardo ai fondamentali

Lo scenario 2011 conferma con forza le tendenze degli ultimianni. Un progressivo spostamento della ricchezza (del pesoeconomico certo, ma anche e progressivamente del ruolopolitico) dai paesi dell’occidente sviluppato ai paesi emergen-ti. Bric(s) diventa un termine familiare ad una massa semprepiù vasta di italiani. E non sarà l’unica acquisizione nel dizio-nario dell’economia che gli italiani faranno: spread e bundfino a poco fa termini oscuri e arcani, entrano nelle chiacchie-re da bar, nelle discussioni delle famiglie.

L’andamento dell’economia globale è a due velocità, comemostra il grafico seguente (con le stime 2011 desunte dalleprevisioni del Fondo Monetario Internazionale)

Grafico 2 Prodotto interno lordo: confronto serie stori-ca economie avanzate e paesi emergenti (variazioni %;previsioni Fondo Monetario Internazionale per il 2011)

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati FMI perAncc-Coop

La situazione si presenta ancora nettamente critica per le eco-nomie dei paesi avanzati; se la recessione del 2008/2009 (intesta ai cittadini rimangono le immagini dei dipendenti dellaLehman Brothers che se ne vanno reggendo i loro scatoloni)ha colpito sostanzialmente tutta l’economia mondiale, laripresa avviene con velocità nettamente differenti che fannoemergere le difficoltà delle economie più sviluppate.

Si manifesta con evidenza un riassetto della distribuzionedella ricchezza che penalizza l’Occidente avanzato (e in primoluogo Stati Uniti e vecchio continente). Tuttavia sembra che lapolitica stenti a fare propria questa situazione e a rispondere

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con mosse adeguate. L’esemplificazione più netta è l’este-nuante dibattito statunitense per l’innalzamento del debito,trascinato quasi sino all’ultimo momento con il rischio di por-tare il paese al default. Qualcosa di simile avviene per l’Euro-pa: l’assenza di un governo capace di intervenire sui granditemi (certo non sostituito dal direttorio Merkozy) e una BancaCentrale con poteri non sufficienti a fronteggiare la grandecrisi finanziaria. Potremmo adeguare il famoso motto dellaprima campagna di Bill Clinton: “It’s the politics, stupid”.Quello che manca all’Occidente è la politica.

Detto per inciso, questa situazione di redistribuzione della ric-chezza sui paesi emergenti, è percepita anche dalla popola-zione: richiesti di prevedere l’andamento dell’economia neiprossimi tre anni gli italiani vedono peggiorare tutto (econo-mia personale, locale, italiana, europea), tranne l’economiamondiale. Trainata da altri, che non siamo noi.

Dentro un percorso di questo genere l’Italia segna grandi dif-ficoltà. Innanzitutto nella capacità di ripresa, tema fondamen-tale nel gorgo di una crisi finanziaria di proporzioni inaudite.

Grafico 3 Il Pil dei principali paesi dell’area Euro(1° trimestre 2008=100)

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su datiEurostat per Ancc-Coop

E di nuovo si registrano pesanti differenze territoriali, con lasolita frattura Nord/Sud assai evidente:

Il Sud non riprende.

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Grafico 4 Italia: il Prodotto interno lordo (a prezzi costanti; 2001=100)

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati ISTATper Ancc-Coop

Infine la breve fiammata di ripresa del 2010 sembra venireriassorbita nel 2011:

Tabella 1 Il quadro di sintesi dell’economia italiana

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) per Ancc-Coop

La prospettiva si fa ancora più pesante con le stime di dicem-bre fatte dal nuovo governo Monti dopo una revisione deiconti dello Stato: la crescita del PIL sarà negativa nel 2012 (-1,5%). Siamo, anche tecnicamente, in recessione. Il ministrodello sviluppo lo comunica agli italiani nel corso di una confe-renza stampa a dicembre.

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.feR inoisiverP Variazioni % 2009 2010 2011 2012

Prodotto interno lordo -5.2 1.3 0.7 0.4 6.0 0.5 5.01 7.31- inoizatropmI

Consumi finali nazionali -1.1 0.6 0.6 -0.1 -di cui spesa delle famiglie -1.8 1.0 0.6 0.3

Investimenti fissi lordi -11.9 2.5 1.4 1.0 0.2 0.4 1.9 4.81- inoizatropsE

Prezzi al consumo 0.8 1.5 2.6 1.8 Tasso di disoccupazione 7.8 8.4 8.2 7.9 Unità di lavoro totali -2.9 -0.7 -0.3 0.5

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Con le unghie e con i denti:la battaglia delle famiglie

La situazione delle famiglie si fa, nel 2011, drammatica.Hanno assorbito la crisi del 2009 contando su un recupero abreve e tutto sommato facile (grandemente ottimisti in quel-l’anno, convinti che la flessibilità e adattabilità del paeseavrebbero garantito una via d’uscita), hanno resistito nel2010 facendo fronte alla crescita della disoccupazione, aicosti pagati dai giovani prima di tutto e dalle donne poi,hanno cercato di mantenere il proprio tenore di vita ristruttu-rando i comportamenti di acquisto e modificando il panieredella spesa.

Oggi la fatica rischia di diventare per molti insostenibile. Undato banale evidenzia la situazione: i prezzi dei prodotti sonoaumentati, con un’inflazione trainata innanzitutto dalla cre-scita sproporzionata del costo dei prodotti energetici (la male-detta benzina) e dai trasporti (caso abnorme la crescita deitrasporti marittimi, con punte di variazione enormi che hannoscoraggiato molto i turisti a recarsi nelle isole: andare in Sar-degna diventa proibitivo per una famiglia media), mentre isalari sono diminuiti per svariate ragioni dovute non solo aldecremento degli occupati ma anche all’uso consistente dellacassa integrazione che riduce il reddito a disposizione.

Tabella 2 I prezzi al consumo in Italia: consuntivi e previsioni

(*) Previsioni(1) Include le tariffe energetiche (en. elettrica, gas, ed altri)(2) Esclude gli energetici (en. elettrica, gas, ed altri)

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) per Ancc-Coop

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2009 2010 2011 2011 2012 Prezzi al consumo (NIC)

Media Media I sem Media (*) Media (*) Prodotti alimentari 1.9 0.2 2.4 2.6 1.7 Alimentari, escluso fresco 1.9 0.5 1.7 2.2 2.1 Prodotti non alimentari 1.1 1.1 1.2 1.3 1.5

Prodotti energetici (1) -8.8 4.2 9.8 9.2 -0.7 Servizi privati 1.7 1.7 2.1 2.5 2.2 Tariffe pubbliche (2) 1.3 1.4 2.2 2.2 2.5

6.1 5.1 7.1 7.2 1.3 ittiffATotale 0.8 1.5 2.5 2.6 1.8

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A fronte di un potere d’acquisto che si riduce progressiva-mente dal 2008 e a spese per consumi finali delle famiglie checontinuano a tenere con fatica, crolla la propensione al rispar-mio, con evidenza a partire dal 2002, drammaticamente negliultimi tre anni.

In sostanza: le famiglie, gabbate dal cambio 1-1 lira/euro(1000 lire un euro, un inelegante raddoppio dei prezzi, avve-nuto senza alcun controllo pubblico), hanno cominciato daallora a tenere botta utilizzando i risparmi. Negli ultimi anni diprofonda crisi, il ricorso ai risparmi diventa consistente. Stia-mo intaccando il gruzzolo, da popolo tra i più risparmiatoridel pianeta ci stiamo trasformando in scialacquatori pernecessità, senza nemmeno il piacere di un po’ di edonismo.

Alcuni economisti e analisti tendono a ridurre l’allarme suquesto aspetto (parlano infatti di “reddito permanente”, cioèdell’andamento del reddito che i consumatori si attendono dipoter percepire stabilmente in futuro). Ma questo a nostroparere amplifica le preoccupazioni anziché ridurle: se gli italia-ni hanno continuato a spendere nonostante una contrazionedel potere d’acquisto è perché hanno scommesso sull’ipotesicongiunturale leggendo la crisi come un fattore episodicodestinato a rientrare. Ma la crisi non rientra, gli effetti stannodiventando di natura permanente; oltre a questo si aggiun-gono possibili cambiamenti “strutturali” come l’adeguamen-to dell’età pensionabile e un’accelerazione del passaggio alsistema contributivo: “il reddito permanente” di molti indivi-dui subisce allora una frenata non solo rispetto alla situazio-ne contingente (crisi conclamata), ma anche a causa delleaspettative di lungo periodo, post-crisi. A questo punto biso-gnerà tornare a risparmiare per un futuro sempre più cupo,ed ecco una contrazione dei consumi, il decremento ulterioredella ricchezza interna, e così via.

Quanti risparmiano e quanto risparmiano? La necessità dimettere via qualcosa è un assillo di molti (più del 40% non sisente tranquillo se non risparmia almeno un po’), ma solopoco più di un terzo delle famiglie è riuscito a farlo. Quasi10% ci ha provato senza riuscirci.

La dimensione del risparmio delle famiglie è, come detto, incaduta: il tasso era di quasi il 16% agli inizi del millennio, nelterzo trimestre del 2011 è sceso al 12%. Si tratta di una misu-ra non molto distante dalla caduta del prodotto interno lordo.E soprattutto è sfuocato il ritratto del paese di formicherisparmiatrici: il nostro tasso di risparmio è inferiore a quello

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di Francia e Germania. Il che, è sempre utile ribadirlo, metteprogressivamente in discussione uno dei pilastri della tenutadel nostro paese (è vero il debito pubblico è elevato, ma ildebito aggregato …). Se le famiglie intaccano i risparmi inquesta misura il rischio-paese si fa più alto e si indebolisceuno degli ammortizzatori sociali maggiormente rilevanti.

Non va dimenticata poi la classica frattura territoriale: il cen-tro nord più ricco, il sud più povero. Vero, ma occorre anchetener conto che la caduta del pil procapite disponibile è statomolto più netto proprio nel Nord: tra il 2000 e il 2009 in Ita-lia si sono persi mediamente 874 euro procapite. In Emiliasono stati persi circa 2500 euro, in Lombardia oltre 2200.

Le famiglie in saldo negativo (hanno intaccato i risparmi osono dovute ricorrere a prestiti) sono oramai quasi il 30% (10anni fa erano poco più del 13%).

Ma oramai quasi 40% delle famiglie italiane si trova in amba-sce: si tratta di chi ha consumato tutto il reddito e nei prossi-mi dodici mesi vedrà aggravarsi la situazione, quando non dichi ha fatto ricorso a risparmi accumulati e a debiti e pensache dovrà farlo anche l’anno prossimo, forse addirittura inmisura superiore.

In sostanza poco meno di metà delle famiglie fatica, ma circaun quarto è davvero in crisi.

E questa crisi che colpisce così pesantemente fa emergere unprofilo articolato, che evidenzia non solo le fratture classiche,ma anche nuove difficoltà.

Certo, si tratta di famiglie maggiormente presenti nelcentro/sud, con titoli di studio medio/bassi. Ma anche di fami-glie residenti nei grandi centri, con persone giovani (tra i 31 ei 44 anni troviamo la concentrazione più rilevante di famigliein crisi grave) o di età centrale (tra i 45 e i 54 anni si concen-trano di più le famiglie in crisi moderata).

Ecco i punti di caduta: famiglie giovani che affrontano lespese per la casa e per i figli spesso in una situazione di pre-carietà e di scarsa sicurezza, famiglie di età media con figliadolescenti o adulti ancora residenti in casa, spesso con leprime richieste di aiuto da parte dei genitori che vanno facen-dosi anziani.

Questo dato è ulteriormente confermato dall’andamento del

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gruzzolo delle famiglie: il 59% negli ultimi tre anni ha ridottol’ammontare delle riserve messe da parte per il futuro, per farfronte alle emergenze, per finanziare progetti importanti. Maquesta percentuale sale ai due terzi delle famiglie in cui ilcomponente di riferimento ha tra i 31 e i 44 anni: di nuovochi affronta le grandi scelte. Forse è naturale che sia così(stanno spendendo per figli e casa), ma quando gli sforzi eco-nomici già importanti si coniugano ad una situazione di glo-bale incertezza per il futuro e di precarietà del presente, lamiscela rischia di diventare davvero preoccupante.

In sostanza i bilanci familiari sono compressi da tre fattoriconvergenti: la contrazione dell’occupazione (accompagnatadalla riduzione del reddito per i cassintegrati), la ripresa del-l’inflazione che riduce il potere d’acquisto, a breve le conse-guenze delle politiche di bilancio pubblico (la pesante mano-vra di Monti). Tutti i dati (compresa la stima negativa di cre-scita del PIL per il prossimo anno) portano alla recessione. L’at-tesa è che vi sia un rientro dei tassi di interesse sul debito pub-blico. Senza questo il paese è in pericolo.

La contrazione dei consumi

L’interiorizzazione della crisi sembra diffondersi. Intanto par-tendo da dati strutturali. E’ interessante osservare l’andamen-to dei consumi in due cicli di crisi, quella dei primi anni ’90(1991-1995) e quella attuale. Nella prima crisi recessiva i con-sumi sono tornati, e hanno superato, il punto precedentel’inizio della crisi dopo circa tre anni. Oggi, nonostante sianopassati quattro anni (dal 2007, punto massimo dei consumi),siamo beni distanti dall’aver recuperato. Si conferma cosìl’ipotesi che la contrazione dei consumi possa diventare seriae più pesante del prevedibile.

D’altronde tre quarti degli italiani prevede una riduzione deiconsumi nel prossimo anno.

L’Italia è uno dei paesi più colpiti dalla contrazione dei consumi:

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Grafico 5 Consumi, distanza dai massimi (variazioni % cumulate rispetto al 2007)

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati fontistatistiche nazionali per Ancc-Coop

E si trova indietro di oltre un decennio:

Grafico 6 Consumi pro-capite delle famiglie (Consumi a prezzi costanti; indice 2000=100)

Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati ISTATper Ancc-Coop

Coerentemente con le rilevazioni oggettive, gli Italiani si ren-dono conto e ammettono di aver ridotto drasticamente leproprie spese, perfino in quelle categorie come elettronica,telefonia, prodotti per la casa che lo scorso anno parevanoessere state penalizzate meno di altre.

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Il taglio si abbatte su molti consumi ma anzitutto su ciò che sispende fuori dal guscio domestico:

Calo già pesante nel 2010, che diventa decisamente più con-sistente nel 2011, come risulta dalla nostra indagine perACRI, condotta da oltre 10 anni nell’ottobre di ogni anno:

La tabella è di facile lettura: rispetto al 2010 un ulteriore 12%delle famiglie ha ridotto le spese per ristoranti, pizzerie, bar,6% per cinema, teatri, concerti e così via.

I tagli però riguardano anche altri settori:

Ma il ridimensionamento colpisce anche settori che sembra-vano immuni o solo marginalmente colpiti lo scorso anno:

Fonte tabelle: Ipsos per ACRI (ottobre 2011)

L’ultimo dato è un campanello di allarme: si stanno riducen-do i consumi anche di prodotti alimentari e per la casa. Insom-ma non si sta tagliando solo il superfluo.

Se guardiamo a una delle regioni più ricche del Paese, la Lom-bardia, troviamo che il 14% delle famiglie ha tagliato moltedelle spese che considera necessarie, un terzo ha tagliatoqualche spesa necessaria. Quasi metà delle famiglie sta drasti-camente riducendo i propri consumi.

Questa riduzione è il prodotto di tre elementi combinati: lariduzione effettiva delle risorse a disposizione, la volontà diricostruire almeno in parte lo stock di risparmio intaccato

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2011 2010 %04- %25- rab ,eirezzip ,itnarotsiR %04- %64- itrecnoc ,ortaet ,ameniC %73- %54- eznacav ,iggaiV

2011 2010 Vestiario, abbigliamento, accessori -36% -27% Cura della persona, capelli, bellezza -25% -13%

%01- %91- etsivir ,ilanroig ,irbiL

2011 2010 Spese per auto, moto, spostamenti -10% -9% Elettronica e elettrodomestici -12% -1%

%2 %9- ainofelet e onofeleTProdotti alimentari e per la casa -5% 3%

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dalla crisi, infine le aspettative negative circa il futuro flusso diredditi e sulla futura tassazione, che inducono alla prudenzaanche le classi sociali e le categorie di lavoratori non colpitidalla crisi. Torniamo quindi al dato evidenziato prima: la crisisi interiorizza, non è più un dato congiunturale, il rischio è uncomportamento recessivo che incide forse anche pesante-mente sulla crescita del paese.

Cresce solo il consumo di medicinali: è una spesa incomprimi-bile, è dettata dal progressivo invecchiamento della popola-zione, da una progressivamente maggiore attenzione allasalute. Ma cresce anche il consumo di psicofarmaci: in unasituazione di crisi crescono malesseri, depressione, fragilità.

