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Sommario: 1. Evoluzione della forma di governo italiana - 2. Il lobbying: definizione, caratteristiche, fondamenti e principali attori con riferimento al modello americano - 2.1. Lobbying: un fenomeno tra pluralismo ed eguaglianza - 2.2. Evoluzione della forma di gover - no parlamentare verso un’organizzazione neocorporativistica, tra prospettive e problemi - 2.3. Le fazioni ed il loro ruolo in un sistema democratico - 3. Il lobbying in Italia: assenza di disciplina e lobbies presenti fuori e dentro il Parlamento - 3.1. Esempi di influenza delle lob - bies sul Parlamento nelle ultime manovre finanziarie - 3.2. Cause della proliferazione delle lobbies e conseguenze del fenomeno - 4. Possibili limiti alla forza delle corporazioni 1. Evoluzione della forma di governo italiana In pochi anni nel sistema politico italiano si sono verificati profondi cambiamenti riguar- danti gli aspetti più salienti del sistema democratico, modificando parte delle caratteristiche tradizionali, riguardanti il ruolo del Parlamento nella forma di governo parlamentare. La centralità del Parlamento è la caratteristica tradizionalmente riconducibile all’espe- rienza politica di tutte le democrazie occidentali, indifferentemente dalle diverse forme di governo che si sono sviluppate nei diversi contesti storici: ed infatti «il nesso tra democra- zia e parlamenti [...] è costituito proprio dalla rappresentanza, che mette in opera il mecca- nismo attraverso il quale può realizzarsi quell’esercizio indiretto della sovranità da parte del popolo che è l’unico possibile surrogato della democrazia diretta» 1 . Il Parlamento costituisce, dunque, il vessillo di ogni sistema democratico in quanto, «attra- verso i meccanismi della responsabilità e responsività» è possibile assicurare la corrisponden- za tra le deliberazioni dello stesso e la sovranità popolare: se, infatti, l’applicazione del princi- pio di rappresentanza democratica non può senz’altro assicurare la piena identità tra la volontà degli elettori e le successive decisioni degli eletti, tuttavia esso prevede quantomeno l’eserci- zio di un periodico controllo (i. e. le elezioni) finalizzato a saggiarne l’attuale consistenza 2 . Il lobbying tra Stati Uniti d’America ed Italia: ruolo dei gruppi di interessi nel sistema democratico Guglielmo Guarina Dottore in Giurisprudenza, Università degli studi di Palermo 1 Letteralmente L. SPADACINI, L’eclissi della rappresentanza all’origine della crisi del Parlamento italiano, in A. D’ANDREA (a cura di ), Il Governo sopra tutto, Brescia, 2009, p. 81. 2 Ibidem, pp. 84-85. 1

Il lobbying tra Stati Uniti d’America ed Italia: ruolo dei ...extranet.dbi.it/Archivio_allegati/Allegati/37335.pdf · zia e parlamenti [...] è costituito proprio dalla rappresentanza,

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S o m m a r i o : 1. Evoluzione della forma di governo italiana - 2. Il lobbying: definizione,caratteristiche, fondamenti e principali attori con riferimento al modello americano - 2.1.Lobbying: un fenomeno tra pluralismo ed eguaglianza - 2.2. Evoluzione della forma di gover -no parlamentare verso un’organizzazione neocorporativistica, tra prospettive e problemi -2.3. Le fazioni ed il loro ruolo in un sistema democratico - 3. Il lobbying in Italia: assenza didisciplina e lobbies presenti fuori e dentro il Parlamento - 3.1. Esempi di influenza delle lob -bies sul Parlamento nelle ultime manovre finanziarie - 3.2. Cause della proliferazione dellelobbies e conseguenze del fenomeno - 4. Possibili limiti alla forza delle corporazioni

1. Evoluzione della forma di governo italianaIn pochi anni nel sistema politico italiano si sono verificati profondi cambiamenti riguar-

danti gli aspetti più salienti del sistema democratico, modificando parte delle caratteristichetradizionali, riguardanti il ruolo del Parlamento nella forma di governo parlamentare.

La centralità del Parlamento è la caratteristica tradizionalmente riconducibile all’espe-rienza politica di tutte le democrazie occidentali, indifferentemente dalle diverse forme digoverno che si sono sviluppate nei diversi contesti storici: ed infatti «il nesso tra democra-zia e parlamenti [...] è costituito proprio dalla rappresentanza, che mette in opera il mecca-nismo attraverso il quale può realizzarsi quell’esercizio indiretto della sovranità da parte delpopolo che è l’unico possibile surrogato della democrazia diretta» 1.

Il Parlamento costituisce, dunque, il vessillo di ogni sistema democratico in quanto, «attra-verso i meccanismi della responsabilità e responsività» è possibile assicurare la corrisponden-za tra le deliberazioni dello stesso e la sovranità popolare: se, infatti, l’applicazione del princi-pio di rappresentanza democratica non può senz’altro assicurare la piena identità tra la volontàdegli elettori e le successive decisioni degli eletti, tuttavia esso prevede quantomeno l’eserci-zio di un periodico controllo (i. e. le elezioni) finalizzato a saggiarne l’attuale consistenza 2.

Il lobbying tra Stati Uniti d’America ed Italia: ruolo dei gruppi diinteressi nel sistema democraticoGuglielmo GuarinaDottore in Giurisprudenza, Università degli studi di Palermo

1 Letteralmente L. SPADACINI, L’eclissi della rappresentanza all’origine della crisi del Parlamento italiano, in A.D’ANDREA (a cura di ), Il Governo sopra tutto, Brescia, 2009, p. 81.2 Ibidem, pp. 84-85.

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La ratio socio-giuridica della forma di governo parlamentare è espressa chiaramentenell’opera di Kelsen, secondo il quale la caratteristica principale di tale forma di governo èla formazione della volontà normativa dello Stato mediante un organo collegiale eletto dalpopolo in base al suffragio universale ed uguale per tutti, cioè dunque democraticamente,secondo il principio di maggioranza 3.

Il risultato dell’evoluzione politico-istituzionale iniziata dagli anni novanta, è il rafforza-mento del Potere esecutivo, e l’evoluzione della forma di governo parlamentare italiana,dove il centro decisionale si è spostato dal Parlamento all’Esecutivo.

La debolezza del Parlamento italiano, inoltre, ha fatto sì che esso potesse essereinfluenzato e diretto anche da soggetti non politici e che stanno fuori dal circuitoParlamento-Governo ma che vanno assumendo un ruolo sempre più decisivo all’interno deiprocessi decisionali, in assenza di una qualsiasi disciplina, venendo a creare un deficit didemocraticità pericoloso per qualsiasi sistema politico.

È dunque esatta l’affermazione per cui «la configurazione di un principio generale deldiritto costituzionale che attribuisce per intero la potestà legislativa al Parlamento [...] sot-tintende una visione della forma di governo italiana che [..] non è più corrispondente a quan-to può evincersi dalla Costituzione, soprattutto se quest’ultima è intesa come costituzionevivente» 4.

Nell’attuale sistema politico-istituzionale italiano il Parlamento ha perso il ruolo di ful-cro di sistema, come delineato dalla Costituzione italiana 5, ad opera in primo luogo del

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3 H. KELSEN, La democrazia, trad. it., Bologna, 1995, p. 155.4 G. PITRUZZELLA, La legge di conversione, Padova, 1989, p. 42.5 Dal quadro generale della Costituzione, è possibile notare le centralità assegnata al Parlamento, primo tragli organi costituzionali disciplinati dalla Carta, e oggetto della disciplina più dettagliata. Il Parlamento italianoè strutturato secondo un modello di bicameralismo perfetto: la posizione dei due rami è paritaria ed uguale.Eguale anzitutto dal punto di vista del tipo di rappresentanza espressa: in entrambi i casi politica; si è esclu-sa sia la rappresentanza degli interessi e delle categorie professionali, sia la rappresentanza locale, salvoalcuni aspetti relativi al Senato. La posizione paritaria riguarda le funzioni: l’art. 55 si legge con l’art. 70, inforza del quale la funzione legislativa è esercitata «collettivamente» da entrambe le camere, e dall’art. 94,secondo il quale il Governo deve avere la fiducia delle «due» camere. Le differenze riguardano soprattutto ilprofilo strutturale: diversa composizione (numero dei deputati maggiore di quello dei senatori; presenza nelSenato di un numero di senatori non eletti; elezione del Senato a base regionale); diversi limiti di età per l’e-lezione; diversa durata, 5 anni la camera, 6 il Senato. L’attività di indirizzo politico viene assegnata, poi, alParlamento. La funzione normativa primaria (legislazione) è affidata in via generale alle due camere (art. 70);il Governo può esercitarla solo in via d’eccezione e con il controllo preventivo (art. 76) o successivo (art. 77)del Parlamento. Inoltre su uno dei principali strumenti dell’indirizzo politico, cioè la manovra di bilancio, lacompetenza è delle camere, anche se con un’iniziativa riservata al Governo (art. 81). E la manovra di bilan-cio è diventata uno dei principali cardini dell’indirizzo politico, ed il principale strumento attraverso cui il pro-gramma di governo si attua. La Costituzione ha poi attribuito alle camere la partecipazione al potere estero(art. 80). Alle camere, infine, la Costituzione assegna il più formidabile strumento per la determinazione del-l’indirizzo politico: la fiducia (art. 94). Il Governo per potere esercitare «legittimamente» le sue funzioni deveavere la fiducia delle camere e se, questa viene meno, esso è «giuridicamente» obbligato a dimettersi.

