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Sommario: 1. Introduzione - 2. Globalizzazione tra omogeneità, unilateralismo, fram - mentazione: un percorso interpretativo - culturale contraddittorio - 3. Globalizzazione e glo - calizzazione: una chiave di lettura di un fenomeno di integrazione culturale - 4. Globalizzazione come mobilità sociale: un approccio multidisciplinare - 5. Il collasso delle istanze democratiche: il crollo dello Stato-nazione - 6. Uno sguardo al processo di globaliz - zazione-regionalizzazione in ambito giuridico-politico-istituzionale 1. Introduzione In un tempo come il nostro, quello della “seconda modernità”, della “modernità radicale” o, secondo altri, del post-moderno 1 , le questioni sollevate dai processi di mondializzazione, di globalizzazione culturale e le nuove dinamiche relazionali tra dimen- sione universale e dimensione locale costituiscono senz’altro il nucleo centrale delle rifles- sioni sociologiche, antropologiche, economiche e giuridiche. Nel corso dell’ultimo decennio, il termine globalizzazione ha assunto, nell’ambito di una vasta quanto controversa letteratura sul tema, la funzione di una categoria esplicativa piuttosto generica, di un concetto paradigmatico, per così dire, come se, da solo, esso fosse capace di attribuire un significato positivo o negativo - alla transizione dell’umanità verso il terzo millennio. L’uso ripetuto e, spesso, retorico ed ideologico, del termine in parola comporta, tutta- via, il rischio dell’inflazione linguistica e della polisemia concettuale, con l’inevitabile incipit di controversie politiche e dottrinali. Nella polisemia interpretativa che ne costituisce l’ humus strutturale, il tratto comu- ne del concetto di globalizzazione è senza dubbio l’idea di un processo che, nell’etero- geneità degli ambiti sociali ai quali viene applicato, tende, comunque, ad un ideale “uni- tario” ed “omnicomprensivo” delle manifestazioni planetarie. Il processo di globalizzazione tra spinte alla frammentazione ed al conflitto e aperture verso l’ordine e l’armonizzazione: un approccio socio-giuridico-economico Massimo Pellingra Contino Avvocato. Dottore di ricerca in diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente. Cultore di diritto pubblico ed amministrativo 1 A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 71 ss., secondo il Quale la globa- lizzazione è “l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa”. 1

Il processo di globalizzazione tra spinte alla ...extranet.dbi.it/Archivio_allegati/Allegati/14696.pdf · zazione-regionalizzazione in ambito giuridico-politico-istituzionale 1. Introduzione

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Sommario: 1. Introduzione - 2. Globalizzazione tra omogeneità, unilateralismo, fram -

mentazione: un percorso interpretativo - culturale contraddittorio - 3. Globalizzazione e glo -

calizzazione: una chiave di lettura di un fenomeno di integrazione culturale - 4.

Globalizzazione come mobilità sociale: un approccio multidisciplinare - 5. Il collasso delle

istanze democratiche: il crollo dello Stato-nazione - 6. Uno sguardo al processo di globaliz -

zazione-regionalizzazione in ambito giuridico-politico-istituzionale

1. Introduzione

In un tempo come il nostro, quello della “seconda modernità”, della “modernità

radicale” o, secondo altri, del post-moderno 1, le questioni sollevate dai processi di

mondializzazione, di globalizzazione culturale e le nuove dinamiche relazionali tra dimen-

sione universale e dimensione locale costituiscono senz’altro il nucleo centrale delle rifles-

sioni sociologiche, antropologiche, economiche e giuridiche.

Nel corso dell’ultimo decennio, il termine globalizzazione ha assunto, nell’ambito di

una vasta quanto controversa letteratura sul tema, la funzione di una categoria esplicativa

piuttosto generica, di un concetto paradigmatico, per così dire, come se, da solo, esso

fosse capace di attribuire un significato positivo o negativo - alla transizione dell’umanità

verso il terzo millennio.

L’uso ripetuto e, spesso, retorico ed ideologico, del termine in parola comporta, tutta-

via, il rischio dell’inflazione linguistica e della polisemia concettuale, con l’inevitabile incipit

di controversie politiche e dottrinali.

Nella polisemia interpretativa che ne costituisce l’humus strutturale, il tratto comu-

ne del concetto di globalizzazione è senza dubbio l’idea di un processo che, nell’etero-

geneità degli ambiti sociali ai quali viene applicato, tende, comunque, ad un ideale “uni-

tario” ed “omnicomprensivo” delle manifestazioni planetarie.