In sintesi, possiamo costruire una mappa dei mercati, chesuona così:

Ma chi contrae di più i consumi? Sono di nuovo i ceti “dina-mici”, chi sta tra i 31 e i 44 anni (di nuovo: i figli, la casa …)e nella classe di età immediatamente successiva, tra i 45 e i64 anni (di nuovo: figli quasi adulti, spese in crescita, lavoro arischio, genitori che chiedono).

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La povertà cronica

La crisi colpisce, come abbiamo detto, molto pesantementegli italiani. D’altronde, se la povertà coinvolge l’11% circadelle famiglie, come certifica Istat, il rischio povertà cresce edarriva a coinvolgere quasi un quarto dei nuclei familiari delpaese. Ma alcuni segmenti sociali si sentono più colpiti di altri.In primo luogo, com’era da aspettarsi, chi ha perso il lavoro,che risponde con una battaglia per la sopravvivenza pesantee in qualche caso estrema, con una contrazione forte dei con-sumi, anche di quelli necessari.I lavoratori autonomi si sentono più insidiati di tutti: il calo deiconsumi si ripercuote immediatamente su di loro se si trattadi commercianti (la scelta dei canali di acquisto da parte deiconsumatori li penalizzano, come vedremo), il calo dell’eco-nomia se si tratta di artigiani.

Poi le casalinghe: indipendentemente o quasi dalla condizio-ne socioeconomica di partenza della famiglia devono fare iconti con il bilancio familiare che richiede aggiustamenti econtenimenti.

Infine gli operai, il lavoro meno qualificato certo, ma anchequello più colpito dalle riduzioni di personale, dalla cassa inte-grazione, dai tagli.

Per alcuni (autonomi) la paura è la contrazione pesante eduratura del reddito, per operai (ma in questo caso ancheimpiegati) è la perdita del lavoro, la cassa integrazione, il fattoche il proprio reddito non crescerà per un lungo periodo, conun’inflazione che comincia a mostrarsi aggressiva.

Il 45% degli italiani pensa che il proprio reddito sia inferiore aquello necessario per mantenere uno standard di vita accetta-bile.

Con la percezione di una netta diffusione della povertà (inquesto caso in linea con i principali paesi europei):

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Grafico 7 La diffusione della povertà (% di rispondentiche sostengono che la povertà è diffusa nel proprio paese)

Fonte: elaborazioni Ufficio Studi Ancc-Coop su dati Eurobarometro 2010

Con un ascensore sociale che non funziona da tempo e unacrescita di chi si sente in condizione bassa, come certificaun’indagine di Demos & PI (Ilvo Diamanti) del maggio 2011:

Grafico 8 Evoluzione di classe – Lei personalmente aquale classe sociale ritiene di appartenere (valori % - serie storica)

Fonte: Sondaggio Demos & Pi (Maggio 2011)

E’ il ceto medio che si impoverisce e che non trova speranze nelfuturo: le condizioni dei figli saranno peggiori di quelle dei padri.

E il mito del lavoro autonomo decresce pesantemente (è unodegli indicatori della chiusura di un paradigma ventennale).Nel 2004 il lavoro autonomo era il più ambito, oggi si prefe-risce sopra tutto il resto il lavoro alle dipendenze pubbliche,peraltro ormai anch’esso insidiato.

Non fanno eccezione i giovani: gli italiani sono all’ultimoposto tra i grandi paesi europei nel dichiararsi interessati amettere in piedi un’attività in proprio.

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Sappiamo le caratterizzazioni della povertà storica: la numero-sità delle famiglie (le famiglie con tre figli hanno un tasso dipovertà relativa doppio rispetto alla media) il Sud, le famigliemonoreddito.Ma si presentano nuove forme di povertà, che sempre più ten-dono a coinvolgere occupati che non riescono più a far frontealle spese necessarie, padri separati, ceto medio in caduta.

La Caritas, che ha antenne sensibili, rileva come ai suoi centridi sostegno siano aumentati gli italiani, del 43% dal 2007, edel 14% è l’aumento di coloro che hanno una dimora stabi-le, sono in possesso di un lavoro e vivono all’interno di unnucleo familiare. Per molti la speranza è che si tratti di unacaduta momentanea, il rischio è che la condizione si cronicizzi.

E il rischio che le cose vadano male anche nel futuro è presen-te negli italiani. Nell’indagine Ipsos condotta in 24 paesi pocoprima di Natale, alla richiesta di esprimere il proprio accordocon la frase: “Penso che il 2012 per me sarà migliore del2011”, l’Italia si colloca all’ultimo posto:

Tabella 3. Accordo con la frase “Penso che il 2012 per me sarà migliore del 2011”

Fonte: Sondaggio Ipsos Global@dvisor (6-19 dicembre 2011)

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Molto + abbastanza d'accordo

%19 ecnarF %19 aisenodnI %09 lizarB %98 aidnI %58 ocixeM %28 anitnegrA %08 adanaC %08 aissuR %97 acirfA htuoS %87 aibarA iduaS %77 ailartsuA %67 muigleB %67 anihC %47 setatS detinU %37 aeroK htuoS %76 yekruT %36 ynamreG %16 dnaloP %95 niapS %85 niatirB taerG %65 yragnuH %55 nedewS %64 napaJ

Italy 45%

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Consumare meno, consumaremeglio

I canali di acquisto tendono a modificarsi. Tra la popolazioneattiva (dai 24 ai 59 anni), pur a fronte di un calo generalizza-to dei consumi, come abbiamo visto, si tende a rivolgersi dipiù agli hard discount (che hanno avuto il calo minore), aicentri commerciali e agli ipermercati, ai mercati. Soffrono unpo’ di più i supermercati, ne risentono sensibilmente i grandimagazzini, in netta crisi i negozi di vicinato, crollano le bouti-ques.

La contrazione dei redditi produce una scelta più oculata eattenta del canale di vendita.

E modalità di acquisto che si modificano. E’ il processo, ormainoto di downgrading della spesa. E’ utile dare un’occhiata aquesto riguardo al rapporto Coop 2011 che, a proposito dellargo consumo confezionato, che rappresenta circa un sestodella spesa annua per i consumi di beni delle famiglie italiane,quindi un osservatorio privilegiato che consente di capire ledinamiche delle scelte di consumo degli italiani, nota alcunifenomeni interessanti.

Intanto si registra una crescita delle vendite di questa tipolo-gia di prodotti (largo consumo confezionato), in particolarenel settore alimentare: non è però un “vero” incremento. Lacrescita è trainata dall’aumento delle superfici distributive edall’aumento della quota della grande distribuzione organiz-zata a scapito dei negozi di vicinato, come d’altronde abbia-mo notato più sopra nelle dichiarazioni di comportamentod’acquisto della popolazione 24-59 anni.

Complessivamente crescono i discount che vedono aumenta-re la loro attrattività per le famiglie in condizioni economichepiù precarie e quindi con la necessità di contrarre maggior-mente i propri acquisti. E’ il canale che fa registrare il mag-giore incremento di fatturato (va ricordato, e lo diremo dopo,che i discount hanno importato i brand al loro interno).Accanto a questo emerge anche il fenomeno degli specialistidrug, importati dalla Germania, che si occupano della vendi-ta di prodotti per la casa e la cura della persona, presentisoprattutto nel Nord Est: rappresentano solo il 3% delle ven-dite della GDO, ma evidenziano un elevato tasso di crescita.

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Cambiano le abitudini di acquisto e di consumo. La tendenzaè quella di risparmiare, nel comparto food, cercando semprenuove occasioni per recuperare potere d’acquisto. Ci si orien-ta su canali d’acquisto più convenienti, su prodotti menocostosi, su offerte e promozioni.

L’affinamento delle strategie di acquisto consente di effettuareil minimo di rinunce in termini di qualità pur riducendo la spesa.

Si riducono le quantità acquistate, ci si indirizza su prodottimeno cari (si compra meno manzo e vitello, più pollo e coni-glio), si comprano confezioni più piccole per i freschi, ma piùgrandi per la cura della persona (pannolini, dentifrici, sham-poo, bagni e doccia schiuma, deodoranti) e per le bevande(birra, acqua e bevande gassate), incrementando così il rispar-mio.

Poi si cercano prodotti in promozione, si analizzano conattenzione i volantini delle offerte, si diventa nomadi, seguen-do i punti vendita con le promozioni migliori (e in questo risul-tiamo i primi in Europa). Ma sempre cercando di non depri-mere la qualità: la rinuncia alla marca di fiducia è rara.

Nella GDO d’altronde crescono le vendite promozionali dellemarche:

Grafico 9 Incidenza vendite promozionali per tipologiadi brand (valori %)

Fonte: Nielsen Trade*Mis

Ma anche si dilazionano o ritardano gli acquisti importanticome mobili, abbigliamento, casa mentre risultano più imper-meabili gli acquisti di elettrodomestici e tecnologia.

Si utilizzano nuovi canali e modalità di acquisto come il socialshopping, per esempio, che compensa in parte la perdita deisettori che più di altri sentono la crisi (come l’abbigliamento)

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e consente la soddisfazione di bisogni per beni e servizi cheprima risultavano inaccessibili o erano acquistati saltuariamente.

Lo dicono alcuni dei nostri partecipanti ai focus:

“Prima quando mai mi sarebbe capitato di partire per unweekend romantico senza pianificarlo in termini di spesa, oracon Jumpin si può fare quasi senza pensarci!”“Aspetto che ci sia l’offerta su Groupon per la manicure…ormai lo so che ci sono le offerte, semplicemente aspetto ilmomento opportuno e compro”

I gruppi di acquisto segnano una netta crescita:

Grafico 10 Incidenza vendite promozionali per tipolo-gia di brand (valori %)

Fonte: Elaborazioni Nielsen su dati Audiweb

Non dobbiamo però dimenticare che si tratta sempre di unfenomeno di nicchia, limitato alla popolazione più informata(e quindi più fiduciosa in questo strumento) e non esclusa daldigital divide, che in Italia resta ancora ampio (si veda perapprofondimenti il capitolo sui new media). Gli anziani e leclassi sociali marginali ne sono di fatto esclusi; a questi biso-gna aggiungere che la distribuzione a “macchia di leopardo”delle connessioni veloci (fondamentali per scegliere in base adimmagini e demo) configura una invalicabile barriera di acces-so a queste offerte per molti cittadini che abitano in aree nonurbane.

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Costume e società

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Convergere e co-creare

Uno dei grandi cambiamenti dell’ultimo decennio è il ruolosempre più preponderante giocato dalla tecnologia nellanostra vita quotidiana. La rivoluzione tecnologica e la diffusio-ne della tecnologia friendly trasformano velocemente e pro-fondamente il nostro modo di relazionarci, di formarci opinio-ni, di strutturare il dialogo pubblico in tutte le diverse sfere divita: nel privato, come elettori, come cittadini, come spettato-ri e come consumatori

In questo mondo segnato dalla pluralità delle individualità, dal-l’io patchwork in cui i molti stanno nell’uno, si è prepotente-mente imposto un nuovo modo di relazione che scardina il tra-dizionale scenario gerarchico (top-down) o democratico (bot-tom-up) per creare un ambito spaziale circolare – e orizzontale.

La facilità nel reperire, veicolare, commentare informazioni suprodotti/notizie/politiche/ dichiarazioni/leggi…, mediata dalweb 2.0 in tutte le sue diverse forme (blog, social network,forum…), crea un processo comunicativo difficilmente con-trollabile dall’emittente del messaggio, che si diffonde inmodo esponenziale tramite la struttura reticolare del web. Manon solo, il messaggio può essere discusso, commentato,cambiato, ricreato (o co-creato) in un processo di riadatta-mento costante dal quale l’emittente stessa potrebbe venireesclusa. Inoltre la diffusione del mobile internet tramite l’uti-lizzo di smartphone, iPad e tablet, ha ormai annullato, peruna parte sempre più consistente di popolazione, la separa-zione tra tempo dedicato al web ed altre attività, in una situa-zione in cui sempre più spesso si ricorre al web mentre si stafacendo altro (si è in coda, in treno, per strada, al supermer-cato…) consentendo di fatto un accesso costante alle infor-mazioni (siano esse ad esempio notizie, opinioni su un brando un prodotto, informazioni sull’orario di apertura di unosportello pubblico o semplici indicazioni stradali).

La convergenza è un processo di interconnessione tecnologi-ca che consente connessione continua, libertà di scelta, spazidi intervento.

L’affermarsi di questa superconvergenza che apre nuovi oriz-zonti, rende possibile una forte spinta innovativa che vienedefinita co-creazione, con un nuovo e potente protagonismodel cittadino connesso, del consumatore che in rete contribui-sce attivamente a ideare, migliorare, utilizzare, anche pro-

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muovere il prodotto. E lo stesso avviene nel dibattito sociale epolitico, veicolato dai social network e non solo.

La centralità dell’individuo ne è esaltata, la sua potenza espo-nenzialmente accresciuta. Ma contemporaneamente stiamoin uno scenario (post) apocalittico: la nostra insicurezza cre-sce, perché scompaiono i tradizionali punti di riferimento, leagenzie di coesione sociale, le reti di organizzazione del con-senso; perché le grandi decisioni sembrano essere prese fuoridi noi (e fuori dai nostri stati, dai nostri politici), perché fati-chiamo ad individuare il senso del cammino.

E’ la centralità della tecnica (della sovrastruttura tecnocratica,della finanza, del turbocapitalismo) che si autoproduce in unaeterogenesi dei fini.

La reazione è il tentativo di dare un senso all’iperconnessione.

La crisi che cambia il nostro rapporto con il mondo richiederisposte complesse e comportamenti adattivi che contempo-raneamente trasformano la realtà.

Disconnettersi e decelerare

L’iperconnessione diventa ingestibile: poco tempo fa si è cele-brata la giornata della cancellazione degli amici da Facebook.Sembra che possiamo avere al massimo 150 amici “veri”.Qualcuno era arrivato ad oltre 5000. E’ venuto il momento diricondurre il tutto ad un principio di realtà.

La disconnessione (temporanea più che non duratura) è unanecessità vitale per riprendere in mano i fili persi del propriopercorso. La connessione continua peggiora le condizioni divita più che non migliorarle: siamo distratti dal continuoirrompere di richiami (sms, mail …) che interrompono lenostre attività. La frustrazione cresce (non vogliamo spegne-re, non possiamo lavorare bene), in un percorso che diventasempre più compulsivo e sempre meno efficace.

La disconnessione è un simbolo delle possibilità da esplorare.L’iperconsumismo ci sta divorando, cerchiamo di ridurre(downsizing), l’iperconnessione ci sta consumando, cerchia-mo di disconnetterci, l’ipercomunicazione ci sta sovraccari-cando di indistinto, cerchiamo il silenzio.

E’ un processo di reazione alla trasformazione globale. Anche

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qui, è il tentativo di risposta alla fine di un paradigma. La crisimette a nudo fragilità, debolezze, negatività di un modello dicrescita, di relazione, di produzione.

E’ solo una vacanza per alcuni – stacco per un po’ poi ripren-do – ma per altri è un modello duraturo. Non più il percorsotipico del boom che ricarica la forza lavoro con la vacanza aMilano Marittima, ma un percorso di lungo periodo, in cui ladisconnessione è una modalità di essere, un rallentamentoduraturo del ritmo.

E’ la vita slow, la città slow (un movimento cui aderisconooggi 140 città in 20 paesi del mondo), il tentativo di renderetutto più naturale, compatibile, accettabile.

In questa sorta di disagio della civiltà le risposte sono fram-mentate ma diffuse: le “mori girls” giapponesi che cercanotempo per vivere, i sindaci delle grandi città riducono e rego-lamentano l’invadenza della pubblicità nelle strade, l’esposi-zione pubblica si riduce.

Crescono i social network che riducono la diffusione di infor-mazioni personali a terzi; nascono siti come Path, il “PersonalNetwork”, un social network che coinvolge i tuoi amici piùstretti, 50 al massimo; il progetto diaspora si presenta comeun’alternativa a Facebook che garantisce agli utenti la pro-prietà e il controllo dell’informazione che condividono:“Condividi ciò che vuoi con chi vuoi.”, la piattaforma Skyroc-k’s si configura come un “blog segreto” …

E contemporaneamente si attenua la pressione sociale che spin-ge al “più”; consumare meno, vivere con meno, non è più qual-cosa di cui vergognarsi. L’esibizione è sempre meno gradita.

E’ anche un prodotto della crisi: i grandi consumatori, i pos-sessori delle grandi auto, sono spesso evasori. Adesso che ilfisco si fa più duro gli acquirenti di Ferrari e Lamborghini stan-no smettendo di comprare, troppo pericoloso …

Abbiamo smesso di sognare una vita a credito. Proporzionia-mo il nostro tenore di vita alle nostre risorse. D’altronde gliitaliani lo hanno quasi sempre fatto, almeno quando si tratta-va di gestire i propri bilanci privati.

Ma tutto questo non si traduce in rinuncia, lo abbiamo visto,piuttosto tende a diventare sempre più consumo critico e riu-manizzato.