Governo, ma anche di soggetti politici come i partiti politici, e non politici come i sindacatied i gruppi di interesse.

In primo luogo, prendendo in esame il Governo, i fattori che ne hanno determinato ilrafforzamento sono molteplici e di diversa natura, sociali 6 ed istituzionali.

Per quanto riguarda i fattori istituzionali, reiterati comportamenti dell’Esecutivo volti asfruttare al massimo alcune tradizionali prerogative dei governi come la questione di fidu-cia e la decretazione d’urgenza, hanno comportato il rafforzamento dell’Esecutivo stesso.In particolar modo nelle ultime legislature, il ricorso alla questione di fiducia ha subito unadrastica impennata; così come il numero dei decreti legge approvati dal consiglio dei mini-stri, utilizzati ormai come normale strumento di normazione. Questo aumento quantitativosi accompagna anche alla novità delle modalità di utilizzo di questi strumenti: si pensi al lorouso nell’ambito delle decisioni di bilancio e nella connessa manovra che ormai costituisco-no momenti assolutamente centrali nella determinazione, attuazione e specificazione del-l’indirizzo politico generale 7.

È chiaro che in questo contesto il Parlamento ha gradualmente perso il monopoliodella legislazione, ed il Governo è venuto assumendo una posizione di sostanziale premi-nenza in relazione all’iniziativa legislativa. È infatti il Governo che guida i processi legislati-vi in Parlamento, soprattutto in quanto detentore degli strumenti per l’individuazione dellacopertura finanziaria dei provvedimenti. A fronte della possibilità di utilizzare risorse semprepiù limitate si impone l’esigenza di un’attenta selezione e finalizzazione degli interventi,anche in chiave di riallocazione delle risorse tra settori di intervento; tutto ciò vede ilGoverno e, per esso, il Ministero dell’economia, al centro dei processi di conoscenza degliandamenti di finanza pubblica 8.

Pertanto l’Italia si muove in una forma di governo parlamentare, che ha progressiva-mente abbandonato il modello consensuale e le caratteristiche assemblearistiche del perio-

6 Con riferimento ai fattori sociali, sembra sempre più diffusa la tendenza a riconoscere particolare autoritàsia ai singoli individui per il loro carattere esemplare sia ai modelli normativi o ordini rivelati o impartiti da talisoggetti. Tale tendenza si nota in alcune importanti decisioni politiche, non tradotte in norme giuridiche, comequella assunta nel 2001 dai principali partiti riuniti in coalizione di indicare, nel simbolo da stampare sullascheda elettorale, il nome del Presidente del consiglio designando in caso di vittoria delle elezioni ha prodot-to un effetto a dir poco dirompente sul sistema, tanto da avere fatto mettere in discussione il ruolo sia dalPresidente della Repubblica nella nomina del Primo Ministro (art. 92, comma 2, Cost.) sia addirittura quellodelle camere stesse nella scelta di un Governo di propria fiducia (art. 94 Cost.). Altra decisione politica fon-damentale è stata quella che ha condotto alla formazione delle coalizioni e dei programmi di coalizione primadelle elezioni e, successivamente, all’aggregazione in due forze che vorrebbero essere unitarie, una di cen-tro-destra (Popolo delle Libertà) e una di centro-sinistra (Partito Democratico). Si tratta di decisioni rivoluzio-narie se si tiene conto che nella prassi repubblicana anteriore le coalizioni si formavano dopo le elezioni.7 G. PITRUZZELLA, Forme di governo e trasformazioni della politica, Roma-Bari, 1996, pp. 71 e ss..8 U. ZA M P E T T I, Evoluzione della legislazione e ruolo del Parlamento, in Rassegna Parlamentare, n 1/2011, p. 49.

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do di centro-sinistra per avviarsi verso un modello dell’alternanza a prevalenza del PrimoMinistro, ma che non risulta assolutamente riducibile allo schema parlamentare classico peri caratteri originalissimi del sistema delle garanzie (Presidente della Repubblica, corte costi-tuzionale e magistratura) e dei correttivi (referendum e regioni).

Un ruolo altrettanto fondamentale nel depauperamento del ruolo del Parlamento si èavuto anche ad opera di corporazioni come i partiti politici, i sindacati e i gruppi di potere.

In assenza di qualsiasi disciplina legislativa 9 non è assicurata la democraticità dellavita associativa dei partiti. Le uniche leggi che hanno accettato sono quelle sul loro finan-ziamento, per un costo complessivo di 2 miliardi e 200 milioni dal 1994 al 2011. Senza con-tare le donazioni private, anche perché una legge del 2006 ha elevato da 6 mila a 50 milaeuro la soglia al di sotto della quale i contributi non vanno denunciati. Ed infatti nel 2008, laFederfarma ha ammesso di elargire 250 mila euro l’anno a parlamentari di destra e di sini-stra, ma in tagli di 15 mila euro 10.

Un tale finanziamento è un tipico esempio del c.d. lobbying, un fenomeno che trova lasua origine negli ordinamenti anglosassoni dove è regolamentato, ma che è presente inqualsiasi sistema politico in cui vari gruppi non politici riescono, attraverso fondi molti cospi-cui, ad influenzare l’attività di governo anche in proprio favore, fuori dal circuito della rap-presentanza politica e, in taluni casi, in totale assenza di chiarezza e di trasparenza, crean-do un deficit di democrazia.

Il fenomeno è amplio e complesso e si cercherà di analizzarne le caratteristiche prin-cipali per poi procedere all’esame della situazione italiana.

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9 Risuona ancora la domanda che Pietro Calamandrei sollevò in Assemblea costituente: «come può respira-re una democrazia, se i suoi attori principali non sono a loro volta democratici?». Ecco perché - aggiunseCostantino Mortati - una legge sui partiti sarebbe stata «consona a tutto lo spirito della Costituzione». Percostringerli ad osservare il «metodo democratico» di cui parla l’art. 49 Cost., traducendolo in una griglia didiritti e di doveri. L’assenza di una tale regolamentazione fa sì che i partiti agiscano anche nel dispregio diqualsiasi statuizione. Ad esempio di ciò, basti rievocare la nascita dei due principali protagonisti della scenapolitica italiana, PDL e PD. Il primo, sorto nel 2008 dalla fusione di AN e FI, ne ha violato in un solo colpoentrambi gli statuti. Lo scioglimento di AN venne deliberato, infatti, dall’assemblea nazionale e non dal con-gresso; quello di FI fu deciso dal suo presidente. Quanto al PD, venne al mondo nel 2007 da un’assembleaelettiva. Tuttavia, quando nel giugno del 2008 tale organismo si riunì per modificarne lo statuto, l’80% dei suoimembri lasciò la sedia vuota invalidando così la riunione per difetto del numero legale, ma lo statuto vennemodificato ugualmente.10 M. AINIS, Privilegium, Milano, 2012, pp. 29 e ss..

2. Il l o b b y i n g: definizione, caratteristiche, fondamenti e principali attori conriferimento al modello americano

In primo luogo deve essere data una definizione di lobbying ed analizzarne i tratticaratterizzanti.

Per l o b b y od “organizzazione lobbistica” si intende il gruppo portatore dell’interesse datutelare; per “lobbista” si intende il personale, interno od esterno all’organizzazione, attraver-so cui si attuta la rappresentanza; il “lobbismo” indica l’insieme delle tecniche e attività checonsentono la rappresentanza politica degli interessi organizzati 11. Il termine deriva da l a u b i ache nel latino tardo significava “loggia”, ed indicava il corridoio aperto di un monastero, per poiindicare l’andito del parlamento, in origine la Camera Bassa inglese, quale luogo di incontrioccasionali o meno con i parlamentari, volti ad ottenere tutela per le proprie istanze 1 2.

Il lobbismo è quindi la faccia politica dei gruppi di interesse, una volta che decidano diperseguire finalità pubbliche, mutandosi da associazioni private in gruppi volti all’azionepolitica. Ha come finalità generale quella di influire sulle decisioni delle autorità di governotramite l’informazione, la mobilitazione di volontà collettive. Tale rappresentanza è in parteformale, come mandato più o meno ampio ricevuto dal gruppo in nome del quale si opera;in parte informale, non disponendo i rappresentanti privati di canali e riconoscimento istitu-zionale paragonabili a quelli di cui godono gli eletti nelle assemblee legislative. Siamo inpresenza di una pratica sfuggente, ma al contempo evidente, considerate le molte migliaiadi operatori coinvolti, ed al tempo stesso impalpabile. Nella sua forma tipica il lobbying con-siste nella rappresentanza stabile e riconosciuta degli interessi, non in contatti episodici fattiper conto di mandanti occulti 13.

A differenza di attori quali i partiti politici, i gruppi di pressione non aspirano ad occu-pare e gestire direttamente il potere politico; la loro attività consiste principalmente nell’in-fluenzare altri soggetti politici affinché adottino una determinata decisione, esercitandoviquindi una pressione. Per pressione non si indica necessariamente l’uso di sanzioni nega-tive, quali gli scioperi o le manifestazioni.

