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Cap. I Il quadro di riferimento teorico

<<Dobbiamo considerare lo stato presente dell’universo come

l’effetto del suo stato anteriore e come la causa del suo stato futuro>>

Pierre Simone de Laplace.

In questo primo capitolo mi propongo di tracciare un quadro teorico che

riassuma nel modo più chiaro e breve possibile più di duemila anni di storia

della filosofia e di ricerche in campo psicopedagogico.

Nel primo dei due paragrafi, che compongono il suddetto capitolo,

svilupperò e chiarirò alcune delle più significative teorie che compongono

la costellazione del pensiero filosofico. È proprio da esso, infatti, che si

svilupperà la forma mentis del ricercatore ed il metodo scientifico.

Descriverò a grandi linee come si è evoluto il concetto di epistemologia

dalle sue origini sino ad oggi, con la nascita della “nuova logica”.

Nel secondo paragrafo, mi soffermerò su quello che sarà il cuore della mia

ricerca, la fonte dalla quale ha preso forma la mia ipotesi di ricerca:

l’epistemologia genetica di Piaget.

1.1. Aspetto epistemologico

Il termine col quale la filosofia della scienza più spesso viene assimilata è

quello di “epistemologia”. Esso è stato usato per la prima volta dallo

studioso inglese J.F. Ferrier nell’800, per indicare una delle due parti

fondamentali della filosofia, essendo la seconda costituita dall’ontologia (o

metafisica). Tale termine veniva da lui inteso come sinonimo di “teoria

della conoscenza scientifica”1.

In Italia (e spesso anche in Francia) l’epistemologia tende a collocarsi nel

campo della riflessione intorno ai principi, ai limiti e al metodo della

conoscenza scientifica, per cui viene in sostanza assimilata alla filosofia

della scienza2. Col termine epistemologia si indica dunque quella <<branca

della teoria generale della conoscenza che si occupa di problemi quali i

fondamenti, la natura, i limiti e la condizioni di validità del sapere

scientifico3.

L’epistemologia, nell’accezione anglosassone, viene tradizionalmente

concepita come teoria della conoscenza in generale. Il suo scopo principale

consiste nell’individuare i criteri e i caratteri che devono essere presi in

considerazione per giungere alla conoscenza del reale. I quesiti che essa

dunque si pone sono:

a. Che cos’è la conoscenza?: la concezione tradizionale

dell’epistemologia ritiene che la conoscenza sia definibile come

“credenza vera e giustificata”; “credenza”, in quanto essa consiste in

uno stato psicologico del soggetto il quale possiede certe idee (o

1 Cfr. J. F. Ferrier, Institutes of Metaphysics, Paris 1854; AA. VV., Maly slownik terminòw ipojec filozoficznych, Inst. Wyd. Pax, Warszawa 1983; AA.VV., Leksykon Filozofii klasycznej, Tow. Nauk. KUL, Lublin 1997. 2 Pasquinelli, Filosofia della scienza (epistemologia), in Enciclopedia Feltrinelli-Fischer, Feltrinelli, Milano 1972, vol. XIV p. 184. 3 AA.VV. Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Garzanti, Milano 1981, p. 256.

credenze) espresse sotto forma di proposizione; “vera”, in quanto tali

credenze non possono essere il mero frutto della fantasia, ma devono

in qualche modo rispecchiare o corrispondere o informarci sulla

realtà che hanno come oggetto; “giustificata”, in quanto non è

sufficiente che le nostre credenze siano vere ma è necessario che

abbiano delle ragioni o dei motivi per ritenerli tali, cioè che siano in

grado di giustificare perché esse sono vere.

b. Come dovremmo arrivare ad essa?: tale domanda sottende una

risposta al quid juris, cioè quali siano le regole che bisogna seguire

per pervenire alla conoscenza, intesa come credenza vera e

giustificata (ad esempio proponendo una teoria coerentista della

giustificazione e della verità, oppure stabilendo dei criteri di

accertamento empirico che diano sufficienti garanzie affinché la

credenza a cui perveniamo sia effettivamente giustificata e vera).

c. Come ci arriviamo?: la risposta concerne il quid facti, ovvero il modo

in cui effettivamente si comportano gli individui nel procurarsi le loro

conoscenze (come agiscono, come operano).

d. I processi con cui ci arriviamo sono i medesimi di quelli con cui

dovremmo arrivarci?: la concezione tradizionale dell’epistemologia

ritiene che sia possibile effettuare una comparazione tra le risposte

concernenti il quid juris ed quelle il quid facti; da tale comparazione

si troverà risposta anche a questa domanda4.

Intesa in tal modo, l’epistemologia assume il carattere di una disciplina

normativa5: essa, cioè, non si limita a descrivere i processi conoscitivi

effettivamente messi in atto dagli individui, ma indica delle “norme” sul

modo in cui si debbono condurre le nostre attività cognitive allo scopo di

ottenere una conoscenza vera e giustificata. Ciò la porta a porsi un compito

assai ambizioso: quello di trovare il “fondamento” delle pretese di

conoscenza avanzate dall’umanità, in ogni suo aspetto e campo disciplinare,

ivi compreso quello proprio della scienza naturale. È questa la prospettiva

“fondazionalistica” il cui compito è quello di fornire alla scienza una base

sicura, una classe di credenze indubitabili, di dati immediati, che stanno a

fondamento di tutte le altre e sulle quali costruire l’intera conoscenza

scientifica6.

Tuttavia, il problema della conoscenza è stato posto in modo esemplare e

radicale, in età moderna, da René Descartes (Cartesio, 1596-1650), che ha

posto le fondamenta della epistemologia come branca autonoma della

filosofia e ne ha tracciato le coordinate concettuali che da allora in poi

4 Dispensa del Prof. Coniglione Francesco, “Lezioni di logica e filosofia della scienza”, per gli studenti del C.d.L. in Scienze e Tecniche Psicologiche, a.a. 2002-03. 5 Cfr. J. S. Crumley II, “Epistemology and the Nature of Krowledge”, in Id. (eds.), “reagings in Epistemology”, Mayfield Publishing Company, Mountain View (California) 1999, p.3. 6 È su questa accezione di epistemologia che si erigerà tutto il discorso antifondazionalista di Richard Rorty nel suo celebre volume “La filosofia e lo specchio della natura” del 1979,Bompiani, Milano 1986.

hanno segnato il dibattito successivo: <<l’agenda epistemologica di

Cartesio è stata l’agenda dell’epistemologia occidentale sino ad oggi>>7.

Le proposte di Cartesio costituivano una prospettiva unitaria caratterizzata

da:

I. Una assunzione fondamentalista: una credenza può essere considerata

autentica conoscenza quando è fondata su una base indubitabile;

II. Un ideale deduttivista: per cui è possibile quella conoscenza che si può

derivare da un fondamento immune da errori, così rispondendo al

dubbio scettico;

III. Una conseguente ricetta per ottenere l’autentica conoscenza: dobbiamo

scartare tutte quelle credenza che non siano immuni da dubbi o che non

possono essere a queste ricondotte mediante una catena inferenziale8.

In Italia ed in Francia, invece, si propende ad assimilare l’epistemologia alla

filosofia della scienza intendendo quest’ultima come una disciplina in gran

parte autonoma rispetto alla gnoseologia e alla teoria della conoscenza,

assegnandole un preciso compito ed ambito: <<Scopo di tale disciplina non

è tanto costituire un fondamento oppure un’estensione delle scienze, quanto

piuttosto affrontare o descrivere il proprio oggetto – cioè le scienze stesse –

dal punto di vista metodologico e critico. […] Scopo della filosofia della

scienza sarebbe, in questo caso, ricostruire in modo razionale i metodi

7 J. Kim, “What is ‘Naturalized Epistemology’?”, in J. S. Crumley II (ed.), op. cit. alla nota 5, p. 467. 8 Cfr. H. Kornblith, “In Difense of Naturalized Epistemology”, in J. Greco & E. Sosa, eds. The Blackwell Guide to Etimology, Blackwell, Malden MA/Oxford 1999, p. 159.

impiegati dalla scienza oggetto della propria considerazione>>9. È evidente

che in questo caso la filosofia della scienza viene considerata come

un’attività “riflessa”: l’analisi dei concetti adoperati dalla scienza e dei

risultati cui essa perviene (quali leggi e teorie) è il dato di partenza per

arrivare a delle considerazioni sul modo di procedere degli scienziati, sulla

natura delle loro asserzioni e sul metodo da essi adoperato. Non a caso, in

riferimento a tale precipuo suo carattere metadiscorsivo, ci si riferisce alla

filosofia della scienza anche col nome di metascienza o di scienza della

scienza.

La svolta emancipatrice dell’epistemologia dalla sua progenitrice filosofica

e l’esordio dell’epistemologia contemporanea viene a coincidere con le

attività dei filosofi afferenti o vicini al Circolo di Vienna, fondato da Moritz

Schlick nel 1929. Qui l’epistemologia viene esemplarmente incarnata nella

scienza10. Essa, pertanto,assume come dato di fatto che la scienza sia la

forma conoscitiva par excellence11.

All’incirca negli stessi anno Popper, dopo aver identificato (nel volume che

raccoglie quanto rimasto nel manoscritto preparatorio alla Logica della

scoperta scientifica) la teoria della conoscenza con l’epistemologia, intende

poi quest’ultima come teoria generale del metodo delle scienze empiriche:

<<la teoria della conoscenza è scienza della scienza: sta alle scienze

9 R. Lanfredini, “Filosofia della scienza”, in ‘La filosofia’ , a cura di P. Rossi, vol.I, ‘Le discipline filosofiche’, UTET, Torino 1997, p. 70. 10 Cfr. W. Gasparski, “Teoria poznania” [Teoria della conoscenza], in “Filosofia a nauka” [Filosofia e scienza], Ossolineum Wroclaw et al. 1987, p. 708. 11 Ibidem nota 4.

empiriche speciali come queste stanno alla realtà empirica>>12.

Recuperando in una sua accezione peculiare il trascendentale kantiano,

Popper sostiene che <<le asserzioni e le costruzioni dei concetti propri della

teoria della conoscenza devono essere messe criticamente alla prova in base

al procedimento effettivo di fondazione in uso nelle scienze empiriche; e

soltanto questo controllo trascendentale è in grado di decidere del destino di

tali asserzioni>>.

La scienza non deve essere messa in discussione dalla filosofia, né tanto

meno da essa giustificata; è piuttosto il contrario, in quanto la conoscenza

scientifica è un faktum, come aveva per primo indicato Kant, che la teoria

della conoscenza non deve e non può mettere in dubbio, ma solo spiegare13.

Ne segue l’intendo esplicitamente antifondazionista di Popper, in quanto a

suo avviso la teoria della conoscenza “ non si propone di fondare nessuna

conoscenza: essa si attiene al punto di vista che ogni scienza – non importa

se si tratti di una scienza speciale o della teoria della conoscenza – deve

prendersi cura di se stessa: ogni scienza deve giustificare da sé le sue

proprie asserzioni, deve fornire da sé i fondamenti delle proprie conoscenze,

indipendentemente dal fatto che si tratti di un fondamento “ultimo” o di un

fondamento “primo”; infatti soltanto attraverso la fondazione metodica

delle proprie asserzioni una scienza diventa scienza>>14.

12 K. Popper, “I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza” (1930-33), Il Saggiatore, Milano 1987, p.8. 13 Ibidem nota 12, p. 58-59. 14 Ibidem nota 12, p. 111.

Nella Logica della scoperta scientifica di qualche anno dopo tale

transizione, benché non più collegata alla ripresa dell’impostazione

trascendentale, viene ribadita, per cui si afferma con nettezza che <<[…]

l’epistemologia, o dottrina della scoperta scientifica, deve essere identificata

con la teoria del metodo scientifico>>15, in quanto solo lo studio di

quest’ultimo può gettare lumi sulla crescita della conoscenza, che ha

costituito da sempre l’oggetto dell’epistemologia. Con ciò viene affermato

con decisione il carattere paradigmatico attribuito alla scienza come luogo

di massima realizzazione della conoscenza e della razionalità umana e viene

sanzionato il nuovo significato di epistemologia: <<Il problema centrale

dell’epistemologia è sempre stato, e ancora è, il problema dell’accrescersi

della conoscenza. E l’accrescersi della conoscenza può essere studiato,

meglio che in qualsiasi altro modo, studiando l’accrescersi della conoscenza

scientifica>>16.

Etimologicamente “LOGICA” deriva dal latino logica e dal greco logiké

che significa ‘arte del discorrere’. Da sempre rappresenta quella parte della

filosofia che studia le condizioni di validità di un ragionamento17.

Nel corso di circa tre decenni – dalla pubblicazione della Begriffsschrift di

Frege nel 1879 a quella dei Principia matematica di Russell e Whitehead

nel 1910-13 – la logistica sviluppa tutti i concetti fondamentali del

15 K. Popper, “Logica della scoperta scientifica” (1934), Enaudi, Torino 1970, p. 32. 16 K. Popper, “Prefazione alla prima edizione inglese”, in Id., “Logica della scoperta scientifica”, Cit., p. XXII, di Popper. 17 Lo Zingarelli minore Vocabolario della lingua italiana (C) 2001 Zanichelli editore.

patrimonio della logica formale contemporanea, di cui un ulteriore

contributo fu riconosciuto (agli ulteriori approfondimenti filosofici e i

perfezionamenti tecnici) agli studi di Wittgenstein riportati in Tractatus

logico-philosophicus.

Nella sua duplice articolazione di logica (o calcolo) proposizionale e logica

dei predicati, la “nuova logica” (come viene chiamata dai suoi fondatori per

differenziarla da quella classica e sillogistica di Aristotele) fornirà al

“filosofo scientifico”, all’epistemologo e al filosofo della scienza gli

strumenti fondamentali per la discussione sulla scienza e sui metodi.

La logica tradizionale aristotelica iniziava innanzi tutto con una dottrina dei

“termini”, distinguendoli in base alla loro ‘estensione’ e ‘comprensione’; su

questa base edificava la dottrina delle categorie o “sommi predicabili”.

Quindi proseguiva ‘componendo’ i termini in modo da formare il giudizio; i

diversi giudizi vengono quindi ad essere articolati in un ragionamento, la

cui massima espressione è fornita dal sillogismo. Seguendo questo modello,

rimasto invariato sostanzialmente per due millenni, tutti i trattati tradizionali

della logica si svolgevano progressivamente partendo dall’analisi dei

termini, proseguendo con quella delle proposizioni e quindi componendo

queste in maniera da formare l’argomentazione logica.