Il processo di globalizzazione tra spinte alla frammentazione edal conflitto e aperture verso l’ordine e l’armonizzazione: unapproccio socio-giuridico-economicoMassimo Pellingra ContinoAvvocato. Dottore di ricerca in diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente. Cultore didiritto pubblico ed amministrativo

1 A. Giddens, Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 71 ss., secondo il Quale la globa-lizzazione è “l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì chegli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa”.

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Una retorica, largamente divulgata dai mezzi di comunicazione di massa occiden-

tali, tende a presentare la globalizzazione come un processo lineare ed irreversibile e

ad accreditare come imminente l’effettiva integrazione culturale, politica ed economica

della società globale.

Basti pensare ad espressioni semantiche come global civil society o global village per

rendersi conto che trattasi di parole d’ordine di una corale apologia della globalizzazione,

utilizzate ormai ripetutamente anche nel lessico internazionale 2.

Questa retorica, però, ha comportato la sottovalutazione della circostanza che la

crescente omologazione di alcuni fattori sociali - stili di vita, forme linguistiche e cultura-

li, ideologie politiche, modelli di produzione e di consumo - non implica conseguentemen-

te ordine e integrazione.

Al contrario, una pressione verso una omologazione dei valori può generare resisten-

za, disordine e violenza. In taluni casi essa sembra stimolare fenomeni di rigetto, di seces-

sione ed isolamento da parte di soggetti, Stati, gruppi etnici, minoranze linguistiche o reli-

giose, che difendono la propria identità e rivendicano l’autonomia del proprio spazio “loca-

le” contro l’invadente contaminazione “globale”.

2. Globalizzazione tra omogeneità, unilateralismo, frammentazione: un percorso

interpretativo - culturale contraddittorio

Sempre più di frequente, infatti, ci si imbatte nella duplice problematica della globaliz-

zazione e della frammentazione e da molti autori viene rilevato come il processo di globa-

lizzazione a volta divida e frammenti piuttosto che unisca.

Si rifletta sul pensiero di Ian Clark secondo cui l’ondata della globalizzazione “designa

mutamenti relativi sia all’intensità che alla portata delle interazioni internazionali”: nella prima

accezione, la globalizzazione si sovrappone in parte ad altri concetti come integrazione,

interdipendenza, multilateralismo, apertura e intercomunicazione; in un diverso inquadra-

mento semantico, esso rimanda alla diffusione geografica di queste tendenze e assomiglia

a concetti come globalismo, compressione spaziale, universalizzazione e omogeneità.

La frammentazione non è che l’opposto della globalizzazione e presenta le stesse due

dimensioni: da una parte, il concetto rimanda alla “disgregazione, alla autarchia, all’unilate-

ralismo, alla chiusura e all’isolamento; dall’altra, denota una tendenza verso il nazionalismo

o il regionalismo, la distensione spaziale, il separatismo e l’eterogeneità.”

2

2 Cfr. M. Kaldor, Global Civil Society, Polity Press, Cambridge 2003, p. 20 ss..

Secondo la riflessione sociologica di Clark 3, la globalizzazione sarebbe fenomeno in

costante diatriba con quello della localizzazione che si caratterizza sia nei sopra citati ter-

mini di tendenza alla disgregazione, all’autarchia e all’isolamento, sia nei termini di separa-

tismo etnico-nazionalistico e di integrazione regionale.

Nel solco dei cultural studies, anche Clifford Geertz si imbatte nella constatazione

secondo la quale il mondo attuale vive il paradosso per cui ad una crescente globalizza-

zione dell’economia 4 e della comunicazione si accompagna il moltiplicarsi delle differenze

e delle divisioni culturali delle quali i conflitti etnici e quelli religiosi sono la manifestazione

più drammatica ed esasperata.

L’osservazione della realtà, allora, più che restituirci un nuovo ordine globale, ci rimanda

ripetutamente l’immagine di un “mondo in frammenti”, “screziato”, variegato, frutto di uno iato

frutto di schegge e pezzi che non possono più essere ordinati e ricompresi in un unicum dopo

la caduta dei blocchi ideologici, della cortina delle barriere e delle ideologie del Novecento.

In tanti casi ed ipotesi si è parlato di flussi della globalizzazione, di significati moltepli-

ci di un fenomeno scomposto, mai ordinato ed in continuo itinere.

In questo modo, l’analisi di Geertz 5 dà spessore teorico alla tesi di un duplice movi-

mento di globalizzazione nel significato di frammentazione poiché “quanto più le cose si

avvicinano le une alle altre, tanto più rimangono separate e il mondo dell’interconnessione

globale rappresenta una realtà tanto remota quanto lo è la società senza classi”.

