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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO Interfacoltà Economia Lettere e Filosofia Corso di Laurea Magistrale in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo Economie collaborative e beni comuni. Forme di riappropriazione collettiva del patrimonio culturale RELATORE: Chiar.ma Prof.ssa Ivana PAIS CORRELATORE: Dott. Davide Luca ARCIDIACONO TESI DI LAUREA DI Nadia Zanelli Matr. N. 4503368 Anno accademico 2016 - 2017

Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE

MILANO

Interfacoltà Economia – Lettere e Filosofia Corso di Laurea Magistrale in

Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo

Economie collaborative e beni comuni.

Forme di riappropriazione collettiva del patrimonio culturale

RELATORE:

Chiar.ma Prof.ssa Ivana PAIS

CORRELATORE:

Dott. Davide Luca ARCIDIACONO

TESI DI LAUREA DI

Nadia Zanelli

Matr. N. 4503368

Anno accademico 2016 - 2017

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Sommario

Introduzione ...................................................................................................................... 1

Capitolo I

Ripensare I beni comuni:

ambiti di ricerca, contributi e riflessioni nel contesto italiano ....................................... 4

1. Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura

1.1 Persona e intersoggettività .......................................................................... 5

1.2 Empatia e azione ........................................................................................... 8

1.3 Responsabilità e cura .................................................................................. 12

2. Lo sguardo antropologico: dal dono alla condivisione

2.1 Dono e comunità ......................................................................................... 20

2.2 Comunità oltre la relazione: dono e knowledge commons ...................... 22

3. Lo sguardo socioeconomico: relazione, reciprocità, condivisione

3.1 Verso la cooperazione: dall’homo oeconomicus all’animal civile ............. 27

3.2 Reciprocità e sharing economy .................................................................. 35

3.3 Economia della condivisione per l’urban commons:

il crowdfunding civico ................................................................................. 39

4. Lo sguardo giuridico: verso una gestione collaborativa partecipata

4.1 Esiti della Commissione Rodotà: oltre la proprietà ................................... 44

4.2 Collaborazione tra cittadini e amministrazione per I beni comuni .......... 51

Capitolo II

Ripensare il patrimonio culturale nell’orizzonte dei beni comuni:

fondamenti e opportunità.............................................................................................. 58

1. Per un approccio integrato al patrimonio culturale:

comunità, diritti culturali e partecipazione

1.1 Tra cose e testimonianze: un dialogo irrisolto ........................................... 59

1.2 L’elemento immateriale: verso un patrimonio culturale vitale ................ 62

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1.3 Il diritto culturale come diritto umano:

verso un patrimonio culturale partecipato ............................................... 69

2. Processi e prospettive nel contesto italiano

2.1 Il tessuto urbano come trama culturale .................................................... 75

2.2 La cittadinanza come heritage community ................................................ 78

2.3 Cultura, territorio, sviluppo: l’apporto delle nuove museologie .............. 80

2.4 Dai cultural commons all’heritage commons ............................................ 83

Capitolo III

Forme di condivisione e collaborazione

per la rigenerazione del patrimonio culturale urbano ................................................. 88

1. Premessa metodologica

1.1 Domanda di ricerca e ambito di analisi...................................................... 91

1.2 Metodologia di ricerca e valutazione......................................................... 93

2. Analisi dei dati e principali risultati

2.1 Il crowdfunding civico a Bologna: Un passo per San Luca ..................... 102

2.2 Il crowdfunding civico a Milano: Eppela e l’innovazione sociale ........... 105

2.3 I patti di collaborazione tra cittadini e amministrazione

per la cura e la rigenerazione degli urban commons a Bologna............ 111

3. Conclusioni e prospettive di ricerca.................................................................. 116

Conclusioni ................................................................................................................... 123

Bibliografia ................................................................................................................... 125

Sitografia ...................................................................................................................... 135

Appendice I .................................................................................................................. 138

Appendice II ................................................................................................................. 142

Ringraziamenti ............................................................................................................. 159

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Indice delle figure

Capitolo I

Figura 1.1 – Caratteri della reciprocità per rapporto allo scambio di equivalenti ...... 30

Figura 1.2 – Elementi per l’individuazione delle pratiche di sharing economy.......... 36

Figura 1.3 – Forme di integrazione tra economia e società ........................................ 38

Figura 1.4 – Tipologie di intervento perseguibili sugli urban commons mediante i patti

di collaborazione ............................................................................................................ 53

Capitolo II

Figura 2.1 – Il patrimonio culturale immateriale come campo semantico ................. 68

Figura 2.2 – Il patrimonio culturale integrato come campo semantico ...................... 74

Capitolo III

Figura 3.1 – Condizioni per una co-produzione efficace .............................................. 98

Figura 3.2 – Modello di valutazione per gli interventi sull’urban commons ............... 99

Figura 3.3 - Finalità prevalente delle campagne di crowdfunding civico a Milano .. 109

Figura 3.4 - Posizione delle campagne di crowdfunding civico a Milano nel modello di

valutazione per gli interventi sull'urban commons .................................................... 110

Figura 3.5 - Finalità prevalente dei patti di collaborazione a Bologna ..................... 115

Figura 3.6 - Posizione dei patti di collaborazione a Bologna nel modello di valutazione

per gli interventi sull'urban commons ........................................................................ 115

Figura 3.7 – Valutazione complessiva delle strategie di gestione e rigenerazione

condivisa degli urban commons con riferimento alle esternalità sul patrimonio

culturale ....................................................................................................................... 119

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Indice delle tabelle

Capitolo I

Tabella 1.1 – Criticità delle soluzioni privatistica e pubblicista per la gestione dei beni

comuni............................................................................................................................. 33

Tabella 1.2 – I beni pubblici e i beni comuni nella tassonomia della Commissione

Rodotà ............................................................................................................................ 46

Capitolo II

Tabella 2.1 – Patrimonio culturale immateriale e salvaguardia nella Convenzione

UNESCO 2003 ................................................................................................................ 63

Capitolo III

Tabella 3.1 – Diverse architetture istituzionali per la gestione partecipata degli urban

commons ........................................................................................................................ 92

Tabella 3.2 – Modelli di ruolo per l’iniziatore amministrativo nelle strategie di

crowdfunding civico ....................................................................................................... 96

Tabella 3.3 – Modelli di ruolo per l’amministrazione: Un passo per San Luca ........ 103

Tabella 3.4 – Modelli di ruolo per l’amministrazione: Milano-Eppela ...................... 108

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Introduzione

Il presente elaborato nasce dall’interesse per le dinamiche di gestione del patrimonio

culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

socioeconomico, territoriale e amministrativo italiano. In particolare, si vuole

affrontare il tema della sperimentazione civica per la gestione condivisa dei beni

comuni urbani nel suo legame con le diffuse istanze di partecipazione attiva dei

cittadini al policy-making culturale.

Il dibattito sui beni comuni in Italia, emerso con forza a partire dalla costituzione

della Commissione Rodotà per la riforma della disciplina civilistica dei beni pubblici,

risulta intimamente legato a contingenze socioeconomiche dominate da una

generale scarsità di risorse pubbliche e, dunque, da una diffusa insoddisfazione nei

confronti di politiche giudicate inadatte a tutelare la libera fruibilità di beni –

materiali e immateriali – percepiti come collettivi in quanto funzionali all’esercizio di

diritti fondamentali. L’indifferenza rispetto all’assetto proprietario di tali beni in virtù

della loro funzione sociale è alla base dell’affermazione, accanto al pubblico e al

privato, del comune.

Tale categoria di beni, così come l’istanza partecipativa che essa reca con sé, non può

non intersecare la ricerca nell’ambito del management culturale. Le sollecitazioni in

questo senso sono numerose: dall’inclusione dei beni culturali e paesaggistici entro

il perimetro giuridico dei beni comuni da parte della stessa Commissione Rodotà, ai

più recenti orientamenti europei sulla gestione partecipata del cultural heritage

concepito come commons, fino alla stessa generale scarsità di risorse economiche

con cui il settore culturale italiano deve confrontarsi. È a questo proposito, in

particolare, che modalità di gestione innovativa dei beni comuni urbani, fondate

sulla collaborazione – finanziaria e non solo – tra attori amministrativi e cittadinanza,

assumono rilevanza per il patrimonio culturale italiano.

Questo contributo si fonda sull’ipotesi che le diverse forme di gestione

amministrativa ed economica condivisa dell’urban commons possano costituire un

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fondamento a lungo termine per una riappropriazione vitale del patrimonio

culturale, qualificato nel suo complesso come “bene comune”, da parte della

comunità di riferimento.

La dissertazione ha inizio con una ricognizione del dibattito italiano in materia di beni

comuni, finalizzata non all’elaborazione di un apparato definitorio assoluto e

conclusivo in relazione a una nozione di per sé dinamica e socialmente determinata,

bensì all’acquisizione di strumenti teorici atti a costruire un approccio il più possibile

ricco e multidisciplinare al social dilemma posto dai beni comuni. Questo set di

strumenti teorici è progressivamente elaborato attraverso i diversi apporti della

filosofia dell’empatia e della filosofia sociale, dell’antropologia, dell’economia civile,

dell’economia della condivisione e della collaborazione, per giungere infine ai

contributi della riflessione giuridica su diritti fondamentali, funzione sociale della

proprietà e sussidiarietà.

Tale campo semantico costituisce il riferimento attraverso il quale, nel capitolo

successivo, sono indagate le opportunità di una qualificazione del patrimonio

culturale come bene comune. A partire da fonti internazionali quali la Convenzione

UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e la Convenzione

quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società,

passando per il riferimento alle caratteristiche specifiche del patrimonio culturale

italiano, si costituisce un nuovo campo semantico per il cultural heritage che, oltre

ad ampliare le prospettive della disciplina nazionale in materia di tutela e

valorizzazione attraverso una più complessa nozione di salvaguardia, rappresenta un

primo fondamentale passo per riconoscere nel patrimonio culturale un heritage

commons.

Infine, alcune esperienze locali di cura, gestione e rigenerazione condivisa di beni

comuni urbani, situate all’intersezione tra economia della condivisione e

collaborazione civica, sono indagate sia nelle loro architetture istituzionali interne,

sia nelle loro potenzialità per quanto concerne l’identificazione, l’appropriazione e la

rigenerazione del patrimonio culturale da parte della collettività. L’auspicio è che tale

analisi, supportata dalla riflessione teorica raccolta nei capitoli precedenti, possa

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contribuire a meglio delineare le varie opportunità – per l’attore amministrativo e la

cittadinanza – di collaborare attivamente al fine di generare nuove forme di

conservazione vitale del patrimonio culturale italiano.

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Capitolo I

Ripensare i beni comuni:

ambiti di ricerca, contributi e riflessioni

nel contesto italiano

Non l’Uomo, ma uomini abitano questo pianeta.

La pluralità è la legge della terra.

¬Hannah Arendt 1

Nell’accostarsi a un tema tanto vasto quanto quello dei beni comuni, occorre

innanzitutto premunirsi nei confronti di alcuni rischi piuttosto frequenti. In primo

luogo, la tentazione di perseguire un’analisi – per così dire – assoluta della categoria,

che ne ricostruisca in maniera definitiva la genealogia o il significato, che ne delinei

in modo perfetto l’essenza, al di là di ogni dimensione contingenziale2. In secondo

luogo, il rischio di pensare ai beni comuni privilegiando una prospettiva disciplinare

su tutte, presumendo che vi sia un approccio unico in grado di abbracciarne la vastità

semantica. Queste due insidie, che procedono in opposte direzioni (l’una verso lo

sradicamento della categoria, l’altra verso la sua settorializzazione), conducono

1 «Not Man, but men inhabit this planet. Plurality is the law of the earth» (H. Arendt, The Life of the Mind, New York, Ed. Mary McCarthy, 1978; trad. it. La vita della mente, Bologna, Il Mulino, 1987).

2 Contro l’ipostatizzazione dei beni comuni, si veda S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Bari, Laterza, 2012. Scrive l’autore: «Sono dunque le caratteristiche di ciascun bene, non una loro “natura”, a dover essere prese in considerazione, perché fanno emergere la loro attitudine a soddisfare bisogni collettivi e a rendere possibile l’attuazione di diritti fondamentali» (op. cit., p. 115). Più oltre: «La specialità della relazione istituita dai beni comuni (…) risiede nell’attitudine di questi beni (…) a soddisfare bisogni della persona costituzionalizzata, dunque non di un soggetto astratto, costruito nell’indifferenza per la materialità del vivere» (ibidem, p. 121). Ancora: «La ricerca di radici profonde, lontane, e di una continuità con il passato, determina poi un altro equivoco. La rilevanza e la tutela dei beni comuni deriverebbero da una loro natura, da un’essenza che li caratterizzerebbe al di là delle contingenze. Ma il loro affiorare impetuoso e pervasivo non può fare astrazione dalla storia e dai suoi movimenti. L’attenzione per l’ecosistema è figlia delle violazioni determinate dello sviluppo industriale, così come l’invenzione culturale del paesaggio è all’origine della richiesta di una sua tutela che lo sottragga alla logica proprietaria» (ibidem, p. 124).

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entrambe a un sostanziale svuotamento della nozione di “beni comuni” e a un grave

depauperamento delle possibilità conoscitive in merito.

Riprendendo i principi di ciò che Edgar Morin definisce una “conoscenza

pertinente”3, questo contributo si basa sul duplice intento di radicare il tema dei beni

comuni nel contesto italiano e di affrontarlo con un approccio il più possibile

multidisciplinare.

Senza la pretesa di giungere a una definizione conclusiva, bensì aspirando ad

evidenziare alcuni tratti funzionali della categoria così come enucleati nella

letteratura, in questa sede si analizzano i beni comuni secondo sguardi via via

differenti (filosofico, antropologico, socioeconomico, giuridico) mettendo in luce in

modo specifico alcuni significativi contributi italiani utili all’elaborazione del tema.

1. Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura

1.1 Persona e intersoggettività

Un valido tentativo di radicare il discorso economico-giuridico sui beni comuni

secondo in una prospettiva filosofica è stato condotto da Laura Pennacchi in un

volume esplicitamente dedicato alla Filosofia dei beni comuni4. A costituire un fertile

campo di elaborazione per la riflessione su questo tema è, secondo l’autrice, il

pensiero illuministico e in particolare il filone dell’empatia («vale a dire il sentirsi

partecipi delle gioie e delle sofferenze degli altri»5) e dei sentimenti morali.

3 E. Morin, Les sept savoirs nécessaires à l’éducation du futur, Paris, UNESCO, 1999 ; tr. it. I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001. Per citarne un punto introduttivo che riassume la necessità di costruire un sapere non settorializzato: «La suprématie d’une connaissance fragmentée selon les disciplines rend souvent incapable d’opérer le lien entre les parties et les totalités et doit faire place à un mode de connaissance capable de saisir ses objets dans leurs contextes, leurs complexes, leurs ensembles» (op. cit., p. 2).

4 L. Pennacchi, Filosofia dei beni comuni. Crisi e primato della sfera pubblica, Roma, Donzelli Editore, 2012.

5 Ibidem, p. 17. Tra gli autori di riferimento, Pennacchi cita in primis Hutcheson, Hume, Smith, Condorcet, Wollstonecraft. L’inclusione di tali autori – in particolare Hutcheson, Hume e Smith – in un “filone dell’empatia” non è però unanime. A proposito di un uso troppo generoso del termine “empatia”, Boella scrive: «Il primo e, probabilmente, fondamentale ostacolo al far chiarezza sull'empatia deriva dal fatto che essa viene perlopiù confusa con una famiglia di termini (simpatia, compassione, pietà, amore) che in realtà le si sovrappongono e spesso mascherano il suo vero

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La considerazione di questo “filone illuministico dell’empatia” consente di evitare,

secondo Pennacchi, la costituzione di una vuota “mistica” dei beni comuni. In primo

luogo, perché radicando la riflessione nella modernità («campo di tensioni che

configurano uno spazio ricchissimo, che investe anche quel territorio di confine e di

interazione tra diritto, politica ed etica rivendicato dal costituzionalismo moderno»6)

si è portati a strutturare il pensiero in modo aperto, dinamico, plurale. In secondo

luogo, perché la rivalutazione della complessità della vita umana – che passa

attraverso la considerazione dell’empatia e dell’apertura all’intersoggettività come

moventi dell’azione morale – è un primo passo in direzione della scoperta della

persona, ovvero dell’essere umano come entità radicata nell’intersoggettività, nelle

relazioni con il mondo e, quindi, nella storia. Una scoperta non puntuale, ma che, al

contrario, si è sviluppata nel corso di tutta la riflessione moderna, procedendo di pari

passo con la costruzione della democrazia:

La democrazia contiene un profondo carattere altruistico – espresso dalla dedizione per il “vivere insieme”, la “cosa pubblica”, il “bene comune” – intrinsecamente connesso alle “virtù repubblicane” che Montesquieu considerava il suo tratto distintivo. Fondamenti di ciò sono il rispetto – categoria altamente morale – di sé e degli altri, la dignità della persona umana.7

La democrazia – la cui costruzione procede di pari passo con l’espansione della “sfera

pubblica” – esiste e si rigenera nell’intersoggettività; basandosi sulla politica intesa

come facoltà di agire, la democrazia reclama un “essere con gli altri” privo di

piattezza, omologazione, conformismo. L’intersoggettività di cui la democrazia si

nutre presuppone una visione ricca della persona, la cui complessità

multidimensionale è «presupposto di quell’“umanesimo radicale” inventato

dall’Illuminismo centrato su diritti, doveri e cittadinanza» (Pennacchi, 2012, p.24).

significato. L'empatia è stata infatti come schiacciata dall'eredità delle etiche della simpatia o della compassione, nate in tutt'altro contesto, quello dell'empirismo inglese» (L. Boella, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2006, p. XVIII).

6 Pennacchi, 2012, p. 14

7 Ibidem, p. 22.

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7

La «considerazione dell’essere umano come entità costitutivamente incline

all’intersoggettività e all’intercomunicatività» (ibidem, p. 27) sarebbe in grado di

produrre, inoltre, un sostanziale superamento della tensione tra individualismo e

comunitarismo; superamento che si concreta in un “individualismo democratico”8,

opposto a quell’”individualismo economico” che costituisce il contrappunto etico al

modello economico neoliberista.

L’antropologia che deriva dalla riflessione illuministica sull’empatia e i sentimenti

morali porta, dunque, alla scoperta della persona così come definita dalla sua

concretezza storica e dalla sua presenza nel mondo, ossia dall’intersoggettività. Tale

scoperta conduce all’individuazione di una terza possibilità oltre alle opzioni etiche

e sociali dicotomiche di individualismo e comunitarismo: un individualismo

democratico che procede non dalla considerazione di soggetti isolati unitisi, in un

secondo momento, in un sistema sociale, bensì dalla considerazione di persone,

individui intrinsecamente interrelati, come base per ogni sistema morale e sociale.

La scoperta della persona come soggetto non originariamente individuale, bensì

costitutivamente sociale comporta altresì uno sguardo nuovo sulla dimensione

emotiva e “sentimentale” dell’umano. Si rende necessaria, infatti, un’ipotesi di

razionalità complessa, non meramente strumentale9, che incorpori simpatia,

generosità, senso civico.

8 Pennacchi intende l’individualismo democratico come «una sorta di fertilizzazione reciproca tra comunitarismo e liberalismo» (Pennacchi, 2012, p. 34). Per una trattazione compiuta di questa nozione, si rinvia a N. Urbinati, Liberi e uguali, Roma-Bari, Laterza, 2011. Urbinati analizza altresì due opposte forme patologiche di individualismo, una atomistica e antipolitica, l’altra apatica e gregaria. Questo schema dualistico sembra in qualche misura richiamare il contributo di Pulcini (E. Pulcini, La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Torino, Bollati Boringhieri, 2009) di cui si tratterà più avanti nel testo.

9 Pennacchi richiama l’ipotesi di razionalità strumentale come propria dell’individualismo economico. Essa assume come requisito della scelta razionale il criterio di massimizzazione dell’interesse personale. Ne consegue che l’altruismo può essere considerato razionale solo nella misura in cui sia espressione di un tornaconto personale. «La teoria della scelta razionale in base a razionalità strumentale, nell’attribuire la patente di razionalità al solo perseguimento del proprio interesse, esclude che sia razionale perseguire fini e moventi di altra natura» (Pennacchi, 2012, p. 84). Ciò che l’autrice evidenzia, a proposito di questa concezione “povera” della razionalità, è l’errore o il misconoscimento della realtà umana da cui essa discende: il soggetto non si dà mai come individuo isolato, bensì è – storicamente e nel mondo – persona, dunque soggetto relazionale.

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1.2 Empatia e azione

Il tema dell’empatia, come moto alla base dell’agire dell’uomo nel mondo, è al centro

della ricerca condotta – nell’ambito della filosofia morale – da Laura Boella, i cui

contributi si radicano nell’approfondimento del pensiero, in primis, di Edith Stein10 e

di Hannah Arendt11. La riflessione di Boella muove a partire dalla considerazione di

una generale confusione in merito alla natura del moto empatico, troppo spesso

sovrapposto ad emozioni quali la simpatia e la compassione, di cui l’empatia

costituisce – al contrario – il presupposto:

Essa [l’empatia] è piuttosto la via (…) per accedere all’intera persona dell'altro e rappresenta quindi la condizione di possibilità dei sentimenti di simpatia, amore, odio, pietà, compassione, nonché delle molteplici forme di comprensione degli altri.12

L’autrice arriva a definire l’essenza del movimento empatico come un sentire l’altro,

ossia come «l’esperienza di un altro in quanto soggetto vivente di esperienza»

(Boella, 2006, p. 27); tale moto fiorisce non attraverso un processo di conoscenza

intellettuale, bensì con «tutta l’intensità del sentire» (ibidem, p. 25). Sul modello

della ricerca condotta da Edith Stein, l’empatia viene problematizzata e analizzata a

partire dall’esperienza quotidiana della relazione, che è considerata l’orizzonte entro

cui la totalità della persona si compie:

L'empatia è il fenomeno del nostro entrare quotidianamente in rapporto con altri cogliendo la loro individualità di persone, dotate di corpo e di anima, di emozioni, di motivazioni, di valori, di una vita sociale, spirituale e religiosa. (…) Nella prospettiva dell'empatia, l'esperienza soggettiva comprende la

10 Si fa qui riferimento a L. Boella, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2006. L’opera Il problema dell’empatia (1927) di Edith Stein viene considerata dall’autrice un importante punto di partenza per ri-problematizzare l’empatia da un punto di vista filosofico. La coscienza dell’intersoggettività, ovvero della presenza di altri corpi vivi, assume una specifica rilevanza nell’ambito della ricerca fenomenologica condotta da Stein in quanto forma di “garanzia” rispetto alla presa del soggetto sul mondo: «L'empatia, con le sue regole specifiche che interessano la vita del sentire, diventa così un tramite essenziale per l’accesso alla realtà. Essa rafforza il senso di realtà acquisito attraverso la conoscenza della natura e delle cose che popolano il nostro ambiente di vita, completandolo con i dati relativi agli individui concreti e ai significati che essi si scambiano all'interno del mondo storico, culturale e spirituale» (Boella, op. cit., p. 9).

11 L. Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1995.

12 Boella, 2006, p. 12.

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dimensione fìsiopsichica, la presenza di altri soggetti e, con essi, la società, la storia, la cultura, l'arte, la tradizione, la religione. E ciò significa che l’essenza della persona non si risolve né nella riflessione sui propri atti, né nella percezione e conoscenza della realtà oggettiva esterna. Essa è piuttosto momento sorgivo di apertura, di partecipazione all’essere.13

L’empatia assume in questo senso la natura di un vero e proprio “moto”, che

attraversa i momenti dell’incontro con l’altro e della rivelazione della relazione tra

sé e l’altro; della conseguente esigenza di comprenderne l’esperienza in quanto

soggetto vivo, corpo vivo; infine, della trasformazione di sé e del proprio sentire

attraverso l’esperienza indiretta del vissuto dell’altro.

Di particolare interesse ai fini del presente elaborato è la riflessione condotta da

Boella sulla pratica dell’empatia, ovvero sull’agire che trae origine dalla dimensione

etica dell’esperienza dell’altro. L’autrice sottolinea che il passaggio dal sentire l’altro

all’azione morale, intesa come presa di responsabilità nei confronti del mondo, non

consiste in un automatismo. L’empatia assume rilevanza etica solo nella misura in

cui il moto sia vissuto fino in fondo (dall’emozione dell’incontro, attraverso la

comprensione che è l’immaginazione dell’esperienza dell’altro, fino alla

trasformazione di sé) come frutto di un atto volitivo14. Praticare l’empatia significa

gestire attivamente la relazione intersoggettiva che l’empatia sottende e, allo stesso

tempo, genera. Se infatti l’incontro con l’altro è costituito dalla rivelazione della

relazione che già sussiste tra persona e persona, proprio questa relazione non può

darsi compiutamente qualora sia solo presupposta e in assenza della volontà, del

desiderio di parteciparvi:

Una qualità dell'empatia è infatti quella di svelarci l'intreccio profondo tra noi e gli altri. D'altra parte, nell'esercitare l'empatia, questo intreccio, che rimane presupposto, si sgrana, non si propone come dato di fatto scontato o assunto retoricamente, bensì come il lavoro che attraversa il margine più o meno grande di separazione, di differenza, di disparità di destino, di mancanza di scambio che sussiste tra gli esseri umani. Più precisamente, il fatto che sia

13 Boella, 2006, p. 14-15.

14 «L’empatia può rispondere a un desiderio o scontrarsi con una resistenza interiore. Come si è visto, conoscere l'empatia vuol dire sapere e sentire che il vissuto dell'altro, accolto e ospitato da me, mi tocca, si radica nel mio centro e mi trasforma. È l'intero compimento dell'esperienza empatica (…) a segnare il fondamentale passaggio alla pratica di relazione, che si può sviluppare e affinare e che richiede un'elaborazione, un rilancio dei sentimenti empatizzati» (ibidem, p. 90).

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necessario viversi come persone per riconoscere negli altri la qualità di persone, implica che l'empatia sia nutrita da un interesse vitale.15

L’empatia non è dunque mera sussistenza di relazione, né mera coscienza della

relazione stessa. L’empatia come atto morale compiuto – quindi dotato di

dimensione etica – si delinea solo nella sua pratica. Come evidenziato da Boella sia

nel contributo fin qui citato16 sia altrove, la considerazione di un mondo sempre più

interconnesso diventa, in modo quasi ossimorico, un pericolo per le relazioni umane

e la capacità empatica stessa, poiché la relazione si svuota di quell’intenzionalità che

genera responsabilità e cura nei confronti dell’altro e del mondo:

Oltre a essere indice di grande confusione terminologica, l'equiparazione dell'empatia a una partecipazione originaria al destino altrui, che si salda con gli effetti socializzanti della rete, fa del legame con gli altri qualcosa di automatico, innato o acquisito, e lascia insoluto il problema del modo in cui la relazione diventa veicolo e creazione di significati, di pratiche condivise. Se restassimo a una concezione dell'originario coinvolgimento in vite che non sono le nostre, dei vincoli e delle dipendenze che ci legano agli altri, senza che lo vogliamo o lo sappiamo, come potremmo porci il problema della libertà, del giudizio di sé e degli altri, dell'agire bene o male? La centralità dell'empatia nell'esperienza umana non è affatto una garanzia di comportamenti altruistici e solidali, e proprio per questo richiede un forte impegno per diventare una risorsa etica.17

Se l’empatia come possibilità etica è dunque un atto, una forma dell’agire nella

relazione, assumono qui grande rilevanza le riflessioni condotte da Boella sull’opera

di Hannah Arendt18. Boella sottolinea come l’agire arendtiano sia esso stesso un atto

15 Boella, 2006, p. 92.

16 «L'incapacità di sentire l'altro è sempre più alla ribalta dell'epoca contemporanea. Questa constatazione può destare perplessità in riferimento all’epoca che ha acquisito la consapevolezza definitiva della struttura intersoggettiva della realtà. (…) L'acquisizione fondamentale che un soggetto non sia mai isolato, ma che, nascendo, entri a far parte di un mondo che esisteva prima di lui e in cui incontra altri esseri umani, ha prodotto infatti un effetto gravido di conseguenze. Se ogni essere, originariamente, è individuo e membro di una comunità, il legame con gli altri diventa un dato di fatto esistenziale e ontologico, completamente indipendente dalla relazione vissuta con un altro essere: gli altri diventano una componente dell'esistenza umana che sussiste anche quando non si traduce in esperienza reale di relazione» (Boella, 2006, p. XXI-XXII).

17 L. Boella, Il coraggio dell’etica. Per una nuova immaginazione morale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2012, p. 12.

18 L. Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1995.

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implicitamente relazionale: il soggetto che agisce è propriamente colui che innesca,

che mette in moto un processo in virtù del «potere di dare inizio, secondo la

definizione kantiana della libertà», mentre il processo in quanto tale è invece

sottratto al controllo dell’io poiché «libera una serie illimitata e inarrestabile di

effetti che vanno a intersecarsi con gli altrettanto illimitati processi innescati da altri

soggetti» (Boella, 1995, p. 120). L’enfasi non è posta tanto sull’incontrollabilità del

processo e dei suoi esiti, sulla complessità del rapporto tra volontà e azione. Al

contrario, l’intento di Hannah Arendt è quello di «restituire all’azione il suo primato

nell’ambito della gerarchia della vita activa»: «agire è un supremo sforzo di liberarsi

da se stessi e dall’ingombro dell’io» (ibidem, p. 123). Proprio sottraendo l’agire al

controllo totale dell’io, Hannah Arendt fa dell’azione un «principio di libertà e non di

necessità, un principio politico e non un affare privato» (ibidem, p. 123).

Alla base di questa concezione dell’agire vi è una forte dimensione di

intersoggettività, intesa come quella trama di relazioni che costituiscono – nel

pensiero arendtiano – la sfera pubblica. Tale intersoggettività è anche e in primo

luogo intercorporeità, «circuito di corpi, di presenze che interagiscono in totale

reciprocità» (ibidem, p. 125). Proprio per questo «il corpo non riporta l’individuo solo

verso se stesso e la propria autoconservazione, ma anche al circuito di altri corpi. (…)

L’individuo mostra così di essere costituito da un momento di alterità, che ne

definisce la presenza» (ibidem, p. 126). Esiste dunque un «momento di alterità

interno alla singolarità» (ibidem, p. 126). L’agire è l’atto o modalità d’esperienza che

meglio esprime la struttura intersoggettiva dell’umano, poiché assume questa trama

di relazioni e si dispiega soltanto in essa19.

19 Sulla base di questa complessa nozione dell’agire, che interseca la libertà dell’atto volitivo – in se stesso “privato” – e le infinte relazioni di cui è intessuta la sfera pubblica, Boella ricostruisce il concetto arendtiano di politica: «Politica è agire secondo principi (non fini o scopi) in uno spazio pubblico sostenuto dall’energia delle relazioni (ciò che Hannah Arendt chiama potere nel senso etimologico della potenzialità e vitalità dell’essere insieme, e che non si può possedere, ma solo esercitare) e reso durevole e stabile da forme di organizzazione della convivenza che siano istituzioni nel senso proprio e più ampio del termine, ossia fondino, inaugurino, costituiscano, rendano unico e vincolante un determinato modo di vivere insieme degli uomini e nello stesso tempo lo custodiscano, lo preservino» (Boella, 1995, p. 151).

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Giungiamo così a una comprensione più profonda del fenomeno dell’empatia così

come teorizzato da Boella. Esso risponde alla natura relazionale o sociale della

persona, ma, allo stesso tempo, affinché si compia in modo perfetto e dunque

acquisisca una rilevanza etica, non può prescindere dalla volontà e dalla gestione

attiva della relazione. L’azione morale che può costituire il frutto dell’empatia, la

quale si compie nella trasformazione di sé attraverso l’esperienza del vissuto

dell’altro, esige una presa di responsabilità per l’altro come atto volitivo intenzionale.

1.3 Responsabilità e cura

Il tema della responsabilità emerge anche nel già citato contributo di Pennacchi, nel

quale si lega all’ipotesi di razionalità complessa: la persona, che è soggetto

originariamente relazionale, esercita una razionalità che abbraccia non solo

l’interesse personale, ma anche motivazioni etiche ed emozioni (intese come

pàthos); essa «vive costitutivamente la dimensione dell’”essere-in-comune” e

intrinsecamente esprime responsabilità e cura.»20 Pennacchi sembrerebbe dunque

considerare la capacità empatica e la conseguente responsabilità nei confronti del

mondo come qualità innate e irriflesse dell’umano; un automatismo che, secondo

Boella, priverebbe l’empatia proprio della sua dimensione etica.

Una terza prospettiva sul tema della responsabilità ci viene offerta dalle ricerche in

ambito di filosofia sociale condotte da Elena Pulcini21, ricerche che muovono dalla

20 L. Pennacchi, 2012, p. 95. Il richiamo è tanto all’etica o paradigma della cura, orientamento filosofico sostanzialmente femminista (in primis: C. Gilligan, In a Different Voice. Psychological Theory and Women’s Development, Harvard University Press, 1982, tr. it. Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Milano, Feltrinelli, 1987; J. Tronto, Moral Boundaries. A Political Argument for an Ethic of Care, Routledge, 1995, tr. it. Confini morali. Un argomento politico per l’etica della cura, Reggio Emilia, Diabasis, 2006) basato sull’allargamento della nozione di cura dalla sfera intimo-materna a quella pubblico-politica, quanto all’in-between costitutivamente umano così come teorizzato in The Human Condition (1958) da Hannah Arendt: «La coesistenza di tutti in un’unica umanità fa del “comune” un carattere precipuo dell’umano, al tempo stesso questo comune è “plurale”: l’in-between caro ad Hannah Arendt, mentre lega gli esseri umani gli uni agli altri, li distingue e li singolarizza dando vita a una “sfera pubblica” che è insieme comunanza e distinzione, totalità e pluralità» (L. Pennacchi, 2012, p. 100). È interessante notare come sia Boella sia Pennacchi riprendano l’intersoggettività arendtiana, benché attribuiscano una rilevanza molto differente all’intreccio tra relazione, empatia e azione individuale.

21 Si fa particolare riferimento a E. Pulcini, La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Torino, Bollati Boringhieri, 2009.

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considerazione di due patologie opposte dell’età globale: individualismo illimitato e

comunitarismo endogamico.22 L’individualismo illimitato si origina nell’era attuale

come degenerazione di due modelli antropologici della modernità, il Prometeo

hobbesiano e il Narciso smithiano, il primo mosso dall’autoconservazione e dalla

ricerca del potere, il secondo teso al possesso e all’accumulazione della ricchezza

anche quale segno di distinzione sociale23. Entrambi i modelli sono accomunati,

secondo Pulcini, dalla tensione all’illimitato e – al contempo – dalla necessità del

limite:

Ispirate da una ragione strumentale che spinge l’individuo a una equilibrata mediazione tra l’interesse soggettivo e l’interesse collettivo, la politica e l’etica funzionano come approdi normativi di una soggettività disposta, in nome della realizzazione del proprio utile e del controllo sul proprio futuro, a contenere la pulsione all’illimitato.24

A modificare in senso degenerativo questi modelli antropologici è intervenuta,

nell’età globale, una “nuova” illimitatezza che si è imposta nel duplice senso di

perdita dei confini e di perdita del limite:

In altri termini, l’idea di illimitatezza coniuga in sé la coesistenza paradossale di insicurezza, disorientamento, perdita delle certezze e dei punti di riferimento dell’Io e, allo stesso tempo, di anelito all’espressione senza limiti delle proprie possibilità, pretese, desideri.25

22 Queste si generano, secondo Pulcini, in seno all’intima ambivalenza della globalizzazione, fenomeno che vede la vincolante coappartenenza di «processi “globali” di unificazione, omogeneizzazione, omologazione da un lato e di processi “locali” di frammentazione, divisione, differenziazione dall’altro» (Pulcini, 2009, p.7).

23 «In prima istanza, il Prometeo hobbesiano, raffigurazione mitica di un individuo ansiosamente preoccupato di un futuro ignoto e perennemente incerto, e animato da una pulsione acquisitiva che si traduce nella ricerca infinita e mai soddisfatta di un potere che gli assicuri la conservazione della vita. In seconda istanza, l’individuo acquisitivo descritto da Adam Smith (…) animato da quell’impulso basilare della natura umana che è il desiderio di distinzione e ammirazione, è spinto da una sorta di coazione a “migliorare la propria condizione” attraverso una inarrestabile “corsa alla ricchezza” (race for wealth); in quanto la ricchezza è diventata, appunto, segno di distinzione sociale, simbolo del proprio status di eccellenza» (Pulcini, 2009, p. 33-34).

24 Pulcini, 2009, p. 34.

25 Ibidem, p. 43. Tra le “logiche dell’illimitato” più evidenti dell’età globale, Pulcini cita i processi di deterritorializzazione di lavoro, merci, capitali; la crisi della politica nella sua forma statuale moderna; le nuove possibilità offerte dalle tecnologie informatiche. Fenomeni che si accompagnano a una sempre maggiore coscienza del costituirsi di una società-mondo globale, con la conseguenza che «quanto più (…) cresce la percezione di una interdipendenza degli eventi e la consapevolezza del fatto

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Conseguenza più evidente delle patologie dell’individualismo globale26, accomunate

da un’idea di illimitatezza, è l’erosione del tessuto sociale, frutto tanto dell’illimitata

autoaffermazione dell’io che opacizza la figura dell’altro, quanto dell’atomismo

autodifensivo dettato dal senso di passività e impotenza. È proprio a tale erosione

che corrisponde un crescente bisogno di comunità27, il quale può alimentarsi di

motivazioni legittime così come di motivazioni patologiche. Tra le prime, Pulcini

annovera sia la ricerca, da parte del singolo individuo, di identità, senso e legame

sociale come risposta allo sradicamento dell’individualismo illimitato, sia l’esigenza

di ricostituire un’identità di gruppo per quei segmenti di popolazione che sono

oggetto di dinamiche di esclusione28. È forse in questo secondo caso che emerge più

chiaramente il rischio costante di uno slittamento verso configurazioni di

comunitarismo endogamico, qualora il bisogno di comunità arrivi ad esprimersi in

modalità essenzialmente reattive e autodifensive, «dando origine a forme di

che qualunque cosa accada in qualunque parte del mondo può riguardare e coinvolgere l’intero globo, tanto più il senso di impotenza e di insicurezza crescono, acutizzando la ritrazione narcisistica dell’Io; il quale mette in atto strategie autoconservative, chiudendosi in una “mentalità della sopravvivenza” che lo rende estraneo e indifferente, in particolare, agli eventi del mondo, alla sfera dell’agire comune» (ibidem, p. 46-47).

26 Secondo la partizione antropologica proposta da Pulcini, l’Io globale si configura come individuo-spettatore, individuo-consumatore e individuo-creatore, rispettivamente caratterizzati da una radicale indifferenza nei confronti del mondo, prodotta dalla perdita dei confini e dal conseguente senso d’impotenza; da parassitismo e contestuale voracità, prodotti sia dalla perdita dei confini sia dalla perdita del limite e, in particolare, dalla conversione dei bisogni (limitati) in desideri (illimitati); dall’onnipotenza solipsistica di un homo creator che non si limita a trasformare la natura, bensì «acquisisce la capacità, appunto, di creare la natura, di introdurre sulla scena prodotti e processi del tutto “nuovi”» (Pulcini, 2009, p. 51).

27 Il legame tra la degenerazione “illimitata” dell’individualismo globale e l’opposta patologia del comunitarismo endogamico ripropone la coappartenenza – come reciproca implicazione di due realtà opposte e complementari – di tensione al globale e tensione al locale propria della globalizzazione (tesi della glocalizzazione): «È questo bisogno [di comunità] che possiamo riconoscere alla radice dell’emergere di realtà “locali”, che proliferano all’interno della società-mondo, reintroducendo differenze e frammentazioni, confini e divisioni» (ibidem, p. 60).

28 Pulcini intende il fenomeno dell’esclusione sociale come frutto del passaggio dalla società industriale fondata sul lavoro alla società-mercato «flessibile e selvaggia» (Pulcini, 2009, p. 83); tale passaggio produce la marginalizzazione di tutte quelle figure – «il povero, l’immigrato, il disoccupato, ma anche le minoranze culturali, etniche, religiose, sessuali» (ibidem, p. 84) - che non sono più definibili in senso socio-professionale. Si tratta di “soggetti non-soggetti” che perdono il proprio ruolo di attori sociali per diventare vittime di una incertezza identitaria che si acuisce con la radicalizzazione dei processi di globalizzazione.

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chiusura autoreferenziale e immunitaria, (…) di esclusione dell’altro da sé che

generano violenza e radicalizzano il conflitto» (Pulcini, 2009, p. 97).

A partire da questa “diagnosi”, Pulcini sviluppa la tesi secondo la quale queste due

patologie – individualismo illimitato e comunitarismo negativo – possono ricondursi

alla sfera del sentire e della vita emotiva, rispettivamente nei termini di un’assenza

di pathos e un eccesso di pathos. Scongiurare le due derive patologiche significa,

secondo Pulcini, riattivare un rapporto fecondo con l’emozione della paura. Nel

confronto con l’età moderna e in particolare l’analisi hobbesiana – in cui «la paura

svolge, sia pure con esiti sacrificali, una funzione che è stata giustamente definita

“produttiva”» (Pulcini, 2009, p. 15) – l’età globale si distingue per aver mutato in

modo sostanziale le caratteristiche del pericolo: procedendo anch’esso nel senso

della “nuova” illimitatezza, è divenuto incerto e indeterminato29, tanto che risulta

legittimo parlare di uno slittamento dal pericolo al rischio.

Riattivare la funzione produttiva della paura significa sottrarla «alla dinamica

anestetizzante e/o persecutoria dell’angoscia, per far sì che essa produca da un lato

forme di attiva mobilitazione contro i rischi e di corretta imputazione delle

responsabilità, dall’altro forme non perverse di comunità e di solidarietà». 30 Questo

riavvicinamento produttivo passa attraverso la coscienza della natura originaria della

paura, che consiste nell’ancoramento dell’io alla consapevolezza della sua

vulnerabilità di fronte ai rischi del mondo:

In questa consapevolezza, offuscata da un lato dalla hybris prometeica dell’homo creator, dalla ottusa voracità dell’individuo consumatore e dall’illusione immunitaria dell’Io spettatore, e dall’altro lato dall’abbaglio

29 L’autrice riconduce tale indeterminatezza alla natura stessa delle principali “minacce” che l’Io globale si trova ad affrontare: la tecnica e l’altro. «Produttrice di rischi globali (in particolare i rischi ambientali), la tecnica sembra riconsegnare gli uomini (…) a quello stato indefinito di paura e impotenza di fronte a eventi incontrollabili prodotti dalla natura e dal mondo esterno che connotava la condizione premoderna; sebbene con la differenza di fondo (…) che i rischi sono il prodotto dell’agire umano e di una natura resa ormai prevalentemente artificiale. Ma anche nel secondo caso siamo di fronte a un pericolo indeterminato. La figura dell’altro infatti, pur conservano la prossimità spaziale perde la certezza che riveste nel paradigma hobbesiano, per assumere i connotati inquietanti e indecifrabili dello straniero, del diverso: o meglio, per dirla con Simmel, dello “straniero interno”, ché non si può più né espellere né assimilare, e che costituisce di conseguenza una fonte permanente di ansia e di disagio» (Pulcini, 2009, p. 16).

30 Ibidem, p. 187.

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mitico e ideologico della fusione comunitaria, risiede oggi la chance per interrompere la spirale distruttiva e autodistruttiva che scaturisce dalla divaricazione tra l’individualismo illimitato e il comunitarismo negativo.31

La possibilità di costituire un’etica del futuro «che sappia porre rimedio agli effetti

del nostro illimitato potere» (Pulcini, 2009, p. 196) si fonda sulla capacità di tradurre

la “paura di” in “paura per” attraverso la riconquista emotiva della propria

vulnerabilità, che è precondizione del sentire la vulnerabilità dell’altro e dell’avere

paura per l’altro32. In questo modo, la responsabilità – che è responsabilità per l’altro

e il mondo33 - si radica, attraverso un «processo di dilatazione del sentire» (ibidem,

p. 222), nella dimensione emotiva del singolo, nel momento in cui questi riconosce

l’intima struttura relazionale che lo lega, in quanto persona, al mondo. È proprio la

relazione, il vincolo costitutivo intersoggettivo, a costituire il presupposto della

responsabilità per: essa è dettata non dall’altruismo del soggetto morale, ma dalla

sua natura relazionale, dalla «vulnerabilità del soggetto all’altro» (ibidem, p. 236).