La “nuova logica”, in particolare con Frege, assume come proprio punto di

partenza la proposizione, con ciò riallacciandosi inconsapevolmente ad una

tradizione di pensiero logico, quello stoico, che era stato minoritario lungo

tutta la tarda antichità e che era stato solo in parte valorizzato nel medioevo

con la dottrina delle “consequentiae”. In Frege tale punto di partenza era

giustificato con la sua idea che fosse impossibile spiegare il significato di

un’espressione isolandola dal contesto, per cui è impossibile comprendere

esattamente il significato di un termine prescindendo dalla proposizione

nella quale può entrare a far parte. Egli propone invece di partire dai giudizi

e quindi di ricavare, mediante analisi, il significato dei termini che in essi

figurano: è il famoso “Principio del Contesto”.

Il calcolo proposizionale assume come unità di base la proposizione, intesa

come espressione linguistica dichiarativa, cioè affermativa, che poteva

essere vera o falsa (se qualcosa è allora è così; se qualcosa non è allora non

è così). Sono pertanto da esso esclusi tutti gli enunciati interrogativi e quelli

imperativi, che non descrivono uno stato di cose e quindi non possono

essere né veri né falsi.

Al calcolo proposizionale non interessa analizzare come una data

proposizione sia costruita, in quanto esso la assume come una totalità in

decomponibile. Di essa prende in considerazione solamente il valore di

verità, cioè il fatto di poter essere vera o falsa (ma non entrambe). In ciò

consiste il carattere bivalente del calcolo proposizionale classico: esso non

ammette altri valori di verità oltre a quelli di vero o falso.

Ovviamente è anche una proposizione quella formata da due proposizioni

semplici; in questo caso il valore di verità della proposizione composta

dipende esclusivamente dai valori di verità delle proposizioni componenti.

In ciò consiste appunto il carattere di estensione del calcolo proposizionale:

una data proposizione composta è detta estensionale se e solo se il suo

valore di verità dipende esclusivamente dai valori di verità delle

proposizioni che la compongono.

Data una o più proposizioni, è possibile ad esse applicare dei funtori in

modo da ottenere altre proposizioni il cui valore di verità dipenda dai valori

di verità delle proposizioni iniziali e dal tipo di funtore applicato. Tali

funtori sono estensionali (in quanto prendono in considerazione solo i valori

di verità delle proposizioni) e vengono chiamati “funtori di verità” (o anche

“operatori vero-funzionali” o anche “connettivi”). Per indicare una generica

proposizione, cioè una variabile proporzionale, si usano attualmente le

lettere minuscole, quali p, q, r,… dove ogni lettera corrisponde ad una

proposizione diversa.

Tra i funtori di verità, la negazione è l’esempio più semplice e comune. Per indicare

l’operazione di negazione della proposizione “p” si usa di solito il simbolo “¬”, per

cui avremo: “¬p” che leggiamo “non-p”. Se “p” è una proposizione vera, allora la

sua negazione “¬p” è falsa; se “p” è falsa allora “¬p” è vera. La relazione esistente

tra i valori di verità di “¬p” e “p” può essere rappresentata schematicamente

mediante la cosiddetta tavola di verità, nozione introdotta anche per gli altri funtori o

connettivi da Wittgenstein nel suo Tractatus ed esemplificata nella figura che riporto

qui di seguito:

È chiaro che i valori di verità sotto la colonna “¬p” variano in

corrispondenza dei valori di verità di “p”18.

Altri funtori importanti sono quelli biargomentali di disgiunzione ‘o’, di

congiunzione ‘et’, condizionale ‘se…allora’ e bicondizionale ‘se e solo se’.

Anche questi funtori possono essere rappresentati per mezzo di tavole di

verità, come rappresento qui di sotto:

18 Ibidem nota 4, cap. terzo“I CONCETTI E IL LINGUAGGIO DELLA LOGICA SIMBOLICA”.

p

¬p

V F

F V

“O” “Et” “se…allora” “se e solo se”

Ovviamente non tutti questi connettivi sono necessari, tant’è vero che Fege

ne ammetteva solo due, la negazione ed il condizionale19.

Ho ritenuto importante fare questo excursus per meglio chiarire le origini

del metodo scientifico, il suo modo di operare la ricerca e di quali strumenti

fa uso. Così anche nel mio piccolo mi servirò di essi per verificare la mia

ipotesi di ricerca. In particolare verrà esplicitato il funtore di verità

condizionale “se…allora” nel secondo capitolo di questo mio lavoro.

1.2. Epistemologia genetica: Piaget

Il crescente interesse con cui oggi si guarda al discorso di Piaget, si

giustifica in primo luogo con la novità del tipo di discorso che Piaget è

venuto facendo. Le sue formulazioni teoriche hanno per decenni suscitato

critiche severe da punti di vista diversi; nello stesso tempo, sono venute

sempre più ampiamente penetrando il discorso psicologico in materia di

19 Ibidem nota 4, cap. terzo “I CONCETTI E IL LINGUAGGIO DELLA LOGICA SIMBOLICA”.

p q p∧q V V

V F

F V

F F

V

F

F

F

p q p→qV V

V F

F V

F F

V

F

V

V

p q p∨q V V

V F

F V

F F

V

V

V

F

p q p⇔qV V

V F

F V

F F

V

F

F

V

“sviluppo”. La possibilità di penetrazione delle impostazioni piagettiane

sono forse da porre in relazione con la stessa indeterminatezza ed ambiguità

di certi concetti-base – assimilazione, accomodamento, equilibrio, genesi,

struttura, modello – che li rendono suscettibili di essere incorporati

nell’ambito di impostazioni diverse; si dovrà cominciare a riconoscere a

Piaget il merito d’aver ignorato limitazioni di prospettiva proprie della

ricerca specialistica, impostando lo studio dei problemi dello sviluppo in

modo unitaria, e con maggiori aperture nei confronti di una vasta gamma di

problemi che nell’ambito di altre impostazioni potevano apparire estranei

alla ricerca psicologica.

Pur con tutti i suoi limiti e le sue ambiguità il discorso sull’epistemologia

genetica di Piaget ha avuto il merito di far esplodere strettoie ed

incasellamenti pregiudiziali che da un lato legavano la ricerca psicologica

ad una metodologia della ricerca empirica con prospettive volutamente

ristrette, dall’altro lasciavano aperta la strada alla prospettazione di tesi

psicologiche in sede filosofica, spesso in un totale disinteresse non solo per

la ricerca empirica, ma anche per ogni problematica di carattere

metodologico.

L’aspirazione ad una nuova scienza, ad un modo di fare scienza che

consentisse di superare precostituite distinzioni tra discorso «filosofico» e

discorso «scientifico»: qui il discorso piagettiano è venuto a trovarsi inserito

in un filone della cultura contemporanea tanto vivo quanto eterogeneo.

Il discorso piagettiano viene inoltre ad avere una parte non trascurabile in

quella tendenza ad un «primato della psicologia» che accomuna oggi

indirizzi diversi in settori diversi di ricerca, dalla psicoanalisi alla psicologia

sociale, dalla psicometria allo studio dei piccoli gruppi. Carattere comune

agli indirizzi in cui tale tendenza si avverte o viene esplicitamente invocata

è l’estraneità nei confronti della storia, la ricerca di “spiegazioni” che non

chiamino in causa considerazioni di carattere storico.

Da questo punto di vista il discorso piagettiano risulta di particolare

interesse: perché l’“epistemologia genetica” vuole a suo modo essere una

epistemologia “storica”, o meglio una epistemologia che riassorbe, al limite,

la storia nella “genesi”. Il piagettiano “primato della psicologia”, a

differenza degli altri analoghi primati, non ignora la storia ma tende ad

inglobarla20.

Al fine di comprendere la teoria di Piaget è essenziale avere presente che il

suo interesse fondamentale fu di tipo epistemologico: attraverso le sue

opere, fondate empiricamente, cioè attraverso ricerche, intendeva costruire

una teoria dello sviluppo della conoscenza.

La sua opera, dal punto di vista filosofico, è stata particolarmente

influenzata da Kant. Come Kant anch’egli credeva che la mente umana sia

obbligata ad interpretare la realtà, o in altre parole a conoscere, usando certe

nozioni o schemi o principi tipici della mente e non derivati dall’esperienza:

le leggi fondamentali della logica, le nozioni di spazio e di tempo, le idee di

20 Piaget-Inhelder, “La genesi delle strutture logiche elementari,classificazione e seriazione”.

causa, di quantità, di classificazione, ecc… Egli, tuttavia, differisce da Kant,

come dagli epistemologi classici, dal fatto che concepisce la conoscenza

non come uno stato, ma come un processo, una serie di passaggi da una

conoscenza con la propria validità ad una conoscenza ancora più valida21.

<<L’epistemologia è la teoria della conoscenza valida e, anche se tale

conoscenza non è mai uno stato, ma costituisce sempre un processo, tale

processo è essenzialmente il passaggio da una minore validità ad una

validità superiore>> - Piaget,1970.

Il fatto che ogni conoscenza consista nel passaggio da una minore

conoscenza ad uno stato più completo e più efficace comporta una

ridefinizione, secondo Piaget, dei rapporti fra epistemologia generale e

psicologia.

<< Il primo scopo perseguito dall’epistemologia generale è quindi, se si

può dire, quello di prendere la psicologia sul serio e di fornirle verifiche in

tutte le questioni di fatto necessariamente sollevate da ogni epistemologia,

sostituendo però alla psicologia speculativa o implicita, di cui ci si

accontenta i generale, analisi controllabili (pertanto sul modello scientifico

di ciò che è detto un controllo)>> - Piaget, 1970.

Per Piaget, perciò, l’epistemologia generale non può fare a meno

dell’apporto della psicologia, in quanto senza i suoi contributi non sarebbe

possibile nessuna verifica.

21 R. Vianello, “Psicologia dello sviluppo”, per l’Università III edizione, Edizioni junior.

Molto importante per Piaget è, anche, il rapporto fra la logica e la

psicologia. Per Piaget la logica è utile per descrivere l’insieme dei principi

che vengono seguiti dal pensiero nei suoi diversi stadi di sviluppo22.

Per quanto riguarda la genesi delle strutture intellettuali, lo studioso

svizzero distingue quattro stadi:

1. Intelligenza senso-motoria (10-18/24 mesi):

Fino ad 8-10 mesi si assiste ad un perfezionamento dei riflessi a da

azioni sul reale non ancora caratterizzate dall’intelligenza vera e propria.

Dai 10 mesi circa (periodo della coordinazione delle reazioni circolari

secondarie e dal loro impiego in situazioni nuove) possiamo parlare di

intenzionalità (rapporto mezzi-fini). Secondo Piaget in questo stadio si

può parlare di atti di intelligenza veri e propri, caratterizzati dalla

capacità di risoluzione dei problemi con coordinazione intenzionale

mezzi-fini. Si tratta, comunque, di intelligenza senso-motoria, in quanto

non vengono ancora utilizzate immagini ed azioni mentali (nel senso di

solo mentali, cioè senza la presenza dell’oggetto e dell’azione

rappresentati. Nell’ultimo periodo del primo stadio, dopo i 18 mesi, il

bambino è in grado di agire mentalmente (azioni interiorizzate) e di

utilizzare immagini mentali. Ciò permette, fra l’altro, l’imitazione

differita, il gioco simbolico e il linguaggio simbolico.

22 Piaget farà uso della logica per spiegare in che cosa consiste il pensiero logico concreto e quello formale.

2. Pensiero preconcettuale ed intuitivo (18/24 mesi a 6/7 anni):

Fra i due e i sette anni troviamo tutte le fasi di transizione tra le due

forme estreme di pensiero. La prima di queste forme è quella del

pensiero mediante incorporazione o assimilazione pura, in cui

l’egocentrismo esclude ogni oggettività; la seconda forma è invece

quella del pensiero adeguato agli altri e al reale, che prepara quindi al

pensiero logico. Fra queste forme si trova la grande maggioranza degli

atti del pensiero infantile, che oscilla fra queste direzioni contrarie.

Il pensiero egocentrico puro appare in quella sorta di gioco che possiamo

chiamare simbolico, di immaginazione ed imitazione in cui il

linguaggio, come simbolo o segno verbale, rappresenta il canale

d’espressione per eccellenza del pensiero del bambino.

All’altro estremo troviamo la forma di pensiero più adeguata al reale che

sia possibile nella prima infanzia e che possiamo chiamare pensiero

intuitivo: si tratta dell’esperienza e del coordinamento senso-motorio

stessi, ricostruiti o anticipati dalla rappresentazione.

L’intuizione è in un certo senso la logica della prima infanzia e

rappresenta un aspetto che colpisce molto nel pensiero del bambino: in

questa fase, il soggetto afferma sempre e non dimostra mai. Si nota

d’altra parte che questa carenza della <<prova>> deriva naturalmente dai

caratteri sociali della condotta in quell’età, cioè dall’egocentrismo

concepito come una mancanza di differenziazione tra il proprio punto di

vista e quello degli altri. È infatti esclusivamente nei confronti degli altri

che si è portati a cercare prove, mentre a sé si crede sempre e subito,

almeno sino a quando gli altri ci abbiano insegnato a discutere le

obiezioni, e di conseguenza si sia interiorizzata tale condotta in quella

forma di discussione interiore che è la riflessione.

Quando si interroga un bambino al di sotto dei sette anni si è sempre

colpiti dalla povertà delle loro prove, dalla loro incapacità di motivare le

proprie affermazioni o di provare come vi siano giunti a quelle

conclusioni. Senza dubbio si obbietterà che il bambino di questa età non

è ancora un <<essere verbale>> e che il suo campo specifico è ancora

quello dell’azione e della manipolazione. Ciò è vero, ma è anche vero

che in questo campo egli si dimostra molto più <<logico>>. Appare

giunto il momento di introdurre due concetti: quello dell’intelligenza

propriamente <<pratica>> e quello del pensiero <<tendente alla

conoscenza>> presente nella sfera sperimentale.

“L’intelligenza pratica” svolge, tra i due e i sette anni, una considerevole

funzione, prolungando da una parte l’intelligenza senso-motoria del

periodo preverbale, e preparando dall’altra parte le nozioni tecniche che

si svilupperanno sino all’età adulta. Questa intelligenza “pratica” allo

stato nascente è stata molto studiata (A. Rey) per mezzo d’ingegnosi

dispositivi ed è stato effettivamente constatato che il bambino era spesso

più maturo nelle azioni che nelle parole.