Sebbene sia cominciato nel Parlamento inglese, il lobbying ha finito per indicare l’at-tività dei rappresentanti di vari interessi che operano nei corridoi del Senato e della Cameradei Rappresentanti a Washington, dove il fenomeno ha trovato la sua massima realizzazio-ne e anche disciplina. I principali strumenti giuridici che disciplinano la materia a livello fede-

11 L. GRAZIANO, Lobbying, pluralismo, democrazia, Roma, 1995, p. 13.12 T. CHECCOLI, Il fenomeno del lobbying negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, in Quaderni costituzionali/a.XXVI, n. 4, dicembre 2006, p. 722.13 L. GRAZIANO, cit., p. 15.

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rale sono: The Federal Regulation of Lobbying Act (1946), che nel disciplinare le attività deigruppi di interesse in seno al Congresso prevede l’iscrizione in un registro dei gruppi di inte-resse, consulenti e lobbisti d’ogni genere, e impone il rispetto di un codice di condotta; TheBird Amendment, che stabilisce limiti e divieti concernenti l’utilizzazione dei fondi federaliper le attività di lobbying; The foreign Agents Registration Act (del 1938, emendato nel1966), che prevede obblighi di registrazione per chi intenda operare come agente di lobbyche rappresenta interessi stranieri 14.

La sanzione costituzionale del lobbismo negli Stati Uniti è vista nel PrimoEmendamento (1791) alla Costituzione americana, laddove sancisce «il diritto del popolo diriunirsi pacificamente e rivolgere petizioni al Governo».

Proprio con riferimento all’obbligo di iscrizione in un apposito registro, era stata solle-vata la questione di legittimità costituzionale del Lobbying Act con riguardo al principio dilibertà di espressione. La soluzione adottata dalla Corte in US vs Harris fu di tenere in piedila legge, restringendone la portata. Perché si possa parlare di lobbista ai sensi del LobbyingAct, la Corte ha stabilito che debbano ricorrere tre requisiti: la persona deve avere solleci-tato o raccolto o ricevuto contribuzioni; uno dei principali scopi di tale persona o di tali con-tributi deve essere quello di influenzare l’approvazione o il rigetto di legislazione da partedel Congresso; il metodo che ci si propone di seguire deve essere quello della comunica-zione diretta con il Congresso 15.

In questo senso l’obbligo di disclosure, previsto dalla legge federale può ben esserecostituzionalmente tollerato, di fronte alla necessità di evitare degenerazioni del fenomenohobbistico 16.

Per quanto riguarda la definizione di lobbista, esso indica sia chi difende gli interessidel proprio gruppo sia il professionista che agisce nell’interesse dei clienti che di volta involta rappresenta 17.

Con riferimento alle professioni svolte e all’istruzione ricevuta dei lobbisti, nel sistemaamericano si è visto che avvocati esterni e consulenti esterni rappresentano una quota relati-vamente modesta dei lobbisti (19%); la rappresentanza politica dei gruppi è soprattutto aff i d a-ta ad alti dirigenti interni all’organizzazione. I lobbisti hanno un avanzato grado di istruzione, macon formazione eterogenea (un terzo è laureato il legge, il 13% in scienze/medicina, il resto inaltre discipline). È personale assai ben pagato e che risiede per due terzi a Washington.

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14 S. PANEBIANCO, Il lobbying europeo, Milano, 2000, p. 20.15 L. GRAZIANO, cit., pp. 128-129.16 T. CHECCOLI, cit., p. 726.17 S. PANEBIANCO, cit., p. 9.

L’immagine che emerge da questo profilo è dunque di un gruppo sociale dallo statussocio economico e istruzione elevati e ben inserito nei livelli gerarchici 18.

L’obbligo di registrazione riguarda soltanto il lobbista retribuito, e tre categorie sonoesentate dalla registrazione: chi testimonia davanti al Congresso senza intraprenderealcun’altra azione; ufficiali governativi che agiscono in veste ufficiale; qualunque giornale operiodico che nel corso della sua attività pubblichi notizie, editoriali o annunci a pagamen-to che raccomandano l’approvazione o il rigetto di legislazione 19.

Per quanto riguarda le istituzioni destinatarie delle pressioni dei lobbisti, il contattodiretto del lobbista con il parlamentare è normale alla Camera mentre è insolito al Senato.Al Senato, dunque, la norma è l’incontro del lobbista con un membro dello staff, il quale hamaggiore autorità rispetto al suo collega dell’altro ramo 20.

Punto fondamentale nell’analisi del l o b b y i n g negli Stati Uniti è la recente sentenzadella Corte Suprema Citizens United vs FEC, in cui la Corte ha dato una definizione moltoristretta di corruzione, respingendo l’idea che in nome dell’uguaglianza politica possaessere limitata per le persone giuridiche la libertà di espressione, sancita nel PrimoEmendamento, che trova realizzazione anche attraverso il finanziamento ai partiti 2 1.Vengono così legalizzati i finanziamenti elettorali diretti da parte di società e organizza-zioni non profit.

Questa pronuncia è stata accolta con valutazioni opposte dai primi commentatori edall’opinione pubblica. Il Presidente Obama si è scagliato duramente contro di essa, acco-gliendo l’interpretazione avanzata da diversa parti secondo cui essa avrebbe aperto ulte-riormente la strada ad un profluvio di denaro degli interessi privati nel sistema politico, conun aumento della corruzione nel sistema.

Il l o b b y i n g negli Stati Uniti è, in definitiva, un fenomeno necessario per l’autogoverno, perquesto la regolamentazione dell’attività ha sempre presentato difficoltà, volendosi limitare glieccessi dei gruppi di pressione, senza limitarne il diritto di rappresentare i proprio aderenti.

Tale fenomeno è considerato controverso, nonostante la regolamentazione, divenen-do quasi un’industria, riflettendo insieme la proliferazione dei singoli e gruppi desiderosi difare valere i propri interessi e il frazionamento del potere in Congresso.

A fronte delle numerose critiche ricevute, nel febbraio del 1987 l’associazione nazio-nale dei lobbisti sentì il bisogno di pubblicare a pagamento su alcuni quotidiani un inserto

18 L. GRAZIANO, cit., p. 119.19 Ibidem, p. 131.20 R. BRANCOLI, In nome della lobby, Roma, 1990, p. 38.2 1 R. L. HA N S E N, Citizens United and the Illusion of Coherence, in Michigan Law Review, vol. 109, 2011, p. 581.

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per difendere «una professione ancora avvolta nei miti». «Non è un’attività tenebrosa»,spiegava l’inserto, «ma l’esercizio di un diritto fondamentale, essenziale per il funzionamen-to della democrazia. Lobbying significa idee ed interessi in competizione, individui a favoree contro di essi, e la traduzione delle idee in decisioni politiche e leggi. Lobbying non è lavendita delle influenze e l’acquisto di voti» 22.

L’impossibilità di un’amministrazione diretta di tutti i cittadini della res publica e i dubbiriguardo la delega della propria “volontà” ad uno o più rappresentanti, hanno portato, nelcorso della storia costituzionale, ad una sintesi: democrazia rappresentativa sì, ma con unascadenza, con un rinnovo delle cariche più o meno frequente.

Problematiche riguardanti la democrazia diretta sono evidentemente più sentite inquei Paesi, come gli Stati Uniti d’America, dove la maggior parte delle cariche pubblichesono elettive: dal giudice di contea, passando per il sovrintendente finanziario di una cittàcome New York, per finire con il Governatore di uno qualsiasi dei cinquanta Statidell’Unione. Facendo un paragone numerico con l’America, in Italia le cariche elettiveabbracciano solo due dei poteri della tripartizione illuminista: il legislativo a tutti i livelli men-tre l’esecutivo (rectius il capo dell’esecutivo) a tutti meno che a livello statale.

Dato il gran numero di cariche elettive, nell’ordinamento americano esiste un istituto“ricorda” agli eletti perché ricoprono il loro incarico, e che riesce a creare un collegamentopiù solido tra eletto ed elettore, prevedendo una forma di responsabilità giuridica dell’elet-to, il recall. Questo viene qui definito ed inteso come il potere degli elettori di rimuovere unpubblico ufficiale elettivo, prima della scadenza naturale del suo mandato 23.

A tale scopo una parte significativa, almeno il 10 % dell’intero elettorato o di coloroche hanno votato in occasione dell’elezione del proposed to be recalled, può richiederel’indizione di un r e f e r e n d u m tramite sottoscrizione in un lasso di tempo determinato diun’apposita petition of recall in cui sono esposte le ragioni dell’iniziativa. Nella medesimascheda gli elettori sono chiamati, in alcuni casi, a scegliere chi, tra i diversi candidati, eleg-gere come sostituto.

Tramite il recall, quindi l’elettorato è in grado di fare valere i propri diversi interessi,anche particolari, all’interno di un sistema, come quello statunitense, che verso di loro nonnutre pregiudizi, come dimostra la normativa sulle lobbies 24.

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22 R. BRANCOLI, cit., p. 40.23 J. W. GARNER, La révocation des agents publics par le peuple aux Etats-Unis, in Revue du droit public etde la science politique, 1920, p. 511.2 4 S. CU R R E R I, Democrazia e rappresentanza politica. Dal divieto di mandato al mandato di partito,Firenze, 2004, p. 165.