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C’è maggiore richiesta di qualità, di servizio, di efficienza.

C’è, insomma, la richiesta di quella che Ulrich Beck chiama lapropria vita4.

La ricerca della nostra vita, sostiene Beck, in una società fran-tumata in singoli settori funzionali, non interscambiabili, dovele persone sono accomunate soltanto da aspetti parziali(appunto l’io patchwork), è costruita in uno “spazio vuoto”aperto dal continuo differenziarsi della società. La risposta èun individuo che diventa “attore, costruttore, giocoliere e sce-nografo” della propria biografia. La quale diventa da “norma-le” biografia a biografia “a rischio o dell’azzardo”. Ciò signi-fica che “la relazione che si istituisce tra la propria vita e il pro-prio fallimento comporta che anche le crisi sociali (per esem-pio, i periodi di disoccupazione di massa) vengano scaricatesui singoli che li percepiscono come rischi individuali”.

Ci siamo, stiamo esattamente nella situazione descritta daBeck.

Si tenta di reagire, lo abbiamo visto, alla ricerca di una viad’uscita che appare complessa, ma nella convinzione oramaidiffusa che niente sarà come prima, che la crisi ha chiusomondi e aperto scenari impensabili prima.

Le tante richieste, si possono riassumere in pochi tratti:

- Una maggiore domanda di offerte a basso costo e solu-zioni collettive

- Una maggiore domanda di offerte di “riconciliazione”(che permettano ai consumatori di riavvicinare il piaceree la riduzione del budget)

- Allo stesso tempo una maggiore domanda di prodotti diultra-qualità ed alta gamma (per i quali si giustificano deisacrifici).

- C’è un forte desiderio di mettere le persone al centrodella società connessa:- Richiesta di servizio,- Richiesta di qualità,- Richiesta di efficienza.

- Una delle missioni dei principali attori economici – priva-ti e pubblici, marche e punti vendita – è di partecipareall’invenzione di nuovi codici e standard per vivere bene:- Gentilezza quotidiana, considerazione, rispetto…- Spazi e momenti per disconnettersi…

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4 Ulrich Beck “Costruirela propria vita” Il Mulino2008

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e qualche domanda:

- Intrusione della tecnologia- Come possiamo accompagnare lo sviluppo degli stili

di vita connessi?- Abbandono ed esclusione economica

- Come possiamo rispondere alla pressione finanziariache grava su una percentuale sempre maggiore diconsumatori?

- Equilibrio personale degli individui- Come possiamo aumentare la qualità della vita se

continuiamo a promuovere i valori del ben-essere edel “ben-avere”?

L’economia del riciclo

I consumi deliranti delle ultime ventennali bolle speculativesono alle nostre spalle. Le cantine (e i box) pieni di prodottifortemente voluti e immediatamente scaduti sono l’emblemadel declino (necessario?) dell’Occidente; i barbari, si sa, con-sumano poco e invadono molto.

Anni fa Rifkyn prevedeva che saremmo passati all’economiadell’accesso, in cui conta non la proprietà ma il valore d’usodei beni. Sembra progressivamente verificarsi (qualche voltain forme imprevedibili) questa profezia.

Sono certo segnali deboli, ma decisamente significativi e pro-babilmente anticipatori dei comportamenti a venire.

L’affitto dei beni sembra la nuova frontiera. Lo dice beneEdmondo Colliva, fondatore di Italnolo, società leader nel set-tore, con 40 punti “affitto” in tutta Italia, su Repubblica del22 dicembre. Riportiamo le sue parole, illuminanti: “La genteha vissuto per tanto tempo al di sopra dei propri mezzi. […]Adesso si contano anche gli spiccioli, E in molti hanno scoper-to che spesso prendere in affitto un oggetto è più razionaleed economico che comprarlo”.

Forse non abbiamo vissuto esattamente al di sopra dei nostrimezzi (siamo sempre, se pur via via più sfibrati, un popolo diformiche). Ma per il resto sembra tutto giusto.

Gli esperti stimano il giro d’affari del settore del noleggio in Ita-lia intorno ai tre miliardi di euro. Cifra rispettabile, senza dubbio.

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Un altro esempio è EGO (Ecologico guardaroba organizzato)che basa il proprio business sul concetto di “utilizzo condiviso”.Fornisce ai propri abbonati 30 vestiti al mese, lavati e stirati.

Accanto all’affitto crescono forme più tradizionali come ilmercato dell’usato (di cui si sono tenuti quest’anno a Torinogli stati generali), e l’economia del baratto che sta prendendopiede anche nelle aziende (una sorta di scambio merci/serviziche non prevede l’esborso di danaro).

E’ solo la crisi che produce questi comportamenti? Non sem-bra esattamente così. Dietro ci sono motivazioni complesseed articolate.

Risparmio: va molto il decespugliatore, che si usa mediamen-te due volte l’anno e di solito la seconda è rotto. E’ una spesain cui il rapporto costi benefici si carica molto sulla primavoce. Ecco che l’affitto diventa conveniente.

Esibisco: posso prendermi il tablet, la borsa di Prada, per qual-che giorno. I miei amici sbaveranno, i miei clienti avranno dime un’immagine migliore …

Riciclo: non consumo in eccesso, contribuisco a diminuirel’energia complessiva che si spreca, faccio un’operazione diecologia sociale.

Riduco: rivedo le mie attese con occhi critici, definisco unostile di consumo più misurato, mi sento meglio con il mondoche mi circonda.

Attivo: me stesso e le energie che sono rimaste sopite. E’ lasocietà del bricolage, in cui il mio fare è dettato non solo dallenecessità di risparmio ma da una gratificazione per il mioruolo attivo.

Sono tutte forme di aggiramento della società del consumo.Per dirla con una battuta, il sistema si aggira, non si cambia.

E’ un mutamento antropologico che mette in discussioneanche il rapporto con il denaro, ne mette in dubbio il ruolo di“valore in sè” e di “misura del valore delle cose”. Nuove stra-tegie che l’antropologo Marino Niola definisce un modo “perconsumare senza consumarsi”.

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Marche e stili di consumo

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Sempre la rete…

Se la rete è sempre più luogo di scambio e creazione di opi-nioni e informazione, diventa centrale soprattutto per leaziende (ma anche per le istituzioni e i partiti), conoscere ciòche viene detto in rete. Oggi la Rete non è più solamente unmedium dove le aziende ospitano proprie “vetrine” commer-ciali o informative ma è un luogo dove circolano informazio-ni specifiche sui prodotti, un ambiente dove confrontarecaratteristiche e prezzi ed un luogo dove si formano flussiinformativi che hanno una portata virale estremamenteimportante.

E’ cruciale comprendere se, quanto e come si parla sul web,al fine di monitorare i fenomeni oggetto d’interesse ed –eventualmente – intervenire prontamente a fronte di situazio-ni particolarmente critiche.

Sempre più diffuse sono infatti le community in cui ci si scam-bia commenti e informazioni su prodotti e servizi, sia perquanto riguarda i prezzi che la qualità (si pensi ad esempio asiti come trip advisor, kelkoo, ciao.it…. ). Tra il 2008 e il 2010la quota di individui che si informa su internet del prezzo deiprodotti è passata dal 35% al 47% e la percentuale di perso-ne che visita i siti di marche o prodotti dal 18% al 33%.

Il consumatore, anche sulla spinta della crisi economica,diventa sempre più attento alle proprie spese e trova nel webuno strumento facile e sempre più accessibile (anche grazieallo sviluppo del mobile internet) per farsi un’idea sui prodot-ti da acquistare, ma anche sulla reputazione delle imprese. Inuna società che, ha ritrovato una nuova attenzione all’etica eai temi ambientali, le informazioni scambiate riguardanoanche la reputazione delle aziende, il loro modo di produrre,le modalità in cui trattano i lavoratori…

Ma non solo, sulla spinta dell’attenzione al prezzo dovutaprincipalmente alle modifiche dei consumi legate alla crisi,sempre più si diffondono gruppi di acquisto formati da indivi-dui che, raggruppandosi in internet riescono ad otteneresconti grazie all’acquisto di grandi quantità di prodotto: i datidi Febbraio 2011 di Audiweb (Nielsen) evidenziano unaumento dei gruppi d’acquisto, ovvero siti come Groupon eGroupalia dove la categoria Coupons/Rewards, che includeproprio i gruppi di acquisto ha avuto una crescita da dicem-bre 2009 e febbraio 2011 del 102%. È interessante notare

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che questi siti offrono soprattutto prodotti legati a ristorazio-ne, al benessere, allo sport, all’intrattenimento e al turismo,beni quindi non necessari e sui quali sono stati effettuati piùtagli nel periodo di crisi.

Per quel che riguarda i brand, i segnali che emergevano pochianni fa si confermano e si enfatizzano. Come nel 2010 lemarche sono di fronte a sfide importanti, con una regola basi-lare: vietato barare. Il consumatore è attento, ingegnoso, scal-tro e ha affinato ancora di più le sue strategia di difesa acausa della crisi (questioni di sopravvivenza) e grazie ai mezzidi informazione di cui dispone (web fra tutti). Ha meno risor-se ma più bisogni, meno da sprecare e più da desiderare einoltre vive situazioni emotive difficili e contrastanti: concedefiducia solo a chi si prende cura di lui. La scelta cade su pro-dotti e brand in grado di garantire: generosità (il consumato-re pretende di avere qualcosa in cambio nella transazioned’acquisto, un pack particolarmente innovativo, l’accesso adun servizio, l’appartenenza ad una community); prossimità eascolto (il consumatore vuole instaurare con l’azienda un rap-porto improntato ad una logica di scambio e condivisione,anela a un rapporto diretto, non mediato dalle cose); sempli-cità e leggerezza (dove semplicità non vuole affatto dire basi-co o minimale, ma significa poter accedere alla vera e intimaessenza delle cose).

Il destino del brand

Gli italiani, anche quest’anno hanno (disperatamente) conti-nuato a cercare la qualità. Ecco quindi una (inaspettata?)tenuta dei brand, al contrario di quanto avviene in altri Paesieuropei che hanno visto l’affermarsi dell’un-branded.

I brand non hanno avuto perciò necessità di ri-strutturarsiprofondamente. Hanno invece promosso una trasformazione,diversificando i canali attraverso cui comunicano: accanto aiconsueti media, si sono avvalsi di strumenti “nuovi” (tuttiadesso hanno un sito, hanno un CRM, alcuni hanno sviluppa-to community interattive) per poter comunicare più efficace-mente e in maniera più diretta, in una relazione biunivoca,brand-consumatore.

Nell’epoca dei social network, due sono stati i learning prin-cipali per le Aziende. Il primo è che l’Azienda non può piùsolo stabilire una relazione top-down con il consumatore, ma

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il legame passa attraverso una relazione più diretta, più “allapari” nella quale il consumatore si renda soggetto attivorispetto al brand. Il secondo learning è che il brand è monito-rato e osservato: la sua equity può essere esaltata o distruttain tempi davvero ridotti, grazie alla circolazione di giudizi edesperienze con i prodotti e i servizi.

Se questo è vero per tutti i brand, ancora di più lo è per quelliche gravitano nell’orbita dei giovani. Il brand è centrale perquesto target (soprattutto gli adolescenti, ma anche i giovaniche hanno da poco superato questa fase di vita), perché rap-presenta un contenitore sicuro, uno dei codici più importantiche sanciscono l’appartenenza a un gruppo; perché è un veico-lo di accettazione sociale in un momento in cui c’è grande ansiae preoccupazione per il proprio futuro e in un momento in cuile chiavi di lettura tradizionali del mondo circostante sembranonon essere più sufficienti. Il ripiegamento sul sé, sull’individua-lità è, in un contesto siffatto, quasi scontato: una recente ricer-ca di Ipsos sul target giovani evidenzia l’affermarsi una sorta dimeccanismo di compensazione che porta a dichiararsi soddi-sfatti per quegli aspetti dell’esistenza in cui si ha qualche possi-bilità di incidere, mentre vengono disinvestite le dimensioni piùesterne, su cui non si ha possibilità di intervenire.

La percezione è di essere ingabbiati in una bolla in cui vienemeno la possibilità di esprimersi e la convinzione di partecipa-re davvero. Il brand si insedia in questo spazio e, anche graziealla tecnologia, si costituisce come soggetto che interloquiscecon i consumatori dando loro l’impressione di essere sogget-ti degni di attenzione, partecipi e, in qualche caso, veri e pro-pri decisori e coautori di un progetto.

Questo consente anche di potere fruire delle firme in mododiverso, facendo ad esempio un giusto compromesso con iprezzi: il lusso diventa cioè accessibile.

I modi sono diversi. Dall’invio del semplice messaggio che tiraggiunge nelle prime ore del mattino sul cellulare in modoche si possa sfruttare l’offerta/la promozione:

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Burberry rende i propri show di moda eventi accessibilia tutti: trasmissioni live nei suoi punti vendita, sul suosito, su diversi altri siti e sugli schermi giganti a PiccadillyCircus. Un sistema di instant messaging rende possibileottenere informazioni velocemente sul prodotto ed ordi-narlo all’istante.

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Al “consorzio di firme in un’unica boutique virtuale. Bouti-ques.com, un sito web lanciato da Google, raggruppa insie-me delle boutiques disegnate dai creatori: celebrità, designer,stilisti e blogger. Ciascuna mini-boutique è una compilation diabiti e accessori raccomandati da un influenzatore la cui“marca” e scelte personali formano uno stile di firma:

Per giungere poi a diventare veri e propri co-autori del brand:

Il viral marketing (un dispositivo diaccrescimento per enfatizzazione eduplicazione. Circola in base alla logi-ca del contatto) messo in atto con lacampagna Be Stupid di Diesel: tra le

altre iniziative, i ragazzi sono coinvolti su facebook attraversola creazione diretta di claim in dialetto e il brand ha utilizzatomodalità linguistiche proprie dello slang giovanile.

Un altro esempio è il successo della versione di Wired: igiovani possono mettersi nei panni del redattore e speri-mentare in prima persona la nascita del giornale.

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L’interazione con la redazione crea un effetto di apparte-nenza e di azione, espressività e creatività.L’effetto di intrattenimento attivo è costitutivo del profiloidentitario: i giovani vedono corrisposta la domanda dipresenza attiva. La voglia di mettersi in gioco in prima per-sona viene soddisfatta da iniziative di margine ma altrettantosignificative per la loro portata di esemplarità: ad esempio,l’esperienza “Fanciullezza”, l’organizzazione di un serviziofotografico con i ragazzi per pubblicizzare un servizio di orien-tamento scolastico

Anche lo shopping tradizionale trova nuove forme, trasfor-mando l’acquisto in una vera e propria esperienza sensoriale –si veda il caso di Abercrombie, dove i profumi, la musica, i“commessi” a torso nudo creano un’esperienza multi-senso-riale e rendono possibile l’immersione in un mondo di marca.Parlano i prodotti – gli unici ad essere illuminati- mentre il con-sumatore è come con-fuso con l’ambiente che lo circonda.

Anche l'esperienza italiana di SuperFlash di Intesa San Paoloè estremamente interessante ed in linea con queste esigenze.E' una linea di banca che nasce dai giovani, si presenta rimo-dellando tutti i canoni, con un'agenzia che si presenta comefosse un negozio di elettronica o di vestiti di moda. Consenteai clienti la connettività WiFi, apre spazi di discussione sulsociale e sulla musica, e la cui advertising nasce dal web,attraverso l'acquisto di idee creative originali, messe in rete dagiovani talenti.

L’ acquisto diventa un’ esperienza unica e in qualche misura“lussuosa” e si costituisce come parte del piacere di acquista-re un brand, come parte del valore di un brand.

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E cresce l’attenzione e il piacere per tutto ciò che è persona-lizzabile, che si percepisce come ritagliato a misura delle pro-prie esigenze o che si può modificare, anche se in una strut-tura rassicurante e protetta, per esprimere una parte di sé,della propria personalità, delle proprie aspirazioni.

Post edonistici

Il rifiuto di rinunciare agli acquisti edonistici deve però esseregestito con strategie adeguate.

Pur di mantenere saldo il desiderio di appagamento emotivosi è disposti a trovare soluzioni creative, a trasformare il pro-blema in risorsa con un po’ di impegno aggiuntivo. Si fannolavoretti in proprio, come chi ama cambiare spesso il coloredelle pareti e oggi non può più permettersi di pagare qualcu-no per farlo. E il risparmio non è l’unico risultato, diventa gra-tificante dimostrare di saper fare da sé.

La rinuncia è più spesso all’eccesso che non al “superfluo”come chi comprava lo stesso prodotto in più versioni e ora siaccontenta di una sola, facendosela bastare.

La riduzione dei consumi, dello shopping compulsivo, per quan-to gratificante, lascia comunque qualche strascico di rimpianto.