Emerge con forza, nella riflessione di Pulcini, la dimensione concreta, contingenziale

e operativa in cui l’etica della responsabilità può svilupparsi. Da un lato, infatti,

affinché insorga nel soggetto la consapevolezza della vulnerabilità – riconoscimento

senza il quale non può prodursi responsabilità34 – si rende necessario l’evento e, in

31 Pulcini, 2009, p. 189.

32 Alla riscoperta della vulnerabilità si affianca, in particolare per le situazioni di comunitarismo endogamico, la necessità di ripensare positivamente la differenza convertendo lo “spettro della contaminazione” – generato dalla perdita di confini dell’età globale – in possibilità: «Si tratterebbe cioè di interrompere la strategia allopatica dell’immunizzazione opponendole la cura omeopatica dell’apertura al contagio con l’alterità, alla mescolanza, all’ospitalità verso la differenza; convertendo, per così dire, il “fatto” della contaminazione in “valore”» (ibidem, p. 209).

33 Poggiando sul pensiero di Günther Anders e Hans Jonas, Pulcini intende la responsabilità essenzialmente come “responsabilità per”: «per qualcuno che chiede la nostra attenzione pena la sua stessa sopravvivenza. (…) Si tratta di un passaggio decisivo che implica uno slittamento semantico dall’idea di “imputazione”, di matrice kantiana, che di fatto prevale fino al Novecento, a quella di “cura”, attraverso la quale il soggetto non si limita a rispondere di qualcosa, ma è di fatto chiamato a rispondere a qualcuno» (ibidem, p. 223). Si tratta, in altri termini, non di una responsabilità di natura causale, bensì di una responsabilità in merito al “da farsi” e, dunque, propriamente morale.

34 Per Pulcini (come per Boella) il nesso tra vulnerabilità (o empatia) e responsabilità non è frutto di un automatismo, ovvero della natura intersoggettiva dell’umano data solo come presupposto. Interviene un elemento “scatenante”, che nella prospettiva di Boella è costituito dalla pratica, dalla gestione attiva del moto empatico, mentre nel contributo di Pulcini sembra prodursi con l’”impatto” di un evento: «l’esperienza della perdita (che si tratti della perdita di vite dovuta a un attacco terroristico o della perdita dei propri beni a causa di una catastrofe ambientale) può diventare una preziosa opportunità

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particolare, il moltiplicarsi degli eventi, la cui interdipendenza in età globale

costituisce un’opportunità per la riattivazione produttiva della paura. Dall’altro lato,

la responsabilità stessa, in quanto responsabilità per, implica un “farsi carico

dell’altro”: «non solo pre-occuparsi delle sue sorti, ma anche, e soprattutto,

occuparsene, porvi attenzione, prenderlo in cura» (Pulcini, 2009, p. 251). Mediante il

riferimento all’etica della cura, si evidenzia che l’altro per il quale il soggetto ha

responsabilità non è più l’”altro” generalizzato di una morale astratta, bensì l’”altro”

nella sua singolarità o, meglio, l’altro come persona35. In questa attenzione concreta

e contingenziale risiede il presupposto per un’effettiva cura del mondo, che implica

l’agire – in senso arendtiano – in esso per farsi carico del suo futuro:

Se, come abbiamo visto, la responsabilità per riguarda non il rendere conto del passato ma il farsi carico del futuro, ciò vuol dire anche che non possiamo fare a meno di un’immagine del futuro. Non possiamo cioè non chiederci quali potrebbero e dovrebbero essere gli esiti di una presa in carico delle sorti del mondo; o, in altri termini, quale mondo vogliamo costruire.36

Altrove37 Pulcini ha spinto la propria riflessione sulla cura del mondo fino a

tematizzare esplicitamente la presa in carico dei beni comuni. L’urgenza posta dalla

crisi ecologica e bioclimatica pone con una forza senza precedenti il problema della

sopravvivenza del mondo e dell’umanità. Alcuni dei “rischi globali” cui l’età

contemporanea deve far fronte sono infatti profondamente legati all’esaurimento

di quelle risorse naturali che, per la loro difficile escludibilità e alta sottraibilità38,

per riattivare nelle sue forme adeguate quella stessa paura, nella quale abbiamo individuato il presupposto primario per la percezione della propria vulnerabilità (…) in quanto il pericolo, il danno, il male tornano, sia pure episodicamente, a imporsi nella loro immediatezza, a essere, appunto, direttamente vissuti, sperimentati» (Pulcini, 2009, p. 250).

35 «L’etica della cura si delinea si delinea così come un’etica concreta, contingenziale e contestuale: essa privilegia l’attenzione all’unicità dell’altro, alla specificità della situazione, alle relazioni nelle quali il soggetto si trova di volta in volta a essere inserito» (ibidem, p. 257).

36 Pulcini, 2009, p. 263.

37 E. Pulcini, “Beni comuni: un concetto in progress”, in Politica & Società, Il Mulino, 3/2013, pp. 349-356.

38 Sono questi i requisiti “minimi” più diffusi nella letteratura per differenziare i beni comuni dai beni pubblici. Se infatti la distanza tra beni comuni e beni privati è in qualche misura autoevidente (i beni comuni sono tali perché rispondono a una finalità pubblica e dunque devono essere accessibili a tutti), quella tra beni comuni e beni pubblici è più sottile: mentre gli ultimi sono caratterizzati da difficile escludibilità e non rivalità (l’uso di un bene pubblico da parte di un soggetto non ne riduce le possibilità

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rientrano a pieno titolo nella definizione più accettata di commons. Poggiando sulla

fondamentale riflessione di Elinor Ostrom39, Pulcini evidenzia la possibilità di attivare

la spirito cooperativo propriamente umano che si origina nella dimensione empatica

dell’io per dar vita a quella gestione dei beni comuni che costituisce attuazione

concreta di un’etica della responsabilità per il mondo. L’occasione per riattivare tale

moto empatico sarebbe costituita proprio dallo scenario della globalizzazione, che

pone l’io dinnanzi a una «inedita interdipendenza degli eventi e delle vite»40 e

favorisce l’emergere del nuovo modello antropologico dell’homo empaticus41: «un

individuo che si percepisce come costitutivamente in relazione con l’altro e che

riscopre il bene della cooperazione [ed è dunque] capace di scongiurare, a partire

dalla consapevolezza del legame e della relazione con gli altri e con il mondo, la

catastrofe stessa del vivente e di ripristinare un equilibrio sostenibile con la

biosfera»42.

Ciò che emerge, in ultima analisi, dalla riflessione di Pulcini è la necessità di un

impegno innanzitutto soggettivo, “individuale”: dall’altro e dal mondo proviene «un

di utilizzo da parte di altri), i beni comuni sembrerebbero caratterizzati da difficile escludibilità e alta sottraibilità (il loro uso da parte di un soggetto riduce la possibilità di utilizzo e consumo da parte di altri). Tale definizione, che sarà approfondita con riferimento alla teoria di Garrett Hardin (The Tragedy of Commons, 1968), descrive esaurientemente i beni comuni tradizionalmente intesi, ovvero quelli materiali (acqua, aria, energia, clima, biodiversità); tuttavia essa necessita di una rimodulazione affinché possa abbracciare anche tutti quei beni immateriali (conoscenza, cultura, salute, informazione) la cui rilevanza sociale emerge con forza solo a partire dalla fine del Novecento e che la letteratura più recente – a partire dal fondamentale contributo di Elinor Ostrom – non esita a includere tra i beni comuni.

39 In particolare: E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, 1990, tr. it. Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006.

40 Pulcini, 2013, p. 353.

41 In opposizione tanto alla brama acquisitiva dell’homo oeconomicus (nelle due figure del Prometeo hobbesiano e del Narciso smithiano) quanto alla hybris predatoria dell’homo creator.

42 Ibidem, p. 354. È interessante notare come Pulcini evidenzi la natura intersoggettiva dell’io anche a partire da una specifica categoria di beni: i beni relazionali (amicizia, fiducia, solidarietà). L’essenza o contenuto di tali beni altro non è che la relazione stessa; essi si delineano, quindi, in una particolare situazione di reciprocità «in quanto è la relazione in sé che costituisce il bene e che contiene in sé, intrinsecamente la propria ricompensa» (ibidem, p. 355). Un aspetto, questo, che invoca la teoria del dono di ispirazione maussiana, la quale – in alternativa all’antropologia dell’homo oeconomicus e alla logica utilitarista e strumentale dell’individualismo possessivo – scommette «sulla capacità degli individui di alimentare una terza dimensione, tra mercato e Stato, fondata sulla gratuità e la reciprocità delle relazioni» (ibidem, p. 356). I contributi offerti dal paradigma antropologico del dono alla riflessione sui beni comuni sono oggetto del prossimo paragrafo del presente contributo.

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muto ma urgente appello alla nostra responsabilità» (Pulcini, 2013, p. 354) che

chiama in causa l’io nella sua concretezza storica – l’io come persona, ogni e ciascuna

persona.

Una prospettiva diversa ma – nell’opinione di chi scrive – non inconciliabile rispetto

a quella di Pennacchi, la quale evidenzia come ogni progetto di gestione efficace dei

beni comuni non possa non confrontarsi con l’imprescindibilità di una mediazione

istituzionale, della dimensione pubblica e della statualità. Lo Stato di diritto, frutto

di un lento processo che – nell’età moderna – ha visto intrecciarsi la

democratizzazione dello spazio pubblico e la progressiva crescita dell’attenzione per

l’essere-in-comune e il “bene comune”, si basa su quel principio di terzietà che si

estrinseca nella mediazione istituzionale. Le istituzioni sono «il medium delle

relazioni sociali attraverso cui avvengono, in forme mediate intersoggettivamente,

l’elaborazione, il riconoscimento e la generalizzazione di significati sociali»43;

costituiscono pertanto il luogo di espressione pienamente politica di quella struttura

relazionale che resta implicita nella dimensione emotiva del singolo44.

In questo senso, la statualità – intesa come stateness e quindi come quella «ricca

architettura istituzionale presupposta dalla sfera pubblica à la Hannah Arendt»

(Pennacchi, 2013a, p. 375) – implica una partecipazione democratica attiva della

cittadinanza, la quale può aver luogo solo quando la dimensione etica dell’empatia,

la responsabilità dell’io per il mondo sia stata portata alla luce, educata, coltivata.

43 L. Pennacchi, “Crisi, nuovo modello di sviluppo, beni comuni”, in Politica & Società, Il Mulino, 3/2013, pp. 357-380.

44 Con questo passaggio dalla dimensione empatica privata alla dimensione cooperativa pubblica (mediata dalle istituzioni), la riflessione di Pennacchi sembra infine rimodulare presunto automatismo tra empatia ed essere-in-comune in senso proprio. Il ruolo di elaborazione dell’intersoggettività e dei significati sociali qui assegnato alla mediazione istituzionale si ricollega, in qualche misura, all’importanza della gestione attiva della relazione secondo Boella e alla concreta cura del mondo – in termini cooperativi – secondo Pulcini.

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2. Lo sguardo antropologico: dal dono alla condivisione

2.1 Dono e comunità

Collocandosi in un continuum tra riflessione filosofica e paradigma antropologico del

dono – quale elemento istitutivo di legami sociali improntati alla reciprocità e alla

condivisione – la riflessione di Roberto Esposito sulla nozione di communitas45 è, in

questa sede, di particolare interesse. In contrapposizione ai comunitarismi identitari

novecenteschi, Esposito evidenzia la necessità di ripensare la comunità come

“entità” non sostanziale, costrutto relazionale prodotto dall’incontro del soggetto

con un’alterità costitutiva della sua stessa identità. Più che una sostanza, una res, un

“essere” comune, la comunità si configura come «l’essere “in comune” di

un’esistenza coincidente con l’esposizione all’alterità»46. Questa prima parte

decostruttiva della nozione, caratterizzata da implicazioni politicamente

intraducibili47, si deve unire a un’analisi del contenuto della relazione con l’alterità.

A tale contenuto si può pervenire attraverso un procedimento di scavo etimologico:

se i decostruzionisti francesi hanno rilevato – nella nozione di communitas –

soprattutto la dimensione del cum, secondo Esposito si rende necessario porre

nuova attenzione alla modalità in cui questo cum si manifesta, ossia al munus. Tale

termine incorpora le nostre nozioni di onere, dovere, tributo e dono, tanto da poter

essere definito come «legge del dono unilaterale nei confronti degli altri» (Esposito,

45 Si veda R. Esposito, Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi, 1998. Il contributo di Esposito va contestualizzato in quel discorso – portato avanti parallelamente in Francia e in Italia da autori quali Jean-Luc Nancy (La communauté désoeuvrée, 1983), Maurice Blanchot (La communauté inavouable, 1983), Giorgio Agamben (La comunità che viene, 1990) – decostruttivo delle modalità sostanzialistiche secondo cui la nozione di comunità era stata intesa nell’intera filosofia novecentesca.

46 R. Esposito, “Comunità, immunità, biopolitica”, in A. Lucarelli e U. M. Olivieri (a cura di) “A piene mani”. Dono, dis/interesse e beni comuni, Diogene Edizioni, 2013, pp. 105-114 (cit. p. 106). Il volume è frutto delle ricerche portate avanti dall’associazione A piene mani (http://www.benicomuni.unina.it/), centrate sulla necessità teorica e pratica di approfondire il legame tra “dono” e “beni comuni” attraverso la categoria antieconomicista del “dis-interesse”.

47 È questa la critica fondamentale che Esposito muove ai decostruzionisti francesi, in primo luogo Nancy: l’essersi fermati alla pars destruens di una nuova concezione della comunità. L’idea di comunità come rinuncia alla propria identità individuale, come apertura progressiva all’altro da sé, risulta – per quanto necessaria – politicamente infruttuosa: «Sottraendo la comunità all’orizzonte della soggettività, Nancy ne rendeva estremamente problematica l’articolazione con la politica – non fosse altro per l’evidente difficoltà di immaginare una politica del tutto esterna alla dimensione soggettiva» (Esposito, 2013, p. 106).

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2013, p. 106); ne consegue un’idea di communitas come «ciò che lega i suoi membri

in un impegno donativo dell’uno all’altro» (ibidem, p. 107). Esposito lega la nozione

di comunità a quella opposta di immunitas:

Se la comunità determina la rottura delle barriere di protezione dell’identità individuale, l’immunità costituisce il modo di ricostruirle in maniera difensiva ed offensiva contro qualsiasi elemento esterno in grado di minacciarla. Ciò può valere per i singoli individui, ma anche per le stesse comunità, assunte in questo caso nella loro dimensione particolare, immunizzate rispetto ad ogni elemento estraneo che appare minacciarle dall’esterno.48

Tale nozione richiama l’analisi di Pulcini sul comunitarismo endogamico49 ed è

proprio contro i rischi di un’immunizzazione esagerata, un’“autoimmunizzazione”

del corpo politico, che Esposito richiama la necessità di attivare nuovi spazi del

comune; spazi sempre più erosi dal quel meccanismo di appropriazione che si

estrinseca nei fenomeni opposti di privatizzazione50 e pubblicizzazione51. Il

rafforzamento della comunità – come legame sociale donativo – passa dunque

attraverso la riscoperta e l’ampliamento del comune, ciò che è «di tutti e di nessuno,

di nessuno perché di tutti» (ibidem, p. 113), sempre più costretto nella morsa tra

privato e pubblico52.

La nozione di comunità – come cum e munus – elaborata da Esposito si inserisce

nella riscoperta contemporanea del Saggio sul dono di Marcel Mauss53, la cui

48 Esposito, 2013, p. 107.

49 Cfr. § 1 del presente capitolo.

50 «Ad essere privatizzati sono state prima le risorse ambientali – l’acqua, la terra, l’aria, le montagne, i fiumi – poi gli spazi cittadini, gli edifici pubblici, le strade, i beni culturali; e infine le risorse dell’intelligenza, gli spazi della comunicazione, gli strumenti dell’informazione» (Esposito, 2013, p. 113).

51 «Il concetto di demanio, come proprietà pubblica dello Stato, ha costituito per un lungo periodo, ancora non esaurito, non l’opposto, ma il risvolto complementare della proprietà privata» (ibidem, p. 113).

52 Si prefigura qui il tema giuridico della triangolazione tra pubblico, privato e comune, che verrà approfondito nel § 4 del presente capitolo, con particolare riferimento alle riflessioni esposte in: U. Mattei, E. Reviglio, S. Rodotà, Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica, Bologna, Il Mulino, 2007 (frutto dei lavori della Commissione Rodotà); M. R. Marella (a cura di) Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, Ombre Corte, 2012; S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012.

53 M. Mauss, "Essai sur le don. Forme et raison de l'échange dans les sociétés archaïques", in L’Année sociologique, 1923-1924 (1), pp. 30-186 ; tr. it. Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle

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attualità deriva dalla «necessità sempre più avvertita di ricostituire condizioni in

grado di “radicare” dentro la società e i suoi principi morali comportamenti non

dettati unicamente da logiche strumentali e utilitaristiche, ma improntati alla fiducia

e alla cooperazione reciproca»54. Il costrutto del dono – originariamente

antropologico, ma di portata più ampia perché volto a fornire una prospettiva

generale, un fondamento non utilitarista per la comprensione della socialità umana

– è entrato a far parte dei domini di diverse discipline.

Nell’ambito di questo contributo, si approfondiranno alcuni ambiti di ricerca

antropologica, sociologica ed economica che, a partire dal paradigma del dono e dal

suo legame con i temi della condivisione e della reciprocità, costituiscono un utile

strumento per la comprensione delle dinamiche contemporanee dell’”essere-in-

comune” e, quindi, per la costruzione di una prospettiva più ricca sulle modalità di

gestione dei beni comuni.

2.2 Comunità oltre la relazione: dono e knowledge commons

Sono di particolare interesse ai fini del presente elaborato alcuni studi dedicati alla

lettura, attraverso la “lente” del dono, delle dinamiche attuali di produzione e

condivisione della conoscenza e, in particolare, della digital knowledge, per la quale

è ormai acquisito lo status di bene comune55.

società arcaiche, Torino, Einaudi, 2002. Tale “riscoperta” comincia in Francia e in Italia attorno agli anni Ottanta, come testimoniato dalla fondazione del M.A.U.S.S. (Mouvement anti-utilitariste dans les sciences sociales) e della connessa Revue (http://www.revuedumauss.com.fr), diretta da Alain Caillé. Alcuni contributi fondamentali alla rielaborazione contemporanea del paradigma del dono – in primis, A. Caillé, Le tiers paradigme. Anthropologie du don, Paris, La Découverte, 1994 (tr. it. Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1998); J. T. Godbout, L’esprit du don, Paris, La Découverte, 1992 (tr. it. Lo spirito del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 1993) – sono nati proprio nel contesto del M.A.U.S.S. per sfidare l’ideologia utilitaristica e la teoria dello scambio allora dominante nelle scienze sociali.

54 G. Provasi, “Dono, reciprocità, legame sociale. La lezione sempre attuale del «Saggio sul dono» di M. Mauss”, in Iride, 2/2014, pp. 273-296, cit. p. 273.

55 Intendiamo qui per “conoscenza digitale” ogni forma di produzione e condivisione di dati, informazioni e conoscenze attraverso le nuove tecnologie digitali. Sono proprio le opportunità e le sfide poste dalla digitalizzazione a consentirci di identificare fruttuosamente la conoscenza come commons. In primo luogo, i fenomeni di peer production diffusi in Rete non possono spiegarsi con il solo ricorso agli assunti di base dell’economia di mercato e richiedono un approccio che valorizzi la possibilità di azioni condivise non motivate da un interesse strettamente egoistico. In secondo luogo, perché la

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Marco Aime e Anna Cossetta56 hanno affrontato il tema dello scambio in rete su due

livelli: quello dell’oggetto dello scambio, nella fattispecie l’informazione, e quello

della relazione in sé che lo scambio in rete sembra produrre. A partire da questi due

ordini d’indagine, gli autori si propongono di verificare «se l’ipotesi maussiana, che

vede il dono quale motore che promuove legami, trova riscontro nel web» (Aime e

Cossetta, 2010, p. 7). In altri termini, molti fenomeni di scambio d’informazione e

conoscenza in rete sembrano originarsi da fondamenti diversi rispetto a quelli dello

scambio commerciale e su tali fenomeni si instaurano comunità non territoriali che

sembrano richiamare e – allo stesso tempo – non esaurirsi nei modelli di comunità

tradizionale. L’«etnografia della Rete» (ibidem, p. 8) che i due autori portano avanti

è un tentativo di leggere questi nuovi fenomeni relazionali attraverso alcune delle

principali elaborazioni del paradigma del dono.

A partire dalla tesi fondamentale di Mauss (1923-24) – secondo cui il dono è alla base

di legami sociali duraturi in quanto pratica costituita dai tre liberi gesti del donare,

del ricevere e del ricambiare – Caillé (1994) ha elaborato la nozione di valore di

legame57: il dono sarebbe motivato dalla capacità dei beni o servizi donati di creare

e riprodurre relazioni sociali. Il dono si colloca pertanto al di fuori dell’orizzonte tanto

condivisione digitale dell’informazione pone alcune social issues che accomunano la conoscenza ad altri tipi più tradizionali di commons (in primis le risorse naturali). Benché la conoscenza non si caratterizzata da sottraibilità (o rivalità), essa è – nell’era digitale – sempre più soggetta a fenomeni di mercificazione, inquinamento o degradazione, sovrasfruttamento. Sono questi i presupposti a partire dai quali Charlotte Hess ed Elinor Ostrom introducono l’identificazione della conoscenza come bene comune: «knowledge as a shared resource, a complex ecosystem that is a commons—a resource shared by a group of people that is subject to social dilemmas» (C. Hess e E. Ostrom (a cura di), Understanding Knowledge as a Commons. From Theory to Practice, Cambridge, The MIT Press, 2007, p. 3; tr. it. La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, Bruno Mondadori, 2009). L’apporto di questo testo, fondamentale per individuare e analizzare nuove categorie di beni comuni immateriali, sarà approfondito nel prossimo capitolo.

56 M. Aime e A. Cossetta, Il dono al tempo di Internet, Torino, Einaudi, 2010. La ricerca di Cossetta costituisce un punto di raccordo particolarmente importante tra l’ambito dell’economia del dono e l’etica della cura di matrice femminista (si veda il § 1.3 del presente capitolo, in particolare n. 20, p. 10). Per l’approfondimento di tale legame si rinvia a: A. Cossetta, “Il dono, le donne e Internet”, in G. Vaughan (a cura di), Le radici materne dell’economia del dono, Milano, VandA, 2017; E. Pulcini, “La cura è un dono?”, ibidem, 2017; G. Vaughan, Homo Donans. Per un’economia del materno, Milano, VandA, 2015.

57 Alternativo al valore d’uso e al valore di scambio, definibili come la capacità dei beni (o servizi) scambiati di – rispettivamente – soddisfare determinati bisogni piuttosto che acquistare denaro o altri beni (o servizi).

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della pura gratuità58 quanto dello scambio commerciale59. Come sottolineato

nell’elaborazione di Godbout (1992) il dono è una prestazione effettuata sì con

l’intenzione di costruire un legame sociale (ovvero con la speranza che colui al quale

si dona effettui la scelta di accettare e ricambiare il dono), ma senza garanzia di

restituzione. Proprio su questa irriducibile compresenza di obbligo morale e libertà

si basa la capacità del dono di costituire legami sociali.

Il problema principale posto dalle relazioni di scambio online, qualora si voglia

analizzarle attraverso la lente del dono, è costituito dal fatto che esse si sviluppano

per lo più tra estranei, quindi danno vita più a legami deboli che non a legami forti e

duraturi nel tempo. Un chiaro esempio è fornito da Wikipedia, piattaforma nata con

lo scopo di creare e distribuire nel maggior numero di lingue possibili

un’enciclopedia libera, ricca di contenuti e, soprattutto, costruita con gli apporti

volontari di chiunque decida di partecipare allo scopo (senza obbligo di

registrazione)60. Chiunque decida di contribuire, dona il proprio sapere e il proprio

tempo in modo generalizzato e indifferenziato, senza l’attesa di un ritorno se non il

proseguimento del progetto stesso:

58 Come ben riassunto dagli autori: «Non abbiamo donato e basta. Lo abbiamo fatto perché speriamo che questo gesto inneschi una dinamica di reciprocità che duri nel tempo. Il dono prelude la possibile creazione di una relazione» (Aime e Cossetta, 2012, p.16). Per approfondire lo scarto tra dono e “regalo” o gratuità, si veda ad esempio M. Douglas, “Foreword: No free gifts”, prefazione a M. Mauss, The gift. The form and reason for exchange in archaic societies, London and New York, Routledge, 1990 (tr. it. "Nessun dono è gratuito", in Equilibri, 3/2007, pp. 405-420). Il riferimento al dono come dinamica di reciprocità costituisce il fondamentale legame di tale paradigma con la teoria delle forme di scambio di Karl Polanyi e, quindi, con l’economia civile e l’economia della condivisione.

59 «Gli elementi di differenza [tra dono e scambio mercantile] sono più di uno, ma si possono riassumere in una sola parola: libertà» (Aime e Cossetta, 2010, p. 13). Colui a cui si dona è infatti libero di decidere se, quando e come ricambiare; il fatto che la contro-prestazione sia incerta e indeterminata sia nel tempo che nel modo rende evidente la differenza tra la natura del donare e un qualsiasi scambio commerciale, contrattualmente definito.

60 Come si legge sul sito di Wikimedia Foundation, l’organizzazione no-profit alle spalle del progetto, Wikipedia «è un progetto collaborativo sviluppato e costantemente migliorato da milioni di persone (…): chiunque può aiutare a redigerla, in ogni momento. È divenuta la più grande raccolta di conoscenza condivisa nella storia dell'uomo. Le persone che la supportano sono unite dal loro amore per l'apprendimento, dalla loro curiosità intellettuale, e sono consapevoli del fatto che si possa sapere molto di più insieme, di quanto uno di noi lo possa da solo. La Wikimedia Foundation è un'organizzazione no-profit che gestisce Wikipedia e altri progetti di conoscenza gratuiti. (…) La nostra missione è di sviluppare una comunità globale di volontari che raccolgano e sviluppino la conoscenza mondiale e di mettere a disposizione tale conoscenza di tutti, gratuitamente, per ogni scopo» (Fonte: https://wikimediafoundation.org/wiki/FAQ/it).

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La ricompensa per il lavoro svolto può venire dal fatto di essere parte di un sistema che in qualche modo porterà benefici anche al donatore, che di Wikipedia non è solo collaboratore, ma sarà certamente anche fruitore. Oppure da un appagamento emotivo, la realizzazione di un ideale di democrazia condivisa e di un sapere costruito dal basso.61

Appare evidente che, da un punto di vista emico, in questa pratica di produzione e

gestione condivisa della conoscenza è in atto una forma di dono. Benché essa non

sia esente da “contatti” con pratiche più facilmente collocabili entro un orizzonte

commerciale, assumere la prospettiva di un attore interno al sistema62 consente di

rilevare come in rete si diano forme di attività collaborative animate dal desiderio di

costituire comunità. Tuttavia tali comunità sono essenzialmente comunità di

estranei, deterritorializzate e spersonalizzate, poiché – pur basandosi su spazi

mentali comuni e territori culturali condivisi che la rete può aiutare a costituire a

dispetto delle costrizioni geografiche – in esse mancano o mutano aspetti

fondamentali della relazione face-to-face. Gli autori arrivano dunque a concludere

che le comunità generate dalle pratiche della condivisione e del dono online,

presenti in modalità interstiziali rispetto alle dinamiche di mercato, producono per

lo più “comunità senza relazioni”, ovvero comunità immaginate63.

61 Aime e Cossetta, 2010, p. 54.

62 È utile ricordare che Wikimedia Foundation, rifiutando introiti di tipo pubblicitario, si regge quasi esclusivamente sulle donazioni volontarie, destinate soprattutto al mantenimento dello staff (294 persone tra comparto tecnologico, rapporti con la comunità, servizi globali e gestione finanziaria e amministrativa) e delle infrastrutture tecnologiche (server, costi di banda, alloggiamento dei siti che consentono il funzionamento dei diversi progetti della fondazione). (Fonte: https://wikimedia foundation.org) Benché sia una fondazione senza scopo di lucro, non può certo dirsi estranea al sistema di mercato; è dunque possibile affermare, in una certa misura, che «il dono online non è quindi complementare ai rapporti mercantili: ne è parte integrante e indissolubile» (A. Delfanti, M. Aime, P. Magaudda, F. Dei, “Internet fra dono e mercato. Discussione su: Marco Aime e Anna Cossetta, Il dono al tempo di Internet, 2010”, in Studi Culturali, Il Mulino, 1/2011, pp. 107-123; cit. p. 109). Tuttavia la contiguità con i fenomeni di mercato «non indebolisce lo spirito di chi agisce in rete secondo principi antiutilitaristi» (ibidem, p. 112).

63 Locuzione introdotta inizialmente Benedict Anderson (B. Anderson, Imagined Communities. Reflection on the Origin and Spread of Nationalism, London and New York, Verso, 1983, tr. it. Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Roma, Manifestolibri, 2000) per dar conto dell’accezione in cui una nazione possa dirsi “comunità”: «In an anthropological spirit, then, I propose the following definition of the nation: it is an imagined political community (…). It is imagined because the members of even the smallest nation will never know most of their fellow-members, meet them, or even hear of them, yet in the minds of each lives the image of their communion» (op. cit., p. 6).

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In relazione tanto al contributo di Aime e Cossetta quanto alle sue stesse ricerche

sul tema del file-sharing musicale64, Fabio Dei evidenzia65 come proprio gli strumenti

di mediazione dell’attività online possano costituire valide strutture di

coordinamento utili a risolvere il dilemma del free-rider teorizzato da Garrett

Hardin66. Il rapporto tra gli utenti in rete è infatti mediato da software che

incorporano una determinata «agency sociale» (Delfanti et al., 2011, p. 121) e

riescono a «coordinare le pratiche di un gran numero di sconosciuti verso il bene

comune» (ibidem, p. 121). Nel fenomeno Wikipedia, è lo stesso MediaWiki –

software collaborativo alla base del progetto – a fondarsi sull’opportunità data agli

utenti di aggiungere, modificare o cancellare le voci dell’enciclopedia. Nel caso del

file-sharing, spesso il software è progettato in modo da elidere alla radice la

possibilità di comportamenti individualisti free-rider: gli utenti sono incentivati e

talvolta costretti a condividere, poiché il numero complessivo di utenti aumenta –

anziché ridurre – la disponibilità del bene.

Il caso del file-sharing è emblematico anche per quanto concerne i rapporti tra dono

e scambi commerciali, poiché la condivisione online di file musicali è evidentemente

parassitaria rispetto al mercato dell’industria musicale. Tuttavia, è proprio in «quei

punti incerti e diffusi nei quali il rapporto morale tra soggetti fa attrito rispetto al

64 F. Dei, “Tra le maglie della rete: il dono come pratica di cultura popolare” in M. Aria, F. Dei (a cura di) Culture del dono, Roma, Meltemi, 2008. Anche la pratica del file-sharing musicale può considerarsi una forma di condivisione online della conoscenza – e dunque di gestione cooperativa di un knowledge commons – facendo riferimento agli assunti di Hess e Ostrom: «Knowledge as employed in this book refers to all types of understanding gained through experience or study, whether indigenous, scientific, scholarly, or otherwise nonacademic. It also includes creative works, such as music and the visual and theatrical arts» (Hess e Ostrom, 2007, p. 8).

65 Delfanti et al., 2011.

66 G. Hardin, “The Tragedy of the Commons”, Science, 162/1968, pp. 1243-1248. Il dilemma del free-rider, immaginato da Hardin nel contesto di un pascolo aperto a tutti, può riassumersi come segue: ogni mandriano ha razionalmente interesse ad accrescere la mandria portata al pascolo nel terreno comune, perché il vantaggio che ne ricava (la possibilità di vendere più capi di bestiame) è maggiore dello svantaggio prodotto dall’overgrazing, dato che quest’ultimo rischio viene condiviso con tutti gli altri mandriani che sfruttano la risorsa. Il vantaggio offerto dalla risorsa comune è, dunque, anche la sua “tragedia”: ogni mandriano è bloccato in un sistema razionale che lo spinge ad aumentare la propria mandria senza limiti per sfruttare il più possibile una risorsa limitata. La libertà nella gestione di una risorsa comune, in assenza di privatizzazione o coercizione pubblica, è la rovina della risorsa stessa.

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mercato» (ibidem, p. 119) che il dono va ricercato. Lo hau67 – lo spirito della cosa

donata che vuole “tornare” al punto di partenza – non è infatti un principio

strutturale, tale da creare un circuito di scambio totalmente altro rispetto a quello

di mercato; esso è piuttosto «una forza di attrito morale che si insinua nel

meccanismo dello scambio» (ibidem, p. 119). Tali “attriti” sono particolarmente

evidenti nelle forme attuali di condivisione della conoscenza: il bene oggetto di

scambio è immateriale e comporta costi bassi o nulli di trasferimento, in modo tale

che lo scambio stesso non impoverisce colui che dona, mentre la fluidità e la

mutevolezza dei sistemi di condivisione ne rendono pressoché impossibile il

controllo attraverso meccanismi classici di mercato68. Infine, tali pratiche di

condivisione cooperativa, originariamente locali o interstiziali, vengono proiettate –

proprio grazie alla natura reticolare di Internet – su comunità molto ampie,

incoraggiando la riproduzione e proliferazione di pratiche analoghe. È in tali «aree

di economia morale» (Delfanti et al., 2011, p. 121), non completamente riconducibili

né a logiche utilitaristiche né a logiche redistributive69, che il dono emerge.

3. Lo sguardo socioeconomico: relazione, reciprocità, condivisione

3.1 Verso la cooperazione: dall’homo oeconomicus all’animal civile

La riscoperta del valore del dono come pratica contigua – e non semplicemente

alternativa – sia allo scambio di mercato sia alla redistribuzione è al centro del

67 Per un approfondimento sulla nozione di hau in Mauss e nelle interpretazioni del dono successive, si veda M. Aria, “Dono, hau e reciprocità. Alcune riletture antropologiche di Marcel Mauss” in M. Aria, F. Dei (a cura di) Culture del dono, Roma, Meltemi, 2008.

68 «Basti pensare al problema del copyright, che l’industria culturale, nella sua età dell’oro, proteggeva per mezzo dei supporti materiali attraverso i quali venivano distribuiti la musica, il cinema, la letteratura. Oggi questo non è impossibile, ma certo è molto più difficile, e i mezzi tecnici che dovrebbero impedire l’illecita riproduzione del software sono costantemente aggirati dagli hacker. Si assiste dunque al paradosso che proprio le grandi aziende sono costrette a scendere sul terreno morale per convincere i consumatori a rispettare il copyright» (Delfanti et al., 2011, p. 120).

69 Si fa qui riferimento alla teoria del dono come “terzo paradigma”, elaborata in particolare da Caillé (Caillé, 1994). La pratica sul dono può essere interpretata come espressione di un paradigma antropologico diverso tanto da quello utilitarista dell’homo oeconomicus, che presuppone l’originarietà dell’egoismo individualista, quanto da quello collettivista di matrice durkheimiana, che antepone cultura e società al singolo individuo.

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pensiero dell’economia civile70: scambio di equivalenti, redistribuzione e reciprocità

sono da essa considerati principi coessenziali a fondamento di ogni ordine sociale.

Alla base di questo orientamento di pensiero vi è l’intento di rileggere tutta

l’economia a partire da un paradigma ermeneutico relazionale71, in grado di

superare le aporie dei paradigmi individualistico e olistico. Se infatti il primo riduce

il problema economico allo studio del comportamento del singolo agente,

analizzando solo in un secondo momento gli esiti collettivi ottenuti per aggregazione

dei risultati individuali, il secondo si limita a studiare il funzionamento del sistema

nel suo complesso, rimanendo indifferente rispetto alle credenze e alle motivazioni

del singolo. Entrambe le prospettive operano assumendo la relazione in modo

preanalitico e con ciò dimenticano l’oggetto essenziale dell’economia, ovvero «le

relazioni tra uomini che vivono in società» (Zamagni, 2005, p. 82)72. L’esigenza

attuale di ripensare la reciprocità deriva dal crescente e diffuso disagio verso

l’individualismo “inospitale” della tradizione economica dominante, imperniato sul

paradigma antropologico dell’homo oeconomicus:

Ossessivamente ripiegato sulla propria soggettività – analiticamente rappresentata mediante una mappa di preferenze – l’uomo contemplato dalla teoria dominante è proiettato verso un’autonomia e una separatezza del tutto inospitali, dimentico di ogni relazione con l’altro che non sia funzionale al perseguimento della sua funzione-obiettivo.73

70 Per una densa e recente introduzione a questa tradizione di pensiero tipicamente italiana, oggi portata avanti in primis da Luigino Bruni e Stefano Zamagni, si veda L. Bruni e S. Zamagni, L’economia civile. Un’altra idea di mercato, Bologna, Il Mulino, 2015.

71 S. Zamagni, “La svolta antropologica in economia. Il ritorno della relazionalità”, in La società degli individui, 24/2005, pp. 81-90.

72 «Tra le tante questioni aperte che la nostra modernità ci ha lasciato in eredità v’è quella che riguarda il dissidio irrisolto tra quelle linee di pensiero che, per portare alla luce importanti dinamiche della nostra società, hanno finito col dissolvere la soggettività nel collettivo (si pensi al marxismo o al neo strutturalismo) e quelle linee di pensiero che hanno bensì esaltato la soggettività, ma al prezzo di ridurre il sociale a mera aggregazione di preferenze individuali. (È questo l’esito cui giunge l’individualismo nelle sue versioni estreme perché confonde la socialità, che è anche degli animali, con la socievolezza, che è tipica degli uomini).» (S. Zamagni, “Dono gratuito e vita economica”, in F. Brezzi e M. T. Russo (a cura di), Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono, Torino Bollati Boringhieri, 2011; cit. p. 117).

73 Zamagni, 2005, p. 82. Per un approfondimento sulle origini e le implicazioni filosofiche del paradigma dell’homo oeconomicus, si veda E. Pulcini, L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Torino, Bollati Boringhieri, 2001.

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Tra le debolezze più profonde del modello dell’homo oeconomicus e della connessa

rational choice theory, Stefano Zamagni evidenzia l’insussistenza, nella realtà,

dell’ipotesi di additività74 e, nei conseguenti tentativi di ampliamento del modello,

l’incapacità di quest’ultimo di spiegare l’azione umana in presenza di vincoli non

oggettivamente determinabili, come identità e relazioni interpersonali. Infatti, ogni

tentativo da parte della teoria dominante di modellizzare le motivazioni intrinseche,

non strumentali, dell’attore economico si scontra con il limite del paradigma

individualista sotteso alla teoria stessa. Essa «stenta a realizzare che quanto

concerne la persona non va cercato solo nelle persone stesse, ma tra di loro»75

poiché assume come proprio fondamento un individuo formato già prima e

indipendentemente da ogni relazione, alla quale non può che attribuire un valore

meramente strumentale. La stessa reciprocità viene allora interpretata come un

caso specifico dello scambio di equivalenti, ovvero come il perseguimento da parte

degli agenti di un auto-interesse (self-interest) illuminato. Al contrario, Zamagni

illustra le principali qualificazioni della reciprocità, dal punto di vista dell’economia

civile, proprio per contrasto con lo scambio di equivalenti. Si offre di seguito (Figura

1.1) una panoramica di tale opposizione.

74 L’assunto alla base del modello di rational choice è che le motivazioni estrinseche (strumentali) si sommino, rafforzandole, alle motivazioni intrinseche (non strumentali e relative all’identità personale). In questo modo la scienza economica dominante ha potuto limitare il campo d’indagine all’ambito cognitivo dell’attore economico, fondando solo su questo i propri modelli predittivi. Questa ipotesi è negata dai fenomeni di crowding out (spiazzamento) e di crowding in tra i due tipi di motivazioni, oggi ampiamente studiati dalla letteratura delle scienze sociali. Un esempio classico del fenomeno di spiazzamento fa riferimento alla promessa di un pagamento per la donazione di sangue, che sembra ridurre sia il numero delle donazioni sia la qualità del sangue donato (si veda R. Titmuss, The Gift Relationship, Allen & Unwin, London 1970). Questi fenomeni mostrano che «l’impiego di incentivi economici non solamente riduce l’autodeterminazione e l’insieme delle possibilità di espressione – ricevendo l’incentivo, la persona intrinsecamente motivata si vede ridotte le possibilità di manifestare comportamenti coerenti con il suo sistema di valori – ma mina alla base il sentimento di autostima (la self-esteem, di cui parlava Adam Smith): ricevere un pagamento per un’azione che il soggetto avrebbe comunque compiuto diminuisce la considerazione sociale, cioè il social reward» (Zamagni, 2005, p. 87-88).

75 S. Zamagni, L’economia come se la persona contasse. Verso una teoria economica relazionale, AICCON Working Paper, 2006; cit. p. 11.

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Figura 1.1 – Caratteri della reciprocità per rapporto allo scambio di equivalenti76

È importante evidenziare che la gratuità propria del dono, nella prospettiva

dell’economia civile, non coincide con l’assenza di interesse, bensì con l’interesse

per l’altro, ovvero per la costruzione di un legame: è «lo specifico interesse a dar vita

alla relazione tra donatore e donatario a costituire l’essenza dell’azione donativa»77.

Questo interesse si dà nella forma dell’aspettativa che colui a cui si dona farà

altrettanto, in un tempo successivo. La gratuità del dono non si identifica, dunque,

per la semplice assenza di remuneratività, per la spontaneità dell’azione, per il

beneficio arrecato ad altri: sua caratteristica essenziale è la capacità di costruire

legami.

È proprio questa caratteristica che differenzia l’azione autenticamente gratuita, dalla beneficenza privata, tipica della filantropia. Infatti, la forza del dono gratuito non sta nella cosa donata o nel quantum donato – così è invece nella filantropia, tanto è vero che esistono le graduatorie o le classifiche di merito filantropico – ma nella speciale cifra che il dono rappresenta per il fatto di costituire una relazione tra persone. In altri termini, mentre la filantropia genera quasi sempre dipendenza nel destinatario dell’azione filantropica, l’azione gratuita genera invece reciprocità.78

76 Elaborazione tabulare riassuntiva delle differenze tra reciprocità e scambio di equivalenti proposte in S. Zamagni, “Dono gratuito e vita economica”, in F. Brezzi e M. T. Russo (a cura di), Oltre la società degli individui. Teoria ed etica del dono, Torino, Bollati Boringhieri, 2011.

77 L. Bruni, S. Zamagni (a cura di), Dizionario di economia civile, Roma, Città Nuova, 2009, p. 9.

78 S. Zamagni, L’economia come se la persona contasse. Verso una teoria economica relazionale, AICCON Working Paper, 2006; cit. pp. 12-13.

- Non vi è accordo previo sul prezzo: A si muove liberamente verso B sulla base dell’aspettativa che B farà altrettanto, in un tempo successivo, nei suoi confronti o nei confronti di C.

- Il valore di quanto B darà ad A (oppure a C) sarà proporzionale alle capacità di B.

- Il primum movens è la gratuità del dono.

- La determinazione del prezzo precede, in senso logico, i trasferimenti tra A e B.

- Il trasferimento da B ad A non è libero, ma dipende da quello da A e B.

- Il valore di quanto B darà ad A deve essere equivalente a quanto A ha dato a B.

- Il primum movens è il perseguimento di un interesse individuale.

Reciprocità

Scambio di equivalenti

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Inoltre, il riferimento a un “terzo” – oltre a colui che dona e a colui cui si dona –

consente di non chiudere la relazione di reciprocità entro i confini della sola

prossimità, ovvero del phìlos, «il mio eguale, il mio vicino per cultura ed etnia»: «il

senso della gratuità oggi è quello di aprire la fraternità, di andare oltre la prossimità

che si fonda sul rigetto immunologico dell’estraneo e del diverso» (Zamagni, 2006,

p. 20). È questa la principale differenza tra dono intimamente gratuito e dono non

gratuito (ovvero dono come regalo): «nel dono come regalo, ti do per ricevere – è

questa la logica dello scambio di doni, del gift exchange - ; nel dono gratuito ovvero

nel dono come reciprocità, ti do perché tu possa a tua volta dare (non

necessariamente a me)» (Zamagni, 2006, p. 16). In ciò risiede la capacità del dono

gratuito, della reciprocità, di fondare il legame sociale umano.