Altre linee di pensiero riconducibili a Ulf Hannerz si incentrano sulla circostanza che ciò

che si sta sviluppando su scala mondiale non è un processo di integrazione culturale ma

fenomeni complessi e turbolenti di segmentazione, ibridazione e sdoppiamento culturale.

Tutto questo non sarebbe riconducibile alla tesi dell’unificazione culturale del pianeta

ma si caratterizzerebbe per il tratto dinamico e, spesso, conflittuale dell’interazione culturale.

E’ certo che il fenomeno della globalizzazione nel suo significato letterale rimanda let-

teralmente all’incremento dell’interconnessione culturale ma è opportuno prendere atto che,

almeno localmente, possono esistere vicende di deglobalizzazione.

3 I. Clark, Globalizzazione e frammentazione, il Mulino, Bologna 2001, p. 10.4 M. Rosaria Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, 2000, p. 11 ss. In particolare secondol’Autrice, la globalizzazione è da considerare non tanto come fenomeno che condiziona l’assetto delle rela-zioni economiche ma come vicenda che coinvolge effetti significativi nella sfera istituzionale. Pensiamo al rap-porto tra politica ed economia, su cui si radica nettamente il processo di globalizzazione, ai mutamenti nelloscenario istituzionale che rimandano sia alla sfera statale sia al sistema giuridico.5 C. Geertz, Mondo globale, mondi locali, il Mulino, Bologna 1999, p. 59; A. C. Aman Jr., The GlobalizingState: A Future.Oriented Perspective on the Public - Private distintion, Federalism and Democracy, in“Vanderbilt Journal of Translational Law”, Vol. 31, n. 4 ottobre 1998; E. Severino, La tendenza fondamentaledel nostro tempo, Milano, Adelphi, 1988, 30 ss..

3

Non si può parlare di irreversibilità di un processo che al contrario è reversibile.

In alcuni casi, da parte di certi paesi eterogenei per tradizioni culturali sono state scel-

te politiche di autoesclusione, di sganciamento: un genus di controglobalizzazione che è in

rapporto dialettico con la globalizzazione stessa.

La globalizzazione, insomma, non è affatto un concetto statico ma dinamico e può

andare avanti o tornare indietro; si manifesta, inoltre, sotto diverse angolature e sfaccetta-

ture, essendo segmentata e peculiarmente variabile, al punto che si può parlare di globa-

lizzazioni differenti per mondi differenti.

La globalizzazione è quindi un processo che investe anche la cultura attraverso feno-

meni di diffusione non perimetrabili ma liberi in senso ai quali la contrapposizione tra loca-

lizzazione e globalizzazione perde il significato concettuale, per acquisirne uno diverso,

frutto della condivisione di ideologie culturali, di subculture e controculture, di produttività

culturali tendenzialmente diverse, risultato a loro volta di spinte culturali spesso opposte.

In una parola, essa è il risultato di linguaggi culturali diversi, magari conflittuali ma che

rappresentano la caratterizzazione saliente delle città contemporanee, protagoniste dei

fenomeni di contaminazione culturale.

Quindi, se è possibile tendenzialmente procedere verso la costituzione di una cultura

globale, questa deve essere intesa come l’interconnessione di differenti culture locali o

anche come lo sviluppo di culture che non sono ancorate a nessun territorio 6.

Hannerz 7 - per semplicità di esposizione - non considerava i topoi “globale” e “locale”

come necessariamente contrapposti ma, piuttosto, ne coglieva la dimensione dialettica, tipi-

ca, peraltro, della riflessione che segue l’approccio cosiddetto globale.

Nell’ambito dei menzionati quadri teorici, diversi ma non incompatibili, la globalizzazione

viene pensata e concepita, dunque, non come una tendenza lineare e priva di fratture ma come

un processo discontinuo, conflittuale e, al pari di ogni altro processo storico, anche reversibile.

Al suo interno, spinte globaliste e nuove forme di localismo interagiscono sul piano

culturale e non solo, così come testimonia l’ampio dibattito che impegna antropologi e teo-

rici della cultura anglosassoni.

La considerazione comune a tutte queste riflessioni è che la globalizzazione non spin-

ga né verso un radicale relativismo cognitivo, né verso la cosiddetta McDonaldization of

society, secondo lo stereotipo divulgato da George Ritzer 8.