Sul terreno sperimentale, si è voluto analizzare il comportamento del

bambino in occasione di esperienze precise di manipolazione di

materiali. Tale studio era finalizzato a rispondere ad un preciso

interrogativo: ragionerà in modo logico oppure gli schemi di

assimilazione conserveranno una parte del loro egocentrismo, pur

accomodandosi, per quanto possibile, all’esperienza in corso?

L’analisi di un gran numero di fatti si è dimostrata decisiva: fin verso i

sette anni il bambino resta un essere prelogico23, e supplisce alla logica

attraverso il meccanismo di intuizione, semplice interiorizzazione delle

percezioni e dei movimenti sotto forma di immagini rappresentative e di

esperienze mentali, che prolungano in tal modo gli schemi senso-motori

senza una coordinazione propriamente razionale24.

23 Dai primi studi di Piaget emerge chiaramente la differenza che intercorre tra il modo di ragionare tra un bambino piccolo e un adulto. Il carattere “prelogico” che Piaget attribuisce al bambino non era rivolto ad attestare una fondamentale eterogeneità fra lui e l’adulto, ma una necessità: quella di una progressiva costruzione delle strutture logiche. Infatti ciò che al bambino piccolo manca per poter ragionare come un adulto normale è lo sviluppo di alcune strutture logico-matematiche che non sono in funzione di ogni età e dunque non sono innate. Tali studi, focalizzati sull’aspetto dello sviluppo delle strutture linguistiche e del pensiero verbale,vennero aspramente criticate in Inghilterra e soprattutto da N. e S. Isaacs, sostenendo che il bambino piccolo fosse più logico nelle azioni che a parole. Negli studi successivi di Piaget sulla funzione delle azioni nello sviluppo del bambino, si trova la conferma alle critiche mossegli contro dai colleghi inglesi: in particolare lo psicologo svizzero aveva capito che le azioni costituiscono il punto di partenza delle future operazioni dell’intelligenza, in quanto l’operazione è un’azione interiorizzata, che diviene reversibile e che si coordina con le altre strutture operative globali. A corollario della sua teoria, Piaget specifica che tale completamento avviene soltanto verso i sette o otto anni: esiste allora un periodo <<preoperativo>> dello sviluppo, che corrisponde a quello che in passato era stato da lui definito <<prelogico>>. Questo parallelismo tra l’immaturità del pensiero verbale e delle strutture operative (logico-matematiche) veniva giustificata dall’iniziale fase egocentrica dello sviluppo infantile, non intesa come “un’ipertrofia dell’io” ma come un accentramento del proprio punto di vista; solo mediante un decentramento dal proprio punto di vista, dalla propria prospettica – che Piaget definisce come una specie di rivoluzione copernicana in piccolo – si può raggiungere all’obiettività. Non vi è quindi differenza di fondo fra la logica verbale e la logica inerente al coordinamento delle azioni, ma la logica delle azioni è più profonda e più primitiva: si sviluppa più rapidamente e supera più velocemente le difficoltà che incontra, che sono però le medesime difficoltà di decentramento che si presentano più tardi sul piano del linguaggio. 24 PIAGET, “Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia”, Six études de Psicologie, PICCOLA BIBLIOTECA ENAUDI-PSICOLOGIA. PSICOANALISI. .PSICHIATRIA.

3. Pensiero operatorio concreto (6/7-11/14 anni):

All’intuizione, che è la forma superiore di equilibrio raggiunto dal

pensiero nella prima infanzia, corrispondono le operazioni del pensiero

dopo i sette anni.

Il concetto di operazione si applica a realtà molto diverse: abbiamo

operazioni logiche come quelle di cui è composto un sistema di concetti

o classi o di relazioni (insiemi di individui); operazioni aritmetiche

(addizione, moltiplicazione ed i loro contrari), operazioni geometriche

(sezioni, spostamenti, ecc.), temporali (seriazioni di avvenimenti, quindi

della loro successione e inglobamento degli intervalli), meccaniche,

fisiche, ecc.

Una operazione è quindi prima di tutto, dal punto di vista psicologico,

un’azione qualsiasi (raggruppare individui o unità numeriche, spostarli,

ecc.) la cui origine è sempre motoria, percettiva o intuitiva. Tali azioni,

che sono all’origine delle operazioni, hanno anch’esse come radice

schemi senso-motori, esperienze affettive o mentali (intuitive) e

costituiscono, prima di diventare operative, la materia dell’intelligenza

senso-motoria, poi dell’intuizione.

Piaget spiega che le prime si trasformano nelle seconde non appena

costituiscono sistemi globali componibili e reversibili ad un tempo. In

altre parole, le azioni diventano operative quando due azioni dello stesso

tipo possono venir composte in una terza che appartiene ancora a quel

tipo e quando le diverse azioni possono venir invertite o rovesciate.

È notevole costatare che verso i sette anni si costituisce appunto tutta

una serie di questi sistemi globali, che trasformano le intuizioni in

operazioni di ogni tipo25; in particolare colpisce vedere come questi

sistemi si formino attraverso una specie di organizzazione totale, spesso

molto rapida, in cui nessuna operazione esiste allo stato isolato, ma si

costituisce sempre in funzione della totalità delle operazioni dello stesso

tipo. Per esempio: un concetto o una classe logica (raggruppamento di

individui) non si costruisce isolatamente, ma necessariamente all’interno

di una classificazione globale, di cui rappresenta una parte. Una

rappresentazione logica di famiglia (fratello, zio, ecc.) è compresa

soltanto in funzione di un sistema di relazioni analogiche, la cui totalità

costituisce un sistema di parentela. I numeri non appaiono indipendenti

25 <<Se il linguaggio non costituisce la causa unica delle strutture operatorie (anche per quanto riguarda le sole classificazioni), e se queste dipendono da meccanismi più profondi e soggiacenti all’utilizzazione della lingua, si potrebbero concepire questi meccanismi come legati a coordinazioni nervose indipendenti dall’ambiente e che giungono progressivamente a maturazione. Ci troviamo qui di fronte ad uno dei problemi più difficili della psicologia genetica contemporanea, perché se si è usato ed abusato in psicologia del concetto di maturazione a tutti i livelli dello sviluppo, la neurologia non si è pronunciata per quanto si riferisce alle tappe effettive di questa strutturazione endogena, salvo per quanto concerne i primi mesi di vita. Siamo dunque obbligati, come misura di prudenza, a riservare una parte di maturazione, supponendo per esempio che la svolta dai 7 agli 8 anni, così notevole sotto tanti punti di vista per lo sviluppo delle strutture operatorie nelle nostre società cosiddette civilizzate […], corrisponde senza dubbio a qualche trasformazione delle strutture nervose. Ma noi di fatto non ne sappiamo niente e non conosciamo soprattutto nessuna struttura cognitiva di cui si possa dimostrare che risulti esclusivamente da fattori endogeni legati alla maturazione. La nozione di maturazione sembra un po’ più chiara dal punto di vista negativo, nel senso che attribuire alla mancanza di apparati nervosi sufficienti l’assenza di un comportamento (per esempio l’assenza tra i 2 e i 4 anni di qualunque ragionamento ipotetico-deduttivo) sembra avere qualche significato. Nel suo aspetto positivo, la maturazione del sistema nervoso si limita in compenso ad allargare continuamente il campo delle possibilità accessibili al soggetto: ma tra la possibilità di un comportamento e la sua effettiva attuazione, rimane da fare intervenire l’azione dell’ambiente fisico (esercizio ed esperienza acquisita) e, all’apprendimento di questo genere, ogni influenza educatrice dell’ambiente sociale.>>, Ibidem nota 24.

gli uni dagli altri (tre, dieci, due, cinque, ecc.) ma sono colti come

elementi di una serie ordinata: uno, due, tre,…, ecc. i valori esistono

soltanto in funzione di un sistema totale o <<scala di valori>>; una

relazione asimmetrica come B<C è intelligibile soltanto come una

possibile seriazione globale 0<A<B<C<D …, ecc.

Ma ciò che è ancora più notevole, i sistemi globali si formano nel

pensiero del bambino solo in connessione con la puntuale reversibilità di

tali operazioni, e assumono quindi immediatamente una struttura

completa e definita.

Un esempio particolarmente chiaro è appunto quello della seriazione

qualitativa A<B<C…, ecc.

A qualsiasi età il bambino sa distinguere due bastoncini in rapporto alla

loro lunghezza, e dire che l’elemento B è più grande di A. ma nella

prima infanzia si tratta soltanto di un rapporto percettivo o intuitivo, non

di una operazione logica. Infatti se mostriamo prima A<B e in seguito

due bastoncini B<C nascondendo A sotto la tavola, e chiedendo se A

(che è stato appena paragonato con B) è più grande o più piccolo di C

(che è sul tavolo insieme a B), il bambino non riesce a concludere

(purché le differenze non siano troppo grandi da restare legate ad

immagini-ricordo nella memoria). Il bambino chiederà allora di vederli

insieme perché non sa dedurre A<C da A<B e da B<C.

Per Piaget tale deduzione il bambino sarà in grado di farla, soltanto

quando sarà in grado di costruire sulla tavola una serie o scala di

bastoncini, cosa che non avverrà prima dei sei sette anni.

Naturalmente sarà molto presto in grado di ordinare bastoncini di

lunghezza molto diversa gli uni dagli altri: costruendo semplicemente

una scala, una figura percettiva.

Invece se le lunghezze sono poco diverse e se occorre paragonare gli

elementi a due a due per ordinarli, allora il bambino comincia

inizialmente a disporli per coppie CE; AD; BF; ecc., senza coordinare

queste coppie tra loro; in seguito riesce a comporre piccole serie di tre o

quattro elementi, ma senza coordinarle fra loro; in seguito riesce a

comporre la serie totale, ma per tentativi e senza essere in grado di

introdurre nuovi elementi distinti, una volta costruita la prima serie

totale. In fine, e ciò soltanto verso i sei anni e mezzo o sette anni, egli

scopre un metodo operativo, che consiste nel creare innanzi tutto

l’elemento più piccolo, e poi ogni volta il più piccolo di quelli che

restano, e riesce così a costruire la serie totale senza incertezze né errori

(e ad introdurre nuovi elementi). È in questo momento che egli diviene,

in forza di ciò, capace del ragionamento: A<B; B<C quindi A<C.

vediamo immediatamente che questa costruzione suppone l’operazione

inversa (la reversibilità operativa): ogni termine viene concepito sia

come il più piccolo di tutti i successivi (relazione <) sia come il più

grande di tutti (relazione >), ed è questo che permette al soggetto di

trovare il metodo di costruzione e introdurre nuovi elementi dopo che la

prima serie totale è stata costruita26.

4. Pensiero formale (dagli 11/14 anni in poi):

verso gli 11-12 anni, con un assestamento dell’equilibrio intorno ai 14-

15 anni, inizia la fase della costruzione delle operazioni caratteristiche

della fanciullezza e dell’adolescenza. La caratteristica più vistosa è il

fatto che il soggetto non si limita più a ragionare direttamente sugli

oggetti concreti e sulle manipolazioni, ma giunge a dedurre

operatoriamente, partendo da semplici ipotesi enunciate verbalmente

(logica delle proposizioni). A causa di ciò, la forma di queste nuove

strutture operatorie si dissocia dal suo contenuto; da qui la possibilità del

ragionamento ipotetico-deduttivo o formale27.

Impostazione ed interpretazione delle esperienze piagettiane mettono

chiaramente in gioco un complesso quadro teorico: la tesi della centralità

della attività senso-motoria e della sua preminenza nei confronti della

percezione è alla base della considerazione della assimilazione come “pre-

classificazione” a livello di intelligenza senso-motoria; la tesi della natura

operatoria dell’intelligenza e della operatorietà come contraddistinta dalla

26 Ibidem nota 24. 27 Piaget, Inhelder, 1967.

possibile presenza simultanea di un’operazione delle condizioni della

classificazione; la tesi degli “stadi” come tappe dello sviluppo mentale è

alla base della costruzione di una sequenza nella quale momenti successivi

risultano l’uno all’altro legati.

I motivi dell’interesse per le posizioni piagettiane possono essere diversi.

Uno di questi motivi è di solito individuato nel fatto che Piaget propone una

spiegazione dello sviluppo mentale è […] in relazione a manifestazioni

comportamentali. Altre critiche vengono mosse da Broùne, Kohnstamm sul

modo in cui Piaget conduce le esperienze e se ne serve, sulla mancata

considerazione del linguaggio, sul mettere allo steso piano condotte infantili

osservate nel corso di situazioni sperimentali molto diverse l’una dall’altra,

sull’interpretazione dell’insegnamento… Proprio quest’ultimo sarebbe

secondo Kohnstamm, il limite maggiore nella ricerca piagettiana.

Secondo Piaget il metodo d’istruzione migliore era quello di lasciare che il

bambino “agisca” e questo in base alla convinzione che dare al bambino

una soluzione verbale non fa altro che diminuire le sue probabilità di

pervenire realmente alla comprensione di quel problema. Ma a questa

posizione Kohnstamm contrappone la sua convinzione che l’attività

dell’insegnamento non comporta passività del bambino, e in particolare che

“l’informazione ed educazione verbale trasmesse possono far sì che il

bambino pensi da sé”28.

28 Ibidem nota 24.

Alla base dell’interesse riscosso dalla psicologia piagettiane

sull’apprendimento vi è indubbiamente la ricerca di applicazioni educative.

Occorre dire che ci si trova su un terreno difficile, dove molte sono le

possibilità d’equivoco. Il filone di ricerca sull’apprendimento aperto a

Ginevra dallo stesso Piaget e dai suoi collaboratori non era inteso ad aprire

nuove vie all’insegnamento; al contrario si mirava piuttosto, attraverso esso,

ad ottenere conferma ed approfondimento di una teoria dello sviluppo che

ridimensiona il ruolo dell’insegnamento, e dalla quale si traggono forse

facilmente indicazioni negative, mentre è molto più difficile trarne delle

positive.

L’interesse educativo delle teorie piagettiane non va certo identificato con il

voler trasferire esperienze elaborate in un contesto di ricerca psicologica sul

piano dell’intervento didattico. Altre vie sono venute assumendo maggior

rilievo negli ultimi anni. Una di esse si caratterizza per l’intendo di trarre

lumi da Piaget circa il problema della valutazione dello sviluppo cognitivo

in relazione a possibilità di previsione e di intervento; o ancora per un

generale approccio ai problemi dell’educazione, prima o piuttosto che per

delle proposte specifiche.