Tematizzare la reciprocità in economia significa rivalutare la valenza esplicativa

dell’intersoggettività non come mera interazione sociale (anonima, impersonale,

strumentale), bensì come relazione interpersonale, in cui rilevano sia l’identità dei

soggetti coinvolti, in quanto persone, sia la “potenza del tra”, in quanto «categoria

primordiale della realtà umana» (Zamagni, 2006, p. 3). La prospettiva di studio

dell’economia civile79, aprendosi a un paradigma antropologico originariamente

relazionale, intende dimostrare che «non c’è opposizione tra identità (l’essere per

sé) e relazione (l’essere per l’altro), e quindi che l’interesse non può essere il solo

fondamento dell’associazione tra gli uomini. La buona società in cui vivere non può

fare a meno della reciprocità» (Zamagni, 2005, p. 90). Per spingere la scienza

economica oltre i confini della propria crescente autoreferenzialità e renderla

capace di fronteggiare problemi quali «l’aumento endemico delle disuguaglianze, lo

scandalo della fame, la ricorrenza di crisi finanziarie di vaste proporzioni, l’irrompere

dei conflitti identitari che si aggiungono ai ben noti conflitti di interesse, il benessere

e malessere lavorativo, i paradossi della felicità, la sostenibilità dello sviluppo, le

79 «L’economia come se la persona contasse: questa potrebbe essere la perifrasi chiamata a sintetizzare il nucleo del programma di ricerca dell’economia civile» (L. Bruni, S. Zamagni (a cura di), Dizionario di economia civile, Roma, Città Nuova, 2009; cit. p. 12).

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organizzazioni» (Bruni e Zamagni, 2009, p. 7), il confronto con l’etica, con la

dimensione del “noi” costituita dalla relazione di reciprocità, non può essere eluso.

C’è dunque bisogno di passare dall’homo oeconomicus all’animal civile e dunque di far posto al principio del dono dentro (non a latere) la teoria economica.80

L’accoglimento del principio di reciprocità accanto a scambio di equivalenti e

redistribuzione è anche la via, nella prospettiva dell’economia civile, per sciogliere il

problema della gestione dei beni comuni. In un contributo specificamente dedicato

all’apporto dell’economia civile in materia di beni comuni81, Zamagni identifica

questa categoria di beni in funzione dei tradizionali criteri di escludibilità e rivalità (o

sottraibilità)82. Di quest’ultimo, tuttavia, non considera la “classica” accezione

negativa – secondo la quale il consumo o utilizzo del bene da parte di un soggetto

diminuisce le possibilità di consumo o utilizzo del medesimo bene per altri soggetti

– bensì un’accezione che si potrebbe definire positiva, poiché guarda al consumo

congiunto o rivale in termini di vantaggio congiunto:

80 Bruni e Zamagni, 2009, p. 9.

81 S. Zamagni, “Beni comuni ed Economia Civile”, in L. Sacconi e S. Ottone (a cura di) Beni comuni e cooperazione, Bologna, Il Mulino, 2015.

82 Il criterio della subtractability (o rivalry) viene introdotto in letteratura proprio al fine di individuare la natura delle common-pool resources, idenfiticabili con beni comuni per lo più materiali (E. Ostrom e V. Ostrom, Public Economy Organization and Service Delivery, Workshop Working Paper, “Financing the Regional City Project” meeting of the Metropolitan Fund, University of Michigan, Dearborn, MI, October 20, 1977). Un bene comune materiale si dice sottraibile o rivale (nel consumo) perché l’uso del bene da parte di un soggetto sottrae qualcosa alla disponibilità dello stesso bene per altri. Si riporta di seguito la tradizionale individuazione delle common.pool resources (accanto a beni pubblici, beni privati e beni di club) in funzione dei criteri di escludibilità e sottraibilità:

SUBTRACTABILITY

Low High

EXC

LUSI

ON

Dif

ficu

lt

Public goods Useful knowledge Sunsets

Common-pool resources Libraries Irrigation system

Easy

Toll or club goods Journal subscriptions Day-care centers

Private goods Personal computers Doughnuts

Fonte: Hess e Ostrom, 2007.

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Comune (…) è il bene che è rivale nel consumo ma non è escludibile; ed è tale che il vantaggio che ciascuno trae dal suo uso non può essere separato dal vantaggio che altri pure traggono da esso. Come a dire che il beneficio che il singolo trae dal bene comune si materializza assieme a quello di altri, non già contro (come accade col bene privato) e neppure a prescindere (come accade col bene pubblico).83

Ecco che allora la considerazione del comportamento reciprocante84 – ossia di chi

accoglie la reciprocità come un «dare senza perdere e un ricevere senza togliere»

(Zamagni, 2015, p. 59) – amplia lo sguardo oltre le dicotomiche soluzioni di gestione

privatistica e pubblicistica, fino a far emergere la possibilità di una gestione

essenzialmente comunitaria dei beni comuni. Alla base della tragedia teorizzata da

Hardin vi è infatti l’assunto secondo cui l’individuo non può che scegliere la

massimizzazione del proprio interesse, non considerando affatto l’interesse

collettivo alla conservazione e all’utilizzo del bene comune: è il modello di razionalità

strumentale ovvero di homo oeconomicus – individualista e autointeressato – a

produrre l’inevitabilità della scelta tra soluzione privatistica e pubblicistica nella

gestione dei beni comuni. Si riportano di seguito (Tabella 1.1) le principali obiezioni

sollevate da Zamagni contro entrambe le opzioni di gestione.

Tabella 1.1 – Criticità delle soluzioni privatistica e pubblicista

per la gestione dei beni comuni85

Soluzione privatistica Soluzione pubblicistica

Asimmetria tra libertà di vendere e libertà di acquistare nel caso di beni essenziali

(esempio: acqua), i quali non hanno sostituti.

Problema del finanziamento, soprattutto in contesti di crisi della finanza pubblica.

83 Zamagni, 2015, p. 58.

84 «…quello cioè di chi accoglie il principio di reciprocità: “ti do o faccio qualcosa affinché tu possa a tua volta dare o fare qualcosa, in proporzione alle tue capacità, ad un terzo o, se del caso, a me”. (…) La reciprocità, dunque, è un dare senza perdere e un ricevere senza togliere» (Zamagni, 2015, p. 59).

85 Elaborazione tabulare riassuntiva principali ragioni di inapplicabilità e/o inefficienza delle soluzioni privatistica e pubblicistica per la gestione dei beni comuni esposte in S. Zamagni, “Beni comuni ed Economia Civile”, in L. Sacconi, S. Ottone (a cura di) Beni comuni e cooperazione, Bologna, Il Mulino, 2015.

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Incapacità del mercato di rispondere al bisogno di beni essenziali in mancanza di

potere d'acquisto (il mercato non soddisfa bisogni, bensì preferenze solvibili).

Morbi specifici dell'ente pubblico, nelle sue configurazioni centrali e periferiche:

burocratizzazione e rent-seeking (ricerca della rendita).

Incapacità del mercato di distinguere tra preferenze eticamente fondate e meri

desideri.

Impossibilità di gestione dei global commons (clima, biodiversità) per via dell'assenza di un'autorità pubblica

globalmente riconosciuta.

Soluzione cap and trade (proprietà pubblica, gestione privata)

Soggetta a fenomeni di “cattura” del regolatore

da parte di chi sarebbe tenuto a rispettarne le regole.

A produrre l’inapplicabilità o l’inefficienza di entrambe le soluzioni è – secondo

Zamagni – la mancanza dell’idea di comunità, ovvero del legame di reciprocità che

sussiste tra le persone che fruiscono congiuntamente del bene comune. In assenza

di tale consapevolezza, «né il contratto sociale hobbesiano che affida al Leviatano il

compito di scongiurare il rischio dell’escludenza, né l’individualismo libertario che

affida alla coscienza dei singoli il compito della autolimitazione, potranno mai

costituire soluzioni soddisfacenti al problema dei beni comuni» (Zamagni, 2015, p.

66)86.

86 Zamagni, 2015, p. 66. La proposta di Zamagni per la gestione, nelle condizioni storiche attuali, dei beni comuni – in particolare dei servizi pubblici locali – è l’istituzione di imprese cooperative multi-stakeholder, in cui la partecipazione alla governance delle risorse e dell’impresa non sia limitata a una sola categoria di portatori d’interesse (in primis gli utenti e il management), ma si allarghi a includere anche lavoratori e investitori di capitale di rischio. Affinché tale forma di gestione sia coerente con la natura dei beni comuni che mira a governare e soprattutto efficace – ovvero affinché garantisca sia eguale e libero accesso alle risorse comuni sia un equilibrio organizzativo in grado di coinvolgere tutti gli stakeholder – si rende necessario architettare un contratto sociale che faccia fronte, in primo luogo, al rischio di collusione tra management e stakeholder interni (lavoratori e investitori) ai danni degli stakeholder esterni (utenti, fornitori, territorio). In conclusione, un’impresa cooperativa multi-stakeholder finalizzata a una gestione efficace dei beni comuni locali è chiamata ad assolvere tre funzioni principali: tutela del libero accesso dei fruitori alla risorsa comune, conservazione dell’identità di gruppo della comunità di fruitori, condivisione delle informazioni e delle regole comuni di gestione. Per un approfondimento sui principi cooperativi (in primis adesione libera e volontaria, controllo democratico, autonomia e indipendenza, cooperazione tra cooperative, interesse verso la comunità) si rimanda a S. Zamagni e V. Zamagni, La cooperazione. Tra mercato e democrazia economica, Bologna, Il Mulino, 2008.

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3.2 Reciprocità e sharing economy

Il paradigma della reciprocità quale forma di scambio contigua a mercato e

redistribuzione può essere proficuamente utilizzato per comprendere, in termini

socioeconomici, i diversi fenomeni che fanno capo al concetto di sharing economy.

La teoria delle tre forme di integrazione (embeddedness) di economia e società,

introdotta da Karl Polanyi dapprima ne La grande trasformazione (1944) e

ulteriormente sviluppata nelle opere successive87, può essere letta – in linea con la

tesi centrale del Saggio sul dono di Mauss – come un rifiuto «della riduzione della

vita sociale alla polarità individuo-Stato»88. Polanyi attraverso il riferimento alla

ricerca antropologica classica (Malinowski89 in primis) perviene a una sostanziale

storicizzazione dell’economia di mercato capitalistica: nelle società precapitalistiche,

il funzionamento dell’economia – costitutivamente inserita (embedded) nelle

rispettive strutture sociali90 – non può essere efficacemente compreso sulla base di

quei postulati che la definizione “formale” dell’economia assume come generali e

universali, ovvero il metodo individualistico, l’auto-regolazione del mercato, il

principio di scarsità e quello dell’agire razionale in vista della massimizzazione

87 K. Polanyi, The Great Transformation, New York, Holt, Rinehart & Winston Inc., 1944 (tr. it. La grande trasformazione, Torino, Einaudi, 1974); K. Polanyi et al. (a cura di), Trade and Market in the Early Empires, New York, The Free Press, 1957 (tr. it. Traffici e mercati negli antichi imperi, Torino, Einaudi, 1978); K. Polanyi, “On the Comparative Treatment of Economic Institutions in Antiquity, with Illustrations from Athens, Mycenae, and Alalakh”, in C. H. Kraeling e R. M. Adams (a cura di), City Invincible. A Symposium on Urbanization and Cultural Development in the Ancient Near East, Chicago, University of Chicago Press, 1960, poi in K. Polanyi, Primitive, Archaic and Modern Economies, a cura di G. Dalton, New York, Doubleday & Co., 1968 (tr. it. Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi, 1980).

88 A. Salsano, “Dono e pseudodono nel mondo dell’utile”, in Iride, 24/1998, pp. 323-340; cit. p. 324.

89 Si vedano in particolare gli studi condotti sul cerchio del kula, la cerimonia del dono caratteristica delle isole Trobriand, al centro di R. Malinowski, Argonauts of the Western Pacific. An Account of Native Enterprise and Adventure in the Archipelagoes of Melanesian New Guinea, London, Routledge & Kegan Paul, 1922 (tr. it. Argonauti del Pacifico occidentale, Roma, Newton Compton, 1973). Polanyi assume il kula come esempio di “commercio” completamente estraneo alle logiche di mercato: «Dare e ricevere organizzato e sistematico di oggetti di valore trasportati per lunghe distanze è giustamente descritto come commercio, tuttavia questo complesso insieme di rapporti è condotto esclusivamente sulle linee della reciprocità. (…) Né ciò che domina è la propensione al baratto, bensì la reciprocità nel comportamento sociale. Nondimeno il risultato è uno stupendo fatto organizzativo nel campo economico» (Polanyi, 1944, tr. it. 1974, p. 66).

90 «L’eccezionale scoperta delle recenti ricerche storiche ed antropologiche è che l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali» (Polanyi, 1944, tr. it. 1974, p. 61).

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dell’utile. La relativizzazione dell’economia di mercato, così come della sua

formalizzazione teorica, è il presupposto sulla base del quale Polanyi introduce la

propria «teoria della compresenza, in misure e proporzioni variabili, in tutte le

società delle tre forme di scambio»91: mercato, redistribuzione e reciprocità. È

questa la cornice interpretativa entro cui si può pervenire a una migliore

comprensione dei multiformi fenomeni contemporanei che ricadono entro il

perimetro della sharing economy. Con questo termine92 si fa qui riferimento a un

ampio spettro di fenomeni che possono trovare diversa collocazione in rapporto a

tre assi fondamentali (Figura 1.2): ottimizzazione delle risorse, ruolo della

piattaforma tecnologica, relazioni peer-to-peer93.

Figura 1.2 – Elementi per l’individuazione delle pratiche di sharing economy94

91 Salsano, 1998, p. 326 (corsivo mio).

92 Nella letteratura, spesso associato agli analoghi “sharing economy”, “peer-to-peer economy”, “commons-based peer production”, “economia collaborativa”, “economia della condivisione”. Rachel Botsman ha elaborato un apparato definitorio al fine di discernere i concetti di collaborative economy, collaborative consumption, sharing economy e peer economy (R. Botsman, The Sharing Economy Lacks a Shared Definition, http://www.fastcompany.com/, 2013). Nel medesimo contributo, Botsman evidenzia come questi fenomeni – distinti, ma interrelati – presentino alcuni fondamentali elementi comuni: forme di potere non più centralizzato, bensì distribuito lungo reti di individui e comunità; fattori nuovi e “perturbatori” inerenti le possibilità tecnologiche, i valori sociali, il rapporto con l’ambiente e la crescita economica; un utilizzo innovativo ed efficiente di risorse materiali e immateriali.

93 Per l’approfondimento si rimanda a: I. Pais e M. Mainieri, “Il fenomeno della sharing economy in Italia e nel mondo”, in Equilibri, 1/2015, pp. 11-20; 93 I. Pais, “Nuove comunità tra economia e società”, in G. Arena e C. Iaione (a cura di), L’età della condivisione. La collaborazione tra cittadini e amministrazione per i beni comuni, Roma, Carocci, 2015.

94 Rielaborazione personale a partire da Pais, 2015 e Pais e Mainieri, 2015.

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In linea con la teoria del “doppio-movimento” di Polanyi – secondo cui un

ampliamento eccessivo dello scambio di mercato, arrivando a minacciare l’uomo, la

natura e la stessa organizzazione produttiva, provoca un contro-movimento

improntato alla protezione sociale95 – l’emergere contemporaneo di fenomeni

economici incentrati su collaborazione e condivisione può essere interpretato come

una risposta sociale volta a riempire un vuoto oggettivo prodotto dalle due forme di

allocazione che hanno caratterizzato l’economia moderna a partire dal secondo

dopoguerra: da un lato il modello gerarchico d’intervento pubblico per la limitazione

delle iniquità del mercato, ispirato alla teoria keynesiana; dall’altro il modello

neoliberista, basato sull’affermazione del mercato come strumento autosufficiente

tanto per l’allocazione delle risorse economiche quanto per la regolamentazione

sociale e politica96. Mercato e gerarchia, pur procedendo da radici opposte, hanno

entrambi contribuito alla de-socializzazione dell’economia, ovvero alla “dis-

integrazione” (disembeddedness) dei rapporti economici rispetto a quei legami

sociali che ne consentono la riproduzione:

The market through the anonymous exchange of equivalents mediated by money; hierarchies through an authority rationally or democratically recognized but abstract and weak in establishing substantial and not merely procedural principles of legitimacy. It is this now deserted space that the sharing economy seems able to occupy by experimenting with collaborative social forms able (at least potentially and ideally) to embed economic

relations once again in social ones.97

95 «Esso [il doppio-movimento] può essere rappresentato come l’azione di due principî organizzativi nella società, ciascuno di essi ponendosi fini istituzionali specifici, avendo l’appoggio di precise forze sociali ed usando i propri metodi particolari. L’uno era il principio del liberalismo economico che mirava all’istituzione di un sistema autoregolato, basato sull’appoggio delle classi commerciali ed impiegando largamente il laissez-faire ed il libero scambio come suoi metodi, l’altro era il principio della protezione sociale che mirava alla conservazione dell’uomo e della natura oltre che della organizzazione produttiva, basandosi sull’appoggio variante di coloro che erano più immediatamente toccati dall’azione deleteria del mercato – primariamente, ma non esclusivamente le classi lavoratrici e quelle agricole – ed impiegando una legislazione protettiva, delle associazioni restrittive ed altri strumenti di intervento come suoi metodi» (Polanyi, 1944, trad. it. 1974, p. 170).

96 Si fa qui riferimento all’analisi condotta da Ivana Pais e Giancarlo Provasi in merito alla sharing economy come forma di ri-socializzazione dell’economia (Pais e Provasi, “Sharing Economy: A Step towards the Re-Embeddedness of the Economy?”, in Stato e mercato, 105/2015, pp. 347-377).

97 Pais e Provasi, 2015, p. 353.

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Nel contributo di Pais e Provasi cui si fa qui riferimento, i diversi fenomeni

generalmente ricondotti al concetto “ombrello” di sharing economy sono collocati

entro un framework teorico basato sull’incrocio tra la teoria delle forme di scambio

di Polanyi e le differenti strategie di reciprocità (cautious reciproity, brave

reciprocity, unconditional reciprocity) individuate dall’economia del dono98. Ne

consegue uno spettro delle forme d’integrazione tra economia e società così

articolato (Figura 1.3):

Figura 1.3 – Forme di integrazione tra economia e società99

Relazione simmetrica

impersonale.

Coinvolgimento basso.

Beni privati.

Relazione simmetrica di conoscenza

generica.

Coinvolgimento medio.

Shareable goods.

Relazione simmetrica/ asimmetrica

elettiva.

Coinvolgimento medio-alto.

Beni relazionali.

Relazione asimmetrica basata sulla

appartenenza.

Coinvolgimento alto.

Beni comuni.

Relazione asimmetrica basata sulla

cittadinanza.

Coinvolgimento alto.

Beni pubblici.

Sharing economy

Collaborazione e condivisione si collocano accanto alla reciprocità stricto sensu come

suoi ampliamenti nella direzione, rispettivamente, del mercato e della

redistribuzione; è in questo spazio che si definiscono le pratiche di sharing economy

98 Con particolare riferimento all’analisi della nozione di reciprocità (distinta in reciprocità cauta, reciprocità-philìa e reciprocità incondizionale) condotta da Luigino Bruni in L. Bruni, Reciprocità. Dinamiche di cooperazione economia e società civile, Milano, Bruno Mondadori, 2006. Il soggetto che agisce secondo la strategia di reciprocità cauta tende a cooperare solo con chi abbia già dimostrato di agire cooperando; dunque, non coopera mai “per primo”. La reciprocità-philìa è una forma di reciprocità “coraggiosa”: il soggetto che applica questa strategia tende a cooperare per primo e, nei rapporti o round successivi, agisce a seconda del comportamento – cooperante o meno – dimostrato dagli altri attori. Infine, è reciprocità incondizionale o gratuita la strategia del soggetto che attua un atteggiamento cooperante indipendentemente dalla condotta degli altri attori.

99 Elaborazione personale a partire da Pais e Provasi (2015) e da I. Pais e M. Mainieri, “Il fenomeno della sharing economy in Italia e nel mondo”, in Equilibri, 1/2015, pp. 11-20.

Scambio di mercato

Collaborazione Reciprocità Condivsione Redistribuzione

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in senso proprio100, le quali – ampliando gli ambiti sociali definiti dal principio di

reciprocità oltre i confini di prossimità e costituendo, allo stesso tempo, senso di

comunità e appartenenza – costituiscono potenziali opportunità di ri-socializzazione

dell’economia101. In particolare, mentre la collaborazione «estende le logiche di

reciprocità ai legami deboli o con persone sconosciute», la condivisione «si basa su

nuove comunità di interesse che creano senso di appartenenza (nuovi “noi”) e

favoriscono la creazione e la gestione di beni comuni»102.

3.3 Economia della condivisione per l’urban commons: il crowdfunding civico

La relazione di comunità, dunque, si costituisce e si coltiva in particolar modo

nell’ambito di quelle pratiche che muovono dalla reciprocità in direzione della

redistribuzione. Sono queste stesse pratiche, incentrate sulla condivisione, a

profilare modalità nuove di gestione dei beni comuni:

In questo caso, a differenza delle forme di sharing economy più vicine alla dimensione di mercato103, lo scambio di beni e servizi è mediato da

100 Collaborazione e condivisione costituiscono in effetti i termini più propri per tradurre, nel contesto italiano, i caratteri propri della sharing economy nel suo complesso: «In italiano sharing economy si traduce con due termini che ne individuano le manifestazioni principali:

- la “collaborazione”, forma intermedia tra reciprocità e scambio: più persone si mettono in rete per la realizzazione di un progetto da cui ognuno di loro trarrà un beneficio anche individuale;

- la “condivisione”, forma intermedia tra reciprocità e redistribuzione: un gruppo di persone mette in comune le risorse per la produzione di un bene o servizio utile alla loro comunità» (Pais e Mainieri, 2015, p. 11).

101 «La sharing economy, nelle sue forme più innovative, va a espandere le pratiche tradizionali di reciprocità, dove lo scambio di beni e servizi avviene tra persone legate affettivamente tra loro (parenti e amici), in direzione sia del mercato che della redistribuzione» (Pais, 2015, p. 85).

102 I. Pais, P. Peretti e C. Spinelli., Crowdfunding. La via collaborativa all’imprenditorialità, Milano, EGEA, 2014; § 1.1. In altri termini, i fenomeni di sharing economy – grazie alle opportunità offerte dalle tecnologie digitali – mediano logiche bonding, proprie dei progetti in cui «i sostenitori si conoscono tra loro, hanno interessi comuni, hanno un senso di appartenenza alla comunità [sicché] il progetto nutre e rafforza i legami» preesistenti, e logiche bridging, nelle quali «il progetto crea nuovi legami, è il catalizzatore attorno a cui si aggregano nuove comunità» (Pais, 2015, p. 93).

103 Tra le forme di collaborazione che muovono in direzione del mercato, si possono citare a titolo esemplificativo le pratiche di car o bike sharing, nonché i fenomeni Uber e AirBnb: in essi la relazione personale tra gli attori non è essenziale né coltivata; lo scambio è immediato nel tempo e prevede una controprestazione in denaro basata sul principio di equivalenza; i metodi di valutazione eventualmente predisposti dalla piattaforma rispondono più a una logica di service quality evaluation che a un principio di reputazione. Ricadono entro il quadro della collaborazione vera e propria i fenomeni in cui la relazione tra gli attori è necessaria (BlaBlaCar, EatWith, Gnammo) e la valutazione inerisce la reputazione personale di chi ha fornito il bene o il servizio. Si può parlare di reciprocità in senso stretto

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un’identificazione collettiva rispetto a un “noi”, che presenta tratti peculiari rispetto alle comunità tradizionali: è provvisorio e parziale, basato su ruoli delimitati e con facilità di exit. Queste nuove comunità nascono dalla tradizione dell’open source, dal mondo dell’informazione (per esempio, Wikipedia) e si stanno diffondendo nella produzione e gestione di beni comuni, spesso a livello territoriale.104

L’attenzione al contesto italiano consente di individuare negli urban commons una

categoria di beni comuni particolarmente interessata dallo sviluppo di pratiche di

condivisione e gestione collaborativa. In quanto risorse condivise che pongono

dilemmi sociali105, tutti gli spazi e i servizi urbani funzionali allo svolgimento della vita

sociale della comunità in cui sono inseriti possono essere legittimamente intesi come

beni comuni. Lo statuto di commons viene loro attribuito in senso eminentemente

relazionale, per via del legame che li intreccia tanto tra loro, quanto con la comunità

dei fruitori106.

All’intersezione tra economia della condivisione, senso di appartenenza e urban

commons si profila il fenomeno del crowdfunding107 civico. La qualificazione “civica”

dei progetti inclusi in questa categoria ne evidenzia tanto la finalità, quanto il profilo

degli attori coinvolti108. Con riguardo alla finalità, rientrano in questa recente

in riferimento alla “banche del tempo” – anche digitali (Timerepublik) – costituite da reti di persone che si scambiano servizi sulla base di un sistema an-hour-for-an-hour.

104 Pais, 2015, p. 86.

105 Hess e Ostrom, 2007.

106 «I beni comuni sono resi tali non da presunte caratteristiche ontologiche, oggettive o meccaniche che li caratterizzerebbero, ma da contesti in cui essi divengono rilevanti in quanto tali. Questo vuol dire, ad esempio, che una piazza non è un bene comune in sé, semplicemente per essere un mero spazio urbanistico, ma lo diventa per la sua natura di "luogo di accesso sociale e di scambio esistenziale". Non è possibile separare i tratti fisici da quelli sociali di uno spazio urbano inteso come bene comune» (C. Iaione, “La città come bene comune”, in Aedon, 1/2013).

107 «Crowdfunding is a collective effort of many individuals who network and pool their resources to support efforts initiated by other people or organizations. This is usually done via or with the help of the Internet. Individual projects and businesses are financed with small contributions from a large number of individuals, allowing innovators, entrepreneurs and business owners to utilise their social networks to raise capital» (European Crowdfunding Network, http://eurocrowd.org/2012/10/26 /about-crowdfunding-2/ ).

108 Si fa qui riferimento ai fondamentali contributi di Rodrigo Davies, in particolare: R. Davies, Civic Crowdfunding: Participatory Communities, Entrepreneurs and the Political Economy of Place, Cambridge (MA), MIT, tesi di dottorato, 2014; R. Davies, “Three provcations for civic crowdfunding”, Information, Communication & Society, Vol. 18, N. 3, 2015, pp. 342-355.

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configurazione di crowdfunding quei progetti che, con il capitale raccolto da un

ampio e diversificato insieme di donatori attraverso piattaforme digitali, mirano a

produrre beni semi-pubblici o comuni, o a fornire servizi alla comunità. I beni

risultanti dalla realizzazione del progetto possono dirsi semi-pubblici (quasi-public

assets) o comuni (common-pool resources) perché egualmente fruibili per tutti i

membri della comunità, indipendentemente dal contributo offerto alla realizzazione

del progetto stesso109. In questo senso, il crowdfunding civico si mostra strettamente

connesso ai concetti di cultura e capacità civica, intesi rispettivamente come sistema

di valori condivisi che incoraggiano la partecipazione ad attività collettive e come

l’attitudine del gruppo o comunità a perseguire collettivamente un fine comune.

In relazione agli attori coinvolti, la dimensione “civica” fa riferimento tanto allo

sviluppo territoriale dei progetti, quanto al coinvolgimento dell’amministrazione

pubblica. I progetti di crowdfunding civico sono infatti spesso di piccole dimensioni

e fortemente localizzati; in questo senso, si amplifica la nozione di crowd come

community, ovvero come rete sociale – non soltanto virtuale – i cui membri sono

connessi da un comune senso di appartenenza110. I legami di comunità e di

appartenenza, legati alla dimensione urbana e preesistenti al progetto, vengono

riattivati nella costituzione di una nuova «comunità di interesse» (Pais, 2015,

passim).

In secondo luogo, i progetti di crowdfunding a vocazione civica implicano,

direttamente o indirettamente, l’utilizzo di fondi, beni o sponsor pubblici per

l’offerta di servizi alla comunità (Davies, 2014). Come dimostrano i progetti di

collaborazione tra il Comune di Bologna e GINGER e tra il Comune di Milano ed

Eppela – di cui si tratterà più approfonditamente nel Capitolo III del presente

109 Prevale in questa definizione – in linea con la riflessione sugli urban commons e, più in generale, con il ripensamento giuridico dei beni comuni che sarà oggetto del paragrafo successivo – una qualificazione dei beni che prescinde dall’assetto proprietario, guardando invece alla loro dimensione relazionale, ovvero alla funzione che essi svolgono in rapporto ai legittimi fruitori. In questo senso si può affermare che i beni generati dai progetti di crowdfunding civico sono semi-pubblici o comuni perché, indipendentemente dal soggetto proprietario, rivestono un interesse collettivo che implica non solo la libertà ma anche il diritto di accesso e fruizione.

110 «Il termine crowdfunding trae in inganno: le persone che finanziano un progetto non sono una folla, un ammasso di persone sconnesse tra loro, ma nodi di una rete e, ancora più spesso, membri di una community, connessi tra loro e con il progettista» (Pais, 2015, pp. 90-91).

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elaborato – nel contesto italiano alcune pratiche di crowdfunding civico

testimoniano la possibilità per le amministrazioni locali di partecipare anche

attivamente alla rigenerazione di urban commons attraverso il finanziamento

diffuso.

Nel caso di Un passo per San Luca111, la campagna per la raccolta dei fondi necessari

all’apertura di due cantieri nelle arcate più urgentemente bisognose di restauro del

Portico di San Luca è stata lanciata su iniziativa del Comune stesso, che vi ha

contribuito con un apporto iniziale pari a un terzo dell’obiettivo finale. L’intervento-

spot di Un passo per San Luca va inquadrato nel più ampio Progetto Portici volto alla

conservazione e alla cura dello storico sistema dei portici di Bologna al fine di

sostenerne la candidatura a Patrimonio dell’Umanità UNESCO112. Alla base del

progetto vi è l’idea di «valorizzare il portico non solo come manufatto di qualità

architettonica, divenuto nei secoli cifra della città, ma anche nei suoi significati

sociali, comunitari, antropologici; luogo di incrocio fra pubblico e privato, strada,

commercio, artigianato, professione e abitazione; luogo di incontro, spazio protetto:

“bene comune”»113.

Nel caso di Milano114, l’amministrazione locale ha selezionato, nell’ambito di un

bando di concorso, alcuni progetti innovativi ad alto impatto sociale nel campo della

cura e dell’assistenza a categorie fragili di popolazione, dell’accessibilità e della

connettività e, in generale, della qualità della vita urbana. I progetti selezionati

hanno avuto la possibilità di utilizzare la piattaforma Eppela per quaranta giorni per

111 Si rinvia al sito del progetto, gestito dalla piattaforma Ginger e creato appositamente per la campagna: http://www.unpassopersanluca.it/ (consultato il 29/07/2017).

112 I Portici di Bologna sono iscritti dal 2006 nella Lista Propositiva italiana. La Lista Propositiva (Tentative List) è costituita dall’elenco dei siti nazionali di culturale o naturale che tutti gli Stati firmatari della Convenzione sul patrimonio dell’umanità (1972) sono invitati a presentare al Centro del Patrimonio Mondiale UNESCO per segnalare i beni che intendono iscrivere negli anni successivi. L’iscrizione nella Lista Propositiva nazionale costituisce il primo passo del processo di candidatura, il quale culmina con la decisione di nomina (o meno) da parte del Comitato per il Patrimonio dell’Umanità. Modalità e linee guida per il processo di nomina sono consultabili sul sito dell’UNESCO: http://whc.unesco.org.

113 Fonte: http://www.comune.bologna.it/news/progetto-portici#, comunicato online del Comune di Bologna sul Progetto Portici (consultato il 29/07/17).

114 Si rinvia alla sezione della piattaforma Eppela dedicata alla partnership con il comune di Milano: https://www.eppela.com/it/mentors/comunemilano (consultato il 29/07/2017).

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proporsi al pubblico, con la garanzia che il Comune avrebbe finanziato per la quota

rimanente ogni progetto che avesse raggiunto almeno il 50% del proprio obiettivo di

finanziamento. I sedici progetti che hanno avuto successo, tra loro eterogenei,

intervengono sull’urban commons a diverso titolo: dalla rigenerazione creativa di

spazi dismessi per la risocializzazione dei quartieri115 all’ampliamento del verde e

degli orti urbani116, dalla creazione di spazi dedicati alla sperimentazione artistica117

e alla diffusione della cultura118 fino all’allestimento di puri spazi sociali119 utili a

coltivare un rinnovato senso di comunità.

Queste sperimentazioni mostrano come il crowdfunding civico, nello spettro delle

pratiche di sharing economy, rivesta un ruolo particolare per la sua specifica capacità

di attivare reti di cittadini, realtà associative e imprenditoriali e amministrazioni

pubbliche al fine di rigenerare beni comuni specifici e promuoverne una gestione

partecipata in grado di andare ben oltre il mero finanziamento:

Il crowdfunding [civico] crea una comunità di interesse tra persone che poi probabilmente potranno mettere a disposizione altre risorse (tempo, competenze, ecc.) per portarlo a realizzazione. Il bene (o servizio) da pubblico diventa comune.120

115 Progetto Gallab ideato dal network “Non Riservato” per il quartiere gallaratese: https:// www.eppela.com/it/projects/9112-realizziamo-il-gallab-non-riservato (consultato il 29/07/2017).

116 Progetto Facciamo la Festa alla Mafia per l’allestimento di un Giardino Accogliente sull’area di un bene confiscato, promosso dal Consorzio SIS (Sistema Imprese sociali): https://www.eppela. com/it/projects/8074-facciamo-la-festa-alla-mafia (consultato il 29/07/2017). Progetto PomodOrti Urbani per l’orto-giardino di Quarto Oggiaro, coordinato dalle associazioni ACLI: https://www.eppela.com/it/projects/8659-pomodorti-urbani (consultato il 29/07/2017).

117 Progetto Il Cantiere dell’Ortica: https://www.eppela.com/it/projects/10568-il-cantiere-dell-ortica (consultato il 29/07/17).

118 Progetto CineWall ideato da Wanted Cinema come spazio culturale dedicato alla diffusione della cultura cinematografica: https://www.eppela.com/it/projects/10182-iwant-cinewall (consultato il 29/07/17).

119 Progetto #costruirelimprovviso per l’allestimento di un cortile comune in Cascina Torrette di Trenno, a cura di Mare Culturale Urbano: https://www.eppela.com/it/projects/8124costruirelimprovviso (consultato il 29/07/2017); progetto Le isole di Wendy, spazi di socializzazione concepiti con attenzione a donne e famiglie: https://www.eppela.com/it/projects/8115-le-isole-di-wendy (consultato il 29/07/17).

120 Pais, 2015, p. 95.

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Benché ancora in forma episodica, esso prefigura politiche integrate di shareable

city121 basate sulla concezione della città, nel suo complesso, come bene comune122

e che nel contesto italiano si sono espresse nell’adozione, da parte di decine di

amministrazioni locali, di regolamenti volti ad introdurre e disciplinare l’ideazione di

patti di collaborazione per la gestione partecipata dei beni comuni123.

4 Lo sguardo giuridico: verso una gestione collaborativa partecipata

4.1 Esiti della Commissione Rodotà: oltre la proprietà

Un riferimento imprescindibile per la riflessione giuridica sui beni comuni nel

contesto italiano è costituito dalla Commissione Rodotà, istituita il 21 giugno 2007

dal Ministero della Giustizia e incaricata di redigere uno schema di legge delega volto

a riformare la disciplina civilistica dei beni pubblici124. Come si legge nella Relazione

121 Pais e Mainieri, 2015, pp. 17-19.

122 “The City as a Commons” è il titolo della prima conferenza internazionale della IASC (International Association for the Study of the Commons; http://www.iasc-commons.org/ ) incentrata sul tema dei beni comuni urbani, svoltasi nel novembre 2015 a Bologna e organizzata in primis da LabGov (Laboratory for the Governance of the Commons; http://www.labgov.it ). LabGov, oltre ad essere un laboratorio formativo per futuri designer, ingegneri e innovatori sociali e istituzionali, attua protocolli di governance sperimentale, orientata alla collaborazione tra amministrazioni e cittadini, in diversi comuni italiani (Roma, Mantova, Reggio Emilia, Bologna). Il progetto delle Co-Cities (http://www.collaborative.city/ ) è orientato a definire modelli di città basati sulla governance dei beni comuni urbani, sull’innovazione sociale, sull’economia collaborativa e della condivisione.

123 La prima sperimentazione italiana in merito, ovvero il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani, adottato dal Comune di Bologna nel 2014 e ideato in collaborazione con LabGov (Laboratory for the Governance of the Commons; http://www.labgov.it ) e Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà; http://www.labsus.org/ ), è oggetto del §4.3 del presente capitolo, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti

124 L’istituzione della Commissione sui Beni Pubblici da parte del Ministero della Giustizia è stata incoraggiata dalle riflessioni raccolte sul tema Gestione del patrimonio pubblico, proprietà privata e proprietà pubblica in una giornata di studio svoltasi presso l’Accademia nazionale dei Lincei il 6 giugno 2006. In quella sede, si è evidenziata l’utilità del progetto sperimentale per la costruzione di un Conto Patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche, avviato all’inizio del 2002 dal Ministro dell’Economia e delle Finanze. L’opera è stata inizializzata per il tramite della Patrimonio dello Stato S.p.A, società per azioni pubblica finalizzata sia alla valorizzazione economica sia all’alienazione di tutti i beni appartenenti al demanio e al patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato e pertanto oggetto di pesanti critiche da parte di diversi rappresentanti del mondo della cultura (si veda ad esempio S. Settis, Italia S.p.A., Torino, Einaudi, 2002). Nell’ambito della giornata di studio lincea, l’utilità del progetto di catalogazione a fini conoscitivi del patrimonio pubblico nel suo complesso è stata contestualizzata nella fondamentale necessità di provvedere al riordino delle disposizioni civilistiche sui beni pubblici mediante un’apposita commissione ministeriale. Gli esiti della giornata di studio sono raccolti nel

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di accompagnamento al Disegno di legge delega125, i presupposti di lavoro della

Commissione fanno capo alla necessità di adeguare le disposizioni sui beni pubblici

contenute nel Codice Civile del 1942 alla realtà contemporanea, in primo luogo

inserendovi la categoria dei beni immateriali – oggi ampiamente riconosciuta – e

rafforzando le misure di tutela nel lungo periodo alle risorse naturali, attualmente

soggette a fenomeni crescenti di depauperamento. Alle esigenze di una tutela più

efficiente di tutti i beni di pertinenza pubblica fa capo – come evidenziato nella

medesima Relazione – anche «la garanzia che il governo pro tempore non ceda alla

tentazione di vendere beni del patrimonio pubblico, per ragioni diverse da quelle

strutturali o strategiche, legate alla necessaria riqualificazione della dotazione

patrimoniale dei beni pubblici del Paese, ma per finanziare spese correnti».

Su questi presupposti, la Commissione126 si è posta alla ricerca di una nuova

tassonomia dei beni pubblici che ne superasse il mero statuto giuridico per rifletterne

la realtà economica e sociale. A questo fine, essa ha operato un rovesciamento di

prospettiva rispetto alla tradizione giuridica (non più “dai regimi ai beni”, bensì “dai

beni ai regimi”) e ha individuato i beni in primo luogo come dotati di una specifica

rilevanza socioeconomica, ovvero come «oggetti, materiali o immateriali, che

esprimono diversi “fasci di utilità”» (ibidem). Tale rovesciamento si è tradotto:

volume Invertire la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica a cura di Ugo Mattei, Edoardo Reviglio e Stefano Rodotà (Bologna, Il Mulino, 2007).

125 Pubblicamente disponibile sul sito del Ministero della Giustizia, insieme al Disegno di legge delega (https://www.giustizia.it/ ).

126 Composta da Stefano Rodotà (Presidente), Ugo Mattei (Vice Presidente), Alfonso Amatucci, Felice Casucci, Marco d’Alberti, Daniela Di Sabato, Antonio Gambaro, Alberto Lucarelli, Luca Nivarra, Paolo Piccoli, Mauro Renna, Luigi Salvato e Giacomo Vaciago; e supportata da una Segreteria Scientifica costituita da Edoardo Reviglio (Coordinatore), Daniela Bacchetta, Roberto Calvo, Maria de Benedetto, Nicoletta Rangone, Giorgio Resta e Stefano Toro. Gli esiti della Commissione, espressi nel Disegno di legge delega e nella Relazione di accompagnamento, sono stati depositati presso il Ministero della Giustizia il 15 febbraio 2008 e presentati due mesi dopo presso l’Accademia dei Lincei nell’ambito di una giornata di studio dedicata (Dal governo democratico dell’economia alla riforma dei beni pubblici. Presentazione dei lavori della Commissione Rodotà). Gli atti del convegno così come i materiali di lavoro della Commissione sono confluiti nel volume I beni pubblici. Dal governo democratico dell'economia alla riforma del codice civile, a cura di Ugo Mattei, Edoardo Reviglio e Stefano Rodotà (Roma, Scienze e Lettere, 2010).

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• nella proposta di innovare la formulazione dell’articolo 810 del Codice Civile,

al fine di qualificare come beni le cose, materiali o immateriali, le cui utilità

possono essere oggetto di diritti;

• nella proposta di classificare i beni, in particolare i beni pubblici, in base alle

utilità prodotte e collegando le utilità dei beni alla tutela dei diritti della

persona e di interessi pubblici essenziali. Su queste basi, la Commissione ha

proposto di distinguere i beni nelle tre categorie di beni comuni, beni pubblici,

beni privati e i beni pubblici in particolare nelle tre sottocategorie di beni ad

appartenenza pubblica necessaria, beni pubblici sociali, beni fruttiferi.

Si riporta di seguito (Tabella 1.2) una schematica ricostruzione di tale tassonomia al

fine di fornire particolare evidenza degli attributi distinti di beni pubblici e beni

comuni.

Tabella 1.2 – I beni pubblici e i beni comuni nella tassonomia della Commissione Rodotà127

Caratteri Esempi

Ben

i co

mu

ni

• Proprietà pubblica o privata. • Esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali, nonché al libero sviluppo della persona; ne è pertanto garantita la fruizione collettiva, nei limiti delle esigenze di tutela e salvaguardia (anche in vista delle generazioni future). • Possibilità di concessione a privati da parte del proprietario pubblico: limitata. • Tutela risarcitoria e restitutoria: Stato. • Tutela inibitoria: chiunque.

• Risorse naturali: fiumi, torrenti, laghi e altre acque; aria; parchi, foreste e zone boschive; zone montane di alta quota, ghiacciai e nevi perenni; tratti di costa dichiarati riserva ambientale; fauna selvatica e flora tutelata. • Beni archeologici, culturali, ambientali e altre zone paesaggistiche tutelate.

Ben

i pu

bb

lici

• Proprietà pubblica. • Si dividono in:

1. beni ad appartenenza pubblica necessaria, che soddisfano interessi generali fondamentali e la cui cura discende dalle prerogative dello Stato e degli enti pubblici territoriali. Non sono alienabili: possono circolare solo tra Stato ed enti pubblici territoriali.

Opere destinate alla difesa; spiagge; reti stradali e ferroviarie; acquedotti; porti e aeroporti di rilevanza nazionale ed internazionale; lo spettro delle frequenze.

127 Elaborazione tabulare riassuntiva a partire dal Disegno di legge delega, dalla Relazione di accompagnamento, nonché da E. Reviglio, “Per una riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà”, Politica del diritto, 3/2008, pp. 531-536.

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Ben

i pu

bb

lici (

seg

ue)

2. beni pubblici sociali, le cui utilità essenziali sono destinate a soddisfare bisogni corrispondenti ai diritti civili e sociali della persona. La circolazione è ammessa con mantenimento del vincolo reale di destinazione pubblica.

Case dell’edilizia residenziale pubblica, edifici pubblici adibiti a ospedali, istituti di istruzione e asili; reti locali di pubblico servizio.

3. beni pubblici fruttiferi, corrispondenti a tutti i beni pubblici che non rientrano nelle prime due categorie. Gestibili dalle persone pubbliche con strumenti di diritto privato. Alienabili quando siano dimostrati il venir meno della necessità dell’utilizzo pubblico e l’impossibilità di continuarne il godimento in proprietà secondo criteri economici.