La dottrina costituzionale sostiene che la classe politica parlamentare e il governo cheessa esprime, pur presentandosi come agente di chi li manda a fare le leggi, non ha vincolo dimandato. Gli eletti del popolo non hanno, infatti, il compito di riferirsi agli interessi espressi dalpopolo in un determinato momento, poiché questi interessi non possono che presentarsi comeindeterminati e non sintetizzabili, e ciò tanto più quanto più numerosi sono i votanti per eletto.La decisione degli eletti di un corpo elettorale non limitato deve fondarsi sull’interpretazione diquali debbano essere le decisioni da adottare per il benessere della nazione e sul lungo anda-re 2 5. Tuttavia se i fini da conseguire fossero concepiti come propri soltanto del lungo periodo,si potrebbe eludere la responsabilità verso l’acquisizione di benefici immediati verso la popola-zione che vota, facendo diventare la classe politica sempre più autoreferenziale 2 6.

Il rinnovo delle cariche e la minaccia del r e c a l l sono due degli strumenti più agili perlimitare la pressione dei lobbisti, infatti questi raramente possono influenzare i legislatori suquestioni alle quali il pubblico dedica una grande attenzione, col rischio per gli eletti di nonottenere la rinnovazione del mandato o una destituzione prima della sua scadenza naturale.

Birbaum e Murray, per esempio, descrivono come anche i lobbisti più pagati non furo-no in grado di fare deragliare la Tax Reform Act del 1986, un importante disegno di leggefiscale approvato durante l’amministrazione Reagan con sostegno bipartisan 27.

Altri esempi del fallimento delle pressioni dei lobbisti riguardano il tema della riformadei prestiti agli studenti e la riforma della legge finanziaria.

La conclusione che se ne può trarre è che i lobbisti hanno una più ampia possibilità disuccesso quando hanno contatti diretti con funzionari legislativi che stanno lavorando suquestioni di rilevanza minore e di minore impatto sugli elettori 28.

2.1. Lobbying: un fenomeno tra pluralismo ed eguaglianzaLe lobbies appartengono a quei temi che cadono a metà strada fra riflessione teorica

ed impegno civile. Già altre volte l’affermarsi di nuovi fenomeni politici ha imposto revisioni anche drasti-

che nella teoria della democrazia. Lo stesso avverrà verosimilmente per le lobbies. Il loroaffermarsi come componente organica delle forze che concorrono alla vita democratica hasinora trovato eco piccola o quasi nulla nella teoria democratica.

25 A. PIZZORNO, P. L. COSTA, B. SECCHI, Competenza e rappresentanza, Roma, 2013, p. 21.26 Ibidem, p. 24.27 H. J. BIRNBAUM, A. S. MURRAY, Lawmakers, Lobbyists, and the Unlikely Triumph of Tax Reform, New York,1987, p. 65.28 R. L. HASEN, Lobbying, rent-seeking, and the Constitution, in Standford Law Review, vol. 64:191, January2012, p. 221.

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A tal proposito è opportuno richiamare alcune differenze fra i due sistemi - quelloegualitario della democrazia e quello esclusivo degli interessi organizzati - e contributi voltia trovare qualche forma di conciliazione fra pluralismo ed uguaglianza.

La democrazia incarna per la prima volta nella storia, un progetto di inclusione. Perquesto il suo test fondamentale è quello elettorale; la sua forma di rappresentanza fondati-va è quella politico-parlamentare; ha come suoi agenti moderni di organizzazione del con-senso i partiti politici. La periodica convocazione elettorale, diversa dall’incontro che di con-tinuo ha luogo sul canale della pressione, non serve a produrre benefici calcolabili dai sin-goli cittadini; serve invece ad attestare una qualità volta a caratterizzare la classe politica:avere il compito di attuare un periodico incontro col popolo 29.

Non può essere questo il progetto del lobbismo. La rappresentanza tendenzialmenteda mandato che vi è sottesa si presenta sempre come difesa puntuale e circostanziata diinteressi settoriali, anche nei leader di gruppi più consapevoli degli interessi dell’interasocietà. Sarebbe imprudente, oltre che politicamente inefficace procedere altrimenti.

E l’interesse politico di una comunità nazionale non può essere considerato la som-matoria degli interessi parziali organizzati; il “governo” è visto come livello irriducibile agliinteressi 30.

Nel campo politico l’idea di uguaglianza viene a riferirsi a coloro che formano una col-lettività politica cui appartengono determinati obblighi e diritti, e tra questi la capacità diessere rappresentati. Quando il sistema politico assume il compito di rispecchiare le diffe-renti volontà dei suoi cittadini parlare di uguaglianza tra cittadini che vanno a scegliere persoddisfare interessi diversi non è più logico. E questo non tanto per la considerazione cheil risultato della scelta dovrà dar luogo ad una diversità ma per il principio in base al qualegli interessi scelti dagli elettori sono diversissimi tra loro. Eppure le scelte che compirannotali elettori, seppur interessanti per alcuni, non lo saranno per altri 31.

Per potere coniugare uguaglianza democratica e pluralismo, si può fare riferimento alconcetto di “uguaglianza complessa”, che accoglie differenziazioni, diverse entità, specialicapacità di leadership, che sono parte importante della tematica del pluralismo, ma all’in-terno di una teoria dell’eguaglianza che fissa quali risorse siano spendibili nelle diverse edistinte sfere della vita sociale. In buona sostanza, «ci sono ineguaglianze che possono, ealtre che non possono essere sfruttate nel corso dell’attività politica» 32.

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29 A. PIZZORNO, P. L. COSTA, B. SECCHI, cit., p. 27.30 L. GRAZIANO, cit., p. 270-273.31 A. PIZZORNO, P. L. COSTA, B. SECCHI, cit., pp. 22-23.32 M. WALZER, Sfere di giustizia. In difesa del pluralismo e dell’uguaglianza, Milano, 1983, p. 309.

Ogni sfera, dunque ha le proprie regole di giustizia, e il problema generale sta nel pre-sidiare i confini distributivi in modo da impedire che risorse lecite in un campo vadano adinquinare il gioco di un altro. Ad esempio, nella sfera burocratica l’uguaglianza prende laforma di una distribuzione degli uffici che prescinda da denaro e dispotismo.

Secondo Walzer, la regola della cittadinanza democratica sarebbe quella di lasciarefuori tutte le risorse non politiche: armi e portafogli, titoli e diplomi 33.

Il problema sta nello stabilire come questo possa avvenire nella pratica. Resta il fattoche questa formula fa sì che tutta una serie di diseguaglianze siano compatibili con lanozione di “eguaglianza complessa”, come l’abilità retorica, la competenza organizzativa,capacità di organizzare consenso, che non avrebbero spazio secondo i canoni dell’egua-glianza semplice, di cui sono esempi i brocardi “un cittadino, un voto”, la rotazione dellecariche etc..

In una società ordinata, invero, la diseguaglianza deve trovare limiti quantitativi, equindi venire considerata accettabile solo fino al punto in cui essa risulti utile a migliorare -grazie alle incentivazioni concorrenziali - l’efficienza del sistema, e quindi il benessere delleclassi meno favorite 34.

Il discorso sottende, invero, un principio che ne mette in evidenza il potenziale demo-cratico. La democrazia richiede uguali diritti, non uguale potere. È appunto uguaglianza,non isocrazia. E sebbene la politica sia appannaggio anzitutto dei politici, deve sempretenere aperte le opportunità e le occasioni di potere facendo sì che ogni cittadino sia unpotenziale politico 35.

In questo modo si potrebbero conciliare le istanze pluralistiche e particolaristiche dellelobbies con il principio di uguaglianza ed evitare degenerazioni, attraverso alcune regoleche limitino il modo di fare pressione. In tale prospettiva, il lobbying sarebbe lo strumentoattraverso cui assicurare la partecipazione alla vita politica di soggetti che politici non sono.

2.2. Evoluzione della forma di governo parlamentare verso un’organizzazioneneocorporativistica, tra prospettive e problemi

La democrazia moderna è nata da una concezione personalistica della società, nellavisione di uno Stato parlamentare garante dell’interesse generale, in contrapposizione alleassociazioni ed ai corpi intermedi, visti come residuo della società feudale e portatori diun’incomponibile frantumazione degli interessi.

33 Ibidem, p. 304.34 J. RAWLS, Political Liberalism, New York, 1993, p. 3.35 Ibidem, p. 310.

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Tuttavia, nella realtà quello che è avvenuto negli Stati democratici è perfettamentel’opposto: soggetti politicamente rilevanti sono diventati sempre più i gruppi e sempre menogli individui 36.

È stato affermato che la democrazia parlamentare non sia in grado di gestire né lacomplessità tecnica, né quella valoriale. In una società moderna iperdifferenziata c’è un’am-pia gamma di interessi speciali, organizzazioni e gruppi di valore che si inseriscono o ven-gono coinvolti nei processi governativi. Insomma le forze organiche emergenti sono tecni-camente e politicamente superiori alla democrazia parlamentare e alle forme collegate nellarisoluzione di problemi, compresi i conflitti sociali 37.

Questa innegabile tendenza è stata oggetto di elaborazioni teoriche e di ideologie poli-tiche, sia in netta contrapposizione al disegno individualista nella visione di uno stato plu-ralista o di una Stato corporazione, sia come ricerca di un punto di equilibrio fra rappresen-tanza parlamentare e rappresentanza degli interessi.

