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1 IL PAESE FORTUNATO DI ROSA CAPPIELLO Relatrice: Chia.ma prof. Giuliana Nuvoli Elaborato finale di: Alessandro Rocca Anno Accademico 2011-2012

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IL PAESE FORTUNATO

DI ROSA CAPPIELLO

Relatrice: Chia.ma prof. Giuliana Nuvoli

Elaborato finale di: Alessandro Rocca

Anno Accademico 2011-2012

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Indice

I. Introduzione

CAPITOLO PRIMO p. 5

1. Note biografiche

2. Le opere

3. La critica

CAPITOLO SECONDO p. 30

1. Paese fortunato: pubblicazioni e recensioni

2. Trama e personaggi

3. Il narratore

4. Il paesaggio umano e naturale

Bibliografia p. 58

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Introduzione

Pubblicato in Italia nel 1981 dalla casa editrice Feltrinelli, Paese fortunato di

Rosa Cappiello contiene alcune caratteristiche ineluttabili del romanzo

d'emigrazione. Un genere letterario che richiama alla mente muscolature

sfibrate dal sacrificio, sradicamento culturale e spesso frustrazione generata dal

mancato conseguimento delle aspettative.

L'autrice, pur non essendo mossa da una particolare necessità economica, non è

esente dal compiere il cosiddetto “viaggio della speranza”, vedendo nell'atto

migratorio l'unico stratagemma possibile per conquistare la libertà tanto

agognata ma resa irraggiungibile dall'autorità familiare. Vittima di imposizioni

patriarcali che la costrinsero ad abbandonare gli studi e trascorrere

l'adolescenza nella solitudine delle mura domestiche, Rosa accumulò una forte

insoddisfazione che sarà veicolata dalla rabbia e dalla violenza verbale della

sua scrittura. Non sorprende quindi l'attacco nei confronti della società e il

tentativo di destrutturare la tradizionale gerarchia familiare che, nel romanzo, si

pone come offensiva nei confronti della dedizione ai propri valori culturali,

connotato importante della letteratura d'emigrazione. Ciò che, in questo

contesto, rende Paese fortunato una voce fuori dal coro è il particolare punto di

vista dell'autrice, trascinato dal fiume in piena delle proprie emozioni, a cui

l'Australia sembra fare solo da cornice.

Nonostante tutto, la crudeltà con cui è dipinta la vita negli slums e la passività

degli emigranti alla cultura dominante offrono un ritratto che, seppur gonfiato

delle esagerazioni caricaturali con cui spesso vengono rafforzati i concetti,

inquadra bene le condizioni esasperate delle comunità etniche.

Questo mio elaborato analizzerà le opere della Cappiello, in particolare di

Paese fortunato, prendendo in esame anche i più importanti contributi prodotti

fino ad oggi sull'argomento. L'entusiasmo e la disponibilità concessami dalle

personalità che ho contattato durante la fase di ricerca, la maggior parte delle

quali ebbe modo di conoscere personalmente Rosa, mi ha sollecitato ad

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approfondoire l'indagine, cercando di comprendere, attraverso i pochi

riferimenti biografici, la difficile esistenza di questa donna, incapace di trovare

una “casa” adatta al proprio essere.

L'elaborato è suddiviso in due parti. La prima presenta, oltre alle notizie

biografiche e agli spunti critici, un confronto tra Paese fortunato e il primo

romanzo della scrittrice, I semi neri, che per scrittura e caratteristiche, ne è

l'ideale predecessore. La seconda parte, che è interamente dedicata a Paese

fortunato, ne illustra la fortuna letteraria che, almeno in Australia, ha portato il

romanzo ad essere considerato un classico della letteratura, per poi indagarne i

contenuti più intimi e profondi, tra cui è importante evidenziare la

contrapposizione tra il paesaggio umano, i cui luoghi chiusi sono assimilati alla

prigionia, e il paesaggio naturale, che sembra essere l'unica fonte di

momentanea serenità per l'autrice.

In conclusione, come parziale compensazione di una vita dolorosa

caratterizzata dall'isolamento, non va dimenticato che l'esperienza migratoria

fornì a Rosa Cappiello l'opportunità di acquisire lo status desiderato di

scrittrice e sebbene nel titolo del romanzo sia presente con evidente sarcasmo

la delusione provata dall'idealizzazione di una realtà inesistente, l'Australia per

la sua carriera letteraria fu sicuramente un “paese fortunato”.

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CAPITOLO I

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1. Note biografiche

“Buongiorno signore. Lei forse non si ricorda di me, ma io mi ricordo molto bene di lei.

Il mio nome è Cappiello. Mi piace scrivere. Sono alla ricerca di un lavoro.” “ Sì... sì”, risponde teso e allarmato. “Io che c'entro?” 1

La passione per la scrittura è la chiave di volta attorno a cui ruota l'esistenza di

Rosa Cappiello, ai margini del tessuto sociale anche a causa di un carattere

introverso e riservato, ma protagonista nelle gesta dei personaggi da lei

descritti, che ne delineano in parte gli elementi biografici.2

Nata a Caivano il 9 marzo 1942, dall'età di due anni visse a Secondigliano,

quartiere della periferia nord di Napoli, dove completò la scuola dell'obbligo, il

cui tassello conclusivo all'epoca era l'acquisizione della licenza elementare.

La riluttanza da parte della madre a farla viaggiare ogni giorno da sola verso

Napoli ne interruppe bruscamente il ciclo di istruzione.

Rosa trascorse l'adolescenza in casa, prima di trovare lavoro a ventiquattro anni

come rappresentante di vendita di enciclopedie porta a porta:3

Ci saranno più scoppi di felicità ottimista con tre enciclopedie piazzate in un quarto d'ora nelle palazzine dell'Acquedotto, contrattate da una miserevole vedova che a stento sapeva mettere la firma. All'inizio il lavoro mi piaceva, filava bene, ero la migliore nel piazzare, poi cominciarono i rompimenti del sub-agente, si fregava le percentuali, tale e quale a un magnaccia, che finissimo di salire scale e battere quartiere per quartiere.4

1 Cappiello Rosa, Paese fortunato, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 149. Principio della

conversazione telefonica tra Rosa e il direttore di un bisettimanale italiano che aveva mostrato interesse per i suoi scritti.

2 “Mi trasformo nei personaggi. È mia l'irrequietezza, l'insoddisfazione, la rabbia, la sofferenza, l'odio e l'amore che li anima sulla pagina. Nel trascrivere le loro vicissitudini, i loro sentimenti, intraprendo la ricerca e la loro comprensione del mio essere. (...) E poi, prediligo sbizzarrirmi su esperienze vissute non fittizie”, Englaro Graziella, Intervista a Rosa Cappiello, in «Uomini e Libri», XIX (96), Nov.- Dic. 1983, p. 12.

3 Rando Gaetano Luigi, Literature and the migration experience: twenty-one years of Italo-Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong, 1988, pp. 189-190. http://ro.uow.edu.au/theses/2097. Rando, presumibilmente aiutato dalla conoscenza di Rosa Cappiello, è l'unico autore che ha fornito utili informazioni biografiche a riguardo.

4 Cappiello, I semi neri, Roma, Edizioni delle donne, 1977, p. 51.

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In seguito lavorò come commessa in un negozio di arredamento.5

Il periodo di chiusura agli impulsi provenienti dall'esterno coincise con un

accrescimento culturale favorito da una entusiasmante immersione nella

letteratura, episodio che implementò le aspirazioni cullate in grembo sin da

ragazzina.6

La lettura delle opere di Dostoevsky, Proust, Runyon, Tolstoi, Sartre e molti

altri, la accompagnò verso i primi tentativi di scrittura, fondati sul fascino delle

parole e sulla ricerca della perfezione stilistica nell'insieme della frase.7 Una

influenza che la scrittrice ammise pubblicamente fu quella di Henry Miller e

degli scrittori americani.8

Nel 1971, pochi mesi dopo la morte del padre, imbarcatasi sulla nave

passeggeri Guglielmo Marconi,9 emigrò in Australia:

Sbarcammo a Sidney il 24 di dicembre, in una giornata di sole iridescente che mi separò nettamente da un'età, da una cultura, da un'altra vita, proiettandomi in una concezione dualistica.10

Prendendo atto della situazione socioeconomica della famiglia Cappiello,

vicina alla piccola borghesia,11 sebbene la decisione di partire fu in parte

5 Cappiello, Why I write what I write, traduzione a cura di Mitchell Tony, in «Australian

Society», January 1987, pp. 25-26, alla p. 25. 6 La scrittrice nell'articolo cita un estratto da un romanzo, chiamato Origin and Madness, su cui

stava lavorando (che fu posto sul “fondo del cassetto” in attesa di ispirazione, come ammetterà lei stessa poche righe più avanti): “I dreamed of being writer from when i was thirteen. I dreamed of being an artist while I was tearing my dolls limb from limb and scratching the eyes of passers-by, making the piranhas bite and the sharks gnash their teeth, accompanied by tinkling Sanctus bells, applause, and the raising of the Holy Bible”, Ivi, p. 26.

7 Rando, Emigrazione e letteratura: il caso italo-australiano, Cosenza, Pellegrini Editore, 2004, p. 82.

8 “My favourite is Henry Miller. Then Celine, the French writer. Rimbaud, Strindberg and Knut Hamsun. I still like them very much. When I was very young I was member of the American Library in Naples and I read all the American writers”, Rizzo Santina, Interview with Rosa Cappiello, in «New Literature Review», 24, 1992, pp. 117-122, alla p. 118.

9 Grave Isobel, Chiro Giancarlo, Rosa Cappiello's Paese Fortunato and the Poetics of Alienation, in «Transnational Literature», Vol. 2 no. 2, May 2010.

http://fhrc.flinders.edu.au/transnational/home.html, p. 1. 10 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 8. 11 “My family was quite normal. My father worked at the post office, my stepmother was a

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motivata dalla necessità, è più logico ricondurla ad una scelta di rinnovamento

radicale, generata dal desiderio di nuovi stimoli e, come spesso accade dopo la

perdita di un familiare, dall'urgenza di allontanarsi dai luoghi associabili alla

sofferenza.

Fu la conclusione precipitosa di un lungo processo di deliberazione,

testimoniato dalla domanda di visto per l'emigrazione in Australia già

formulata ed accettata tre anni prima, e da una precedente richiesta per il

Canada rifiutata senza addurre spiegazioni.12

La profonda delusione provata nei confronti della società australiana,13 corrotta

e plagiata dal denaro e dal materialismo, esclude con forza la realizzazione

economica come movente della sortita transoceanica. Il decadimento dei valori

tradizionali europei, il degrado morale causato dall'ossessione per il lavoro e

dallo sfruttamento, la mancata mescolanza delle differenti culture, relegate

dall'intolleranza nei rispettivi ghetti, l'assenza della parità tra i sessi14

provocarono nella scrittrice una immediata inversione di tendenza rispetto alle

aspettative iniziali:

Non è l'America. In un lontano futuro, forse, sarà l'ultima America del mondo. Ci sono le basi per il decantato lucky country. Adesso non è il sogno sognato, né il paese della cuccagna. (…) La terra da conquistare non mostrava pruriti al ridicolo o al poetico, ma alla speranza, all'imprevisto, all'imprevedibile. E l'imprevedibile mi colse.15

housewife, my brother worked in a bookshop, my sister went to school and I worked in a furniture shop”, Cappiello, Why I write what I write, cit., p. 25.

12 “We are all victims of circumstances and choices which are forced upon us. I emigrated to Australia partly through choice and partly through necessity. I applied to emigrate to Canada but my application was rejected for some reason without explanation. (…) A few months later I came across some brochures about Australia and was attracted by it. I applied to immigrate and was accepted immediatly, but it took me three years to make up my mind to leave”, Ibidem.

13 “Dodici anni fa l'Australia era per gli Europei un continente sconosciuto e misterioso; simboleggiava avventura e rischio, salvo scoprire una volta arrivata che di solito e singolare non c'era molto. Non conoscevo nulla intorno al problema dell'immigrazione e degli immigrati, non sapevo nulla sui problemi sociali e morali derivanti dalla mescolanza delle razze. Confesso di aver provato per anni una delusione grande e una rabbia cieca. Ora, invece, sono io a sentirmi riconoscente verso questa società così contraddittoria e stimolante – una società tutta da descrivere”, Englaro, Intervista a Rosa Cappiello, cit., p.13.

14 Rando, Emigrazione e letteratura: il caso italo-australiano, cit., pp. 82-83. 15 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 7. Le esternazioni sul fallimento delle aspettative, presenti

già nei primi capoversi del romanzo, sono specchio dell'immediatezza con cui l'autrice ha tratto le sue conclusioni nella realtà.

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Priva di specifiche conoscenze tecniche e linguistiche, lavorò per diversi anni

come cucitrice nell'industria tessile e saltuariamente nei ristoranti,16 alternando

periodi di impiego a periodi di disoccupazione.17

Nel 1977 fu pubblicato il suo primo lavoro, I semi neri, genesi dell'embrione di

un romanzo concepito nella solitudine della sua tarda adolescenza. Appaiono

già evidenti le caratteristiche della scrittura di Rosa, diretta, ricercata e

16 “Avevo trovato lavoro come lavapiatti, in un ristorante pizzeria dalle cinque a mezzanotte, nel

quartiere delle luci rosse. Le puttane del 339 ordinavano il pasto direttamente alla cucina, dalla finestra con la grata alla nostra finestra con la rete. Le puttane del 328 e le puttane del 290 venivano di persona e chiedevano extra sauce sugli spaghetti. (…) La clientela fissa era formata da travestiti e omosessuali che si appartavano nella sala sopra a parlare fitto fitto”, Ivi, p. 166.

17 Rando, Literature and the migration experience, cit., p.190.

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rabbiosa.

Nonostante la divulgazione,18 la stessa Cappiello riconobbe I semi neri solo un

esercizio di stile, identificando in Paese fortunato, pubblicato in Italia nel

1981, il suo primo vero romanzo.19 Un j'accuse sgorgato da ferite sociali

esplorate dalla penna dell'autrice, ma soprattutto una voce fuori dal coro nella

letteratura d'emigrazione, soffocata dai clichés e, spesso, dalla povertà

intellettuale di scrittori non di mestiere.