La nozione giuridica di beni comuni che emerge dagli esiti della Commissione Rodotà

coniuga una prospettiva più tradizionale, di orizzonte ontologico-naturalistica, a

un’inedita prospettiva economico-sociale. Da un lato, infatti, i beni qualificati come

comuni corrispondono a risorse – naturali, paesaggistiche, ambientali e culturali –

che oggi «soffrono di una situazione altamente critica, per problemi di scarsità e di

depauperamento e per assoluta insufficienza delle garanzie giuridiche»; essi sono pertanto

sottoposti a una «disciplina particolarmente garantistica […] idonea a nobilitarli, a

rafforzarne la tutela, a garantirne in ogni caso la fruizione collettiva, da parte di tutti

i consociati, compatibilmente con l’esigenza prioritaria della loro preservazione a

vantaggio delle generazioni future» (ibidem). Dall’altro lato, di essi è tutelata la

fruizione collettiva – indipendentemente dall’assetto proprietario – in ragione

dell’utilità che essi generano per l’esercizio di diritti fondamentali e il libero sviluppo

della persona128. Il rapporto tra beni comuni e collettività si trova rafforzato dalla

disposizione in merito alla tutela inibitoria, secondo la quale «alla tutela

giurisdizionale dei diritti connessi alla salvaguardia e alla fruizione dei beni comuni

ha accesso chiunque» (Disegno di legge delega, art. 1, co. 3, lettera c).

128 Collegando le utilità dei beni alla soddisfazione dei diritti della persona e al perseguimento di interessi pubblici essenziali, le disposizioni proposte dalla Commissione Rodotà riconducono la disciplina del Codice Civile – sia in merito ai beni pubblici sia in merito ai “nuovi” beni comuni – ai principi fondamentali della Carta Costituzionale. L’ancoramento costituzionale è confermato nel testo stesso del Disegno di legge, mediante il richiamo esplicito agli articoli 1, 2, 3, 5, 9, 41, 42, 43, 97, 117 della Costituzione.

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Emergono qui molti degli elementi che si trovano reiterati e approfonditi nelle

riflessioni successive di diversi membri della Commissione. I contributi di Stefano

Rodotà129, in particolare, si concentrano sulla “terzietà” del comune rispetto alla

logica proprietaria che accomuna beni privati e beni pubblici, teorizzata a partire

dalle nozioni di accesso e di funzione sociale. Lo schema binario del dettato

costituzionale, secondo il quale «la proprietà è pubblica o privata» (art. 42), deve

infatti aprirsi a un tertium quid in ragione di un rapporto nuovo che si istituisce «tra

le persone, i loro i bisogni, i beni che possono soddisfarli» (Rodotà, 2012, p. 107). La

terza dimensione, essenzialmente non proprietaria, emerge da una lettura – talora

risignificante – di alcune disposizioni contenute nella Costituzione stessa.

In primo luogo, l’art. 43 prevede che possano essere affidate «a comunità di

lavoratori o utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a

servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio e abbiano

carattere di preminente interesse generale». Ciò che rileva è lo svincolamento

dell’interesse non individualistico rispetto al riferimento obbligato alla proprietà

pubblica: esso può essere perseguito, nella gestione di imprese di interesse generale,

non solo dal soggetto pubblico – e proprietario – bensì anche da comunità di

cittadini.

In secondo luogo, lo stesso art. 42 – affermando che la proprietà privata deve essere

«accessibile a tutti» e nel subordinarne la tutela da parte della legge alla sua

«funzione sociale» – fornisce elementi essenziali per pensare una “terza via”.

L’accesso, pur concepito originariamente come la possibilità di ognuno di acquisire

un titolo di proprietà, può legittimamente essere raccordato alla contemporaneità e

dunque reinterpretato come «strumento che consente di soddisfare l’interesse

all’uso del bene indipendentemente alla sua appropriazione esclusiva» (Rodotà,

2012, p. 108). Esso rappresenta il contrario della logica esclusiva che caratterizza la

proprietà tradizionale: mentre quest’ultima si esprime nella facoltà di escludere gli

129 Si fa qui particolare riferimento a S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, Laterza, 2012 e a S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, Il Mulino, 2013 (terza edizione).

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altri dall’uso o dal godimento del proprio bene, l’accesso ha carattere inclusivo e si

esprime nel diritto a non essere escluso ad opera di altri dall’uso o dal godimento di

taluni beni.

Similmente la funzione sociale, nata come vincolo all’esercizio del potere

proprietario, può configurarsi come il «potere di una molteplicità di soggetti di

partecipare alle decisioni riguardanti determinate categorie di beni» in quanto al

centro di una “costellazione di interessi” (Rodotà, 2012, p. 109). Accesso e funzione

sociale costituiscono così presupposti costituzionali per elaborare una fruizione

collettiva e una gestione partecipativa per i beni comuni, a dispetto del loro assetto

proprietario:

Non è tanto il ritorno a “un altro modo di possedere”, ma la necessaria costruzione dell’“opposto della proprietà”.130

È l’intreccio tra beni comuni e diritti fondamentali, ovvero l’attitudine dei beni

comuni a soddisfare bisogni della “persona costituzionalizzata” (Rodotà, 2012,

passim), a giustificare tale «condizione istituzionale di indifferenza rispetto al

soggetto che risulta esserne il titolare formale» (Rodotà, 2012, p. 125):

L’astrazione proprietaria si scioglie nella concretezza dei bisogni, ai quali viene data concretezza empirica collegando i diritti fondamentali ai beni indispensabili per la loro soddisfazione.131

L’irrilevanza della qualificazione formale del soggetto al quale viene attribuita la

totalità del bene, su cui si basa la fondazione non proprietaria dei beni comuni, si

traduce in una nuova centralità del loro aspetto relazionale, ovvero dei soggetti in

relazione ai quali si esplicano le loro finalità. Nella riflessione di Rodotà, la rilevanza

dei beni comuni è intimamente connessa alla «”scoperta” della persona concreta e

della realtà dei suoi bisogni» (Rodotà, 2012, p. 138): la collettività dei beni comuni

non è pertanto costituita da soggetti astratti, ma da persone, calate nella materialità

del vivere e strutturalmente interrelate. A emergere è dunque il legame sociale tra

130 Rodotà, 2012, p. 113.

131 Ibidem, p. 109.

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coloro che partecipano alla fruizione collettiva del bene comune; legame che

consente tanto di sciogliere le ultime riserve di individualismo insite nel riferimento

ai diritti fondamentali132 quanto di collocare il rapporto tra persone, bisogni e beni

nella dimensione della cittadinanza:

L’intreccio tra beni comuni e diritti fondamentali produce un concreto arricchimento della sfera dei poteri personali, che a loro volta realizzano precondizioni necessarie per l’effettiva partecipazione al processo democratico. Si potrebbe dire che, per tale via, si costituisce una rinnovata opportunità di ricongiungimento tra l’uomo e il cittadino.133

Il legame sociale, costitutivo della persona, e l’inerente funzione sociale dei beni

comuni – qualificati come tali in quanto atti «a soddisfare bisogni collettivi e a

rendere possibile l’attuazione di diritti fondamentali»134 – ne prefigurano sia le

condizioni di fruizione, sia le possibilità di gestione:

[I beni comuni] appartengono a tutti e a nessuno: tutti possono accedervi, nessuno può vantare diritti esclusivi. Divengono condivisi per se stessi, e dunque devono essere gestiti in base ai principi di eguaglianza e solidarietà, rendendo effettive forme di partecipazione e controllo degli interessati e incorporando la dimensione del futuro, nella quale si riflette una solidarietà intergenerazionale, un obbligo verso le generazioni future. In questo senso tendono a costituire un vero “patrimonio dell’umanità”, la cui tutela è anch’essa affidata a una legittimazione diffusa, al diritto di tutti di agire perché siano effettivamente conservati, protetti, garantiti. Attraverso questa molteplice attribuzione di poteri i beni comuni promuovono una cittadinanza attiva ed eguale.135

La riflessione di Rodotà approda dunque a una prospettiva di partecipazione attiva

dei cittadini-fruitori alla salvaguardia e alla gestione dei beni comuni. Nel solco tanto

delle conclusioni di ricerca di Ostrom in merito alla possibilità di costituire istituzioni

132 Come sottolineato da Marella: «Insomma l’idea è che i diritti fondamentali possano acquistare una dimensione diversa – ed essere componente costitutiva della gestione del bene – se visti nella prospettiva della solidarietà sociale, cioè all’interno della rete dei legami sociali in cui sono esercitati» (M. R. Marella, “Per un diritto dei beni comuni”, in M. R. Marella (a cura di), Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, Ombre Corte, 2012; cit. p. 26).

133 Rodotà, 2012, p. 121.

134 Ibidem, p. 115.

135 Ibidem, pp. 125-126.

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cooperative a base collettiva136 quanto dell’orientamento della Commissione

Rodotà, si profila la possibilità di forme di autogoverno dal basso137, di assetti

istituzionali prodotti con la partecipazione della collettività stessa in modo da creare,

per quanto concerne i beni comuni, un continuum fruizione-gestione. Tali modalità

di gestione “dal basso” non devono escludere la partecipazione dell’attore pubblico,

che può costituire – nel corpo delle istituzioni – un luogo di mediazione

intersoggettiva e di elaborazione, riconoscimento e generalizzazione di significati

sociali138.

4.2 Collaborazione tra cittadini e amministrazione per i beni comuni

L’interlocutore dello Stato-apparato territorialmente e politicamente più vicino ai

cittadini (Stato-comunità) è rappresentato, nel contesto italiano, dal Comune. Tale

livello amministrativo sembra essere il più idoneo a raccogliere le esigenze e a

concretizzare le aspettative della collettività in relazione ai beni comuni139, come

conferma la recente diffusione del fenomeno dei patti di collaborazione.

Esso ha come origine l’elaborazione140 e l’adozione nel 2014 da parte del Comune di

Bologna del primo Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione

per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, ora diffuso – con i giusti

136 E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, 1990, tr. it. Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006.

137 Si veda ad esempio la riflessione di Luca Nivarra, anch’egli membro della Commissione, contenuta in L. Nivarra, “Alcune riflessioni sul rapporto fra pubblico e comune”, in M. R. Marella, Oltre il pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni, Verona, Ombre Corte, 2012.

138 Sul ruolo costruttivo del soggetto pubblico nel contesto dei beni comuni, si vedano le riflessioni condotte da Pennacchi nei contributi già citati nel §1.3 (in particolare, nota 43) e in L. Pennacchi, “Beni comuni e politica progressista: l’erosione della democrazia e il futuro della sfera pubblica”, in L. Sacconi e S. Ottone, Beni comuni e cooperazione, Bologna, Il Mulino, 2015.

139 Sul ruolo dell’amministrazione comunale nel dialogo con i cittadini per i beni comuni e specificamente per il recupero di beni urbani abbandonati e/o dismessi, si veda il contributo di Alberto Lucarelli (anch’egli membro della Commissione Rodotà): A. Lucarelli, “Beni comuni e funzione sociale della proprietà. Il ruolo del Comune”, in L. Sacconi e S. Ottone, Beni comuni e cooperazione, Bologna, Il Mulino, 2015.

140 In collaborazione con Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà): www.labsus.org.

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adattamenti locali – in oltre 120 Comuni italiani e in via di approvazione in altri 70141.

Scopo del Regolamento è dare attuazione concreta al principio di sussidiarietà

orizzontale contenuto nell’art. 118 della Costituzione142, introdotto con la riforma

del Titolo V (l. Cost. 3/2001). Lo strumento istituzionale individuato dal Regolamento

per la realizzazione di un’amministrazione condivisa è costituito dal patto di

collaborazione, attraverso il quale «Comune e cittadini attivi143 concordano tutto ciò

che è necessario ai fini della realizzazione degli interventi di cura e rigenerazione dei

beni comuni» (art. 5, co. 1, DCC 19 maggio 2014, n. 172).

Gli specifici patti di collaborazione di volta in volta stipulati hanno carattere di atti

amministrativi di natura non autoritativa144 e si originano da una proposta di

collaborazione (art. 11) che può provenire tanto dall’amministrazione quanto dai

cittadini stessi. I patti hanno ad oggetto l’intervento condiviso su spazi pubblici ed

edifici (art. 6) secondo diversi livelli di intensità: dalla cura occasionale, alla cura

costante e continuativa e alla gestione condivisa, fino alla rigenerazione.

Sono interventi di cura gli interventi «volti alla protezione, conservazione ed alla

manutenzione dei beni comuni urbani per garantire e migliorare la loro fruibilità e

141 La lista completa e i testi dei Regolamenti di Bologna, Roma, Torino, Brescia e Monza sono consultabili sul sito di Labsus, all’indirizzo http://www.labsus.org/i-regolamenti-per-lamministrazione-condivisa-dei-beni-comuni/ (consultato il 02/08/17).

142 «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà» (art. 118, co. 4, Cost.). Per un approfondimento sulla nozione di sussidiarietà orizzontale o circolare alla base del Regolamento, si veda G. Arena, “Di quale sussidiarietà stiamo parlando?”, Labsus, 7 luglio 2008, http:///www.labsus.org/2008/07/di-quale-sussidiarieta-stiamo-parlando/ (consultato il 02/08/17).

143 Sono qualificati come cittadini attivi «tutti i soggetti, singoli, associati o comunque riuniti in formazioni sociali, anche di natura imprenditoriale o a vocazione sociale, che si attivano per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani» (art. 2, co. 1, c), a loro volta definiti come «i beni materiali, immateriali e digitali che i cittadini e l’Amministrazione, anche attraverso procedure partecipative e deliberative riconoscono essere funzionali al benessere individuale e collettivo» (art. 2, co. 1, a). Si fa qui riferimento al testo del Regolamento così come approvato con Delibera del Consiglio comunale (DCC) n. 172 il 19 maggio 2014; il testo del Regolamento è disponibile sul sito di Labsus all’indirizzo http://www.labsus.org/2014/11/bologna-delibera-consiglio-comunale-19-maggio-2014-n-172-regolamento-sulla-collaborazione-tra-cittadini-e-amministrazione-per-la-cura-e-la-rigenerazione-dei-beni-comuni-urbani/ (consultato il 02/08/17).

144 Sono dunque disciplinati dalle norme di diritto privato, in accordo con quanto stabilito dalla l. n. 241/1990, art. 1, co. 1-bis, la quale dispone che «la pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».

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qualità» (art. 2, co. 1, f). La gestione condivisa individua gli interventi «di cura dei

beni comuni urbani svolti congiuntamente dai cittadini e dall’amministrazione con

carattere di continuità e di inclusività» (art. 2, co. 1, g). Si qualificano infine come

interventi di rigenerazione quegli interventi «di recupero, trasformazione ed

innovazione dei beni comuni, partecipi, tramite metodi di co-progettazione, di

processi sociali, economici, tecnologici ed ambientali, ampi e integrati, che

complessivamente incidono sul miglioramento della qualità della vita nella città»

(art. 2, co. 1, h).

Le diverse tipologie di collaborazione si collocano, dunque, in modo differenziato

lungo gli assi dell’orizzonte temporale e della strutturalità dell’intervento,

individuando un grado crescente di coinvolgimento o impegno per l’amministrazione

e i cittadini partecipanti (Figura 1.4).

Figura 1.4 – Tipologie di intervento perseguibili sugli urban commons

mediante i patti di collaborazione145

Ad ogni livello, l’intervento sugli spazi pubblici e gli edifici deve integrare o migliorare

gli standard manutentivi del bene, migliorarne la vivibilità e la qualità, assicurarne la

fruibilità collettiva (art. 6, co. 2). Le finalità perseguite dall’amministrazione

145 Elaborazione personale.

Cura occasionale

Gestione condivisa

Rigenerazione

Ori

zzo

nte

tem

po

rale

Strutturalità

Coinvolgimento

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attraverso la gestione collaborativa dei beni comuni urbani sono individuate nella

promozione dell’innovazione sociale e dei servizi collaborativi (art. 7), nella

promozione della creatività urbana (art. 8) e nell’innovazione sociale. (art. 9). Al fine

di disciplinare pragmaticamente i termini della collaborazione tra Comune e cittadini

attivi nella cura, gestione condivisa o rigenerazione dei beni, ogni patto deve

includere alcune informazioni minime (art. 5, co. 1, a-m):

• obiettivi perseguiti e natura delle azioni di cura condivisa;

• durata, cause di sospensione o di conclusione anticipata della collaborazione;

• modalità di azione, ruoli ed impegni reciproci dei soggetti coinvolti, nonché

requisiti e limiti di intervento;

• modalità di fruizione collettiva dei beni comuni urbani oggetto del patto;

• forme di sostegno messe a disposizione dal Comune, «modulate in relazione al

valore aggiunto che la collaborazione è potenzialmente in grado di generare» (art.

5, co. 1, g), e modalità di affiancamento del personale comunale ai cittadini;

• misure di pubblicità del patto;

• modalità di documentazione, monitoraggio periodico, adeguamento,

rendicontazione e misurazione dei risultati dell’intervento, nonché modalità di

vigilanza sull’andamento, gestione delle controversie e sanzioni per

l’inosservanza del Regolamento o di clausole del patto;

• misure (coperture assicurative, assunzione di responsabilità, garanzie a copertura

dei danni) per il fronteggiamento di situazioni avverse nello svolgimento del

patto;

• assetti conseguenti alla conclusione alla conclusione della collaborazione

(titolarità delle opere realizzate, diritti riservati agli autori di opere dell’ingegno,

riconsegna dei beni).

Il quadro giuridico teorico entro il quale il Regolamento si contestualizza fa

riferimento alla nozione di amministrazione condivisa così come elaborata da

Gregorio Arena146. Essa si caratterizza quale modello di collaborazione tra

146 G. Arena, “Introduzione all’amministrazione condivisa”, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, 117-117/1997, pp. 29-65.

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amministrazioni e cittadini per la soluzione di problemi di interesse generale.

L’attuazione di tale modello prevede che i cittadini «escano dal ruolo passivo di

amministrati per diventare co-amministratori, soggetti attivi che, integrando le

risorse di cui sono portatori con quelle di cui è dotata l’amministrazione, si assumono

una parte di responsabilità nel risolvere problemi di interesse generale» (Arena,

1997, p. 29).

L’amministrazione condivisa nasce con il preciso intento di sostituirsi a una teoria

amministrativa ormai desueta, non più idonea ad affrontare la crescente

complessità sociale, in quanto basata su modelli di comportamento autoritativo, su

schemi organizzativi accentrati, nonché su una sostanziale separatezza rispetto alla

società amministrata. Essa presuppone un ripensamento del ruolo riservato ai

cittadini – singoli e associati – normalmente considerati come meri «soggetti passivi

dell’azione amministrativa, assistiti cui erogare prestazioni e benefici» (Arena, 1997,

p. 33) e non come persone portatrici di risorse proprie nella forma di capacità,

esperienze, competenze, idee, tempo. L’integrazione tra le risorse specifiche di cui

ogni soggetto è portatore e le risorse organizzative, finanziarie, umane

dell’amministrazione può produrre «sia il soddisfacimento delle esigenze della

persona in questione147, sia la soluzione di problemi di interesse generale» (ibidem,

p. 35).

La teoria dell’amministrazione condivisa ha trovato legittimazione sul piano

normativo proprio con la revisione del Titolo V e l’introduzione del principio di

sussidiarietà orizzontale, il quale – nell’interpretazione di Arena e della Carta della

sussidiarietà148 - prefigura la possibilità di esercitare la sovranità popolare in un

147 Nel riferimento al soddisfacimento di esigenze attraverso l’azione, piuttosto che attraverso l’appagamento di bisogni, echeggia il richiamo tanto al «pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, co. 2, Cost.), quanto al capability approach elaborato da Amartya Sen e sviluppato da Marta Nussbaum. L’approccio si basa sulla necessità di ancorare i concetti di benessere, giustizia e sviluppo alla qualità di degli individui, misurata attraverso il riferimento alle possibilità effettive che essi hanno di realizzare le proprie libertà. Per una ricognizione teoria del capability approach, si rimanda a I. Robeyns, “The Capability Approach: a theoretical survey”, Journal of Human Development, Vol. 6, No. 1, 2005, pp. 93-114.

148 Documento che raccoglie gli esiti della Prima Convenzione Nazionale della Sussidiarietà (Roma, 12 marzo 2004) organizzata, tra gli altri, da Forum P.A. (ora FPA: www.forumpa.it) e intitolata “L’Italia dei

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modo altro rispetto alle forme tradizionali della partecipazione, definito dalla

nozione di cittadinanza attiva. Essa «si realizza quando le cittadine ed i cittadini,

singoli e associati, promuovono autonomamente iniziative di interesse generale che

le istituzioni sono tenute a riconoscere, sostenere ed integrare nelle loro politiche»

(Carta, art. 2); tali iniziative di interesse generale si qualificano come «le attività delle

cittadine, dei cittadini e delle imprese volte alla produzione, cura e valorizzazione dei

beni comuni» (ibidem, art. 5).

Il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale si realizza dunque quando i

cittadini, andando ben oltre il ruolo del semplice “utente” o “amministrato”, si

attivano come «soggetti responsabili e solidali che in piena autonomia collaborano

con l’amministrazione nel perseguimento dell’interesse generale o, detto in altro

modo, nella cura dei beni comuni»149, laddove si considerino come beni comuni tutte

quelle risorse necessariamente condivise che «permettono il dispiegarsi della vita

sociale, la soluzione di problemi collettivi, la sussistenza dell’uomo nel suo rapporto

con gli ecosistemi di cui è parte»150. Essi sono necessariamente condivisi non solo

perché «a tutti accessibili almeno in via di principio», ma anche in quanto «solo la

loro condivisione ne garantisce la riproduzione allargata nel tempo» (Donolo, 2010).

Il legame con la pratica della condivisione consente a Christian Iaione151 di affiancare

la collaborazione civica per i beni comuni ai fenomeni di sharing economy in senso

proprio. Il concetto di pooling economy da lui introdotto interseca tanto il

superamento dell’homo oeconomicus nella direzione di un’economia sulla

condivisione, quanto la generazione e rigenerazione di beni comuni attraverso la

collaborazione. Emerge un orientamento individuale alla cooperazione, a

beni comuni”. Il testo della Carta è disponbile sul sito di Labsus – quale suo manifesto politico – all’indirizzo: http://www.labsus.org/la-carta-della-sussidiarieta/ (consultato il 02/02/2017).

149 G. Arena, “I beni comuni nell’età della condivisione”, in G. Arena e C. Iaione (a cura di), L’età della condivisione. La collaborazione fra cittadini e amministrazione per i beni comuni, Roma, Carocci, 2015; cit. p. 23.

150 C. Donolo, “I beni comuni presi sul serio”, Labsus, 31 maggio 2010, http://www.labsus.org/.

151 C. Iaione, “La collaborazione civica per l’amministrazione, la governance e l’economia dei beni comuni”, in G. Arena e C. Iaione (a cura di), L’età della condivisione. La collaborazione fra cittadini e amministrazione per i beni comuni, Roma, Carocci, 2015; cit. p. 23.

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«”reciprocare” per la cura dei beni comuni» (Iaione, 2015, p. 34), che può essere

espresso mediante la figura della mulier activa. Quest’ultima è essenzialmente zôon

politikòn in senso arendtiano e non esita «ad agire nello spazio pubblico e a porsi in

relazione con gli altri per prendersi cura dell’interesse generale» (ibidem, 2015, p.

35).

È inoltre possibile affermare che tra collaborazione civica e sharing economy può

instaurarsi un rapporto di mutuo arricchimento, basato sul mutuo riconoscimento e

consolidamento di alcuni elementi fondanti. In primo luogo, la cura condivisa dei

beni comuni presuppone tanto un paradigma antropologico improntato alla

reciprocità, quanto il primato dell’uso o fruizione sul possesso – emersi entrambi con

forza nell’”età della condivisione”. In secondo luogo, «il paradosso per cui

condividendo si moltiplicano energie, risorse, capacità e opportunità» (Arena, 2015,

p. 16) è alla base tanto della collaborazione civica quanto della sharing economy.

Infine, se la costruzione di reti d’interesse attraverso piattaforme digitali può talvolta

incorrere nel rischio paradossale di polverizzare il legame sociale in rapporti istituiti

singolarmente, “uno-a-uno”, la collaborazione civica è in grado di ancorare la

condivisione, generazione e rigenerazione di commons a formazioni sociali, anche

informali, che traducono l’azione in azione comune.

In conclusione, si vuole qui sottolineare che assicurare alle comunità sia l’accesso –

in termini di fruizione – ai commons materiali e immateriali, sia la partecipazione

attiva alla loro gestione, significa avverarne l’aspirazione alla riappropriazione del

comune:

Sullo sfondo un’idea forte, non sempre resa esplicita: l’idea che i beni comuni appartengano originariamente alla collettività – perché conservati e custoditi dalle comunità di generazione in generazione, perché prodotto di una creazione inevitabilmente collettiva, ecc. – e siano costantemente riprodotti nel quadro di una cooperazione sociale che dal potere pubblico non vuole concessioni, ma pretende riconoscimento.152

152 Marella, 2012, p. 11.

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Capitolo II

Ripensare il patrimonio culturale

nell’orizzonte dei beni comuni: fondamenti e opportunità

Noi, nella misura in cui possiamo dire “io”,

siamo la nostra memoria.

¬ Umberto Eco153

Gli strumenti teorici fondamentali cui i contributi italiani approfonditi nel capitolo

precedente fanno riferimento per l’analisi del campo dei beni comuni sono qui

riconsiderati nella loro applicabilità al patrimonio culturale, con specifico riferimento

alle peculiarità che esso presenta nel contesto territoriale italiano. Il fine di tale

operazione è evidenziare su quali fondamenti la qualificazione del patrimonio

culturale come bene comune – centrale nel dibattito professionale e istituzionale

odierno154 – possa essere sostenuta, secondo quali prospettive di ricerca possa

svilupparsi e con quali limiti essa debba confrontarsi.

153 Sulla memoria. Una conversazione in tre parti, 2015, videoinstallazione a cura di Davide Ferrario per il Padiglione Italia della Biennale di Venezia.

154 A titolo di esempio, nell’ambito del Semestre della Presidenza Italiana del Consiglio dell’Unione Europea (1 luglio – 31 dicembre 2014) si è tenuta la conferenza internazionale sul tema “Patrimonio culturale come bene comune. Verso una governance partecipativa del patrimonio culturale nel terzo millennio” (Torino, Venaria Reale, 23 – 24). Il 25 novembre 2014 il Consiglio ha adottato le Conclusioni sulla governance partecipativa del patrimonio culturale (GU C 463 del 23.12.2014, pp. 1-3) con le quali ha accolto la Comunicazione della Commissione “Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa” (Doc. 12150/14). Essa afferma che «il patrimonio culturale è una risorsa condivisa e un bene comune». Per quanto concerne il dibattito professionale, si segnala il Convegno “Patrimonio Culturale: profili giuridici e tecniche di tutela” tenutosi in data 20 maggio 2016 presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di ‘Roma Tre’ e al quale hanno partecipato, tra gli altri, Ugo Mattei e Luca Nivarra, con interventi volti a problematizzare contestualmente le nozioni giuridiche di bene culturale e bene comune. Di particolare rilievo per l’orientamento di ricerca del presente elaborato è la pubblicazione di Economia della cultura, Vol. 27, N. 1, 2017, interamente dedicato al tema Beni comuni e cultura.

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A questo scopo, si esamineranno alcune fonti internazionali essenziali a ripensare il

patrimonio culturale nelle sue componenti immateriali e nel suo valore sociale. Si

confronteranno orientamenti di sviluppo urbano e museologici innovativi, capaci di

descrivere un approccio integrato al patrimonio, inteso nelle sue poliedriche

dimensioni storico-archeologiche, paesaggistiche, territoriali e nel suo legame con la

collettività. Infine, si considererà la nozione di cultural commons, nonché i sottesi

processi di sviluppo culturale e creativo, al fine di valutarne l’estendibilità nella

direzione di un heritage commons. Tale operazione di raccordo tra campo dei beni

comuni e campo del patrimonio culturale è volta a costituire una prospettiva teorica

che, nella sua complessità, risulta particolarmente utile a valutare i vantaggi che

forme collaborative di gestione e rigenerazione dei beni comuni urbani possono

apportare allo sviluppo, alla risignificazione e alla riappopriazione vitale del

patrimonio culturale da parte della collettività.

1 Per un approccio integrato al patrimonio culturale:

comunità, diritti culturali e partecipazione

1.1 Tra cose e testimonianze: un dialogo irrisolto

L’ordinamento giuridico italiano assume, nei confronti del patrimonio culturale, un

orientamento essenzialmente materialistico, fondato sul suo riconoscimento –

attraverso il Codice dei beni culturali e del paesaggio155 – in quanto «costituito dai

beni culturali e dai beni paesaggistici» (art. 2, co. 1). I primi si qualificano come le

cose mobili e immobili, appartenenti allo Stato, ad altri enti pubblici, a persone

giuridiche senza scopo di lucro o a enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che

presentano un interesse culturale – artistico, storico, archeologico o

etnoantropologico – generale. Essi includono altresì le cose mobili e immobili

appartenenti a privati per le quali sia stata dichiarata la sussistenza di un interesse

culturale particolarmente importante (art. 10, co. 1 e 3). Il paesaggio, d’altro canto,

è tutelato dal Codice «relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono

155 D. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, modificato – da ultimo – con D. lgs. 7 gennaio 2016, n. 2 e D.Lgs. 12 maggio 2016, n. 90.

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rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione

di valori culturali» (art. 131, co. 2). In particolare, sono beni paesaggistici – secondo

il disposto dell’art. 134 – in primo luogo gli immobili e le aree che presentano

«cospicui caratteri di bellezza» (art. 136, co. 1, lettera a) naturale, panoramica,

estetica o tradizionale individuati con decreto regionale (art. 138) o ministeriale

(141); in secondo luogo le aree riconducibili a territori costieri, fiumi, montagne,

riserve, parchi nonché ai diversi territori indicati all’art. 142; da ultimo, i beni

esplicitamente individuati come tali nei piani paesaggistici (art. 143). Ancorando la

tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, entrambe finalizzate a

«preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere

lo sviluppo della cultura» (art. 2), al suo sostrato materiale, il Codice cancella o

immunizza i tentativi – nazionali o internazionali – di estendere la salvaguardia alle

sue componenti immateriali156.

Il decreto per il Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle

regioni ed agli enti locali (d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112) introduceva, all’art. 148, un

ambito di tutela del patrimonio culturale più ampio di quello attuale. Vi si

qualificavano, infatti, i beni culturali come quei beni «che compongono il patrimonio

storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico

e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così

individuati in base alla legge» e i beni paesaggistici come «quelli individuati in base

alla legge quale testimonianza significativa dell'ambiente nei suoi valori naturali o

culturali». Tale definizione, definitivamente abrogata con l’entrata in vigore del

Codice, riprendeva il fondamentale esito della Commissione Franceschini157 –

secondo il quale costituisce un bene culturale ogni «testimonianza materiale avente

156 È questa una delle tesi esposte in A. Bartolini, “L’immaterialità dei beni culturali”, Aedon, 1/2014.

157 Ovvero la Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio istituita con legge 26 aprile 1964, n. 310 su proposta del Ministero della Pubblica Istruzione. Alla conclusione dei lavori nel 1966, le proposte della Commissione sono state espresse in 84 Dichiarazioni inerenti i beni archeologici, i beni artistici e storici, i beni ambientali (ivi compresi i centri storici), i beni archivistici, i beni librari e alcune indicazioni di carattere amministrativo e finanziario. Gli Atti, i documenti e gli altri materiali prodotti dalla Commissione sono stati raccolti in tre volumi e pubblicati nel 1967 con il titolo Per la salvezza dei beni culturali in Italia (Roma, Ed. Colombo).

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valore di civiltà» – amplificandone la portata innovativa158 attraverso l’abolizione del

riferimento alla materialità.

Del processo di formale accoglimento e contestuale immunizzazione delle “tracce”

di immaterialità predisposte dalla disciplina internazionale è senz’altro espressione

l’art. 7-bis, introdotto nel Codice con il d. lgs. 26 marzo 2008, n. 62 all’indomani della

ratifica della Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del patrimonio culturale

immateriale159 . In base a tale articolo, «le espressioni di identità culturale collettiva

contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale

immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a

Parigi, rispettivamente il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili

alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze

materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'articolo 10».

L’articolo realizza il paradosso di sottoporre alla giurisdizione del Codice «il bene

culturale immateriale solo se ancorato al supporto reale» (Bartolini, 2014)160.

158 Merito fondamentale della Commissione – come ricorda Giannini (M. S. Giannini, “I beni culturali”; Rivista trimestrale di diritto pubblico, 26/1976, pp. 3-38) – è stato quello di considerare obsoleto il metodo definitorio fondato sull’enumerazione delle cose oggetto di tutela. Il bene culturale come “testimonianza materiale avente valore di civiltà” risponde a una concezione aperta, in cui la disciplina giuridica non individua (e non deve individuare) il contenuto e demanda questa operazione alle specifiche discipline non giuridiche. Per una dettagliata ricostruzione dell’evoluzione del “bene culturale” dal d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112 al Testo Unico sui beni culturali (d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), abolito con l’entrata in vigore del Codice nel 2004, si rimanda a V. De Santis, “L'evoluzione del concetto di bene culturale”, Aedon, URL: http://www.aedon.mulino.it/risorse/dib_tu/desantis.htm.

159 Approvata il 17 ottobre 2003 nell’ambito della Conferenza Generale UNESCO di Parigi, entrata in vigore (alla quarantesima ratifica) il 30 aprile 2006 e ratificata dall’ordinamento italiano con la legge 27 settembre 2007, n. 167. Essa va letta contestualmente alla Convenzione sulla protezione e promozione delle diversità delle espressioni culturali, volta proteggere e promuovere l'interculturalità, adottata a Parigi il 20 ottobre 2005 nel corso della 33^ sessione della Conferenza Generale dell'Unesco e ratificata in Italia con legge 19 febbraio 2007, n. 19.

160 Oltre a negare e desostanziare l’apporto dell’UNESCO, come si evidenzierà nel successivo paragrafo §1.2 dedicato all’analisi e all’interpretazione del nucleo concettuale della Convenzione. Come sottolineato da Tarasco, si tratta «di una sostanziale "elusione" della normativa internazionale, dal momento che al Codice dei beni culturali non si affianca - come già detto — una normativa organica delle evidenze immateriali, con la conseguenza che alla negazione della tutela contenuta nel recente art. 7-bis si associa la lacuna di altre fonti normative» (A. L. Tarasco, “Diversità e immaterialità del patrimonio culturale: una lacuna (sempre più solo) italiana”, La Ricerca Folklorica, 64/2011, pp. 55-61; cit. p. 56).

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Si estrinseca qui quel principio di limitazione della tutela giuridica sul bene culturale

alla res qui tangi potest161 che è strutturalmente radicato nell’ordinamento giuridico

italiano: «il valore culturale dei beni […] è dato dal collegamento del loro uso e della

loro utilizzazione pregressi con accadimenti della storia, della civiltà o del costume

anche locale. […] La detta utilizzazione non assume un rilievo autonomo, separato e

distinto dai beni di interesse storico, artistico, archeologico ed etnografico, ma si

compenetra nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale e,

conseguentemente, non può essere protetta separatamente dal bene» (Corte cost.,

9 marzo 1990, n. 118). L’impossibilità di individuare nel diritto positivo italiano un

fondamento per l’identificazione di quella «categoria autonoma» ormai

«pacificamente ammessa» (Bartolini, 2014) che fa capo ai beni culturali immateriali

e, più in generale, al patrimonio immateriale, induce ad allargare lo sguardo a fonti

internazionali.

1.2 L’elemento immateriale: verso un patrimonio culturale vitale

La Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale162 (UNESCO,

Parigi, 2003) si radica in un processo163 di progressivo riconoscimento del patrimonio

intangibile che si è sviluppato in contesto internazionale a partire dalla fine degli anni

161 Vale ancora oggi l’affermazione di Sabino Cassese secondo cui «la ricostruzione dei beni culturali è tutta svolta con l'occhio alle cose che siano beni culturali: al fondo della concezione c'è sempre una cosa oggetto di un diritto patrimonile» (S. Cassese, “I beni culturali da Bottai a Spadolini”, Rassegna degli Archivi di Stato, 1975, n. 1-3, pp. 116-142, ora in S. Cassese, L'Amministrazione dello Stato, Milano, Giuffrè, 1976; cit. p. 177).

162 La traduzione italiana cui si fa riferimento è pubblicata dall’Ufficio Patrimonio Mondiale UNESCO del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (http://www.unesco.beniculturali.it/ ). Il testo originale in inglese, francese, spagnolo, russo cinese e arabo, nonché in altre 32 lingue (traduzioni non ufficiali) è consultabile sul sito UNESCO dedicato all’Intangible Cultural Heritage all’indirizzo: https://ich.unesco.org/en/convention (consultato il 02/08/2017). La considerazione comparata dei testi è utile, come si evidenzierà più avanti in questo stesso paragrafo, a mettere in luce lo scarto semantico tra le nozioni di patrimonio e heritage in relazione alla nozione di trasmissione.

163 Per una ricognizione dei momenti principali di tale processo, si rimanda a: Y. Ahmad, “The Scope and Definitions of Heritage: From Tangible to Intangible”, International Journal of Heritage Studies, Vol. 12, No. 3, 2006, pp. 292–300; T. Schmitt, “The UNESCO Concept of Safeguarding Intangible Cultural Heritage: Its Background and Marrakchi Roots”, International Journal of Heritage Studies, Vol. 14, No. 2, 2008, pp. 95–111; M. Vecco, (2010), “A definition of cultural heritage: from the tangible to the intangible”, Journal of Cultural Heritage, Vol. 11, Iss. 3, pp. 321-324; M. Vecco, L’evoluzione del concetto di patrimonio culturale, Milano, Franco Angeli, 2011 (prima edizione: 2007).

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Ottanta164 e si è espresso in primis nel programma volto ad individuare i Capolavori

del patrimonio orale e immateriale dell'umanità, rimasto in vigore dal 1997 al

2005165. La Convenzione approda non solo a una definizione, volutamente aperta, di

patrimonio culturale immateriale, ma anche all’individuazione dei caratteri specifici

dell’attività di salvaguardia. Si riportano di seguito (Tabella 2.1) gli elementi

principali di tali definizioni, accompagnati da alcune categorie essenziali – ma non

esaustive – di beni culturali immateriali e pratiche di salvaguardia previste dal testo.

Tabella 2.1 – Patrimonio culturale immateriale e salvaguardia nella Convenzione UNESCO 2003166

Patrimonio culturale immateriale

• Costituito da prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze – così come gli strumenti, oggetti, manufatti e spazi culturali ad essi associati – riconosciuti da comunità, gruppi o (in alcuni casi) individui come parte del proprio patrimonio culturale.

Tra cui: • Tradizioni ed espressioni orali, tra cui il

linguaggio. • Arti performative.

164 Risale al 1989 la Recommendation on the Safeguarding of Traditional Culture and Folklore, elaborata anche in conseguenza dell’iniziativa del governo boliviano che, dopo aver introdotto misure nazionali volte alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale sulla cultura popolare (1973), ha proposto all’UNESCO di instaurare una disciplina simile a livello internazionale (Schmitt, 2008). Nella Raccomandazione del 1989 la cultura popolare – assunta come sinonimo di cultura tradizionale e folklore – viene identificata con la totalità delle creazioni tradizionali di una comunità culturale, espresse da un gruppo o da individui e riconosciute nella loro capacità di riflettere l’identità culturale e sociale della comunità. Essa è tipicamente oggetto di trasmissione orale o imitativa. Tra le forme di folklore la Raccomandazione annovera come tipiche il linguaggio, la letteratura, la musica, la danza, i giochi, la mitologia, i rituali, i costumi, l’artigianato, l’architettura. Il testo originale è disponibile sul sito internazionale UNESCO (URL: http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=13141&URL_ DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html). A questo proposito, risulta di particolare interesse un antecedente estraneo alle logiche della conservazione tipicamente occidentali, costituito dalla legislazione giapponese sul patrimonio vivente del 1950. Per approfondimenti su questo tema si rinvia a B. E. Thornbury (1994), “The Cultural Properties Protection Law and Japan's Folk Performing Arts”, Asian Folklore Studies, Vol. 53, No. 2, pp. 211-225; H. Hashimoto e D. Ambaras (1998), “Re-Creating and Re-Imagining Folk Performing Arts in Contemporary Japan”, Journal of Folklore Research, Vol. 35, No. 1, pp. 35-46.

165 Nel corso del programma, le proclamazioni hanno avuto luogo nel 2001, nel 2003 e nel 2005. I 90 capolavori proclamati in tutto il mondo sono poi confluiti nelle UNESCO Intangible Cultural Heritage Lists, che includono sia la “Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità” sia la “Lista del patrimonio culturale immateriale che necessita di essere urgentemente salvaguardato”. Queste sono affiancate dal “Registro delle buone pratiche di salvaguardia”. 166 Elaborazione tabulare riassuntiva personale a parte dagli artt. 1-3 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, UNESCO, Parigi, 2003.

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• È trasmesso di generazione in generazione. • È costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, al loro rapporto con la natura e alla loro storia. • Fornisce alle comunità e ai gruppi un senso di identità e continuità. • Promuove il rispetto per la diversità e la creatività umana. • È compatibile con i diritti umani, con il rispetto tra comunità e gruppi e con le esigenze di sviluppo sostenibile.

• Consuetudini sociali, eventi rituali e festivi.

• Cognizioni e prassi relative alla natura e all’universo.

• Artigianato tradizionale.

Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale

• Costituita da tutte le misure volte a garantirne la vitalità.

Tra cui: • Identificazione. • Documentazione e ricerca. • Preservazione e protezione. • Promozione e valorizzazione. • Trasmissione, soprattutto mediante

educazione formale e informale. • Ravvivamento dei suoi diversi aspetti.

Le due definizioni offrono, ai fini del presente elaborato, diversi elementi di

interesse. Innanzitutto, l’inclusione nella nozione del patrimonio culturale

immateriale di «strumenti, oggetti, manufatti» da un lato e di «spazi culturali»

dall’altro procede nella direzione di un approccio integrato al patrimonio culturale167

che considera il bene culturale non in sé, bensì nel suo contesto. Il patrimonio

culturale immateriale si costituisce, come nozione, sulla base di una nuova

attenzione rivolta alla «profonda interdipendenza fra il patrimonio culturale

immateriale e il patrimonio culturale materiale e i beni naturali»168. Si afferma qui

quella che potremmo definire come una proprietà di relazionalità semantica: i beni

167 Direzione confermata dalla Dichiarazione di Yamato, adottata nel 2004 a conclusione della conferenza internazionale dedicata alla Salvaguardia del patrimonio culturale tangibile e intangibile, nella quale si afferma la necessità di adottare approcci il più possibili integrati per la salvaguardia del patrimonio culturale materiale e immateriale. Vi si afferma infatti: «Taking into account the interdependence, as well as the differences between tangible and intangible cultural heritage, and between the approaches for their safeguarding, we deem it appropriate that, wherever possible, integrated approaches be elaborated to the effect that the safeguarding of the tangible and intangible heritage of communities and groups is consistent and mutually beneficial and reinforcing» (Yamato Declaration on Integrated Approaches for Safeguarding Tangible and Intangible Cultural Heritage, punto 11).

168 Convenzione, 2003, 2° Considerando.

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che fanno parte del patrimonio, tangibili e intangibili, artificiali e naturali, sono

propriamente culturali in quanto immersi in una rete di significati che ne costituisce

l’identità.

Questo primo tipo di relazionalità, di natura oggettiva in quanto attinente alla sfera

di ciò che è definito culturale, è affiancato da una relazionalità soggettiva, attinente

alla sfera dei soggetti in rapporto ai quali il patrimonio culturale si definisce come

tale169. Tradizioni, arti, ritualità, conoscenze rientrano nel patrimonio immateriale di

una comunità quando questa li riconosce come parte di esso: «il patrimonio

[immateriale] non esiste come un dato a priori» (Vecco, 2011, p. 34). Esso è frutto di

un processo riconducibile a un movimento di appropriazione, che può essere così

descritto:

La nascita di un patrimonio è generalmente caratterizzata da tre tappe. La prima, spontanea, è quella in cui la società produce ciò di cui ha bisogno; la seconda è quella della presa di coscienza, che consiste in un mutamento che pone l’oggetto precedentemente prodotto al di fuori del campo utilitaristico; infine la terza tappa è quella in cui l’oggetto ha acquisito un’identità patrimoniale che giustifica il suo statuto di gestione collettiva.170

Il legame tra comunità e patrimonio si caratterizza, inoltre, come mutualmente

istitutivo. Da un lato il patrimonio si costituisce come tale per il tramite di un atto di

attribuzione da parte della comunità, che ne riconosce come proprio il portato

semantico culturale. Dall’altro, è il patrimonio stesso, attraverso la sua permanenza

e trasmissione, a fornire alla comunità di riferimento il suo senso di identità e di

continuità.