L’idealtipo del modello pluralistico è stato descritto come un sistema in cui la cana-lizzazione degli interessi tra l’individuo e lo Stato avviene attraverso la formazione digruppi più competitivi, volontari a potere bilanciato che, attraverso il perseguimento e lacontrattazione del proprio interesse particolare, determinano il formarsi di volta in volta diposizioni di equilibrio che costituiscono l’ottimizzazione dell’interesse comune. Gli inte-ressi così articolati non possono determinare un conflitto che non sia componibile in ter-mini di compromesso e mediazione, mantenendo un’ideologia del consenso sulle regoledel gioco. Tuttavia anche nell’ambito della teoria politica, già a cavallo degli anni sessan-ta, il pluralismo veniva accusato di essere un’immagine del tutto superata, se mai esisti-ta, della realtà socio-economica americana, mettendo in risalto: la struttura oligarchicadelle organizzazioni, riproducenti all’interno un rapporto di dominio; l’esclusione dal gioconei confronti dei gruppi in formazione; l’illusione della possibilità della scomposizione indi-viduale in interessi frazionati 3 8.

Sarebbe meglio definire il nuovo modello di Stato come neocorporativo, in cui la dele-ga all’autonomia sociale degli interessi collettivi subisce mutamenti più o meno importanti,attraverso atti statuali che stabiliscono di fatto o di diritto una gerarchia tra i medesimi edun’integrazione più o meno istituzionalizzata delle grandi organizzazioni degli interessi nelledefinizione normativa e a volte nella gestione di alcuni settori della politica economica. NegliStati dell’Europa occidentale si è cercato di dare una risposta alle ricorrenti instabilità eco-

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36 N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Torino, 1987, p. 7.37 T. BURNS, La democrazia post parlamentare, in “Il Mondo 3”, 1, 1995, pp. 136-138.38 R. MILIBAND, The State in capitalistic Society, London, 1969, p. 120.

nomiche tramite l’acquisizione del consenso e lo scambio politico con i gruppi mediatori delsistema. La realtà di tutta l’attività di governo si è sempre fondata su di un contrattualismopiù o meno occulto: la differenza che giustifica la categoria dello scambio politico, e paral-lelamente il concetto della concertazione neocorporativa, è l’essere appunto entrata nellaprassi manifesta e legittimata dall’azione di governo 39.

A partire dalla crisi del Golfo, poi, in molti Paesi europei si è cercato di dare una rispo-sta alla crescente instabilità politica ed economica con la ricerca di un consenso delle partisociali in accordi di vertice per il controllo delle spinte inflazionistiche e della crescentedisoccupazione. L’accordo in Italia del 3 luglio 1993 sulla politica dei redditi è solo un esem-pio; accordi tripartiti di moderazione salariale si sono susseguiti in Belgio, Portogallo,Irlanda, Danimarca, Olanda e Spagna; ma lo scenario ideologico non è più quello cheaveva interpretato le politiche di concertazione degli anni settanta come l’affermazione dinuove forme di regolazione sociale. Negli ultimi anni la teoria politica ed economica si sonorivolte piuttosto all’analisi di un problema che trascende e muta la prospettiva della gover-nabilità dei sistemi nazionali: la crisi appunto dello Stato-nazione nell’era della globalizza-zione. «Una forma politica nata per rappresentare cittadini-individui doveva saltare perforza nel momento in cui si è trovata di fronte una massa di imprese che, occasionalmen-te, possono essere, ma non per obbligo, anche portatrici di corrispondenti cittadinanze» 40.

Se è ormai generalizzata la critica sulle insufficienze della teoria classica della demo-crazia basata sulla centralità del parlamento, tuttavia si può constatare la mancanza di un’a-deguata o realizzabile architettura di un ordine post-parlamentare legittimo 41.

La sostituzione del parlamentarismo democratico con un’organizzazione corporativi-stica incontrerebbe difficoltà insolubili, perché, innanzitutto, se l’inquadramento secondo lecategorie professionali equivale ad un inquadramento fondato sulla comunanza degli inte-ressi, non potrebbe abbracciare di fatto la totalità degli interessi che hanno importanza perla creazione della volontà statale, nella quale interessi di ordine corporativo sono in concor-renza con altri, spesso vitali, di diversa natura. In secondo luogo, l’ideale corporativo nontrova la sua perfetta attuazione se non in base ad una piena e totale comunanza degli inte-ressi di gruppo e, con il progredire dell’economia della tecnica, il numero delle diverse cate-gorie professionali aventi diritto ad una organizzazione autonoma sarebbe di centinaia oaddirittura migliaia 42.

3 9 R. HA R R I S O N, Pluralism and Corporatism. The political Evolution of modern Democracies, London, 1980, p. 46.40 P. BASSETTI, Impresa, tecnologia, nuova statualità, Bologna, 1993, p. 81.41 A. ARDIGÒ, Verso un nuovo corporativismo, in “Il progetto”, 6, 1981.42 H. Kelsen, La democrazia, Bologna, 1984, p. 162.

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Particolarità degli interessi e frazionamento della rappresentanza soggetta a continuemodifiche sarebbero i principali problemi di uno Stato neocorporativista.

Ed inoltre risolti anche questi problemi, resterebbe ancora aperto quello dei principi cuidovrebbe ispirarsi la formazione della volontà unitaria all’interno dell’organo rappresentati-vo delle varie corporazioni, in cui non sarebbe applicabile la regola della maggioranza 43. Ilsolo mezzo adeguato per la soluzione dei conflitti sarebbe il compromesso e non già ledecisioni di maggioranza, poiché non si può trovare un’espressione numerica per l’impor-tanza di una professione e poiché soprattutto gli interessi delle masse dei lavoratori e quel-li degli imprenditori sono spesso sempre più antagonistici, una votazione finale per la com-posizione di elementi così eterogenei per classe o per ceto costituirebbe un’assurdità mec-canica 44.

In conclusione, nella rappresentanza degli interessi non possono valere le stesseregole del gioco della rappresentanza politica. La rappresentanza corporativa non è dun-que attrezzata istituzionalmente e quindi non è idonea ad esercitare il controllo politico 45.

La conseguenza di questa carenza strutturale è un rapporto subordinato della rappre-sentanza corporativa, che non potrà mai sostituire il parlamento democratico e si configu-rerà in una funzione consultiva e non deliberativa, il cui compito deve limitarsi a formularecon precisione e prospettare con chiarezza gli interessi che sono argomento di legislazio-ne, insomma ad informare il legislatore vero e proprio 46.

2.3. Le fazioni ed il loro ruolo in un sistema democraticoIn uno Stato democratico le fazioni non possono essere considerate esclusivamente

in modo negativo. Anzi esse sono connaturate ad una società libera. Madison distingue trale fazioni di minoranza (che corrispondono agli attuali gruppi d’interesse) e quelle di mag-gioranza. Il problema nell’uno e nell’altro caso non sta nella dimensione del gruppo, ma nelsapere se il gruppo dominante imponga severe restrizioni ai diritti naturali dei cittadini.Pertanto il vero grande problema non sono le fazioni in quanto tali, ma le maggioranzefaziose, che non trovano correttivo nei principi del governo democratico, infatti quando unamaggioranza è compresa in una fazione, la forma del governo popolare le consente disacrificare alla propria passione o interesse dominante, tanto il bene pubblico che i diritti dialtri cittadini.

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4 3 H. KE L S E N, Critica della rappresentanza corporativa, in D. Fisichella (a cura di), La rappresentanza politica,Milano, 1985, p. 175.44 M. WEBER, Economia e società, vol. I, Milano, 1986, p. 296.45 D. FISICHELLA, La rappresentanza politica, Milano, 1985, p. 21.46 H. KELSEN, cit., p. 165.

Il problema non aveva soluzione in regime di democrazia diretta, dove le fazionitrovavano immediata e diretta espressione nell’assemblea. Trova invece risposta nelsistema di governo rappresentativo, che ha due tratti distintivi assenti nella democraziadegli antichi: la delega del governo ad un piccolo numero di leader eletti, capaci di filtra-re le domande settarie della popolazione; il consentire, attraverso l’istituto della rappre-sentanza, di estendere il governo ad un numero maggiore di persone ad una parte piùvasta di territorio.

Il pluralismo può essere visto, quindi, come un bene ed una garanzia: includendoinfatti una maggiore varietà di partiti e di interessi, si rende meno probabile che la maggio-ranza avrà motivo di invadere i diritti di altri cittadini, o anche qualora ci fosse un tale moti-vo, renderà più difficile per tutti coloro che l’avvertono scoprire la loro forza e agire di con-certo gli uni con gli altri 47.

Le varie fazioni o forze politiche presenti in un sistema hanno, inoltre, una grandecapacità di influenzare, con conseguenze spesso opposte, diverse dimensioni, come quel-la socioeconomica, quella religiosa, culturale-etnica, urbana-rurale, politica estera etc. 48.

Ad esempio per quanto riguarda la dimensione socioeconomica, è stato detto che ilprincipale elemento che determina variazioni nel settore macroeconomico delle diversedemocrazie industriali è la collocazione del partito al governo sull’asse destra-sinistra, i pro-grammi e le ideologie di partito stabiliscono le priorità e contribuiscono a determinare lapolitica al governo 49.