Il romanzo, nello stesso anno di pubblicazione,20 vinse il Premio Calabria,

mentre in Australia, pur scontrandosi con il malumore della comunità italiana,

suscitò un interesse nella critica tale da favorire nel 1984 l'uscita dell'edizione

in inglese, non prima però di aver permesso alla Cappiello di dedicarsi a tempo

pieno alla scrittura, grazie anche a supporti finanziari provenienti da royalties,

borse di studio, premi letterari e sussidio di disoccupazione.21

Fu in questo periodo che, invitata come writer-in-residence all'Università di

Wollongong, conobbe Gaetano Rando, docente a cui nel frattempo era stata

commissionata la traduzione del romanzo da parte della University of

Queensland Press.22

Egli stesso, in seguito, diede una descrizione umana e sincera della scrittrice:

Rosa Cappiello è generalmente considerata una persona intelligente e perspicace ma con un carattere chiuso e difficile, riluttante a rivelare dettagli su se stessa come se, in

18 Il romanzo fu pubblicato in Italia da Edizioni delle donne, una casa editrice di stampo

femminista. 19 Rando, Literature and the migration experience, cit., p.191. 20 Giampaolo Petrosi nell'articolo The impact of a migrant's anger, in «The Bulletin», 21

February 1984, pp. 58-59, afferma che il romanzo ha venduto 70.000 copie nel primo mese di pubblicazione. Come saggiamente fa notare Gaetano Rando in Literature and the migration experience, cit., p. 202, poichè la Feltrinelli non ha dati per confermalo e in assenza di una seconda ristampa, è più probabile che le copie vendute si avvicinino alle settemila, piuttosto che settantamila.

21 Ivi, p.192. 22 Rando, Translator introduction by Gaetano Rando, in Cappiello, Oh Lucky Country, Sidney

University Press, 2009, p. XI. Non esiste in italiano una traduzione letterale efficace per la definizione writer-in-residence, che allude a collaborazioni tra università e scrittori finalizzate alla realizzazione di progetti e seminari. Nel 1983 Rosa Cappiello fu ospite dell'Università di Wollongong per nove settimane, nelle quali lavorò assieme a Rando alla traduzione di Paese fortunato.

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qualche maniera metafisica, la sua forza potesse essere fiaccata dalla conoscenza altrui. Fumatrice accanita, vive da sola ad Annandale in una privacy protetta ferocemente, ha pochi amici e può, se la si oltrepassa, adirarsi rapidamente. Forse la sua aggressività è dovuta, almeno in parte, all'insicurezza provata dal fatto che, a dispetto della sua mancanza di formale titolo di studio, la sua attività di scrittrice la porti a mischiarsi con persone che le sono superiori dal punto di vista dell'istruzione, se non intellettualmente. Di conseguenza non si sente a proprio agio con persone che non conosce. In più la mancanza di istruzione ha l'effetto di non permetterle di articolare facilmente e completamente ciò che vuole dire. Ciò è evidente quando parla. Il suo italiano è notevolmente influenzato dal dialetto napoletano e il suo inglese è molto rudimentale. Il suo volto, tuttavia, esprime eloquentemente le sue reazioni. Quando scrive dimostra difficoltà nel controllare il proprio linguaggio. Fondamentalmente è una scrittrice istintiva e piuttosto indisciplinata. Sono questa istintività e mancanza di disciplina che le impediscono di praticare gli altri aspetti del mestiere di scrittore.23

23 Rando, Literature and the migration experience, cit., pp.193-194, traduzione mia. A differenza

di altri scrittori italiani emigrati in Australia, dice Rando, Rosa Cappiello non scrisse articoli per i giornali.

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Accolta nei circoli di avanguardia letteraria di Sidney, fu invitata a partecipare

ad importanti festival e tenere seminari e laboratori nelle università.24

Lo sgravio dal lavoro in fabbrica e l'assunzione dello status di scrittrice non

corrispose però ad una maggiore prosperità artistica. Seppur impegnata in

diversi progetti, pubblicò solo qualche racconto ed alcune poesie, lasciando

incompiuto il suo terzo romanzo.

Le difficoltà incontrate nello scrivere riflettono il ritratto autentico di Rosa,

incapace di assurgere al ruolo di mestierante, ma indissolubilmente legata alla

necessità di sfogare sulla carta le proprie frustrazioni. Sotto il peso delle

aspettative, avendo come metro di paragone gli scrittori ammirati,25 si perse tra

le pagine di un auspicato romanzo perfetto.

La testimonianza di Paese fortunato, raccontata in prima persona, esibisce la

protagonista a cavalcioni sull'altalena dell'umore, in un'alternanza continua di

riflessioni esistenziali come, ad esempio, l'importanza di trovare il luogo adatto

in cui vivere (o sopravvivere):

Che vi facevo qui? Perché insistevo? Andarmene? Restare? Di una cosa ero certa. Pur pensando spesso a casa mia, all'altra casa mia, veramente mia, e di un ritorno al Viale Agrelli, polveroso e provinciale, intriso di nostalgia e di una crescita irreale, io desideravo crepare qua in bellezza e armonia. Qui o altrove, nulla mi si offriva di più bello, in un incubo di perfezione e nullità.26

Le barriere linguistiche e l'inabilità a radicarsi in una società diversa,

contaminata e distante dall'Eldorado immaginato, la convinsero nel 199327 a

tornare in Italia,28 vanificando così la declamata unica certezza.

24 Ibidem. 25 “Rimbaud, Baudelaire, Nietzsche, Strindberg, etc... writers who, if I'd known them when i was

much younger, would probably have caused me to lose completely any desire to write, since they'd already said it all, and experienced and suffered it all. What little remains for me to say, I find enormously difficult to say. I don't write easily. I need to de detatch and obliterate myself in order to work out mentally the idea or concept I take on. I need peace and quiet”, Cappiello, Why I write what I write, cit., p. 26.

26 Cappiello, Paese fortunato, cit., pp. 193-194. 27 Rando, Translator introduction by Gaetano Rando, cit., p. XII. 28 “This is the main reason I would like to go back to Italy. But I would like to go back, too,

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Si pone, alla base di una scelta tanto sofferta quanto liberatoria, il disagio

causato da atti volontari di deprivazione sociale, certamente dovuti alla

mancanza di elasticità dei propri riferimenti antropologici, già cristallizzati

nella personalità di base di Rosa al momento dell'atto emigratorio.29

Morì il 4 settembre del 2008,30 ma l'ultima considerazione è da cercare, ancora

una volta, tra le righe del romanzo che le ha procurato notorietà:

No, sicuramente l'estate non è indicata per morire, si potrebbe almeno aspettare l'inverno, che è il periodo dei crisantemi. Puoi esporti alla falce allegramente, in inverno. E' la stagione dei sottocosti. I vecchi muoiono come mosche. Ma in estate, dico io. Amo l'estate. Lasciami bruciare un'altra vacanza.31

because I still have a sister in Italy and friends where I grew up. And I suppose I need a kind of life which would make me feel among people. So that when I walk down the street I can hear the people speak the same language and I can speak to people and friends and have some social life. And also because I suppose I feel homesick. Very much. I have been here so long. I had a brother here and he left last year. I suppose I want, before it's too late, to find something of my old life and all my old friends”, Rizzo, Interview with Rosa Cappiello, cit., p. 120.

29 Luzi Alfredo, Espressionismo linguistico e emarginazione sociale: la scrittura di Rosa Cappiello, in Marchand J-J (a cura di), La letteratura d'emigrazione, Torino, Ed. della Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, pp. 539-545, alle pp.540-541. Luzi fa riferimento anche agli studi di William Labov e Michael Haliday secondo cui i comportamenti di deprivazione verbale, causati dalla mancanza di conoscenza della lingua del paese in cui si è ospitati, generano automaticamente processi di deprivazione sociale.

30 Rando, Translator introduction by Gaetano Rando, cit., p. XII. 31 Cappiello, Paese fortunato, cit., pp.181-182.

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2. Le opere

La pubblicazione di Paese fortunato, romanzo di cui si parlerà ampiamente

nella seconda parte di questo lavoro, si manifestò come un fulmine a ciel

sereno agli occhi della comunità italo-australiana, impegnata con costanza a

genuflettersi pur di contenere la propria immagine dentro gli argini della

riverenza verso il padrone di casa. Il meccanismo di rimozione fu tale da

mettere in dubbio l'autenticità del libro, scritto da un'altra persona, si disse, in

nome della scrittrice.32

Eppure, considerando il discorso di Alfredo Luzi, sarebbe bastato riprendere I

semi neri per accorgersi di come quei contenuti di riscatto e rivolta contro le

repressioni, veicolati dalla violenza verbale, siano da sempre appartenuti

all'universo simbolico di Rosa.33

Stampato nel 1977 dalla casa editrice dichiaratamente femminista Edizioni

delle donne,34 I semi neri è la rielaborazione dei primi approcci alla scrittura

della Cappiello, risalenti al periodo napoletano.

Si tratta di un romanzo breve, fondamentalmente senza trama, in cui vengono

narrate le emozioni, più che le vicende, di Rina, giovane napoletana ammalata

di cancro.

Le caratteristiche del personaggio, a partire dal nome molto simile,

corrispondono e prefigurano quelle della Rosa di Paese fortunato.35 Rabbia,

32 Luzi Alfredo, Espressionismo linguistico e emarginazione sociale: la scrittura di Rosa

Cappiello, in Marchand J-J (a cura di), La letteratura d'emigrazione, Torino, Ed. della Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, pp. 539-545, alle pp. 539-540.

33 Ibidem. 34 “La casa editrice era stata fondata nel 1974 al Teatro della Maddalena a Roma, grazie

all'irruenza e forse anche la leggerezza di alcune femministe dell'epoca, Manuela Fraire, Anne Marie Boetti, Elisabetta Rasy e Maria Caronìa, convinte che la passione del fare, da sola, potesse sopperire all'inesperienza dell'attività editoriale”, Fusco Girard Giovannella, La Derniere Mode di Stéphane Mallarmé: una rivista al femminile plurale, in Palusci Oriana (a cura di), Traduttrici: female voices across languages, Trento, Tangram edizioni scientifiche, 2011, pp. 73-74. Il catalogo, realizzato in soli sei anni di vita, comprende una quarantina di opere tutte a firma di scrittrici, italiane ed internazionali, fatta esclusione per il saggio La Derniere Mode di Stéphane Mallarmé.

35 Rando Gaetano Luigi, Literature and the migration experience: twenty-one years of Italo-Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong,

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ribellione e rifiuto manovrano entrambe le donne all'interno di un grottesco

teatro dei burattini in cui vengono evidenziate senza pietà le debolezze umane.

Ciò che colpisce maggiormente è la continuità di pensiero tra le due, frutto

della concessione della propria intimità che la scrittrice, in controtendenza con

la realtà, offriva totalmente attraverso la macchina da scrivere.

Se non fosse per l'incongruenza relativa al nome differente, letti in sequenza

temporale, i due romanzi potrebbero raccontare la successione degli eventi

nella vita della stessa persona, ponendo il momento della partenza come linea

divisoria.

Rina vede nell'emigrazione l'unica soluzione al suo malessere esistenziale,36

capace di oscurare persino il cancro. Tuttavia, emarginata dalle regole di una

società in cui ceto e sesso sono una discriminante,37 non solo rimane incatenata

alle sue origini, ma è anche costretta a subire l'abbandono di Sebastiano, un

giovane dottore neolaureato con cui vive una drammatica storia d'amore, che

invece parte per cercare fortuna in Svizzera:

Tra poco te ne andrai messo nel branco e incolonnato verso l'Eden dei meglio vestiti, dei meglio nutriti con gioia e tristezza tesserata dal Padreterno Emigrazione. Solo quando penso a questa Napoli maledetta dove sei nato e cresciuto, e dove io sono nata e continuo a crescere mi sento morire.38

Questo episodio comporta l'estinzione di un sentimento idealizzato, il cui

ultimo sussulto è suscitato dalla rievocazione:

Quel ricordo di te mi corrode. Spediscimi una cartolina illustrata, oppure un francobollo gigante col tuo profilo tracciato netto, un nichel perforato dai sospiri, un pezzo di cioccolato, un pezzo di gruviera, un qualcosa che mi sia tangibile dove tu

1988, http://ro.uow.edu.au/theses/2097, p. 191.

36 La scrittrice rivela il suo reale desiderio di cambiamento prima per bocca di Sebastiano: “Questa città di ladri i fessi e i pezzenti li appende in croce o li sbatte in galera. Emigrare devo, andare lontano. Dimenticare Napoli o la merda dei miei concittadini mi arriva in gola” e poi di Rina: “Quante volte a capo tavola, rimestando nel piatto mi son chiesta se sarebbe stato meglio piantare tutto ed emigrare”, Cappiello Rosa, I semi neri, Roma, Edizioni delle donne, 1977, pp. 48 e 91.

37 Rando, Literature and the migration experience, cit., p. 191. 38 Cappiello, I semi neri, cit., p. 13.

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posi i piedi. Oh, Sebastiano impacchettami i tuoi piedi e mandameli per cuscini. Imbuca una vena illividita del tuo torace, una riga di fiato impomatato. Dammi tue notizie.39

Le considerazioni finali di Rina annunciano la disillusione della protagonista di

Paese fortunato, convalidando il processo evolutivo nella psiche della

scrittrice:

Difatti il matrimonio non era poi tanto diverso dal donarsi una reciproca compagnia, una reciproca allegrezza, comunicarsi insieme, suicidarsi insieme. La fossa dell'amore. Amore? Questa era un'altra fetta di carne sintetica con lo spicchio.40

Il matrimonio è un carcere, una sedia fuori posto, un sorriso col tartaro, il matrimonio è, e rimane, un pitale di carne scoperchiato.41

Grida di sofferenza erompono a fiotti dalle pagine de I semi neri. Mascherata

da Rina, reclusa dentro un ospedale, si nasconde la Rosa adolescente, obbligata

dalla famiglia alla solitudine tra le mura domestiche, proprio negli anni in cui è

necessario soddisfare la voglia di esplorare.