169 La Convenzione riecheggia, in questo senso, la definizione antropologica di cultura, definita come segue: «Culture or civilization, taken in its wide ethnographic sense, is that complex whole which includes knowledge, belief, art, morals, law, custom, and any other capabilities and habits acquired by man as a member of society» (E. B. Tylor, Primitive Culture. Researches into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, London, John Murray, 1871; cit. p. 1).

170 M. Vecco, 2011, p. 34. Un processo simile, descrivibile come public appropriation, è alla base della nozione stessa di patrimonio come common heritage nell’Europa occidentale all’indomani della Rivoluzione Francese. È infatti in questo periodo, con la nazionalizzazione dei beni e delle collezioni prima appartenenti al sovrano regnante (e quindi allo Stato inteso come autorità), che il termine francese patrimoine arriva a designare non più la semplice trasmissione familiare e personale di beni – per la quale héritage rimane il termine più proprio – bensì l’insieme dei public goods conservati e trasmessi in quanto memoria della Nazione (M. Vecco, “A definition of cultural heritage: from the tangible to the intangible”, Journal of Cultural Heritage, 11/2010, pp. 321-324).

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La trasmissione può legittimamente essere intesa come il cuore della nozione di

salvaguardia elaborata nel patto internazionale, ma è importante rilevare il ruolo che

essa svolge anche nella definizione del patrimonio stesso. La Convenzione afferma

infatti che il «patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in

generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro

ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia» (art. 2, co. 1). La

trasmissione, che si configura come carattere essenziale del patrimonio – il quale è,

in primo luogo, heritage, eredità da trasmettere alle generazioni future – procede di

pari passo con la continua rigenerazione del patrimonio stesso da parte della

comunità di riferimento.

Per comprendere il carattere fondamentale di questa trasmissione creatrice o

rigenerativa è utile qui rilevare lo scarto lessicale tra i due testi originali inglese e

francese del patto. Nel primo caso la nozione di patrimonio è veicolata dal termine

heritage, tradotto in francese non come héritage, bensì come patrimoine171. Come

rileva Vecco (2010), la scelta istituzionale di collocare il “patrimonio” nel campo

semantico del patrimoine e non dell’héritage implica assumere il moto di

trasmissione da una generazione all’altra non come meramente verticale, bensì

come dotato di una fondamentale componente orizzontale. Ad essere trasmessi non

sono solo i beni ricevuti dal passato (come nel processo di mera inheritance), ma

anche i beni che la comunità, al presente, “aggiunge” al proprio patrimonio172.

171 Il problema della traduzione delle locuzioni atte a indicare il “patrimonio culturale” e il “bene culturale” nei diversi contesti nazionali si è posto fin dalla Convenzione dell’Aja (Convenzione per la protezione dei beni culturali in pericolo in caso di conflitti armati, UNESCO, 1954), in cui per la prima volta si utilizza il termine “bene culturale”. Come sottolineato da Villa, «relativamente alla traduzione di tale espressione, si può dire esistano due insiemi. Il primo contempla le lingue italiana, francese, spagnola e tedesca, in cui si parla di “beni culturali” (in francese l’espressione è resa come bien culturels, in spagnolo come bienes culturales, in tedesco come kulturgut). Il secondo insieme fa riferimento alla lingua inglese, in cui l’espressione privilegiata è invece quella di “proprietà culturale” (cultural property)» (D. Villa, Che cosa sono i beni culturali?, Milano, EDUCatt, 2011, p. 20). Questa originaria differenziazione si è inseguito estesa all’ambito del “patrimonio”, per il quale i due insiemi sono costituiti rispettivamente dai termini patrimoine/legado/erbe e heritage.

172 «While the French language uses the term patrimoine, in texts translated into English, one can find other terms such as “property” (stressing possession and property) and “heritage” (stressing the inheritance process). The latter became the most commonly used term internationally. It must be pointed out that the French language also has the term héritage, but its meaning differs considerably: it encompasses the same dynamic concept of transmission, but it must be pointed out that in this case,

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Attraverso il processo di continua rigenerazione e risignificazione, di

riappropriazione “al presente” insito nel patrimonio culturale immateriale, la

trasmissione alle generazioni future si rende trasmissione viva. Ciò che è trasmesso

è memoria viva.

Tratto fondamentale del patrimonio intangibile è il suo essere contemporaneamente tradizionale e vivente, radicato nel passato ma in costante trasformazione. II concetto di tradizione, infatti, implica la trasmissione del passato non nella sua integrità, ma attraverso un'azione filtrante e selettiva della realtà fattuale, la quale costituisce la tradizione stessa.173

Si comprende, dunque, la posizione centrale assegnata alla vitalità del patrimonio

nella definizione della sua salvaguardia, che si estrinseca innanzitutto (ma non

solamente) in nell’identificazione del patrimonio culturale, nel suo studio, nella sua

conservazione, nella sua promozione e mise en valeur (“enhancement”,

“valorizzazione”174), nonché – appunto – nella sua trasmissione e revitalisation

(“revitalization”, “ravvivamento”).

Considerando globalmente gli elementi fin qui approfonditi, è possibile affermare

che – entro i limiti imposti dalla tutela dei diritti umani, dal mutuo rispetto tra le

comunità, nonché dalle esigenze di uno sviluppo sostenibile – la Convenzione ci

restituisce una nozione di patrimonio culturale immateriale strutturalmente aperta,

che integra le nozioni di patrimonio culturale materiale e patrimonio naturale e i cui

elementi fondanti ruotano attorno ai concetti di relazionalità e vitalità. Nella Figura

only part of the goods inherited are indicated, and not the additional ones of the person who inherited» (Vecco, 2010, p. 322).

173 L. Mariotti, “Patrimonio culturale immateriale: un prodotto metaculturale”, La Ricerca Folklorica, 64/2011, pp. 19-25; cit. p. 22.

174 L’attività di valorizzazione assume particolare rilievo in riferimento al contesto giuridico italiano, che – per quanto attiene il patrimonio culturale – divide le competenze di tutela e valorizzazione e le assegna rispettivamente alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, co. 2, s) e alla legislazione concorrente di Stato e Regioni (art. 117, co. 3). Proprio nell’ambito della potestà legislativa regionale in materia di valorizzazione troviamo esempi di accoglimento della nozione di patrimonio culturale immateriale. Vale la pena citare la l. r. 27/2008 della Lombardia, con cui la Regione «riconosce e valorizza, nelle sue diverse forme ed espressioni, il patrimonio culturale immateriale presente sul territorio lombardo o presso comunità di cittadini lombardi residenti all'estero o comunque riferibile alle tradizioni lombarde» (art. 1). Per un approfondimento sulle prospettive regionali in materia di patrimonio culturale immateriale si rinvia a R. Meazza, “Politiche regionali per il patrimonio immateriale”, La Ricerca Folklorica, 64/2011, pp. 45-53.

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2.1 si ricostruisce una mappatura utile a evidenziare il campo di connessioni, non

rigide, tra le diverse parti che costituiscono la “costellazione” semantica in cui si

inserisce il patrimonio culturale immateriale.

Figura 2.1 – Il patrimonio culturale immateriale come campo semantico175

Si vuole concludere questa breve analisi del dettato pattizio sul patrimonio

immateriale con il riferimento a una disposizione che sembra prefigurare alcuni più

recenti sviluppi nelle fonti internazionali – oggetto del paragrafo successivo del

presente elaborato – e che, contestualmente, consente un primo avvicinamento alla

qualificazione del patrimonio culturale, complessivamente inteso, come bene

comune. L’articolo 15 della Convenzione, nell’ambito della salvaguardia del

patrimonio culturale immateriale a livello nazionale, dispone che ciascuno Stato

compia «ogni sforzo per garantire la più ampia partecipazione delle comunità, dei

gruppi e, ove appropriato, degli individui che creano, mantengono e trasmettono

tale patrimonio, al fine di coinvolgerli attivamente nella sua gestione». Si ritrova qui

175 Elaborazione personale.

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conferma di ciò che Marella, relativamente ai beni comuni, ha definito come

aspirazione alla riappropriazione. Dall’idea (spesso tacita, in questo caso

apertamente espressa) che «i beni comuni appartengano originariamente alla

collettività – perché conservati e custoditi dalle comunità di generazione in

generazione, perché prodotto di una creazione inevitabilmente collettiva» (Marella,

2012, p. 11) deriva l’esigenza di assicurarne a quella stessa collettività tanto l’accesso

e la fruizione, quanto la partecipazione attiva alla gestione.

1.3 Il diritto culturale come diritto umano: verso un patrimonio culturale partecipato

La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per

la società (CETS n. 199)176, elaborata nel 2005, in vigore dal 2011 e firmata dall’Italia

nel 2013177, testimonia un ulteriore sviluppo della nozione di patrimonio culturale

nella direzione di un approccio integrato e relazionale. In quanto Convenzione

quadro, essa non costituisce un documento vincolante per gli Stati firmatari, ma ne

afferma principi e aree d’azione condivisi178.

Se ne fornisce di seguito un’analisi incentrata sugli elementi di maggiore novità e

interesse inerenti la definizione di patrimonio culturale e di heritage community, il

176 Il testo originale inglese e francese e i documenti di accompagnamento sono disponibili sul sito del Consiglio d’Europa (http://www.coe.int). Una traduzione non ufficiale in italiano è pubblicata dall’Ufficio Studi del Ministero per i beni e le attività culturali (http://www.ufficiostudi.beniculturali.it). In quest’ultima, la locuzione utilizzata per tradurre “cultural heritage” e “patrimoine culturel” è quella di “eredità culturale”, al fine di «evitare confusioni o sovrapposizioni con la definizione di patrimonio culturale di cui all’art.2 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio». In questa sede si è tuttavia ritenuto opportuno adottare la più diretta traduzione “patrimonio culturale”, coerentemente con la scelta precedentemente operata dall’Ufficio Patrimonio Mondiale UNESCO del medesimo Ministero in relazione alla Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.

177 Il trattato è aperto a sottoscrizione e ratifica da parte degli Stati membri dal 27 ottobre 2005 ed è entrato in vigore in corrispondenza della decima ratifica, l’1 giugno 2011. Attualmente (luglio 2017) il numero degli Stati firmatari è pari a 23; 17 di tali sottoscrizioni sono state seguite da ratifica. La Convenzione è al momento sottoscritta, ma non ancora ratificata, dall’Italia. L’elenco aggiornato degli Stati firmatari è disponibile sul sito del Consiglio d’Europa (http://www.coe.int).

178 Explanatory Report to the Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, punto II.

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rapporto tra patrimonio culturale, sviluppo sostenibile e qualità della vita, nonché la

definizione del diritto culturale di accesso al patrimonio.

La Convenzione quadro definisce il patrimonio culturale come segue:

Cultural heritage is a group of resources inherited from the past which people identify, independently of ownership, as a reflection and expression of their constantly evolving values, beliefs, knowledge and traditions. It includes all aspects of the environment resulting from the interaction between people and places through time.179

Primo punto di fondamentale rilevanza è l’estensione di ciò che abbiamo definito

come principio di relazionalità soggettiva – ovvero il rapporto istitutivo che

intercorre tra comunità e patrimonio – oltre i confini del mero patrimonio culturale

immateriale. Alla base di questa nuova elaborazione del concetto di patrimonio

culturale vi è infatti un approccio che si può definire olistico180 o d’interazione181:

esso abbraccia ambienti storici, culturali e naturali, nei loro aspetti tangibili e

intangibili, in quanto strutturalmente interrelati e in quanto identificati dalla

comunità come riflesso ed espressione dei propri valori e delle proprie tradizioni.

La funzione istitutiva della comunità risponde dunque a un principio inclusivo, che si

estrinseca tanto in una dimensione spaziale quanto in una dimensione temporale.

Alla prima accezione fa capo l’inclusione potenziale, nel perimetro del patrimonio

culturale di una comunità, di tutti gli aspetti dell’ambiente che risultano

dall’interazione storica tra la collettività e i luoghi. Alla seconda accezione fa capo il

179 CETS n. 199, art. 2, a).

180 «The text pursues a comprehensive approach to the built environment embracing urban and rural developments and the intermediate components of the heritage fabric, with all their diversities and vernacular aspects. Nor does it duplicate the 2003 UNESCO convention on safeguarding the intangible heritage, since it is not a matter of safeguarding a supposedly intangible class of heritage but rather of considering the meaning which every heritage whether tangible or intangible has in a given context» (D. Thérond, Benefits and innovations of the Council of Europe Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, in AA. VV., Heritage and Beyond, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 2009; cit. p. 10).

181 «“Cultural heritage”, in its widest sense (embracing cultural and historic environments and tangible and intangible aspects), was to be the subject of the convention. This was consistent with the primary objective of the convention, which was to ensure that the values and needs of cultural heritage in its infinite variety were considered in all fields of policy making and deliberation» (N. Fojut, The philosophical, political and pragmatic roots of the convention, in AA. VV., Heritage and Beyond, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 2009; cit. p. 19).

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riferimento al sistema di valori, credenze, conoscenze e tradizioni proprio della

comunità – sulla base del quale essa identifica il patrimonio culturale come tale –

nella sua costante evoluzione: «what is defined as heritage changes constantly and

is subject to augmentation and review» (Fojut, 2009, p. 19)182.

L’ultima, fondamentale, qualificazione del rapporto istitutivo comunità-patrimonio

è rappresentata dall’affermazione dell’indifferenza rispetto all’assetto proprietario:

la comunità identifica le risorse atte ad esprimere la propria identità culturale come

facenti parte del patrimonio culturale indipendentemente dalla loro proprietà. Si

afferma qui un principio di non-esclusione183 che ha il proprio corrispettivo

nell’affermazione radicale del diritto al patrimonio culturale come inerente al diritto

a partecipare liberamente alla vita culturale sancito dalla Dichiarazione universale

dei diritti dell’uomo (1948)184:

The Parties to this Convention agree to: a. recognise that rights relating to cultural heritage185 are inherent in the

right to participate in cultural life, as defined in the Universal Declaration of Human Rights;

b. recognise individual and collective responsibility towards cultural heritage;

c. emphasise that the conservation of cultural heritage and its sustainable use have human development and quality of life as their goal;

d. take the necessary steps to apply the provisions of this Convention concerning:

182 La componente dinamica insita nel processo di costruzione del patrimonio implica un orientamento che, dalla mera attenzione all’eredità del passato, si volge al futuro, alla trasmissione del patrimonio come sua continua ri-creazione e ri-appropriazione: «l’eredità culturale non comporta un atteggiamento rivolto esclusivamente al passato, alla conservazione e museificazione, ma piuttosto richiede una continua creazione e trasformazione. Non sono pertanto le caratteristiche intrinseche degli oggetti, dei luoghi o delle pratiche ad avere valore di per sé, ma piuttosto il processo di attribuzione di valore che ne fa oggetti, luoghi e pratiche significative per una comunità» (A. D’Alessandro, “La Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società (Faro, 27 ottobre 2005)”, in M. L. Picchio Forlati (a cura di), Il patrimonio culturale immateriale. Venezia e il Veneto come patrimonio europeo, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2014, cit. p. 221).

183 Così come definito da Fujot (non-exclusive concept): «individuals or groups might legitimately recognise heritage value in resources which were not in their possession or under their control» (Fujot, 2009, p. 19).

184 Art. 27, co. 1: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici».

185 La locuzione trova il proprio corrispettivo francese nel “droit au patrimoine culturel” da cui è tratta la traduzione italiana.

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– the role of cultural heritage in the construction of a peaceful and democratic society, and in the processes of sustainable development and the promotion of cultural diversity; – greater synergy of competencies among all the public, institutional and private actors concerned.186

Il diritto al patrimonio culturale si concreta nel diritto di chiunque – individuo o

collettività – di beneficiare del patrimonio culturale e di contribuire al suo

arricchimento (CETS n. 199, art. 4, lett. a) e ha come contraltare la responsabilità –

individuale e collettiva – di rispettare il patrimonio culturale, proprio e altrui (ibidem,

lett. b). L’esercizio di tale diritto può essere soggetto solo alle restrizioni necessarie

alla protezione dell’interesse pubblico e dei diritti e delle libertà altrui (ibidem, lett.

c).

La rilevanza del diritto al patrimonio culturale nel dettato pattizio è espressione di

un più generale rovesciamento di prospettiva, basato sull’assunto della necessità di

porre al centro di un’idea ampia e interdisciplinare di patrimonio culturale la persona

e i valori umani187, più che la conservazione dei beni ereditati dal passato. Come

attestato dall’importanza attribuita al processo di riconoscimento, arricchimento e

continua rigenerazione del patrimonio da parte delle comunità, la Convenzione

quadro muove nella direzione di un generale «riconoscimento della preminenza dei

soggetti e dei processi188 per la significatività del patrimonio e la sua vitalità»

(D’Alessandro, 2014, p. 218). A ciò si lega l’inedita – nei contesti istituzionali –

attenzione riservata dalla Convenzione quadro al tema dello sviluppo sostenibile e

186 CETS n. 199, art. 1.

187 Assunto evidenziato fin nel Preambolo: «Recognising the need to put people and human values at the centre of an enlarged and crossdisciplinary concept of cultural heritage» (CETS, n. 199, 1° Riconoscendo). Come è stato scritto, «ponendo l’uomo e la sua interazione col mondo esterno al centro del processo culturale (a dispetto dell’opera in quanto tale) la Convenzione prospetta di fatto una vera e propria ‘rivoluzione copernicana’» (A. D’Alessandro, “La Convenzione di Faro e il nuovo Action Plan del Consiglio d’Europa per la promozione di processi partecipativi”, in L. Zagato e M. Vecco (a cura di), Citizens of Europe.Culture e diritti, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2015; cit. p. 78).

188 «Thus, heritage is object and action, product and process. It means not only the things (“goods”, properties, immobilier – “stuff” (and the perceptions or ideas)) that we inherit, irrespective of whether we want to keep them; it can also be taken to mean the processes by which we understand, contextualise (physically and intellectually), perceive, manage, modify, destroy and transform the inherited world» (G. Fairclough, “New Heritage Frontiers”, in AA. VV., Heritage and Beyond, Strasbourg, Council of Europe Publishing, 2009; cit. p. 29).

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della qualità della vita189, al cui vantaggio il patrimonio, nella sua natura processuale

ed evolutiva, deve essere orientato.

La contestuale attenzione alla comunità, quale luogo istitutivo di significati, e

all’orientamento al futuro del patrimonio, quale processo evolutivo e quale fonte di

sviluppo, si rispecchia nel concetto di comunità patrimoniale, così definito:

A heritage community consists of people who value specific aspects of cultural heritage which they wish, within the framework of public action, to sustain and transmit to future generations.190

Le comunità patrimoniali, nella loro strutturale flessibilità191, si configurano

essenzialmente come comunità d’interesse accomunate da una compartecipe

attribuzione di valore a particolari aspetti del patrimonio culturale. Di tali aspetti

esse possono farsi direttamente carico, attraverso l’azione pubblica, per assicurarne

la trasmissione alle generazioni future192. Il ruolo centrale attribuito alle comunità –

in primo luogo alle comunità patrimoniali – nella produzione del patrimonio

culturale come sistema di valori si traduce dunque nell’esigenza di un loro

coinvolgimento nella gestione integrata del patrimonio stesso, in concomitanza con

tutti gli altri attori sociali193.

189 «Emphasising the value and potential of cultural heritage wisely used as a resource for sustainable development and quality of life in a constantly evolving society» (CETS, n. 199, Preambolo).

190 CETS, n. 199, art. 2, lett. b.

191 «The concept of heritage community is treated as self-defining: by valuing and wishing to pass on specific aspects of the cultural heritage, in interaction with others, an individual becomes part of a community. A heritage community is thus defined as a variable geometry without reference to ethnicity or other rigid communities» (Explanatory Report, Articolo 2).

192 Come rilevato da Carmosino, «Si tratta di gruppi flessibili, trasversali e aperti, più o meno spontanei, non necessariamente accomunati dai classici parametri quali la cittadinanza, l'etnia, la professione, la classe sociale, la religione, ma piuttosto uniti dagli stessi interessi e obiettivi. Possono avere un'estensione territoriale più o meno ampia (locale, regionale, nazionale, sovranazionale); essere temporanei o permanenti; essere formati da individui che appartengono allo stesso tempo a più gruppi; e così via, senza alcuno schema predefinito» (C. Carmosino, “La Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società”, Aedon, 1/2013).

193 «In the management of the cultural heritage, the Parties undertake to: a. promote an integrated and well-informed approach by public authorities in all sectors and at

all levels; b. develop the legal, financial and professional frameworks which make possible joint action by

public authorities, experts, owners, investors, businesses, non-governmental organisations and civil society;

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Analogamente a quanto fatto in relazione alla Convenzione per la salvaguardia del

patrimonio culturale immateriale nel paragrafo precedente, nella Figura 2.2 si

rappresenta il campo semantico del patrimonio culturale così come concepito nella

Convenzione quadro qui analizzata.

Figura 2.2 – Il patrimonio culturale integrato come campo semantico194

In particolare, si evidenzia la posizione centrale occupata dalla comunità nella

definizione e significazione del patrimonio culturale, che è rete di significati – storici,

naturali, tangibili e intangibili – strutturalmente aperta. Si rappresentano altresì le

principali aree di azione della comunità nell’ambito del patrimonio culturale

integrato, definite dai concetti di diritto culturale, responsabilità, partecipazione

gestionale e sviluppo. Infine, si sottolinea l’orientamento al futuro della Convenzione

quadro mediante il rapporto del sistema-patrimonio complessivamente inteso con

le generazioni future.

c. develop innovative ways for public authorities to co-operate with other actors; d. respect and encourage voluntary initiatives which complement the roles of public authorities; e. encourage non-governmental organisations concerned with heritage conservation to act in

the public interest» (CETS, n. 199, art. 11).

194 Elaborazione personale.

Elementi

intangibili

Diritto

Sviluppo

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2 Processi e prospettive nel contesto italiano

2.1 Il tessuto urbano come trama culturale

Nel trasferire i costrutti di patrimonio, comunità, territorio, trasmissione,

rigenerazione fin qui approfonditi nello specifico tessuto culturale italiano, lo

sguardo integrato elaborato dai testi internazionali si rivela imprescindibile. La

distribuzione capillare di monumenti, complessi architettonici, paesaggi storici e

naturali costitutivi di un’identità collettiva nel contesto nazionale è stata descritta da

Salvatore Settis nei termini di contiguità e continuità195. Carattere precipuo del

“modello Italia” non è la mera numerosità di elementi culturali, singolarmente

considerati, conservati e musealizzati, bensì «la presenza diffusa, capillare, viva di un

patrimonio solo in piccola parte conservato nei musei, e che incontriamo invece,

anche senza volerlo e anche senza pensarci, nelle strade delle nostre città, nei palazzi

in cui hanno sede abitazioni, scuole e uffici, nelle chiese aperte al culto; [un

patrimonio] che fa tutt’uno con la nostra lingua, la nostra musica e letteratura, la

nostra cultura»196. Continuità, dunque, poiché ogni elemento che costituisce la

trama culturale del territorio italiano è strutturalmente relato al proprio contesto; e

contiguità, poiché la capillarità della diffusione culturale nel territorio si concentra

nei nodi urbani in cui ogni giorno viviamo.

Contiguità e continuità sono qui le parole-chiave: quello che costituisce la nostra identità, la rete che ci avvolge e che ci identifica, è che il nostro patrimonio culturale sono le città nelle quale viviamo, le chiese in cui entriamo, le case e i palazzi in cui abitiamo o che visitiamo, le nostre coste e le nostre montagne. Il nostro patrimonio culturale non è un’entità estranea, calata da fuori, ma qualcosa che abbiamo creato nel tempo […] Il nostro bene culturale più prezioso è il contesto, il continuum fra i monumenti, le città, i cittadini; e del contesto fanno parte integrante non solo musei e monumenti, ma anche la cultura della conservazione che li ha fatti arrivare fino a noi.197

195 Si fa qui particolare riferimento al “modello Italia” elaborato e descritto in S. Setts, Italia S.p.A. All’assalto del patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2007 (prima edizione: 2002), cap. II.

196 Settis, 2007, p. 10.

197 Ibidem, p. 11. È

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È dunque nel tessuto urbano che la fitta e continua trama culturale del territorio

italiano si fa più evidente: «ogni città è viva narrazione della propria storia, ma anche

volto e traduzione in pietra del popolo che la abita, la conserva e la trasforma. La

città e il suo popolo sono una cosa sola, un solo nodo lega l’esperienza dei viventi e

la memoria delle cose»198. Il dispiegarsi della forma urbana nel tempo, secondo

Settis, è espressione – per quelle realtà che non siano cadute nell’«oblio di sé»199 –

della “città invisibile” che ne anima e innerva le componenti materiali. Essa è

propriamente memoria viva della città, in quanto costituita non solo dai «suoi

abitanti, donne e uomini, ma anche [da] una viva tessitura di racconti e di storie, di

memorie e di principî, di linguaggi e desideri, di istituzioni e progetti che ne hanno

determinato la forma attuale e che guideranno il suo sviluppo futuro» (Settis, 2014).

La trama urbana – in particolare quella delle città storiche – è insomma nodo in cui

si concentra e si evidenzia nella sua contiguità-continuità il patrimonio culturale

italiano, che può dunque definirsi come localmente diffuso. In quanto tessuto

eminentemente culturale, essa si costituisce congiuntamente di elementi materiali

e immateriali. La dimensione immateriale della trama urbana, ciò che si è definito la

“città invisibile”, guida il mutare storico delle forme urbane assicurandone una

dimensione di continuità; è essa stessa il nucleo di un mutare inevitabile:

Il paradosso della conservazione è che nulla si conserva mai né mai si tramanda se resta immobile e stagnante. Anche la tradizione è un continuo rinnovarsi, e se questo necessario, incessante movimento dovesse arrestarsi del tutto, il prezzo sarebbe altissimo: la morte. […] Non c’è, per la città, metafora piú appropriata di quella scolpita da Plutarco: la città è come un organismo vivente, cresce mutando e restando se stessa, secondo – noi oggi diremmo – un codice genetico iscritto nella sua stessa storia, nell’unicità della sua forma urbis. L’anima della città, la “città invisibile” che si manifesta

198 S. Settis, Se Venezia muore, Torino, Einaudi, 2014.

199 « In tre modi muoiono le città: quando le distrugge un nemico spietato (come Cartagine, che fu rasa al suolo da Roma nel 146 a. C.); quando un popolo straniero vi si insedia con la forza, scacciando gli autoctoni e i loro dèi (come Tenochtitlán, la capitale degli Aztechi che i conquistadores spagnoli annientarono nel 1521 per poi costruire sulle sue rovine Città del Messico); o, infine, quando gli abitanti perdono la memoria di sé, e senza nemmeno accorgersene diventano stranieri a se stessi, nemici di se stessi» (Settis, 2014, p. 1).

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attraverso la sua forma visibile, è in questo equilibrio fra permanenza e mutazione, nel rapporto fra città e cittadini, fra «le pietre e il popolo».200

In conclusione, si vuole qui sottolineare che nella città quale è narrata da Settis si

trova un fertile spazio d’incontro tra il campo semantico del patrimonio culturale –

nella sua accezione più complessa e integrata – e il campo semantico dei beni

comuni. Essa infatti sostanzia il diritto essenziale alla città201 che, complementare al

diritto essenziale alla natura202, si caratterizza come diritto collettivo, «in quanto

radicato nella lunga creazione collettiva della città» e «in quanto proiettato verso la

nostra collective afterlife (verso le generazioni che verranno)203» (Settis, 2014).

Inoltre, è proprio nella trama urbana che possono costituirsi le risorse adatte a

gestire collettivamente i beni comuni: nella città si forma ciò che viene definito

capitale civico, ovvero quel particolare tipo di capitale sociale204 che si configura

come l’insieme di credenze e valori condivisi che aiutano un gruppo a superare il

problema del free-riding nel perseguimento di attività socialmente valide205.

200 Settis, 2014.

201 H. Lefebvre, Le droit à la ville, Parigi, Anthropos, 1968 ; trad. It. Il diritto alla città, Verona, Ombre Corte, 2014.

202 «Creazione collettiva non solo di dogi e Consigli dei Dieci, non solo di nobili e mercanti, ma di artigiani e marinai, operai del vetro e dell’arsenale, donne e uomini, veneziani e schiavoni, greci ed ebrei, preti e pittori e musici, falegnami e notai, Venezia ha conquistato per chi ci vive un forte diritto alla città, che qui come non mai è anche diritto alla natura, all’integrità della Laguna che in millenaria simbiosi ne accompagna la storia e la vita» (Settis, 2014).

203 Altrove, Settis approfondisce il legame con le generazioni future quale dimensione fondante dei beni comuni, per salvaguardare i quali «non basta più l’etica (antropocentrica) della prossimità che abbiamo praticato finché le nostre azioni erano limitate nel tempo e nello spazio. Dobbiamo costruire un’etica della lontananza fondata su una consapevole empatia» (S. Settis, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi, 2012; cit. p. 48). Tale nuova etica implica la considerazione dei “cittadini del futuro” come «cittadini necessari, presenti da subito nell’orizzonte della moralità e del diritto» (ibidem, p. 50), così come l’attenzione a tre diverse specie di lontananza: «chi è lontano da noi nel tempo (i posteri) e chi lo è nello spazio (gli abitanti di un altro continente); chi, infine, pur vicino nel tempo e nello spazio, è da noi lontano per condizioni di vita, di salute, di diritti e di lavoro» (ibidem, p. 43).

204 Definito da Bourdieu come «l’ensemble des ressources actuelles ou potentielles qui sont liées à la possession d’un réseau durable de relations plus ou moins institutionnalisées d’interconnaissance et d’interreconnaissance» (P. Bourdieu, ”Le capital social”, Actes de la recherche en sciences sociales, Vol. 31, No. 1, 19080, pp. 2-3).

205 «Those persistent and shared beliefs and values that help a group overcome the free rider problem in the pursuit of socially valuable activities» (L. Guiso, P. Sapienza, L. Zingales, Civic Capital as the Missing Link, Cambridge (MA), National Bureau of Economic Research, Working Paper No. 15845, 2012; cit. p. 3). Diritto alla città e capitale civico sono, secondo Settis, essenzialmente interrelati:

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2.2 La cittadinanza come heritage community

La Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società

(Convenzione di Faro, 2005) – oggetto di analisi del paragrafo §1.3 del presente

capitolo – si è tradotta in alcune iniziative locali, eminentemente urbane, volte ad

applicare i principi di partecipazione attiva alla gestione del patrimonio culturale ivi

contenute.

Sul modello delle pratiche di urban rehabilitation di Marsiglia206, nella città di

Venezia si è costituito un movimento associativo volto a tradurre in azione il dettato

pattizio e, in particolare, ad implementare alcune delle good practices segnalate dal

Consiglio d’Europa nell’ambito del Faro Convention Action Plan207.

Finalità dell’associazione Faro Venezia208 è «la valorizzazione del patrimonio storico,

artistico e culturale in tutti suoi aspetti e, in particolare, secondo la definizione che

ne viene data nella Convenzione […] sul valore del Patrimonio Culturale per la

Società, che sostiene l’idea che la conoscenza e l’uso del patrimonio rientrino nel

diritto di partecipazione dei cittadini alla vita culturale, così come definito nella

Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo» (Statuto, art. 2). Tale obiettivo

generale si concreta nella realizzazione di un vario insieme di attività209 che, con

«Proviamo dunque a pensare a un “capitale civico” inteso secondo la storia, l’esperienza e le attività partecipative delle associazioni di cittadini, e che tendenzialmente coincida con il “capitale simbolico” della loro città. Lo vedremo imperniato sulla cultura urbana, sulla forma della città, sull’arte, la lingua, la cultura, la musica, la religione, gli orizzonti etici, il rapporto diritti-doveri, la responsabilità sociale, il desiderio di “vivere bene”. Tutti ingredienti, non misurabili, del diritto alla città» (Settis, 2014).

206 Per l’approfondimento del caso si rinvia a A. D’Alessandro, “La Convenzione di Faro e il nuovo Action Plan del Consiglio d’Europa per la promozione di processi partecipativi”, in L. Zagato e M. Vecco (a cura di), Citizens of Europe. Culture e diritti, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2015.

207 I cui principi sono consultabili sul sito del Consiglio d’Europa all’indirizzo http://www.coe.int/ en/web/culture-and-heritage/faro-in-action (consultato il 06/08/2017).

208 Attiva dal 2008, ma costituitasi giuridicamente nel 2012. Lo statuto dell’associazione è consultabile all’indirizzo: https://farovenezia.org/.

209 L’art. 2 dello Statuto associativo cita in particolare la produzione di documentazione, studi, ricerche e pubblicazioni diverse rilevanti per il patrimonio culturale; l’organizzazione di incontri, convegni, workshop; attività di formazione e di informazione, orientamento, educazione, anche in collaborazione con scuole e università; promozione di mostre, spettacoli e attività artistiche; gestione di spazi e attività culturali di tipo culturale in senso ampio; promozione di reti nazionali e internazionali tra associazioni e altre organizzazioni che perseguono obiettivi analoghi o compatibili.

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modalità differenti, contribuiscono a promuovere una conoscenza partecipata del

patrimonio culturale.

Tra queste spiccano le Passeggiate patrimoniali210, vere e proprie promenades

tematiche attraverso particolari luoghi e percorsi del patrimonio culturale urbano,

concepite e guidate da persone che vivono quotidianamente quegli stessi luoghi o

che hanno con essi una particolare affinità storica, culturale, memoriale o

individuale. Come evidenziato dall’associazione stessa, «la Passeggiata Patrimoniale

ha come obiettivo principale la promozione della consapevolezza tra i cittadini, intesi

come soggetti culturali, della loro interazione con il patrimonio culturale […] ed in

particolare, del beneficio che deriva dal vivere immersi in questo “patrimonio”, tanto

per la sua portata storica, quanto per le attività attuali»211. A distinguere il modello

delle Passeggiata dalla mera visita guidata è proprio il ruolo riservato ai cittadini che

la elaborano e vi partecipano, i quali «indipendentemente dalle loro professioni

agiscono come comunità patrimoniale» (ibidem). Esse costituiscono dunque un

modo per esercitare consapevolmente il ruolo di heritage community, in virtù del

quale la comunità si assume la responsabilità condivisa del proprio patrimonio

(tangibile, intangibile, storico, naturale) e partecipa attivamente alla sua

rigenerazione semantica, nonché alla sua valorizzazione212. Il ruolo di risignificazione

attiva del patrimonio è confermato dalla scelta, per ogni Passeggiata, di un fil rouge

in grado di raccontare le intersezioni tra luoghi, storia, eredità culturale materiale,

società213. Nelle parole dell’associazione:

210 Per un elenco esemplificativo delle Passeggiate realizzate, si può fare riferimento alla sezione dedicata del sito di Faro Venezia: https://farovenezia.org/azioni/le-passeggiate-patrimoniali/ (06/08/2017).

211 Fonte: https://farovenezia.org/azioni/le-passeggiate-patrimoniali/.

212 «La Passeggiata Patrimoniale è uno strumento che interpreta in senso pieno il concetto di diritto al patrimonio culturale: la comunità patrimoniale la usa per testimoniare la propria appartenenza al territorio in cui abita e i visitatori, attraverso di essa, possono arricchire la propria conoscenza e capacità di interpretazione le dimensioni storiche, sociali e culturali del territorio, delle città e dei quartieri» (fonte: : https://farovenezia.org/azioni/le-passeggiate-patrimoniali/).

213 A titolo di esempio, si possono citare le Passeggiate incentrate su: “Il Fondaco dei tedeschi e le comunità di lingua tedesca a Venezia”, “Dopo le fabbriche. Passeggiata nei luoghi della riconversione industriale alla Giudecca”, “Il lavoro femminile all’ex-Manifattura Tabacchi e all’ex-Cotonificio e le trasformazioni urbanistiche in Cittadella della Giustizia e IUAV”.

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Scegliere un tema significativo, progettare un percorso, trovare i testimoni “attivano” entusiasmo e competenze complesse. Gli studenti (o i cittadini) non dovrebbero esser portati a fare una passeggiata, dovrebbero esserne gli ideatori e organizzatori. È così che i risultati in termini di consapevolezza civica e sviluppo di abilità complesse sono stati sorprendenti. La Passeggiata Patrimoniale diviene l’ambiente di formazione della cittadinanza attiva.214

Nel 2014, sulla scorta di due diversi Convegni di studio promossi a Venezia dal

Consiglio d’Europa sul tema della Convenzione di Faro, Faro Venezia ha contribuito

alla stesura della Carta di Venezia sul valore del patrimonio culturale per la comunità

veneziana215, promossa dal Consiglio d’Europa stesso e dall’Università Ca’ Foscari.

Con essa, la Comunità veneziana dichiara «il patrimonio culturale una risorsa utile

alla società e alle generazioni future che va oltre il mero fine delle azioni di

conservazione, promozione e valorizzazione»; individua nell’accesso e nella

partecipazione attiva alla vita culturale «dimensioni essenziali dei diritti umani

fondamentali»; afferma l’indispensabilità «di un processo partecipato alla gestione

del patrimonio, che preveda una condivisione di responsabilità e una diversificazione

degli attori coinvolti anche in seno alla società civile»; infine, «ritiene necessario

l’orientamento dell’economia legata al patrimonio verso uno sviluppo sostenibile dei

territori locali»216.

2.3 Cultura, territorio, sviluppo: l’apporto delle nuove museologie

Ai fini del presente contributo sono di particolare interesse alcune tendenze di teoria

e prassi museologica che fanno capo alla cosiddetta Nouvelle Muséologie217. Sulla

scorta delle riflessioni condotte in Francia da George-Henri Rivière218 e Hugues de

214 Fonte: https://farovenezia.org/azioni/le-passeggiate-patrimoniali/.

215 Il testo completo è disponibile sul sito dell’associazione, nonché in D’Alessandro, 2015.

216 Carta di Venezia sul valore del patrimonio culturale per la comunità veneziana, 07/05/2014, punto (A).

217 MINOM – International Movement for a New Museology è il nome dell’organizzazione affiliata all’ICOM (International Council of Museums) creata nel 1985 per la ricerca sui temi della museologia sociale, con particolare attenzione a «tutti gli approcci che rendono il museo uno strumento per la costruzione d’identità e lo sviluppo delle comunità» (fonte: http://www.minom-icom.net).

218 G. H. Rivière, “The ecomuseum—an evolutive definition”, Museum International, Vol. 37, Iss. 4, 1985, pp. 182–183.

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Varine219, ha conosciuto grande diffusione anche nel contesto italiano il modello

dell’ecomuseo. Esso costituisce un modo nuovo di guardare all’istituzione museale

nel contesto sociale e territoriale: non più mero luogo di raccolta, studio,

catalogazione ed esposizione220, bensì strumento di sviluppo locale a partire da una

visione integrata del dato culturale, ambientale, umano:

L’ecomuseo, nella sua variante comunitaria, è in primo luogo una comunità e un obiettivo: lo sviluppo della comunità stessa. Ha inoltre, una funzione educativa generale che si fonda su un patrimonio culturale e su un certo numero di attori, entrambi appartenenti a quella stessa comunità. È, infine un modello di organizzazione cooperativa orientata allo sviluppo e un processo critico di valutazione e di correzione continue.221

Questo nuovo sguardo sul ruolo sociale e territoriale del museo – non più istituzione,

bensì processo di sviluppo locale – ha come suo centro il rapporto tra patrimonio

culturale e comunità. Poiché «il patrimonio culturale rappresenta le radici visibili

della comunità nel territorio» (de Varine, 2005, p. 24), «ciò che conta è che il

patrimonio culturale sia riconosciuto dalla comunità come proprio» (ibidem, p. 25).

Da questo assunto deriva una concezione essenzialmente dinamica e vitale del

patrimonio stesso: esso non è concepito come un «capitale definito una volta per

tutte» (ibidem), mero sedimento del passato da trasmettere intatto alle generazioni

future. Se nutrito della «creatività naturale della comunità» (ibidem, p. 26) esso può

mutare, rinnovarsi e generare nuovo patrimonio culturale.

Tale prospettiva museologica, che vede nel territorio e nella comunità due fonti di

cultura interrelate e integrate da tutelare e ravvivare in loco, è riconosciuta nel

contesto italiano soprattutto dalle amministrazioni regionali. La costituzione di reti

219 H. De Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, Bologna, CLUEB, 2005; op. orig. Les racines du futur, Parigi, ASDIC, 2002.

220 Si fa qui riferimento alla definizione di “museo” stabilita dall’ICOM stesso: « A museum is a non-profit, permanent institution in the service of society and its development, open to the public, which acquires, conserves, researches, communicates and exhibits the tangible and intangible heritage of humanity and its environment for the purposes of education, study and enjoyment» (ICOM Statues, Art. 3). Il riferimento al patrimonio culturale immateriale è stato inserito nella definizione all’indomani della XXI Assemblea generale di ICOM5, svoltasi a Seul dall’1 all’8 ottobre 2004.

221 De Varine, 2005, p. 249-250.

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ecomuseali a base regionale e la loro tutela istituzionale222 ha infatti costituito lo

strumento con cui le Regioni hanno integrato le mancanze del Codice dei beni

culturali e del paesaggio, intervenendo – per quanto di competenza (ex art. 117

Cost.) – nella valorizzazione del patrimonio culturale immateriale rappresentato

dagli ambienti e dalle tradizioni locali223. La specificità del dispositivo normativo

individuato dalle Regioni per lo sviluppo ecomuseale è rappresentata da un principio

di sussidiarietà224: esse non intervengono nella costituzione né nella gestione diretta

degli ecomusei, bensì ne riconoscono e promuovono l’attività. Se dunque da un lato

viene tutelata l’auto-organizzazione delle comunità225, dall’altro si costruisce un

dialogo proficuo tra collettività locali e amministrazioni.

Un caso particolare, nel panorama italiano, è costituito dall’Ecomuseo Urbano di

Torino226, istituito nel 2004 con deliberazione della Giunta Comunale e basato sul

dialogo tra cittadinanza, Circoscrizioni e Comune. Le dieci Circoscrizioni cittadine

operano come gruppi di lavoro strettamente locali, benché coordinati entro una

cornice unitaria227. Ognuna realizza un proprio programma di attività annuale, sia

all’interno di uno dei Centri cittadini di Documentazione e Interpretazione storia

222 Ad agosto 2017, le regioni e provincie autonome che hanno disciplinato la creazione di strutture ecomuseali sul proprio territorio sono: Piemonte (1995), Trento (2000), Friuli Venezia Giulia (2006), Sardegna (2006), Lombardia (2007), Umbria (2007), Molise (2008), Toscana (2009), Puglia (2011), veneto (2012), Calabria (2012), Sicilia (2014), Lazio (2017).

223 Si veda n. 173, §1.1 del presente capitolo.

224 Come evidenziato da A. Garlandini, “Ecomusei e musei per la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale. Nuovi istituti culturali per nuove missioni”, in C. Grasseni (a cura di), Ecomuseologie. Pratiche e interpretazioni del patrimonio locale, Rimini, Guaraldi, 2010.

225 Nel caso della normativa piemontese, ad esempio, la costituzione dell’ecomuseo può essere proposta da enti locali, associazioni culturali e ambientaliste e da istituti universitari, mentre la Regione riveste un ruolo di coordinamento generale e di sostegno finanziario. Per un approfondimento sul sistema ecomuseale della Regione Piemonte, si rinvia a E. De Biaggi e I. Testa, “Gli Ecomusei della Regione Piemonte: persone, patrimoni, luoghi”, in C. Grasseni (a cura di), Ecomuseologie. Pratiche e interpretazioni del patrimonio locale, Rimini, Guaraldi, 2010.

226 Per approfondire: V. Porcellana, “Interpretare il territorio. Il caso dell’Ecomuseo Urbano di Torino”, in L. Zola (a cura di) Memorie del territorio, territori della memoria, Milano, Franco Angeli, 2009; V. Simone, “Memorie delle città plurali. Principi e pratiche dell’Ecomuseo Urbano di Torino”, in C. Grasseni (a cura di), Ecomuseologie. Pratiche e interpretazioni del patrimonio locale, Rimini, Guaraldi, 2010.