Dunque ciò che all’inizio è considerato come un male finisce per diventare un rime-dio, sotto specie di pluralismo sociale. Non solo infatti su un più ampio territorio interessilocalmente dominanti cesserebbero di esserlo - interessi petroliferi egemoni in uno Statodiventerebbero minoritari nell’insieme dell’Unione etc. - ma la lotta politica avverrebbe inpresenza di un pubblico più vasto, che se coinvolto potrebbe modificare l’originario equili-brio delle forze 5 0.

La speranza sarebbe quella che le fazioni moltiplicandosi, si possano bilanciare, con-sentendo al bene pubblico di emergere per neutralizzazione reciproca 51.

47 A. HAMILTON, J. MADISON, The Federalist Paper, a cura di C. Rossiter, New York, 1961.48 A. LIJPHART, Le democrazie contemporanee, Bologna, 2001, p. 140.49 E. R. TUFTE, Political Control of the Economy, Princeton, 1978, p. 104.5 0 E. E. SC H AT T S C H N E I D E R, The Semisovereign People. A R e a l i s t ’s View of Democracy in A m e r i c a, NewYork, 1960, p. 6.51 H. F. PITKIN, The Concept of Representation, Berkeley, 1967, pp. 202-203.

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3. Il l o b b y i n g in Italia: assenza di disciplina e l o b b i e s presenti fuori e dentroil Parlamento

Il lobbying è un fenomeno che trova la sua più ampia espressione e regolamentazio-ne nei Paesi anglosassoni.

Tuttavia anche in Italia, esso è presente da decenni e si è manifestato sotto moltepli-ci punti di vista. Lobbying e lobbies esistono 52, ma spesso assumono contorni sfumati,soprattutto quando sussiste un intreccio tra attività politica e potenze economiche 53.

L’attività di lobbying viene trattata come se fosse un’attività criminosa, e non un veico-lo di informazione per le assemblee legislative e di partecipazione delle categorie cui sirivolge la decisione del legislatore.

Manca, infatti, una qualsiasi disciplina del fenomeno, ad eccezione di qualche dispo-sizione introdotta dentro un provvedimento omnibus, è il caso delle leggi n. 349 del 1986,281 del 1998, 262 del 2005 54. Però non esiste una norma generale sulle lobbies, che nerenda visibili gli attori, le politiche, le modalità d’intervento, sebbene sia stata presentata nelnovembre del 1989 una proposta di regolamentazione con primo firmatario Aldo Animasi 55.Sicché conosciamo esattamente il numero dei lobbisti nel Parlamento europeo (tremila),ma non sappiamo nulla dei loro colleghi del Parlamento italiano.

Il tema dei gruppi di pressione è stato anche oggetto di attenzione dei saggi nominatidal Capo dello Stato.

Più precisamente, nella relazione finale del Gruppo di Lavoro sulle riforme istituziona-li istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica, licenziata il 12 aprile dello stes-so anno, il paragrafo 17 è dedicato alle lobbies: i gruppi di interesse particolare svolgono

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52 Già nel 1989, Giulio Andreotti evocava il rischio che i politici finissero per rispondere non ai propri elettorima ai potentati economici. Il rischio era considerato così elevato da averlo indotto ad affermare: «Su una cosavoglio morire tranquillo, sulla difesa intransigente del suffragio universale». Nel maggio 1990, Bettino Craxiparlò in un’intervista di «lobbies che opprimono con la loro pressione i ministeri ed il Parlamento». Oscar LuigiScalfaro denunciò nell’aula di Montecitorio l’invadenza delle lobbies economiche esterne che «spingono daldi fuori e di frequente finiscono per essere rappresentate anche dall’interno». Aggiungendo in un’intervista che«l’eccesso di competenza può far sì che la commissione diventi facile preda di lobbies, le quali di frequentepossono essere rappresentate anche all’interno», che «in alcune commissioni gli stessi deputati rimangonoal loro posto per più legislature», che ci sono «polemiche per anni riguardo ad alcuni emendamenti inseritiall’ultimo momento, favorevoli a questa o a quell’impresa, senza che poi accadesse nulla». Nel marzo del1990 il deputato Franco Piro, presidente della commissione Finanze di Montecitorio, ha minacciato di dimet-tersi deplorando il prevalere delle lobbies delle banche nel circoscrivere la portata di norme dirette ad accre-scere la trasparenza della loro attività a vantaggio dei cittadini. E in aula, Luciano Guerzoni ha denunciato una«vera e propria invasione» di lobbisti del settore bancario, definendo «inammissibile ed inaccettabile che sidebba legiferare su provvedimenti di grande importanza avendo alla porta i rappresentanti delle lobbies chechiedono personalmente conto ai deputati di come si è votato».53 R. BRANCOLI, cit., pp. 12-13.54 M. AINIS, cit., pp. 30-31.55 R. Brancoli, cit., p. 13.

una legittima ma non sempre trasparente attività di pressione sulle decisioni politiche.Spesso si tratta di un’opera utile per portare a conoscenza dei decisori politici realtà fre-quentemente ignorate. Ma, come ha suggerito l’OCSE, è un’opera che ha bisogno di tra-sparenza per non diventare un mezzo per alterare la concorrenza o per condizionare inde-bitamente le decisioni. Il Gruppo di lavoro propone una disciplina che riprenda i modelli delParlamento Europeo e quello degli Stati Uniti, fondata su tre caratteri fondamentali:

a) si istituisce presso la Camera, il Senato e presso le Assemblee regionali l’al-bo dei portatori di interessi;

b) costoro hanno diritto a essere ascoltati nella istruttoria legislativa relativa aprovvedimenti che incidono su interessi da loro rappresentati;

c) il decisore deve rendere esplicite nella relazione al provvedimento le ragionidella propria scelta e deve evitare ogni possibile situazione di potenziale o attuale con-flitto di interessi 56.

Tuttavia in mancanza di una legge scritta, supplisce la regola non scritta. L’accesso deilobbisti in Parlamento viene deciso, all’inizio di ogni legislatura, dal Collegio dei questori diciascuna Camera, che distribuisce un pass permanente per circolare all’interno dei Palazzi.

Una tale scelta è insindacabile e inconoscibile, perché non verbalizzata, tutti sanno,però, quali soggetti esterni sono da sempre in Parlamento: le associazioni di categoriacome Confindustria; le grandi aziende private, per esempio Sorgenia e Fiat; i gruppi pub-blici, dalle Poste a Trenitalia.

Pur in assenza di una qualsiasi disciplina, l’attività di pressione ad opera di lobbies èesercitata in Italia. Esiste infatti, una fitta rete di gruppi, lobby e fazioni verso la quale loStato elargisce tutta una serie di favori, sotto la loro spinta. Gli esempi sono molteplici evariegati e si cercherà di indicarne i principali, a cominciare dagli ordini professionali, la cuidisciplina normativa risale al 1938. La legge n. 897 dispose che ingegneri, architetti, chimi-ci, periti industriali, commercialisti, agronomi, ragionieri, geometri non potessero esercitarela loro professione senza l’iscrizione all’albo. Per i medici vi aveva provveduto una leggedel 1935, per gli avvocati un decreto regio del 1933. Così gli ordini professionali limitano lalibertà di concorrenza, dato che ciascun ordine detiene il monopolio della categoria (si pensiinvece al modello inglese, dove l’autoregolamentazione viene affidata a libere associazionidi professionisti, senza tasse di iscrizioni per gli iscritti né costi per i consumatori); inoltrel’esame di Stato prescritto per accedervi non assicura una vera selezione, posto che il livel-lo di difficoltà cambia non solo per ogni tipologia di attività, ma a seconda del luogo in cui

5 6 Q. CA M E R L E N G O, Lobbies e processi di decisone politica, in F. RI G A N O (a cura di), La Costituzione in offi -cina: il primo intervento urgente, Pavia, 2013, p. 37.

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viene svolto e anche dell’anno. Infine, la resa più evidente dello Stato si ha nel riconosce-re il potere disciplinare alle varie categorie professionali, cedendo in buona sostanza unaparte della funzione giurisdizionale.

Per indicare come nella pratica funzioni il meccanismo di pressione delle categoriesulle scelte del Parlamento, è opportuno riportare qualche esempio pratico.

Cominciando dai tassisti, nell’ottobre del 1998 a Roma, la giunta Rutelli tentò unabbozzo di riforma, proponendo tariffe e turni liberi; ne ottenne in cambio 12 giorni di scio-pero, con promesse di morte al vicesindaco Tocci. Nel gennaio 2003, a Milano, il sindacoAlbertini annunciò l’aumento delle licenze e l’aeroporto di Linate venne subito bloccato e lacittà paralizzata e alla fine Albertini fece marcia indietro. Nel gennaio 2012 fu impedita un’al-tra liberalizzazione proposta dal governo Monti (come capitò a quella del 2006 di Bersani),con scioperi a Genova, Napoli, Milano e anche davanti palazzo Chigi.