L'antidoto adatto all'estirpazione del cancro che la corrode è individuato

nell'emigrazione.

La metamorfosi anelata è però all'orizzonte, percettibile nella frase conclusiva

del romanzo, preludio al rinnovamento: “Se muore il marito, la moglie si

risposa.”42

Con Paese fortunato Rosa Cappiello raggiunse l'apice del suo talento creativo.

Il successo sancito dalla critica favorì la possibilità di partecipare a raccolte

antologiche con poesie e racconti. La richiesta però di produrre nuovo

materiale avvicinandosi possibilmente allo stile ed i contenuti del romanzo43 in

39 Ivi, p.69. 40 Ivi, p. 82. 41 Ivi, p. 83. 42 Ivi, p. 95. 43 Rando, cit., p. 194.

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un certo senso ne provocò il mancato raggiungimento della maturità come

scrittrice. Ancorata infatti ai temi partoriti nelle convulsioni di rabbia della

giovane età, dopo poche e non memorabili pubblicazioni, si perse alla deriva

nella scrittura del suo terzo romanzo, che non vide mai la luce.

Il racconto 10/20 dogs under the bed,44 è comunque una dimostrazione della

sua capacità di abbandonare i temi autobiografici relativi all'emigrazione,

catturando alcune caratteristiche australiane e mantenendo allo stesso tempo i

tratti della cultura napoletana.45

E' la storia incisiva e paradossale, raccontata in prima persona, di un uomo

attempato ossessionato dal sesso e dalla morte, la cui esistenza è tormentata

dalla fissazione della compagna per i levrieri.46

Le sue poesie furono divulgate su diverse antologie, come Overland e

Difference, writings by women. La forma poetica, in alcuni casi, ben si è

adattata a rappresentare l'inquieto immaginario della scrittrice:

Da una, mille e più imposte sbarrate, svaghi di lattanti, orfani di recente sanno il fiele dell'incesto. La riparano ali rotte, dietro ai paraventi, ai domini rabbiosi, su materassi d'acqua e piume. Lievi rumori in casa, forse bisbigli, forse singhiozzi esausti faccia a faccia con l'orco delle favole. Nero sul dorso, bianco sul ventre, bocca delle tempeste: la bestia che nutre, cresce, cura. Entra di soppiatto nella chiusa infanzia dei giochi, chiude a chiave la porta, si sveste: nei gesti, nelle carezze, all'improvviso nemico: 'Farfallina, angelo' ti chiama mentre affonda le unghie, i denti.47

44 Cappiello, 10/20 dogs under the bed (traduzione a cura di Rando Gaetano Luigi), in Gunew

Sneja, Jan Mahyuddin (a cura di), Beyond the echo: Multicultural women's writing, St. Lucia, University of Queensland Press, 1988, pp. 42-61.

45 Rando, cit., p.195. 46 Rando, cit., p.195. 47 Cappiello, La Bestia, in Hawthorne Susan (a cura di), Difference, writings by women, Waterloo

Press, 1985, p. 50.

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Ma è in Scripsi, prezioso zibaldone letterario, che Rosa pubblicò quello che

può apparire il suo manifesto:

Io dipingo..., Da una lesione al cervello e una ferita al cuore... Osservo il cielo riarso, la striscia d'asfalto troncare dietro la curva, il cancello ostruito da uno schermo di vapori e ombre che salgono dai fossi. Non ho altra veduta. E non ricevo visite al di fuori di quelle interiori. Internata qui è la mia grandezza. A porte e finestre sprangate immergo il pennello nel sangue, nella ferita stessa, l'affondo, lo rigiro, mi tormento, mi sevizio...e..., nudi stupendi, volti e profili mai sazi di bellezza e di purezza, intrecci di delittuose passioni costruisco pezzo per pezzo con tirannico zelo... Amaro è amaro non poter fare a meno della follia e del dolore per creare.48

48 Cappiello, Il Prezzo (traduzione a cura di Serle Oenone e Guillard Jone), in Scripsi, Vol 5/no.3,

Ormond College, University of Melbourne, 1989, p. 86.

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3. La critica

Guardando al valore dell'opera, sono certamente pochi gli studiosi che hanno

affrontato l'argomento. Il pregio di questo limite è il coinvolgimento con cui,

seppur mantenendo lo sguardo critico del mestiere, si è cercato di valorizzare

un piccolo tesoro, Paese fortunato, la cui conoscenza tuttora appartenente ad

un numero così ristretto di persone pare inverosimile.

Non si può mantenere il distacco di fronte alle parole di Rosa Cappiello, così

vere da farla apparire una sorella sofferente, così altrettanto umane da

convincerci che promuovere la lettura di questo romanzo è un dovere.

Su questa base di partenza si fonda il lavoro di Gabriella Bianco, direttrice nei

primi anni ottanta dell'Istituto Italiano di Cultura a Sidney.49 La sua attenta

analisi della letteratura italo-australiana innalza Paese fortunato ad “unica

autentica creazione letteraria” del lotto, capace di evidenziare l'individuo e il

senso dell'azione e della vita a scapito di una collettività apatica. Mentre gli

altri scrittori, tentando di “farsi una ragione” dell'emigrazione, si limitano

spesso a raccontare senza trasposizioni l'esperienza personale, riproducendo

così solo la realtà sociale, Rosa si preoccupa di “destrutturare le strutturazioni

antiche”.50

Secondo la sociologia strutturalista genetica, l'opera letteraria dovrebbe essere

il riflesso di una coscienza collettiva, frutto delle trasformazioni attraverso cui i

comportamenti umani si evolvono nella ricerca di un equilibrio con il mondo

circostante. Questo comporta l'elaborazione dei vecchi modelli in nuovi in

49 Rando Gaetano Luigi, Literature and the migration experience: twenty-one years of Italo-

Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong, 1988, http://ro.uow.edu.au/theses/2097, p. 197. Gabriella Bianco presentò una relazione su Paese Fortunato al National Seminar of Italo-Australian Narrative and Drama Writers dell'Università di Wollongong. Questo scritto fu in seguito incorporato nella sua tesi di specializzazione Rosa R. Cappiello e la Letteratura Italo-Australiana, presentata all'Università di Urbino nel 1983.

50 Bianco Gabriella, Rosa R. Cappiello e la Letteratura Italo-Australiana, Università degli studi di Urbino, “Scuola di perfezionamento in Scienze e Storia della Letteratura Italiana”, relatore Alfredo Luzi, 1983, pp. 1-7.

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grado di adeguarsi alle sollecitazioni imposte da una realtà inedita.51 Nel caso

dell'emigrazione ciò è certamente più complesso, ed il rischio di assorbire in

primis gli aspetti più esasperati, come ad esempio il miraggio del denaro,

rallenta ulteriormente questo processo.52

Il grido di ribellione di Rosa è una anomalia nella letteratura italo-australiana,

favorita in parte dalla differente condizione in cui si pone, di donna

protagonista e non gregaria rispetto agli uomini che, affrontando per primi

l'asprezza di una condizione umana complicata, hanno sentito l'urgenza di

scrivere.53

In Paese fortunato l'immagine, classica della letteratura d'emigrazione, della

donna come presenza di riferimento, elemento di stabilità, crolla di fronte ai

meccanismi di una realtà drogata da valori alterati, in cui:

Di moderno c'è soltanto la fatica in parità col maschio, per il resto stanno al medioevo, con la mente fissa alla verginità, ai calzini del consorte da lavare e al cucinare.54

A madri, mogli e sorelle prive di una personalità distinta, ma con umile

costanza al fianco degli uomini, subentrano le donne di una società in cui

“arricchirsi è doveroso e sacrosanto, per taluni è il credo”.55 Assoggettate ad

una pluralità di ruoli, vivono nell'affannosa ricerca di una soluzione alle proprie

frustrazioni, senza concedere alcun gesto di solidarietà.56

Basandosi sulla classificazione dei tipi costitutivi del romanzo di Lukács,57

Gabriella Bianco incasella il libro della Cappiello nella categoria del romanzo

psicologico, in cui l'eroe/eroina è passivo e la sua coscienza si scopre troppo

estesa per essere soddisfatta dai valori espressi da un mondo degradato.

La ricerca di autenticità, in questo caso, diventa una lotta contro i mulini a

vento. La società fatiscente in cui si muove Rosa infatti è circoscritta alla realtà

51 Ivi, pp. 44-45. 52 Ibidem. 53 Ivi, p.39. 54 Cappiello Rosa, Paese fortunato, Milano, Feltrinelli, 1981, p.19. 55 Ivi, p.75. 56 Bianco, cit., p.47. 57 Lukács Georg, Teoria del romanzo, Milano, Sugar, 1963, in Bianco, cit., p.51.

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dell'emigrazione, a sua volta inserita in una società inautentica come quella

australiana, nella quale sono diventati aspetti predominanti il denaro e il

prestigio derivante da esso.

Esiste una frattura tra la vita interiore della scrittrice e la comunità emigrante,

colpevole di essersi fatta plagiare dal consumismo e le sue derive senza

opporre, come lei, resistenza:58

La mia realtà, la mia rabbia, la mia natura animalesca e selvaggia si ribellava a un simile sfruttamento di personalità cristiana. (…) Ma io forse ero diversa, seppur condannata a far parte di questa muta.59

Dissente individualmente, cercando di esorcizzare attraverso la scrittura i

compromessi che la realtà le impone, la rinuncia all'aggregazione, la perdita di

istituzioni, famiglia e identificazione con un preciso gruppo sociale.

Bianco concorda con Renè Girard60 affermando che il romanziere abbandona il

mondo della degradazione nel momento stesso in cui perviene a concepire e

scrivere un'opera. Il superamento della coscienza del proprio eroe avviene

attraverso l'humour, elemento esteticamente costitutivo della creazione

romanzesca.

Il senso della rivolta di Rosa si riassume in questo tentativo di superamento, un

riscatto individuale e non certo collettivo. Impadronirsi del proprio destino

attraverso la creazione artistica diviene una necessità per allontanare follia ed

alienazione.61

In Paese fortunato, “porto franco dell'intelligenza”, assistiamo allo stadio

embrionale della ribellione, una ricerca incalzante di identità che comporta

continue contraddizioni, ponendo esaltazioni e depressioni, utopia e distopia

come tesi e antitesi del rapporto dialettico con l'ambiente.62

Una relazione complicata sin dalla nascita, avvenuta con l'improvvisa

58 Bianco, cit., pp.51-52. 59 Cappiello, Paese fortunato, cit., p.44-45. 60 Girard Renè, Struttura e personaggi nel romanzo moderno, Milano, Bompiani, 1965, in

Bianco, cit., p.53. 61 Bianco, cit., pp.53-54. 62 Ivi, pp.56-57.

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immersione in una realtà diversa sia dal punto di vista sociale che linguistico.63

Per Alfredo Luzi l'emigrante di prima generazione e di acculturazione ridotta

soffre una crisi di identificazione culturale e psichica causata dalla frattura tra

il momento illocutorio del linguaggio, ovvero la pulsazione del sé attraverso la

parola, e il momento perlocutorio, incarnato dalla socializzazione linguistica.

Obbligato a comunicare attraverso la lingua ufficiale del paese che lo ospita, e

non attraverso la lingua dell'emozionale (spesso il proprio dialetto), il soggetto,

costretto da necessità affettive e relazionali, si muove in bilico tra questi due

regimi.

Un testo letterario come Paese fortunato sviluppa il suo linguaggio in uno

spazio di contatto tra i due sistemi linguistici, chiamato diasistema.64 La sua

cifra trasgressiva nasce però dalla scissione psicologica che l'io subisce, nel

contrasto tra immaginario e realtà.

Se da un lato infatti il romanzo della Cappiello proietta le pressioni

psicologiche subite dalla scrittrice, persistendo sullo sradicamento come punto

di connessione con le ossessioni della produzione testuale d'emigrazione,

dall'altro la soggettività recupera dei meccanismi di compensazione nelle

proiezioni fantastiche:65

Non me ne andrò. No. Amo quel che mi trovo, il sole, i fiori tropicali, i parchi, il mare, e per non morire di fame domani. Sarò io ad adattarmi. Del resto è giusto, pur se è duro da ingoiare. Ieri, ho ricevuto la proposta di stringere il mio anello ombelicale, certamente originale, ma non troppo. Sulle scale dell'hotel. Le altre, una diecina, cinguettavano con estrema chiarezza, stendendo basi e piani. In ognuna balenavano le meraviglie lette al paesello sulla bella Australia e ancora scalciavano dentro le avventure fascinose, misteriose, e i corteggiamenti cavallereschi nell'incontrare il principe azzurro.66

Rosa utilizza la scrittura come strumento liberatorio, acquisendo un

63 Luzi Alfredo, Espressionismo linguistico e emarginazione sociale: la scrittura di Rosa

Cappiello, in Marchand J-J (a cura di), La letteratura d'emigrazione, Torino, Ed. della Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, pp. 539-545, p. 540.

64 Ibidem. 65 Ivi, p. 541. 66 Cappiello, Paese fortunato, cit., pp. 17-18.

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espressionismo linguistico che Luzi definisce pastiche, riflettendo la propria

psicologia confusa e sfilacciata in un intercalare di visioni ed emozioni, in cui

spesso irrompe il lessico del corpo e del sesso.67 Il sapore fortemente

autobiografico dell'opera è incrementato stilisticamente da sequenze di

linguaggio nominale e di accumulo discorsivo che inquadrano perfettamente

l'impossibilità di mettere ordine al coacervo di eventi e sensazioni che si

susseguono nella vita della scrittrice:68

Da un'imposta aperta stabilivi il tenore di vita. La lotta ottusa che filtrava come da una zanzariera. In un angolo la macchina per lavorare a maglia, la macchina per cucire. Europei o sudamericani sicuramente. Persone venute in tempi remoti e in completa ignoranza. Primitivi che non chiedevano più del necessario. Sano appetito. Salute buona. Il soldo sicuro. Io chiedevo più che riempirmi la pancia. Pretendevo forse l'impossibile. Non essere un quarto di vacca, di montone, di pecora buttato negligentemente sui ganci del macellaio. Aspettavo. Aspettavo un Padreterno senza ali che mi librasse in volo. L'oceano solidificato da poter attraversare sulla punta della lingua.69 Gaetano Rando punta la lente di ingrandimento su altri due aspetti

fondamentali, interconnessi tra di loro: il femminismo e la struttura economica

del paese ospitante. I personaggi femminili presenti in Paese fortunato

agiscono, in un mondo dominato dagli uomini, alla continua ed ossessiva

ricerca della tranquillità finanziaria, manipolando attraverso l'erotismo gli

istinti maschili nella speranza di abbandonare la propria condizione di

subordinazione.70

Un comportamento condannato dalla scrittrice, il cui rifiuto di accettare la

dominazione maschile e, allo stesso tempo, le attitudini delle altre la rende

osservatrice non partecipante delle vicende. Il prezzo da pagare per l'integrità

morale è la solitudine e la sofferenza che ne deriva.71

Parallelamente alle amiche, spesso disoccupate e lontane dall'etica lavorativa

67 Luzi, cit., p. 543. Per Luzi questo è dovuto dalla volontà della scrittrice di rivendicare una più

stretta interdipendenza tra pneuma e soma. 68 Ibidem. 69 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 10. 70 Rando, cit., p. 208. 71 Ivi, pp. 209-210.