Per chiunque abbia interesse ai problemi dello sviluppo, confrontarsi con il

discorso teorico piagettiane è estremamente utile, poiché con esso lo

sviluppo diventa il nodo centrale di una problematica che si amplia e si

approfondisce mettendo in gioco prospettive proprie di contesti disciplinari

diversi e la loro reciproca integrazione.

Cap. II Le motivazioni del lavoro e presentazione

del lavoro sperimentale

Diverse sono le motivazioni che mi hanno spinto ad intraprendere un lavoro

di tesi sperimentale.

Prima di ogni altra quella di voler appagare me stessa con un lavoro che mi

potesse gratificare sia come studentessa (ripagando nel miglior modo

possibile tutti quegli insegnanti, con particolare riferimento al Prof. Filippo

Spagnolo, che hanno fatto della ricerca una professione) sia come futura

insegnante (potendone dare, con esso, dimostrazione di come la ricerca sia

fondamentale e di vitale importanza in campo educativo e didattico).

In secondo luogo devo alla base psico-pedagogica e didattica ricevuta in

questi anni universitari la mia seconda motivazione; soprattutto è alla, tanto

studiata, teoria piagettiana, così vasta e ricca di spunti per la ricerca. Credo

che non si può assolutamente sottovalutare o trascurare una teoria che non

ha lasciato spazi inesplorati (dallo sviluppo del pensiero, al concetto di

intelligenza, dallo studio delle strutture logiche che stanno alla base del

ragionamento a quello del linguaggio e della sua funzione simbolica,…),

che ha mostrato interesse verso la ricerca empirica e che a sua volta è stata

da molti criticata.

Flawell, nel 1963, afferma e sottolinea certe “lagnanze” relative ai problemi

di interpretazione di molte affermazioni piagettiane: “anzitutto vi è molta

genericità, imprecisione, instabilità nella definizione dei concetti, e altri

ostacoli alla comunicazione negli scritti di Piaget. Riesce spesso arduo

capire ciò che Piaget tenta di dire, e spesso alla fine non ci si riesce…vi è

anche la tendenza, connessa, a lasciare dei larghi vuoti fra la teoria e i dati

empirici, quasi ad isolarli l’una dagli altri…[…]La seconda categoria di

appunti concerne gli aspetti empirici del sistema, il modo, cioè, in cui

Piaget prospetta ed esegue uno studio, analizza i dati e riferisce su ciò che

ha fatto e trovato…[…]Il lettore è spesso indotto a chiedersi quali verifiche

effettive e quali procedimenti di indagine siano stati applicati, e da chi, in

quali condizioni si sia svolta l’esperienza, quanti bambini siano stati

sottoposti ad essa, di quale età…[…]Tipicamente, il processo di verifica e

di indagine varia sensibilmente da soggetto a soggetto, almeno in parte

come conseguenza del fatto che Piaget ha scelto, esplicitamente, il

<<metodo clinico>>. […]Vi è in fine il problema dell’organizzazione e

dell’analisi dei dati. E ciò che egli in genere omette di fare è dare anche

un’informazione quantitativa, sia pure rudimentale, sui suoi risultati. […]il

terzo gruppo di lagnanze concerne il modo in cui Piaget interpreta le sue

dimostrazioni empiriche. […]Per un verso, egli tende a trarre delle

conclusioni definitive da prove che altri avrebbero considerato incerte;

d’altro canto, un dato di evidenza incerta o solida è frequentemente uno

stimolo per quella che appare essere una discussione teorica prolissa ed

eccessivamente elaborata. I libri e gli articoli di Piaget sono spesso difficili

e anche noiosi da leggere a causa di questo fatto; dopo aver riferito un

risultato, riempie pagine su pagine di teorizzazioni su di esso.29”

Altri rilievi critici su aspetti della teoria piagettiana riguardano “i tempi di

passaggio tra i vari stadi dello sviluppo”.

“Attualmente è assodato che i tempi di passaggio sono molto più lenti,

disomogenei ed incompleti di quanto potesse sembrare sulla base delle

prime formulazioni. […] Si tratta di una critica forse non sostanziale –

afferma Renzo Vianello – ma importante sia sul piano teorico che su quello

applicativo (a livello divulgativo, infatti, spesso i riferimenti cronologici

sono stati presi troppo alla lettera). Tale critica, inoltre, ridimensiona

notevolmente la credenza piagettiana di uno sviluppo “solidale”, cioè

armonico, in cui le varie strutture di uno stesso stadio si “sostengono” a

vicenda. In altre parole è molto facile, ad esempio, trovare bambini di 4-8

anni (cioè con età fra loro molto diverse) che alternano prestazioni di

livello operatorio con altre di livello preoperatorio.30”

Come sottolineano Berti e Bombi (1985, p. 110 e ss.) sintetizzando i

risultati di varie ricerche condotte al riguardo, <<la stessa nozione di

“stadio” è stata ritenuta scorretta. Il fatto che varie nozioni, che secondo

Piaget appartengono allo steso raggruppamento, vengano acquisite in

periodi diversi potrebbe indicare che si è di fronte a nozioni fra loro

29 R. Vianello, “Psicologia dello sviluppo”, per l’Università III edizione, Edizioni junior. p. 115-116. 30 Flawell, J. H. (1963). The developmental psychology of Jean Piaget. Princeton: Van Nostrand. (trad. 1971. La mente dalla nascita all’adolescenza nel pensiero di Jean Piaget. Roma: Astrolabio).

diverse e che non ha quindi senso parlare di stadio, cioè di qualcosa che

accomuna fra loro queste nozioni.>>31.

Ritengo sia stato necessario introdurre queste citazioni critiche sulla teoria

piagettiana, in quanto è proprio da queste e da un precedente lavoro

sperimentale, condotto lo scorso anno accademico per ‘Didattica della

Matematica’, da cui trae origine la mia terza ed ultima motivazione a questo

lavoro sperimentale.

Il fattore che stimola la curiosità e l’interesse nel procedere alla ricerca

descritta nel seguente progetto, consiste nel voler offrire un’occasione, non

simulata ma reale, d’indagine in ambito educativo, fruendo delle grandi

risorse insite nell’osservazione e nella sperimentazione per rilevare

informazioni sui fattori che intervengono lungo lo sviluppo della crescita

dell’uomo, rivolgendo particolare attenzione ad una fase scolastica

importante quale, per l’appunto, l’approccio al numero e alle relazioni

d’ordine nella Scuola dell’Infanzia (la seriazione).

Questo, vorrà essere un lavoro di “conferma” o di “falsificazione” ad alcune

ipotesi di ricerca che meglio espliciterò nei prossimi paragrafi.

31 Berti, A. E., e Bombi, A. S. (1985). Psicologia del bambino. Bologna: Il Mulino.

2.6. Definizione delle ipotesi di ricerca e strumenti metodologici-sperimentali per la falsificazione

Prima di enunciare la mia domanda di ricerca e la conseguente ipotesi di

ricerca, è bene indicare, a coloro che stanno per leggere questo mio lavoro,

quale sarà il nucleo sul quale verrà catalizzata l’attenzione.

Tra le tante ricerche di Piaget, ho avuto modo di conoscere meglio e di

approfondire quella sulla seriazione, e questo grazie ad una mia

precedentemente sperimentazione che ha messo in risalto alcune

“imperfezioni” della teoria piagettiana.

Seriare significa mettere in sequenza (determinati oggetti o avvenimenti)

secondo un criterio d’ordine. “Serie” deriva dal lat. series ‘fila’, da serere

‘mettere in fila, concatenare’. La seriazione è già presente fin dal livello

senso-motorio, almeno quando la differenza tra gli elementi da seriare sono

percettivamente sufficienti per rivelarsi ad un semplice sguardo d’insieme:

quando un bambino di 1 anno e mezzo costruisce una torre sovrapponendo

pezzi di grandezza decrescente, o quando poco più tardi egli riesce nella

prova degli incastri Montessori, adotta infatti dei comportamenti di

seriazione e dei comportamenti che, pur inglobando la percezione delle

relazioni, comportano uno schema senso-motorio che oltrepassa la sola

percezione.

Secondo Piaget, “quando domandiamo al bambino di confrontare le

differenze tra due elementi contigui posti verso la fine, i soggetti più

giovani (5-7 anni) hanno bisogno di un confronto diretto con trasporto

della prima inferenza sulla seconda, mentre i grandi (9-10 anni)

percepiscono immediatamente l’uguaglianza o la disuguaglianza di queste

differenze riferendosi all’insieme della configurazione e particolarmente

alla linea dei vertici. […]I fatti attualmente conosciuti sembrano indicare

che lo schema percettivo corrispondente alla configurazione seriale non

costituisce un dato primitivo. […]Il soggetto non percepisce l’insieme della

configurazione seriale che non nella misura in cui riconosce una struttura

che è capace di costruire o ricostruire: sarebbe allora in questi schemi

senso-motori, e non negli schemi esclusivamente percettivi, che

converrebbe cercare l’origine delle operazioni di seriazione, in quanto

risultato interiorizzato delle azioni anteriori del soggetto. […]Le

configurazioni seriali danno luogo da 5 a 6 anni a semi-anticipazioni di cui

non troviamo l’equivalente nel campo delle classificazioni. […]Studiare le

semi-anticipazioni significa cercare di comprendere ciò che le rende

possibili fin dal livello preoperatorio, ma anche ciò che ancora manca loro

per giungere ad una organizzazione del problema e delle relazioni tra

l’anticipazione e le fasi operatorie delle azioni necessarie alla

seriazione.32”

32 Ibidem nota 20.

Per far ciò, le ricerche condotte da Piaget con A. Szeminska33 hanno

analizzato seriazioni effettuate su oggetti percepiti per vie tattili-

cinestesiche e confrontato queste <<seriazioni tattili>> alle seriazioni visive

ordinarie. I due studiosi, utilizzando un materiale di 10 righelli da 9 a 16,2

cm ed un assortimento di righelli di dimensioni intermedie da intercalare a

seriazione terminata. Individuarono tre stadi:

- nel corso del I di questi stadi, il bambino (di 4-5 anni) fallisce nella

seriazione dei dieci elementi iniziali: procede per coppie o per serie di 3

o 4 che egli non riesce a coordinare dopo aver eseguito la seriazione;

- nel corso del II stadio il soggetto (di 6-7 anni) riesce nella seriazione, ma

attraverso tentativi empirici, e non giunge ad interporre gli elementi

intercalari che con nuovi tentativi e in genere ricominciando il tutto;

- nel corso del III stadio, invece, che inizia verso i 7-8 anni, il soggetto

riesce nella seriazione utilizzando un metodo sistematico che consiste

nel cercare dapprima il più piccolo elemento (o il più grande) di tutti, poi

il più piccolo di tutti quelli che restano, ecc.: solo questo metodo è da

considerare come operatorio, poiché testimonia che un elemento

qualunque E è allo stesso tempo più grande dei precedenti (E>D,C, ecc.)

e più piccolo dei seguenti (E<F,G, ecc.). questa reversibilità operatoria

del terzo stadio si accompagna ad una capacità di intercalare

correttamente (senza tentativi) gli elementi supplementari.

33 La genèse du numbre chez l’enfant, Neuchatel-Paris, Delachaux et Niestlé, 1941, cap. VI (trad. it. La genesi del numero nel bambino, Firenze, La Nuova Italia, 1968

I dati della ricerca sono stati in seguito riportati sotto forma statistica e

classificati per stadi e per età, per meglio mostrare l’evoluzione della

seriazione:

Da essi si constata così che è proprio a 7-8 anni solamente che la seriazione

sistematica viene raggiunta in riferimento al materiale utilizzato; va da sé

che utilizzando meno elementi e soprattutto introducendo tra essi differenze

maggiori, che non rendono necessari continui confronti due a due,

giungeremo a risultati molto migliori; mentre i bambini di età inferiore

ordinano piccole serie di 3-4 elementi in ordine crescente o decrescente ma

senza coordinazione tra loro.

Di certo, e qui concordo solo parzialmente con Piaget, l’insuccesso della

seriazione è dovuta essenzialmente alle lacune dell’esplorazione: il bambino

ETA’ 4 5 6 7 8 N.SOGG. 15 34 32 32 21

STADIO I A. insuccesso nella seriazione (nessun tentativo d’ordinazione)

53%

18%

7%

-

-

STADIO I B. insuccesso nella seriazione (piccole serie non coordinate)

47%

61%

34%

22%

-

STADIO II successo attraverso tentativi

-

12%

25%

15%

5%

STADIO III successo con metodo operativo

-

9%

34%

63%

95%

di questo livello rimane passivo34 (ma non si può di certo fare una

generalizzazione, in quanto altri bambini di 4-5 anni si dimostrano molto

attivi e curiosi): esplora una delle estremità senza preoccuparsi sempre

dell’altra, considera gli elementi isolatamente e non li confronta due a due

che raramente e dietro suggerimento e soprattutto non confronta mai un

elemento a tutti gli altri e non si occupa nemmeno di sapere se li ha toccati

tutti. In tali condizioni la seriazione è naturalmente impossibile e se questo

stadio dura più a lungo nella fase tattile che in quella visiva, è

evidentemente perché in mancanza di apprendimento simultaneo di tutti gli

elementi, la percezione tattile favorisce meno le comparazioni e necessita di

un’attività molto maggiore da parte del soggetto per compensare la

ristrettezza del campo.