Va distinto, in ogni caso, l’andamento degli acquisti effettivi dalgrado di coinvolgimento del consumatore. Infatti, a parità dispesa, gli acquisti si distinguono anche sulla base del piacereche sono in grado di procurare e non solo del grado di utilità.

Significa che con la modifica del potere di acquisto alcuni benie servizi risultano “fissi” e impermeabili ai cambiamenti. Ingenere sono quelli che hanno una capacità di coinvolgimen-to meno elevata come per esempio, le spese per l’energia, ilriscaldamento, la salute, ecc.

Altri, invece, sono destinati ad essere molto variabili e suscet-tibili di variazioni significative verso l’alto, e sono quelli con unpiù forte coinvolgimento emotivo. Spesso la tecnologia rap-

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Il muro virtuale Adidas presenta 8000 modelli di scarpe edà accesso a informazioni dettagliate su ciascun model-lo: produzione, storia, numero di goal segnati utilizzan-do questo modello, opinioni dei consumatori, ecc.

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presenta un acquisto irrinunciabile; si tende a vedere meno illoro impatto sul bilancio familiare, anche in virtù dell’alibi di“utilità” di molti device. Ma, lo abbiamo visto, nel 2011anche questo settore ha subito una contrazione, per quantomeno evidente di molti altri.

Anche le spese per i viaggi, il benessere la cura del corpo conbenefit quasi esclusivamente emotivi sembrano conservare laloro carica di coinvolgimento, in contrazione certo anche loro,come abbiamo visto, ma difesi per quanto possibile.

I nuovi consumatori: gli immigrati

In Italia ad oggi risiedono circa 5 milioni di immigrati pari al 7,5%della popolazione e a circa il 10% degli occupati (rapporto Cari-tas Migrantes 2011). Circa un milione sono minorenni e di que-sti 650mila fanno parte delle cosiddette “seconde generazioni”,cioè sono nati in Italia da genitori immigrati, segno di una sem-pre più stabile presenza straniera in Italia. Ma non solo, il rappor-to Caritas sottolinea come siano in aumento anche i matrimonimisti tra italiani e stranieri (1 ogni 10 dei matrimoni celebrati nel-l’ultimo anno), ulteriore segnale di maggiore integrazione.

Gli stranieri in Italia, con un reddito medio di poco superiore aimille euro (dato Istat 2011), sono oggi però più stabili ed inseri-ti. Come evidenzia il recente rapporto Istat “I redditi delle fami-glie con stranieri” (2011) appare però netta la relazione tra ladurata della permanenza in Italia della famiglia e il livello del red-dito familiare.

Tabella 4. Numero medio di componenti, reddito familiarenetto e reddito familiare equivalente delle famiglie con stra-nieri per durata della permanenza in Italia (Anno 2008, valorimediani in euro e Indice - Famiglie in Italia da meno di 2 anni = 100)

La durata della permanenza in Italia della famiglia è definita come la duratadella permanenza del componente straniero di più antico insediamento."Fonte: Istat 2011

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Reddito familiare netto (inclusi fitti figurativi)

Reddito familiare equivalete (inclusi fitti figurativi) N. medio componenti

Euro Indice: Famiglie in Italia da meno di 2 anni=100

Soli stranieri Miste Soli stranieri Miste Soli stranieri Miste

Meno di 2 anni 1,4 3,2 8.502 22.893 100,0 100,0

2 - 4 anni 1,5 3,1 10.507 28.528 113,9 119,2

4 -7 anni 1,9 3,1 13.261 27.029 126,3 109,9

7-12 anni 2,3 3,1 15.152 28.785 130,4 116,0

Più di 12 anni 2,4 3,5 16.819 29.272 140,2 111,0

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Al crescere del tempo trascorso dall’arrivo in Italia, e con ilradicarsi dell’insediamento, aumentano infatti sia la dimensio-ne familiare media, sia il reddito familiare ed il livello di benes-sere economico complessivo della famiglia.

La cittadinanza passa anche attraverso i consumi: nuovi citta-dini, che quotidianamente mangiano e vestono all'italianasenza però rinunciare alle tradizioni della cultura d’origine. Lefamiglie straniere, ormai stabilizzate in Italia, si affacciano aiconsumi rivendicando un proprio ruolo economico come pro-tagonisti di un’economia multiculturale. Non più dunqueimmigrati visti solo come soggetti deboli ed a rischio di esclu-sione, ma come nuovi tipi di consumatori caratterizzati daidentità plurali e da gusti e bisogni variegati.

È in questo quadro che si inserisce una crescente attenzionedelle imprese nei confronti dei consumatori stranieri da partedi differenti settori: dai servizi finanziari alle utilities alla gran-de distribuzione alimentare.

Un esempio di tale interesse è l’affermarsi negli ultimi anni delmercato alimentare di cibi Halal, che rispettino cioè le prassiindicate dal Corano, per i cittadini mussulmani. Nel 2010 ènato Halal Italia, ente italiano riconosciuto dal Governo, di cer-tificazione volontaria per i prodotti del made in Italy. Già nel2009 è partito inoltre un progetto finanziato dalla Camera diCommercio di Milano (Progetto Promos) per la formazione einformazione presso le aziende lombarde delle potenzialità delmercato Halal e per la certificazione delle aziende interessate.

Altro esempio è la creazione napoletana della “pizza-halal”presentata quest’anno a Vico Equense: una pizza margheritacondita con un tipo di mozzarella di bufala Halal lavorata inun caseificio del casertano.

Molte sembrano essere le opportunità per le aziende che siaffacciano ad una platea che rappresenta il 20% della popo-lazione mondiale, con nutrite comunità presenti anche nelnostro Paese (1,5 milioni di persone) ed in tutta Europa (20milioni) che richiedono prodotti alimentari, ma anche cosme-tici e farmaceutici, che rispettino le prassi indicate dal Cora-no. Isa Nicola Benassi, responsabile qualità di ‘Halal Italia’stima che “il mercato halal-food valga in Europa 70 miliardi didollari (in Italia 5 miliardi) e sia destinato a crescere ulterior-mente con grandi opportunità per le aziende che esportano”(TeatroNaturale n.43 anno 9).

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L’attenzione non è però solo per i prodotti halal, ma in gene-rale per i prodotti di uso quotidiano nell’alimentazione dei cit-tadini immigrati. Dopo i primi pionieri, come l’azienda di JesiCooperlat che già dal 2007 aveva inserito nel marchio Tre Valliil latte fermentato LABEN CHAOUIA, che, con tanto di scrittein arabo, faceva bella mostra nel banco frigo dei supermerca-ti di Torino, anche l’azienda Granarolo ha annunciato checomincerà a produrre e distribuire latte fermentato nel 2012.

Il rapporto Coop evidenzia come il mercato di alimenti etnicosia quello in maggiore crescita tra il 2003 e il 2011, non soloper l’acquisto da parte dei cittadini stranieri, ma per una mag-giore domanda anche da parte degli italiani, che sono semprepiù aperti alla cucina etnica.

Grafico 11. I carrelli della spesa (Indici base 2003=100)

”Fonte: elaborazioni Ref. (Ricerche per l’economia e la finanza) su dati Nielsen”

Non stupisce quindi che Coop, Auchan, Carrefour e Lidl stia-no cominciando a mettere sempre più prodotti etnici sui loroscaffali. A contendere il mercato dei cibi esotici alla grandedistribuzione ci sono però moltissimi esercizi e negoziettiaperti dagli stessi immigrati, spacci dagli orari allungati che sistanno moltiplicando nelle città del Nord (a Milano sono"straniere" il 13% delle botteghe alimentari e il 15% dellemacellerie – dato Confcommercio 2010) e che, con prezzibassi e offerta multietnica, stanno conquistando anche moltiitaliani.

Uguale attenzione è posta ultimamente dal sistema bancario,sempre più interessato ad intercettare la popolazione stranie-ra, segmento di mercato ormai non più trascurabile, tantoche ABI ha attivato una collaborazione con il CeSPI (dal 2005e tuttora in corso) con lo scopo di indagare i bisogni dei citta-dini stranieri nella loro relazione con le banche, volta a forni-

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re informazioni in modo che “Il sistema finanziario in genere,e le banche in particolare, possano giocare un ruolo impor-tante nel processo di integrazione economica e sociale e nellavalorizzazione delle risorse economiche e imprenditoriali deimigranti”. Nel rapporto 2011 viene evidenziato come “il pro-cesso di bancarizzazione è proseguito a ritmi significativi,nonostante la crisi economica degli ultimi anni, con velocitàdiverse a seconda della nazionalità di provenienza. È chiaraanche la tendenza ad una crescita nell’utilizzo dei prodotti edei servizi bancari finanziariamente più evoluti”.

Esempio più evocativo di tale interesse è forse la nascita, nel2010, di Extrabanca, istituto di credito dedicato, anche se nonin via esclusiva, ai cittadini stranieri presenti in Italia. Extraban-ca si presenta come banca indipendente (nell'azionariato cisono tra gli azionisti Assicurazioni Generali , Fondazione Cari-plo e oltre 30 imprenditori) e aspira a presentarsi come mul-tietnica (tra chi ci lavora sono rappresentate 10 etnie, si par-lano più di 11 lingue ed il vicepresidente è il camerunese OttoBitjoka).

I profili di consumo

Di fronte alla crisi le strategie di reazione e di adattamento delconsumatore sono diversificate. Dalle nostre indagini, dagliosservatori sui consumi, dai nostri focus, emergono stili etipologie di reazione articolati, che cerchiamo qui di sintetiz-zare.

• APATICI

Si tratta di un profilo emergente rappresentato per lo più daigiovani della “generazione della crisi”, disillusi dal futuro efortemente focalizzati sul presente.

Sono pervasi da un senso di impotenza e di apatia che favo-risce un atteggiamento di prudenza, un orientamento difen-sivo nei confronti delle sfide della vita.

Hanno un’attitudine passiva, di attesa perenne che accadaqualcosa, non si sentono protagonisti proattivi del cambia-mento, ma semplicemente cellule isolate di un’entità astratta,disaggregata, che non può essere di nessun supporto nel pro-cesso di emancipazione.

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Negli acquisti mostrano un atteggiamento estremamenteprudenziale, statico, talvolta indifferenziato nei diversi profilidi personalità, orientato al risparmio, alla concretezza e alconservatorismo.

Non osano immaginare un futuro diverso per sé o a program-mare un progetto credibile di crescita, soprattutto in terminidi benessere.

La maggioranza spera di vivere in una condizione transitoria,sarebbe infatti impossibile protrarla per tanto tempo: sonoconsapevoli di affrontare un nodo cruciale del proprio ciclo divita proprio nell’epicentro della crisi economica.

All’interno di questo profilo si possono distinguere due diver-se costellazioni.

Chi vive il passaggio da “studente senza pensieri” ad “adul-to senza lavoro” mostra un’incidenza depressiva sull’approc-cio al consumo, oltre che fortemente condizionata dalle scel-te di gruppo e di ‘sopravvivenza’ quotidiana. In questo caso siprediligono le piccole spese che portano un benefit immedia-to. Per lo più si ritrovano appiattiti sui bisogni e la necessità difarvi fronte, e non osano dunque esporre i propri desideri adimpeti passionali.

Una minoranza più vicina alla ‘maturità’ che ha iniziato leprime prove di convivenza con il proprio partner esibisce unapproccio più adulto e consapevole, meno connotato in ter-mini di emozionalità disforica, caratterizzato da una visione dipiù ampio respiro nei confronti della progettualità e del futu-ro, anche se sempre molto incerta e non completamentesotto il proprio dominio.

Tra gli apatici che vivono una situazione di autonomia econo-mica emerge una visione estremamente matura, orientata allarealizzazione di sé attraverso impegni importanti e consisten-ti come la casa, la necessità di risparmiare, la ricerca di inve-stimenti a basso rischio.

• RESPONSABILI

Quando le responsabilità crescono l’attenzione alle spesediventa, naturalmente, rilevante. In questo profilo troviamo lefamiglie con figli piccoli, che non solo rappresentano un costo(incentivare la natalità è uno dei problemi principali del nostrowelfare), ma producono un atteggiamento protettivo.

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La risposta alla crisi e all’incertezza è uno stile di vita regola-re, ordinato, fatto di eventi quotidiani e di tutela dell’armoniae del benessere affettivo del “collettivo” familiare e amicale.

Sono soggetti che puntano alla solidità e alla continuità, sen-tono la priorità di coordinare e pianificare ogni spesa, mante-nersi entro il budget a disposizione, per poter far fronte agliimprevisti e garantirsi uno stile di vita protetto e sereno. For-temente responsabilizzati, sanno che da loro dipende ilbenessere del loro nucleo.

Sono alla ricerca dell’acquisto ben riuscito che presenta unottimale value for money, è scontato o in promozione, riguar-da i marchi di medio-alto profilo, di cui sono fedeli consuma-tori. E’ un acquisto che può essere “capitalizzato”, ed è dilunga durata, un investimento nel futuro.

Al contrario, gli acquisti di natura edonistica sono diminuiti ecircoscritti a quelli che apportano il piacere della condivisioneaffettiva (figli, parenti e amici). La scelta di un acquisto per glialtri è ponderata a fondo e ha una valenza di profonda grati-ficazione: far regali fa stare bene, soprattutto se comportanouno sforzo economico.

In questo scenario psicologico ed economico, gli investimenti(non solo finanziari, ma psicologici) si concentrano su consu-mi che coinvolgono la famiglia “guscio”.

Gli alimentari in primo luogo. La spesa è un momento topicodella riaffermazione e consolidamento dei legami: rimandasempre alla famiglia e all’atto primario del sostentamento. Sipensa con gioia alla reazione dei figli di fronte al buon piattoscelto, ai cibi che preferiscono. E’ una sorta di annullamentonel nucleo vitale. Le donne (quelle che si annullano davvero)lo dicono esplicitamente: “Per me solo quando mi serve, altri-menti mi piace andare in giro e scegliere i vari tipi di vestiarioper i miei figli e marito compreso”.

La casa, ex aequo. E’ simbolo di stabilità, continuità, proiezio-ne verso il futuro del gruppo familiare. Il mutuo è la spesa piùrilevante, spesso difficile da sostenere e che richiede rinunceanche importanti. Si fanno senza grandi rimpianti. Ma si cercadi non rinunciare ad abbellire il guscio. E quando si compraqualcosa che potrebbe apparire superfluo (un’angoliera, adesempio), lo si giustifica col suo contributo alla casa. Non eraper me, era per tutti.

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In questo catalogo non può mancare l’auto, che proietta lafamiglia fuori dal guscio (ma pur sempre in un altro guscioche ne riproduce, in piccolo, le valenze). L’auto è un investi-mento importante (e d’altronde è la seconda voce di spesafamiliare dopo il mutuo). L’auto deve essere funzionale, spa-ziosa, sicura, protesi della casa protettiva.

La gestione oculata delle spese diventa un obiettivo centrale,per ammortizzare l’andamento non del tutto soddisfacentedelle entrate, per consentire di far fronte al crescere degliinvestimenti economici necessari per rispondere alle necessitàfamiliari, per offrire cuscinetti compensativi e protettivi nelleemergenze. Con rinunce, se pur non totali quando possibile,ai consumi edonistici individuali. Infine con piccoli accorgi-menti che consentono di risparmiare quotidianamente, passodopo passo, pur cercando di mantenere fermi gli standard diqualità e di non rinunciare ad alcuni piccoli piaceri che raffor-zano la famiglia. Ed ecco allora crescere il fai da te concentra-to soprattutto sul cibo, sul desco, fattore coesivo per eccellen-za. La pizza la si fa da sé, si imparano nuove ricette, i dolci siauto producono procurandosi la materia prima e studiando iricettari. Si inseguono le promozioni, come la massa degli ita-liani, si sceglie attentamente, si bada al rapporto qualità/prez-zo, si rinuncia ai cibi pronti. Sono le formiche per necessitàche scoprono anche una parte di piacere nella rinuncia.

• ESIBITIVI

Molto orientate alla soddisfazione dei propri orientamentiedonistici, danno un valore rilevante all’apparire, alla distin-zione, alla seduzione. Sono soprattutto donne di età centraledi condizioni socioeconomiche piuttosto differenziate, acco-munate dal tratto culturale che le orienta a privilegiare l’estro-flessione di sé come un portato del possesso. Sono atteggia-menti (e caratterizzazioni che hanno valenza quasi antropolo-gica) che abbiamo visto presenti in molti dei dibattiti e deicomportamenti recenti e che si incistano nella cultura italianadi massa a partire almeno dagli anni Ottanta, che chiama inquestione il tema dell’autenticità.

In generale sono persone che la crisi l’hanno sentita mahanno comunque continuato, anche a costo in qualche casodi rinunciare a consumi primari, ad acquistare in manieracompulsiva, assumendo appunto, come da manuale, il pos-sesso come mezzo per l’esibizione o l’acquisizione di uno sta-tus sociale.

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L’acquisto è una perdita di controllo, un raptus irrinunciabiledi cui qualche volta, soprattutto nei ceti meno abbienti, ci sipente, o per cui ci si colpevolizza.