227 Costituita dalla Carta per il patrimonio culturale urbano.

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locale (esposizioni temporanee, incontri, ricerche di archivio), sia promuovendo

percorsi sul territorio.

Nel suo complesso, questo orientamento museologico integrato e partecipativo è

stato accolto, su scala internazionale, dalla XXXI Assemblea Generale dell’ICOM

(Milano 2016), che nella Risoluzione N. 1 – significativamente intitolata The

Responsibility of Museums Towards Landscape – afferma:

Museums contribute not only to the knowledge of the values of cultural landscapes, but also to the development of symbolic frameworks that determine them, so that the notion of cultural landscape becomes an instrument for the assessment of what needs to be protected, enhanced and handed on to future generations, and what will go instead questioned, criticized and modified.228

Ciò che emerge dall’insieme di è, in conclusione, la presenza di un tessuto locale

vivo, incentrato sul valore di comunità, sull’interpretazione del patrimonio culturale

come dato integrato e soprattutto sulla partecipazione attiva e vitale della

cittadinanza alla sua gestione, anche in virtù di un diritto culturale ormai

riconosciuto come diritto umano.

2.4 Dai cultural commons all’heritage commons

Nel solco della nozione di knowledge commons elaborata da Hess e Ostrom, la

letteratura di ambito economico-culturale ha recentemente analizzato la

prospettiva dei cultural commons.229 Questi possono essere definiti come «culture

situate nel tempo e nello spazio – fisico o virtuale – e condivise ed espresse da una

comunità» (Santagata, 2011, p. 356). Tale prospettiva di studio, considerando le

culture come prodotto di una specifica comunità collocata nel tempo e nello spazio,

costituisce uno sviluppo dell’interesse per i distretti culturali, ovvero per quelle

228 ICOM, XXXI General Assembly, Resolution No. 1, “The Responsibility of Museums Towards Landscape”, penultimo capoverso. Il testo delle tre risoluzioni adottate nel corso dell’Assemblea Generale 2016 (Milano) è disponibile sul sito dell’ICOM (http://icom.museum/).

229 Si fa qui particolare riferimento a W. Santagata, “Dai knowledge commons ai cultural commons”, in F. Barbera e W. Santagata, “Discussione su La conoscenza come bene come. Dalla teoria alla pratica di C. Hess e E. Ostrom”, Stato e mercato, 92/2011, pp. 343-361. Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a E. Bertacchini et al., Cultural Commons. A New Perspective on the Production and Evolution of Cultures, Cheltenham, Edward Elgar, 2012.

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agglomerazioni di risorse e attività culturali simbolicamente ed intellettualmente

connesse a uno specifico territorio o comunità230. Ne sono esempi «l’immagine di

una città, una lingua locale, un movimento artistico, le conoscenze tradizionali di

comunità indigene, la creatività espressa dai designer e dalle comunità di artisti»:

tutti elementi alimentati da idee, creatività, credenze conoscenze, costumi, nonché

tecniche produttive proprie di una specifica comunità.

Come i beni comuni della conoscenza, i cultural commons non soffrono di limitata

capacità di carico (carrying capacity): essendo prodotti intellettuali e immateriali, il

loro consumo da parte di un soggetto non ne diminuisce la disponibilità per altri.

Sono essenzialmente soggetti a consumo non-rivale. Differiscono, invece, dai

knowledge commons in virtù di un diverso orientamento temporale: mentre la

nozione di beni comuni della conoscenza riflette la questione di come non

disperdere un capitale di conoscenze accumulato (logica backward-looking), i

cultural commons sono orientati al futuro, ovvero alla produzione di nuove

conoscenze attraverso l’alimentazione di nuove culture al passaggio di ogni

generazione. Come conseguenza, benché sia knowledge sia cultural commons

possano essere definiti come “risorsa condivisa che pone dilemmi sociali”, la natura

del dilemma sociali che queste due classi di beni comuni pongono è essenzialmente

diversa: i cultural commons non possono essere consumati, ma possono essere erosi

a causa della mancanza di nuovi input culturali. La sopravvivenza del cultural

commons dipende «dalla produzione di una quantità ottimale di cultura che alimenti

il contributo a favore della generazione successiva» (ibidem, p. 358).

La prospettiva del cultural commons, pur limitata all’ambito di risorse immateriali,

ha il pregio di porre in evidenza il dilemma sociale cui deve far fronte tutto il

patrimonio culturale nel suo complesso, ovvero il problema della sua rigenerazione

e trasmissione.

230 W. Santagata, "Cultural districts and their role in developed and developing countries", in V. A. Ginsburgh e D. Throsby (a cura di), Handbook of the Economics of Art and Culture, Amsterdam-Oxford, North-Holland (Elsevier), 2006.

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Al cuore della Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio immateriale

vi è infatti la nozione di salvaguardia, incentrata sulle misure di rivitalizzazione del

patrimonio. Egualmente, la centralità della persona-comunità nella Convenzione

quadro sul valore del patrimonio culturale per la società si estrinseca innanzitutto

nel ruolo istitutivo delle heritage community, definite per la loro “comunità

d’interesse” nei confronti di un particolare aspetto del patrimonio e per la loro

volontà (e azione) di trasmetterlo alle generazioni future. Nella prospettiva di questa

trasmissione rigenerativa si collocano anche i diversi processi e degli orientamenti,

da Venezia a Torino, fin qui citati.

L’individuazione di questo fondamentale dilemma sociale costituisce, nell’opinione

di chi scrive, l’ultimo tassello di una possibile qualificazione del patrimonio culturale

come bene comune. Esso è infatti fondato essenzialmente su una dimensione

collettiva e condivisa, poiché è patrimonio culturale in quanto identificato come tale

da una comunità che vi riconosce i tratti di un’identità comune; e proprio in quanto

“scrigno” dell’identità comune di una collettività, è esso stesso generatore di legame

sociale. L’appropriazione o riconoscimento del patrimonio da parte di una comunità

comporta, inoltre, tanto un diritto quanto una responsabilità: se da un lato il diritto

di partecipare alla vita culturale della comunità è essenzialmente diritto all’accesso

e alla fruizione del patrimonio culturale (inteso nelle sue componenti materiali e

immateriali), dall’altro la responsabilità condivisa di comunità e istituzioni nei suoi

confronti ne impone la cura e la salvaguardia. Infine, il patrimonio culturale è una

risorsa condivisa, per la quale si aprono prospettive di gestione collaborativa; e il

dilemma sociale che tali forme di gestione dovranno affrontare è quello del suo

esaurimento, ovvero della sua mancata rigenerazione o riappropriazione significante

da parte della collettività.

La qualificazione del patrimonio culturale come heritage commons è al centro della

recente Comunicazione della Commissione Europea231 significativamente intitolata

231 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l'Europa, COM(2014) 477, consultabile mediante il sito internet della Commissione

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Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per l’Europa. In essa si afferma

che «il patrimonio culturale è una risorsa condivisa e un bene comune» (COM(2014)

477, p. 2), «un mosaico di storie locali che insieme rappresentano la storia

dell’Europa» (ibidem, p. 3). Di esso si evidenzia la natura integrata, il valore sociale,

il rapporto con le comunità e il fondamentale apporto ai fini di uno sviluppo

sostenibile:

La conservazione è sempre più orientata verso la salvaguardia e la valorizzazione di un paesaggio culturale nel suo complesso piuttosto che di un singolo sito e sta anche diventando sempre più incentrata sugli individui. Secondo i vecchi approcci si cercava di proteggere il patrimonio culturale isolandolo dalla vita quotidiana. Nei nuovi approcci prevale invece l'intenzione di renderlo parte integrante della comunità locale. Ai siti viene data una seconda vita, attribuendo loro un significato alla luce delle esigenze e degli interessi attuali. (…) Dato che i siti del patrimonio culturale diventano spazi pubblici che producono capitale sociale e ambientale, le città e le regioni che li ospitano si trasformano in motori dell'attività economica, in centri di conoscenza, in punti focali della creatività e della cultura, in luoghi di interazione della comunità e di integrazione sociale; in breve, essi generano innovazione e contribuiscono a una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.232

Questo orientamento ha trovato ulteriore sviluppo nelle successive Conclusioni del

Consiglio sulla governance partecipativa del patrimonio culturale233. Tale governance

partecipativa si esprime nella «partecipazione attiva dei soggetti interessati – cioè

autorità ed enti pubblici, attori privati, organizzazioni della società civile, ONG,

settore del volontariato e persone interessate – alla definizione, pianificazione,

attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche e dei programmi in materia di

patrimonio culturale al fine di aumentare la responsabilità e la trasparenza degli

investimenti di risorse pubbliche e di accrescere la fiducia del pubblico nelle decisioni

politiche» (punto 9). Essa implica anche il riconoscimento delle potenzialità

generative e rigenerative delle comunità, attraverso il sostegno alle «opere culturali,

artistiche e creative contemporanee che sono strettamente collegate a identità e

(http://ec.europa.eu) nonché tramite EUR-Lex (STABLE URL: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52014DC0477&from=it).

232 COM(2014) 477, pp. 5-6.

233 GU C 463 del 23/12/2014, pp. 1-3, consultabile tramite EUR-Lex (STABLE URL: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52014XG1223(01)&from=IT).

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valori e spesso basate sul know-how tradizionale e sul patrimonio immateriale delle

persone, e che potrebbero pertanto rappresentare il patrimonio culturale delle

future generazioni» (punto 11).

Con l’adozione di tali conclusioni, il Consiglio invita gli Stati membri a sviluppare

quadri di governance multilivello che integrino strutture locali, regionali, nazionali

ed europee (punto 13); a promuovere il coinvolgimento dei soggetti interessati in

modo che ne sia garantita la possibilità di effettiva partecipazione attiva in tutte le

fasi del processo decisionale (punto 14); a riconoscere «l’importanza della relazione

tra patrimonio materiale, immateriale e digitale» e a considerarne congiuntamente

i valori di tipo sociale, culturale, simbolico, economico e ambientale (punto 15).

Il Consiglio dà inoltre particolare rilievo al ruolo delle comunità patrimoniali virtuali

e urbane, invitando tanto gli Stati membri quanto la Commissione europea –

nell’ambito delle rispettive competenze – ad «esaminare il ruolo delle comunità

virtuali nello sviluppo e nell’attuazione delle politiche in materia di patrimonio

culturale, nel sostegno alla gestione del patrimonio culturale, nello sviluppo di

conoscenze e nel finanziamento (ad esempio tramite il crowdsourcing e il

crowdfunding)» (punto 22) nonché a «favorire la partecipazione civica nel quadro di

un modello di sviluppo intelligente per le città europee che integri attivamente il

patrimonio culturale al fine di contribuire all’innovazione e al rilancio delle città

europee collegandole con i siti e i territori interessati» (punto 24). Crowdsourcing,

crowdfunding e partecipazione civica emergono qui come modalità innovative di

implementazione di modelli di governance condivisa del patrimonio culturale inteso

quale heritage commons. Nel capitolo seguente si approfondiranno alcune

esperienze italiane di gestione locale collaborativa dei beni comuni nel loro impatto,

diretto o indiretto, materiale o immateriale, sul patrimonio culturale urbano.

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Capitolo III

Forme di condivisione e collaborazione

per la rigenerazione del patrimonio culturale urbano

Nel presente capitolo, si vuole valutare l’apporto potenziale di alcune strategie

innovative di governance condivisa dei beni comuni urbani alla salvaguardia del

patrimonio culturale. In particolare, l’analisi verte su tre esperienze che, secondo

modalità differenti, possono costituire modelli utili a definire strategie di

conservazione vitale del patrimonio culturale nella sua accezione più complessa,

fondata sul riconoscimento integrato delle sue diverse componenti – culturali e

territoriali, materiali e immateriali – nonché sul suo specifico rapporto mutualmente

istitutivo con le comunità di riferimento.

Costituiscono premesse fondamentali allo sviluppo dell’analisi qui condotta le

riflessioni esposte nei precedenti capitoli dell’elaborato. Di questi, il primo si è

concentrato sulla ricognizione di strumenti teorici multidisciplinari, desunti da ambiti

di ricerca filosofici, antropologici, socioeconomici e giuridici, utili ad affrontare con

efficacia il vasto campo dei beni comuni nel contesto italiano. Attraverso i diversi

apporti della filosofia dell’empatia e dell’etica della responsabilità, del paradigma del

dono e delle sue re-interpretazioni più attuali, così come attraverso la lente

dell’economia civile e dell’economia della condivisione, dei lavori della Commissione

Rodotà e della teoria della sussidiarietà, si è potuto costruire un campo semantico

complesso in cui si intrecciano nozioni quali intersoggettività, legame sociale,

responsabilità, reciprocità, collaborazione, condivisione, comunità e partecipazione.

Proprio in quanto chiavi interpretative di un fenomeno fortemente storicizzato

(Rodotà, 2012; 2013) e coerentemente con i fondamenti del dibattito internazionale

(Hardin, 1968; Ostrom, 1990) che hanno qualificato la questione dei beni comuni

come un problema eminentemente gestionale, tali strumenti teorici non mancano

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di radicarsi in problematiche reali o potenziali dilemmi sociali (Hess & Ostrom, 2007):

dai rischi globali (Pulcini, 2009; 2013) al progressivo ritrarsi della sfera pubblica

(Pennacchi, 2012; 2013a; 2013b; 2015), dalla privatizzazione e dallo spossessamento

degli spazi urbani (Marella, 2012a) al rarificarsi dei tratti funzionali delle comunità

tradizionali (Aime e Cossetta, 2010; Delfanti et al., 2011). Assumono pertanto

particolare rilievo alcune soluzioni pragmatiche o strategie di gestione degli urban

commons individuate e, talvolta, elaborate proprio nel contesto di tali percorsi

teorici. Si fa qui riferimento alle esperienze di crowdfunding civico e di collaborazione

civica che, nei rispettivi ambiti della sharing economy (Pais, Peretti e Spinelli, 2014;

Pais, 2015) e della teoria della sussidiarietà (Arena, 2008; 2015; Iaione, 2015a;

2015b), rappresentano risposte locali a crescenti esigenze di partecipazione della

cittadinanza ai processi di policy-making dell’attore pubblico per quanto concerne

beni collettivi e condivisi.

Il tema dei beni comuni urbani e della città in sé stessa come bene comune (Iaione,

2013) costituisce uno dei traits d’union che consente di guardare al patrimonio

culturale italiano come commons. Muovendo dall’inclusione dei beni culturali e dei

beni paesaggistici entro il perimetro del Disegno di legge delega elaborato dalla

Commissione Rodotà, nel Capitolo II del presente elaborato si è sviluppata un’analisi

delle possibilità di qualificazione del patrimonio culturale, complessivamente inteso,

come bene comune.

Il raccordo tra fonti pattizie internazionali in materia di cultural heritage – in

particolare la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale

(UNESCO, 2003) e la Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la

società (Consiglio d’Europa, 2005) – e la specifica configurazione territorialmente

capillare del patrimonio culturale italiano (Settis, 2007) consente di individuare un

nuovo “campo semantico” che, abbracciando elementi materiali, immateriali e

naturali e ruotando attorno al legame istitutivo tra comunità e patrimonio culturale,

nonché all’assolvimento da parte di quest’ultimo di diritti umani fondamentali,

delinea una nuova nozione di patrimonio culturale integrato.

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La riflessione qui riassunta muove nella direzione di un arricchimento di quanto

disposto dalla disciplina nazionale in materia, rappresentata essenzialmente dal

Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale direzione coincide con quella indicata

da alcuni documenti europei più recenti, segnatamente la Comunicazione della

Commissione europea Verso un approccio integrato al patrimonio culturale per

l’Europa (2014) e le Conclusioni del Consiglio europeo sulla Governance partecipativa

del patrimonio culturale (2014); in essi la qualificazione del patrimonio culturale –

composto da risorse materiali, immateriali e naturali – come bene comune è

esplicitamente assunta quale presupposto per la necessità di una partecipazione

attiva delle comunità alla sua gestione.

Le innovative strategie di gestione degli urban commons precedentemente citate –

in quanto pratiche di governance partecipata di tutti i beni, gli spazi e i servizi urbani

funzionali allo svolgimento della vita sociale della comunità in cui sono inseriti234,

nonché in ragione delle loro specificità locali – costituiscono dunque inedite

opportunità per il policy-making in materia di patrimonio culturale. Esse infatti

consentono di rileggere i beni culturali e i beni paesaggistici già tutelati dalla

normativa vigente nelle loro relazioni semantiche e costitutive con il territorio,

rappresentato in primo luogo dal contesto urbano, e con le comunità in relazione

alle quali il patrimonio culturale si definisce come tale, ovvero si costituisce

effettivamente come testimonianza avente valore di civiltà.

234 Si fa qui riferimento alla definizione di urban commons elaborata nei vari contributi di Iaione e riassumibile come segue: «To introduce the concept, the idea of urban commons concerns all those urban spaces and services we consider “local commons” or “common spaces and services.” It is not necessary that the formal ownership of common goods be public, in the sense of being in the care or supervision of some public administration. The ownership of a commons can also be in private hands, but it must be characterized by the necessity of guaranteeing universal access and use and by the need to involve community members in their production and management. Thus, the community includes anybody who can contribute to the survival, care, and conservation of urban commons» (C. Iaione (2016), “The CO-City: Sharing, Collaborating, Cooperating, and Commoning in the City”, American Journal of Economics and Sociology, Vol. 75, No. 2, pp. 415-455; cit. p. 417).

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1 Premessa metodologica

1.1 Domanda di ricerca e ambito di analisi

La domanda di ricerca cui si intende rispondere con questa breve analisi si interroga

circa le modalità attraverso le quali differenti strategie di gestione e rigenerazione

degli urban commons, di recente applicazione in Italia, intervengono sul patrimonio

culturale integrato delle città e, in particolare, in che misura esse possano costituire

una valida opportunità per l’effettiva salvaguardia, ovvero per la trasmissione vitale,

del patrimonio culturale italiano inteso nella sua accezione più complessa.

Discussi i presupposti teorici di tali strategie nel Capitolo I (§3.3 e §4.2) del presente

elaborato, in questa sede si vogliono approfondire gli esempi offerti da tre specifiche

sperimentazioni tra loro fortemente differenziate in quanto ad architettura

istituzionale, ma accomunate dal proficuo dialogo tra attori privati (singoli e

organizzati) e attori istituzionali e amministrativi235. Le tre esperienze cui si fa

riferimento sono rappresentate da Un passo per San Luca, primo intervento di

crowdfunding civico in Italia promosso direttamente da un’amministrazione locale,

dalla collaborazione tra il Comune di Milano e la piattaforma di crowdfunding Eppela

per progetti di innovazione sociale e, infine, dai patti di collaborazione civica tra

amministrazione e cittadini per la cura e la rigenerazione degli urban commons

istituzionalizzati dal Comune di Bologna con il Regolamento del 2014 ad essi

dedicato.

Si riassumono di seguito (Tabella 3.1) i tratti essenziali di differenziazione tra tali

esperienze. La considerazione di un set di strategie di governance diversificato è

volta a offrire una panoramica quanto più ricca possibile delle varie “sfumature” cui

si può fare riferimento nella definizione di un’architettura istituzionale di gestione

235 La compartecipazione di iniziativa collettiva e iniziativa amministrativa è qui espressione di quella triangolazione pubblico-privato-comune che sola può garantire una corretta elaborazione di significati e valori sociali condivisi senza comportare un depauperamento della sfera e dell’azione pubblica (Pennacchi, 2012; 2013a; 2013b; 2015).

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dei beni comuni in grado di adattarsi e rispondere adeguatamente alle specifiche

esigenze di ogni contesto locale.

Tabella 3.1 – Diverse architetture istituzionali per la gestione partecipata degli urban commons236

Un passo per San Luca Comune di Milano - Eppela Patti di collaborazione

Crowdfunding civico. Crowdfunding civico. Collaborazione civica.

Intervento singolo. Intervento articolato

time-bound. Intervento articolato

long-lasting.

Progettualità amministrativa. Progettualità civica. Progettualità amministrativa

e civica.

Focus culturale. Focus sociale. Focus diversificato.

Un passo per San Luca rappresenta un’iniziativa di crowdfunding civico ad intervento

singolo, ovvero basato su un unico progetto proposto alla cittadinanza per la raccolta

fondi. Ad ideare il progetto è stata l’amministrazione stessa, in particolare il Comune

di Bologna in collaborazione con il Comitato per il restauro del Portico di San Luca.

Avendo come finalità il restauro di parte di un bene architettonico di interesse

culturale dichiarato237, si può affermare che il progetto ha un focus specificamente

culturale.

Diversamente, la collaborazione tra il Comune di Milano e la piattaforma di

crowdfunding Eppela nasce con l’intento di sostenere progetti innovativi a forte

236 Elaborazione personale.

237 Come conformato dalla scheda anagrafica del bene, corrispondente all’ID 184134, presente nell’archivio digitale del MiBACT Vincoli in Rete (http://vincoliinrete.beniculturali.it). Vincoli in Rete è un database che raccoglie le schede anagrafiche di tutto il patrimonio culturale immobile italiano tutelato, composto sia dai beni culturali di interesse generale non verificato, sia dai beni culturali di interesse particolare dichiarato, sia dai beni sottoposti a vincolo paesaggistico. L’archivio integra i diversi sistemi informativi di Carta del Rischio, Beni Tutelati, SITAP e SIGEC. La banca dati può essere consultata sia mediante una ricerca alfanumerica sia mediante una ricerca cartografica. La scheda anagrafica di ciascun bene riporta informazioni circa la tipologia del bene, la sua denominazione, la natura del suo interesse culturale, la gerarchia (ovvero se si tratti di un bene individuale o di un complesso di beni), gli Enti competenti sia per la tutela sia per la schedatura, la localizzazione, nonché – ove possibile – immagini e fotografie del bene stesso.

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impatto sociale238. In questo caso, i progetti presentati sulla piattaforma e aperti alla

raccolta fondi sono stati diversi e tutti elaborati da soggetti altri rispetto al Comune

di Milano, ovvero da attori sociali – singoli e associati – qui raggruppati entro la

categoria generale di attori civici. Tale progetto di crowdfunding civico, benché volto

a promuovere più di una campagna soltanto, è comunque racchiuso entro termini

temporali definiti.

Infine, il progetto dei patti di collaborazione implementato dal Comune di Bologna

costituisce, diversamente dai casi precedenti, una strategia basata sulla co-

progettazione di interventi da parte tanto dell’amministrazione quanto della

cittadinanza, nel corpo di cittadini singoli, associazioni, società o istituzioni. Si tratta

dunque di una strategia al suo interno articolata in diversi progetti, ciascuno inerente

uno o più specifici urban commons, e soprattutto distribuita su un orizzonte

temporale non predefinito: basandosi sull’applicazione della disciplina del

Regolamento dedicato, lo strumento del patto di collaborazione – al di là della data

di inizio e fine del singolo intervento – non ha una scadenza predeterminata. La

varietà degli interlocutori potenziali dell’amministrazione comunale si riflette,

inoltre, nella più ampia varietà progettuale.

1.2 Metodologia di ricerca e valutazione

L’analisi elaborata nel presente capitolo si basa su tre insiemi di dati, ciascuno

relativo ad una delle iniziative precedentemente illustrate.

Per quanto riguarda la campagna di crowdfunding civico Un passo per San Luca, sono

state utilizzate le informazioni reperibili sul sito dedicato239, gestito dalla piattaforma

238 Come riportato nel Regolamento dell’iniziativa, disponibile sul sito di Eppela nella sezione dedicata alla collaborazione civica con il Comune di Milano (https://www.eppela.com/it/mentors/ comunemilano; consultato il 01/09/17).

239 Un passo per San Luca: http://www.unpassopersanluca.it.

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territoriale GINGER240, nonché i comunicati resi disponibili sul sito del Comune di

Bologna241.

Della collaborazione tra il Comune di Milano ed Eppela sono stati presi in

considerazione i dati relativi ai 18 progetti presentati alla cittadinanza per raccolta

fondi e pubblicati nella sezione dedicata del sito di Eppela242. Ulteriori informazioni

relative alle singole campagne nonché al progetto generale sono state reperite in

alcuni comunicati del Comune di Milano243 e attraverso il portale dedicato a Milano

Smart City244.

Infine, relativamente allo strumento dei patti di collaborazione, pur essendo il

Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la

rigenerazione dei beni comuni urbani adottato, ad oggi, in più di centoventi comuni

italiani245, in questa sede si è scelto di considerare unicamente l’esperienza di

Bologna, in quanto modello del successivo diffondersi del fenomeno nonché

240 GINGER (http://www.ideaginger.it/) è una piattaforma di crowdfunding territoriale per l’Emilia-Romagna, nata nel 2013, che risponde al modello modello all or nothing. La piattaforma fornisce anche alcuni servizi aggiuntivi volti ad assistere gli ideatori nella progettazione e nello svolgimento della campagna. Questi servizi di affiancamento e formazione si strutturano in pacchetti diversificati a seconda del livello di assistenza erogato. Per un approfondimento sul modello strategico alla base della piattaforma, si rinvia a Pais, Peretti e Spinelli, 2014.

241 Comune di Bologna: http://comune.bologna.it. In particolare, si è fatto riferimento al comunicato inerente il Progetto Portici (28 maggio 2013, http://www.comune.bologna.it/news/progetto-portici; consultato il 01/09/17).

242 Eppela – Comune di Milano: https://www.eppela.com/it/mentors/comunemilano.

243 Comune di Milano: http://comune.milano.it. Si riportano di seguito i principali comunicati consultati: Parte il crowdfunding civico promosso dal Comune di Milano, 8 aprile 2016 (http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/news/primopiano/archivio_dal_2012/lavoro_sviluppo_ricerca/parte_crowdfunding_civico_comune; consultato il 01/09/2017); Il Comune di Milano lancia la prima piattaforma di finanziamento collettivo per progetti d'impresa, 9 aprile 2016 (http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/news/primopiano/archivio_dal_2012/lavoro_sviluppo_ricerca/finanziamento_collettivo_progetti_impresa; consultato il 01/09/17); Il web e i milanesi scelgono gli ultimi 5 progetti da sostenere con crowdfunding civico, 3 novembre 2016 (http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/news/primopiano/Tutte_notizie/lavoro_sviluppo_ricerca/smart_city_crowdfunding; consultato il 01/09/17); Con il crowdfunding civico del Comune 16 progetti diventano realtà, 16 febbraio 2017 (http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/ news/primopiano/Tutte_notizie/lavoro_sviluppo_ricerca/16_progetti_crowdfunding_civico; consultato il 01/09/17).

244 Milano Smart City: http://www.milanosmart.city.org. Le informazioni utilizzate in questa sede sono reperibili nella sezione del sito dedicata al crowdfunding civico: http://www.milanosmartcity. org/joomla/crowdfunding (consultato il 01/09/17).

245 Si veda il Capitolo I, § 4.2 (e in particolare la nota 140) del presente elaborato.

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esperienza più matura in merito246. Nell’ambito di tale progetto – iniziato nel 2014 e

tuttora in corso – è stato selezionato un campione costituito dagli 87 patti di

collaborazione sottoscritti dal Comune di Bologna tra il 14/07/2016 e il 21/07/2017

e pubblicati nella sezione Comunità > Beni Comuni della Rete Civica Iperbole247. Le

informazioni sui singoli interventi sono state tratte dal testo pattizio oppure, ove

quest’ultimo non fosse disponibile nell’archivio Iperbole, dalla sintesi pubblicata nel

medesimo archivio.

Delle tre iniziative, si vogliono valutare due categorie di elementi:

• elementi intrinseci: si valuteranno alcuni dati e risultati relativi

all’architettura interna di ciascuna singola strategia, al fine di valutarne

comparativamente i caratteri. In particolare, si evidenzieranno i ruoli e gli

ambiti di azione dei soggetti amministrativi e civici coinvolti. L’analisi di

questi fattori consentirà di definire le modalità di costruzione di sistemi di

policy-making urbano in grado di intervenire sul patrimonio culturale

integrato, rispondendo dunque alla prima parte della domanda di ricerca

precedentemente esplicitata;

• esternalità: di ognuna delle tre iniziative sarà fornita una valutazione, sia

complessiva sia – per quanto concerne i progetti articolati – specifica per

ogni intervento, dell’impatto sul patrimonio culturale integrato così come

progressivamente delineato nel Capitolo II del presente elaborato. L’analisi

degli effetti prodotti sul cultural heritage urbano – in questa sede

denominati “esternalità” in quanto generati anche da interventi non a ciò

originariamente volti – consentirà di rispondere alla seconda parte della

domanda di ricerca sottesa all’analisi, ovvero permetterà di individuare

l’apporto di ogni strategia alla salvaguardia (o conservazione vitale) del

patrimonio culturale integrato.

246 Come ben evidenziato nel Rapporto Labsus 2016 sull’amministrazione condivisa dei beni comuni, disponibile sul sito di Labsus (http://www.labsus.org/).

247 Archivio disponibile all’indirizzo: http://comunita.comune.bologna.it/patti-dicollaborazione/elenco (consultato il 01/09/17).

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96

Per quanto concerne gli elementi intrinseci, le due strategie di crowdfunding civico

– la campagna Un passo per San Luca del Comune di Bologna e la collaborazione tra

il Comune di Milano e la piattaforma Eppela per i progetti innovativi ad impatto

sociale – saranno innanzitutto valutate secondo un framework (Tabella 3.2) atto a

mettere in luce lo specifico ruolo svolto dall’iniziatore amministrativo248.

Tabella 3.2 – Modelli di ruolo per l’iniziatore amministrativo nelle strategie di crowdfunding civico249

Caratteri Esempi

Mo

del

lo s

po

nso

r L’attore amministrativo

svolge la propria campagna per un progetto specifico su una piattaforma

esistente.

• L’amministrazione di Philadelphia (Pennsylvania, US) nel 2013 ha lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Citizinvestor per un programma educativo all’aperto. • L’amministrazione di Central Falls (Rhode Island, US), mossa dalla scarsità di risorse pubbliche, ha finanziato attraverso una campagna su Citizinvestor il rinnovamento della raccolta dei rifiuti nel principale parco pubblico cittadino.

Pia

ttaf

orm

a am

min

istr

ativ

a

L’attore amministrativo crea la propria piattaforma di

crowdfunding per favorire lo sviluppo

del proprio territorio.

• Il Consiglio del dipartimento della Manica in Francia ha recentemente lanciato una campagna di crowdfunding (OZÉ) per supportare ogni progetto locale volto a creare nuovo valore per la comunità, con lo scopo di promuovere l’innovazione e rafforzare l’identità del dipartimento. • La città di Lisbona, insieme ad altri quattro enti, ha fondato nel 2016 la piattaforma Boa Boa volta a supportare ogni prodotto, servizio o idea che produca valore per Lisbona e rientri in una delle seguenti categorie: imprenditorialità; impresa sociale e innovazione; scienza, ricerca e sviluppo; cultura, cittadinanza e partecipazione.

Mo

del

lo c

ura

tor

L’attore amministrativo

seleziona una lista di progetti che

riflettono la propria agenda su una piattaforma

esistente.

• La città di New York ha creato una propria sezione nella piattaforma di crowdfunding Kickstarter con l’obiettivo di incrementare la partecipazione civica e porre in evidenza i progetti relativi ai quartieri meno avvantaggiati economicamente.

248 Il framework, basato sui contributi di Davies (2014), è stato applicato da Charbit e Desmoulins (C. Charbit, G. Desmoulins (2017), “Civic Crowdfunding: A collective option for local public goods?”, OECD Regional Development Working Papers, 02/2017, Paris, OECD Publishing) per la valutazione di iniziative di crowdfunding civico sviluppatesi sia in contesto europeo sia in contesto statunitense.

249 Rielaborazione e adattamento da Charbit e Desmoulins, 2017.

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97

Mo

del

lo f

aci

lita

tor

L’attore amministrativo

crea delle partnership con piattaforme di

crowdfunding per il co-finanziamento

di progetti, insieme al resto dei

backers.

• Nel 2014-15 la Michigan Economic Development Corporation (MEDC) ha sottoscritto una partnership con la piattaforma di crowdfunding civico Patronicity per la rivitalizzazione degli spazi pubblici. La partnership era basata sul co-finanziamento amministrativo (Matching grant scheme) erogato secondo una procedura così articolata: 1. i cittadini identificavano e creavano progetti che avrebbero voluto veder finanziati; 2. i progetti venivano pubblicati sulla piattaforma di crowdfunding civico e sottoposti all’approvazione della MEDC; 3. ai progetti selezionati venivano forniti supporto e consigli personalizzati dalla piattaforma; 4. i progetti che raggiungevano il proprio obiettivo grazie al finanziamento diffuso ricevevano un eguale finanziamento da parte della MEDC.

Sempre per quanto riguarda gli elementi intrinseci delle due strategie di

crowdfunding civico, il numero degli aggiornamenti forniti sulla pagina Web della

campagna nonché l’eventuale pubblicizzazione di eventi paralleli alla raccolta fondi

online saranno qui utilizzati come indicatori comparativi del diverso grado di

coinvolgimento della comunità online e offline e, dunque, del diverso ruolo assunto

dagli attori civici nell’ambito dei due interventi.

L’architettura interna dell’esperienza dei patti di collaborazione a Bologna sarà

invece valutata sulla base del framework sulla co-produzione teorizzato da

Ostrom250. Tale nozione assume particolare rilevanza in relazione a una strategia di

gestione e rigenerazione degli urban commons quale quella implementata dal

Comune di Bologna; il nucleo della co-produzione è infatti costituito, nel modello

elaborato da Ostrom, dalla compartecipazione di individui che non provengono dalla

stessa organizzazione alla produzione di un bene o servizio. In particolare, la o-

produzione di un bene o di un servizio si verifica quando «parte degli input che danno

luogo alla produzione dello stesso provengono non da coloro che hanno il compito

250 E. Ostrom, “Crossing the Great Divide: Coproduction, Synergy, and Development”, World Development, Vol. 24, N. 6, 1996, pp. 1 073-1 087. Nell’elaborazione di Ostrom, la co-produzione implica che i cittadini possano svolgere un ruolo attivo nella produzione di beni o servizi pubblici. Tuttavia, come rilevato da Charbit e Desmoulins (2017), «this way of producing goods is particularly relevant regarding urban commons where both local authorities and residents ensure the sustainability of these types of rival but non-excludable goods» (op. cit., p. 23).

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di erogarlo, ossia dalla PA, ma da coloro che ne sono potenzialmente destinatari»251.

Mentre nel modello tradizionale di partecipazione al government urbano i cittadini

si esprimono attraverso una mera funzione di feedback, nel modello partecipativo di

governance promosso dalla co-produzione le due sfere dei “produttori regolari” e

dei “consumatori” di beni e servizi urbani si sovrappongono parzialmente (Cataldi,

2015). Le quattro condizioni il cui verificarsi congiunto consente, secondo tale

modello, la costruzione di un’architettura di co-produzione efficace, ovvero tale da

migliorare il governo locale tradizionale, sono di seguito sintetizzate (Figura 3.1).

Scopo dell’analisi su questo punto sarà dunque valutare in che misura, sulla base di

queste quattro variabili, i patti di collaborazione e il Regolamento ad essi sottesi

siano in grado di generare un situazioni di co-produzione, effettiva ed efficace, di

urban commons.

Figura 3.1 – Condizioni per una co-produzione efficace252

251 L. Cataldi, “Coproduzione: uno strumento di riforma in tempi di austerity?”, Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, 1/2015, pp. 59-85; cit. p. 67.

252 Rielaborazione e adattamento da Ostrom, 1996.

Co-produzione

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99

Infine, le esternalità generate dai tre progetti qui analizzati saranno valutate secondo

un modello (Figura 3.2) atto ad evidenziare l’area del campo semantico del

patrimonio culturale integrato implicata nei diversi interventi.

Figura 3.2 – Modello di valutazione per gli interventi sull’urban commons253

Tale modello è stato concepito come sintesi delle riflessioni progressivamente

sviluppate nel Capitolo II del presente elaborato. In esso si evidenziano tre aree, non

compiutamente distinte, in cui si verifica la produzione di valore per il patrimonio

culturale alla luce delle interpretazioni fornite, principalmente, dalla Convenzione

UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e dalla

Convenzione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società e

dall’integrazione di tali fonti internazionali con la disciplina del Codice dei beni

culturali e del paesaggio. Alla base di tale schema, vi sono dunque tre portati teorici

fondamentali:

• la considerazione congiunta degli elementi materiali e immateriali, culturali

e naturali che compongono il patrimonio culturale integrato, ovvero non solo

l’heritage trasmesso dalle generazioni passate, bensì anche elementi di

253 Elaborazione personale.

Comunità

Patrimonio culturale integrato

Patrimonio culturale tutelato

1. Il progetto interviene sul

legame sociale alla base del

senso di comunità e

appartenenza.

2. Il progetto interviene sugli

aspetti non giuridicamente

tutelati del patrimonio

integrato: cultura

intangibile, creatività,

territorio.

3. Il progetto interviene

direttamente su beni

culturali e paesaggistici.

tutelati dall’ordinamento.

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100

cultura viva delle generazioni attuali e le intersezioni di tale portato

complessivamente inteso con il territorio su cui insiste;

• l’ampliamento semantico della conservazione del mero dato materiale in

direzione del più articolato concetto di salvaguardia, il quale implica non solo

la trasmissione dell’eredità culturale ricevuta dal passato, bensì anche una

sua costante rigenerazione volta ad arricchirne il significato per le generazioni

future;

• il legame costitutivo tra patrimonio culturale e comunità, con particolare

attenzione alla funzione generativa che proprio il senso di appartenenza e di

identità collettiva riveste per l’appropriazione e, dunque, la qualificazione del

patrimonio culturale come tale da parte della collettività.

Al cuore di tale modello si colloca l’area definita dall’insieme dei beni culturali e

paesaggistici tutelati dall’ordinamento italiano. Si possono qualificare dunque come

interventi rigenerativi del patrimonio culturale in senso stretto quei progetti di

condivisione o collaborazione nell’ambito degli urban commons che implichino

un’azione diretta su un bene tutelato al fine di migliorarne la conservazione o la

valorizzazione. Quest’area è identificabile con il “nucleo duro” del patrimonio

culturale, ovvero con quei beni che – essendo tutelati dall’ordinamento giuridico in

quanto tali – si possono ricondurre con maggiore immediatezza alla sfera culturale

nel contesto italiano. L’azione della cittadinanza su questa sotto-categoria del

cultural heritage ha come effetto diretto il ristabilirsi di un rapporto immediato tra

comunità e patrimonio stesso.

In secondo luogo, lo schema individua una più ampia area d’intervento che interessa

il patrimonio culturale integrato, costituito da elementi culturali immateriali e

creativi – non tutelati ma tali da contribuire al potenziale rigenerativo delle comunità

patrimoniali – così come dall’elemento contestuale del patrimonio culturale, ovvero

dal suo legame con il territorio. Intervengono sul patrimonio culturale integrato tutti

quei progetti che hanno ad oggetto spazi e porzioni del patrimonio, globalmente

inteso, non tutelato. Si è in questo caso nell’ambito di ciò che può essere definito

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101

prodotto metaculturale254 (ambiente, territorio, cultura immateriale, creatività) in

quanto intrecciato a doppio filo con il prodotto culturale in senso stretto. Caso

emblematico è la produzione artistica e creativa contemporanea, in via generale

esclusa dal perimetro del patrimonio255, ma inequivocabilmente legata ad esso sia in

quanto fonte del processo culturale sottostante alla generale creazione di

patrimonio, sia in quanto frutto dell’eredità culturale.

Infine, il modello individua un’ultima area d’intervento in grado di influire in modo

sostanziale sulla salvaguardia del patrimonio culturale. Tale area, meno

direttamente collegata ai beni effettivamente tutelati dall’ordinamento, è costituita

dai legami di comunità, prerequisito fondamentale per ogni movimento di

identificazione, appropriazione, rigenerazione e trasmissione vitale del patrimonio

culturale. Intervengono dunque sul patrimonio culturale, benché solo per via

indiretta, quei progetti che partecipano alla costruzione o ricostruzione del senso di

comunità e del legame sociale, ovvero i progetti volti all’urban commons in senso

ampio e sociale. Ricostituire il senso di coappartenenza significa riavviare, alla sua

origine, il processo di significazione del patrimonio.

Da ultimo, è bene sottolineare che le aree qui individuate con costituiscono realtà

totalmente distinte, tali da consentire una valutazione univoca di ogni intervento,

bensì si compenetrano e si alimentano a vicenda. Ad esempio, un progetto che abbia

ad oggetto un edificio storico riabilitato a luogo di sperimentazione artistica agirebbe

contestualmente sui livelli (3) e (2), rigenerando il significato di quel particolare bene

architettonico attraverso un processo creativo metaculturale. Egualmente, un

intervento creativo volto a riqualificare uno spazio urbano che coinvolga determinati

target sociali al fine di incoraggiarne le dinamiche di integrazione e solidarietà

agirebbe contemporaneamente sui livelli (2) e (1) dello schema di valutazione,

contribuendo tanto alla rigenerazione dei legami di comunità quanto alla produzione

254 B. Kirshenblatt-Gimblett, “Intangible heritage as a metacultural production”, Museum International, vol. 56, no. 1–2, 2004, pp. 52-65.

255 «Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.» (Codice dei beni culturali e del paesaggio, art. 15, co. 5).

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di creatività. In conclusione, se è possibile in molti casi individuare un’area

d’intervento prevalente per ogni progettualità, il modello proposto non nega – e,

anzi, vuole evidenziare – lo stretto legame tra le diverse modalità secondo cui un

intervento civico di rigenerazione condivisa di urban commons può contribuire alla

salvaguardia del patrimonio culturale.

2 Analisi dei dati e principali risultati

2.1 Il crowdfunding civico a Bologna: Un passo per San Luca

Il progetto e la campagna

La campagna di finanziamento diffuso di Un passo per San Luca è nata dall’esigenza

di restaurare due specifiche arcate del portico storico che, a Bologna, collega l’Arco

del Meloncello al Santuario di San Luca. Il progetto, promosso dal Comune di Bologna

e dal Comitato per il restauro del portico di San Luca, è stato realizzato attraverso il

supporto della piattaforma di crowdfunding GINGER (Gestione Idee Nuove e Geniali

per l’Emilia Romagna)256 che ha ideato un sito Internet dedicato257 e gestito la

campagna. La raccolta fondi online è cominciata il 28 ottobre 2013 ed è terminata

ufficialmente il 1 dicembre 2014, avendo raccolto 339.743 euro – sui 300.000

dell’obiettivo iniziale – da parte di 7.111 sostenitori. Tale campagna di crowdfunding

va inquadrata nel più ampio Progetto Portici del Comune di Bologna258, dedicato alla

cura e alla valorizzazione dell’intero sistema-portici della città, anche in vista della

preparazione di un dossier per la candidatura a Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Prima della campagna stessa, l’amministrazione comunale ha reso disponibile online

un questionario259 per indagare più approfonditamente il posizionamento del

complesso architettonico rispetto gli interessi e al “sentire” dei cittadini. Le risposte

256 Si veda il § 1.2, nota 139 del presente Capitolo.

257 Un passo per San Luca: http://www.unpassopersanluca.it.

258 Fonte: Comune di Bologna (http://www.comune.bologna.it/news/progetto-portici; consultato il 01/09/17).

259 Fonte: GINGER (http://www.unpassopersanluca.it/news-6-cosa-rappresenta-san-luca-per-bologna-.html; consultato il 01/09/17).

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fornite dai circa 800 soggetti che hanno completato il questionario hanno dato

conferma di un altro grado di coinvolgimento emotivo rispetto al bene

architettonico, percepito come “cuore” e “storia” di Bologna. Il questionario ha

mostrato anche la consapevolezza diffusa della prossima candidatura UNESCO e

della necessità di restauri urgenti. Sempre prima del lancio della campagna, sono

state realizzate altre due iniziative volte a sensibilizzare e a sollecitare il

coinvolgimento della comunità: il concerto dell’Orchestra di Fiati della Città di Noci

presso il Teatro delle Celebrazioni, i cui incassi sono stati interamente devoluti alla

campagna; la rievocazione storica del Passamano per San Luca, ricorrenza annuale

che, nell’ambito della Festa internazionale della Storia, rievoca la "catena umana"

che nel 1677 aiutò a trasportare i materiali di costruzione del portico sulla cima del

Colle della Guardia.

Il ruolo dell’amministrazione

Con riferimento alla classificazione proposta da Charbit e Desmoulins (2017) in

merito gli iniziatori amministrativi (Tabella 3.3), il Comune di Bologna nel caso di Un

passo per San Luca si colloca per lo più tra sponsor e piattaforma amministrativa.