“Quanto alla anticipazione grafica, è normale che essa non sia migliore,

per la mancanza di esplorazione iniziale degli elementi. […]Constatiamo

che l’anticipazione lievemente migliore corrisponde ad una esplorazione

anch’essa un po’ più accurata, che va fino all’esplorazione della linea dei

vertici con base rettilinea. […]Il ritardo dei successi tattili sui successi

visivi è dovuto esclusivamente al carattere non simultaneo delle percezioni

tattili. […]La comparazione delle rispettive evoluzioni delle strutture di

classi e di relazioni asimmetriche transitive (seriazione) mette in evidenza

che da una parte la seriazione sia più intuitiva, perché corrispondente ad

34 come per le prove di stereognosia – Piaget J. e Inhelder B., La représentation de l’espace chez l’enfant, Paris, PUF, 1948, cap. II.

una configurazione percettiva molto più semplice, che da una serie di

inclusioni additive di classi; dall’altra parte, la moltiplicazione delle classi

(e la formazione di matrici) sarebbe corrispondente ad una configurazione

percettiva più semplice, al punto che le prove costruite da matrici possono

essere risolte indipendentemente da ogni meccanismo operatorio, mentre la

moltiplicazione delle relazioni asimmetriche transitive (tavola a doppia

entrata composta da un susseguirsi di seriazioni nei due sensi orizzontale e

verticale) sembra a prima vista presentare una maggiore complessità in

ragione della doppia asimmetria così determinata. […]Nel campo delle

seriazioni l’equilibrio è raggiunto ugualmente quando il soggetto arriva

simultaneamente ad effettuare la serie nei due sensi (reversibilità della

relazione > e <), e particolarmente, dall’inizio della sua costruzione, a

confrontare qualunque elemento E, nello stesso tempo, a quelli che lo

precedono (E>D,C, ecc.) ed a quelli che lo seguiranno (E<F,G, ecc.).35”

Esposto ciò, in seno a quanto esperito durante i miei tre anni di

insegnamento e alle esperienze di tirocinio passate sento il dovere di

schierarmi per una posizione che non vuol essere uguale e contraria ai

presupposti teorici di Piaget ma che ne prende un po’ le “distanze”. Tale

posizione mi permetterà di “ricercare” delle “verità” che al momento

ritengo in ombra: per esempio non credo nella totale passività dei bambini

di 4-5 anni messi di fronte a tali prove, così come non credo che non

35 Ibidem nota 20.

possano giungere a seriare solo gruppi di 3 elementi non coordinati fra

loro...

Partendo dalle critiche esposte da Flawell, da R. Vianello, da Berti e Bombi,

e forte di un precedente lavoro sperimentale (benché annoverasse un

campione molto ristretto) che ha mostrato la fondatezza di queste, con il

supporto e sostegno del Prof. Spagnolo ho tracciato quella che è divenuta la

mia domanda/ipotesi di ricerca:

D: La tesi di Piaget è tuttora valida?

H0: Se costruisco delle situazioni-problema in ambiente classe,

la tesi di Piaget è ancora valida.

A verifica della mia ipotesi, ho pensato di preparare cinque test o

situazioni-problema che possano (per la loro strutturazione o per

l’esecuzione) descrivere al meglio quali passaggi mentali compia il

bambino. Si presuppone, infatti, una “verbalizzazione” di ciò che sta

accadendo, cioè si intervisterà il bambino sul suo modo di agire e operare.

Inoltre, per ovviare l’ostacolo del <<metodo clinico>> adoperato da Piaget,

verrà scelta la modalità di osservazione “video-registrata” in ambiente

classe, e per alcune delle prove si richiederà la coopartecipazione di due

alunni per volta: proprio al fine di vedere come lavorino, se sono entrambi

d’accordo sulle scelte, se sono in grado di “discutere” per supportare la

propria tesi e se ne riescono a dimostrare e convincere l’altro della propria

validità.

Secondo il metodo della “falsificazione”, qualora i risultati ottenuti dopo la

sperimentazione dovesse confermare la mia tesi, ne consegue che la tesi di

Piaget è a tutt’oggi ancora valida; altrimenti:

H1: Se i risultati empirici, derivati dalla sperimentazione, non

dovessero confermare la mia ipotesi iniziale (H0), allora la

tesi di Piaget non è ad oggi valida.

2.7. Descrizione qualitativa del primo lavoro sperimentale. Link al video e commento

Il primo lavoro sperimentale nasce dagli stimoli avuti duranteil corso di

“Didattica della Matematica I” (Prof. F. Spagnolo), svoltosi nell’a. A.

2005/06.

Il corso presupponeva come fine quello di favorire, in noi studenti, la

nascita di un nuovo metodo: che non si basasse solo sull’azione

programmatica ma che questa venisse da noi, preventivamente analizzata e

solo in seguito, sperimentata. Tutto ciò allo scopo di farci “toccare con

mano” quale possa essere la realtà scolastica e come si possa sostituire alla

vecchia e passiva didattica, una didattica “viva” della matematica che

analizza e si analizza, e che sulla base delle proprie analisi possa innescare

quel processo dinamico che “infuochi” lo spirito dell’insegnante-

ricercatore. La ricerca in didattica, condotta attraverso il paradigma della

«Teoria delle Situazioni» elaborata da Guy Brousseau, “consente di

interpretare e tentare delle previsioni sui fenomeni didattici”36, permette di

ripercorrere le fasi di un’esperienza didattica, dando vita ad una riflessione

sugli “elementi costituitivi dei fenomeni d’insegnamento-apprendimento”37:

sapere – allievo – insegnante, amplificando il ruolo di ognuno dei tre poli e

mettendo in evidenza punti di vista ed aspetti, della questione in esame, che

altrimenti resterebbero latenti.

Divisi per piccoli gruppi e per indirizzi, tutti noi studenti abbiamo portato

avanti un lavoro di ricerca critica-sperimentale: critica, perché si è effettuata

una ricerca comparativa di più testi di matematica (sia per insegnanti che

per studenti), per vedere quale metodo didattico prediligessero per la

propria impostazione; sperimentale in quanto, scelto il tema di ricerca <<La

relazione d’ordine nella Scuola dell’Infanzia>>, si è passati alla scelta delle

situazioni-problema, all’analisi a priori di esse, alla sperimentazione in

situazione a-didattica38 video registrata, alla discussione39 in classe dei

risultati e dunque alla validazione della strategia migliore, alla tabulazione

dei risultati.

36 Filippo SPAGNOLO, Insegnare le matematiche nella scuola secondaria”, Firenze, La Nuova Italia, 2000. 37 L. CERAULO et. al., “Ricerca in didattica” Atti del seminario di studi tenuto a Isola delle Femmine dal 15 al 19 dicembre 1997, IRRSAE SICILIA 38 Per situazione a-didattica si intende quella situazione in cui non esiste più tra insegnante e allievo il tradizionale “contratto di dipendenza: io conosco un dato sapere e te lo voglio insegnare”, per cui sono in ballo solo gli studenti e la conoscenza, mentre l’insegnante non ne fa più parte. Non vi sono obblighi didattici, per cui quello che gli allievi fanno non è legato a spinte da parte dell’insegnante, come avviene invece nel normale contratto didattico. Gli allievi, da soli o in gruppo, fanno tentativi, provano e riprovano varie strategie. Essi interagiscono con gli elementi dell’ambiente e in questo modo modificano il proprio sistema di conoscenze perché devono adattarsi nell’utilizzo di varie strategie. Se questa attività matematica provoca tra gli studenti una discussione per accordarsi sulle modalità operative, allora in quel momento si ha produzione di conoscenza, ma essa non è richiesta dall’insegnante, non è istituzionalizzata, per cui l’allievo che vi è arrivato se ne appropria in maniera più naturale. Spagnolo F., Scimone A., Argomentare e congetturare nella Scuola Primaria e dell’Infanzia, Palumbo editore, 2005. 39 Ibidem nota 36.

Per far comprendere meglio ciò di cui sto parlando, anche a chi si stia

accostando da “profano” all’argomento ma che incuriosito vorrebbe saperne

di più, penso sia necessario mostrare nella sua interezza la prima

sperimentazione, o meglio la presentazione del lavoro finale in Power Point

comprensiva di immagini (dimostrative delle situazioni-problema), griglie

(di analisi a-priori dei testi scolastici, delle diverse situazioni-problema e

quelle finali con i dati realmente ottenuti in seguito alla sperimentazione),

grafici (riassuntivi e rappresentativi dei dati di ricerca) e spezzoni di video

(in cui si possono visionare i momenti più salienti dell’esperienza, come per

esempio il momento della validazione della strategia migliore).

Tutto questo materiale multimediale si trova nel CD accluso alla presente

tesi.

Per coloro che hanno avuto modo di visionare il primo lavoro sperimentale,

apparirà ovvia la necessità sentita nel voler continuare ad approfondire tale

indagine. I dati relativi alla sperimentazione, ed in particolare quelli

riguardanti la seriazione delle sei sequenze del “CASTELLO” e del

“CASTELLO SFUMATO” sollevano il sentore che qualcosa nella sopra

citata teoria piagettiana non vada più bene.

Piaget affermava che bambini di quell’età non potessero ordinare più di tre-

quattro elementi e che non riuscissero a coordinarli tra loro in una unica

sequenza ordinata. Ma dopo la visione dei video ciò non ci sembra più tanto

corretto. Si sollevano dunque i seguenti interrogativi: Sarà stata

un’eccezione? La teoria di Piaget è da considerarsi ancora valida?

Il secondo lavoro sperimentale vorrà dunque essere un lavoro di verifica

dell’ipotesi sperimentale esplicitata nel precedente paragrafo.

2.8. Descrizione del secondo lavoro sperimentale su un campione di ≅ 100 bambini

Questo secondo lavoro di sperimentazione, iniziato il 24/01/2007 in

coincidenza con l’inizio del tirocinio del quarto anno, vede interessato tutto

un arco temporale che termina il 28/02/2007 e la partecipazione di più

Scuole dell’Infanzia, che ringrazio sentitamente per la disponibilità prestata.

Prima fra tutte l’Istituto E. De Amicis di Enna in cui ho riscontrato subito

tra le sue insegnanti una grande voglia di “imparare” qualcosa di nuovo,

“un nuovo modo di fare scuola” – affermano le insegnanti della sez. F; La

Scuola dell’Infanzia “Fundrisi” di Enna che mi ha accolto con entusiasmo e

grande interesse il mio lavoro di ricerca. Quando si fa una ricerca, quasi mai

è possibile esaminare l’universo dei casi potenzialmente reperibili, che

viene definito popolazione di riferimento della ricerca. In genere è

possibile lavorare solo una parte dell’universo, che si chiama “campione”.

La popolazione accessibile (available) è quella parte della popolazione

bersaglio (target) che concretamente può essere raggiunta ed esaminata e da

cui può essere estratto il campione.

Si può ben intuire come la scelta del campione sia essenziale per

organizzare una buona ricerca: se il campione non rappresenta, se pur in

piccolo, la popolazione di riferimento, i risultati poco avrebbero da dire

rispetto a quella popolazione40.

La scelta dei gruppi che costituiscono il campione della ricerca dipende

dall’ipotesi formulata e dal tipo di variabili che essa prevede.

Solitamente i componenti dei gruppi-campione, scelti inizialmente in modo

casuale, vengono in seguito stratificati in base all’età, al sesso, alla

provenienza, al livello socio-culturale, ecc...in modo tale che possa venire

più agevole confrontarne i dati; nel nostro caso questa casualità è stata

temperata dalla necessità di costruire dei campioni ad hoc per la nostra

ricerca: infatti sono stati scelti tutti i bambini di 5 anni frequentanti le

Scuole sopra menzionate.

Tale percorso sperimentale ha previsto diverse fasi:

I. Fase dedicata alla riflessione teorica, alla ricerca delle fonti e alla

formulazione dell’ipotesi di ricerca;

II. Fase di valutazione/scelta e analisi a priori delle situazioni-problema;

III. Fase di sperimentazione dei 5 test sul campione di riferimento;

IV. Fase di analisi dei dati;

V. Fase di riflessione conclusiva, con eventuali questioni rimaste aperte.

40 Di Nuovo S., “Fare ricerca. Introduzione alla metodologia per le scienze sociali”.Bonanno Editore, 2003.

Avendo già ampiamente trattato, nei paragrafi precedenti, la prima fase di

questo lavoro sperimentale, in questo secondo capitolo racconterò quanto

avvenuto per la seconda, terza e quarta fase di ricerca, mentre riserverò

all’ultimo e terzo capitolo la fase di riflessione conclusiva.

2.9. Analisi a priori dei test

L’analisi a priori costituisce uno degli strumenti professionali di supporto

per le decisioni da prendere, in un lavoro di ricerca come questo. Permette

di anticipare certe reazioni degli allievi e dunque di orientare certe scelte

dell’insegnante. L’analisi a priori di una situazione è un lavoro di ipotesi

fatte dall’insegnante, orientate verso:

• I percorsi, le strategie, i ragionamenti, le procedure, le soluzioni che

l’allievo può mettere in opera nella situazione che gli è proposta tenuto

conto delle sue conoscenze presupposte (può lanciarsi a risolvere questo

problema? Ha dei criteri per sapere se ha risolto bene o no?);

• Le difficoltà che può incontrare e gli errori che può commettere (la

situazione permette all’allievo di impiegare le sue concezioni errate?);

• Lo studio delle variabili didattiche della situazione e gli effetti sul lavoro

dell’allievo, delle modifiche che l’insegnante può apportare alla situazione

(la nozione o la procedura prevista è lo strumento più appropriato per

risolvere il problema posto?);

• Lo studio delle variabili pedagogiche, legate a delle scelte

d’organizzazione della classe o d’interventi da parte dell’insegnante, e i loro

effetti sul lavoro degli allievi (quali sono i tipi d’organizzazione o gli

interventi che costituiranno un ostacolo al lavoro desiderato dell’allievo?).

L’analisi a priori comprende, dunque, l’insieme di tutti quei comportamenti

ipotizzabili dagli allievi nei confronti della “situazione-problema” cioè,

tutte le possibili strategie risolutive corrette e non. Di seguito andrò ad

elencare e descrivere le strategie risolutive ipotizzate per ciascuno dei

quesiti, successivamente seguite dai comportamenti realmente adottati dagli

alunni nella risoluzione della situazione-problema.

La prima situazione-problema: TEST DELLE BARRETTE

Questo test è stato ripreso dal famoso test “dei righelli” che lo stesso Piaget

con A. Szeminska ( La genèse du numbre chez l’enfant, Neuchatel-Paris,

Delachaux et Niestlé, 1941, cap. VI (trad. it. La genesi del numero nel

bambino, Firenze, La Nuova Italia, 1968) facevano fare in ambito clinico,

utilizzando un materiale di 10 righelli da 9 a 16,2 cm ed un assortimento di

righelli di dimensioni intermedie da intercalare a seriazione terminata.

Diversamente dai due studiosi, ho pensato di utilizzare 15 bacchette di

diversa dimensione tra cui ne ho posto quattro di eguale dimensione, per cui

ci saranno: 2 barrette da 15 cm; 1 da 14 cm; 2 da13 cm; 1 da 12 cm; 2 da 11

cm; 1 da 10 cm; 2 da 9 cm; 1 da 8 cm; 1 da 7 cm; 1 da 5 cm; 1 da 3 cm. La

scelta di mettere delle coppie di barrette è stata adottata per verificare:

- se i bambini a “prima vista” potessero individuare uguaglianze e

disuguaglianze;

- se, una volta iniziato a seriare, trovavano delle uguaglianze e dunque se

possedevano a priori il concetto di uguaglianza e di differenza

(fondamentale per la seriazione e il concetto di “numerosità”).