Altro esempio di lobby è la categoria dei notai. Nell’aprile 2008 il ministro aggiunse840 sedi notarili, ne seguirono moltissimi ricorsi al T.A.R. del Lazio e l’annullamento delladecisione. Nel gennaio 2012, quando il governo Monti osò prospettare lo sblocco delle tarif-fe e l’incremento di 500 posti, la categoria reagì con un lamento collettivo, ma soprattuttomise in moto gli amici degli amici seduti in Parlamento, con la conseguenza che nel 2012 inotai italiani erano meno di 5 mila, rispetto ai 12 mila della Germania e agli 8 mila dellaFrancia. Il problema è che non si riesce a scalfire alcuna delle prerogative della categoria,per potere attuare un beneficio collettivo, nemmeno piccole riforme come quella sull’acqui-sto d’autovetture e motorini (che adesso si può perfezionare rivolgendosi ad un’agenziaautomobilistica), considerata dalla categoria una sopraffazione.

Una corporazione che ha molto in comune con i notai è quella dei farmacisti, a parti-re dalla protezione normativa. Nel 2006 un tentativo di liberalizzazione fu fatto da Bersani,con riguardo ai farmaci da banco che ha portato alla nascita di 3500 parafarmacie. Nel 2012il governo Monti ha prospettato la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, ma davanti allepressioni della lobby ha avuto un ripensamento.

Tuttavia le tre categorie più ricche che incassano sempre a spese dello Stato sonosoprattutto: assicuratori, banchieri e petrolieri.

Nel febbraio 2011 il ministro per lo Sviluppo Economico, Paolo Romani, ha dichiaratoche gli italiani pagano un premio RC auto doppio rispetto a quello dei tedeschi, degli spa-gnoli e dei francesi; invece la liquidazione dei sinistri procede a rilento.

Quanto alle banche, vessano i correntisti applicando condizioni, commissioni e aggra-vi di ogni genere (ad esempio nel 2009 una legge ha abolito la commissione di massimoscoperto, e le banche l’hanno immediatamente rimpiazzata con un altro dazio).

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I petrolieri, invece, detengono un oligopolio impossibile da scardinare. Ci ha provatonel 2006 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, segando i Cip6, ovvero gli incentivi pub-blici alle centrali private a petrolio. Ma il T.A.R. della Lombardia ha accolto il ricorso diMoratti, Branchetti e Garrone.

Da qui una conclusione: in Italia non c’è concorrenza perché le liberalizzazioni sonostate poche. La concorrenza può innalzare il PIL dell’11%, l’occupazione dell’8, mentre gliinvestimenti salirebbero di 18 punti, come riferisce Banca d’Italia 57.

3.1. Esempi di influenza delle lobbies sul Parlamento nelle ultime manovrefinanziarie

Per mostrare la potenza delle lobbies è sufficiente passare in rassegna l’iter per l’ap-provazione delle manovre economiche delle ultime legislature.

Partendo dal governo Prodi (2006-2008), il ministro Bersani aveva cercato di realizza-re autentiche liberalizzazioni. Il decreto Bersani rafforzava i poteri dell’Antitrust, permetten-dole di irrogare una sanzione fino al 10% del fatturato d’impresa; stabiliva la chiusura acosto zero per i conti correnti bancari e per le ipoteche sui mutui; cancellava l’agente mono-mandatario per la RC auto, aprendo alla concorrenza le compagnie assicurative; consenti-va i passaggi di proprietà delle motociclette e delle autovetture senza la firma del notaio;liberalizzava gli orari dei negozi; abrogava le tariffe minime, nonché il divieto di pubblicitàper gli ordini professionali.

Dura la reazione delle l o b b i e s: i farmacisti reagirono proclamando lo stato di agita-zione permanente, indicendo una serrata. L’Abi si scagliò contro la modifica dei tassi d’in-teresse. I commercialisti condannarono le misure Iva nel settore immobiliare. I tassistiottennero la permanenza del divieto di cumulo sulle licenze, di cui Bersani avrebbe volu-to sbarazzarsi. I notai costrinsero il governo ad un’altra retromarcia: via l’affidamento agliavvocati dei passaggi di proprietà di beni mobili fino a 100 mila euro. E in generale gli ordi-ni professionali risposero con una manifestazione nazionale di protesta e con la messa inquarantena del provvedimento, avocando cioè a se stessi ogni controllo su tariffe e pub-blicità comparative.

Questo fu l’epilogo della volontà riformatrice.Passando ad analizzare le manovre economiche del quarto governo Berlusconi

(2008-2011), l’esito delle riforme non cambia.Durante il periodo di crisi economica mondiale, molteplici furono gli interventi in

campo economico.

57 M. AINIS, cit., pp. 27-49.19

Il decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, convertito il 30 luglio dalle Camere, avevaprevisto una manovra da 24,9 miliardi di euro, per difendere il Paese dalla crisi dell’euro. Adanno soprattutto dei dipendenti pubblici che si videro congelare lo stipendio per 3 anni;mentre sui dirigenti scattava una decurtazione del 10%. Tuttavia tale manovra escluse alcu-ne categorie, ed è in tali frangenti che si misura la forza di ogni corporazione. Furono salva-te le banche, verso cui il decreto governativo introduceva nuove tasse, poi eliminate in sededi conversione. In secondo luogo i partiti: inizialmente il rimborso per le loro spese elettoraliavrebbe dovuto subire un taglio del 50%, poi del 20, infine si è fermato al 10%. Infine le pro-vincie: ne dovevano essere eliminate una decina, ma poi la cancellazione fu rinviata.

Passando al 2011, in quell’anno le manovre furono quattro.Furono intaccate dapprima le società che gestiscono i pedaggi autostradali, abbas-

sando all’1% il limite alla deducibilità degli ammortamenti sugli investimenti delle conces-sionarie; successivamente il provvedimento fu ritirato sotto la spinta dell’amministratoredelegato di Atlantia e del presidente dell’Aiscat. Come fu ritirata la proposta di abolire gliordini professionali: il presidente del consiglio nazionale forense Guido Alpa, espresse il suosdegno; il presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura, Maurizio de Tilla, fece lo stes-so. Seguirono il presidente del Collegio nazionale dei periti agrari, Andrea Bottaro ed il pre-sidente della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani. Tutti questi presidenti, attraver-so 22 avvocati-senatori scrissero una lettera al Presidente del Senato-avvocato RenatoSchifani, e fecero rinviare tutto alle generazioni successive.

Il mese dopo seguì la manovra di agosto, che stabiliva un contributo di solidarietà peri redditi più alti, bollato come “iniquo” da Confindustria e Federmanager, facendo sì che ilcontributo rimanesse ma solo per i dipendenti pubblici, in spregio al principio di uguaglianza.

Ma l’eguaglianza spesso non è rispettata nel paese delle corporazioni, come è dimo-strata da queste ultime manovre.

Come ultimo esempio del gioco delle lobbies si possono portare le manovre del gover-no tecnico di Monti (2011-2012), che ha approvato due decreti il decreto “Salva Italia”(2011) e quello “Cresci Italia” (2012), contro l’armata delle corporazioni.

Durante l’approvazione della manovra del 2011 in Parlamento caddero: le liberalizza-zioni dei taxi e quella dei farmaci di fascia C; il divieto per le banche di vendere mutui conassicurazione; l’aumento della tassa sul lusso che colpiva barche e macchine più potenti(sotto la pressione delle case automobilistiche e navali); non fu approvata l’abolizione degliordini professionali.

Tuttavia il governo Monti continuò il suo lavoro con il secondo decreto del 2012, maanche in questo caso, l’esecutivo aveva realizzato una bozza, che passò in mano ai partiti,

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i quali, subendo la pressione delle l o b b y, a loro volta fecero pressione sul governo per atte-nuare le misure più spinose; come nel caso dei pedaggi autostradali: il governo voleva intro-durre il metodo internazionale del price cap per calcolarne la misura, ma lo fece soltanto perle nuove concessioni, ciò dopo che sarà scaduta quella della società Autostrade nel 2038.

Altro esempio è quello del decreto Balduzzi contro tabaccai, agenzie di gioco d’azzar-do, produttori di bibite, i quali ottennero, rispettivamente: la cancellazione della proposta deldivieto di farsi pubblicità durante la fascia protetta, del limite di 200 metri di distanza dallescuole e della tassa di 7,16 euro ogni cento litri di bevande gassate.

Cambiando i governi, i protagonisti sono sempre gli stessi, come le banche. Un emen-damento del decreto legge del governo aveva azzerato le commissioni bancarie; tuttavia lostesso giorno in cui entrò in vigore la legge di conversione del decreto, un altro decreto diMonti le ha ripristinate, dopo che i vertici dell’Abi si erano dimessi in blocco 58.

Le principali caratteristiche del lobbismo italiano sono, quindi, così individuate: innan-zitutto, è una tipologia di rappresentanza priva di disciplina positiva; in secondo luogo, èuna forma di pressione che risente alquanto della cultura politica nazionale; inoltre, è unmodello di relazione istituzionale più orientato all’esercizio dell’influenza come relazionesociale che alla comunicazione come processo; infine, è un sistema basato sui rapportidiretti e immediati tra lobbista e decisore piuttosto che su forme indirette di pressione 59.