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dell'emigrante, viene rappresentato un altro gruppo di donne, anonimo e

spietato, che muove i suoi tentacoli all'interno della fabbrica tessile dove

lavora Rosa. Queste vittime del sistema industriale, spesso emigrate da paesi in

cui la cultura enfatizza la struttura familiare come Italia, Spagna, ex Jugoslavia

e Grecia, si sono abbandonate al materialismo di una società che emargina i

diversi, stravolgendo le tradizioni:72

La maggioranza pur di procreare dollari si nega la soddisfazione del parto e una esistenza serena. I figli rompono il bilancio. Al lunch, siedono al tavolo un paio di premaman. Non le guardo. Se le guardo perdo l'appetito. Discutono animatamente sul costo dei feti. La donna in stato di gravidanza avanzata è abbattuta e depressa, dice che l'aborto le sarebbe costato solo trecento dollari e che ha fatto uno sbaglio enorme a non sbarazzarsi del bambino.73

Rando decodifica questa descrizione del rapporto tra la società australiana e il

lavoratore immigrato come una interpretazione ortodossa, sviluppata

inconsciamente, dei concetti marxisti di struttura e sovrastruttura:74

Le operaie sposate avevano una disposizione malsana verso le singole. La superiorità di avere un paio di pantaloni accanto, e poi non importava se i pantaloni erano vuoti e se le medesime le vedevi all'alba correre come dannate, coi bambini piccolissimi al collo, frignanti e assonnati da far pena. Figli che davano l'impressione di sacchetti di spazzatura e non frutti d'amore. Questa è la donna di fabbrica, moglie del moderno coolie e coolie lei stessa, abile nel legare il figlio al letto o al tubo del lavabo pur di non perdersi la pisciatina di contentezza il venerdì, giorno di paga. Schiava del dollaro, oramai, spedisce il neonato dai parenti residenti in Egitto, in Jugoslavia, in Spagna, in Grecia. Trascorsi alcuni anni lo ritira simile a un pacco postale, via aereo o via mare. Quel bimbo, quella bimba, in alcuni casi due, allontanati nello svezzamento, garantivano il deposito per comprare casa o il visto di ritorno in patria arricchiti senza rimorsi. Particolari amari. Struttura di una società moderna. Bisogna adeguarsi. Mettersi al passo. Chi non possiede non vale.75

Decisamente interessante è il punto di vista di Sneja Gunew che applica a

72 Ivi, p. 211. 73 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 33. 74 Rando, cit., pp. 210-211. 75 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 19.

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Paese fortunato le teorie critiche di Michail Bachtin sull'opera di Rabelais.76

Lo studioso russo, analizzando la società rinascimentale, individuò nel

carnevale il momento in cui ogni singolo diventa parte di un unica entità

collettiva, annullando dietro maschere e costumi le barriere gerarchiche create

da casta, reddito ed età. Nel caso di Rosa, le distanze culturali e

l'emarginazione sociale, sembrano restringersi il giorno della festa nazionale:

Anzac Day, grande festa nazionale, grandi bevute. (…) Giornata di riposo per me, giornata diversa dal solito, giornata che fa sentire l'emigrante particella integrante del sistema, la patria è uguale dappertutto, ed è confortevole ammirare le armi nuove di zecca sfilare tra due ali di folla compatta e pensare a quel che potrebbe scaturire da quella ferraglia pacifica ed imbandierata se dovesse accorrere al fronte per nostra difesa.77

Strettamente correlato a questa critica, il corpo grottesco è il concetto con cui

Bachtin descrive il superamento dei limiti creati dalla dimensione corporea. E'

un corpo in divenire, che fagocita il mondo ed allo stesso tempo da esso è

inghiottito. Ciò caratterizza una cultura non individualizzata. In maniera

analoga la narratrice di Paese fortunato, pur nel tentativo di agire come singolo

individuo, è intrappolata nella subcultura della minoranza etnica, che a sua

volta soggiace alla cultura australiana.78 Il lettore che si aspetta di incontrare

nel romanzo della Cappiello una caratterizzazione realistica della realtà si trova

di fronte a personaggi le cui esagerazioni caricaturali ricordano la commedia

dell'arte.79

Si può quindi affermare che l'aspetto carnevalesco che pervade il libro, favorito

da continue dissertazioni a carattere scatologico, non faccia altro che dare voce

agli elementi emarginati della società. La stessa Rosa non è esente, esprimendo

con potenza virile il suo desiderio di fuga dal mondo indifferenziato degli

emigranti, ad una inversione di ruoli dei sessi, che riporta ancora alle teorie

76 Gunew Sneja, Framing Marginality:Multicultural Literary Studies, Melbourne University

Press, 1994, http://faculty.arts.ubc.ca/sgunew/FRAMARG/FIVE.HTM. 77 Cappiello, Paese fortunato, cit., pp. 76-77. 78 Gunew, cit. 79 Ibidem.

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riguardanti il carnevale.80 Il corpo, attraverso il mascheramento, è il mezzo con

cui gli estromessi dal linguaggio sociale comune conquistano il diritto alla

parola.

Il rovesciamento sessuale, evidente nell'incipit de I Semi Neri, è un tòpos della

scrittrice:

Grazie a questo sole smorto e a queste nuvole incappucciate io mi ci sono attaccata come a voler spolpare un osso. Stamani ho avuto una erezione, non una delle solite di quando sto con te. Tu sorridi, forse sbaglio, non si dice erezione per la donna ma coito vaginale, che è poi la stessa rivalutazione di coscienza. (…) E' successo, ed è successo che l'ha vissuto solo il mio riflesso.81

In questo genere di esperienza letteraria, l'umorismo può diventare un aspetto

fondamentale per rappresentare le difficoltà che l'emigrante avverte

nell'affrontare un'esistenza biculturale.82

Ma spesso può accadere, secondo Brigid Maher, che nella traduzione di un

romanzo d'emigrazione lo stile umoristico perda l'effetto inteso dall'autore

risultando incomprensibile al lettore appartenente ad un'altra sfera culturale. Il

romanzo della Cappiello, grottesco, rabbioso e denso di esagerazioni comiche,

è un testo dinamico che utilizza un personale codice di linguaggio per ottenere

un particolare effetto comunicativo. Non si può definire scritto nell'italiano

letterario convenzionale, è anarchico, colloquiale, e pur escludendo parole

dialettali sono evidenti le strutture sintattiche del napoletano.83 In più l'utilizzo

di alcune parole in inglese è finalizzato ad un risultato diverso rispetto al

significato originale:

Amorevolmente mi guidano lungo i sentieri tortuosi dei lavori domestici. Vanno orgogliosi della loro professione di cleaners. Vorrebbero mi mettessi in società.84

80 Ibidem. 81 Cappiello, I semi neri, Roma, Edizioni delle donne, 1977, p. 5. 82 Maher Brigid, Identity and humour in translation: The extravagant comic style of Rosa

Cappiello’s Paese fortunato, in Nikolaou Paschalis, Kyritsi Maria-Venetia (eds), Translating Selves: Experience and Identity between Languages and Literatures. London: Continuum, 2008, p. 142.

83 Ibidem. 84 Cappiello, Paese fortunato, cit., p.127.

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L'impiego della parola cleaners, riferita ad una coppia di abruzzesi, sottintende

ironicamente l'assimilazione dei valori dominanti e dell'etica lavorativa della

nuova società in cui vivono.85

Ciò si ricollega ad uno dei principali temi del romanzo, la cupidigia che

secondo Rosa assale gli emigranti. Nella traduzione questo messaggio risulta

incomprensibile:

(They) lovingly guide me through the tortuous paths which lead to domestic labour. They are very proud of their profession as cleaners and they would like me to join the partnership.86

In inglese vengono nominati concetti ed artefatti meno comuni o inesistenti

nella cultura italiana (fish and chips o backyard) e ciò che riguarda la sfera di

dominio australiana, in particolare il lavoro (supervisor, wages e factory). Il

tono di Rosa nell'adozione di queste parole è spesso ironico ed indica che lei

non sottoscrive il valore che hanno acquisito per gli altri emigranti,87 ed è allo

stesso tempo riluttante ad accettare una cultura differente.

Le incongruenze tra la scrittrice ed i lettori della traduzione rispecchiano le

contraddizioni che affliggono ogni giorno gli individui che vivono in bilico tra

due culture.88

Maher concorda con Ivor Indyk, che definì commedia dell'eccesso lo stile di

Paese fortunato, nell'affermare che le esagerazioni comiche sono una

caratteristica attraverso cui la scrittrice inverte il potere istituito dalle relazioni,

esprimendo l'intensità, il dramma e l'angoscia dell'esilio. La miscela di

realismo ed eccesso, di finzione ed autobiografia esprime, più di quanto siano

riusciti a fare altri scrittori d'emigrazione, la potenza dei sentimenti provati da

Rosa vivendo la propria esperienza.89

85 Maher, cit., p.143. 86 Cappiello, Oh Lucky Country (traduzione a cura di Rando Gaetano Luigi), University of

Queensland Press, St.Lucia, Queensland, Australia, 1984, p. 172. 87 Maher, cit., p.143. 88 Ivi, p.146. 89 Ivi, p.148.

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Per Isobel Grave e Giancarlo Chiro l'intero romanzo ruota attorno al tema

dell'alienazione. Rosa prende le distanze non solo dalla società ospitante, rea di

possedere valori malsani, ma anche dalla propria comunità etnica e dall'Italia:90

Riandando indietro col pensiero il 24 di dicembre non ricompariva mai, perché al pass emigratorio noi ci ordinammo un bel funerale di identità, per reincarnarci in fogne, in operaie, in ingranaggio, in fiocchi, in bocconi per satrapi.91

Alla base di questo esilio nell'esilio c'è la condanna del sistema sociale anglo-

australiano che, trovando nell'accumulo di capitale la sua ragion d'essere,

frantuma l'integrità culturale degli emigranti. Rosa, sospesa in un limbo che fa

da spartitraffico a due inferni, immaginandosi pittrice “colora” questo suo

personale dramma con un passaggio molto significativo:92

Dipingerei le genitrici coi figlioletti al seno che senza essersi lavate i denti corrono assonnate al lavoro, la furia e le bestemmie nel preciso attimo in cui irrompono per la via, spronate dalla fretta caotica di liberarsi della prole, il sangue intasato di cents quando ribolle di vanto e d'orgoglio, le budella attorcigliate ai macchinari, le lacrime private del sale, le feci stentate da una vita sedentaria, le mani che carezzano amare, le parole assurde che si scambiano quando si riuniscono a cenare. Dipingerei la febbre del guadagno. L'impulso che muta i semplici in boia di se stessi. Genererei il cantico dei cantici della pittura. L'Apocalisse con la sveglia in mano. Non ci sarebbero più tele, né quadri, né mostre al mio passaggio. Muterei la carne dei workers in carta moneta per la riserva bancaria, il sudore in fettucce di sostegno, gli occhi lustri in diamanti e pepite d'oro dalla grandezza di capocchie di spilli. Con la stanchezza e la sofferenza farei il contorno al piatto di minestra, su una tela gialla di due metri per tre e quaranta.93

In questa immagine alcune parole (“corrono”, “furia”, “irrompono”,

“spronate”, “fretta caotica”) richiamano una caratteristica del consumismo, la

velocità,94 e confermano il talento della scrittrice nell'accrescere i contenuti

90 Grave Isobel, Chiro Giancarlo, Rosa Cappiello's Paese Fortunato and the Poetics of Alienation,

in «Transnational Literature», Vol. 2 no. 2, May 2010. http://fhrc.flinders.edu.au/transnational/home.html, p. 14. 91 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 11. 92 Grave, Chiro, cit., p. 12. 93 Cappiello, Paese fortunato, cit., p. 43. 94 Grave, Chiro, cit., p. 12.

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emozionali con abili intuizioni lessicali.

CAPITOLO II

PAESE FORTUNATO

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1. Paese fortunato : l’opera.

A Graziella,

la copia di un libro che mi ha spalancato tutti

gli inferni possibili e immaginabili – e che pur mi

ha dato l'amicizia di poche e straordinarie persone

per le quali è valsa la pena averlo scritto.