4

6 Cfr. A. Giddens, op. cit. che rimanda alle riflessioni di S. Strange, States and Markets, London, Pinter, 1994,p. 95 ss.; vedi anche S. Strange, Chi governa l’economia mondiale?, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 57 ss..7 U. Hannerz, La diversità culturale, il Mulino, Bologna 2001, pp. 21-22.8 G. Ritzer, Il mondo alla Mc-Donald’s, il Mulino, Bologna 1997.

E’ vero tuttavia che il pensiero di Ritzer non sembra confacente alla realtà in quanto

la globalizzazione culturale non sembra produrre tout court l’occidentalizzazione del

mondo, e quindi la standardizzazione dei modelli e stili di vita, dei simboli culturali e dei

comportamenti al di là dei particolarismi locali come conseguenza più prossima della glo-

balizzazione economica 9.

3. Globalizzazione e glocalizzazione: una chiave di lettura di un fenomeno di

integrazione culturale

Nell’era della globalizzazione sta emergendo in controtendenza, ma non sempre in oppo-

sizione ai movimenti e processi di integrazione culturale, un nuovo slancio delle culture locali.

L’interconnessione tra influenze globali e locali è presente in tutti gli aspetti della vita

sociale e l’analisi di questa spinta di segno opposto, configurata da Roland Robertson con

il termine di origine giapponese di glocalizzazione, è di estrema rilevanza per la compren-

sione del fenomeno della globalizzazione sotto l’accezione sociologica della combinazione

e della sintesi tra il globale e il locale.

Sviluppando il concetto dell’universalismo mediante il particolarismo e del particolari-

smo mediante l’universalismo, Robertson 10 afferma che le istituzioni sociali si diffondono a

livello planetario attraverso un processo di c.d. riproduzione attiva in tutto il mondo. Si trat-

ta di un momento molto importante in quanto gli individui sono soggetti attivi, anziché pas-

sivi, soprattutto se si inquadrano nei processi di riproduzione delle istituzioni sociali, in forza

di un background di influenze e condizionamenti culturali locali.

Le istituzioni sociali, su scala globale, sono rese adattabili in quanto aperte e sensibi-

li ai flussi culturali sia globali, sia locali.

E’ di netta rilevanza pertanto che un sistema di istituzioni globalizzate, una volta crea-

to, è soggetto ad una varietà di contro- influenze.

Il processo culturale globale, risultato di una costante interazione tra tendenze uni-

versali e approcci particolaristici, non è da intendersi come processo statico ma come

processo dialettico, in itinere nel corso del quale elementi contradditori sono portati ad

una conductio ad unitatem in quanto, secondo Robertson, il locale e il globale, si richia-

mano reciprocamente.

Non si può quindi analizzare il fenomeno globale solo nei suoi aspetti economici,

cioè come un’ideologia sostanzialmente capitalista e neoliberista, ma è necessario

9 Vedi I. Wallerstein, Il sistema mondiale dell’economia moderna, Bologna, Il mulino, Vol. I (1978), II (1982) eIII (1995), pp. 41 ss.. Si rammenti a tal proposito che il concetto di economia mondiale era stato già introdot-to da F. Braudel con riferimento all’economia del Mediterraneo nel XVI secolo. 10 R. Robertson, Globalizzazione. Teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste 1999, p. 141 e ss..

5

cogliere la trasversalità del fenomeno, i suoi variegati aspetti multidimensionali, le sva-

riate dimensioni sociali ed economiche.

Solo in quest’accezione si può parlare di glocal cioè recuperando la dimensione socia-

le e culturale della globalizzazione. La glocalizzazione è un concetto fortemente autolimitan-

te: d’altronde, è la stessa globalizzazione che, in un certo senso, ostacola se stessa se si

pensa alle innumerevoli voci di contestazione diffusi in tutto il mondo mentre - sembra anti-

nomico ma non lo è - ha favorito l’idea di locale. Paradossalmente è proprio la contestazio-

ne alla spinta globale che ha prodotto dappertutto l’attenzione ai particolarismi locali 11.

Il concetto di glocalizzazione così sembra essere adeguato a descrivere e a contene-

re le molteplici trasformazioni del nostro tempo.

L’universalizzazione e l’unificazione su scala mondiale di istituzioni, simboli, stili di

comportamento e la valorizzazione e la riscoperta, anzi la difesa delle culture e delle iden-

tità locali, sembra non costituire, dunque, una contraddizione 12 senza dubbio evidente ma

al medesimo tempo un dato fenomenico per poter leggere dialetticamente i fenomeni loca-

li e globali al tempo stesso.

Alla luce di queste considerazioni si potrebbe quindi affermare che il concetto di glo-

calizzazione, nato soprattutto per interpretare fenomeni principalmente culturali sembra

essere diventato un paradigma teorico che è possibile utilizzare per interpretare dinamiche

socio-giuridiche complesse.