Le ossessioni più coinvolgenti sono in questo senso quelle checi aspetteremmo.

Al primo posto l’abbigliamento: vestiti, scarpe, accessori. Icomportamenti hanno evidenti aspetti patologici: si gira pernegozi solo per “dare un’occhiata” poi si finisce per acquista-re un paio di scarpe da 500 euro. Ma è uno sfizio cui non sipuò rinunciare, proprio perché quel capo di abbigliamento,quel paio di scarpe, quella borsa, sono un’estroflessione dellapropria personalità. Senza quel capo non si esiste. Ed è ancheuna “strutturazione” della personalità. Io scelgo il mio stile,distintivo rispetto a quello di tutti gli altri e lo faccio in uncomplesso mix di possesso che lo rende unico.

Poi i gioielli. Lì si ricade nello stereotipo estremo di una pub-blicità di successo: nude magari ma con indosso l’orologio oil gioiello. Che sono “celebrazioni” del proprio essere, dellapropria femminilità. Che si accumulano, proprio perché il cre-scere del possesso rafforza il proprio io. L’acquisto è un chio-do fisso. Qualche volta si tende a contenere la compulsivitàconclamata: si aspetta, si cerca un prodotto completamentesoddisfacente, si acquista con meno frequenza, si restringe ilbudget destinato alle altre categorie merceologiche che nonsono oggetto dell’ossessione, si aspettano i saldi di stagione,sempre più frequenti.

Ma per quanto si resista, alla fine si compra.

• SCOPRITORI

Questo gruppo è composto da individui che ricercano la novità(meglio, l’innovazione), molto tecnologizzati, anche qui conqualche aspetto compulsivo, ma in cui la relazionepossesso/individualità è molto più articolata e complessarispetto al gruppo precedente.

Si cercano stimoli intellettuali, crescita, confronto, spessogioco. L’approccio è di curiosità, disponibilità al cambiamentodi opinione, in progress.

Più spesso si tratta di uomini, di età media o medio/bassa.

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C’è una forte attenzione alla propria autonomia e alla defini-zione dei propri spazi, anche quando si è in famiglia, ancheperché questi spazi sono un elemento di crescita (mi aggior-no, mi connetto, mi relaziono) che li rende e li fa sentire con-temporanei, connessi con il mondo e coi suoi cambiamenti.

Come nel gruppo precedente, anche in questo caso l’impulsoedonistico degli acquisti è stato convogliato in specifichecategorie.

Le novità possono anche essere rappresentate da nuovi cana-li di acquisto e la possibilità di “fare affari in modo creativo”(aste, scambi, social shopping, ecc.).

Naturalmente in questo gruppo al primo posto tra gli interes-si troviamo tutta la tecnologia (lato sensu, compresi telefoniae fotografia) ma anche gli elettrodomestici. Si seguono lenovità vorticose degli smartphone in primo luogo, delle stru-mentazioni tecniche, degli aggiornamenti nel software. Lanovità non è strettamente indispensabile dal punto di vistafunzionale, ma è un modo di essere. Se esce qualcosa di piùavanzato non si può rimanere tagliati fuori.

Non potevano mancare le automobili. Si cercano auto tecno-logicamente evolute, con tutto quel che serve: dalla viva voceai sensori per il parcheggio. Non si tratta di status symbol(l’auto cercata non necessariamente è la più bella, la piùpotente, la più aggressiva del proprio segmento), ma di fun-zionalità irrinunciabili. L’auto è solo la base su cui si montanogli accessori.

Anche qui, come dovunque, si è ridotto un po’ il budget e lafrequenza di acquisto, ma senza esagerare: essere up-to-dateè necessario per essere vivi.

• IRRAZIONALI

In questo gruppo prevale un approccio impulsivo, leggero,cangiante. L’atto dell’acquisto ha valenza emozionale, produ-ce energia, eccitazione. Sono uomini, spesso ragazzi, dallepersonalità semplici e con un background culturale e cogniti-vo non particolarmente complesso.

L’istinto prevale nettamente, si segue la propria indole, si sog-giace senza troppo riflettere al desiderio del momento spessonato dalla sola esposizione agli oggetti, un riflesso condizio-nato che viene difeso gelosamente dal ragionamento.

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La razionalità, infatti, svilirebbe il potere galvanizzante dell’ac-quisto.

Anche perché in genere si tratta di uno sfizio che regala unagioia fugace destinata a svanire in breve tempo; per questodeve essere continuamente alimentato con rinnovi frequenti.

L’attrazione è rappresentata appunto dalla merce in sé, dalsuo essere proiettata verso di me nel suo esporsi, sono i pro-dotti della vetrinizzazione che annulla la distanzamerce/acquirente. L’acquisto è un acquisto di impulso, la sire-na della merce non può essere vinta anche perché continua aripetersi in forme diverse. Al prezzo non assegnano alcunvalore reale o simbolico: al più è un vincolo.

Odiano le spese routinarie, di manutenzione, così dominatedalla razionalità calcolante (quanta pasta ci serve, quante lat-tine di pomodori …) in cui l’istinto è annullato quando nonrepresso, costretti ad esplorare sospettosamente prima diacquistare.

Le categorie di acquisti sono le più varie. In ognuna si ricercaun motivo di appagamento, indipendentemente dalla specifi-ca tipologia. L’istinto non ha confini.

L’irrazionalità del gesto d’acquisto che prevale in questo grup-po non di rado produce sbagli provocando la “frustrazionedel giorno dopo”. Tanto più nella tecnologia. Non si soppor-ta di studiare le caratteristiche dei prodotti, le loro compatibi-lità. Non di rado ci si trovano in mano prodotti che non sisanno usare, che non funzionano come ci si aspettava, chenon fanno quello che si voleva.

Le categorie di acquisti sono le più varie. In ognuna si ricercaun motivo di appagamento, indipendentemente dalla specifi-ca tipologia. L’istinto non ha confini.

Per quanto concerne i cambiamenti di comportamento rispet-to al passato, bisogna distinguere in due sottogruppi.

Da un lato gli adulti che hanno ridimensionato le proprie pas-sioni (in misura diversa in relazione al reddito) diradando lespese nel tempo, senza tuttavia rinunciarvi. Rinunciare èimpossibile, per queste persone. La presenza di figli e la loroetà influisce notevolmente sul budget familiare: finché sonoin età scolare, le spese ruotano esclusivamente attorno alleloro esigenze; successivamente, quando iniziano a crescere, ci

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si riappropria almeno in parte del proprio bilancio e le spesetornano ad essere più equilibrate e distribuite in famiglia.

Dall’altro i ragazzi più giovani neo-lavoratori che riescono piùfacilmente a supportare la propria personalità edonista, purlimitandola, in mancanza di una stabilità economica su cuipoter contare.

• APPASSIONATI

Questo ristretto gruppo è fatto da persone abbienti, potrem-mo dire agiate se non ricche, di età medio/alta, uomini edonne.

Qui troviamo un approccio all’acquisto esigente, consapevo-le, ricercato.

E’ il target che meno ha sentito gli effetti della crisi, con unadisponibilità economica impermeabile agli sbalzi inflazionisti-ci e occupazionali.

La lunga permanenza in una condizione di benessere ha con-sentito loro di sedimentare il perfetto equilibrio tra le esigen-ze del cuore e quelle della mente, e di esprimere dunque unedonismo maturo.

Hanno individuato nel corso del tempo le loro personali pas-sioni che coltivano con devozione tendendo all’eccellenza,alla qualità, all’unicità, alle sfumature e ai dettagli raffinati, albuon gusto caratteristico dei prodotti di nicchia.

Amano dedicare risorse e tempo all’acquisto e non si sbilan-ciano prima di trovare ciò che soddisfa perfettamente le loroesigenze.

Acquistano sia beni durevoli che di consumo, con un’atten-zione particolare alle proposte di alta fascia (es.: case, auto,impianti sonori/cinematografici, cibo ricercato, ecc.).

Sono molto coinvolti dagli alimenti, e naturalmente da queiprodotti che necessitano di una perizia tecnico sensorialedistintiva. Il vino in primo luogo, che è diventato progressiva-mente oggetto di conversazioni raffinate anche nel cetomedio basso e quindi in questo gruppo è un acquisto di livel-lo elevato, distintivo, senza limiti di spesa. Se il popolo ormaicompra (o sogna) Brunello qui si ragiona circa le diverse anna-te di Sassicaia, oppure ci si appassiona di una cantina emer-

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gente della quale si è conosciuto il titolare, o l’enologo.

Poi i formaggi, il prodotto principe del gourmand, che tra l’al-tro ha affinità elettive con il vino.

Ancora: le auto, i viaggi, l’oggettistica.

Non avendo apprezzabilmente risentito della crisi, rispetto alpassato i cambiamenti sono soprattutto di tipo qualitativo.

Aumentano gli acquisti intelligenti ed ecologici, per cui adesempio si compra l’auto ibrida, con pannello fotovoltaico,che consente tra l’altro di girare in pieno centro. Si sono fattiun po’ meno impulsivi, pur non riducendo il budget. Insom-ma la crisi ha portato una certa pacatezza e ha contribuito afar crescere gli acquisti sostenibili.

Gli acquisti: una prospettivaevolutiva

• Appartenenza: il puzzle

In un contesto articolato, in cui le reazioni alla crisi sono det-tate da comportamenti adattivi variegati ma complessivamen-te mirati ad un adeguamento per ora non rinunciatario (allaqualità, alle marche, ecc.) ci troviamo in quello che potremmodefinire un puzzle di mondi di appartenenza che è appunto ilrisultato della “frammentazione” nella composizione dellescelte di consumo individuali.

Si attinge infatti contemporaneamente ai mondiconcettuali/emotivi più diversi. Si compone il proprio carnet dicomunità a cui aderire sovrapponendole modo variegato, flui-do e dinamico, con un percorso originale e mutevole.

L’accento di adesione, dunque, è più individuale, si estrapolail frammento di identità che risulta più rispondente al propriopercorso di esplorazione personale e fluttuante.

Si è perso l’interesse nei confronti dell’adesione incondizionataa gruppi che impongono canoni restrittivi e cliché predetermi-nati, si decide di uscire e di entrare in modo del tutto non pia-nificato e mutevole, sulla base di un’adesione talvolta fugace.

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Perde dunque valore l’appartenenza intesa come aderenzatotale ad una classe o categoria, soprattutto se statica: il pro-dotto e il marchio non hanno più la necessità di creare un fil-tro di ingresso univoco, che sbarra la strada agli “infiltrati”.

• Identificazioni: verso l’esplorazione del potenziale diunicità

In sostanza, emerge la tendenza a svincolarsi dagli “assoluti”cristallizzati e istituzionalizzati: il consumatore continua a cer-care il contatto con il mondo del consumo per comunicare eattingerne simboli ma in modo sempre più personalizzato.

Contemporaneamente si sente l’esigenza di distinguerseneper identificarsi in modo univoco e rielaborato, ma anchetotalmente segmentato, provvisorio, non ripetibile, fortemen-te fluttuante, teso alla costruzione dell’unicità del propriostile.

L’orientamento verso le nicchie si va ulteriormente polveriz-zando: la ricchezza delle fonti di ispirazione consente di attin-gere ad universi infiniti di significati in divenire, alla mercé diuna spasmodica manipolazione collettiva.

• Connessione e virtualità: l’acquisto produttore dienergia connettiva

Cresce in modo rilevante l’attribuzione di importanza allaqualità delle proprie relazioni sociali come fattore di benesse-re.

Si è alla ricerca di un’integrazione perfetta tra realtà relazio-nale e canali virtuali, che, diversamente dai timori sul rischiodi isolamento e alienazione, ne costituiscono la fonte essen-ziale.

Una parte rilevante del proprio tempo è dedicato in misurasempre maggiore alla tessitura di relazioni, nuove e acquisite.Il riflesso di questa esigenza si percepisce nella disponibilità efrequenza di spesa per gli acquisti ad elevato contenuto disocialità che garantiscono sia l’incipit del contatto che l’indi-viduazione degli “affini”.

Queste relazioni fungono sempre più sia da canale che dabacino di contenuti di comunicazione, anche tra personeprive di un background condiviso e/o affettivo.

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• Ritorno all’essenza (per vie traverse …)

L’acquisto si traduce sempre più in qualità e autenticità conun legame stretto con la salute e il benessere.

Dentro l’esplodere delle appartenenze, il puzzle delle relazio-ni, emerge una necessità di radicamento che, sempre menogarantito dalla friabilità delle reti di sostegno e dalla labilitàdel legame sociale, trova nell’atto di acquisto un canale che,sempre meno sublimato e trasmutato si spoglia di molti valo-ri simbolici e tende ad essere sempre più riportato verso l’usooriginario.

In questa tendenza rivestono estrema importanza i comporta-menti esplorativi, che riproducono non solo scelte ma relazio-ni, non solo acquisizioni ma comunità.

Cresce l’esigenza di tragitti di ricerca emotivi e guidati checonsentano di orientarsi in modo istantaneo conservando lacarica di complessità edonistica insita nella scelta.

• La perdita di valore del denaro

I nuovi processi di scelta si organizzano in un percorso che hatre passaggi centrali, a sottolineare necessità e bisogni nuovi.

Li potremmo riassumere così: un nuovo assortimento e unanuova complessità degli stimoli, accompagnati da una ridu-zione speculare mirante alla semplicità intuitiva della fruizio-ne che si accordi però con un’accresciuta intensità e un’am-plificazione dell’esperienza dell’acquisto e fruizione del pro-dotto.

L’essenzialità e la fluidità si traducono nel depauperamentodel denaro come strumento di intermediazione dei consumi;infatti la funzione del costo come indicatore sintetico di valo-re perde sempre più terreno e credibilità.

Tra le cause si riscontrano fattori e indicatori concomitanti.

A livello micro: il costo “ufficiale” viene scardinato da elemen-ti diversi - ad esempio il canale di contatto, le offerte - chediventano più importanti per determinare il prezzo. All’inter-no dello stesso punto vendita ci si può ritrovare a pagare uncosto diverso a seconda di come si è entrati in contatto con ilprodotto (fisicamente, tramite il web o i siti di social shop-ping, Groupon & Co.).

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A livello macro l’aumento di molti prezzi insieme ai “giochi”della finanza ne sviliscono la realtà. Costi che lievitano e inte-ri capitali che si svalutano dal giorno alla notte, per il consu-matore significano la perdita / inesistenza del loro valoreintrinseco, autonomo e assoluto, a favore di un valore condi-zionato e relativo, dunque inaffidabile.

La perdita di “realtà” del denaro è evidente anche nella cre-scita degli scambi diretti di beni e servizi.

Si afferma in modo costante il fenomeno degli scambi peer topeer: il riciclo e la permuta tra privati di merce usata e di ser-vizi e prestazioni erogati con l’obiettivo di risparmiare (tranneper le categorie cariche di “innovazione”).

Il web gioca un ruolo fondamentale anche in questo trend:consente di accedere ad una varietà di oggetti usati in modoistantaneo. L’affidabilità del web è ormai equiparabile - esuperiore - ai canali tradizionali.

Lo scambio tra pari consente di riscoprire il valore d’uso delbene la cui vita si allunga, di ampliare l’assortimento dei benidisponibili, di praticare la responsabilità etica.

• Il tempo metro di valore

Se il denaro non è più un veicolo “unico” di scambio, è il“tempo” che sembra assurgere a principio misuratore.

Da questo punto di vista cresce il bisogno di istantaneità tradesiderio e azione.

E cresce il valore del tempo come bene essenziale e scarso, lanecessità di trasformare la maggior quantità di tempo intempo di qualità e tempo significativo.

Un proposito perseguito anche quando il focus è sul bisogno,sulla sicurezza e dunque sul futuro, poiché in fondo si cercala serenità nel momento attuale.

Il tempo assume così un valore come “merce” di scambio,interazione di competenze (di cui una conferma indiretta si hadalla crescita degli iscritti alle banche del tempo).

Emerge una diffusa presa di coscienza dell’insostenibilità eticadelle disuguaglianze nei redditi, che spinge verso il ritorno aduna stima “essenziale” del tempo, tanto che Il tempo, negli

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acquisti, nelle attività, nel lavoro, assurge al ruolo di “mone-ta di scambio” tra persone e situazioni, che si unisce (e inqualche caso si sostituisce) al denaro.

• L’edonismo sostenibile

L’incertezza sul futuro e la ricerca di recupero di un senso delpresente, unita alla ricerca di “intensità” porta all’aumentodel principio di piacere in ogni acquisto.

E’ proprio in una situazione di scarsità, di incertezza, di ricer-ca della riduzione delle diseguaglianze che cresce l’importan-za del piacere come “capitale emotivo” da assimilare.

Ciò produce la possibilità di accesso a mondi esperienzialiprima non disponibili, l’occasione di proiettare e ampliare ilproprio vissuto e quindi, dal punto di vista dei consumi, èanche il momento in cui si è più ricettivi verso nuove modali-tà di consumo e nuovi beni.