Con affetto

Rosa Cappiello

8 January 198595

Rosa Cappiello iniziò la scrittura di Paese fortunato nel 1978, durante un

ricovero in ospedale in seguito ad un incidente d'auto. Nel dicembre del 1980

spedì le prime 101 pagine all'editore Feltrinelli che rimase piacevolmente

colpito dal romanzo a tal punto che, dopo aver ricevuto nel Maggio del 1981 il

restante materiale, si affrettò alla produzione del libro, che uscì alla fine del

mese successivo.96

L'accoglienza della critica in Italia fu positiva. Il quotidiano di Napoli «Il

Mattino» recensì calorosamente l'opera, forse eccedendo nel campanilismo:

Cresciuto e quasi covato come un prezioso segreto nel mondo assurdo dell'emigrazione: dove il legame con le tradizioni d'origine si enfatizza fino a dimensione di iperrealtà: la gelosia, il culto dei morti, il mito della verginità, quello strano terzomondismo guardato con sospetto (se non con disprezzo) dagli australiani con patente plurigenerazionale e lombi anglosassoni. (…) un libro impastato con una scrittura italiana sofisticata e inconsapevole, frutto di testa per davvero, anche se vissuto in prima persona e sulla propria pelle. E sembra il caso di dover sorprendersi del miracolo. Qui è tutto autodidattico. (…) un parlare sommesso, con discrezione, che

95 Dedica, scritta a penna, presente sulla copia di Oh Lucky Country (traduzione a cura di Rando

Gaetano Luigi), University of Queensland Press, St.Lucia, Queensland, Australia, 1984, a disposizione della biblioteca della facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli studi di Milano. La persona a cui è rivolta potrebbe essere Graziella Englaro, che intervistò la scrittrice nel 1983.

96 Rando Gaetano Luigi, Introduzione a Cappiello, Oh Lucky Country, University of Queensland Press, St.Lucia, Queensland, Australia, 1984, p. V.

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esplode di tanto in tanto rivelando interne tensioni, un parlare fatto di convinzioni, con la grinta di chi ha lavorato duro ed ha vissuto soffrendo. Rosa rifiuta la retorica facile dell'emigrante, anche se certi accostamenti sarebbero forse naturali.97 Marisa Rusconi approvò, sulle pagine de «L'Espresso», l'utilizzo di una prosa

dura da parte della scrittrice, in grado di rappresentare bene la condizione del

“proletariato femminile internazionale”.98

La critica sicuramente più autorevole ed incisiva fu redatta da «Alfabeta»,

mensile di alto taglio culturale a cui collaboravano personalità di spicco come

Umberto Eco, Antonio Porta, Maria Corti e Paolo Volponi. Quest'ultimo,

scrittore e futuro senatore del PCI, lodò l'impetuosità linguistica e la denuncia

delle condizioni dell'emigrante attraverso l'interconnessione tra linguaggio e

identità:99

Lingua e identità corrono ed esplodono insieme dentro il mondo nuovo degli immigrati poveri di tutto il sud mediterraneo, pullulante di vecchi pregiudizi e miserie e di nuovi mediocrissimi valori.100

Volponi inoltre ne esaltò l'ironia, la virtuosità come scrittrice e la capacità di

analisi figlia della dialettica socratica:101

Fortunato dunque il paese (e anche doppio, sia quello non abbandonato di partenza, che quello non ancora trovato di arrivo) che sapesse leggere e nutrirsi di tutte le parole di questa cittadina così libera davanti alla realtà della vita e del vivere, così piena di passione e che proprio con la scrittura sa piegare entrambe, libertà e passione, alle qualità superiori di una ragione critica e liberante.102

97 Durante Francesco, L'ultima America, in «Il Mattino», 23 agosto 1981, in Rando, Literature

and the migration experience: twenty-one years of Italo-Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong, 1988, http://ro.uow.edu.au/theses/2097, p. 195.

98 Rusconi Marisa, «L'Espresso», 1981, recensione riprodotta in Italian Cultural Activities, Sidney, Italian Cultural Institute, dicembre 1981, p. 21, in Rando, cit., p.196.

99 Rando, cit., p. 196. 100 Volponi Paolo, «Alfabeta», settembre 1981, in Bianco Gabriella, Rosa R. Cappiello e la

Letteratura Italo-Australiana, Università degli studi di Urbino, “Scuola di perfezionamento in Scienze e Storia della Letteratura Italiana”, relatore Alfredo Luzi, 1983, p. 55.

101 Rando, cit., p. 196. 102 Volponi in Bianco, cit., p. 64.

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A confermare la consistenza dei panegirici, a settembre dello stesso anno,

arrivò la vittoria del Premio Calabria, attribuito in passato, tra gli altri, a

scrittori di levatura internazionale come Leonardo Sciascia, Roland Barthes e

Heinrich Böll.103 L'eco di questo importante riconoscimento arrivò in Australia,

dove «La Fiamma», bisettimanale italiano di stanza a Sidney, riprese un

articolo celebrativo pubblicato da Francesco Durante su «Il Mattino».104

La curiosità che si generò attorno al romanzo fu tale che copie di Paese

fortunato furono spedite rapidamente in Australia, e ancora più velocemente

furono rigettate dalla comunità italo-australiana, che non si riconobbe, o non

volle riconoscersi, nel libro. La crudeltà del linguaggio, la trattazione di

argomenti scomodi come lo sfruttamento del proletariato, le pessime

condizioni di vita degli emigranti e la trasparenza riguardo le attività sessuali

sconcertarono il lettore della middle-class. Rosa ammise di essere stata

103 Rando, cit., p. 197. 104 Durante, Il “Calabria” ha colto le occasioni di Rosa , «La Fiamma», 9 novembre 1981, p. 31,

in Rando, cit., p. 198.

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soggetta a minacce ed attacchi intimidatori.105

Rando testimonia l'influenza della “vecchia guardia” italiana in Australia,

attraverso la reazione di Pino Bosi, scrittore e giornalista che in privato

promosse il romanzo, ma sulle pagine del proprio giornale avvalorò il

turbamento della comunità:

Se la Cappiello aveva rigettato il mondo italo-australiano (nella finzione letteraria), gli italo-australiani dovevano mostrare la stessa incompatibilità nei confronti della sua opera. Questo non soltanto per il linguaggio ma anche e soprattutto perché il mondo descritto dalla Cappiello non esiste per loro; non l'hanno nemmeno mai sfiorato; per loro gli ambienti in cui si muovono i personaggi della Cappiello potrebbe [sic] essere quello della luna, o di Marte, certamente non quelli dell'Australia.106

La prima ondata di recensioni in Australia avvenne per mano di chi era in

grado di leggere il libro in italiano. A Franco Schiavoni va il merito di aver

pubblicato la prima analisi del romanzo, apripista ad una serie di articoli e

traduzioni frammentarie.107 Adottando un approccio simbolico-esistenzialista,

egli descrisse il romanzo come rappresentazione di “un inusuale e sconcertante

lato della vita dei migranti a Sidney”, ma non concentrò il suo interesse sugli

aspetti dell'emigrazione, dando invece enfasi agli elementi esistenziali:

I personaggi principali appaiono meno vittime del nuovo ambiente che delle circostanze implicite in ogni radicale cambiamento di condizione, l'inevitabile discrepanza tra sogno e realtà – e infine vittime della loro stessa natura, delle loro velleità e del chiaro fallimento che fa fronte ai loro problemi esistenziali. L'Eldorado promesso ha trasformato loro stessi in una trappola letale, non tanto in virtù dell'intrinseca inadeguatezza quanto di un vizio al punto di partenza.108

105 Rando, cit., pp. 198-199. 106 Ibidem. Rando cita Bosi senza specificare la provenienza, ma soltanto la pagina (61).

Probabilmente il giornale a cui fa riferimento è «Il Globo». Con precisione riferisce la reazione, ragionata dopo qualche anno, della Cappiello a queste critiche: “It is as if I had harmed their self – respect, the dignity of every Italian abroad on the globe. But wht is the dignity, this Italianness which so often and so inopportunely fills the mouths of the Italo-Australian community? After so many years of close observation, I still can't fathom it. But nothing changes. In the 70s I was considered a bad egg because I migrated by myself; in the 80s I am still a 'bad egg' because I write”, in Petrosi Giampaolo, The impact of a migrant's anger, «The Bullettin», 21 febbraio 1984, pp. 58-59.

107 Oenone Serle tradusse alcuni passaggi del romanzo per il giornale letterario «Meanjin», pubblicati nel 1983.

108 Schiavoni Franco, Terror Australiana. A cry from the ghetto in «The Age Monthly Review»,

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La traduzione del romanzo, ad opera di Gaetano Rando, fu pubblicata nel 1984,

col titolo leggermente modificato di Oh Lucky Country, allusione ironica al

libro del giornalista ed intellettuale Donald Horne, The Lucky Country:

Australia in the Sixties.

Reso fruibile all'intera nazione, il libro fu insignito nel settembre del 1985

dell'Ethnic Book Award, uno dei premi letterari del New South Wales (stato la

cui capitale è Sidney) e fu inserito nella lista dei romanzi dell'anno dalla rivista

«Time Australia». La realizzazione di una trasposizione cinematografica non

vide mai la luce per il mancato raggiungimento di una accordo tra la scrittrice e

la produzione interessata.109

Come era prevedibile i giornalisti di settore australiani, approcciandosi alla

recensione del romanzo, focalizzarono la loro attenzione sugli aspetti relativi

all'emigrazione e sui contenuti riguardanti il proprio paese. Nonostante la

positività quasi totale dei commenti, la Cappiello non digerì alcune critiche:

Quello che scrivo nasce da fonti autobiografiche e continuerà ad essere così fino a quando non finirà l'analisi dentro me stessa, avrò eliminato la maggior parte dei detriti e sarò riemersa svuotata e piena di solidarietà ed affinità con la vita. Comprensione e solidarietà sono due sensazioni al momento irraggiungibili come miraggi. Suppongo che questo è il punto di vista con cui in Australia un numero di critici superficiali e a malapena letterati mi accusa di autocommiserazione. Autocommiserazione per chi e per cosa? Quando scrivi in prima persona la compassione, immaginaria o no, trapela in maniera naturale. Siamo tutti vittime delle circostanze e delle scelte che siamo forzati a prendere.110

In linea di massima le analisi convennero sul talento di scrittrice di Rosa,

sull'importanza della testimonianza e sull'intuito dell'editore che scelse di

pubblicare il libro.111

ottobre 1982, pp. 8-9, traduzione mia, in Rando, cit., p. 201.

109 Rando, cit., p. 202. 110 Cappiello, Why I write what I write, traduzione a cura di Mitchell Tony, in «Australian

Society», January 1987, pp. 25-26, alla p. 25. 111 Come elenca Rando, poco dopo la pubblicazione Oh Lucky Country fu recensito su molti

giornali, tra cui «The Perth West Australian», «The Weekend Australian Magazine», «The Sidney Morning Herald», «Canberra Times», «Vogue Bi-Monthly Magazine», «The Age,

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Per Sneja Gunew in molti casi la critica non ha la competenza adeguata per

autenticare la validità dei lavori degli scrittori definiti etnici. In questo modo è

facile trovarsi di fronte a recensioni come quella di Macklin che, seppur non

stroncando affatto il romanzo, lo congeda rapidamente con troppo

paternalismo:112

Ma l'essenza del romanzo, il sentimento di alienazione di Rosa verso il mondo rabbioso che la circonda, è un grande punto di partenza per una presunta scrittrice. Si può sperare che non solo mantenga la sua rabbia, ma che adesso impari qualcosa – qualsiasi cosa voglia – del mestiere di scrittrice.113

Se in Italia, dopo un esordio folgorante, il romanzo cadde nel dimenticatoio

rendendo ai giorni nostri quasi impossibile trovarne le copie se non nelle

biblioteche, in Australia questo “caso letterario”, certamente controverso, ha

continuato a far parlare di sé con costanza negli anni e, soggetto a condanne e

rivalutazioni ha ottenuto la consacrazione ufficiale nel 2009, quando la sua

ristampa è stata inserita in una collana di libri comprendente i grandi classici

della letteratura australiana.

Womanspeak», «Helix», «Australian Book Review», «News and Views», in Rando, cit., pp.202-204.

112 Gunew Sneja, Framing Marginality:Multicultural Literary Studies, Melbourne University Press, 1994, http://faculty.arts.ubc.ca/sgunew/FRAMARG/FIVE.HTM.

113 Macklin Robert, Coping with the Lucky Country, «The Weekend Australian Magazine», 12-13 gennaio 1985, p. 12.

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2. Trama e personaggi

Paese fortunato è un romanzo essenzialmente senza trama, che si articola

attraverso le vicende della narratrice e dei vari personaggi che incontra nel

corso della sua esperienza da emigrante. Lei stessa nelle primissime righe

preannuncia quello a cui andrà incontro il lettore:

Pensieri superesasperati. Non completati sul filo della logica, ma al ritmo di emozioni personali e impersonali. Vagliati sul pullman dell'emigrazione e poi rifiniti all'hostel e per le strade. Già all'inizio mi venne di mandare tutto al diavolo e di far dell'ironia.114

L'illusione di cambiamento, di redenzione, di partecipazione attiva alla vita di

una società moderna e cosmopolita sono morte dopo il parto e Rosa non

concede speranze o colpi di scena: l'Australia non è la terra promessa, è

immediatamente chiaro. Non è neanche il luogo dove stringere legami di

fratellanza, se la solidarietà che nasce dalla condivisione della stessa sventura

soccombe di fronte a qualsiasi possibilità di emergere dai bassifondi sociali:

Migliori di me, con sentimenti più elevati, le mie compagne di viaggio assorbivano a gradi, traendone giudizi frammentari che poi si sarebbero rimangiate maledicendoli. Questo succedeva loro da sveglie. Misteriosamente, inumanamente imbrogliate piegavano la testa e piangevano. Per anni si sentirono distrutte per aver confuso fratellanza, educazione e mescolanza. Avevano un prezzo molto caro da pagare.115

Questa premessa rende l'approdo della nave, episodio con cui inizia la storia,

privo delle classiche aspettative che l'emigrante pone nel momento. Non c'è

stupore, né periodo di ambientamento. L'effetto è di essere catapultati nel bel

mezzo di un dramma sociale, senza aver avuto il tempo di riflettere:

Scoprii che c'erano inferni diversi. Uno per ragazze sole. Uno per giovani soli. Uno per le donne sposate. Uno per i figli. Assommandoli formavano un unico inferno

114 Cappiello Rosa, Paese fortunato, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 7. 115 Ivi, p. 8.

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prefabbricato. Quello degli emigranti. E che il vento spirava un fiato pietrificato dalle comunità etniche.116 Il grande escamotage letterario della Cappiello fu nel mascherare dietro le

caratteristiche dei personaggi di Paese fortunato il suo atto di denuncia.