Bauman, per esempio, complica e arricchisce il concetto di globalizzazione come

“Integrazione e frammentazione, globalizzazione e territorializzazione sono processi recipro -

camente complementari; per essere anche più precisi, due lati dello stesso processo; quel -

lo della redistribuzione su scala mondiale della sovranità, del potere e della libertà di agire”.

Seguendo il pensiero di Robertson, sarebbe preferibile parlare di glocalizzazione piut-

tosto che di globalizzazione, di “un processo all’interno del quale il coincidere e l’intrecciar-

si di sintesi e di dispersione, d’integrazione e di scomposizione, sono qualsiasi cosa che

accidentali, ed ancor meno modificabili”.

La relazione semantica globale-locale è, più specificamente, l’espressione di una

nuova stratificazione della popolazione mondiale in ricchi globalizzati e poveri localizzati.

Bauman 13, infatti, riflette sul legame tra globalizzazione e l’avvento ed il persistere delle

diseguaglianze nella dimensione spaziale e temporale.

6

11 “La necessità di fare mente glocale”, intervista a Roland Robertson a cura di Donatella Della Ratta, ilManifesto, 1/06/04.12 H. Finney Botti, Doni malintesi. Aspettative asimmetriche in un transplant giapponese in Italia, in Rassegnaitaliana di sociologia, XXXVII, n. 1, gennaio-marzo, 1996. 13 Z. Bauman, Globalizzazione e glocalizzazione, Armando Editore, Roma 2005.

La conquista della globalizzazione, nei termini dinamici di continuo movimento e di

azione, non è certamente - come accennato- una condizione generale ed unificante: per

alcuni, per pochi invero, la globalizzazione segnala nuove libertà, mentre per altri, i tanti,

essa rappresenta una riduzione alla dimensione locale.

4. Globalizzazione come mobilità sociale: un approccio multidisciplinare

La mobilità sociale diventa il principale fattore di stratificazione sociale nei nostri

tempi, forse il criterio più importante con cui si costruiscono le nuove gerarchie sociali, poli-

tiche, economiche e culturali.

Al processo emergente di una scala mondiale per l’economia, la finanza, il commer-

cio e l’informazione, si affianca, infatti, un processo di localizzazione, che impone, al con-

trario, nuovi vincoli spaziali.

Nel definire la globalizzazione come “l’intensificazione di relazioni sociali mondiali che

collegano tra loro località distanti facendo in modo che gli eventi locali vengano modellati

dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa”, Giddens

denuncia i rischi legati al processo di “stiramento” delle relazioni sociali.

Nell’ipotesi in cui i rapporti sociali sono stirati nello spazio e nel tempo, infatti, gli indi-

vidui rischiano di perdere la capacità del controllo diretto sulle condizioni delle proprie azio-

ni che possono cambiare in conseguenza di decisioni prese all’esterno del contesto quoti-

diano e diretto di interazione.

Il sociologo inglese definisce questo modello come “dis-embedding”, ossia deconte-

stualizzato, disaggregato, non inglobato che, a sua volta, conduce a processi di “re-embed-

ding”, attraverso i quali le relazioni sociali vengono ridefinite in forza di coordinate spazio-

temporali più ristrette e facilmente riconoscibili.

Questo può comportare anche la formazione di nuove subculture o la rivitalizzazione

di identità locali che riattribuiscono fiducia alle interazioni della vita quotidiana.

In altri termini, la comunità globale non sarebbe il frutto di un processo di omologazio-

ne culturale, ma il risultato della condivisione dei rischi globali e della partecipazione degli

individui agli avvenimenti planetari.

In un certo senso è figlio dei nostri tempi il senso di alienazione dell’individuo cosmo-

polita, transnazionale, che avverte sempre più, il venir meno del senso di appartenenza alla

comunità nazionale, cui corrisponderebbe, quindi, il rafforzamento di un’identità globale 14.

14 Z. -, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma - Bari 2001, p. 21-22; A.Giddens, Le conseguenze della modernità, il Mulino, Bologna 1994, p. 71 ss..

7

La transnazionalizzazione conferirebbe una nuova importanza al localismo territoria-

le: la dimensione locale e la dimensione globale prevalgono su quella nazionale e la nazio-

ne non è più punto di equilibrio tra lo spazio locale ed il resto del mondo.

Così potrebbe essere spiegato lo sviluppo recente di movimenti culturali e politici che

fanno riferimento a radici etniche regionali e il riaccendersi dei nazionalismi e regionalismi

in Europa e in altre parti del mondo.