Ed è soprattutto alle modalità di approccio che offrono incen-tivi di connessione e aumentano e migliorano le esperienze direaltà che ci si rivolge con maggior piacere.

Insomma, in tempi dominati dal desiderio è disarmantedoversi misurare con il bisogno e le ristrettezze spesso in modicrudi, diretti, come sta succedendo ora. Questo produce unaposizione difensiva di rimozione consapevole, lucida, che sitraduce nella tutela di una riserva di acquisti edonistici, certoridotti, ma misurati e declinati sulla propria indole, sulle pro-prie attese.

Si tratta in sostanza di un riflesso condizionato di adattamen-to alla crisi epocale che mette in discussione il nostro stessoparadigma esistenziale.

Infatti un modello di consumo incalzato dal bisogno ma con-temporaneamente alimentato dal desiderio richiede di svilup-pare modalità esplorative adeguate, capaci di ampliare i con-fini dell’esperienza fin qui acquisita e rimodellarla nel nuovocontesto. Si ridefinisce il potere creativo anche in un’ottica didifesa conservativa. Con una tensione tra il voglio e il possoche genera un continuo, latente, desiderio, non infrequente-mente razionale, di evasione, che appare l’elemento che con-tiene in sé importanti potenzialità. Si tratta di trasformare lacrisi in una opportunità di rinnovamento, di riadattamento,non di resa.

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E’ questo l’elemento da coltivare per stimolare la crescita diun paradigma diverso rispetto all’affluenza e all’obesità delpossesso, un paradigma non solo di consumo ma anche esi-stenziale che potremmo definire, appunto, edonismo sosteni-bile.

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Media e nuovi media

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La dotazione tecnologicadelle famiglie italiane

Come emerge dai dati del rapporto ISTAT “Cittadini e NuoveTecnologie. Anno 2010”, nonostante la difficile congiunturaeconomica, la dotazione tecnologica delle famiglie italiane ènel complesso migliorata. Oltre all’incremento della penetra-zione del digitale terrestre cresce la quota di famiglie dotatedi PC e di accesso a Internet, migliora la qualità della connes-sione usata per accedere ad Internet da casa: le famiglie chedispongono della banda larga passano dal 34.5% al 43.4% eaumenta la penetrazione di lettori DVD e consolle per video-giochi.

Nel 2010 le vendite di apparati in grado di collegarsi alla rete– smart tv e lettori Blu-Ray Disc – sono stimate intorno almilione di pezzi (stime Associazione IPTV riportate nel Rap-porto Univideo Prometeia – Lo Stato dell’Home Entertainmentin Italia 2011), ma solo il 20% circa dei televisori connettibilivenduti e installati in Italia è collegato a reti a banda larga perla fruizione di contenuti e servizi IP-based over the top eviene utilizzato con frequenza almeno settimanale: solo il 3%delle famiglie italiane possiede la IPTV.

Diversamente però dagli standard dei principali Paesi europei,l’Italia resta caratterizzata da un consistente gap in termini difamiliarità con le tecnologie di tipo sia generazionale che cul-turale e geografico. Le famiglie costituite unicamente da over65 anni continuano ad essere lontane dalle tecnologie, lefamiglie con almeno un minorenne sono invece le più vicinealle tecnologie e mostrano le penetrazioni più elevate per:personal computer, accesso a internet, connessione a bandalarga, decoder digitale terrestre, consolle per videogiochi elettore DVD.

Come evidenziato dal Censis, l’accelerazione tecnologica el’evoluzione dei media rendono la triangolazione «famiglie,minori, media» sempre più complessa. Il 18,2% dei minoriutilizza il Pc da solo in casa. Le differenze tra i bambini e iragazzi di 3-17 anni dovute al titolo di studio dei genitorisono molto forti: ha usato il PC negli ultimi 3 mesi il 64,9%dei bambini e dei ragazzi con almeno un genitore laureatorispetto al 34,6% di quelli con genitori con al massimo lalicenza elementare. I bambini e i ragazzi con genitori con tito-li di studio bassi sono svantaggiati sia nell’uso a casa sia nel-

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l’uso combinato casa-scuola, a dimostrazione del fatto che lascuola non riesce a colmare il profondo divario dovuto a unosvantaggio sociale.

La rete nel panorama mediatico

L’Italia, anche se in ritardo rispetto ad altri paesi, sta assisten-do ad una rapida, seppur ancora incompleta, trasformazionedigitale. Tuttavia, anche se una metà del Paese ha compiuto ilsalto oltre la soglia del digital divide, e nonostante la crescitaregistrata nel 2010, restiamo comunque agli ultimi posti tra iPaesi europei per accesso a Internet.

La quota di famiglie italiane connesse alla rete da casa, puraumentando, ha registrato un incremento meno forte rispet-to a quanto avvenuto in altri Paesi, ad esempio la Francia. Ildivario risulta più evidente se si considera la banda larga: nel2010 la possiede meno del 50% delle famiglie italiane, afronte della media dei Paesi europei che si attesta al 61%.

Grafico 12 Accesso ad internet da casa(famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni

Fonte: Dati ISTAT 2010

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Sebbene dunque l’Italia sia ancora relativamente indietrorispetto al resto dei paesi europei per quanto riguarda il livel-lo di digitalizzazione della società, sia per aspetti strutturali edeconomici, sia anche per una maggior presenza di popolazio-ne anziana, non si può fare a meno di pensare che il proces-so iniziato sia pressoché irreversibile e che, dunque, convieneguardare alle minoranze più digitalizzate con occhio attentoe capacità previsionale per riuscire ad intercettare quelle che,sempre più frequentemente, saranno le strategie dei consu-matori.

Nell’analisi dell’evoluzione di Internet in Italia, si assiste ad unandamento in parte comune agli altri Paesi, in parte caratte-rizzato da alcune peculiarità nazionali, come, da un lato, lascarsa alfabetizzazione informatica delle famiglie italiane, dicui si è detto, e, dall’altro lato, l’enorme potenzialità dellacomunicazione in mobilità e una diffusione dei social networkancora più marcata che altrove.

Il mobile internet è la tecnologia con la crescita più veloce alivello mondiale, e in generale riguarda i giovani molto piùdelle altre generazioni. L’Italia presenta la più alta percentua-le di penetrazione degli smartphone tra i giovani (il 47% tra iragazzi di 15-24 anni; dati Nielsen); conseguenza ne è unaenorme potenzialità di sviluppo dell’accesso in mobilità.

Il Nono Rapporto Censis del 2011 certifica la popolarità inar-restabile dei Social network. Il 67,8% degli italiani conoscealmeno un social network, quota che sale al 91,8% tra i gio-vani (14-29 anni), ma si attesta comunque al 31,8% tra gliover 65 anni. Si tratta complessivamente di 33,5 milioni dipersone, in crescita rispetto ai 32,9 milioni del 2009. Il piùpopolare è Facebook (noto al 65,3% della popolazione) insie-me a YouTube (53%), seguono Messenger (41%), Skype(37,4%) e Twitter (21,3%). Ed è esploso il dato che riguardai veri e propri utenti: i social network più utilizzati sono You-Tube (dal 54,5% degli italiani che accedono a Internet,l’86,5% dei giovani) e Facebook (dal 49%, l’88,1% dei gio-vani).

Dal punto di vista della fruizione dei contenuti mediali, Inter-net ha ormai acquisito una sua collocazione specifica in uncontesto in cui è sempre più l’utente a spostarsi all’interno delvasto e diversificato sistema dei mezzi di comunicazione, vec-chi e nuovi, per scegliere il contenuto che più gli interessafruendolo secondo le modalità e i tempi che preferisce. Il Cen-sis rileva che, indipendentemente dall’uso del televisore, il

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12,3% della popolazione attinge ai siti Internet delle emitten-ti tv per seguire i programmi prescelti, il 22,7% utilizza You-Tube, il 17,5% segue programmi tv scaricati tramite il web daaltre persone. Il dato relativo ai giovani che guardano i pro-grammi su YouTube sale al 47,6% (il 20,1% lo fa abitualmen-te). Il 36,2% dei giovani, inoltre, segue programmi scaricatida altri (si tratta di ragazzi che si scambiano file tra di loro) eil 24,7% ricorre ai siti web delle emittenti tv. Nei programmiseguiti via Internet, musica (18,3%), sport (11,7%) e film(9,9%) sono ai vertici dell’interesse.

Dalle community – spazi vitalissimi ad alto contenuto emozio-nale – emergono nuovi modi di pensare caratterizzati da unadimensione di gratuità: relazioni orizzontali, scambio tra paridi informazioni e di valori che sembravano compromessi(tempo, attenzione, tenerezza, amicizia, passione). Da qui stanascendo la nuova cultura.

Anche se gran parte del risultato sono chiacchiere più che sto-rie, si sta compiendo il passaggio dall’epoca industriale all’eradella conoscenza, in un mondo virtuale dove non è più solo ilpossesso dell’informazione e delle competenze ad essere cen-trale, ma anche e soprattutto diventarne veicolo grazie, spes-so, alla multicanalità dei diversi media (postare un articolo diun quotidiano su facebook con in calce il commento delnostro blogger di riferimento/ inserire il link nel forum alnuovo video musicale su You Tube del proprio cantante pre-ferito condividendolo con altri fan…).

È evidente che in un luogo in cui tutti possono veicolare infor-mazioni e commenti la reputazione della fonte acquista unruolo centrale.

Se nel mondo dell’informazione, la centralità dei telegiornalitelevisivi è ancora fuori discussione, visto che l’80,9% degliitaliani li segue, tra i giovani il dato scende al 69,2%, avvici-nandosi molto al 65,7% raggiunto dai motori di ricerca suInternet e al 61,5% di Facebook.

In generale Internet, anche in assenza di un quadro normati-vo certo di riferimento, sta assumendo una rilevanza semprecrescente anche sotto il profilo del pluralismo. È ormai il terzomezzo attraverso cui informarsi, nonostante sia ancora in ter-mini percentuali distante dalla televisione e dai quotidiani(fonte: Agcom 2011).

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Tabella 5 Utilizzo delle fonti d’informazione online(% individui che si informano su internet)

* I valori sono calcolati sul totale degli utenti che dichiarano di informarsi suinternet nei tre mesi precedenti la rilevazione. La somma delle singole vocisupera il 100% in quanto ad ogni individuo intervistato è stata data la pos-sibilità di indicare tutte le fonti di informazione on line che utilizza.Fonte: Rapporto annuale Agcom 2011

I cittadini su internet non solo si informano attraverso le fontidi informazione dei media classici, ma fanno molto affida-mento sui nuovi operatori: portali, aggregatori, blog, socialnetwork. Anche se il ruolo dei nuovi operatori si fonda (vediGoogle News) comunque sull’aggregazione di notizie deri-vanti da diversi siti di fonti tradizionali, quali quotidiani eperiodici, ribadendone quindi la rilevanza.

Ma è importante sottolineare che è sempre più frequentel’utilizzo convergente di più media per informarsi. Come haben evidenziato Wu Ming nella prefazione all’edizione italia-na di Cultura Convergente di H. Jenkins, “la collisione tradiversi media, vecchi e nuovi, è più un bisogno culturale cheuna scelta tecnologica. Computer e cellulari hanno accorpatomolteplici funzioni e si sono trasformati in telefono, televisio-ne, stereo, fotocamera, tutto-in-uno. Eppure nessuno di que-sti agglomerati ha sostituito i singoli avversari. Piuttosto sonoi contenuti della comunicazione che vengono declinati in ogniformato, per potersi spostare da un mezzo all'altro e riceverecosì una distribuzione sempre più capillare e pervasiva. [..]Non c'è un singolo attrattore, computer o cellulare che sia,capace di trasformare ogni idea in un unico prodotto, fatto diimmagine, suono, testo, relazione. Al contrario ogni idea ècapace di molte facce, per attirare su di sé strumenti diversi eattraversarli tutti.”5

Gli utenti Internet rappresentano per alcune testate giornali-stiche una significativa percentuale del totale dei lettori: il19,6% per la Repubblica, il 18,2% per Il Sole 24 Ore, il15,1% per il Corriere della Sera. L’analisi dello share sulle

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Incidenza sul totale *

5,94 acinorttele airotidE 2,64 enil no inaiditouQ 0,8 enil no icidoireP 2,32 apmats id eiznegA 5,31 oidaR e inoisiveleT

Fonti tradizionali

9,56 elatoT 2,55 ilatrop e eiziton id irotagerggA 6,91 krowten laicoS 9,8 golB 7,9 ortlA

Nuovi operatori

9,27 elatoT

5 Wu Ming 2 e Wu Ming1, Prefazione a HenryJenkins, Cultura conver-gente, Apogeo, 2007

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diverse piattaforme rivela come «La Repubblica» ed «Il Cor-riere della Sera» siano molto sopra la loro quota di mercatocartaceo, beneficiando sia di investimenti realizzati in ambitodigitale certamente superiori alle altre testate, che del fatto diessere generalisti e nazionali.

Da segnalare, poi, da un lato, la forza relativa del «Fatto Quo-tidiano» in Rete con una quota quasi doppia rispetto all’edi-zione cartacea e, dall’altro lato, un allineamento “perfetto”tra edizione digitale e cartacea del «Sole24Ore» contraria-mente a quanto avviene per gli altri quotidiani presi in consi-derazione.

Complessivamente, l’informazione online sembra decisamen-te più concentrata rispetto a quella cartacea con le prime 4testate che raccolgono il 65% degli utenti contro il 49% dellevendite. Una concentrazione che contribuisce a spiegare ulte-riormente la difficoltà di emergere da parte delle nuove inizia-tive editoriali, dei cosidetti “superblog” (es Il post, lettera43,Linkiesta, …).

Anche alcune indagini di monitoraggio della visibilità sul webdei giornali rispecchiano abbastanza fedelmente quello che èl’andamento rilevato da Audiweb per le versioni online deiquotidiani tradizionali, confermando le differenze dei valori ingioco tra i primi due [Repubblica e Corsera] e gli altri. Vieneconfermato anche il buon andamento del «Sole24Ore» chebeneficia della maggior concentrazione della nuova linea edi-toriale su quello che è da sempre il focus del quotidiano inquestione, nonchè dell’interesse generale verso i temi econo-mico – finanziari che il precipitare della situazione da agostoin poi ha generato anche presso il grande pubblico.

Secondo i dati Censis 2011 l’83,8% degli Italiani riconosce aInternet il merito di permettere a chiunque di esprimersi libe-ramente (il dato sale al 94,1% tra i giovani). Ma l’83,3%lamenta il fatto che nel web circola troppa «spazzatura», rife-rendosi a blog e video fatti in casa. La rete è comunque unpotente mezzo al servizio della democrazia (secondo il76,9%, e il dato sale all’82,9% tra i giovani e all’81,2% tra isoggetti più istruiti). Ma non mancano i giudizi negativi. Inter-net genera una cultura troppo superficiale per il 50,9% eappiattisce la creatività delle persone per il 47,8%, che sotto-linea il potere di omologazione e conformismo della rete.

Dalla rete sono arrivati anche alcuni segnali di cambiamentopresenti in un territorio mediatico che negli ultimi anni è stato

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teatro di una politica salottiera e spettacolarizzata: esempiopiù recente di questo fenomeno sono la campagna elettoraleper i referendum e quella per le elezioni amministrative aMilano, che, in ordine temporale, hanno seguito altre mobili-tazioni partite dal web quali quelle organizzate dal PopoloViola e le grandi manifestazioni di piazza delle donne riunitesotto lo slogan “Se non ora, quando?”.

La campagna elettorale è stata dominata da Internet e da unagrande mobilitazione dei giovani, lontani dai partiti ma conuna enorme voglia di contare e partecipare. Con un sistematelevisivo che faceva di tutto per non pubblicizzare i referen-dum, Internet si è mostrato un mezzo capace di attivare lapartecipazione politica, trasferendo l’impegno virtuale in cit-tadinanza attiva: Ipsos stima che l’8% degli utenti di internetabbia postato almeno una volta in un social network materia-li relativi alla campagna elettorale per i referendum e che l’8%degli italiani abbia partecipato almeno una volta negli ultimi6 mesi ad un evento politico a cui era stato invitato tramiteinternet.

Tramite il web vengono organizzati eventi che vedono la par-tecipazione di moltissime persone, vengono veicolati i conte-nuti dei singoli quesiti e le informazioni su come e dove vota-re, in un passaparola fatto tramite social network, forum eblog. Ma non solo, il web permette di “fare rete” tra le diver-se associazioni promotrici dei referendum, presentando cosìuna realtà composita (da AGESCI e ACLI a Legambiente, ARCIe CGIL, dai comitati spontanei ai comitati di sostegno dei par-titi..),che aggrega realtà molto diverse da loro ma che riesco-no a lavorare insieme e coordinarsi per un obiettivo comune.