Tabella 3.3 – Modelli di ruolo per l’amministrazione: Un passo per San Luca260

Modello sponsor Piattaforma

amministrativa Modello curator Modello facilitator

Svolge la propria campagna per un

progetto specifico su una piattaforma

esistente.

Crea la propria piattaforma di

crowdfunding per favorire lo sviluppo

del proprio territorio.

Selezione una lista di progetti che

riflettono la propria agenda su una

piattaforma esistente.

Partnership con piattaforme di

crowdfunding per il co-finanziamento di progetti, insieme al resto dei backers.

La campagna di Un passo per San Luca è stata lanciata mediante la collaborazione

con una piattaforma già esistente, ma attraverso la creazione di un sito dedicato.

260 Elaborazione personale a partire da Charbit e Desmoulins, 2017.

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Inoltre, il forte connotato locale261 della piattaforma che ha gestito la campagna

contribuisce a evidenziare il ruolo centrale assegnato allo sviluppo territoriale dal

progetto. Da ultimo, nel caso di Un passo per San Luca, il ruolo svolto dal Comune è

di primo piano: non solo è principale promotore del progetto, ma – contribuendo al

successo con un contributo iniziale pari a un terzo dell’obiettivo finale – ne è anche

primo finanziatore e quindi, in parte, facilitator.

Il coinvolgimento della comunità

Sia prima che nel corso della campagna, sono state implementate diverse iniziative

ed attività collaterali al fine di incrementare il coinvolgimento della comunità offline.

Tra queste:

• #iopassopersanluca: contest fotografico promosso sui social network; gli

scatti migliori sono confluiti in una mostra temporanea nello spazio

Esposizioni di Urban Center Bologna;

• Visite guidate al Portico di San Luca: utilizzate come sistema di reward

opzionale;

• I portici di Bologna nel contesto europeo, convegno svoltosi nell’ambito della

Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2013;

• San Locca Day: festa dedicata interamente al progetto, svoltasi a circa un

anno di distanza (12 ottobre 2014) dall’inizio della campagna. La festa è stata

organizzata nella stessa via di San Luca, coinvolgendo artigiani, artisti,

musicisti; vi hanno trovato spazio anche una mostra di fotografia e nuove

visite guidate al Portico.

L’uso del sito dedicato al progetto come bacheca per le numerose iniziative

collaterali, oltre che per gli aggiornamenti sull’andamento della campagna, può

essere interpretato come un indicatore di active offline community (Stiver et al.,

261 «GINGER è un sito crowd che ha la sua forza nella territorialità. Ogni progetto per noi è importante, come è importante il legame che ha con il territorio. Per questo abbiamo deciso di focalizzarci sull'Emilia Romagna, seguire le idee da vicino e farle crescere grazie all'attivazione di reti territoriali. Inoltre, siamo convinte che legare i progetti al territorio, alle persone, alle attività offline di promozione e diffusione siano il modo per trasformare il crowdfunding in leva per lo sviluppo economico e sociale» (Fonte: GINGER; http://www.ideaginger.it/).

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105

2015b)262. Tale incoraggiamento della partecipazione offline della cittadinanza si

accompagna a un forte engagement della online community, come evidenziato dal

numero e dalla frequenza degli aggiornamenti pubblicati sul sito della campagna

(oltre 100 tra il 26/10/2013 e il 1/12/2014).

Aree d’intervento

Poiché il progetto interviene direttamente sulla rigenerazione di un bene

architettonico di interesse culturale dichiarato263, secondo il modello di valutazione

per gli interventi sugli urban commons precedentemente illustrato264 esso si colloca

tra le forme di intervento core rispetto alla risignificazione vitale del patrimonio

culturale della comunità di riferimento. Nel caso in esame, in particolare, tutte le

dimensioni del patrimonio risultano interessate dall’intervento. Accanto alla raccolta

fondi per il bene culturale in senso stretto, sono state realizzate numerose attività

atte ad agire sia sul livello metaculturale della produzione di nuovi significati, sia sul

livello sociale di rinvigorimento del senso comunitario. Al primo tipo fa capo

l’intervento di Cracking Art, collettivo di artisti che a sostegno del progetto ha

“invaso” alcuni spazi pubblici con le proprie opere, poi donandole alla campagna

affinché fossero utilizzate come reward opzionali. Ascrivibile contemporaneamente

all’area metaculturale e all’area comunitaria è, ad esempio, il San Locca Day, che ha

revitalizzato il Portico stesso mediante un evento sociale (la Festa) e diversi processi

creativi (gli artisti, musicisti, danzatori, artigiani che l’hanno animata).

2.2 Il crowdfunding civico a Milano: Eppela e l’innovazione sociale

Il progetto e la campagna

Il progetto Crowdfunding Civico del Comune di Milano nasce nel 2015 come

collaborazione tra il Comune di Milano ed Eppela, tra le prime piattaforme italiane

262 A. Stiver et al. (2015b). “Civic crowdfunding: how do offline communities engage online?”, Proceedings of the 2015 British HCI Conference, ACM, pp. 37-45.

263 Fonte: Vincoli in rete (http://vincoliinrete.beniculturali.it/).

264 Nel paragrafo §1.2 del presente capitolo.

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106

di reward-based crowdfunding265. La collaborazione ha lo scopo di sostenere progetti

innovativi ad alto impatto sociale nel campo della cura e dell’assistenza a categorie

fragili di popolazione, dell’accessibilità e della connettività urbana, della qualità di

vita dei cittadini. Il progetto si inserisce, dunque, nel più ampio orizzonte della

costituzione di una Smart City.266 Dei 22 progetti più meritevoli, selezionati tramite

bando del Comune, 18 sono stati pubblicati – in gruppi – all’interno di una sezione

dedicata della piattaforma Eppela, ciascuno per un periodo limitato di tempo

(quaranta giorni) con la garanzia di un co-finanziamento del Comune volto a coprire

la quota mancante per tutti i progetti che avessero raggiunto almeno il 50% del

proprio obiettivo (fino a un importo massimo di 50.000 euro per ciascun progetto).

La collaborazione – complessivamente sviluppatasi tra aprile e dicembre 2015 – ha

finito col premiare 16 dei 18 progetti inizialmente proposti al pubblico. Di questi

ultimi si sintetizzano nell’Appendice I del presente elaborato le informazioni

principali. In particolare, di ogni progetto si riportano:

• round di pertinenza;

• titolo;

• sintesi delle attività che si vogliono finanziare con la campagna;

• obiettivo di finanziamento;

• quota di finanziamento effettivo sull’obiettivo iniziale;

• numero di backers, incluso il Comune di Milano;

• numero di updates;

• finalità prevalente, individuata sulla base della natura del progetto e dalle

attività che si intendono realizzare con la raccolta fondi;

265 Si veda I. Pais e M. Mainieri, Il crowdfunding in Italia. Report 2016, disponibile sul sito Internet di Sharitaly (http://sharitaly.com/).

266 «Il Comune di Milano ha scelto di promuovere l’innovazione sociale come uno degli aspetti della Smart City. Non si vuole ridurre il dibattito sulla Smart City alla sola dimensione tecnologica ma si intende ragionare, invece, su come l’innovazione nelle città possa contribuire allo sviluppo di nuovi metodi di risoluzione di problemi socialmente rilevanti. Le Smart Cities sono infatti le città che creano le condizioni di governo, infrastrutturali e tecnologiche per produrre anche innovazione sociale» (Fonte: http://www.milanosmartcity.org/joomla/innovazione-sociale).

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107

• posizione nella modello di valutazione per gli interventi sull’urban commons

illustrato nel presente elaborato.

Per quanto concerne la finalità prevalente, sono state individuate tre categorie di

progettualità:

1. progettualità con finalità sociale: categoria che raggruppa i progetti in cui la

costruzione di spazi, luoghi e occasioni di relazione e incontro è

preponderante;

2. progettualità con finalità di cura del territorio: categoria in cui prevale

l’obiettivo di tutela e ampliamento del verde urbano, nonché di riuso e

rifunzionalizzazione di spazi pubblici dismessi, abbandonati o inutilizzati;

3. progettualità con finalità creativa: categoria che include progetti dominati

dall’intento di promuovere la produzione artistica e la creatività urbana;

Sulla base della classificazione nelle diverse categorie sopraindicate, ogni progetto è

stato collocato nello schema di valutazione per gli interventi sull’urban commons

secondo i seguenti criteri:

• i progetti a prevalente finalità sociale intervengono principalmente sul

legame sociale contribuendo ad alimentare il senso di co-appartenenza e

identità della cittadinanza e, dunque, a costituire la precondizione per ogni

appropriazione o ri-appropriazione significante del patrimonio culturale. A

questi progetti corrisponde dunque la posizione denominata Comunità;

• i progetti con finalità di cura del territorio o creativa intervengono su aspetti

del patrimonio culturale integrato (contesto, urbano e naturale; beni

intangibili; produzione artistica e creativa contemporanea) non legalmente

tutelati come parte del patrimonio culturale, in quanto non identificabili con

beni culturali o beni paesaggistici in senso codicistico. A questi progetti

corrisponde la posizione denominata Patrimonio culturale integrato.

La posizione denominata Patrimonio culturale tutelato non trova corrispondenza nei

progetti presentati per il crowdfunding civico di Milano. Sulla base di un confronto

con l’archivio Vincoli in rete del MiBACT, è infatti possibile affermare che nessuno di

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108

essi interviene direttamente su un bene culturale o un bene paesaggistico

riconosciuto.

Come evidenziato dai dati di sintesi sulla distribuzione – riportati in calce alla tabella

riassuntiva dei progetti (Appendice I) – 16 progetti su 18 (89%) hanno ottenuto il

finanziamento, con una media di backers pari a 100,63 e di updates pari a 2,5. I

progetti che non hanno ottenuto il finanziamento presentano – prevedibilmente –

una media inferiore di backers (20) così come di updates (0,5). L’obiettivo medio dei

progetti che hanno avuto successo è pari a circa 41.064€, mentre l’obiettivo medio

degli insuccessi è pari a 3.650€.

Il ruolo dell’amministrazione

In relazione ai ruoli di promozione possibili per l’attore amministrativo (Charbit e

Desmoulins, 2017), il Comune di Milano nell’ambito della collaborazione con Eppela

per il sostegno a progetti d’innovazione sociale si colloca tra modello facilitator e

modello curator (Tabella 3.4). Ha infatti utilizzato una piattaforma esistente, benché

in una sua sezione ad hoc, e ha preselezionato sulla base della propria agenda di

Smart City e innovazione sociale i progetti da proporre al finanziamento diffuso. Allo

stesso tempo, ha adottato in parte la strategia di facilitator co-finanziando i progetti

giunti al 50% del proprio obiettivo entro i quaranta giorni a disposizione.

Tabella 3.4 – Modelli di ruolo per l’amministrazione: Milano-Eppela267

Modello sponsor Piattaforma

amministrativa Modello curator Modello facilitator

Svolge la propria campagna per un

progetto specifico su una piattaforma

esistente.

Crea la propria piattaforma di

crowdfunding per favorire lo sviluppo

del proprio territorio.

Selezione una lista di progetti che

riflettono la propria agenda su una

piattaforma esistente.

Partnership con piattaforme di

crowdfunding per il co-finanziamento di progetti, insieme al resto dei backers.

267 Elaborazione personale a partire da Charbit e Desmoulins, 2017.

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109

Il coinvolgimento della comunità

A differenza del sito dedicato a Un passo per San Luca, la sezione del sito di Eppela

dedicata al mentor Comune di Milano non presenta una sezione notizie per fornire

updates generali sul progetto alla comunità. La gestione delle dinamiche di

sollecitazione è dunque lasciata all’autonomia delle singole campagne. È

interessante notare come anche le campagne con più backers abbiano utilizzato

significativamente poco la piattaforma Eppela per mantenere viva l’attenzione della

community. Ad esempio, considerando il campione costituito dai progetti che hanno

ottenuto un numero di sostenitori superiore alla media del numero di sostenitori dei

progetti di successo (dunque maggiore di 100,63), il numero medio di updates per

ogni campagna risulta inferiore al numero medio di updates calcolato sul campione

dei casi di successo. Tale risultato denota una strategia di coinvolgimento basata più

sulla comunità offline che sulla online community e, contestualmente, fondata per lo

più su reti relazionali territoriali o personali dei promotori delle singole campagne e

non connesse al partenariato Milano – Eppela.

Aree d’intervento

Di seguito si rappresentano graficamente (Figure 3.3 e 3.4) i principali dati di sintesi

relativi alla finalità prevalente dei diversi interventi e alla loro conseguente

collocazione nel modello di valutazione illustrato nel §1.2 del presente capitolo.

55,56%

11,11%

33,33%

Figura 3.3 - Finalità prevalente delle campagne di crowdfunding civico a Milano

Sociale Creativa Cura del territorio

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110

La collaborazione Milano – Eppela, coerentemente con l’obiettivo d’innovazione

sociale, si colloca per lo più nell’area della rigenerazione comunitaria, con alcune

significative eccezioni – CineWall268 e Il Cantiere dell’Ortica269 – che si collocano a

pieno titolo nell’ambito della sperimentazione artistica e della creatività. Rilevanti

sono inoltre i progetti ibridi, che confermano la natura intrinsecamente interrelata

delle diverse aree di intervento individuate dal modello. Le integrazioni più frequenti

si realizzano tra le aree Comunità e Patrimonio culturale integrato. Esempi di

progettualità ibride che intersecano legami di comunità e creatività urbana sono

costituiti da: Gallab, volto alla riqualificazione di una falegnameria come laboratorio

creativo, come centro di formazione e anche come semplice spazio sociale;

Medicinema, per l’utilizzo dell’arte cinematografica come terapia di sollievo nelle

strutture ospedaliere; Gli altri siamo noi, in cui lo strumento della mostra (elemento

creativo-culturale) è utilizzato a fini educativi (elemento sociale). Integrano, invece,

aspetti comunitari e territorio progetti quali PomodOrti Urbani, volto alla creazione

di un orto condiviso per il recupero di uno spazio abbandonato, e Facciamo la festa

268 Progetto di realizzazione di uno spazio non convenzionale nel quale promuovere la cultura del cinema, adattando l’offerta a domande particolari, come le comunità linguistiche diverse.

269 Progetto di realizzazione di uno spazio artistico dedicato alla sperimentazione in ambito musicale, teatrale, pittorico et similia.

55,56%

44,44%

Figura 3.4 - Posizione delle campagne di crowdfunding civico a Milano nel modello di valutazione per gli interventi sull'urban commons

Comunità Patrimonio culturale integrato

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111

alla mafia!, volto a realizzare un Giardino Accogliente – ossia un’area verde sociale

– nei terreni attorno a Casa Chiaravalle, bene confiscato alla mafia.

2.3 I patti di collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la

rigenerazione degli urban commons a Bologna

Il progetto

I patti di collaborazione costituiscono lo strumento individuato dal Comune di

Bologna con il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per

la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani (2014) al fine implementare forme

di gestione condivisa degli urban commons. Essi costituiscono atto non autoritativo

dell’amministrazione e, in quanto tali, rispondono a una natura sostanzialmente

contrattuale. Pertanto in essi sono concordate in modo dettagliato le funzioni che,

di volta in volta, cittadini – singoli e associati – e amministrazione dovranno assolvere

per la cura, la gestione o la rigenerazione del bene oggetto del patto270.

Il campione cui fanno riferimento i risultati qui riportati è costituito dagli 87 patti di

collaborazione sottoscritti dal Comune tra il 14/07/2016 e il 21/07/2017 e pubblicati

dalla Rete Civica Iperbole. Le informazioni alla base dell’analisi – raccolte

nell’Appendice II del presente elaborato – sono state tratte dal testo pattizio oppure,

ove quest’ultimo non fosse disponibile nell’archivio Iperbole, dalla sintesi pubblicata

nel medesimo archivio. Di ogni patto, in Appendice si indicano:

• titolo;

• sintesi delle principali attività;

• data di inizio e fine;

• finalità prevalente, individuata sulla base delle principali attività che ogni

progetto intende realizzare;

• eventuale impatto su un bene culturale o paesaggistico riconosciuto e

tutelato;

• classificazione secondo lo schema di valutazione proposto.

270 I contenuti minimi del testo pattizio sono elencati nel Capitolo I, § 4.2 del presente elaborato.

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112

Per quanto concerne la finalità prevalente, sono state individuate quattro categorie

di progettualità:

1. progettualità con finalità sociale: categoria che raggruppa i progetti in cui la

costruzione di spazi, luoghi e occasioni di relazione e incontro è

preponderante;

2. progettualità con finalità di cura del territorio: categoria in cui prevale

l’obiettivo di tutela e ampliamento del verde urbano, nonché di riuso e

rifunzionalizzazione di spazi pubblici dismessi, abbandonati o inutilizzati;

3. progettualità con finalità creativa: categoria che include progetti dominati

dall’intento di promuovere la produzione artistica e la creatività urbana;

4. progettualità con finalità culturale: categoria di progetti che intervengono

direttamente su un bene culturale o paesaggistico tutelato.

Poggiando su questa classificazione di base, ogni patto è stato collocato nel modello

di valutazione per gli interventi sull’urban commons secondo i criteri – già adottati

per l’esperienza di crowdfunding civico a Milano – qui riassunti:

• i patti collocati nell’area Comunità hanno prevalente finalità sociale, ovvero

intervengono prevalentemente sul legame sociale favorendo la costituzione

di spazi di incontro, relazione, mutua assistenza. Contribuiscono dunque ad

alimentare il senso di co-appartenenza della cittadinanza e a costituire quel

sentire comune che è alla base di ogni appropriazione o ri-appropriazione di

patrimonio culturale;

• i patti collocati nell’area Patrimonio culturale integrato hanno finalità di cura

del territorio (contesto urbano e naturale) o creativa (produzione di cultura

e sperimentazione artistica);

• i patti collocati nell’area Patrimonio culturale tutelato intervengono

direttamente su un bene culturale o paesaggistico tutelato in quanto

portatore, nel primo caso, di un interesse culturale generale non verificato o

di un interesse culturale dichiarato oppure, nel secondo caso, di notevole

interesse pubblico o interesse paesaggistico riconosciuto ai sensi degli artt.

134, 136, 138, 141, 142, 143 e 156 del Codice dei beni culturali e del

paesaggio (d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). Per ogni patto con finalità

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113

culturale si indica la natura del relativo bene culturale o paesaggistico,

nonché il corrispondente codice identificativo di schedatura nell’archivio

ministeriale Vincoli in rete.

Il ruolo dell’amministrazione e il coinvolgimento della comunità

In relazione alle forme di amministrazione condivisa, un framework più appropriato

per la valutazione di ruoli e coinvolgimento è rappresentato – come anticipato nel

paragrafo 1.2 del presente capitolo – dalla co-produzione così come teorizzata da

Ostrom271. Secondo tale modello, affinché si realizzi una coproduzione efficace,

ovvero tale da migliorare il governo locale tradizionale, devono verificarsi

congiuntamente quattro condizioni:

1. affinché possano verificarsi delle sinergie, entità differenti devono possedere

risorse e competenze;

2. devono essere disponibili opzioni legali per entrambe le parti;

3. i partecipanti devono essere in grado di costruire un impegno credibile l’uno

nei confronti dell’altro;

4. degli incentivi dovrebbero aiutare tanto gli amministratori quanto i cittadini

a condividere le proprie risorse.

Queste quattro caratteristiche – tra le quali seconda e terza possono essere

assimilate nella nozione di enforcement272 – sono contestualmente presenti nello

strumento del patto di collaborazione. Il principio dell’amministrazione condivisa si

regge, come evidenziato nel Capitolo I del presente elaborato, sul ripensamento

dell’”amministrato” come persona portatrice di risorse. Con il patto di

collaborazione, amministrazione pubblica e cittadino si scambiano, rispettivamente,

risorse finanziare e asset tangibili (spesso nella forma di edifici o spazi pubblici

dismessi o abbandonati) e competenze e capacità creative, necessarie alla

rigenerazione dei luoghi. Per quanto concerne le opzioni produttive legali, rileva

l’origine del patto in una proposta di collaborazione che può provenire dal cittadino

271 Ostrom, 1996.

272 Charbit e Desmoulins, 2017.

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114

stesso; al quale, nell’esercizio delle mansioni previste dal patto stesso, è poi

riconosciuta una fondamentale “autonomia civica”: «l’amministrazione riconosce

l’autonoma iniziativa dei cittadini e predispone tutte le misure necessarie a

garantirne l’esercizio effettivo da parte di tutti i cittadini» (Regolamento sulla

collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni

comuni urbani, art. 3, co. 1, lettera i). Relativamente all’impegno assunto da

amministrazione e cittadini, il Regolamento fa esplicito riferimento ai contestuali

principi di fiducia e responsabilità. In base al primo, «l’Amministrazione e i cittadini

attivi improntano i loro rapporti alla fiducia reciproca e presuppongono che la

rispettiva volontà di collaborazione sia orientata al perseguimento di finalità di

interesse generale» (ibidem, art. 3, co. 1, a). Per quanto concerne il secondo,

«l’amministrazione valorizza la responsabilità, propria e dei cittadini, quale elemento

centrale nella relazione con i cittadini, nonché quale presupposto necessario affinché

la collaborazione risulti effettivamente orientata alla produzione di risultati utili e

misurabili» (ibidem, art. 3, co. 1, c). Infine, si possono citare tra gli incentivi le diverse

esenzioni e agevolazioni in materia di tributi locali da un lato (ibidem, art. 20) e,

dall’altro, l’esortazione all’autonoma raccolta di risorse da parte dei cittadini (ibidem,

art. 25, co. 3). In conclusione, con riferimento al framework teorico della nozione di

co-produzione, i patti di collaborazione sembrano costituire uno strumento

sostenibile ed efficace per la gestione e rigenerazione condivisa dei beni comuni

urbani.

Aree d’intervento

Al fine di valutare le modalità d’intervento della strategia dei patti di collaborazione

sul patrimonio culturale, di seguito (Figure 3.5 e 3.6) si rappresentano graficamente

i principali dati forniti dalla distribuzione riassunta nell’Appendice II dell’elaborato.

Degli 87 patti di collaborazione analizzati, una quota circa pari al 31% presenta –

come finalità prevalente – uno scopo eminentemente sociale, il 16% e il 41%,

rispettivamente, uno scopo creativo e di cura del territorio, mentre il 10% interviene

direttamente su un bene culturale o paesaggistico tutelato, perseguendo dunque un

obiettivo essenzialmente culturale.

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115

Tali risultati, riletti attraverso la lente del modello di valutazione per gli interventi

sull’urban commons, si traducono in valori che attestano la prevalenza di interventi

ad impatto sul patrimonio culturale integrato (57,5%), seguiti dai progetti in grado di

rivitalizzare i legami di comunità (31%) e, infine, dai progetti che intervengono

direttamente sul patrimonio culturale tutelato (10,3%). Rimane costante (circa 1,2%)

la percentuale dei patti non categorizzabili né per finalità prevalente né per posizione

nel modello di valutazione in quanto “patti quadro”, stipulati tra cittadinanza e

1,15%

31,03%

16,09%

41,38%

10,34%

Figura 3.5 - Finalità prevalente dei patti di collaborazione a Bologna

Patto quadro Sociale Creativa Cura del territorio Culturale

1,15%

31,03%

57,47%

10,34%

Figura 3.6 - Posizione dei patti di collaborazione a Bologna nel modello di valutazione per gli interventi sull'urban commons

Patto quadro Comunità

Patrimonio culturale integrato Patrimonio culturale tutelato

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116

Comune come base per future specifiche collaborazioni nei vari ambiti della cura

condivisa, della gestione e della rigenerazione di spazi ed edifici urbani.

Anche nel caso dei patti di collaborazione, diversi sono i progetti con finalità – e

dunque influenza sul patrimonio culturale – ibrida. A titolo di esempio, si possono

citare: Bologna Città Aperta, volto a valorizzare il parco della Montagnola – bene

facente parte del patrimonio culturale tutelato – anche attraverso attività artistiche,

artigianali ed educative; Il Giardino Polivalente, finalizzato principalmente alla cura e

al miglioramento del verde pubblico, ma con la componente aggiunta di

rifunzionalizzare il giardino di competenza al fine di accogliervi anche uno spazio

scenico; i diversi interventi di riqualificazione di spazi urbani attraverso la

realizzazione di pitture murali e opere creative, i quali implicano per lo più anche una

componente comunitaria volta al rafforzamento del legame sociale di abitanti di un

medesimo quartiere o di categorie di cittadini svantaggiate o più difficilmente

integrabili.

3 Conclusioni e prospettive di ricerca

La breve analisi qui condotta è nata dalla volontà di inquadrare, da un punto di vista

gestionale, diverse modalità di cura e rigenerazione di beni comuni urbani e di

evidenziarne il potenziale impatto sulla salvaguardia, o conservazione vitale, del

bene comune – patrimonio culturale. Poggiando su quanto emerso dalla ricognizione

di alcuni fondamentali contributi alla letteratura socioeconomica e giuridica italiana

in merito alle possibilità di policy-making per l’urban commons (Capitolo I), sono

state vagliate tre diverse esperienze locali di implementazione di architetture

istituzionali complesse, fondate sul dialogo tra attore amministrativo e cittadinanza,

per la gestione collaborativa dei beni comuni urbani. Tali esperienze, per le loro

differenze in quanto a natura, ampiezza, iniziativa e focus dell’intervento,

costituiscono un set di opportunità utili ad elaborare, secondo varie forme di

integrazione e articolazione, nuove modalità di cura dell’urban commons in grado di

adattarsi alle esigenze e ai caratteri territoriali e comunitari locali.

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In particolare, sono stati presi in esame il progetto di crowdfunding civico Un passo

per San Luca, implementato dal Comune di Bologna per il restauro di parte

dell’omonimo portico storico della città; il progetto di crowdfunding civico frutto

della collaborazione tra il Comune di Milano e la piattaforma Eppela, volto a

premiare interventi innovativi ad alto impatto sociale; l’esperienza ormai pluriennale

dei patti di collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la

rigenerazione degli urban commons, istituzionalizzata dal Comune di Bologna

attraverso il Regolamento dedicato.

Di ogni progetto sono stati valutati alcuni elementi di architettura interna (ruolo

dell’amministrazione e della cittadinanza, modalità di engagement della comunità

offline e online) e, soprattutto, le esternalità generate nei confronti del patrimonio

culturale, alla luce dell’arricchimento semantico sviluppato nel Capitolo II del

presente elaborato. Si è pertanto tenuto conto di tre dimensioni o livelli di impatto

sul patrimonio culturale: un livello centrale o core, corrispondente a un intervento

diretto su beni culturali o paesaggistici tutelati dall’ordinamento italiano; il livello più

ampio del patrimonio culturale integrato, che include ambiti quali cultura

immateriale, creatività e produzione artistica contemporanea, ambiente e territorio;

un livello comunitario, utile ad evidenziare la relazione tra il rafforzamento del

legame sociale e le potenzialità di generazione e rigenerazione del patrimonio

culturale proprie delle heritage community.

Per quanto concerne l’analisi dell’architettura interna delle strategie, i due casi di

crowdfunding civico presentano articolazioni estremamente diverse. In quanto a

ruolo dell’attore pubblico (Charbit e Desmoulins, 2017), Un passo per San Luca ha

visto il Comune di Bologna coinvolto in primo luogo come sponsor di una propria

campagna per un progetto specifico su una piattaforma esistente; tuttavia la

connotazione fortemente territoriale della piattaforma di riferimento – GINGER –

sembra muovere verso un modello di intervento mediante piattaforma

amministrativa. Diversamente, il Comune di Milano, nell’ambito della collaborazione

con Eppela, si colloca tra modello curator, quale selettore – su una piattaforma

esistente – di una lista di progetti che riflettono l’agenda pubblica, e modello

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facilitator, quale erogatore di un matching grant o co-finanziamento per i progetti di

maggior successo presso i backers. In quanto a coinvolgimento della comunità,

mentre i diversi progetti di crowdfunding supportati dalla collaborazione Milano –

Eppela non hanno visto né l’attore amministrativo né i promotori delle singole

campagne particolarmente attivi nelle attività di engagement della comunità

attraverso lo strumento dell’aggiornamento online, la campagna di Un passo per San

Luca è stata gestita utilizzando abbondantemente gli updates sia per aggiornare la

community sull’avanzamento della raccolta fondi, sia per pubblicizzare numerose

attività collaterali volte a coinvolgere la comunità offline.

L’architettura interna della strategia del Comune di Bologna basata sullo strumento

del patto di collaborazione è stata valutata facendo riferimento alla nozione di co-

produzione (Ostrom, 1996). A questo proposito, il disposto normativo del

Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la

rigenerazione dei beni comuni urbani attesta la compresenza – alla base di ciascun

patto di collaborazione sottoscritto dall’amministrazione e dalla cittadinanza attiva

– delle quattro variabili che, secondo il modello citato, consentono lo sviluppo di una

strategia di co-produzione efficace. L’apporto di risorse complementari da parte

delle due categorie di attori, l’effettiva presenza di opzioni legali – previste dal

Regolamento stesso – per l’avanzamento di proposte di collaborazione, la garanzia

dell’impegno mutualmente preso e i vari incentivi previsti dalla disciplina fanno del

patto di collaborazione uno strumento funzionale al miglioramento del governo

locale tradizionale in quanto a progettazione ed erogazione di beni e servizi (pubblici

o comuni).

Infine, la valutazione dell’impatto dei diversi interventi di gestione dell’urban

commons sul campo semantico del patrimonio culturale – condotta secondo il

modello precedentemente illustrato – ha prodotto i risultati sintetizzati nella Figura

3.7. Quest’ultima evidenzia su quale livello – Comunità, Patrimonio culturale

integrato, Patrimonio culturale tutelato – del cultural heritage e con quale intensità

sia intervenuta ciascuna delle esperienze illustrate nel presente capitolo.

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119

Figura 3.7 - Valutazione complessiva delle strategie di gestione e rigenerazione condivisa

degli urban commons con riferimento alle esternalità sul patrimonio culturale

La campagna di crowdfunding civico Un passo per San Luca, in quanto intervento

singolo che ha interessato un bene architettonico vincolato, si colloca interamente

nell’area core del patrimonio culturale. Il progetto articolato di crowdfunding civico

sviluppato dal Comune di Milano, in linea con l’originaria vocazione sociale, ha

coinvolto progetti per lo più relativi all’area del modello che individua i legami sociali

quale fondamento per ogni processo di riconoscimento, appropriazione e

riappropriazione del patrimonio culturale. In secondo luogo, i progetti sostenuti dalla

collaborazione Comune di Milano – Eppela interessano l’area del patrimonio

culturale integrato soprattutto grazie ad interventi di cura del territorio (circa il

33,3%, come evidenziato nella Figura 3.3 del presente capitolo). Nessuna delle

campagne di crowdfunding lanciate sulla piattaforma Eppela, invece, ha ad oggetto

elementi del patrimonio culturale stricto sensu. Infine, la strategia dei patti di

collaborazione implementata dal Comune di Bologna si presenta come la più

diversificata per quanto concerne le esternalità nei confronti del cultural heritage:

posta la maggior quota di interventi dedicati al patrimonio culturale integrato (quasi

il 60%, di cui circa il 41% volti in particolare alla cura del territorio, come evidenziato

nella Figura 3.5), essa presenta una quota pari al 30% di interventi dedicati alla

rigenerazione del legame sociale e del senso di comunità e una quota pari a circa il

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120

10,3% di interventi diretti alla cura, gestione o rigenerazione di beni culturali e

paesaggistici tutelati.

In relazione alla domanda di ricerca precedentemente esposta, l’analisi qui conclusa

ha consentito di definire e delineare i parametri di diverse modalità di intervento,

per l’attore amministrativo e per la cittadinanza, sugli urban commons globalmente

intesi: dal progetto di crowdfunding civico una tantum alla sperimentazione di piani

di co-finanziamento articolati, fino all’impostazione di una vera e propria

architettura di co-progettazione urbana al cui centro si sviluppa una dinamica non

solo di finanziamento, ma di vero e proprio scambio di risorse complementari; dal

progetto time-bound, predeterminato nel suo sviluppo temporale, al progetto long-

lasting, strutturale e durevole; dalla scelta di una vocazione tematica da parte

dell’amministrazione – declinata anche secondo la capacità ideativa dei cittadini che

propongono i singoli progetti – alla più ampia apertura nei confronti delle proposte

e delle esigenze della cittadinanza attiva. In particolare, l’analisi condotta suggerisce

alle amministrazioni, in primo luogo locali, diversi ruoli e percorsi attuabili per aprire

il processo di policy-making urbano alla cittadinanza e co-progettare, co-finanziare e

co-produrre beni e servizi condivisi.

Per quanto concerne la seconda parte della domanda di ricerca, avente ad oggetto

l’influenza di tali nuove architetture istituzionali o strategie per la gestione dei beni

comuni urbani su una specifica categoria di commons, ovvero il patrimonio culturale,

l’analisi qui sviluppata produce tre osservazioni fondamentali.

In primo luogo, tutte le esperienze di gestione condivisa dei beni comuni urbani

analizzate in questa sede contribuiscono, in modo più o meno diretto, alla

salvaguardia del patrimonio culturale, ovvero alla conservazione non solo dei suoi

elementi materiali e tutelati dall’ordinamento – beni culturali e beni paesaggistici –

ma anche dei suoi aspetti più dinamici e vitali (il legame con l’ambiente naturale e il

territorio, nonché la dimensione immateriale, creativa e di produzione artistica), così

come del suo legame mutualmente istitutivo con la comunità. Infatti gli interventi

volti alla cura e alla rigenerazione di spazi pubblici, edifici, verde urbano possono

essere interpretati – alla luce dei più recenti orientamenti internazionali in fatto di

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121

gestione del cultural heritage – come interventi che influiscono sul patrimonio

culturale secondo un approccio integrato. Similmente, i progetti eminentemente

sociali sono in grado – proprio in quanto volti a rinvigorire i legami sociali e di

comunità, il senso di appartenenza e identità collettivo – di generare heritage

community, ovvero di partecipare al processo di identificazione, significazione e

appropriazione del patrimonio culturale mediante il rafforzamento della comunità

che a tale processo dà inizio.

In secondo luogo, la partecipazione dell’attore amministrativo è in grado di fornire

legittimazione a tali processi di identificazione e appropriazione del patrimonio

culturale da parte delle comunità. Svolgendo il proprio ruolo di mediazione ed

elaborazione di significati collettivi nella sfera pubblica, le amministrazioni locali

possono costituire un primo interlocutore per la cittadinanza al fine di veder

riconosciuto il valore collettivo, identitario, storico, culturale attribuito a spazi,

ambienti e beni non ancora tutelati dall’ordinamento. È in questa compartecipazione

di comunità patrimoniali e istituzioni che si gioca la possibilità di non limitarsi a

trasmettere alle future generazioni l’eredità materiale ricevuta dal passato, bensì di

aggiungervi nuovi significati, di rigenerare e risignificare il patrimonio culturale.

Infine, i progetti di sharing economy e di collaborazione civica per la gestione

condivisa dei beni comuni urbani che intervengono direttamente sul patrimonio

culturale stricto sensu, ovvero su beni culturali e paesaggistici tutelati, assumono

particolare rilevanza in relazione al valore attuale del patrimonio culturale. Affinché,

infatti, l’eredità culturale ricevuta dal passato sia correttamente trasmessa alle

generazioni future occorre non solo che ne sia mantenuta intatta l’integrità fisica,

ma anche che ne sia mantenuto vivo continuamente il significato. Riavvicinare il

patrimonio culturale alla propria comunità attraverso forme di gestione condivisa ed

economie collaborative significa dunque mantenerne viva la memoria collettiva.

Le prospettive future di ricerca dell’analisi qui condotta sono, nell’opinione di chi

scrive, da individuarsi nell’ideazione di perspicui sistemi di valutazione delle

esternalità culturali prodotte dalla gestione condivisa dell’urban commons in termini

prosumer-based. Con un’operazione simile a quella condotta dal Comune di Bologna

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122

prima del lancio della campagna Un passo per San Luca273 e assumendo la comunità

patrimoniale come sia fruitrice sia produttrice del patrimonio culturale, indagini ex-

post che valutino lo scarto tra la percezione del bene, dello spazio o del servizio prima

e dopo l’intervento di cura o rigenerazione costituirebbero un’interessante

opportunità conoscitiva sia per gli attori amministrativi sia per altri attori coinvolti a

vario titolo nel policy-making culturale.

Una simile prospettiva potrebbe ulteriormente arricchirsi, nel caso dell’ormai diffuso

strumento del patto di collaborazione, attraverso l’analisi congiunta dell’evoluzione

nella percezione prosumer-based del bene, spazio o servizio oggetto dell’intervento

e il grado di profondità dell’intervento stesso, sia esso finalizzato alla cura

occasionale, cura continuativa, gestione condivisa o rigenerazione del commons.

273 Si fa qui riferimento al questionario reso disponibile online dal Comune di Bologna per indagare più approfonditamente il posizionamento del complesso architettonico rispetto gli interessi e al “sentire” dei cittadini (si veda il §2.1 del presente capitolo).

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123

Conclusioni

Il presente elaborato si propone come un’analisi delle opportunità offerte da

strategie innovative locali di gestione condivisa dell’urban commons alla

riappropriazione, rigenerazione e trasmissione vitale del patrimonio culturale

italiano. A tal fine, sono stati perseguiti tre obiettivi:

• costruire un set di strumenti teorici validi ad affrontare proficuamente i

dilemmi sociali sollevati dalle problematiche gestionali inerenti i beni comuni

nello specifico contesto italiano;

• elaborare un campo semantico per il cultural heritage utile ad integrare la

prospettiva internazionale con lo specifico tessuto culturale italiano e tale da

fornire un ancoraggio teorico sostanziale alla qualificazione del patrimonio

culturale come commons;

• evidenziare le potenzialità, in termini di salvaguardia e conservazione vitale

del cultural heritage, offerte da strategie di gestione dell’urban commons

improntate all’economia della condivisione e alla collaborazione civica tra

cittadini attivi e amministrazione locale.

L’analisi di tre esperienze italiane locali di cura, gestione e rigenerazione dei beni

comuni urbani – la campagna di crowdfunding civico Un passo per San Luca, la

collaborazione tra il Comune di Milano e la piattaforma Eppela per il supporto di

progetti innovativi ad alto impatto sociale e l’implementazione dei patti di

collaborazione tra cittadini e amministrazione nel Comune di Bologna – ha

evidenziato le opportunità che tali strategie innovative, elaborate nel contesto

dell’economia della condivisione e della collaborazione civica per i beni comuni,

offrono per una riappropriazione vitale del patrimonio culturale, qualificato nel suo

complesso come “bene comune”, da parte della comunità di riferimento. In

particolare, gli interventi analizzati hanno mostrato di poter contribuire alla

salvaguardia o trasmissione vitale del cultural heritage su tre livelli:

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124

• il rafforzamento dei legami di comunità sottesi ad ogni processo di

appropriazione, significazione e rigenerazione del patrimonio culturale da

parte della heritage community;

• la legittimazione di tali processi di appropriazione culturale da parte della

comunità, attraverso la partecipazione attiva dell’attore amministrativo e

delle istituzioni, luogo privilegiato di mediazione ed elaborazione di significati

collettivi nella sfera pubblica;

• la rigenerazione del legame tra patrimonio culturale e comunità attraverso

interventi che prevedono la partecipazione diretta e attiva dei cittadini alla

gestione dell’heritage commons.

Si vuole concludere questo contributo con una citazione tratta dalle riflessioni di

Stefano Rodotà sul legame tra solidarietà e azione per i beni comuni, utile a

evidenziare come attraverso le nozioni di responsabilità, azione, legame sociale si

possano configurare modi nuovi, fondati sull’essere-in-comune, di guardare al

patrimonio culturale:

La parola riscoperta questa volta è «azione popolare». Insidiata dall’interesse privato, e trascurata dai soggetti pubblici, la tutela di beni rilevanti per la collettività viene affidata anche all’iniziativa di cittadini attivi, che agiscono proprio in spirito di solidarietà per assicurare a ogni altro, nel presente e nel futuro, la possibilità concreta di godere di un determinato bene. Ambiente e paesaggio trovano così un difensore collettivo, che può essere incarnato anche da chi non abbia con il bene considerato nessun rapporto di immediatezza, ne viva lontano, non sia spinto da alcun interesse a goderne personalmente. Il fatto che un bene possa essere qualificato «comune» porta con sé la possibilità che comune e solidale sia la sua tutela attraverso una molteplicità di strumenti che vengono sempre più largamente messi a punto. Se alcuni beni vengono classificati come «patrimonio dell’umanità», la loro tutela deve essere assicurata dall’umanità stessa, concretamente espressa dall’agire delle persone che la compongono.274

274 S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Bari, Laterza, 2016.

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125

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er l

a d

iffu

sio

ne

di

info

rmaz

ion

i e

co

no

scen

za,

no

nch

é p

er la

par

teci

paz

ion

e al

le a

ttiv

ità

pro

mo

sse

dal

net

wo

rk.

Alle

stim

ento

di l

abo

rato

ri,

cors

i di f

orm

azio

ne

ed e

ven

ti

all'i

nte

rno

deg

li sp

azi d

egli

asso

ciat

i.

15

.00

0€

1

00

%

63

0

C

ura

del

te

rrit

ori

o

Pat

rim

on

io

cult

ura

le

inte

grat

o

IV

Ch

ild E

xplo

rer

Att

ivaz

ion

e d

i sp

erim

enta

zio

ne

gra

tuit

a n

elle

scu

ole

del

se

rviz

io-p

iatt

afo

rma

Ch

ild E

xplo

rer

che

tien

e in

co

nta

tto

fa

mig

lie,

bam

bin

i e

ac

com

pag

nat

ori

at

trav

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tr

e

stru

me

nti

: u

no

sm

artw

atch

ch

e co

nse

nte

al

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bin

o d

i co

nta

ttar

e i

gen

ito

ri,

no

nch

é

a q

ues

ti

ult

imi

di

con

tro

llarn

e la

p

osi

zio

ne

– m

edia

nte

il

pro

pri

o

smar

tph

on

e –

e l’a

ttiv

ità

fisi

ca s

volt

a; u

n’a

pp

licaz

ion

e ch

e co

nse

nte

ai

gen

ito

ri d

i se

guir

e gl

i sp

ost

ame

nti

de

l b

amb

ino

; u

na

tecn

olo

gia

di g

amif

icat

ion

ch

e st

imo

lerà

i

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bin

i al

m

ovi

men

to

attr

ave

rso

“p

erco

rsi”

e

ri

com

pen

se v

irtu

ali.

La p

iatt

afo

rma

è ap

erta

an

che

ad

acco

mp

agn

ato

ri e

car

egiv

er.

10

.00

0€

1

00

%

42

1

So

cial

e C

om

un

ità

Facc

iam

o la

fes

ta a

lla

maf

ia

Rea

lizza

zio

ne

del

G

iard

ino

A

cco

glie

nte

area

ve

rde

at

trez

zata

per

att

ivit

à la

bo

rato

rial

i, fe

ste,

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imaz

ion

i, co

nce

rti

ed e

ven

ti –

nei

ter

ren

ti d

i p

erti

nen

za d

i C

asa

Ch

iara

valle

, im

mo

bile

co

nfi

scat

o a

lla m

afia

.

98

.00

0€

1

00

%

87

4

C

ura

del

te

rrit

ori

o

Pat

rim

on

io

cult

ura

le

inte

grat

o

Il C

anti

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l’Ort

ica

Rea

lizza

zio

ne

di

un

o

spaz

io

ded

icat

o

alla

sp

erim

enta

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ne

arti

stic

a, i

n g

rad

o a

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e d

i o

ffri

re a

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sti

emer

gen

ti

serv

izi

pro

fess

ion

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(cre

azio

ne

e

gest

ion

e si

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rnet

e

soci

al

net

wo

rk,

stru

ttu

re

pro

fess

ion

ali p

er r

egis

traz

ion

i au

dio

e v

ideo

).

44

.88

0€

1

00

%

39

1

C

reat

iva

Pat

rim

on

io

cult

ura

le

inte

grat

o

Gli

altr

i sia

mo

no

i R

ealiz

zazi

on

e d

i la

bo

rato

ri c

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bin

i e

gio

van

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er

racc

ogl

iere

il

loro

co

ntr

ibu

to

su

argo

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qu

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mig

razi

on

e, g

en

ere

e o

rien

tam

ento

ses

sual

e, d

isab

ilità

al

20

.00

0€

1

00

%

13

1

4

Soci

ale

Co

mu

nit

à

Page 146: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

1

fin

e d

i ri

elab

ora

re e

rin

no

vare

la m

ost

ra “

Gli

altr

i sia

mo

n

oi”

.