“La trasformazione locale è una componente della globalizzazione perché rappresen-

ta l’estensione laterale delle connessioni sociali nel tempo e nello spazio. [...] Il risultato non

è per forza di cose una serie generalizzata di mutamenti che agiscono in direzione univo-

ca, bensì una serie di tendenze reciprocamente opposte. [...] Nello stesso tempo in cui le

relazioni sociali subiscono uno stiramento laterale assistiamo, nell’ambito stesso del pro-

cesso, al rafforzamento delle pressioni per ottenere una maggiore autonomia locale e un’i-

dentità culturale regionale” 15.

La nozione di riaggregazione è a contrario definita come “la riappropriazione o la rimo-

dellazione di relazioni sociali disaggregate in modo da vincolarle (anche se parzialmente o

in via transitoria) alle condizioni di spazio e di tempo”.

Il concetto di glocalizzazione, allora, si riferirebbe al complesso di sconfinamenti e tra-

valicamenti da un lato, e alla riscoperta di valori e tradizioni locali, dall’altro.

La globalizzazione sarebbe da intendere come de-localizzazione, la quale consta di

una ri-localizzazione; il passaggio dalla prima alla seconda modernità 16, rimanda al concet-

to globale di “processo che non va inteso come lineare, totale e omnicomprensivo ma piut-

tosto come contingente, conflittuale e dialettico-glocale”.

Anche Ralf Dahrendorf 17 definisce la globalizzazione come una “tendenza ambigua,

duale, nella quale la gente è attratta verso il più vasto mondo ma anche verso il conforto

del vicino più prossimo”. Egli chiama questa tendenza, appunto, “glocalizzazione” e signifi-

ca che: “simultaneamente, noi assistiamo da un lato ad un’emigrazione della decisione poli-

tica dagli Stati nazionali verso l’esterno, verso sedi molto spesso sconosciute o remote; e

dall’altro, a una corrispondente frammentazione della decisione politica verso l’interno, in

direzione di unità politiche che spesso non sono intrinsecamente democratiche”.

8

15 A. Giddens, Le conseguenze della modernità, cit., p. 71.16 S. Sibey, “Let Them Eat cake”: Globalization, Post-modern Colonialism and the Possibilities of Justice, in“Law and Society Review”, Vol. 31, n. 2, 1997; P.G. Monateri, Globalizzando il diritto, in “Biblioteca dellalibertà”, n. 146, settembre-ottobre 1998.17 R. Dahrendorf, Dopo la democrazia. Intervista a cura di Antonio Polito, Laterza, Roma- Bari, pp. 25-27.

5. Il collasso delle istanze democratiche: il crollo dello Stato-nazione

La crisi della democrazia è, dunque, strettamente legata alla crisi dello Stato-nazione,

una crisi che egli riconduce alle dinamiche della glocalizzazione ossia al duplice processo di

erosione della sovranità nazionale, da un lato verso l’esterno degli ordinamenti nazionali,

dall’altro verso il loro interno.

Lo stato, cioè, sembra sottoposto a spinte che provengono sia dal basso che dal-

l’alto e l’idea che va consolidandosi è che sia diventato “troppo piccolo per i grandi pro-

blemi della vita e troppo grande per i piccoli problemi della vita”, così come rilevato dal

sociologo americano Daniel Bell.

Lo Stato nazionale, unità politica fondamentale della società moderna, ha diminuito la

propria capacità organizzativa e regolativa; il perimetro quindi di strutturazione dei fenome-

ni sociali, per certi aspetti, è diventato più grande e per altri aspetti, più piccolo.

Da un lato, dunque, gli Stati-nazionali non sono più in grado di affrontare i problemi

“globali” posti dai processi di integrazione: la garanzia della pace, la perequazione dello

sviluppo economico, l’utilizzazione razionale delle risorse, l’equilibrio ecologico, il conte-

nimento della spinta demografica, la repressione della criminalità internazionale, la prote-

zione dei diritti fondamentali 18.

Dall’altro lato, in seno ai singoli sistemi statali, le istanze di comunità territoriali che

cercano una propria affermazione per meglio realizzare determinate aspirazioni di tipo poli-

tico, economico e sociale, portano gli Stati a riconsiderare le proprie articolazioni istituzio-

nali attraverso la valorizzazione delle proprie componenti interne e sub-nazionali.