Condannando l'arrivismo di certe donne non si preoccupò di porre una morale,

rifiutando lei per prima qualsiasi atto di solidarietà,117 ma di comunicare al

mondo la dimensione di un degrado dai cui meccanismi perversi non si può

uscire.

La capostipite di queste donne dotate di un “intelletto ancora allo stato

embrionale” è Sofia. “Bionda schiumeggiante. Maligna. Affetta da infantilismo

acuto. Soffre di inappagamento ignoto”.118 Insoddisfazione che sembra trovare

rimedio nelle attenzioni ricevute dagli uomini e nella superficialità di un

regalo. Nonostante la capacità di catalizzare l'interesse maschile, ma anche

delle amiche, attraverso espedienti eclatanti, come fughe e tentativi abbozzati

di suicidio, mostra tutte le sue debolezze nel rapporto di amore-odio col

fidanzato Nicola, violento e ossessivo, da cui fa credere di voler scappare,

tenendolo però costantemente aggiornato sui propri spostamenti:

Sembra l'ebreo errante. Perseguitata dal fidanzato geloso che la rincorre col coltello, è costretta a spostarsi da un punto all'altro della città. Merito suo se conosco tanti posti. Sogghigno. Fidanzato non è il termine appropriato. Maniaco della verginità, pur essendo così giovane. Ha un anno meno di Sofia. Le rinfaccia sempre e solo in pieno coito la sua deflorazione, e pretende il nome e una descrizione particolareggiata del vandalo.119

La scrittrice stuzzica le fissazioni degli uomini, congelate in questo caso nelle

tradizioni culturali degli emigranti, come la volontà di sposare una donna

illibata. Bianco sostiene che nella letteratura italo-australiana gli scrittori

spesso ignorano le donne o ne parlano dalla loro angolazione, per questo

116 Ivi, p. 10. 117 Bianco Gabriella, Rosa R. Cappiello e la Letteratura Italo-Australiana, Università degli studi

di Urbino, “Scuola di perfezionamento in Scienze e Storia della Letteratura Italiana”, relatore Alfredo Luzi, 1983, p. 47.

118 Cappiello, cit., pp. 23-24. 119 Ivi, p. 65.

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motivo nelle parole di Rosa si trova non solo la rabbia personale, ma anche

quella accumulata in anni di silenzio da tutto il genere femminile.120 Donne

viste come capi di bestiame da uomini-allevatori, con l'ironia giusta per

denunciare senza vittimismo, anzi ponendosi un gradino più in alto della

massa:

Correva voce dello sbarco imminente di alcune migliaia di vergini cipriote con certificati medici nel bagaglio. Prova al cento per cento dell'illibatezza e onestà sentimentale. Pare che i sudeuropei si siano ribellati, a non riuscire a trovare una moglie vergine. I microcefali si son precipitati in massa a telefonare, a prenotarsi ai giornali, ai consolati, ai comitati, ai preti. Una marea, da sbalordire.121

Le donne di cui ci parla la Cappiello, inserite negli ingranaggi di una realtà

moderna, rifiutano il ruolo di presenza silenziosa al fianco dell'uomo, che non è

più visto come totem della gerarchia familiare ma come garante economico

120 Bianco, cit., p. 48. 121 Cappiello, cit., pp. 16-17.

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pronto ad assicurare una vita che soddisfi le richieste. In una società

consumista, basata su ideali di apparenza e status symbol commerciali, nella

quale generare figli diventa una spesa eccessiva e “ricucirsi” un'abitudine, una

“sanguisuga” come Sofia pare a suo agio. La disapprovazione definitiva da

parte di Rosa avviene col colpo di scena finale, quando il gruppo scopre che in

una esistenza di menzogne, anche l'identità era stata camuffata. Sofia è in realtà

Concetta Porchetti, nome che richiama intrinsecamente la sua vera natura,122

adatta all'Australia, dove gli individui “pretendono usignoli come i porci

pretendono il porcile abbellito di rose”.123

Se l'atteggiamento sognatore ed ingenuo di quest'ultima la salva comunque dal

rogo, mostrando l'umanità in tutta la sua fragilità, non c'è redenzione per

Beniamina, avida calcolatrice, le cui giornate sembrano susseguirsi nell'unico

scopo di accumulare denaro:

Fa il bagno una volta alla settimana con la crusca, taglia l'ovatta dai modes, elemosina a chiunque il due cent e il cent, con la scusa che sia un hobby, ha riempito tre salvadanai panciuti. Fuma scroccando. Vorrebbe nutrirsi e respirare a scrocco. (…) In brevissimo tempo vuol battere il record di depositi sul libretto bancario per comprarsi una casetta prefabbricata in patria, coi gerani ai balconi, le mattonelle rustiche, il camino, un pezzetto di giardino da piantarci la lattughina, i cetrioli, i fagiolini, i pomodori, da crescerci il porco, e gallinelle, e magari impiantare un allevamento di visoni. (…) Le esce piscio tiepido che beve come tisana. Si strizza le tette per bere latte al mattino. Spreme vitamine ai sorci. Legge sotto il lampione all'angolo della strada. Rincorre il bus due fermate oltre quella vicino casa per risparmiare cinque cent. Batte i parchi in cerca di crescione e erbe commestibili. Mai spedisce lettere ai familiari, soltanto ai camerieri delle navi. Sofferente, piena d'acciacchi, accusa il clima e la società discriminatoria. S'è messa a carico una vecchierella lontana parente e dei cugini scemi per dimezzare le tasse. Piange vita, vita grama e desolata.124

Le esagerazioni caricaturali, oltre che con la commedia dell'arte, rivelano il

legame di Rosa con la cultura popolare napoletana125 e benché spietate,

122 Rando Gaetano Luigi, Literature and the migration experience: twenty-one years of Italo-

Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong, 1988, pp. 189-190. http://ro.uow.edu.au/theses/2097, p. 209.

123 Cappiello, cit., p. 65. 124 Ivi, pp. 117-118. 125 Maher Brigid, Identity and humour in translation: The extravagant comic style of Rosa

Cappiello’s Paese fortunato, in Nikolaou Paschalis, Kyritsi Maria-Venetia (eds), Translating

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mitigano la pesantezza dei contenuti. La narratrice non mostra comunque pietà

nel mistificare un'immagine positiva, tornare al paese d'origine per comprare

una casa con relativo giardino, se il fine è raggiunto attraverso mezzi illeciti.

Incinta di Ross, inglese taccagno ed ubriacone, Beniamina sarà l'unica a

sposarsi, ovviamente col vestito nuziale preso in prestito da una collega della

fabbrica.126

Nel continuo intercalare di emozioni, di condanne e rivalutazioni presenti in

Paese fortunato, questo risulta il personaggio maggiormente detestato dalla

scrittrice, insieme alle operaie della fabbrica tessile, guarda caso mosse dalla

stessa fame di denaro.

Unica eccezione del gruppo, oltre alla narratrice, sembra essere Lella, la greca-

cipriota:

Lella è una facilona, una scacciapensieri. Abbraccia con leggerezza qualunque aspetto della vita australiana. A volte, penso che sia venuta al mondo crocifissa, ai calzolai, ai macellai, ai muratori, ai fabbri, agli imbianchini, ai fantocci che frequenta. In parte per disperazione, dice, in parte perché questo offre il mercato.127

Dotata di temperamento artistico, anticonformista, non soggetta a servilismo ed

ordini, conquista subito il rispetto di Rosa (“La verità è che mi piace. La sola

per cui provo rispetto. Priva di malizia e pulita dentro”128), coinvolgendola

nella propria vita instabile:

Lella fece parte della metamorfosi. L'incontro decisivo che mutò profondamente la mia individualità saponosa e rabbiosa di sintetica provinciale. Invece di evitare la catastrofe, se le sceglieva col contagocce. Al principio la seguivo come un cagnolino al guinzaglio, docile e affamata di sapere. Mi era necessaria al pari del vitto e del riposo.129

Selves: Experience and Identity between Languages and Literatures. London: Continuum, 2008, p. 147.

126 Rosa, una manciata di giorni prima del matrimonio, nota che Beniamina finalmente “In viso si era ammorbidita, si erano smussate le incertezze, solo gli occhi balenavano rapaci ed inquieti” in Cappiello, cit., p. 211.

127 Ivi, p. 21. 128 Ivi, p. 22. 129 Ivi, p. 27.

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Le sue trovate scoppiettavano come petardi, una botta sorpassava l'altra e la sloggiava. In tal modo piroettava fatua e disperata in un'eterna ricerca d'assestamento.130

Intuizioni passeggere come ad esempio aprire uno studio di chiromanzia,

trasformando Rosa in una sorta di Sibilla, prima di scoprire durante una

esilarante visita di ispezione nello studio di un mago di professione, che per

imbrogliare la gente con successo era necessario saper “ventriloquare”. Lella in

seguito inizierà a studiare medicina all'università di Sidney, distanziandosi dal

circolo vizioso in cui resteranno imprigionate le altre, dimostrando così che

l'opportunità di salire i gradini della scala sociale è possibile al prezzo

dell'allontanamento dalle compagnie meno fortunate e dalle proprie radici

culturali e linguistiche.131

Come fa giustamente notare Gunew132 a proposito dell'inversione di ruoli a cui

sono spesso interessati i personaggi del romanzo, agli atteggiamenti maschili

attraverso cui la narratrice esprime il suo desiderio di fuga dal mondo dei

migranti si contrappongono uomini a cui vengono associate caratteristiche

femminili:133

Per te, rancorosa e ribalda, egli fu il grembo sempreverde che germinava cinture di pitone, borse di coccodrillo, provviste per le quattro stagioni, assistenza pubblica e sociale. Ti fu padre, zio, amico, benefattore…134

130 Ivi, p. 75. 131 Rando, cit., p. 210. 132 Gunew Sneja, Framing Marginality:Multicultural Literary Studies, Melbourne University

Press, 1994, http://faculty.arts.ubc.ca/sgunew/FRAMARG/FIVE.HTM. 133 “It is true. I was referring to a man and using an image of a woman, of something always

blooming, because this man I thought was very weak and little man and just to use an image. I was trying to portray the woman in him, something weak, not because women are weak but because men pretend we are weak and inferior. And that is why I use female images about men. Not to make women inferior but just to … first of all, when I as writing the book I enjoyed finding new terms, new words, and, second, because all those men we met then really were very weak men. Not men you could trust or rely on for support and friendship. They were all vultures who took advantage of migrant women who came here by themselves and found themselves in a very precarious situation; lonely, in a strange country. If you think about the life of those women: everything strange, everything new and for most of them with no family and no friends”, Rizzo Santina, Interview with Rosa Cappiello, in «New Literature Review», 24, 1992, pp. 117-122, alla p. 121.

134 Cappiello, cit., p. 197.

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Con questo epitaffio esce dalle scene zio Lino, “protettore” del gruppo di

donne, una “parentela concepita a letto”,135 quasi a voler ulteriormente

scardinare le gerarchie della già vacillante immagine della famiglia patriarcale

presente nel libro. Vittima per tutto il romanzo delle sceneggiate e delle

richieste di Sofia e le altre, sarà obbligato al trasferimento in Africa per evitare

scandali pericolosi per l'immagine del consolato italiano dove lavora.

In Paese fortunato anche tra i personaggi minori non sono presenti virtù che

possano elevare al di sopra della corruzione degli ideali. La stessa coppia di

cleaners abruzzesi, che accoglie in casa Rosa come una figlia, ben presto

svelerà il proprio doppiogiochismo rivolto, ennesima decostruzione della

classica struttura familiare, alla nascita di un erede adatto a succedere a don

Luigi a scapito della figlia naturale e del genero mal sopportato:

Si informa della mia salute a pie' sospinto, se sono mai stata ammalata e se le cose mi vengono normalmente e che bella faccia che mi trovo, se facessi un figliolino, che bel figliolino sarebbe, nato con la camicia e con l'avvenire assicurato. All'infante girerebbero i milioni contrabbandati in Italia, per fare uno sfregio alla figlia ribelle e al genero interessato. Naturalmente il seme sarà di don Luigi, io ci sottometto il ventre per nove mesi. Che splendido esempio di vendetta zotica all'italiana (…) E' così fiduciosa che io ceda al marito e resti gravida, e lo è ancora più nel fatto che, una volta nato il bambino, somigliante a don Luigi, le gambette storte, il naso rincagnato, il visuccio burino, io glielo regali e poi sparisca. Pazzesco. (…) “Arrenditi cocciuta”, tuona don Luigi. “Ti violenterà col mio consenso”, rituona la consorte.136

A soccorrere Rosa arriveranno di gran carriera le amiche, che sottraendola dalla

casa della coppia, ne segneranno definitivamente i confini sociali di

appartenenza.

Le piccole singole esistenze raccontate dalla narratrice a livello macroscopico

non sono altro che le cellule dei due organismi sociali protagonisti del

romanzo, gli australiani e la comunità emigrante. Entrambi sono vittime delle

invettive della Cappiello, reclusa in un'isola spartitraffico che differenzia per

cultura, reddito, etnia, due flussi che procedono in un'unica direzione sbagliata,

135 Ivi, p. 24. 136 Ivi, pp. 129-130.

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indirizzati dalla società.

La mancanza di umanità osservata nella popolazione ospitante, rende ancora

più gravi le colpe degli ospiti, rei di aspirare ad un modello di vita vacuo e

traviato:137

Da che cosa si devono dimettere, da trent'anni, cinquant'anni d'emigrazione in un mondo nuovo? Innumerevoli anni ancora abbarbicati ai feticci. Colera di cultura etnica. Cultura. La chiamano cultura. Un passato che fa a calci col presente.138

Sicuramente la polverizzazione delle peculiarità tipiche italiane furono motivo

di sofferenza per la scrittrice, partita da Napoli, dove il legame con la

tradizione è ancor più accentuato, più per sfida che per per incomunicabilità o

necessità.139

“E gli australiani, possibile che non ne venga qualcosa di buono?”.140

Evidentemente no, se le impressioni iniziali di Rosa si protraggono per tutto il

romanzo. Non c'è disorientamento ma lucida riflessione sull'impossibilità di

condividere una esistenza comune con un popolo il cui rappresentante maschile

è “Smidollato. Bevitore. Fiacco interesse per le femmine. Tra un bicchiere di

birra e una donna, sceglie la birra. A quel che si dice, sembra ne tragga lo

stesso godimento sessuale”,141 al pari di donne che “vagolano dalla pubertà alla

tomba tra un pub e l'altro alla frenetica ricerca di una scopata che le renda

umane”.142

137 “One thing I have learned here: you cannot talk anymore about the Australian and Italo-

Australian because the Italo-Australian are exactly the same as the Australian. You can talk about the Italians in Italy but there is not so much difference between the Italo-Australian and Australians. (…) I mean the same way of thinking, the same way of behaving. I lived here. I have missed Italy for a long time. I am Italian. I still think and feel in Italian way but I have picked up a lot of Australian ways”, Rizzo, cit., pp. 121-122.