Foto n. 1 Foto n. 2

Nella prima immagine vengono ritratte tutte e 15 le barrette utilizzate per la

sperimentazione; nella foto si osservano le quattro coppie di barrette di

eguale dimensione.

Nella seconda immagine sono ritratte le 11 barrette seriate, dopo aver

scartato una delle barrette doppie in ciascuna delle quattro coppie.

Ho preferito far svolgere questo test a coppie di bambini, in un contesto

classe, in modo da mettere in evidenza le capacità di ciascuno di

“argomentare e congetturare”, infatti durante l’attività ho cercato di

stimolare i bambini a commentare ciò che stavano facendo, in che modo

stavano operando, se entrambi erano soddisfatti del modo in cui avevano

ordinato, se erano d’accordo e se era possibile ordinarli anche in altri modi.

Le strategie scorrette ipotizzate:

S1: manipola parzialmente ma non ordina;

S2: manipola tutto ma non ordina;

S3: allinea alla base confrontando 2 a 2, ma si ferma solo a trovare le

uguaglianze di cui ne scarta una;

S4: allinea alla base confrontandone 2 bacchette e poi aggiungendo le altre

ma senza alcun criterio, non ordina e non trova le uguaglianze;

S5: allinea alla base 2 bacchette, poi aggiunge e allinea le altre, formando

piccole serie da 3-4 elementi non coordinate tra loro;

S6: ad occhio decide di dividere le bacchette più grandi da quelle più

piccole, le allinea alla base ma non sa integrare le due semi serie, non

scarta le uguaglianze;

S7: ad occhio decide di dividere le bacchette più grandi da quelle più

piccole, le allinea alla base ma non sa integrare le due semi serie, scarta

le uguaglianze;

Strategie corrette ipotizzate:

S8: prende 2 bacchette visibilmente differenti e ne aggiunge un’altra che

in base alla dimensione decide di mettere vicino alla più piccola o alla

più grande, componendo serie superiori a 4-5 elementi.

S9: dopo aver seriato 2 elementi aggiunge una bacchetta per volta che

dispone in ordine crescente o decrescente dopo averla confrontata con

le altre già seriate, scartando una bacchetta degli uguali. Ordina tutte le

bacchette.

S10: inizia a prendere la bacchetta che gli sembra più piccola/più grande e

continua ad ordinare secondo una logica operativa, per cui ricerca tra il

restante insieme quella più piccola o più grande.

Seconda situazione-problema: SCHEDA OPERATIVA << Sa

riconoscere se c’è un ordine?>> tratta da “Seriazione in pratica” di R.

Medeghini e D. Quaresmini, Trento, Erickson, p. 17

La scheda, come si può ben vedere dall’immagine, tre file di elementi che il

bambino dovrà ben osservare per poi rispondere ad alcune domande (oltre

quelle della scheda stessa):

- come sono questi elementi (ripetuto per ognuna delle tre file)? Sono tutti

uguali?

- Perché secondo te sono in ordine? Come sono sistemati?

- Perché secondo te sono in disordine?

- Cosa trovi di sbagliato?

- Cambieresti il posto di qualche elemento? Dove l’avresti messo?

Fondamentalmente con questa scheda si vuole attestare la presenza o

assenza del concetto di ordine e se il bambino ne riesce a dedurre anche il

criterio (se crescente come per la prima serie o decrescente per la terza).

Inoltre le domande poste al di fuori di quelle già presenti nella scheda

hanno come obiettivo quello di constatare se il bambino di questa età (5

anni) riesce a cogliere l’errore di seriazione ed individuarne la soluzione

corretta.

Strategie scorrette ipotizzate:

S11: non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto;

S12: crede che in ogni fila vi sia un errore di seriazione (pregiudizio);

S13: crede che sia più giusto alternare elementi piccoli a grandi o

viceversa (il bambino è ancora legato al concetto di ritmo).

Strategie semi-corrette ipotizzate:

S14: suppone che solo l’ordine crescente sia quello corretto; individuando

l’errore sia nella seconda che terza fila di oggetti;

S15: crede che solo l’ordine decrescente sia quello corretto; individuando

l’errore sia nella prima che seconda fila di oggetti;

S16: trova corretto solo l’ordine crescente per cui è corretta solo la prima

serie; riordina in tal senso gli oggetti delle altre due file;

S17: trova corretto solo l’ordine decrescente per cui è corretta solo la

prima serie; riordina in tal senso gli oggetti delle altre due file.

Strategie corrette ipotizzate:

S18: osserva attentamente, trova le differenze di dimensione tra gli

elementi (ad occhio), afferma il corretto ordine della prima e terza

serie e l’errore nella seconda fila di oggetti; ma non sa spiegare né il

perché né quale elemento dovrebbe essere cambiato di posto;

S19: osserva attentamente, nota le differenti dimensioni degli elementi e

dimostrandolo, utilizzando le dita; afferma il corretto ordine della

prima e terza serie; trova l’errore d’ordine nella seconda fila di

elementi ed individua la posizione esatta;

Terza situazione-problema: SCHEDA OPERATIVA <<Fai una

crocetta sul gelato che è nella posizione sbagliata>> tratta da

“Seriazione in pratica” di R. Medeghini e D. Quaresmini, Trento,

Erickson, p.

Questa scheda è stata scelta per andare a rafforzare quanto voluto esaminare

con la precedente scheda. L’unica variante nella presentazione di questo test

è stata quella di non dire subito, a priori, che vi è un gelato nella posizione

sbagliata. Nella consegna della scheda ho chiesto ai bambini di osservare

bene la serie e di rispondere alle stesse domande fatte precedentemente:

- come ti sembrano questi gelati?

- Sono tutti uguali o diversi?

- Secondo te sono ordinati bene?

- (nel caso di risposta negativa) Cosa trovi di sbagliato?

- C’è un errore?

- (nel caso di risposta positiva) Indicami quale gelato vedi nella posizione

sbagliata.

- Dove l’avresti sistemato?

Strategie scorrette ipotizzate:

S20: non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto;

S21: crede che sia più giusto alternare elementi piccoli a grandi o

viceversa (il bambino è ancora legato al concetto di ritmo).

Strategie semi-corrette ipotizzate:

S22: individua l’errore ma non ne sa dare spiegazione;

S23: individua l’errore, spiega il perché ma non individua la posizione

corretta.

Strategia corretta ipotizzata:

S24: individua il cono sistemato non correttamente e sa individuarne la

posizione esatta;

Quarta situazione-problema: SCHEDA OPERATIVA <<Le brocche

sono ordinate partendo da quella che contiene più acqua.Quale brocca

tra quelle nel riquadro inseriresti nello spazio vuoto?>> tratta da

“Seriazione in pratica” di R. Medeghini e D. Quaresmini, Trento,

Erickson, p. 87

La scheda riporta una serie incompleta, che il bambino dovrà terminare

optando tra le brocche del riquadro. Con questo test si andrà dunque a

verificare se il bambino di 5 anni è in grado di inserire elementi

“intercalari” all’interno di una serie o, come in questo caso, di una semi

serie. Per di più bisogna ricordare che questa verifica presenta una maggiore

difficoltà, legata alla percezione delle quantità d’acqua rappresentate

(esigue differenze per l’occhio non esperto) e alla mancata possibilità di

manipolazione. Anche durante questa attività verranno rivolte ai bambini

delle domande che possano mettere in luce la loro percezione:

- queste brocche sono tutte uguali o trovi delle differenze (indicando la

serie e non le brocche del riquadro)?

- Cosa noti di diverso?

- Com’è l’acqua nelle brocche?

- L’acqua della seconda brocca (sempre indicandola) è maggiore o minore

(di più o di meno) dell’acqua della prima brocca?

- E rispetto alle altre (ripetendo il paragone con tutte)?

- In questo spazio vuoto quale delle tre brocche del riquadro dobbiamo

scegliere?

- Perché?

Strategie scorrette ipotizzate:

S25: non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto;

S26: crede che sia più giusto alternare elementi piccoli a grandi o

viceversa (il bambino è ancora legato al concetto di ritmo);

S27: sceglie una brocca sbagliata (prima o seconda) e non giustifica la sua

scelta;

S28: sceglie una brocca sbagliata (prima o seconda) e giustifica la sua

scelta, ma chiaramente non ha ancora compreso il giusto criterio di

scelta;

S29: sceglie la brocca centrale affermando che è quella che ci sta meglio

(basandosi solamente sulla disposizione spaziale degli elementi).

Strategia semi-corretta ipotizzata:

S30: individua la brocca corretta (terza) ma non sa giustificare la sua

scelta.

Strategia corretta ipotizzata:

S31: individua la brocca corretta (terza) e trova giustificazione alla sua

scelta.

Quinta situazione-problema: TEST “I BOTTONI DEL NONNO”

In questa quinta ed ultima situazione-problema, propongo ai bambini un

breve racconto suggeritomi dal ricordo del mio caro nonnino, una delle

persone più ordinate e sistematiche che abbia mai conosciuto.

Ho cercato di proporre agli utenti un racconto “leggero” in cui i bambini

facilmente possano rispecchiarsi nelle vicende dei protagonisti:

<< E’ la storia di due nipoti, Francesca e Agostino, bimbi molto vivaci che

amano giocare con i bottoni colorati che il loro nonnino sarto conserva in

una grande scatola.

Agostino e Francesca sono attratti da tutti quei bottoni: sono colorati, ce ne

sono di grandi, di piccoli e di medi. Dopo aver giocato a lungo con i

bottoni non riescono a metterli mai al posto giusto…

Il nonnino purtroppo, data l’età, non vede più tanto bene e per questo tiene

sempre ordinati i suoi bottoni, sia per colore che per dimensione, in modo

tale da trovare subito il bottone giusto per ogni abito.

Se Agostino e Francesca non riusciranno a sistemare in tempo i bottoni

rischieranno di far sbagliare il loro nonnino…

Saresti capace di aiutarli? Ricorda che il nonnino ordina i suoi bottoni sia

per colore che per dimensione!>>

Per questo test le consegne si deducono dalla semplice lettura del testo.

I bambini (chiamati a coppia) avranno a disposizione 36 bottoni di legno di

6 colori e di 6 dimensioni differenti:

- 6 bottoni rossi dal diametro di 8,7,6,5,4,3 cm;

- 6 bottoni blu “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ ;

- 6 bottoni gialli “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ ;

- 6 bottoni rosa “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ ;

- 6 bottoni viola “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ ;

- 6 bottoni verdi “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ ;

Inoltre avranno a disposizione una grata 6X6 in legno in cui potranno

inserire un bottone per ogni cella a disposizione.

Foto n. 3

Strategie scorrette ipotizzate:

S32: raggruppa i bottoni in base alle dimensioni (classifica);

S33: raggruppa i bottoni in base al colore ma non ordina (classifica);

S34: inserisce i bottoni nella grata senza alcun criterio;

S35: divide i bottoni per colore e fa piccole serie incomplete.

Strategia semi-corretta ipotizzata:

S36: divide i bottoni per colore, li seria ma inserisce casualmente

all’interno della griglia.

S37: raccoglie i bottoni per dimensione, seria i cumuli di bottoni iniziando

dai più grandi a quelli più piccoli (o viceversa), distribuisce i sei

bottoni grandi “uno per ogni riga” (o per ogni colonna) occupando

tutta la prima colonna (o le prima riga); prendendo poi il cumulo

successivo di bottoni li va distribuendo in base all’ordine in cui gli

capitano e li inserisce negli spazi delle celle adiacenti o sottostanti;

riesce a seriare le dimensioni ma non c’è corrispondenza tra i colori.

Strategie corrette ipotizzate:

S38: suddivide i bottoni per colori, li pone uno sull’altro iniziando da

quello più grande per finire a quello più piccolo; poi prende tutti i

piccoli e li dispone “uno per ogni riga” (o per ogni colonna)

occupando tutta la prima colonna (o la prima riga); poi inserisce,

usando lo stesso criterio tutti gli altri bottoni;

S39: raccoglie i bottoni per dimensione, seria i cumuli di bottoni iniziando

dai più grandi a quelli più piccoli (o viceversa), distribuisce i sei

bottoni grandi “uno per ogni riga” (o per ogni colonna) occupando

tutta la prima colonna (o le prima riga); prendendo poi il cumulo

successivo di bottoni li va distribuendo in base al colore, cioè in base

alla colonna (o riga) di riferimento del colore del bottone inserito

prima; con lo stesso criterio giunge a completare la serie;

2.10. Commento alla sperimentazione e nuove strategie

riscontrate

La sperimentazione è stata portata avanti, sottoponendo i 5 test a coppie di

bambini appartenenti alla stessa classe o a classi differenti.

Durante questa ricerca, oltre ad annotare i dati e la disponibilità delle

insegnanti, non ho potuto fare a meno di percepire la partecipazione e

l’entusiasmo “palpabile” che i bambini hanno dimostrato e palesato. Ad

esclusione di un paio di bambini, tutti gli altri erano incuriositi e divertiti

nell’eseguire le prove; si accordavano per chi tra loro doveva “giocare” per

prima con me, e per chi sarebbe toccato il turno successivo; spesso

chiedevano di poter ripetere l’esperienza o se avessi per loro altri “giochi”.

Per ciascuna coppia ho preso nota su come i bambini operavano: se

collaboravano, se decidevano di dividersi i rispettivi compiti, se c’era uno

che voleva prevalere sull’altro, se non vi era collaborazione e ciascuno

operava secondo un proprio criterio, se uno dei due ritrattava il proprio

criterio d’ordine per aderire al criterio del/la compagnetto/a, se si

accorgevano dei propri errori e se cercavano di rettificarli, …

I dati ricavati dalla sperimentazione, sono stati riportati attraverso le sotto

riportate tabelle Excell.

La Tabella n.1, nella prima colonna a sinistra, presenta, ai lettori, i

partecipanti all’esperienza, mentre nella prima fila in alto, le strategie

ipotizzate che si sono verificate, le eventuali strategie inaspettate e apprese

nel corso della ricerca e le strategie che erano state da me ipotizzate ma che

non si sono verificate durante la sperimentazione (colonne in rosso che

verranno cassate nella seguente tabella).

La Tabella n.2 riporta i medesimi dati purificati dalle strategie che non sono

state messe in atto dai bambini durante la sperimentazione dei diversi test.