3.2. Cause della proliferazione delle lobbies e conseguenze del fenomenoDall’analisi appena effettuata, emerge con evidenza che governi sia di destra che di

sinistra non sono riusciti a porre alcun margine al potere delle lobbies.I fattori che hanno inciso sulla proliferazione del potere delle corporazioni sono molteplici.In primo luogo, uno dei motivi può essere considerato l’atteggiamento che sia la

destra che la sinistra hanno verso l’idea di eguaglianza. La prima ritiene che le disegua-glianze rappresentino un dato di fatto insopprimibile, la seconda nutre l’opposta convinzio-ne. La destra finisce per accogliere un concetto del tutto formale del principio di eguaglian-za: quello che tratta gli uomini come se fossero uguali, anche quando non lo sono, limitan-do le misure di favore per i più deboli. Da qui una certa riluttanza verso, ad esempio, mano-vre antitrust, in nome della libertà di mercato, sicché i monopoli si rafforzano e le categoriefanno cartello.

58 M. AINIS, cit., pp. 113-131.59 M. C. ANTONUCCI, Rappresentanza degli interessi oggi. Il lobbying nelle istituzioni politiche europee ed ita -liane, Roma, 2012, p. 110.

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Quanto alla sinistra, nel suo orizzonte ideale c’è quello di raggiungere un’eguaglianzadi fatto e non solo di diritto. Questo significa ribellarsi allo status quo, e perciò l’interventomassimo dello Stato, cui spetta di riequilibrare le disparità tra i gruppi e gli individui, rimuo-vere le posizioni di svantaggio, soccorrere i più deboli attraverso leggi settoriali. Con unadoppia conseguenza, tuttavia. In primo luogo la rinunzia ad una legislazione generale, vali-da per tutti i cittadini; e così le lobbies trovano l’alibi perfetto e il clima normativo più propi-zio per ottenere a loro volta vantaggi su misura. In secondo luogo, l’ipertrofia della legisla-zione, giacché tutte le fasce sociali vengono sottoposte ad un abbraccio asfissiante daparte del diritto. Infatti ogni strumento di protezione finisce per rallentare la maturazione delsoggetto protetto, impedendogli di godere del diritto che invece si vorrebbe rinforzare 60.

Sia per la destra che per la sinistra, l’oggetto dell’intervento politico deve essere sem-plicemente di cercare di migliorare le condizioni dei cittadini e non porre come traguardo l’il-lusoria condizione dell’uguaglianza economica 61.

Il secondo fattore è rappresentato dalla debolezza del sistema politico italiano e soprat-tutto dal vuoto di legittimazione in cui sono incorsi i partiti politici e che li rende più permea-bili alle pressioni delle l o b b i e s. Tale crisi dei partiti è dovuta, da un lato, al fatto che essihanno perso le loro identità collettive, finendo per rappresentare un coacervo di interessi;dall’altro lato è dovuta al mutamento della struttura degli stessi, essendo diventati policentri-ci e disgregati in varie fazioni, collegate a personaggi diversi. Ne deriva che le minoranzeparlamentari possono ottenere facilmente tutela legislativa per i loro specifici interessi 6 2.

Un ultimo fattore è costituito dalla debolezza dello Stato italiano, divenuto poco auto-revole, soprattutto a causa di un processo legislativo macchinoso, che apre numeroseoccasioni di influenza dei gruppi organizzati. E inoltre, 20 parlamenti legislativi regionali (22,con le province di Trento e di Bolzano) che legiferano su qualsiasi aspetto della vita econo-mica e sociale, finiscono per aprire ad interessi di parte.

Conseguenza diretta del potere delle lobbies è una grande diseguaglianza. Leggi spe-ciali per il Sud, aiuti di Stato, politiche di sussidio verso l’economia meridionale non hannoavuto alcuno degli effetti sperati. Come anche le liberalizzazioni e le manovre fiscali, bastipensare che nel periodo 2002-2010 gli stipendi dei dipendenti pubblici hanno ottenuto unincremento triplo rispetto al totale dei lavoratori dipendenti (Banca d’Italia 2011), oppure alfatto che lo stipendio medio di un lavoratore dipendente si aggira intorno ai 23 mila euro(Eurostat 2012), mentre molti manager ottengono buone uscite d’oro.

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60 N. BOBBIO, Destra e sinistra, Roma, 1994, p. 70.61 A. PIZZORNO, P. L. COSTA, B. SECCHI, cit., p. 20.62 A. PIZZORNO, I soggetti del pluralismo, Bologna, 1980, p. 40.

Questa disparità di trattamento non solo mette in crisi l’unità degli italiani, ma ne affos-sa pure l’economia.

La prova delle sempre maggiore diseguaglianza a causa dell’esistenza di privilegiingiustificati è data dal contenzioso di legittimità costituzionale davanti la Consulta: in 56anni di sentenze, l’art. 3 della Costituzione è stato il parametro invocato in un terzo dellesentenze.

E una Repubblica che invece di avversare le corporazioni conferisce loro dignità diistituzioni pubbliche finisce col divenire degenerata 63.

4. Possibili limiti alla forza delle corporazioniLa conseguenza di questo scenario così delineato è, dunque, una forte diseguaglian-

za tra le varie corporazioni, sicuramente a favore di quelle più forti e che detengono il mag-giore peso economico.

In una tale situazione si è persa l’attenzione per l’interesse generale, per concentrar-si sulla protezione degli interessi di alcune categorie.

Sarebbero possibili, però, alcuni correttivi per potere riequilibrare il sistema e cercaredi porre fine a tutta una seri di privilegi non giustificati.

Si dovrebbe, in primo luogo, ripristinare il ruolo centrale che la legge riveste in unoStato democratico, in cui essa «deve essere eguale per tutti, sia che protegga, sia che puni-sca» (art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino), in modo tale che nessu-na norma giuridica possa introdurre differenze ingiustificate nella platea dei cittadini. AlParlamento non dovrebbe essere concessa la possibilità di attribuire poteri autonomi ai pri-vati: se le corporazioni possono produrre norme vincolanti per i propri associati significa chedetengono il potere di differenziare i cittadini, introducendo diseguaglianze, attraverso unmeccanismo incontrollabile dal corpo elettorale. Per far sì che ciò avvenga, non basta unalegge generale sulle lobby, ma sarebbe opportuno ribaltare il primato dell’eccezione sullaregola, rendendo impervia la concessione di favori. Per ottenere tale risultato servirebbe undoppio onere per il legislatore. In primo luogo, l’obbligo di motivazione espressa per ognilegge che deroghi ad un’altra legge generale. Se si vuole eguagliare non occorre un moti-vo specifico, ma per differenziare sì 64. In secondo luogo bisognerebbe pretendere una spe-ciale maggioranza per ogni legge di deroga: se non la maggioranza qualificata, almenoquella assoluta 65.

63 È. J. SIYÉS, Cos’è il terzo Stato, Paris, 1789.64 I. BERLIN, Equality, London, 1969, p. 53.65 C. PERLMAN, Egualité et justice, Paris, 1971, pp. 14-15.

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Inoltre, per porre fine o limitare il potere delle corporazioni, si dovrebbe evitare che iparlamentari siano esponenti delle corporazioni e garantire che essi rappresentino laNazione come sancisce l’art. 67 della Costituzione 66. Nella pratica succede, tuttavia, il con-trario: nella XIV legislatura (2001-2006) un parlamentare su tre era iscritto ad un ordine pro-fessionale; in quella successiva (2006.2008) 53 deputati e 27 senatori provenivano da orga-nizzazioni sindacali. La XVI legislatura (2008-2013) ha visto 133 avvocati, 53 medici, 4 far-macisti e notai, 23 commercialisti, 13 architetti, 90 giornalisti (il 44% dei parlamentari, cioè,era iscritto in un albo) 67.

E per potere evitare ciò si potrebbero, per esempio rafforzare gli istituti di democraziadiretta, come il referendum abrogativo, abolendo il quorum della validità della consultazio-ne; oppure introdurre il referendum propositivo; o prevedendo l’istituto del recall, per revo-care gli eletti immeritevoli.

Si potrebbe, ancora, garantire una sede di rappresentanza degli esclusi trasformandoil Senato in una sorta di “Camera dei cittadini”, riflettendo il profilo social-demografico delpaese, lasciando immutata la Camera dei deputati a cui si affiancherebbe questa cameracon compiti di controllo e di verifica.

Infine, è stato suggerito da alcuni autori di inserire nel testo costituzionale una previ-sione di principio sui gruppi di pressione. La collocazione ideale appare l’art. 67, sul divie-to di mandato imperativo, a cui si potrebbe aggiungere un secondo comma così sobriamen-te formulato: «Con legge ordinaria sono stabilite le norme sull’attività dei gruppi di pressio-ne, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, non discriminazione, correttezza ed integrità».

La legge ordinaria di attuazione dell’art. 67, secondo comma, dovrebbe quindi discipli-nare nel dettaglio l’attività di l o b b y i n g, prevedendo, in particolare: la definizione di lobbista edi l o b b y i n g; la creazione di un registro dei gruppi di pressione accreditati; la definizione diadeguate regole di condotta; la previsione di obblighi stringenti di trasparenza; la predispo-sizione di un appropriato e proporzionato sistema sanzionatorio. Gli stessi regolamenti par-lamentari, resi omogenei sul punto, dovrebbero essere integrati da previsioni relative ai grup-pi di pressione, e gli stessi presidenti dovrebbero adottare, tramite circolare, misure volte adisciplinare l’accesso alle sedi istituzionali da parte dei rappresentanti delle l o b b i e s 6 8.

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66 W. BAGEHOT, Parliamentary Reform, London, 1883, pp. 22-23.67 M. AINIS, cit., p. 163.68 Q. CAMERLENGO, cit., p. 48.