138 Cappiello, cit., p.150. 139 Riguardo alle caratteristiche italiane Cappiello dice: “The friendliness, the openess. What I

have found is that Australians are very false. You can not expect any act of sincerity, it is all falsity. And Italo-Australians here are the same. But I am talking generally. I have kept my Italian attitude, my frankness, which I never find in Australians or Italo-Australians”, Rizzo, cit., p. 122.

140 Cappiello, cit., pp. 109-110. 141 Ivi, p. 15. 142 Ivi, p. 110.

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Un aspetto che incuriosisce la Cappiello è quello della dedizione all'alcol, un

parametro importante del discorso sui particolari metafisici della società

australiana. Questo aspetto, simboleggiante per Rando la mancanza di

sofisticatezza e intellettualità, funge da palliativo al terrore di vivere di questa

popolazione:143

Il giorno tramonta. I vecchietti seduti sulle panchine nel rettangolo verde di Taylor Square, con le vene incandescenti dall'aver trascorso la giornata al sole, abbandonano i sedili e si avviano oscillanti al pub. Imboccano la striscia pedonale, uno in fila all'altro, caricando come tori bendati l'odore della stalla. Vanno a fiuto. Fiutano il secco crepito della birra schiumosa. C'è sempre ressa al saloon. Non dichiarerà mai bancarotta. La popolazione intera si sofferma, chi per sete, chi senza seta, ma tutti indistintamente a dimenticare il terrore d'essere al mondo.144

Le pessime abitudini culinarie non da meno sono specchio di un mancato

processo di civilizzazione. I riferimenti al cibo e all'esigenza dei migranti di

una alimentazione genuina aumentano il contrasto tra culture, da una parte gli

italiani, la cui fama di devoti della buona cucina causerà a Rosa un aumento

dell'affitto per coprire le spese del gas e dall'altra gli australiani, la cui presenza

nel libro spesso si quantifica a suon di eruttazioni e flatulenze.

La disumanizzazione passa anche attraverso la nutrizione, e questo viene

illustrato tragicamente nella sequenza in cui la scrittrice descrive prima

un'anziana clochard alcolizzata, il cui banchetto è costituito da ciò che di

commestibile trova nell'immondizia (“In nessun posto avrei potuto mai

immaginare vecchi in un così totale abbandono”145) e subito dopo la clientela

abituale dei fish and chips:

Beoni che facevano un salto dal pub, sempre alla stessa ora, uomini raminghi, ragazze e ragazzi scalcagnati, tutti coi visi prosciugati, privi di splendore vitaminico. Avevano pupille a prova di patate fritte, labbra screpolate e appiattite a forma di sogliole puzzolenti e infarinate, il naso a hot dog, la saliva frizzante e schiumosa alla coca-cola, guance cascanti, al burro o alla margarina vegetale.146

143 Rando, cit., p. 224. 144 Cappiello, cit., pp. 52-53. 145 Ivi, p.28. 146 Ibidem.

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L'assenza di trama in Paese fortunato, che ai più potrebbe sembrare un limite, è

l'espediente con cui il messaggio di denuncia di Rosa Cappiello si erge nella

sua totalità. Abbandonata la testimonianza storica, cancellato il passato e senza

speranze di futuro, i protagonisti vivono rimanendo immobili in quello che

sembra il classico incubo fantascientifico di vita non vita, in cui l'uomo è solo

una marionetta mossa da una forza maggiore.

Percorrono il sentiero della loro esistenza senza progressione. La sensazione

che si ha alla fine del libro è di aver girato in cerchio ed essere tornati al punto

di partenza.

L'entità dominatrice è la società stessa, prodotta dall'uomo e ora produttrice del

vuoto che lo riempie, e non basta la consapevolezza della narratrice a cambiare

un mondo in cui, come vedremo, l'unica consolazione pare essere la ricerca

della simbiosi con la natura.

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3. Il narratore

L'utilizzo della prima persona fu probabilmente l'accorgimento necessario che

Rosa Cappiello ebbe per esprimere totalmente se stessa.

Come nel precedente romanzo, il tessuto di Paese fortunato ruota attorno ai

flussi di coscienza della scrittrice, stimolati dall'incontro con la nuova realtà ed

i suoi abitanti.147

Nell'unità “Io” convergono l'autrice, la narratrice, la donna e l'emigrante,

consentendo così al testo di assumere il ruolo di confessione a trecentosessanta

gradi.148

Applicando una strategia di lettura intertestuale, Gunew trova nella Divina

Commedia, in particolare nell'Inferno, un inevitabile quanto scomodo

precursore. Effettivamente, da parte della scrittrice, è esplicito il riferimento

agli “inferni diversi” in cui vengono raggruppati per categoria gli emigranti, la

cui condizione priva di speranze li tramuta in anime dannate. Anche se

eccessivo, questo paragone risulta interessante se prendiamo in esame gli studi

effettuati sugli aspetti geografici del capolavoro dantesco che, guarda caso,

indicano il punto di uscita dell'Inferno nelle vicinanze di Sidney.149 Rosa

sembra imboccare il percorso contrario, entrando dal varco attraverso cui esce

il poeta fiorentino e compiendo il suo personale viaggio negli inferi fino al

rientro in Italia.

147 “I took up writing in Italy to fill the void and the dissatisfaction I felt within myself. In

Australia I write to animate and give a purpose to vacuum that surrounds me, a void and a vacuum which I have perhaps unconsciously expanded by being too sensitive and difficult to attempt to comunicate successfully with others. Through writing I often feel the exhilarating sensation of breaking with society, and disrupting its rules, regulations and mediocre values, and, dare I say, I'm transported into open spaces where I can reproduce as faithfully as possible the sense of freedom and satisfaction that everyone longs for in one way or another”, Cappiello, Why I write what I write, traduzione a cura di Mitchell Tony, in «Australian Society», January 1987, pp. 25-26, alla p. 25.

148 Gunew Sneja, Framing Marginality:Multicultural Literary Studies, Melbourne University Press, 1994, http://faculty.arts.ubc.ca/sgunew/FRAMARG/FIVE.HTM.

149 Rando Gaetano Luigi, Literature and the migration experience: twenty-one years of Italo-Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong, 1988, pp. 189-190. http://ro.uow.edu.au/theses/2097, p. 207.

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Trasformando la narrazione in funzione liberatoria l'autrice vive la propria

scrittura recuperando quell'identità che è stata apparentemente sbriciolata dal

contesto sociale:150

Tutto il giorno pedalando sulla pesante macchina da cucire penso al libro che vorrei scrivere, se sapessi scrivere, se bazzicassi persone erudite, e se avessi portato a termine i normali anni di studio come tutti i cosiddetti poeti maledetti, alloooora... (…) Messi in chiaro i particolari che sovente si ingarbugliano, s'azzuffano nel mio segreto intimo, operazione che richiede i primi cinque minuti dacché avvio il motore della macchina industriale, dopo di che tutto fila liscio, pressata dal ronzio di settanta macchine, il brusio di settanta bocche, gli odori di settanta corpi, la trama del libro che vorrei scrivere, se sapessi scrivere, comincia debolmente a prendere consistenza, formo l'idea, la frase, non so se mi spiego, dapprima cigolando, sbuffando, sudando materia celebrale e poi di getto, son marosi, son valanghe, montagne d'acqua che straripano dalla diga eretta intorno alla mente.151 Paese fortunato è sicuramente classificabile come romanzo d'emigrazione, ma

la voce narrante che si erge tra le gesta di questi aspiranti pionieri è soprattutto

lo sviluppo pratico delle velleità di scrittrice della Cappiello. Il disagio causato

dall'esperienza australiana, sofferta e inaspettata, è uno stimolo che le permette

di trasformare un desiderio nell'opportunità di sfuggire all'alienazione:

Avverto all'improvviso la crudeltà che dà la miseria, non la miseria conseguente da ricchezze sparse al sole e dileguate per un tracollo finanziario, bensì la vuota esistenza, la vuota lotta di un paese che spesso offre solo il suicidio e la pazzia. Ho sete. Bevo un sorso d'acqua. Resto pietrificata in mezzo alla stanza. La stanza incarna l'attesa senza sogni, senza miti, senza speranze. Scrivere. Questi momenti sono i migliori per scrivere. Scoperchio la macchina da scrivere, che in un anno d'ozio s'è coperta di muffa, salta uno scarafaggio dalla tastiera e mi passa la fantasia.152

La macchina da scrivere non solo diventa il mezzo attraverso cui raccontare

una storia, ma anche il veicolo con cui esprimere la propria personalità

importante, oscurata nella vita sociale da un carattere complicato. Certo, le

incertezze rimangono, la narratrice non è esente dal partecipare ad episodi

150 Luzi Alfredo, Espressionismo linguistico e emarginazione sociale: la scrittura di Rosa

Cappiello, in Marchand J-J (a cura di), La letteratura d'emigrazione, Torino, Ed. della Fondazione Giovanni Agnelli, 1991, p. 544.

151 Cappiello Rosa, Paese fortunato, Milano, Feltrinelli, 1981, pp. 88-89. 152 Ivi, p. 111.

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controversi, ma risulta estranea nella programmazione, quasi a voler

giustificare la sua presenza come un sacrificio necessario alla narrazione.

D'altro canto le sue opinioni sono chiare sin dall'inizio e nel libro vengono

avvalorate sovente:

Questo mi convince sempre di più della mia teoria. Gli emigranti vivono in un'immensa piazza di paese, anzi in un immenso immondezzaio, di qualunque nazionalità essi siano, intrappolati a montar parole false e repellenti, che poi librano in pellegrinaggio da una bocca libidinosa all'altra. Gran bella famiglia. Proprio come la sognano i predicatori universali. Tutti affratellati e imparentati dal cordone ombelicale dello sputtanare, arraffare, calpestare, disonorare. Sarà la mancanza di interessi concreti. Chissà.153

L'incomunicabilità col mondo in cui vive e il rifiuto di appartenere a qualsiasi

gruppo portano Rosa alla solitudine, in fondo il terreno ideale per un aspirante

scrittrice ma allo stesso tempo condizione che, soprattutto durante le festività,

induce alla riflessione:

Tra poco viene Natale. Il mio secondo Natale. Sono ancora sospesa nell'incertezza. Rotta, più rotta non si può. (…) Proibite la nascita del Bambino. Io sono Cristo diventato vecchio, arrugginito sui chiodi. Profeta del male. Cristo sbagliato. Aborto artificiale. Per ripicca elimino la madre, Maria Santissima, la spingo a ribellarsi al Figlio, al Padre e allo Spirito Santo. Le metto la veste con lo spacco, il cui vanto sotto si intravede e non si intravede. Le gambe a trampoli per i tacchi alti fanno moda, vanno a furor di popolo. Questo popolo scafesso che nessuno schioda dalla croce. Ci incontriamo tutti alla sommità del Calvario, a concedere interviste umanitarie e artistiche, punti di vista, incubi dietro i sorrisi e sconfitte, sconfitte a ripetizione.154

Natale. Piango. In qualche modo c'entra la festività. Il pianto sembra una cascata. Si sono rotte le dighe. I pugni serrati sugli occhi a frenare lo scroscio. Piango e rumoreggio come rumoreggia la risacca contro gli scogli, o meglio come rumoreggia il discarico del gabinetto. Piango e desidero quietare la ragazzina folle che credeva alla Befana. La vigilia di Natale, Natale, la vigilia del Capodanno. Un anno. Un'assurdità. Io sto subendo il crollo.155

Riemergono i ricordi d'infanzia e le tradizioni culturali legate alla celebrazione

153 Ivi, p. 40. 154 Ivi, p. 105. 155 Ivi, pp. 114-115.

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del Natale, ricalcate con orgoglio popolare dal termine napoletano “scafesso”,

sinonimo di inetto, non a caso riferito al “modaiolo” popolo australiano.

Ma per la scrittrice il 24 dicembre rappresenta anche la data di arrivo nella terra

dei canguri, giorno di nascita di una nuova identità che, tirando le somme nel

primo compleanno, si rivela un fallimento, un “Cristo sbagliato”.

Sembra comunque che il dramma dell'emigrante sia collaterale al tormento

dovuto alla volontà di affermazione. Emarginarsi è un comportamento in parte

volontario e, riflettendo sull'adolescenza vissuta in solitudine tra i libri, la

congiuntura ideale per approfondire la propria passione:

Presi d'impeto una stanzaccia a Glebe con la veranda priva di luce elettrica e i vetri rotti. Volevo ripigliare a scrivere, era l'unico modo per sentirmi viva. Oziavo senza un'occupazione, e scrivere non mi veniva. C'erano le esigenze, gli stress quotidiani a pressarmi,a schiacciarmi, ad annullarmi.156 In qualunque caso Paese fortunato è una testimonianza storica sull'emigrazione

italiana in Australia negli anni settanta. La sua particolarità sta nel rendere

partecipe il lettore, vicino o divergente dal contesto narrato, attraverso i

pensieri della narratrice, familiari a qualsiasi condizione umana.