Chiaramente, per motivi di privacy, dei partecipanti non sarà reso noto il

nominativo reale ma verranno utilizzati dei nominativi fittizi; i nominativi

sono stati suddivisi per sezioni e scuole.

Le strategie ipotizzate avranno lo stesso numero riportato nel paragrafo

precedente e verranno suddivise per test di riferimento, ossia dall’S1

all’S10 per il primo test; dall’S11 all’S19 per il secondo test; dall’S20

all’S24 per il terzo test; dall’S25 all’S31 per il quarto test; dall’S32 all’S39

per il quinto test.

Le strategie non previste, nella mia precedente analisi a-priori, sono state

suddivise per test a cui fanno riferimento e sono state numerate nel modo

seguente: dall’S40 all’S44 per la prima prova, dall’S45 all’50 per la

seconda prova, dall’S51 all’S52 per la terza prova, l’S53 per la quarta prova

e dall’S54 all’S65 per l’ultima prova.

Le strategie messe in atto dai bambini verranno contrassegnate con il

numero “1”, le strategie nulle con “0”.

Le colonne nulle, ossia quelle le cui strategie non sono state scelte-attuate

dai bambini, sono: S6, S10, S23, S32, S36, S37, S38, S39, S40. Queste

verranno egualmente riportate nella prima tabella ma cassate nella

successiva.

Qui di seguito riporto le strategie definitive che sono state prese in

considerazione per l’analisi dei dati.

La prima situazione-problema: TEST DELLE BARRETTE

Le strategie scorrette ipotizzate:

S1: manipola parzialmente ma non ordina;

S2: manipola tutto ma non ordina;

S3: allinea alla base confrontando 2 a 2, ma si ferma solo a trovare le

uguaglianze di cui ne scarta una;

S4: allinea alla base confrontandone 2 bacchette e poi aggiungendo le altre

ma senza alcun criterio, non ordina e non trova le uguaglianze;

S5: allinea alla base 2 bacchette, poi aggiunge e allinea le altre, formando

piccole serie da 3-4 elementi non coordinate tra loro;

S6(cassata): ad occhio decide di dividere le bacchette più grandi da quelle

più piccole, le allinea alla base ma non sa integrare le due

semi serie, non scarta le uguaglianze;

S7: ad occhio decide di dividere le bacchette più grandi da quelle più

piccole, le allinea alla base ma non sa integrare le due semi serie, scarta

le uguaglianze;

Strategie corrette ipotizzate:

S8: prende 2 bacchette visibilmente differenti e ne aggiunge un’altra che

in base alla dimensione decide di mettere vicino alla più piccola o alla

più grande, componendo serie superiori a 4-5 elementi.

S9: dopo aver seriato 2 elementi aggiunge una bacchetta per volta che

dispone in ordine crescente o decrescente dopo averla confrontata con

le altre già seriate, scartando una bacchetta degli uguali. Ordina tutte le

bacchette.

S10 (cassata): inizia a prendere la bacchetta che gli sembra più

piccola/più grande e continua ad ordinare secondo una logica

operativa, per cui ricerca tra il restante insieme quella più

piccola o più grande.

Nuove strategie:

S40: argomenta logicamente

S41: dichiara di voler fare una scala

S42: collabora con il compagno

S43: non collabora con il compagno

S44: cambia più volte il criterio di sistemazione delle bacchette

Seconda situazione-problema: SCHEDA OPERATIVA << Sa

riconoscere se c’è un ordine?>> tratta da “Seriazione in pratica” di R.

Medeghini e D. Quaresmini, Trento, Erickson, p. 17

Strategie scorrette ipotizzate:

S11: non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto;

S12: crede che in ogni fila vi sia un errore di seriazione (pregiudizio);

S13: crede che sia più giusto alternare elementi piccoli a grandi o

viceversa (il bambino è ancora legato al concetto di ritmo).

Strategie semi-corrette ipotizzate:

S14: suppone che solo l’ordine crescente sia quello corretto; individuando

l’errore sia nella seconda che terza fila di oggetti;

S15: crede che solo l’ordine decrescente sia quello corretto; individuando

l’errore sia nella prima che seconda fila di oggetti;

S16: trova corretto solo l’ordine crescente per cui è corretta solo la prima

serie; riordina in tal senso gli oggetti delle altre due file;

S17: trova corretto solo l’ordine decrescente per cui è corretta solo la

prima serie; riordina in tal senso gli oggetti delle altre due file.

Strategie corrette ipotizzate:

S18: osserva attentamente, trova le differenze di dimensione tra gli

elementi (ad occhio), afferma il corretto ordine della prima e terza

serie e l’errore nella seconda fila di oggetti; ma non sa spiegare né il

perché né quale elemento dovrebbe essere cambiato di posto;

S19: osserva attentamente, nota le differenti dimensioni degli elementi e

dimostrandolo, utilizzando le dita; afferma il corretto ordine della

prima e terza serie; trova l’errore d’ordine nella seconda fila di

elementi ed individua la posizione esatta;

Nuove strategie:

S45: risponde di no alla prima domanda e sì alle altre due. Crede che sia

più corretto l'ordine decrescente così come alternare elementi grandi

con elementi piccoli.

S46: risponde a tutte e tre le domande di sì, senza darne spiegazione.

S47: trova errate la prima e terza fila di oggetti mentre come corretta la

seconda.

S48: individua l'errore nella seconda fila di oggetti, ma non rintraccia la

posizione corretta, né dà spiegazioni.

S49: cambia più volte idea ma poi trova la soluzione corretta e riesce a

giustificarla.

S50: trova corretta la prima fila di elementi, trova l'errore della seconda

fila e lo corregge ma sbaglia la terza fila.

Terza situazione-problema: SCHEDA OPERATIVA <<Fai una

crocetta sul gelato che è nella posizione sbagliata>> tratta da

“Seriazione in pratica” di R. Medeghini e D. Quaresmini, Trento,

Erickson, p.

Strategie scorrette ipotizzate:

S20: non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto;

S21: crede che sia più giusto alternare elementi piccoli a grandi o

viceversa (il bambino è ancora legato al concetto di ritmo).

Strategie semi-corrette ipotizzate:

S22: individua l’errore ma non ne sa dare spiegazione;

S23 (cassata): individua l’errore, spiega il perché ma non individua la

posizione corretta.

Strategia corretta ipotizzata:

S24: individua il cono sistemato non correttamente e sa individuarne la

posizione esatta;

Nuove strategie:

S51: individua come errate le posizioni dei primi tre coni, individuandone

le posizioni corrette.

S52: trova il cono messo nella posizione errata, non dà spiegazione né

individua la posizione corretta.

Quarta situazione-problema: SCHEDA OPERATIVA <<Le brocche

sono ordinate partendo da quella che contiene più acqua.Quale brocca

tra quelle nel riquadro inseriresti nello spazio vuoto?>> tratta da

“Seriazione in pratica” di R. Medeghini e D. Quaresmini, Trento,

Erickson, p. 87

Strategie scorrette ipotizzate:

S25: non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto;

S26: crede che sia più giusto alternare elementi piccoli a grandi o

viceversa (il bambino è ancora legato al concetto di ritmo);

S27: sceglie una brocca sbagliata (prima o seconda) e non giustifica la sua

scelta;

S28: sceglie una brocca sbagliata (prima o seconda) e giustifica la sua

scelta, ma chiaramente non ha ancora compreso il giusto criterio di

scelta;

S29: sceglie la brocca centrale affermando che è quella che ci sta meglio

(basandosi solamente sulla disposizione spaziale degli elementi).

Strategia semi-corretta ipotizzata:

S30: individua la brocca corretta (terza) ma non sa giustificare la sua

scelta.

Strategia corretta ipotizzata:

S31: individua la brocca corretta (terza) e trova giustificazione alla sua

scelta.

Nuove strategie:

S53: fa riferimento alla propria esperienza.

Quinta situazione-problema: TEST “I BOTTONI DEL NONNO”

Strategie scorrette ipotizzate:

S32(cassata): raggruppa i bottoni in base alle dimensioni (classifica);

S33: raggruppa i bottoni in base al colore ma non ordina (classifica);

S34: inserisce i bottoni nella grata senza alcun criterio;

S35: divide i bottoni per colore e fa piccole serie incomplete.

Strategia semi-corretta ipotizzata:

S36(cassata): divide i bottoni per colore, li seria prima fuori dalla griglia e

poi li inserisce casualmente dentro le celle della griglia.

S37 (cassata): raccoglie i bottoni per dimensione, seria i cumuli di bottoni

fuori dalla griglia iniziando dai più grandi a quelli più piccoli

(o viceversa), distribuisce i sei bottoni grandi “uno per ogni

riga” (o per ogni colonna) occupando tutta la prima colonna

(o le prima riga) della griglia; prendendo poi il cumulo

successivo di bottoni li va distribuendo in base all’ordine in

cui gli capitano e li inserisce negli spazi delle celle adiacenti

o sottostanti; riesce a seriare le dimensioni ma non c’è

corrispondenza tra i colori.

Strategie corrette ipotizzate:

S38(cassata): suddivide i bottoni fuori dalla griglia per colori, li pone uno

sull’altro iniziando da quello più grande per finire a quello

più piccolo; poi prende tutti i piccoli e li dispone “uno per

ogni riga” (o per ogni colonna) occupando tutta la prima

colonna (o la prima riga); poi inserisce, usando lo stesso

criterio tutti gli altri bottoni;

S39(cassata): raccoglie i bottoni fuori dalla griglia) per dimensione, seria i

cumuli di bottoni iniziando dai più grandi a quelli più piccoli

(o viceversa), distribuisce i sei bottoni grandi “uno per ogni

riga” (o per ogni colonna) occupando tutta la prima colonna

(o le prima riga); prendendo poi il cumulo successivo di

bottoni li va distribuendo in base al colore, cioè in base alla

colonna (o riga) di riferimento del colore del bottone inserito

prima; con lo stesso criterio giunge a completare la serie;

Nuove strategie:

S54: inserisce dapprima i bottoni in modo casuale, poi li suddivide per file

di colore ed in ultimo li seria dal più piccolo al più grande.

S55: inserisce dapprima i bottoni in modo casuale, poi li suddivide per file

di colore ed in ultimo li seria dal più grande al più piccolo.

S56: sistema i bottoni direttamente per file di colore e solo in seguito ne

seria le dimensioni dal più piccolo al più grande.

S57: sistema i bottoni direttamente per file di colore e solo in seguito ne

seria le dimensioni dal più grande al più piccolo.

S58: inizia a fare file di colore non seriate; in seguito seriano due bottoni

per ogni fila colorate; fatto ciò seriano tutti gli elementi della fila rosa

ed in base ad essa ordinano le altre file, basandosi sulle dimensioni dei

bottoni rosa precedentemente seriati.

S59: sistema i bottoni dapprima casualmente, poi fa file di bottoni dello

stesso colore ma con piccole serie di tre elementi; poi controlla in

senso trasversale, alle file di colore, le dimensioni dei bottoni

iniziandoli a seriare. Alla fine seria tutto.

S60: Mucchia i bottoni per dimensione, li inserisce nella grata ma

confonde tra loro i colori e non seria le dimensioni; in seguito seria le

dimensioni e ordina le file di colori.

S61: cambia più volte criterio.

S62: seriano tutti i bottoni.

S63: commettono solo qualche piccolo errore di distrazione (sbagliano a

seriare pochissimi bottoni i max due file di colori).

S64: inserisce casualmente i bottoni nelle celle della griglia, poi ordina i

colori lungo le diverse file e nel mentre va seriando tutti i bottoni.

S65: non porta a termine l'attività.

La Tabella riassuntiva finale verrà allegata a questo lavoro insieme alle

schede-test.

Le schede-test sono state numerate secondo l’ordine di inserimento dei

nominativi nelle tabelle 1 e 2; manca la scheda n. 51 in quanto il bambino è

rimasto assente per il periodo della sperimentazione del secondo, terzo e

quarto test. I nominativi dei bambini contrassegnati con l’asterisco stanno

ad indicare la disabilità degli stessi.

S1S15 S17 S2S4S3S43 S22 S5S11 S12 S7S59 S46 S21 S28 S26 S9S40 S41 S45 S48 S13 S47 S25 S27 S57 S60 S63 S8S20 S14 S16 S53 S49 S56 S51 S33 S35 S44 S50 S30 S34 S54 S61 S62 S52 S29 S55 S42 S18 S64 S19 S31 S58 S65 S24

41Analisi statistica dei dati

Albero delle Similarità: In questo grafico si evidenziano 6 gruppi di variabili. Le linee rosse mettono in rapporto di similarità

gruppi di strategie. Come si evidenza dall’albero VI della similarità la S1 (manipola parzialmente

V ma non ordina) sta in rapporto con le S15 (crede che solo l’ordine decrescente sia quello corretto;

individuando l’errore sia nella prima che seconda fila di oggetti) e S17 (trova corretto solo l’ordine decrescente per cui è corretta solo la prima serie;

riordina in tal senso gli oggetti delle altre due file); Queste strategie sono simili tra loro perché

evidenziano come una scarsa manipolazione/ osservazione oppure la convinzione radicata che

sia più corretto ordinare in un senso o nell’altro possa pregiudicare l’idea corretta di seriazione:

A>B>C>D => D<C<B<A => A>D e D<A sempre.

Nel II gruppo la variabile che le strategie simili, S2 (manipola tutto ma non ordina)-S4 (allinea alla base confrontandone 2 bacchette IV e poi aggiungendo le altre ma senza alcun

criterio, non ordina e non trova l’eguaglianze)- S3 (allinea alla base confrontando 2 a 2, ma si ferma solo a trovare le uguaglianze di cui ne scarta una) con S43 (non collabora con il compagno)-S22 (individua l’errore ma non ne sa dare spiegazione), mettono in risalto

sta nella nocività della mancata collaborazione e scambio tra i due bambini, che spesso

non riescono a comunicare all’altro le loro idee, intenzioni, conoscenze. Tale

mancanza non permette loro di crescere, come avviene invece per coloro

argomentino le loro scelte, idee, azioni, pensieri, fungendo da esempio per l’altro.