Un secondo aspetto riguarda l’unione tra l’aspetto ludico ecreativo del web e la campagna elettorale: un esempio diquesto è sicuramente la campagna per il Sindaco di Milano.Tramite l’ironia, è proprio la rete che provoca lo “smaschera-mento” delle diverse accuse utilizzate dal centro destra con-tro Pisapia. È l’ironia, unita alla creatività, che diventa veicolodi avvicinamento tra elettore e candidato, in uno spazio (ilsocial network) in cui tutti possono scrivere la propria battutae dare il proprio personale contributo, in una sorta di giococollettivo che ha le sue fondamenta nella partecipazione poli-tica e che porta ad una campagna elettorale basata sulla co-creazione.

Particolarmente importante il ruolo dei giovani.

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Alcuni dati provenienti dalla banca dati Ipsos ben delineano leopinioni della fascia d’età maggiormente informatizzata nelnostro paese (popolazione 16-30 anni), i cosiddetti “nativi digi-tali”. In questa fascia d’età navigare in internet è l’attività piùsvolta nel tempo libero (85% degli intervistati) seguita dal guar-dare la televisione, ascoltare la musica, uscire a cena, andare alcinema. Per gli under 30 simboli della tecnologia sono: internete i social network, la telefonia (Smartphone/IPhone),l’MP3/IPod, il netbook, il wi-fi, i sistemi di pagamento automa-tizzato come bancomat/carta di credito …

Per loro la tecnologia è alla base della comunicazione di oggi,e considerata indispensabile perché permette di essere con-nessi ai propri amici e semplifica la vita. Affascina inoltre l’ideadi poter sfruttare la tecnologia per scaricare informazioni, rac-cogliere dati, svolgere ricerche e fare acquisti oltre che la pos-sibilità di accedere a mondi altrimenti inaccessibili. Insommal’idea che tutto sia “a portata di un clic”. Dall’altro lato sonoben consapevoli dei rischi: le paure principali riguardano latracciabilità e il controllo dei dati e il timore che la rete possagenerare dipendenza e alienazione.

Contrariamente a quanto avviene per la popolazione adulta,le attività più svolte dagli under 30 quando navigano in inter-net riguardano principalmente la sfera dell’intrattenimento edelle relazioni sociali: al primo posto c’è You Tube (73%) ,seguito dall’invio di mail e l’utilizzo dei social network e dalloscaricare e ascoltare musica. Il 43% cerca inoltre informazio-ni su prodotti che vorrebbe acquistare.

La tecnologia, in questa fascia d’età che in Italia è sempre piùesclusa dal mercato del lavoro, viene considerata come qual-cosa che rende invulnerabili, allontana timori di inoperosità einquietudini di invisibilità. Il soggetto si percepisce come ope-ratore del fare, attivo e di nuovo partecipe. In estrema sinte-si, si può concludere che gli orizzonti aperti dall’alleanza ditecnologia e Internet costituiscono la nuova frontiera verso laquale i giovani si dirigono nell’idea di un riscatto di partecipa-zione e di autenticità.

Per non soccombere alla precarietà, oggi in Italia i giovaniadulti attivano dunque strategie che si dimostrano valide pro-pria nella loro capacità di conciliare virtuale e reale, tecnolo-gia e lavori manuali. Nella logica del fai-da-te un’intera gene-razione si rimbocca le maniche aiutandosi vicendevolmente efacendo il miglior uso della tecnologia attraverso i media par-tecipativi.

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comprando in rete

Nel 2010 l’e-commerce in Italia, che sconta uno storico ritardoin questo settore, ha registrato una crescita a due cifre rispet-to al 2009 (+20% secondo i dati del Politecnico di Milano).Nonostante la differenza in valore assoluto con gli altri merca-ti europei sia ancora rilevante - il mercato italiano è un sesto diquello inglese (oltre 51 miliardi di euro), un quarto di quellotedesco (34 miliardi) e meno della metà di quello francese (20miliardi) - l’e-commerce italiano rivela un buono stato di salu-te e cresce a ritmi quasi doppi rispetto a Gran Bretagna(+10%), Francia (+12%), Germania (+10%) e USA (+11%).

Continuano a crescere più le transazioni di prodotti che di ser-vizi, nonostante i secondi pesino ancora per i due terzi sultotale del settore.

Questo trend, in parte dovuto ad una crescita fisiologica e aduna maggior diffusione di Internet, è stato trainato soprattut-to dal boom dei siti che vendono coupon, Groupon in primis,ma anche Glamoo, Groupalia e LetsBonus, come pure dall'in-gresso di nuovi attori come Amazon.it.

Nel mondo del e-couponing l’Italia è velocemente balzata tra i3 Paesi con la diffusione più ampia: in una congiuntura diffici-le per i bilanci delle famiglie, gli internauti italiani guardano alweb non più solo come occasione per un “best buy” (ricercainformazioni, comparazione prezzi, ricerca offerte, ecc.) macome vera e propria opportunità per realizzare risparmi.

Notevole anche la crescita degli acquisti online tramite mobi-le, con un + 210% rispetto all’anno precedente, pari all'1%delle vendite online.

Grafico 13 % di accessi a siti di e-couponing nei paesieuropei con un più alto utilizzo.

Fonte: comScore Media Metrix (dati dicembre 2010 e dicembre 2009)

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Nuovi modelli di business

Come la crisi economica sembra mettere in discussione imodelli stessi dell’economia finanziaria occidentale, così lacrisi mediale sembra mettere in discussione i modelli di busi-ness delle Media Company.

Non a caso, nel 2011 il tema di riflessione portante dell’Osser-vatorio del Politecnico di Milano sui Media riguarda la necessi-tà che le aziende mediali ‘scoprano la propria identità digita-le’, ‘comprendano il proprio DNA’ avendo prima individuato leproprie competenze core (testate, posizionamento, capacità diproduzione di contenuti, base utenti…) al fine di identificarenuove fonti di ricavi rivedendo le proprie ‘strategie digitali’.

La sfida per queste aziende è rivedere il proprio patrimonio ei propri asset per tradurli in nuovi modelli di business tenen-do presente che la velocità di evoluzione dei mezzi e del con-testo in cui si opera richiedono che le organizzazioni si renda-no flessibili e siano in grado di procedere alla messa a puntoe continua revisione delle strategie aziendali.

Nel particolare contesto attuale, le ricadute sui Media sononumerose e strettamente interrelate da un lato ad unmomento di enorme dinamicità dei mezzi sia tecnologica chedi pratiche d’uso, dall’altro ad una evidente difficoltà delleMedia Company a governare questa evoluzione individuandonuovi modelli di business.

Il panorama mediale è infatti in un evidente momento di forteevoluzione, basti pensare ai profondi cambiamenti che intempi recenti hanno interessato i cosiddetti media a flussotradizionali, cioè televisione e radio.

Il mondo televisivo ha visto l’ulteriore diffusione della televi-sione digitale terrestre (che alla fine del 2011 raggiungeormai circa l’85% delle famiglie italiane) e satellitare, e dellaofferta pay (Sky raggiunge circa 5 milioni di famiglie, Media-set Premium si aggira sui 2 milioni), che hanno condotto aduna proliferazione del tutto inedita dei canali tematici acces-sibili ai singoli.

Il mondo radiofonico vede un progressivo rafforzamento dellereti locali, ma anche una sempre maggiore accessibilità delmezzo da una molteplicità di piattaforme digitali (Internet,cellulari, canali TV Dtt e SAT, DAB) che ne rafforzano l’appeti-

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bilità anche presso target giovani e attivi e creano una proli-ferazione altrettanto inedita delle possibili occasioni di ascolto.

Anche i cosiddetti nuovi media sono in una fase di ulterioreprofonda innovazione, con la nascita, negli ultimissimi anni,di nuovi dispositivi (I-PAD, tablet) per la fruizione dei contenu-ti mediali tramite Internet, lo sviluppo di sempre nuove mobi-le application per gli smartphone, la diffusione della connec-ted tv per l’accesso ad Internet tramite televisore.

L’evoluzione tecnologica dei mezzi implica in modo ormai deltutto palese una modifica nelle prospettive e pratiche d’usoda parte del pubblico, che non sembra però ancora esserestata introiettata appieno dalle Media Company, o perlome-no non sembra ancora corrispondere ad una loro reale evolu-zione in termini di strategie aziendali.

Un nuovo modello, dunque, di flessibilità a ‘struttura leggera’che si basi su una riflessione profonda sulla mission azienda-le e sui suoi asset portanti. Si tratta di una sfida non da poco,che investe tutti i mezzi sulla base di alcuni elementi comunie altri elementi di profonda distintività.

La stampa: nuove fruizioni

Da anni si riflette a vario titolo sulla crisi della stampa, basan-do le riflessioni su un calo diffusionale che sembra per alcuniversi inarrestabile (i dati ADS Ottobre 2011 mostrano un calodi tutte le principali testate italiane, con la parziale eccezionedel Sole 24Ore – che aveva però già subito un decrementomaggiore rispetto ad altre grandi testate).

I dati di lettura, però, continuano a tenere, pur con qualcheoscillazione, e ormai l’accessibilità multi-piattaforma dei con-tenuti informativi delle testate sembra sortire ricadute inarre-stabili nelle pratiche d’uso del pubblico (minore acquisto vsconsultazione online, fruizione dei contenuti informativi deisiti ma anche sempre maggiore diffusione delle versioni digi-tali accessibili su I-pad o dal sito delle testate) che sembranoessere il segno di un ruolo sempre più centrale dell’informa-zione negli orizzonti di vita individuali.

A fronte di un calo nelle copie vendute, quindi, i dati sembra-no indicare una tenuta se non addirittura un aumento nellarilevanza sociale della carta stampata come fonte informativa,

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ruolo che parrebbe riconducibile in gran parte ad una funzio-ne unica e distintiva di strutturazione dell’informazione in uncontesto che coniuga l’effetto profondamente allarmantedelle notizie relative alla crisi economica (che si traduce nel-l’esigenza di meglio comprendere il fenomeno per tenere abada l’ansia e prefigurarne l’evoluzione) e la contemporaneaperdita di credibilità di molti TG che avrebbero abiurato alproprio ruolo informativo schierandosi con i poteri forti.

Il fatto che la crisi di un mezzo, come la carta stampata, simanifesti contemporaneamente ad una tenuta se non unaumento della sua rilevanza sociale è emblematico rispettoalla difficoltà delle Media Company tradizionali di rivedere ipropri modelli di Business.

Basti pensare che le maggiori testate nazionali - Corriere,Repubblica e Gazzetta - oltre a rimanere pressoché costanti intermini di dati di lettura delle copie cartacee, contano tra i 7e i 10 milioni di accessi al mese ai loro siti internet.

E che questa proliferazione inedita di richiesta informativa siconiuga ormai da anni con il tema ancora non risolto dellasovrapposizione tra contenuti informativi gratuiti disponibilionline e contenuti pay sulle edizioni cartacee, un tema chevede una profonda differenziazione nelle strategie messe inatto dagli Editori, che vanno dalla riproposizione fedele deicontenuti delle versioni cartacee online (a volte con un ritar-do di x ore rispetto all’uscita in edicola, ma spesso anche con-temporanee), alla riproposizione di una rosa tematica legger-mente differenziata con diverso trattamento (strategia, que-sta, piuttosto diffusa presso le grandi testate del nostropaese), alla distinzione tra contenuti free e contenuti pre-mium a pagamento.

La crisi che investe la carta stampata sembra quindi più unacrisi in termini di modelli di business che di relazione con ilpubblico, che anzi in un contesto di bombardamento informa-tivo e di proliferazione delle fonti ‘always on’, perlopiù gratui-te, continua a mostrare l’esigenza di una strutturazione infor-mativa che difficilmente può provenire dai mezzi a flusso.

In questo contesto, molte testate stanno operando una rifles-sione sulla propria mission informativa distinguendo il ruolo dipura ‘veicolazione delle informazioni’ (ruolo che le edizionionline possono svolgere con ineguagliabile tempestività edefficacia, ma anche del tutto fungibile rispetto ai mezzi a flus-so e che risulta molto oneroso da sostenere a fronte di un calo

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delle revenue e in assenza di nuovi modelli di business) dalruolo di ‘Opinione’ (che vede nell’analisi, il commento, la fun-zione di strutturazione delle informazioni la mission primariaa fronte di una contrazione degli investimenti sul presidioinformativo).

La soluzione del dilemma sulla mission informativa degli Edi-tori stampa, sulla sua articolazione per piattaforma e suimodelli di business sottostanti è un altro volto della crisi chemuterà la nostra relazione con l’informazione e che richiedeuna profonda riflessione sul valore dei brand e la loro ogget-tivazione in una offerta che sia distintiva nelle sue modalità diconiugazione con le esigenze del pubblico.

La televisione: una rivoluzionesilenziosa

Spesso si sente parlare di una crisi della televisione generalista.Se in effetti ci sono segnali di crisi in termini di introiti pubbli-citari, ancora una volta questa crisi non si estrinseca tanto neicomportamenti di fruizione del pubblico (quindi nella doman-da,che pure segnala una contrazione per la generalista), quan-to nei modelli di business perseguiti dagli Editori.

Ma c’è un profondo cambiamento negli orientamenti e negliascolti degli italiani per quel che riguarda l’informazione poli-tica in particolare. Il grande successo de La7 con il boom delTG di Mentana, si conferma e consolida. Oramai La7, per gliitaliani, è diventata la Tv che informa meglio. In crollo vertica-le la RAI che perde credibilità in maniera impressionante (pocopiù di due anni fa la maggioranza assoluta si fidava della RAI,oggi siamo a poco più di un terzo, con una perdita secca dioltre 20 punti), come d’altronde avviene per Mediaset. Lagirandola della RAI sui talk show e su alcuni programmi comequello della Dandini, il licenziamento di Santoro, campione diascolti e di incassi, non vanno certo a rinsaldare la già preca-ria credibilità di quella che un tempo era la più grande agen-zia culturale del paese. Un vulnus ulteriore è il crollo della cre-dibilità e degli ascolti del principale TG del paese.

Oltre che per La7 si rilevano ascolti inediti nei TG di reti mino-ri (reti locali, es. TeleNorba, e piccole nazionali) e nei formatidi servizio di un editore Pay come Sky (Sky TG ventiquattro,Sky Tg primo piano ecc.), e i programmi di informazione rac-

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colgono audience molto elevate sia sulle reti tradizionali chesu programmi diffusi ‘a stella’ come quello di Santoro tra-smesso a livello nazionale grazie ad un consorzio di reti loca-li e all’utilizzo di Internet.

Tutto questo sta a dire che esiste un problema di servizio pub-blico, di public value. Lo spostamento delle opinioni e dellafiducia dei cittadini dalle reti RAI in primo luogo verso reti mino-ri non è solo il prodotto di formule e modalità di conduzioneben strutturate. E’ il prodotto di una rinuncia o, meglio, di unaevidente difficoltà del servizio pubblico a creare valore pubbli-co. Un esempio di questa difficoltà è la conferenza stampa delPresidente del Consiglio di domenica 4 dicembre, convocataimmediatamente dopo il Consiglio dei Ministri che approva lamanovra, che viene completamente ignorata dalla RAI. Sul-l’ammiraglia continuerà tranquillamente il varietà di Frizzi.

Pur in presenza di ascolti che non sembrano quindi in decisacontrazione a livello di brand generalisti (pur se segnali di dif-ficoltà emergono come emerge dai dati più volte evidenziatida Aldo Grasso), aumenta al contempo il frastagliamentodelle audience sui nuovi canali del digitale terrestre e satellita-re – sia pay che free – che raggiungono ascolti molto conte-nuti presi singolarmente, ma quote non trascurabili se som-mati tra di loro.

Ancora una volta, quindi, la domanda di intrattenimento e diinformazione espressa dal pubblico, e le nuove pratiche d’usoche ne conseguono, sembrano in contro-tendenza rispettoagli indicatori economici e faticano a tradursi in una evoluzio-ne dei modelli di business degli Editori.

Sembra quindi che anche le Media Company televisive nonabbiano ancora interiorizzato appieno gli effetti della evolu-zione multi-piattaforma del mondo televisivo, che implica adesempio la proliferazione dei canali tematici ma anche il raf-forzamento dell’offerta televisiva non lineare, e fatichinoquindi a individuare nuovi modelli di gestione dei loro brand.

In tema di gestione del brand, ad esempio, gli Editori italianisi differenziano nelle strategie perseguite, che vanno dallalinea di coerenza semantica tra le reti principali di RAI, checon la nascita di RAI 4, Rai cult, Rai storia ecc. rafforza e pro-segue la strategia perseguita sulle proprie reti generaliste ana-logiche, alla riproposizione da parte di Mediaset dell’alternan-za di canali privi di una connessione semantica con il brand(Iris, Boing, Cartoonito riflettono la strategia intrapresa sui cana-

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li generalisti Canale 5, Rete 4 e Italia 1) e di canali legati al brandMediaset madre (come Mediaset Extra e Mediaset Italia 2).