Da questo punto di vista la conclusione del romanzo, racchiudendo senza

necessità di decontestualizzazione, aspirazioni, delusioni, caduta e rinascita di

ogni mortale, è emblematica:

Adesso stammi bene a sentire, trotta fin che vuoi, ma una volta giunta a casa, cala il culo sugli scalini sotto il pergolato e respira piano piano questa arietta dolce di primavera, che primavera non è essendo autunno, tanto fa lo stesso, rilassati col capo contro i rampicanti, addormentati se vuoi che ti svegli l'alba. Tu ami le albe e i tramonti, è così, lo so, soltanto elabori pensieri complicati e contrastanti e credi d'essere inciampata in un tunnel di dolore che non debba mai aver fine, e invece finirà, finirà, lo so, e tutto ciò non sarà mai successo, perché quel che successe e continua a succedere appartiene a troppi, e riconoscersi è impossibile.157

156 Ivi, p. 164. 157 Ivi, p. 222.

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4. Il paesaggio umano e naturale

Il cielo qui è una rivalsa contro la solitudine. Azzurro

annuvolato. Annuvolato azzurro. Azzurro azzurro.158

L'atto emigratorio comporta per l'individuo interessato la contrapposizione tra

due dimensioni, una legata al paese d'origine, nei ricordi ma anche nel

desiderio di continuità delle tradizioni, e l'altra congiunta al paese ospitante,

all'inserimento spesso difficile dentro un nuovo contesto culturale. La

“concezione dualistica” in cui Rosa viene proiettata al suo arrivo in Australia

non è limitata all'equilibrio tra questi due sistemi, ma è piuttosto una costante

del romanzo, identificabile nell'antitesi tra comunità migrante e nativa, tra

spazio aperto e chiuso e tra paesaggio naturale e artificiale.

Come suggerisce Brigid Maher, il sopracitato incipit del libro, che sembra

presagire un elogio alla bellezza della natura e del paesaggio australiano, viene

immediatamente smorzato dalle considerazioni sull'architettura umana che

l'occhio della scrittrice scruta attraverso il finestrino del bus:159

Già all'inizio mi venne di mandare tutto al diavolo e di far dell'ironia. Pensate un po'. Sulle ritirate pubbliche. (…) Che gente era mai questa? Dove faceva i suoi bisogni? Nelle casine di mattoni rossi, asimmetriche, squadrate, asciutte e spersonalizzate come l'anima del popolo. Nei substrati della mia tanto attesa celebrazione-iniziazione, io volevo quel monumento e solo quello all'ombra di un eucalipto. Certamente fu un impatto negativo. Come potevo io essere così poco tenera quando la città mi accoglieva a braccia aperte. Mentr'io bramavo il tocco umano nell'architettura di una ritirata, ad altre mancava la mamma, un amore finito, l'inno nazionale, le passeggiate per il corso, lo sfoggio dell'eleganza, la comprensione.160

In questo modo Rosa, ironizzando sia sulle caratteristiche del nuovo paese che

158 Cappiello Rosa, Paese fortunato, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 7. 159 Brigid Maher, 'The sky here compensates for solitude'. Space and displacement in a migrant's

tale, in «Literature & Aesthetics» 17(2), December 2007, p. 178. 160 Cappiello, cit., pp. 7-8.

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sulle debolezze delle compagne di viaggio, esclude la propria appartenenza ad

un gruppo sociale, il tutto in un unico pensiero partorito nel tragitto dal porto

all'ostello.

L'assenza di bagni pubblici può, secondo Rando, rappresentare simbolicamente

la disillusione provata dall'autrice nell'osservare la mancanza di storia e

civilizzazione del popolo australiano.161

L'assidua ricerca, senza successo, di una casa adatta alle proprie esigenze,

distanti dalla condivisione di uno spazio con altre donne o dalla subordinazione

a proprietari invasivi e diffidenti, è altresì indice di spaesamento e

insoddisfazione:

Quando approdai anonima e sconosciuta ero pronta ad annidarmi in qualunque cantuccio, purché mi si riconoscessero i diritti cristiani, ma poi ho appreso alacremente, dal momento del bisogno, che non esiste rifugio e nemmeno si trova Dio, ad emigrare. In parte comprendo Beniamina e Claudia, ancora più sbandate di me. La voglia pazza di tornarsene con una piccola somma. Di ricominciare daccapo. Di sentirsi a casa. Questa non sarà mai una casa. Non sarà mai un rifugio per chi non è pecora.162 Alla base di questo disfattismo, che preclude alla scrittrice la possibilità di

trovare una casa reale e il suo equivalente simbolico nel contesto sociale, c'è

l'esperienza adolescenziale di reclusione forzata da parte della famiglia, causa

di isolamento dal mondo e del mancato proseguimento degli studi. Questo

trasforma, nell'immaginario letterario di Rosa, la permanenza nei luoghi chiusi

in uno stato di prigionia, conseguente ad una imposizione della società.

Il trauma della reclusione diventa così una consuetudine narrativa nelle opere

della Cappiello, a partire dal primo romanzo, I semi neri, ambientato in un

centro ospedaliero per malati di cancro. L'importanza che la protagonista dà

all'emigrazione come soluzione alla propria insofferenza avvalora la

considerazione per cui il carcinoma che si insinua nel tessuto umano non è

161 Rando Gaetano Luigi, Literature and the migration experience: twenty-one years of Italo-

Australian narrative (1965-1986), Doctor of Philosophy thesis, University of Wollongong, 1988, pp. 189-190. http://ro.uow.edu.au/theses/2097, p. 215.

162 Cappiello, cit., pp. 116-117.

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altro che la privazione della libertà.

Il primo impatto con l'Australia si consuma nell'ostello, dove le aspirazioni

pionieristiche sembrano lasciare il passo agli incubi dei prigionieri di guerra:

L'hotel ci offrì subito un'idea di come era composta la fauna interna: lesbiche, incinte, vecchie deliranti, fannullone, drogate, sudicione, vagabonde, disadattate, divorziate, tanfo da ospizio dei poveri, scarafaggi, tappeti lisi, gatti, ordini in una lingua incomprensibile e poi il primo, il secondo, il terzo e il quarto piano, tetri e dannati, con le celle per dormire inscatolate una dentro l'altra. Una prigione. In prigione si va per castigo. In qualcosa dovevamo aver sbagliato. Forse nella scelta. La cuccia assegnatami non ha finestre.163 Allo stesso modo la fabbrica dove lavora come cucitrice richiama alla memoria

una fattoria da allevamento intensivo, in cui la caporeparto affetta da nanismo

fa il bello e il cattivo tempo mentre le operaie sfruttate cercano di attirarne la

simpatia:

Il lavoro. Gli animali. Gli asini da soma, specialmente le donne hanno la sensibilità dei muli sardegnoli. Ricacciatemi in corpo il prossimo, gli aiuti assistenziali, l'amore per il paese giovane, sano, ingenuo. La nana incede, il dito alzato e minaccioso, nel pieno splendore del suo metro e trenta. (…) La fila delle cagne lavorative scodinzolano giulive al suo passaggio. (…) Se per sopravvivere devo sputare sangue, io sputo sangue fino all'ultima goccia a drenaggio moderno, meccanizzato, tipo mungitura vacche, ma non obbligatemi a leccare il culo della supervisor nana (…). No mai e poi mai. Un anno che dura, sanguinare la paga settimanale.164

Rosa, esausta dalla situazione, deciderà di licenziarsi celebrando il ritorno alla

libertà immergendosi nella natura di un parco cittadino:

Adesso basta. Mi ribello. Esco dal gregge. “Mi licenzio. Mi licenzio”, strillo, ma più che uno strillo è un rantolo di morte. Dopo la bravata del licenziamento. Ah, come mi sentivo bene. Cantavo nell'attraversare il parco. (…) Ero libera. Assaporavo la libertà come un balsamo.165

163 Ivi, pp. 8-9. 164 Ivi, p.110. 165 Ibidem.

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Secondo Rita Wilson una particolarità interessante di Paese fortunato riguarda

la protesta militante che associa la scrittrice, pur essendo una emigrante di

prima generazione, alla critica delle restrizioni sociali attuata dagli autori di

seconda generazione nei confronti della cultura dominante. Su questa

lunghezza d'onda, l'incessante trasmigrare da un appartamento all'altro

contrasta le tradizionali storie d'emigrazione in cui la casa è un leitmotiv che

incarna l'aspirazione alla sicurezza ed alla stabilità, anche familiare.166

Il quartiere di Redfern, dove era stanziata Rosa quando scrisse il romanzo, è

storicamente riconosciuto come il peggior slum di Sidney. Nonostante siano

documentate politiche di gentrificazione a partire dal 1970,167 nelle descrizioni

presenti nel libro i residenti di questa parte di centro storico degradato

sembrano appartenere a tutti gli effetti ad una condizione disagiata:168

Un gruppetto di persone, riunite all'aperto, bevono direttamente dai barattoli e sgranocchiano patatine. Gli uomini ostentano capelli lunghi e barbe rossicce, le donne un'aria sciatta, che viene da scarsa competenza di se stesse. Alcuni del gruppo stanno pitturando à naïf la facciata della casa, dove vivono a branchi. Colori violenti. Colpiscono come un pugno agli occhi l'anonimo del vicolo. Lungo il marciapiede pochi alberelli sfrondati. Accosto al muro, il marmocchio dei turchi, nudo, è accovacciato a far la cacca.169

Sotto la pioggia, le case tutte uguali, rassomigliano ancora più a cappelle mortuarie e, dentro, sempre un odore di gatti morti.170 Eppure la scrittrice, memore della sua Napoli, a volte sembra trovare

consolazione proprio nella vita di strada, e contraddittoria come sempre alterna

nostalgia a rassegnazione per la decadenza umana:

166 Wilson Rita, Excuse me is our heritage showing? Representations of diasporic experiences

across the generations, in «Flinders University Languages Group Online Review», Volume 3, Issue 3, November 2008, http://ehlt.flinders.edu.au/deptlang/fulgor/ pp. 99-103.

167 Flood Joe, Urban Slum Reports: The Case of Sidney, Australia, in Understanding Slums: Case Studies for the Global Report, 2003, DPU (Development Planning Unit) University College, London, http://www.ucl.ac.uk/dpu-projects/Global_Report/pdfs/Sydney.pdf, p. 6.

168 Grave Isobel, Chiro Giancarlo, Rosa Cappiello's Paese Fortunato and the Poetics of Alienation, in «Transnational Literature», Vol. 2 no. 2, May 2010. http://fhrc.flinders.edu.au/transnational/home.html, p. 3.

169 Cappiello, cit., p. 42. 170 Ivi, pp. 29-30.

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Il corso, l'unico in città affollato notte e giorno, chiassoso, gaio e con quel sentore sensuale che ti dà nostalgia della dirompente vita napoletana. (…) Un vero salto dalla vuotaggine all'altare del piacere. (…) Estasi e delizia per i nuovi arrivati che ci trovano amore e patria e quel che conta, comprare il calore di una puttana anche per pochi secondi e così centuplicare i gemiti e smorzare la sete legittima d'affetto nel buio nemico, tetro, maledetto delle camere in affitto. La notte si trascina enorme a Sydney. Notti senza fine. Il sole che sorge su questa splendida città per parecchi è quasi una lotta mortale. Lo si guarda con odio e con rancore. Lo si guarda con fame maligna ed espiazione di peccati non commessi. (…) Dormi, dormi, city, sopra i tuoi inetti omuncoli, che imprigionati nel tuo ventre d'oro nulla vedono, nulla sanno. Mi stai bene come sei, infermo guazzabuglio che ci estranea uno dall'altro.171 Per Gaetano Rando la città, nell'espressione notturna del quartiere di Kings

Cross, “è vista come un'entità femminile che soggioga l'uomo e come ambiente

alienante per le relazioni umane”.172

L'instabilità emozionale di Rosa trova equilibrio solo nel suo rapporto con la

natura. Nel turbinio di pensieri la pace, momentanea, sembra arrivare solo nella

contemplazione dell'ambiente, rigoglioso in tutta la sua essenza dentro un'oasi

verde, un raggio di “sole iridescente”, una distesa d'acqua:

Quando sono nel treno diretto a North e il treno dopo due fermate sbuca dal tunnel e sferraglia sul ponte sospeso su un'infinità d'acqua verde trasparente, i ferry pieni di gente che passano sotto, il Luna Park illuminato che ci viene incontro, le isolette che paiono galleggiare in lontananza, i fanalini accesi alle finestre che riflettono le onde impigliate nelle chiome degli alberi, ah, è come se braccia amiche prorompessero ad accogliermi. Ad accogliere me e le mie speranze.173

Una coerenza illuminata da una forte sensibilità che, in una società cannibale

può essere un punto debole. Per questo la scrittrice, tornando sui suoi passi,

ritiene opportuno specificare che anche nel quartiere di North Shore,

incorniciato dalla natura accogliente e favorevole, le costruzioni residenziali

hanno l'aspetto di “prigione fortezza e da antro delle streghe”.174

Le riflessioni che anticipano la conclusione del romanzo, come dopo un

171 Ivi, pp. 47-48. 172 Rando, cit., p. 216. 173 Cappiello, cit., p. 66. 174 Ivi, p. 66.

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tentativo fallito di risoluzione di un enigma, ci riportano al punto di partenza.

Nulla è cambiato, nessuna rivalutazione è in atto, il cielo “annuvolato” ora si è

“oscurato”, ma forse nascosta dietro la richiesta che Rosa fa a se stessa di

isolarsi per due settimane c'è la presa di coscienza che nella sua favola triste

non si vive il dramma di una generazione di emigranti coi sogni e le aspirazioni

nella valigia chiusa con lo spago, ma solo il desiderio di esprimersi attraverso

ciò che più ha amato nella sua esistenza, la letteratura:

S'è oscurato il cielo. I lampioni sono spenti. E appena dietro l'angolo c'è l'universo urlante, ci sono i musicanti, i saltimbanchi, la fiera di paese. Se solo ci arrivassi mi accoglierebbero con modi fraterni e gentili, ma non ci credo. Non posso crederci. Non voglio crederci. Me ne frego. E all'improvviso mi girai e, acchittata come mi trovavo, corsi veloce come un coniglio a rifugiarmi nella tana-nicchia a murarmi viva per due settimane, che non vedessi sole tramontare e alba sorgere e che nulla mi turbasse e nessuno mi rompesse. Chiaro. E non cambiare idea, figlia di una buona donna, che tu muti come una banderuola e rovesci il profilo alle idee, per la testa che ti funziona a giri di trottola.175

175 Ivi, p. 221.

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