Di contro, appaiono vincenti le strategie simili S40 (argomenta logicamente)-S9

III II

41

S43

S62

S61

S34

S5

S19

S27

S1

S42

S30

S31

S33

S9

S35

S11

S54

S12

S14

S25

S63

S40

S46

S28

S15

S16

I

Analisi Implicativa: Qui il commento è legato al fatto che se a implica b

significa che se ha risposto ad a allora ha risposto anche a b. Come mette in evidenza il grafico la strategie S16 (trova

corretto solo l’ordine crescente per cui è corretta solo la prima serie; riordina in tal senso gli oggetti delle altre due file)

implica S14 (suppone che solo l’ordine crescente sia quello corretto; individuando l’errore sia nella seconda

che terza fila di oggetti); l’S12 (crede che in ogni fila vi sia un errore di seriazione- “pregiudizio”) implica l’S11

(non osserva bene e risponde impulsivamente in modo non corretto); l’S40

(argomenta logicamente) implica l’S9 (dopo aver seriato 2 elementi aggiunge una

bacchetta per volta che dispone in ordine crescente o decrescente dopo averla confrontata con le altre già seriate,

scartando una bacchetta degli uguali. Ordina tutte le bacchette) e l’S42 (collabora con il compagno); e così di seguito…

per cui tutti i bambini che hanno scelto di attuare l’S16 a loro volta hanno scelto anche l’S14, chi ha scelto l’S12 conseguentemente ha anche scelto l’S11; chi l’S40

anche l’S9 e l’S42, ect…

S1S43 S22 S4S2S8S20 S44 S41 S40 S9S42 S45 S12 S11 S13 S25 S27 S47 S15 S3S30 S17 S18 S52 S48 S49 S56 S50 S21 S51 S29 S55 S53 S16 S14 S35 S33 S24 S54 S61 S34 S26 S57 S63 S62 S58 S59 S7S28 S46 S5S60 S64 S65 S31 S19

Implicazione Coesiva: Questo grafico permette di vedere le implicazioni di gruppi di variabili. Ci sono solo dei piccoli gruppi di

implicazione messi in risalto dalle frecce rosse. Come si può notare le diverse strategie

possono implicarne altre in modo diretto dando vita a semplici implicazioni, come nel caso dell’S35 con l’S33, o implicazioni molto più complesse come nel caso delle

strategie S41 con i gruppi di variabili S40 S9 S42 e con S45.

Cap. III Conclusioni e problemi aperti

La possibilità concreta di analizzare, grazie al rigoroso paradigma

sperimentale formulato da Guy Brousseau, un’esperienza didattica

nell’ottica dell’insegnante-ricercatore mi ha intrigato, sin dal mio primo

approccio alla «Teoria delle Situazioni», a tal punto da decidermi di

cimentarmi in questa impresa.

Le attività di ricerca e di sperimentazione s’inseriscono nell’ambito delle

nuove scienze della formazione e dell’educazione e rispondono alle istanze

portate avanti dal dibattito psicopedagogico con precise esigenze

scientifiche, tese a migliorare la qualità dell’insegnamento-apprendimento

attraverso la metodologia fondata sul principio della personalizzazione dei

percorsi educativi.

La differenza tra il sapere nozionistico e il possedere una padronanza

personale effettiva non dipende dai contenuti in sé, ma proprio

dall’acquisizione di una metodologia scientifica che aiuti l’alunno ad

individuare il significato delle nozioni, che agevoli la scoperta di relazioni

significative tra le discipline e le esperienze di vita, imparando, dunque, a

spostare l'attenzione sul processo cognitivo che sta dietro l’organizzazione

dei nessi logici, l’acquisizione delle competenze linguistiche e

comunicative, la rielaborazione personale dei messaggi, l’espressione della

propria creatività, che fanno emergere nell’alunno il gusto di esprimere la

propria personalità.

La sperimentazione, la ricerca e l’aggiornamento, sancite dal Decreto

Delegato n. 419 del 1974, esprimono fondamentalmente la necessità di

evitare che i docenti si cristallizzino non solo nella loro cultura ma anche

nella loro professionalità. In quest’ottica il legislatore nel pieno rispetto

dell’art. 33 della Costituzione (che riconosce la libertà d’insegnamento) ha

disciplinato in un apposito corpo legislativo la materia riguardante la

ricerca e la sperimentazione. Dall’insieme delle norme emerge che il

legislatore abbia inteso decentrare l’attività della ricerca educativa e

dell’aggiornamento attraverso appositi istituti regionali: IRREE, dotati di

personalità giuridica di diritto pubblico, mentre al vertice la materia è

affidata al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, cui è demandata

la funzione di vigilanza e di coordinamento dell’iniziativa.

La sperimentazione, secondo il D.D. 419/1974, “è espressione

dell’autonomia didattica dei docenti” e si può esplicare in due direzioni:

come ricerca e realizzazione di innovazioni sul piano metodologico-

didattico e come ricerca e realizzazione di innovazioni sul piano degli

ordinamenti e delle strutture. La prima è quindi rivolta a scopi innovativi

sul piano dei metodi, della ricerca di procedure che agevolano il rapporto

educativo-didattico; la seconda invece mira a sperimentare nuovi

ordinamenti che implicano una parziale o totale ristrutturazione degli

ordinamenti precedenti.

Ogni proposta o programma di sperimentazione deve fondamentalmente

contenere:

− l’identificazione del problema che si vuole affrontare con una

motivazione dettagliata;

− la formulazione scientifica dell’ipotesi di lavoro;

− l’individuazione degli strumenti e delle condizioni organizzative;

− la descrizione dei procedimenti metodologici nelle varie fasi della

sperimentazione;

− le modalità di verifica dei risultati e della loro pubblicazione.

La ricerca e la sperimentazione in didattica sono, quindi, una risorsa

importante per una scuola aperta e dinamica che sappia usufruire, con una

gestione responsabile, tutte le opportunità offerte anche dell’extra-scuola.

In definitiva tutti gli strumenti che la scuola ha a disposizione vanno

utilizzati per fornire agli alunni un ambiente educativo in grado di

stimolare le loro potenzialità naturali, di suscitare il bisogno di apprendere,

di compiere esperienze significative e di arricchimento dando vita a

momenti di riflessione all’interno dell’attività didattica. Questo bisogno di

riflessione, sulle proprie esperienze, nasce da un’esigenza psicologica, in

questa fase di crescita molto forte, di conoscersi, di acquisire autonomia,

competenze cognitive e relazionali. Pertanto, la necessità di un “momento

di riflessione aperta” è senza dubbio uno dei bisogni più sentiti sia da parte

degli alunni, i quali avvertono l’esigenza di conoscere e di comprendere gli

aspetti della realtà che li circonda, al fine di acquisire consapevolezza del

proprio vissuto e identità culturale, sia soprattutto da parte degli

insegnanti, i quali percepiscono spesso l’importanza di mediare la distanza

che si crea tra il sapere e l’alunno e si pongono il problema di una più

efficace comunicazione del sapere, per permettere un incontro più

autentico tra l’allievo e il sapere stesso.

Da queste esigenze si è sviluppata la necessità di un intervento educativo

programmato, intenzionale, sistematico, flessibile ed esplicito che possa

esercitare una notevole influenza nel promuovere i processi cognitivi e

socio-affettivi dell’alunno. Per realizzare concretamente queste attività è

necessario adeguare le metodologie pedagogiche e gli strumenti

tradizionali della scuola.

E' stato dunque necessario, a livello epistemologico secondo quanto

sostiene Popper, chiarire che “una teoria non è mai definitiva e vera in

assoluto solo perché le prove di controllo che sono state effettuate non

sono riuscite a farla controllare, cioè a falsificarla, ma è in questo caso,

semplicemente la più verosimile, la più degna di critiche ulteriori, la più

accreditata in base alle conoscenze di cui si dispone in quella precisa

dimensione spaziale e temporale”42.

42 K. R. POPPER, “Scienza e Filosofia”, Torino, Einaudi, 1983.

L’insegnante-ricercatore, che è cosciente di tale condizione, sceglie come

paradigma di riferimento la ricerca in didattica per compiere a livello

epistemologico, metodologico e organizzativo un’operazione di sintesi “tra

ricerca sperimentale e ricerca-azione, attraverso la messa a punto di una

situazione a-didattica”. Ciò ha richiesto “un apparato-teorico sperimentale

che coinvolgerà uno studio epistemologico dei linguaggi matematici,

un’analisi a-priori del sistema sapere – allievo – insegnante – situazione

didattica, un’analisi dell’attività sperimentale qualitativa e quantitativa

attraverso strumenti statistici costruiti ad hoc per la didattica”43.

Dalla sperimentazione sono emersi elementi interessanti che avvalorano la

mia ipotesi di ricerca. Per ricordare da dove ha preso avvio questa ricerca,

ripropongo qui sotto la domanda che mi ha guidata e le conseguenti

ipotesi.

D: La tesi di Piaget è tuttora valida?

H0: Se costruisco delle situazioni-problema in ambiente

classe, la tesi di Piaget è ancora valida.

H1: Se i risultati empirici, derivati dalla sperimentazione,

non dovessero confermare la mia ipotesi iniziale (H0),

allora la tesi di Piaget non è ad oggi valida.

43 SPAGNOLO, “Insegnare le matematiche nella scuola secondaria”, 16.

Dall’esperienza sperimentale, documentata anche attraverso registrazioni

audio e video, si evidenzia come una parte considerevole dei bambini

testati abbia scelto, in relazione alle cinque situazioni-proplema, delle

strategie corrette.

Per la prima situazione-problema:

- 20 bambini hanno scelto la Strategia 42;

- 15 bambini hanno scelto la Strategia 9;

- 6 bambini hanno scelto la Strategia 40;

- 4 bambini hanno scelto la Strategia 8;

- 3 bambini hanno scelto la Strategia 41.

47%

36%

7%10% S9

S40

S8

S41

Per la seconda situazione-problema:

- 24 bambini hanno scelto la Strategia 19;

- 8 bambini hanno scelto la Strategia 18;

- 2 bambini hanno scelto la Strategia 49.

70%

24%6%

S19

S18

S49

43%

57%

S30

S31

Per la terza situazione-problema:

- 38 bambini hanno scelto la Strategia 22;

- 34 bambini hanno scelto la Strategia 24;

- 15 bambini hanno scelto la Strategia 52;

- 1 bambino ha scelto la Strategia 51.

43%

39%

17% 1%S22

S24

S52

S51

Per la quarta situazione-problema:

- 16 bambini hanno scelto la Strategia 30;

- 16 bambini hanno scelto la Strategia 31.

Per la quinta situazione-problema:

- 32 bambini hanno scelto la Strategia 62;

- 12 bambini hanno scelto la Strategia 56;

- 9 bambini hanno scelto la Strategia 54;

- 8 bambini hanno scelto la Strategia 57;

- 6 bambini hanno scelto la Strategia 63;

- 4 bambini hanno scelto la Strategia 55;

- 2 bambini hanno scelto la Strategia 58;

- 2 bambini hanno scelto la Strategia 59;

- 1 bambino ha scelto la Strategia 60;

- 1 bambino ha scelto la Strategia 64.

41%

16%

12%

10%8%5%3%

3%

1%

1%

S62 S56 S54 S57 S63S55 S58 S59 S60 S64

Avendo illustrato i dati positivi verificati per ciascuna delle cinque

situazioni problema, credo che adesso sia il caso di fare anche un’analisi

comparativa tra il numero dei bambini che hanno adottato strategie

corrette ed il numero dei bambini che hanno optato per strategie errate.

05

10152025303540455055

1° Situaz-Probl 2° Situaz-Probl 3° Situaz-Probl 4° Situaz-Probl 5° Situaz-Probl

Strategie Corrette

Strategie Errate

Argoment. Logic.

Collab. Con il comp.

Riferimento Proria Esperienza

Il dato emerso non consente di generalizzare il risultato poiché il campione

di bambini coinvolti nella sperimentazione era molto esiguo. In questa

sede si può però dedurre che, tenendo conto dei dati acquisiti in merito alla

ricerca, ad oggi la tesi di Piaget non può considerarsi valida, trovando

dunque risposta alla mia domanda-guida D ed alle ipotesi di ricerca H0,

H1.

L’esperienza condotta trova in me il desiderio di approfondire

ulteriormente questa ricerca, possibilmente allargandone il campione e le

variabili da testare.

Credo che sia corretto e doveroso interrogarsi su come i Padri della

Pedagogia e della Psicologia siano approdati alle teorie che li hanno

consacrati come tali, soprattutto per l’insegnante di domani sarebbe

deontologico testarne l’attuale validità o contrariamente l’inapplicabilità.

La «Teoria delle Situazioni» si presenta come uno strumento partecipativo

e flessibile capace di mediare tra obiettivi teorici e realtà educativa. Per

questo motivo esige, da parte dell’insegnante, in eguale misura

coinvolgimento nell'esperienza e distanza critica dalla propria azione e si

pone come elemento di connessione e di coerenza fra teoria e pratica, tra

momenti di riflessione e momenti d’azione, dove l'impegno ad agire è

nello stesso tempo contenuto e strumento della riflessione teorica.

Il docente, che decide di proporre una situazione a-didattica, insegna

all’alunno a pensare, a scoprire, a porsi domande, a discutere, a riflettere, a

creare rapporti e a costruire modelli.

La scuola, in questo modo diventa spazio educativo dove si apprende in

una prospettiva culturale, dove ciascuno, in quanto soggetto attivo, è

impegnato in prima persona nello sviluppo delle proprie capacità, in

interazione continua e costruttiva con gli insegnanti ed i compagni. La

condivisione, la socializzazione e il confronto con gli altri servono, infatti,

ad attivare processi mentali per rielaborare in maniera personale ed

autonoma strategie che aiutano ad acquisire consapevolezza di sé e

autonomia di giudizio. In fine la scuola, per porre le basi dello sviluppo del

bambino in tutte le sue dimensioni, ha il compito di porsi come “ambiente

educativo d’apprendimento, d’incontro e di mediazione per un confronto

vario e pluralistico”.

Grazie a questo piccolo contributo, forse un domani, si discuterà (come io

spero) di rinnovare e svecchiare i libri di testo degli studenti che verranno

calibrati in relazione alle future intelligenze.

Penso che il buon insegnante debba essere animato da questo spirito di

ricerca nutrito da una fiamma ancora più grande, forte e calda quale

l’amore etico verso i propri alunni.

U|uÄ|ÉzÜty|t

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(Trento), 2003.

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29. Zingarelli minore, Vocabolario della lingua italiana (C) 2001 Zanichelli editore.

Altre fonti visionate:

• http://math.unipa.it/~grim/ o Tesi di laurea di Alongi o Tesi di laurea di Miceli o Tesi di laurea di Sardisco o Tesi di laurea di Lucchese o Tesi di laurea di Grimaldi

• www.istruzione.it

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