Oltre ai nuovi canali free, anche i nuovi canali dell’offerta payimplicano temi rilevanti a livello di strategie di business e digestione del brand. Per fare solo un esempio, una grandeazienda come Mediaset si trova di fronte alla contraddizioneirrisolta tra l’esigenza di spingere il modello pay e la contem-poranea esigenza di evitare che i suoi canali pay cannibalizzi-no il pubblico delle sue reti free.

Ma il comparto televisivo si trova di fronte ad un ulteriore ele-mento evolutivo che richiede una riflessione strategica che inprospettiva dovrebbe tradursi nella messa a punto di nuovimodelli di business (e forse anche in una evoluzione delle cur-rency): la risposta all’esigenza di personalizzazione deimomenti di ascolto.

In un momento storico in cui l’enorme moltiplicazione deglistimoli mediali pone temi legati alla gestione del tempo edelle spinte attenzionali, e in cui la logica Internet di totaleindividualizzazione dei percorsi e dei momenti fruitivi ha cam-biato le prospettive dei singoli, la personalizzazione deimomenti di ascolto è un tema sempre più rilevante, e permolti versi una vera e propria sfida per gli Editori.

Il successo della piattaforma MySky, che consente la registra-zione dei contenuti sul disco fisso del decoder e la loro frui-zione nel momento desiderato, costituisce una risposta tec-nologicamente innovativa ma anche per molti versi molto‘tradizionale’ a questa esigenza: l’utente sceglie i contenutida registrare e può poi fruirli nel momenti desiderato.

Diverso nelle modalità ma non nella logica Premium OnDemand di Mediaset, in cui l’utente può scegliere tra tipolo-gie di contenuti ed è poi l’Editore a registrarli e renderli dispo-nibili sul decoder per un lasso di tempo limitato.

Più ardito e anche più genuinamente non lineare il servizio‘Net TV’ di Mediaset, in cui tramite decoder o sito Internet siaccede ad una raccolta di contenuti organizzati per genere etra i quali l’utente deve operare una scelta; similare anchel’offerta di CUBE di Telecom Italia.

La diffusione dell’offerta non lineare pone e porrà sempre piùfortemente all’attenzione del comparto televisivo temi quali lafruizione degli spot pubblicitari (sempre più fortemente slega-

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bili dall’ascolto del programma) e quindi i modelli di businesssottostanti, ma anche – nel caso della Net Tv – della reazionedegli utenti ad un profondo cambiamento epistemologiconella fruizione del mezzo televisivo.

La televisione non lineare richiede infatti al fruitore una colla-boratività e proattività individuali inedite, in quanto è chiama-to a diventare non solo il selettore ma anche l’organizzatoree il ricercatore dei propri contenuti di informazione e intratte-nimento. E questa richiesta di collaborazione più propriamen-te ‘internettiana’ sembra ancora difficile da conciliare con ilruolo classicamente passivo dello spettatore televisivo, chesceglie tra contenuti pre-definiti. L’esito in termini di pratichedi fruizione non è ancora chiaro, ma ancora una volta si trat-ta di un tema che richiederà accurate riflessioni in termini digestione dei brand e modelli di business.

La nuova vitalità della radio

Anche se la ‘vacatio’ momentanea di dati di audience nonconsente di dimensionare in modo preciso gli ascolti attualidelle emittenti radiofoniche, la radio è un mezzo che stamostrando una incontrastata – e per molti aspetti inattesa,sino a qualche anno fa - vitalità.

L’evoluzione tecnologica del mezzo, che consente l’accesso mul-tipiattaforma (grazie anche ai canali televisivi dedicati alle radiosu Dtt e Sat), e la disponibilità di strumenti per il time shiftedlistening quali i pod-cast moltiplicano le occasioni di ascolto.

La vitalità del mezzo, anche se non ‘certificata’ da dati ufficiali diascolto, emerge chiaramente dal comportamento degli ascolta-tori, che scaricano i programmi radiofonici (non solo musica,dunque) da I-tunes e effettuano download dai siti internet delleradio (per fare un solo esempio, i download di Rai radio 2 sonopassati da 900mila nel 2010 a oltre 2 milioni nel 2011). Non acaso, l’ultimo rapporto Censis sui media indica nella radio ilmezzo che ha guadagnato più utenti dopo Internet.

L’innovatività di questo mezzo trova conferma non solo nellancio sempre più frequente di format estremamente innova-tivi, che coniugano musica e contenuti di qualità, e dallo spa-zio dedicato all’informazione anche sulle reti locali, ma anchedall’utilizzo sempre più intenso e innovativo delle potenzialitàdella rete in termini di interazione con gli ascoltatori, le cui

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potenzialità si arricchiscono grazie ai social network, ai blog,allo streaming e alle riprese dirette negli studi tramite webcam.

Una vitalità e un insieme di potenzialità che solo in parte sem-brano riflettersi in una nuova vision da parte del compartoradiofonico che sembra dover ancora adattare le proprie logi-che di business e le proprie currency ad un mezzo a flussosempre più articolato.

I media locali: un presidio“orizzontale”

La dimensione locale dei mezzi costituisce un ulteriore ambi-to di interesse crescente.

Dal punto di vista del presidio informativo, ormai da tempo ladimensione locale raccoglie elevata attenzione da parte delpubblico e rientra a pieno titolo nelle strategie di espansionedegli Editori (si pensi ad esempio alle numerose edizioni loca-li lanciate dal Corriere della Sera negli ultimi anni, ma anchealla presenza di finestre informative su tutte le reti televisive eradiofoniche locali).

L’attuale contesto sociale, economico e politico del nostropaese e la crisi momentanea in cui versa in questo momentoil modello della rappresentanza diretta potrebbero in realtàamplificare le spinte attenzionali del pubblico verso l’informa-zione locale, un ambito la cui prossimità agli orizzonti indivi-duali costituisce un elemento di controllo diretto.

Con il passaggio al digitale, a questo rafforzamento delladomanda di caratura locale si affiancano l’ampliamento deltutto inedito dei canali a disposizione degli Editori, e la possi-bilità di erogare il proprio segnale anche al di fuori dell’ambi-to locale tradizionale, entrambi elementi che avranno con ele-vata probabilità un forte impatto sul sistema dei media e difronte ai quali gli Editori locali mostrano una alta reattività euna capacità di proporre nuovi format e stili informativi digrande interesse.

L’esigenza di un presidio informativo sempre più puntuale etempestivo anche sull’informazione micro-territoriale di rile-vanza nazionale, ad esempio, esalta il ruolo degli Editori loca-li, già settati da tempo sul presidio multimediale (coniugando

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tv e radio o entrambi questi mezzi con la stampa, per esem-pio) e ora referenti sempre più pregiati anche a livello nazio-nale. Si pensi al gruppo Norba, ad esempio, con il Tg locale‘Tg Norba 24’, di elevata qualità, o allo spazio che Sky haattribuito alle televisioni locali liguri in occasione della recen-te alluvione. Fonti informative che procedono ‘in orizzontale’,con uno sguardo più puntuale di quello che possono avere igrandi mezzi di informazione nazionali che presidiano il terri-torio con una logica di tipo ‘verticale’.

La filiera dell’intrattenimento

E’ interessante notare che, nonostante la crisi abbia penaliz-zato i redditi delle famiglie, il settore dell’home entertain-ment, pur in calo nel 2010 di circa il 10% rispetto all’annoprecedente, è riuscito comunque ad attenuare il trend nega-tivo degli anni precedenti, grazie soprattutto alla buona evo-luzione del Blu-Ray Disc.

La filiera dell’intrattenimento ha “difeso” il giro d’affari com-plessivo nel 2010 anche se il 2011, come abbiamo visto daidati di consumo precedenti, si annuncia in calo.

- il fatturato del box office cinematografico è risultato inforte aumento (+17,9%) grazie soprattutto agli incassidei film 3D; in crescita anche il numero di biglietti

- in crescita anche il mercato del software video ludico, aritmi (+2,9%) però insufficienti a ripianare le perditeaccusate nel 2009 (-6,4%); si è registrato un ulteriorecalo del numero di pezzi venduti

- il fatturato complessivo della musica ha registrato uncalo dell’1,9% rispetto al 2009

Grafico 14 La filiera dell’intrattenimento: cinema, mercato video-ludico e mercato musicale.

Fonti: (1) Il cinema italiano in numeri. Anno solare 2010. ANICA(2) Rapporto annuale sullo stato dell’industria Videoludica in Italia. AESVI(3) FIMI

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La fruizione online di contenuti di home entertainment staentrando anche nelle abitudini degli italiani: pur avendo unaquota marginale – circa lo 0,4 % secondo stime Screen Digest– l’ampia offerta di contenuti messi a disposizione dagli edi-tori audiovisivi via web ne sta consentendo la crescita. Sonoormai numerosi i siti dai quali è possibile ottenere legalmentecontenuti di home entertainment (IPTV di Telecom Italia,Cubovision, Rai.tv, Video Mediaset, Docvideo.it, ecc.)

Tuttavia le proiezioni di Screen Digest prevedono che il sup-porto fisico continuerà anche nel 2015 ad assorbire oltre il93% della spesa delle famiglie italiane in prodotti audiovisivi(noleggio e vendita, esclusa edicola), anche se l’online rappre-senta una importante opportunità di crescita per il settoredell’entertainment. I dati sono certamente ancora molto con-tenuti poiché alto è il ricorso alla “pirateria” informatica, ossiaallo scarico, alla condivisione illegale di prodotti multimedialiprotetti da copyright.

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Conclusioni: un paese da ricomporre

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Nando Pagnoncelli

In sintesi, che cosa ha caratterizzato il 2011?A conclusione delle nostre riflessioni lo scorso anno, chiedeva-mo per il 2011 una grande operazione di verità, che banal-mente significava dire agli italiani le cose come effettivamentestanno. Questa operazione di verità c’è stata: Monti ha squa-dernato, senza sconti, la dura realtà al paese. Già questo sem-plice atto è stato un cambio epocale. Un cambio anche di costu-me, di attese, di clima.

L’Italia è però un paese diviso, attraversato da pro-fonde fratture. Come si concilia questo nuovo climacon un’atavica difficoltà del paese a fare sistema?E’ vero, il paese è diviso e si sente ancora profondamente divi-so, nonostante il centocinquantenario e i tentativi di ricuciturafatti soprattutto dalla Presidenza della Repubblica. Ma siamoanche un paese, per usare uno stereotipo, che dà il meglio di sénei momenti davvero critici, lo abbiamo visto con lo sforzo perl’ingresso nell’euro nella seconda metà degli anni novanta.Oggi ci sono le condizioni per una reazione di questo genere?Forse sì, ma manca, non solo in Italia, l’attore principale.

Intendi la politica?La politica, certo. E’ in tutto l’occidente avanzato, Stati Unitied Europa, che si avverte una disperante mancanza di direzio-ne politica. In Italia la resa è stata evidente: i partiti hannoalzato le braccia e si sono consegnati al primo governo tecnicoin toto che abbiamo avuto. E’ un simbolo grandemente preoc-cupante. Ma è anche un’occasione. La crisi finanziaria hadimostrato che c’è un drammatico bisogno di un’Europa poli-tica forte, che non può essere solo unione monetaria. I model-li di governo europeo ed occidentale sono in crisi. Lo è il wel-fare, da tempo, l’ipotesi neo liberista ha lasciato dietro di sé unacrescita preoccupante e inaccettabile delle diseguaglianze socia-li, economiche, culturali, che stanno mettendo in questione lostesso principio di cittadinanza. Davanti a noi c’è la necessità

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INTERVISTA A

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immediata di una ricomposizione. Questa è l’occasione chenon è possibile perdere.

E in Italia?L’Italia ha sofferto a lungo di provincialismo. Molto chiusa nelproprio territorio, nelle proprie tradizioni, nelle proprie culturesempre più asfittiche. La politica italiana non è stata capace ditenere il passo con i cambiamenti, di entrare a pieno titolo nelconsesso internazionale, di affrontare le grandi riforme. Si èproceduto con la testa voltata indietro, la seconda repubblicaalla fine è stata una prosecuzione, in peggio forse, della prima.Oggi cambia il paradigma e la politica è costretta ad affronta-re una trasformazione drammatica. Il sistema politico così comelo abbiamo conosciuto è destinato ad implodere, a scomporsi ericomporsi. Non può fare altro. Il problema è se ci siano cultu-re in grado di affrontare la scommessa. Il governo Monti, se,come penso, durerà, sarà qualcosa di più di un governo didecantazione. Potrà consentire una ricomposizione post berlu-sconiana. La campagna elettorale permanente, il continuo“stato di eccezione” in cui ci siamo trovati a vivere, non corri-sponde più al sentimento prevalente nel paese.

Ma non sarà la crisi a dettare l’agenda?Senza dubbio la gravissima crisi che viviamo impone scelte cheappaiono spesso indipendenti dalle volontà politiche, scelteobbligate dettate dai mercati. In questo senso parte dell’agen-da è già definita. Ma il passaggio successivo non può non esse-re quello di una profonda revisione delle modalità di distribu-zione della ricchezza, anzi della povertà, come qualcuno dicecon acume. Il tema è quello della ricomposizione delle frattu-re, della difesa dei non garantiti, della modernizzazione chepassa attraverso la messa in discussione dei diritti acquisiti e larottura dei poteri corporativi. Lì sta la scommessa. Questo vuoldire rivedere le ideologie che hanno dominato sino ad ora, ora-mai stancamente e senza spinte propositive.

E a tuo parere ci sono le forze per affrontare questascommessa?Siamo davanti ad un paese sfibrato, disilluso. Un’enorme

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massa di cittadini ha perso fiducia nella politica e comincia amettere in discussione i principi stessi del regime democratico.E’ un disagio profondo e apparentemente senza sbocco. Aprima vista quindi le speranze sono poche. Però qualche segna-le si vede. L’attenzione e il coinvolgimento non sono morti, lovediamo dallo sviluppo e dal cambiamento del modo con cui lagente si informa e segue le vicende, pezzi di società stanno ria-dattando il loro approccio al consumo e quindi alla società equindi alla politica, interiorizzando la crisi ma cercando anchedi affrontarla con uno spirito non sottomesso.Anche nel dibat-tito politico ci sono deboli segnali nuovi, penso al “risveglio”dei cattolici, al dibattito nel centrosinistra, al ricollocarsi di unpezzo di centrodestra sempre meno convinto dal berlusconismo.Penso anche alla spinta verso un’Europa più coesa che vieneda un dibattito che si sta riaccendendo, in questo spinto anchedal nostro Presidente della Repubblica. Penso al ruolo dei gio-vani, alla loro presenza, certo frastagliata e complessa, ma rile-vante, in rete. C’è però un’incognita.

Di quale incognita parli?La fase 2 del governo tecnico sarà inevitabilmente centratasulla crescita, presupposto indispensabile a sostenere politichedi equità. Per far crescere il Paese è necessario però moderniz-zarlo, svecchiarlo, renderlo efficiente. Questo significa colpirerendite, corporazioni, elusioni. Le resistenze saranno forti, pro-fonde, qualche volta estreme. Saranno chiamate in causa leagenzie di consenso e coesione sociale – penso ai sindacati, alleassociazioni di categoria, ai partiti o a quel che ne resta, allarete degli amministratori locali ma anche ai mezzi di comuni-cazione, alla stessa Chiesa - che abbiamo però visto essere indifficoltà. Certo, ci sono nell’opinione pubblica basi evidentiper politiche di questo genere: la tolleranza per evasione ed elu-sione, per furberie e corporativismi è molto meno consistenterispetto anche al recente passato. La crisi ha modificato perce-zioni e paradigmi. Ma se non ci sarà una saldatura élite epopolo, tutto sarà difficile.

Quindi si può uscirne?Forse sì, ma con molti se. Se si riusciranno a produrre politi-

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che giuste, tese ad una ripresa economica che tenga insiemegiustizia sociale, equità, trasparenza, modernizzazione. E sesi sapranno fare politiche anche dure e forti in accordo con ilsentimento prevalente del paese. Se si farà questo credo che ilpaese potrà reagire, come molte altre volte ha fatto.

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Febbraio 2012Ipsos edizioni -

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Ipsos Flair Collection

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NOBODY’S UNPREDICTABLE

In un anno di straordinari cambiamenti che ridisegnanol'Italia, i nostri 11 esperti sisono liberamente confrontatiper interpretare il paese. Nasce così il secondo volume diIpsos Flair, uno strumento che immaginiamo utile per individuare i segnali, forti edeboli, che caratterizzeranno il 2012.

Nando PagnoncelliLuca Comodo

Ipsos Public Affairs (riga2)Andrea AlemannoChiara FerrariCecilia Pennati

Ipsos MediaCT (riga3)Gian Menotti ContiNora SchmitzClaudia D’Ippolito

Ipsos Marketing (riga 4)Massimo De Benedittis Marta PavanChiara Berardi

Gli Specialisti

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