Nell’ambito dello spazio europeo, i processi di regionalizzazione, di pluralizzazio-

ne ed autonomia all’interno di contesti nazionali ed unitari 19 hanno modificato 20 profon-

damente gli equilibri costituzionali consolidati e hanno messo in crisi il tradizionale con-

cetto di Stato-nazione.

18 D. Archibugi, D. Beetham, Diritti umani e democrazia cosmopolitica, Milano, 1998, secondo cui la vittoriadella democrazia è incompleta se non si accompagna al rinnovato impegno di protezione dei diritti umani.All’interno dei più consolidati stati democratici, nei paesi in fase di transizione e nell’ambito della comunitàinternazionale, occorre evidenziare l’importanza della difesa dell’individuo; D. Archibugi, Re-ImaginingPolitical Community, Milano, 1998, p. 50 ss..19 B. De Sousa Santos, Stato e diritto nella transizione post-moderna. Per un nuovo senso comune giuridi -co, in “Sociologia del diritto”, n. 31/1990, p. 28-29; A. Spadaro, “Gli effetti costituzionali della c.d. “globalizza -zione”, M. Esposito, Le regole “discrete” della sovranità economica, in Politica del diritto, n. 3/1998. 20 G. Rebuffa, Nel crepuscolo della democrazia, Bologna, Il Mulino, 1991 passim.

9

6. Uno sguardo al processo di globalizzazione-regionalizzazione in ambito

giuridico-politico-istituzionale

Se procediamo, infatti, ad una lettura comparata delle carte costituzionali europee, ci

accorgiamo immediatamente che modifiche radicali sono state apportate principalmente

alla parte relativa alla organizzazione territoriale dello Stato, mentre alcune disposizioni

sono state inserite ex novo per legittimare il trasferimento di sovranità e competenze dagli

stati membri alla comunità europea.

In Italia il Titolo V della nostra Costituzione, che disciplina le linee essenziali dell’ordi-

namento delle autonomie locali, oggetto già della riforma del 2001 è stato e continua a

costituire oggetto di dibattito acceso e di progetti di revisione costituzionale.

Si tratta di processi che hanno ridisegnato il volto istituzionale di molti paesi europei

fino a complicare lo schema dei rapporti politici all’interno dell’Unione europea ed imporre

un ripensamento del ruolo delle autonomie locali.

Da un lato, dunque, si staglia la globalizzazione, dall’altro la regionalizzazione.

I poteri, prima esercitati nella sfera delle democrazie rappresentative stanno progres-

sivamente emigrando verso organizzazioni sovranazionali ed internazionali, sia politiche

che economiche, nei confronti delle quali non si scorge certamente il monitoraggio da parte

dei cittadini i quali non riescono ad esercitare forme di controllo dirette ed incisive.

Un numero sempre maggiore di decisioni rilevanti sia in riferimento alle politiche eco-

nomiche, commerciali e finanziarie che alle politiche della difesa e della sicurezza interna-

zionale vengono assunte in seno alle Nazioni Unite, alla Commissione europea e il

Consiglio, la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, il WTO, il G7, la NATO.

Da ciò sono conseguiti giochi di potere e prese di decisione assunti in tempi e luoghi

sempre più distanti, distaccati dal contesto dell’interazione diretta e democratica da parte

dei cittadini cioè dalla maggioranza “locale”.

Questa sensazione, che da un lato ha rafforzato l’orientamento internazionalistico di

gruppi minoritari, dall’altro ha indotto gruppi più o meno ampi o vere e proprie maggioran-

ze, a cercare nella propria sfera geografica più ristretta la soluzione ai problemi.

La progressiva globalizzazione e comunitarizzazione delle economie, unitamente al

processo di “collocazione” della decisione politica a livelli sempre più lontani, spinge verso il

rafforzamento delle comunità locali in risposta alla insicurezza proprio della società globale.

Una delle conseguenze più tangibili della globalizzazione sembra essere la scompar-

sa dello spazio pubblico, dell’agorà, il luogo dove è possibile tradurre le preoccupazioni pri-

vate in questioni pubbliche, dove si cercano soluzioni collettive a problemi comuni.

10

Si realizza invece una separazione tra potere e politica: il potere radicato nella circo-

lazione dei capitali e dei flussi finanziari, è sempre più extraterritoriale ed invisibile mentre

le istituzioni politiche esistenti continuano ad avere una forte caratterizzazione locale.

A fronte della crescente “solitudine del cittadino globale” e della crisi identitaria che

involge ogni aspetto della vita degli individui condizionando l’evoluzione stessa della

società, ci si imbatte nell’estremo tentativo di difesa della diversità etnica, culturale e reli-

giosa contro l’omologazione culturale e la ri-localizzazione dell’esercizio del potere ai livel-

li di governo più vicini ai cittadini.

Dahrendorf descrive l’emergere di una “global class”, cosmopolita che governa l’eco-

nomia e la finanza e guida l’industria culturale 21.

Non a caso si fa riferimento sempre più spesso al deficit democratico delle istituzioni

sovranazionali o globali mentre i processi di decentramento avvicinano ai cittadini la sede

delle decisioni politiche.

Emerge, dunque, politiche sociali comunitarie che non rispettano il principio di

eguaglianza tra i membri, ma inteso ad assicurare l’effettività dell’orientamento politico-

economico del mercato.

Alcune istituzioni dell’Unione europea possono non essere considerate democratiche

“dal punto di vista della democrazia classica”.

Per esempio, il Consiglio europeo, che riveste il ruolo del principale organo legislativo e

detta gli indirizzi generali e orientamenti politici dell’Unione, è un organo intergovernativo for-

mato dai ministri dei singoli governi nazionali. Il volume, la complessità e i tempi del processo

decisionale comunitario, però, rendono pressoché impossibile il controllo dei Parlamenti nazio-

nali sui rispettivi Governi e sulle linee politiche che essi sostengono nel Consiglio stesso.

La Commissione è composta da membri scelti in funzione delle loro competenze e

designati di “comune accordo” tra tutti gli Stati 22.

Solo il Parlamento europeo è formato da membri scelti ed eletti a suffragio universa-

le e diretto dai cittadini europei.

In altri termini, tanto più le scelte fondamentali sfuggono alla decisione sovrana dello

Stato per collocarsi ad un livello gerarchicamente superiore (Europa o mondo), quanto più

21 R. Dahrendorf, Dopo la democrazia cit., pp. 17-23.22 G. Tesauro, Diritto comunitario, Milano, 2007, p. 121 ss.; L. Antoniolli Deflorian, La struttura istituzionaledel nuovo diritto comune europeo: competizione e circolazione dei modelli giuridici, Trento, Quaderni deldipartimento di Scienze giuridiche, 1996, p. 84.

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tenderà a consolidarsi il ruolo degli enti inferiori (Stati o enti locali) capaci di esprimere esi-

genze specifiche e ricondurre quelle stesse scelte 23 ad uno stadio più vicino ai cittadini in

ossequio al principio di sussidiarietà.

In questo senso, il maggiore protagonismo delle entità territoriali locali alle quali sono

riconosciuti significativi poteri legislativi, oltre la generalità delle funzioni amministrative,

potrebbe consentire il recupero di “democraticità” della decisione politica che la progressi-

va destrutturazione dello Stato nazionale ha fortemente ridotto.

Ora, se appare prematuro prevedere la “fine dello Stato-Nazione”, di certo la globaliz-

zazione sta determinando la progressiva perdita di sovranità, una flessibilizzazione delle

strutture statali e una continua spinta verso la formazione di stati-regione.

Accanto ad un indirizzo teorico disposto a sostenere il definitivo tramonto dello Stato-

sovrano, non mancano, però, interpretazioni che considerano tali entità ancora protagoni-

ste della scena mondiale.

Gli Stati e i governi non sono testimoni passivi della globalizzazione ma soggetti atti-

vi capaci di migliorarla o contrastarla con scelte politiche di tipo diverso. Appare, dunque,

necessario distinguere, i processi di globalizzazione dalla loro gestione politica.

Gli Stati non dovrebbero rinunciare a svolgere una funzione di garanzia dei livelli di

benessere e protezione sociale contro le pressioni esercitate da pervasivi poteri globali e

una funzione equilibratrice e sussidiaria contro pericolose forme di discriminazione e dispa-

rità di trattamento all’interno del proprio territorio in difesa della “unità nella diversità”.

Lo Stato è continuamente sottoposto ad inevitabili sollecitazioni di tipo endogeno ed

esogeno che potrebbero costringerlo a riposizionarsi all’interno di un sistema di governan-

ce dinamico e mutevole che, accanto alla dimensione europea, da configurarsi in chiave

federale con proprie politiche economiche e monetarie, vedrebbe, secondo Alain Touraine,

una dimensione nazionale che dovrà essere “quella delle politiche d’integrazione e di soli-

darietà sociale” ed infine, una dimensione della “produzione e del consumo culturale, che

deve essere quella della città, multiforme, cosmopolita e ricca di scambi culturali”.

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23 F. Snyder, The Effectiveness of European Community Law: Institutions, Processes, Tools and Techniques,in “Modern Law Review”, gennaio 1993, p. 19.