Ni&

No

– N

ipo

ti,

no

nn

i e v

icev

ersa

Att

ivaz

ion

e d

i du

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age

per

la g

est

ion

e d

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fu

nzi

on

i di

mar

keti

ng

e co

mu

nic

azio

ne

per

la p

iatt

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rma

Ni&

No

, la

qu

ale

ha

lo s

cop

o d

i avv

icin

are

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ner

azio

ni

– n

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e n

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att

rave

rso

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cam

bio

di p

icco

le p

rest

azio

ni d

i la

voro

occ

asio

nal

e o

di v

olo

nta

riat

o.

2.3

00

31

%

33

1

So

cial

e C

om

un

ità

Va

lori

med

i -

Tota

li -

Cas

i di s

ucc

esso

-

Cas

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nsu

cces

so

- C

asi d

i mag

gio

re s

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(n

um

ero

ba

cker

s su

per

iore

al v

alo

re m

ed

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ei c

asi d

i su

cces

so)

- C

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i mag

gio

re in

succ

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(n

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ba

cker

s in

feri

ore

al v

alo

re m

edio

dei

cas

i d

i in

succ

esso

)

3

6.9

07

41

.06

4€

3

.65

0€

49

.66

0€

5.0

00

9

1%

1

00

%

16

,5%

10

0%

2%

9

1,6

7

10

0,6

3

20

18

5,5

7

2

,27

2

,5

0,5

1,7

5

0

- -

Freq

uen

ze r

ela

tive

per

fin

alit

à p

reva

len

te

- So

cial

e -

Cre

ativ

a -

Cu

ra d

el t

erri

tori

o

- -

- -

0

,55

56

0

,11

11

0

,33

33

-

Freq

uen

ze r

ela

tive

per

po

sizi

on

e n

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mat

rice

di v

alu

tazi

on

e

- C

om

un

ità

- P

atri

mo

nio

cu

ltu

rale

inte

grat

o

-

- -

- -

0

,55

56

0

,44

44

Page 147: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

2

Ap

pen

dic

e II

I pa

tti d

i co

llab

ora

zio

ne

a B

olo

gn

a

Ti

tolo

Si

nte

si a

ttiv

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Iniz

io

Fin

e

Fin

alit

à p

reva

len

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Ben

i cu

ltu

rali

e p

aesa

ggis

tici

ri

con

osc

iuti

Po

sizi

on

e n

ella

m

atri

ce d

i va

luta

zio

ne

1

Am

plia

me

nto

del

l'are

a sg

amb

atu

ra

can

i all'

inte

rno

del

gia

rdin

o G

. G

ran

di –

Qu

arti

ere

Nav

ile

Am

plia

me

nto

d

i u

lter

iori

6

00

mq

d

ell'a

rea

sgam

bat

ura

can

i all'

inte

rno

del

gia

rdin

o G

. G

ran

di

(via

Sh

akes

pea

re).

1

4/1

0/2

01

6

31

/03

/20

17

C

ura

del

te

rrit

ori

o

P

atri

mo

nio

cu

ltu

rale

inte

grat

o

2

Art

e p

ub

blic

a p

arte

cip

ata

sull'

are

a m

ilita

re e

x C

ase

rma

San

i -

Qu

arti

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Nav

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Ric

erca

sto

rica

su

ll'ar

ea, i

nd

agin

e e

ric

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su

gli e

x ab

itan

ti

del

le

case

rme

(m

ilita

ri

e fa

mig

lie),

su

i la

vora

tori

del

le a

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ind

ust

rial

i ad

iace

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e s

ulle

m

od

alit

à co

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ui

gli

abit

anti

del

qu

arti

ere

si s

on

o

rela

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nat

i co

n

il lu

ogo

. In

dag

ine

sui

po

ssib

ili

abit

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ab

usi

vi d

el

luo

go.

Co

invo

lgim

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del

le

asso

ciaz

ion

i ch

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occ

up

ano

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l’are

a e

aper

tura

di

un

blo

g co

me

regi

stro

dei

lav

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. A

l te

rmin

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el

lavo

ro t

utt

o i

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iale

rac

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o s

arà

con

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ato

in

un

pic

colo

arc

hiv

io m

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a d

isp

osi

zio

ne

del

la

citt

adin

anza

, in

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un

a p

ub

blic

azio

ne

che

do

cum

enti

il p

roge

tto

.

18

/10

/20

16

0

1/0

6/2

01

7

Cu

ltu

rale

Ben

e ar

chit

etto

nic

o d

i in

tere

sse

cult

ura

le

dic

hia

rato

(2

98

68

27

).

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

3

Att

ivit

à d

i cu

ra d

el t

erri

tori

o e

del

la

com

un

ità

– Q

uar

tier

e Sa

ven

a

Il C

entr

o C

ult

ura

le S

po

rtiv

o S

an R

afel

eff

ettu

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vità

d

i cu

ra

e tu

tela

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el

terr

ito

rio

tr

amit

e

l'im

peg

o d

i vo

lon

tari

. 2

8/1

0/2

01

6

30

/04

/20

18

C

ura

del

te

rrit

ori

o

P

atri

mo

nio

cu

ltu

rale

inte

grat

o

4

Att

ivit

à d

i pro

mo

zio

ne

alla

lett

ura

e

all'i

ncl

usi

on

e so

cial

e n

elle

b

iblio

tech

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L'A

sso

ciaz

ion

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pri

mo

nd

o

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imp

egn

a p

er

lo

svilu

pp

o,

l'in

clu

sio

ne

soci

ale,

la

pro

mo

zio

ne

del

la

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ura

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fo

rmaz

ion

e d

ei c

itta

din

i per

l'ac

cess

o a

i se

rviz

i, n

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iblio

tech

e

del

l'Ist

itu

zio

ne

Bib

liote

che

del

Co

mu

ne

di B

olo

gna.

23

/03

/20

17

0

1/0

6/2

02

0

Soci

ale

C

om

un

ità

5

Bo

logn

a C

ittà

Ap

erta

: Par

co d

ella

M

on

tagn

ola

cro

cevi

a in

terc

ult

ura

le

e m

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igen

eraz

ion

ale

- B

ene

Co

mu

ne

Val

ori

zzaz

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el

par

co

del

la

Mo

nta

gno

la,

pro

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ssa

dal

Co

mu

ne

in c

olla

bo

razi

on

e co

n A

RC

I, A

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nia

no

e

asso

ciaz

ion

e Se

nti

eri

di

Lib

ertà

at

trav

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la

re

aliz

zazi

on

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i at

tivi

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ura

li,

lud

ico

-ric

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ive,

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isti

che,

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igia

nal

i, ed

uca

tive

e

form

ativ

e an

che

di c

arat

tere

sto

rico

e c

ivic

o.

07

/12

/20

16

3

1/1

0/2

01

7

Cu

ltu

rale

Par

co d

i in

tere

sse

cult

ura

le

dic

hia

rato

(1

46

63

35

)

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

Page 148: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

3

6

Cit

tad

ini v

olo

nta

ri p

er l'

aper

tura

e

la c

hiu

sura

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iard

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Qu

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San

to S

tefa

no

I ci

ttad

ini

pro

po

nen

ti

si

off

ron

o,

a ti

tolo

d

i vo

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tari

ato

, di o

ccu

par

si d

egli

inte

rven

ti d

i mic

ro-

pu

lizia

in

tegr

ativ

a d

elle

ar

ee

verd

i “L

avin

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Fon

tan

a” e

“Sa

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Ter

esa

Ver

zeri

” d

i p

rop

riet

à co

mu

nal

e si

tuat

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erri

tori

o d

el Q

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tier

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nto

St

efan

o,

con

fin

alit

à d

i cu

ra i

nte

grat

iva.

In

olt

re s

i o

ccu

per

ann

o a

nch

e d

ell'a

per

tura

e d

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ch

iusu

ra

dei

can

celli

di

acce

sso

, al

lo s

cop

o d

i co

nse

nti

re l

a fr

uib

ilità

di d

ette

are

e n

elle

ore

di a

per

tura

.

19

/01

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

7

Clo

wn

in c

ors

ia, u

na

mis

sio

ne

di

gio

ia -

Qu

arti

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Po

rto

-Sar

ago

zza

L'as

soci

azio

ne

VIP

V

ivia

mo

in

p

osi

tivo

h

a so

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scri

tto

un

pat

to d

i co

llab

ora

zio

ne

fin

aliz

zato

al

la

real

izza

zio

ne

di

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vità

gr

atu

ite

di

clo

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-te

rap

ia

pre

sso

gl

i o

spe

dal

i, tr

a cu

i l'O

sped

ale

Mag

gio

re,

le s

tru

ttu

re r

esid

en

zial

i p

er a

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ani,

i ce

ntr

i diu

rni e

le s

cuo

le d

el Q

uar

tier

e e

del

la c

ittà

.

20

/01

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

8

Co

rrid

oio

cic

lo-e

co-o

rtiv

o –

Q

uar

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e Sa

n D

on

ato

-San

Vit

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La

Co

op

erat

iva

Eta

Bet

a ef

fett

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à in

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enti

m

irat

i su

ter

ren

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spaz

i in

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i ch

e si

est

end

on

o

lun

go il

per

cors

o c

he

colle

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Dis

tret

to R

ove

ri e

la

Stru

ttu

ra d

i via

Bat

tira

me.

Gli

spaz

i in

colt

i ver

ran

no

tr

asfo

rmat

i in

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azi v

erd

i fu

nzi

on

ali e

al d

iffo

nd

ersi

d

i alc

un

e sp

ecie

di i

nse

tti e

pia

nte

uti

li. U

na

par

te

dei

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rren

i ve

rrà

des

tin

ata

ad o

rti

soci

ali

pe

r la

ci

ttad

inan

za e

un

'alt

ra d

esti

nat

a al

la p

rod

uzi

on

e d

i ve

rdu

ra e

gra

min

acee

an

tich

e. I

ter

ren

i co

mu

nal

i ve

rran

no

tra

sfo

rmat

i in

sp

azi o

rtiv

i, ca

mp

i agr

ico

li p

rod

utt

ivi

e si

d

ote

ran

no

d

i in

fras

tru

ttu

re

nec

essa

rie

alla

co

ltiv

azio

ne

con

fin

i p

rod

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ivi

e so

cial

i (i

mp

ian

ti d

i ir

riga

zio

ne,

rec

inzi

on

i, ca

sett

e p

er

gli

attr

ezzi

, b

agn

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ne

cop

erte

co

mu

ni)

n

on

ché

alla

sp

erim

enta

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ne

di

nu

ovi

mo

del

li d

i in

clu

sio

ne

soci

ale

02

/11

/20

16

2

4/1

0/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

9

Cu

ra d

i qu

attr

o f

orm

elle

per

al

ber

atu

re s

itu

ate

in v

ia B

igar

i ne

i p

ress

i de

l civ

ico

9 -

Qu

arti

ere

N

avile

Un

ci

ttad

ino

at

tivo

h

a so

tto

scri

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u

n

pat

to

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colla

bo

razi

on

e ch

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reve

de

l'att

ivit

à d

i cu

ra

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o fo

rmel

le p

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atu

re s

itu

ate

in v

ia B

igar

i n

ei p

ress

i de

l civ

ico

9.

22

/03

/20

17

1

3/0

4/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

10

C

ura

e m

anu

ten

zio

ne

del

Gia

rdin

o

Gar

ibal

di,

in v

ia In

dip

end

enza

Qu

arti

ere

San

to S

tefa

no

Cu

ra

e m

anu

ten

zio

ne

del

gi

ard

ino

d

a p

arte

d

i C

AM

ST s

oc.

co

op

. A.r

.l. e

Gru

pp

o Z

anh

ote

l.

16

/11

/20

16

3

1/1

2/2

01

9

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 149: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

4

11

C

ura

e m

anu

ten

zio

ne

del

Gia

rdin

o

Ro

sa P

arks

– Q

uar

tier

e Sa

ven

a Tu

tela

igie

nic

a in

tegr

ativ

a e

sen

sib

ilizz

azio

ne

del

la

citt

adin

anza

su

l tem

a.

13

/10

/20

16

3

1/0

7/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

12

C

ura

e m

anu

ten

zio

ne

del

P

arco

scen

ico

pre

sso

Vill

a A

nge

lett

i –

Qu

arti

ere

Nav

ile

L'as

soci

azio

ne

Vit

ruvi

o e

ffet

tuer

à la

man

ute

nzi

on

e

ord

inar

ia d

ell'a

rea

e d

elle

op

ere

di p

erti

nen

za d

ella

ca

vea

des

tin

ata

a sp

ett

aco

li d

eno

min

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“Par

cosc

enic

o”

pre

sso

il

par

co d

i V

illa

An

gele

tti,

inte

gran

do

gli

stan

dar

d m

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ten

tivi

gar

anti

ti d

al

Co

mu

ne

al f

ine

di m

iglio

rarn

e la

fru

ibili

tà.

22

/06

/20

17

0

1/0

6/2

02

0

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

13

C

ura

e m

anu

ten

zio

ne

di d

ue

aiu

ole

in

via

Alg

ard

i n. 1

3 –

Qu

arti

ere

Nav

ile

Il ci

ttad

ino

ch

e h

a so

tto

scri

tto

il

pat

to

di

colla

bo

razi

on

e ef

fett

uer

à at

tivi

di

cura

e

man

ute

nzi

on

e d

i d

ue

pic

cole

aiu

ole

po

ste

into

rno

ag

li al

be

ri a

ll'al

tezz

a d

el c

ivic

o 1

3 d

i via

Alg

ard

i.

21

/06

/20

17

3

1/0

5/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

14

C

ura

e r

igen

era

zio

ne

aree

ort

ive

“Man

dri

oli”

e “

Cas

erm

e R

oss

e” -

Qu

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ere

Nav

ile

Il C

entr

o

Soci

ale

Mo

nta

nar

i, tr

amit

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pro

pri

vo

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tari

, ef

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uer

à la

man

ute

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on

e d

egl

i o

rti

Man

dri

oli

e C

aser

me

Ro

sse.

2

6/0

6/2

01

7

31

/12

/20

17

C

ura

del

te

rrit

ori

o

P

atri

mo

nio

cu

ltu

rale

inte

grat

o

15

C

ura

e r

igen

era

zio

ne

be

ni c

om

un

i A

sso

ciaz

ion

e G

en

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ri R

agaz

zi

Do

wn

– Q

uar

tier

e Sa

nto

Ste

fan

o

L'A

sso

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ion

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RD

, in

co

eren

za c

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la

pro

pri

a vo

cazi

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e te

sa

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in

izia

tive

at

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a p

rom

uo

vere

l'in

tegr

azio

ne

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cial

e d

elle

pe

rso

ne

co

n l

a si

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rom

e d

i D

ow

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egli

amb

ien

ti d

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ta e

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scu

ola

, in

ten

de

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izza

re a

ttiv

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di

cura

e

pic

cola

tu

tela

igi

en

ica

di

are

e ve

rdi

del

Qu

arti

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Sa

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St

efan

o

in

par

tico

lare

d

el

“Gia

rdin

o

del

B

arac

can

o”,

e s

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pp

are

l'att

ivit

à d

i co

ro,

esit

o d

i u

na

colla

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razi

on

e co

n i

l D

ipar

tim

ento

di

salu

te

men

tale

di B

olo

gna.

22

/03

/20

17

3

0/0

6/2

01

8

Soci

ale

C

om

un

ità

16

D

al d

isag

io a

ll'ag

io “

Vad

o a

nch

'io in

va

can

za”

- Q

uar

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e P

ort

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Sara

gozz

a

Pro

gett

o c

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lo

sco

po

di o

ffri

re s

ost

egn

o e

d a

iuto

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bam

bin

i e

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iglie

ch

e vi

von

o

situ

azio

ni

di

dif

fico

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soci

ale.

La

fin

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à è

di d

are

evid

enza

alla

q

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ità

e al

val

ore

del

la r

esp

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sab

ilità

so

cial

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el

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bo

rare

in r

ete,

in u

n p

erco

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di s

uss

idia

riet

à ci

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lare

po

nen

do

in e

sser

e az

ion

i ch

e cr

ein

o a

gio

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iglie

in

d

iffi

colt

à,

off

ren

do

ai

b

amb

ini

occ

asio

ni d

i so

cial

izza

zio

ne

e d

i sva

go.

28

/06

/20

17

3

0/0

6/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

17

D

eco

riam

o u

n m

uro

al P

aleo

tto

-

Qu

arti

ere

Save

na

L'A

sso

ciaz

ion

e A

rea

Ort

iva

Pal

eott

o

con

la

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llab

ora

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ne

del

Li

ceo

ar

tist

ico

F.

A

rcan

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in

ten

de

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rizz

are

i m

uri

es

tern

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ell'e

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icio

si

tuat

o

pre

sso

il

Pal

eott

o.

I m

ura

les

sara

nn

o

real

izza

ti

dag

li st

ud

en

ti

del

Li

ceo

A

rtis

tico

“F

.

11

/07

/20

17

1

7/1

0/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 150: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

5

Arc

ange

li”

(in

dir

izzo

Fi

gura

tivo

Pit

tura

) ch

e

par

teci

per

ann

o

atti

vam

ente

si

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ella

fa

se

pro

gett

ual

e si

a in

qu

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ese

cuti

va,

in u

n'o

ttic

a d

i la

voro

di r

ete

tran

sge

ner

azio

nal

e.

18

Free

Gap

ser

vizi

o d

i aiu

to r

ivo

lto

ai

gio

cato

ri d

'azz

ard

o p

ato

logi

ci e

d a

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ro f

amili

ari -

Qu

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Po

rto

-Sa

rago

zza

La C

oo

per

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a O

pen

Gro

up

in

ten

de

svilu

pp

are

il

pro

gett

o

“Fre

eGap

”,

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van

do

u

no

sp

ort

ello

ri

volt

o a

i gi

oca

tori

d’a

zzar

do

pat

olo

gici

e a

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ro

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iliar

i, co

n a

ttiv

ità

grat

uit

a d

i co

lloq

ui

psi

co-

edu

cati

vi,

di

gru

pp

i te

rap

euti

ci,

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tuto

rin

g fi

nan

ziar

io e

di s

ost

egn

o a

lla f

amig

lia d

el g

ioca

tore

p

rob

lem

atic

o.

08

/02

/20

17

3

1/0

7/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

19

G

esti

on

e d

ei c

amp

i sp

ort

ivi s

itu

ati

pre

sso

i G

iard

ini M

argh

erit

a –

Qu

arti

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San

to S

tefa

no

L'A

sso

ciaz

ion

e Sp

ort

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Dile

ttan

tist

ica

Bas

ket

Gia

rdin

i M

argh

erit

a si

o

ccu

pe

rà,

a ti

tolo

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i vo

lon

tari

ato

, d

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ge

stio

ne

de

i ca

mp

i sp

ort

ivi

all'a

per

to

e

del

le

stru

ttu

re

e

attr

ezza

ture

d

i p

erti

nen

za,

situ

ati

all'i

nte

rno

d

ei

Gia

rdin

i M

argh

erit

a.

09

/03

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Cu

ltu

rale

Gia

rdin

o d

i in

tere

sse

cult

ura

le

no

n v

erif

icat

o

(15

80

48

).

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

20

Il

Gal

lo d

a Tr

e it

iner

ante

– T

orn

eo

d

i bas

ket

in p

ied

i e in

car

rozz

ina

– Q

uar

tier

e P

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o-S

arag

ozz

a

L'A

sso

ciaz

ion

e R

ico

tta

real

izze

il p

roge

tto

“I

l G

allo

da

Tre

itin

eran

te -

to

rneo

di b

aske

t in

pie

di e

in

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rozz

ina”

, p

refi

ggen

do

si i

seg

ue

nti

ob

iett

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pro

mu

ove

re

l'in

clu

sio

ne

soci

ale

, ri

qu

alif

icar

e e

valo

rizz

are

gli

spaz

i ve

rdi

com

e lu

ogh

i d

i so

cial

izza

zio

ne,

co

ntr

asta

re

il d

egra

do

co

n

il co

invo

lgim

ento

d

ella

ci

ttad

inan

za

atti

va,

crea

re

un

a re

te n

ell'

ott

ica

di p

roge

ttu

alit

à p

er il

ter

rito

rio

e

la c

om

un

ità

e fa

vori

re la

pra

tica

del

lo s

po

rt q

ual

e st

rum

en

to d

i agg

rega

zio

ne

e b

en

esse

re.

23

/05

/20

17

1

7/0

7/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

21

Il

giar

din

o p

oliv

alen

te –

Qu

arti

ere

Save

na

Il C

entr

o

Soci

ale

Fosc

her

ara

svo

lger

à at

tivi

inte

grat

iva

di

man

ten

ime

nto

, cu

ra

e m

iglio

ram

ento

del

gia

rdin

o p

ub

blic

o c

olle

gato

alla

st

rutt

ura

del

cen

tro

ste

sso

e s

ito

tra

via

Gia

nn

on

e

e vi

a A

bb

a. L

a fi

nal

ità

pri

nci

pal

e d

el

pro

gett

o è

q

uel

la

di

ren

der

e m

aggi

orm

ente

fr

uib

ile

l'are

a,

esse

nd

o m

olt

o f

req

uen

tata

sia

dag

li ab

itan

ti d

ella

zo

na

che

dai

so

ci d

el c

entr

o s

oci

ale.

Du

ran

te i

l p

erio

do

est

ivo

, in

olt

re,

si s

volg

erà

un

a ra

sseg

na

teat

rale

in

co

llab

ora

zio

ne

con

l'A

sso

ciaz

ion

e

23

/06

/20

17

3

1/1

0/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 151: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

6

Cu

ltu

rale

“Il

Teat

ro d

ei 2

5”,

ch

e tr

asfo

rmer

à il

giar

din

o in

un

o s

paz

io s

cen

ico

.

22

In

segn

amen

to d

ella

lin

gua

ital

ian

a ag

li u

ten

ti d

el C

en

tro

Inte

rcu

ltu

rale

Zo

nar

elli

Un

gru

pp

o d

i cit

tad

ini q

ual

ific

ati,

in a

cco

rdo

co

n il

C

entr

o Z

on

arel

li ch

e p

reve

de

l'in

segn

ame

nto

del

la

lingu

a it

alia

na

a p

erso

ne

di o

rigi

ne

stra

nie

ra t

ra le

at

tivi

pri

ori

tari

e,

ha

sott

osc

ritt

o

un

p

atto

d

i co

llab

ora

zio

ne

iner

en

te a

tal

e p

rio

rità

.

22

/06

/20

17

0

2/0

5/2

01

8

Soci

ale

C

om

un

ità

23

In

terv

en

ti d

i cu

ra, m

anu

ten

zio

ne

e tu

tela

igie

nic

a d

el C

entr

o C

ivic

o W

. M

ich

elin

i – Q

uar

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e N

avile

Il ti

tola

re d

el “

Bar

Caf

fett

eri

a d

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entr

o”

ub

icat

o

all'i

nte

rno

del

Cen

tro

Civ

ico

“W

. M

ich

elin

i” s

ito

in

via

Go

rki,

ha

pro

po

sto

di e

ffet

tuar

e at

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tà d

i cu

ra,

man

ute

nzi

on

e e

tute

la i

gien

ica

del

Ce

ntr

o C

ivic

o

stes

so.

10

/07

/20

17

2

7/0

6/2

01

8

Soci

ale

C

om

un

ità

24

In

terv

en

ti d

i cu

ra, m

anu

ten

zio

ne

e tu

tela

igie

nic

a d

i are

e ve

rdi –

Q

uar

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e B

org

o P

anig

ale-

Re

no

L'A

sso

ciaz

ion

e G

rup

po

P

rim

aver

a ef

fett

uer

à at

tivi

tà d

i p

uliz

ia e

man

ute

nzi

on

e in

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ee v

erd

i co

nco

rdat

e co

n l

'Am

min

istr

azio

ne,

in

par

tico

lare

d

ell'a

rea

verd

e d

en

om

inat

a gi

ard

ino

Po

pie

lusz

ko

in v

ia N

orm

and

ia e

de

l gi

ard

ino

pro

spic

ien

te i

l C

entr

o

Civ

ico

in

vi

a M

arco

Em

ilio

Le

pid

o

25

, in

tegr

and

o g

li st

and

ard

man

ute

nti

vi g

aran

titi

dal

C

om

un

e al

fin

e d

i m

iglio

rarn

e la

viv

ibili

e la

fr

uib

ilità

.

19

/01

/20

17

3

1/1

2/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

25

In

terv

en

ti d

i pu

lizia

del

le b

asi d

elle

to

rri G

aris

en

da

e A

sin

elli

Rim

ozi

on

e e

dis

erb

o d

ella

veg

etaz

ion

e in

fest

ante

co

n p

rod

ott

i an

tive

geta

tivi

bio

logi

ci d

alle

bas

i del

le

torr

i Gar

ise

nd

a e

Asi

nel

li.

13

/10

/20

16

2

9/0

9/2

01

7

Cu

ltu

rale

Ben

i arc

hit

etto

nic

i d

i in

tere

sse

cult

ura

le

dic

hia

rato

(2

73

32

6; 7

11

78

2).

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

26

In

terv

en

ti d

i pu

lizia

inte

grat

iva

e p

icco

la m

anu

ten

zio

ne

del

ve

rde

– Q

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e Sa

nto

Ste

fan

o

L'A

sso

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ion

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hiu

si F

uo

ri,

tram

ite

l'au

silio

dei

su

oi

asso

ciat

i, ef

fett

uer

à l'a

ttiv

ità

di

pu

lizia

e

m

anu

ten

zio

ne

del

ve

rde

nel

le

segu

en

ti

zon

e:

Qu

arti

ere

Sa

nto

St

efan

o;

Qu

arti

ere

Bo

rgo

P

anig

ale–

Re

no

.

04

/04

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

27

In

terv

en

ti d

i sis

tem

azio

ne

di u

na

po

rzio

ne

del

Par

co Z

ucc

a –

Qu

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Nav

ile

I vo

lon

tari

d

el

Cen

tro

C

ivic

o

Mo

nta

nar

i ef

fett

ue

ran

no

la

vori

d

i ri

mo

zio

ne

del

le

par

ti

sco

nn

esse

e r

ipid

e d

el t

erre

no

de

l par

co Z

ucc

a.

06

/04

/20

17

0

6/0

6/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

28

In

terv

en

ti p

er la

rig

ene

razi

on

e d

i b

eni c

om

un

i urb

ani –

Qu

arti

ere

San

to S

tefa

no

L'Is

titu

to

Co

mp

ren

sivo

1

9,

inte

nd

e re

aliz

zare

n

ell'a

rea

est

ern

a p

ort

icat

a d

i p

erti

nen

za

del

la

scu

ola

se

con

dar

ia

di

pri

mo

gr

ado

“L

avin

ia

Fon

tan

a” a

ttiv

ità

di

giar

din

aggi

o c

on

gli

alu

nn

i, in

19

/01

/20

17

3

0/0

6/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 152: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

7

par

tico

lar

mo

do

qu

elli

dis

abili

, gl

i in

segn

anti

e i

ge

nit

ori

al

fin

e d

i p

rom

uo

vere

in

terv

en

ti d

i cu

ra,

rige

ner

azio

ne,

ab

bel

limen

to e

pro

mo

zio

ne

del

la

crea

tivi

tà,

favo

ren

do

l'a

ggre

gazi

on

e e

la

par

teci

paz

ion

e.

29

In

terv

en

ti r

imo

zio

ne

graf

fiti

e

tute

la a

rea

verd

e B

arac

can

o –

Q

uar

tier

e Sa

nto

Ste

fan

o

L'A

sso

ciaz

ion

e C

ult

ura

le

Bar

acca

no

in

ten

de

ef

fett

uar

e, a

tit

olo

di

volo

nta

riat

o,

atti

vità

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cura

e

riq

ual

ific

azio

ne

di

alcu

ne

are

e d

el

Qu

arti

ere

p

ross

ime

alla

pro

pri

a se

de.

07

/04

/20

17

3

1/1

2/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

30

Inte

rve

nti

so

cio

-ass

iste

nzi

ali a

fa

vore

del

la p

op

ola

zio

ne

anzi

ana

in

con

diz

ion

i di d

isag

io e

con

om

ico

Qu

arti

ere

San

to S

tefa

no

L'A

sso

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ion

e P

rofu

tura

si i

mp

egn

a n

ell'o

ffer

ta d

i so

steg

ni,

ausi

li,

farm

aci

che

con

sen

tan

o

alla

p

op

ola

zio

ne

anzi

ana

ind

igen

te d

i p

ote

r vi

vere

al

pro

pri

o

do

mic

ilio

in

au

ton

om

ia,

sicu

rezz

a e

in

pie

na

dig

nit

à.

13

/01

/20

17

3

1/1

2/2

01

9

Soci

ale

C

om

un

ità

31

Inte

rve

nti

so

cio

-ass

iste

nzi

ali a

fa

vore

del

la p

op

ola

zio

ne

in

con

diz

ion

i di d

isag

io e

con

om

ico

-

Qu

arti

ere

San

to S

tefa

no

L'A

sso

ciaz

ion

e O

per

a P

ia i

l P

ane

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San

t'A

nto

nti

o,

in

coer

enza

co

n

la

pro

pri

a vo

cazi

on

e,

inte

nd

e re

aliz

zare

u

na

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vità

d

i so

ste

gno

p

er

per

son

e p

reva

len

tem

en

te

anzi

ane

e

in

con

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ion

e d

i d

isag

io

eco

no

mic

o,

tram

ite

la

crea

zio

ne

di

un

p

un

to d

i dis

trib

uzi

on

e d

i alim

enti

.

16

/05

/20

17

3

1/1

2/2

01

9

Soci

ale

C

om

un

ità

32

Inte

rve

nto

di c

ura

e r

ige

ner

azio

ne

del

lo s

paz

io e

ster

no

del

le s

cuo

le

Mo

ran

di -

Qu

arti

ere

Bo

rgo

P

anig

ale-

Ren

o

Il C

om

itat

o

Gen

ito

ri

eseg

uir

à la

vori

d

i m

anu

ten

zio

ne

inte

grat

iva

deg

li ar

red

i del

gia

rdin

o

(co

n e

sclu

sio

ne

del

le s

tru

ttu

re l

ud

ich

e e

gin

nic

he)

d

ella

scu

ola

del

l'in

fan

zia

Gio

rgio

Mo

ran

di.

23

/06

/20

17

3

1/0

7/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

33

In

terv

en

to d

i riq

ual

ific

azio

ne

del

l'ed

ific

io s

ito

in v

ia d

el

Lazz

aret

to 1

1 –

Qu

arti

ere

Nav

ile

Inte

rve

nto

di

riq

ual

ific

azio

ne

e ge

stio

ne

co

nd

ivis

a d

ell'e

dif

icio

co

n

il co

invo

lgim

ento

e

la

colla

bo

razi

on

e at

tiva

del

le f

amig

lie c

he

vi a

bit

ano

. L'

idea

pre

ved

e, a

llo s

tess

o t

emp

o l

a p

rom

ozi

on

e d

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cre

ativ

ità

urb

ana

e la

par

teci

paz

ion

e at

tiva

al

la v

ita

del

la c

om

un

ità

citt

adin

a. S

i rea

lizze

rà, c

on

la

par

teci

paz

ion

e d

ei b

amb

ini,

del

le l

oro

fam

iglie

ed

il

sup

po

rto

d

el

Co

llett

ivo

d

i ar

tist

i FX

, ri

dip

inge

re,

colo

rare

e

dec

ora

re

l'ed

ific

io

di

pro

pri

età

del

Co

mu

ne

di

Bo

logn

a, e

in

par

tico

lare

re

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zare

u

n'o

per

a m

ura

ria

di

arte

p

ub

blic

a e

co

nd

ivis

a fa

tta

da

e p

er l

e p

erso

ne.

Rea

lizza

re

du

nq

ue

un

'esp

erie

nza

di

arte

pe

r il

soci

ale

in c

ui

edu

cazi

on

e,

med

iazi

on

e e

co

mu

nic

azio

ne

18

/10

/20

16

3

1/1

2/2

01

6

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 153: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

8

attr

aver

so

l'art

e

urb

ana

di

stra

da

po

rtin

o

alla

co

nq

uis

ta d

i un

a co

nsa

pev

ole

zza

crit

ica

deg

li sp

azi

urb

ani.

34

Ir

ma

Ban

die

ra M

emo

ria

Re

sist

en

za

e St

reet

Art

– Q

uar

tier

e P

ort

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Sara

gozz

a

L'as

soci

azio

ne

Ch

eap

co

n

la

colla

bo

razi

on

e d

ell'I

stit

uto

Co

mp

ren

sivo

8,

pro

po

ne

un

a az

ion

e vo

lta

a ri

qu

alif

icar

e la

fa

ccia

ta

del

le

scu

ole

B

om

bic

ci,

stim

ola

re

il se

nso

ci

vico

n

elle

n

uo

ve

gen

era

zio

ni,

edu

care

al r

isp

etto

e a

lla c

ura

dei

ben

i co

mu

ni

e d

ella

rig

en

eraz

ion

e u

rban

a, d

iffo

nd

ere

i va

lori

del

la R

esis

ten

za e

pro

mu

ove

re l

a m

emo

ria

sto

rica

.

12

/04

/20

17

3

0/0

4/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

35

Ju

mp

in' C

ross

– Q

uar

tier

e Sa

n

Do

nat

o-S

an V

ital

e

L'as

soci

azio

ne

AIC

S si

im

pe

gna

nel

l'uti

lizzo

co

stru

ttiv

o d

el P

arko

ur,

are

a re

aliz

zata

nel

l'am

bit

o

del

p

roge

tto

“B

ella

Fu

ori

3

” fi

nan

ziat

o

dal

la

Fon

daz

ion

e d

el

Mo

nte

, n

on

ché

a sv

olg

ere

in

terv

en

ti d

i p

icco

la m

anu

ten

zio

ne

e p

uliz

ia p

er

con

sen

tire

ai

gio

van

i d

el

terr

ito

rio

la

pra

tica

del

P

arko

ur

in u

n p

arco

att

rezz

ato

, in

co

nd

izio

ni

di

sicu

rezz

a cr

ean

do

op

po

rtu

nit

à va

lide

rivo

lte

alla

ci

ttad

inan

za.

16

/02

/20

17

1

3/0

2/2

02

1

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

36

K

it c

om

ple

ann

o it

iner

ante

Qu

arti

ere

Po

rto

-Sar

ago

zza

l gr

up

po

in

form

ale

di

citt

adin

i d

eno

min

ato

M

amm

aBo

pro

mu

ove

i se

gue

nti

ob

iett

ivi:

-

risp

on

der

e a

d u

n b

iso

gno

co

ncr

eto

, q

uel

lo d

i p

ote

r re

aliz

zare

all'

aper

to f

este

di c

om

ple

ann

o

neg

li sp

azi v

erd

i lim

itro

fi a

lla p

rop

ria

abit

azio

ne

e

sen

za s

pe

se a

ggiu

nti

ve d

i af

fitt

o d

i lo

cali

(si

inte

nd

e c

he

par

te d

el

kit,

po

ssa

serv

ire

an

che,

in

occ

asio

ne

di

fest

e d

i q

uar

tier

e o

eve

nti

di

uti

lità

soci

ale,

a

tutt

e le

as

soci

azio

ni

di

volo

nta

riat

o c

he

ne

abb

ian

o b

iso

gno

);

- co

ntr

asta

re i

l d

egra

do

co

n i

l co

invo

lgim

ento

d

ella

cit

tad

inan

za a

ttiv

a e

stim

ola

nd

o il

ris

pet

to

del

lo

spaz

io

com

un

e,

con

az

ion

i d

i p

uliz

ia

pre

ven

tiva

e s

ucc

essi

va a

llo s

volg

imen

to d

elle

fe

ste

per

cu

i si u

tiliz

zi il

kit

; -

valo

rizz

are

i par

chi e

gli

spaz

i ve

rdi,

com

e lu

ogh

i d

i co

nvi

vial

ità

pri

vile

giat

a.

07

/04

/20

17

3

1/1

0/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

Page 154: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

14

9

37

La

pia

zza

è il

no

stro

gia

rdin

o –

Q

uar

tier

e Sa

n D

on

ato

-San

Vit

ale

L'as

soci

azio

ne

Gra

f in

ten

de

crea

re u

na

cen

tral

ità

soci

ale

e cu

ltu

rale

, fr

utt

o d

i u

na

pro

gram

maz

ion

e co

nd

ivis

a tr

a i

citt

adin

i, il

Qu

arti

ere

San

Do

nat

o-

San

V

ital

e

e

Cit

tad

inan

za

atti

va

che

insi

ste

su

pia

zza

Spad

olin

i.

17

/03

/20

17

3

1/1

2/2

01

9

Soci

ale

C

om

un

ità

38

La

Sto

ria

Del

le N

ost

re S

tori

e –

Qu

arti

ere

Nav

ile

Pro

gett

o d

i ca

ratt

ere

soci

ale

rivo

lto

agl

i an

zian

i p

rom

oss

o

dal

C

entr

o

Soci

ale

K

atia

B

erta

si

e

con

div

iso

co

n i

serv

izi s

oci

ali d

el Q

uar

tier

e N

avile

. 2

4/1

1/2

01

6

31

/12

/20

16

So

cial

e

Co

mu

nit

à

39

La

bo

rato

ri e

d o

rti a

Vill

a P

ugl

ioli

- Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Si i

nte

nd

e p

rose

guir

e l'a

ttiv

ità

di

cura

e t

ute

la

del

l'are

a d

egli

anti

chi

ort

i d

i V

illa

Pu

glio

li e

d

ann

essa

vig

na,

po

sti n

el p

arco

di

San

Pel

legr

ino

, e

dar

e co

nti

nu

ità

al p

roge

tto

"La

bo

rato

ri e

d o

rti

a V

illa

Pu

glio

li" e

d a

l su

cces

sivo

"A

i tr

ecen

to s

calin

i 2

01

5",

fin

aliz

zati

alla

riv

ital

izza

zio

ne

de

ll'ar

ea e

al

mig

liora

men

to

de

lla

fru

ibili

da

par

te

del

la

citt

adin

anza

.

13

/10

/20

16

3

1/1

2/2

01

6

Cu

ltu

rale

Ben

e ar

chit

etto

nic

o d

i in

tere

sse

cult

ura

le

dic

hia

rato

(4

06

70

7).

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

40

Le

Jar

din

De

La P

aix

– Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Il p

roge

tto

“Le

Jard

in d

e la

Pai

x: s

paz

io p

er r

elaz

ion

i tr

a p

erso

ne

”,

si

inse

risc

e co

me

amp

liam

ento

d

ell'a

ttiv

ità

che

l'Ass

oci

azio

ne

Iust

a R

es, i

n o

ttic

a d

i la

voro

di

com

un

ità

svo

lge

in a

mb

ito

so

cial

e, e

d è

ri

volt

o

a gi

ova

ni

in

situ

azio

ni

di

dif

fico

ltà,

in

ab

ban

do

no

sc

ola

stic

o,

con

si

tuaz

ion

i fa

mili

ari

dif

fici

li, s

egu

iti

dal

ce

ntr

o d

i G

iust

izia

Min

ori

le e

co

n p

rob

lem

i di i

nte

graz

ion

e.

14

/12

/20

16

3

1/0

7/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

41

Le

ttu

re a

nim

ate

pe

r b

amb

ini –

Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Lett

ure

an

imat

e e

lab

ora

tori

pe

r b

amb

ini p

ress

o la

B

iblio

teca

San

Mat

tia,

sit

a in

via

S.

Isai

a n

. 2

0/b

, al

lo

sco

po

d

i fa

vori

re

l'asp

etto

im

mag

inat

ivo

e

crea

tivo

su

scit

ato

da

qu

esta

att

ivit

à.

06

/03

/20

17

3

1/0

5/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

42

M

anu

ten

zio

ne

area

ver

de

via

Spar

taco

– v

ia d

el P

arco

- Q

uar

tie

re

San

Do

nat

o-S

an V

ital

e

La S

oci

al S

tre

et "

Via

Sp

arta

co e

din

torn

i",

inte

nd

e

effe

ttu

are

at

tivi

di

cura

, m

anu

ten

zio

ne

inte

grat

iva

e t

ute

la ig

ien

ica

de

ll'ar

ea v

erd

e si

ta t

ra

via

Spar

taco

e

via

del

P

arco

, in

tegr

and

o

gli

stan

dar

d m

anu

ten

tivi

gar

anti

ti d

al C

om

un

e al

fin

e d

i mig

liora

rne

la v

ivib

ilità

e la

fru

ibili

tà.

13

/06

/20

17

3

1/1

2/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

43

M

anu

ten

zio

ne

del

le p

aret

i ad

iace

nti

alla

via

Vac

caro

-

Qu

arti

ere

Bo

rgo

Pan

igal

e-R

en

o

Uti

lizzo

del

le p

aret

i d

ei p

ilon

i ad

iace

nti

la

pis

ta

cicl

abile

d

i vi

a V

acca

ro

per

la

re

aliz

zazi

on

e d

i d

eco

razi

on

i m

ura

li, c

on

la

po

ssib

ilità

di

uti

lizza

re

tale

are

a p

er e

ffet

tuar

e n

uo

ve o

per

e o

rit

occ

hi

di

13

/10

/20

16

3

1/1

2/2

01

6

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 155: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

15

0

dec

ora

zio

ni

esis

ten

ti,

e sf

rutt

and

o l

'are

a st

ess

a an

che

com

e o

pp

ort

un

ità

di

aggr

egaz

ion

e p

er

i ra

gazz

i ch

e si

vo

glio

no

cim

enta

re in

tal

e d

isci

plin

a.

44

Man

ute

nzi

on

e e

tute

la ig

ien

ica

del

l'are

a an

tist

ante

l'in

gres

so d

el

Teat

ro S

an L

eon

ard

o -

Qu

arti

ere

San

to S

tefa

no

L'A

sso

ciaz

ion

e P

ierr

ot

Lun

aire

ef

fett

uer

à la

m

anu

ten

zio

ne

del

l'are

a an

tist

ante

l'in

gre

sso

del

la

ex C

hie

sa S

an L

eon

ard

o, o

ra T

eatr

o S

an L

eon

ard

o,

per

po

tern

e ri

pri

stin

are

l'uti

lizzo

, la

sic

ure

zza

e la

fr

uib

ilità

, ap

ren

do

co

nse

gue

nte

men

te

un

a "f

ines

tra"

su

l Te

atro

ch

e o

ffri

rà u

na

visu

ale

vers

o

l'in

tern

o a

i cit

tad

ini.

16

/05

/20

17

0

9/1

1/2

02

0

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

45

M

anu

ten

zio

ne

e tu

tela

igie

nic

a d

ell'a

rea

verd

e d

i via

Mar

co C

elio

Qu

arti

ere

Bo

rgo

Pan

igal

e-R

en

o

Il ci

ttad

ino

p

rop

on

ente

ch

e si

p

ren

der

à cu

ra

del

l'are

a,

effe

ttu

erà

la

segu

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at

tivi

tà:

tute

la

igie

nic

a in

tegr

ativ

a d

ell'a

rea

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e e

del

le s

up

erfi

ci

pav

imen

tate

; se

nsi

bili

zzaz

ion

e d

ella

cit

tad

inan

za

al r

isp

etto

del

le d

isp

osi

zio

ni

rela

tive

alla

co

rret

ta

fru

izio

ne

del

le a

ree

verd

i; se

gnal

azio

ne

tem

pes

tiva

al

Co

mu

ne

del

le s

itu

azio

ni

di

dan

neg

giam

ento

-

per

ico

lo, a

tti d

i van

dal

ism

o (

anch

e gr

afic

o),

gu

asti

, m

alfu

nzi

on

amen

ti

o

no

n

uti

lizza

bili

di

arre

di,

risc

on

trat

e n

ello

svo

lgim

en

to d

elle

att

ivit

à d

i cu

i ai

pu

nti

pre

ced

en

ti.

01

/09

/20

16

3

1/1

2/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

46

Man

ute

nzi

on

e e

tute

la ig

ien

ica

inte

grat

iva

del

l'are

a ve

rde

situ

ata

in v

ia S

cip

ion

e D

al F

erro

6-8

-10

-

Qu

arti

ere

San

Do

nat

o-S

an V

ital

e

Un

gr

up

po

d

i co

nd

om

ini

volo

nta

ri,

inte

nd

e ef

fett

uar

e la

cu

ra

e la

p

icco

la

tute

la

igie

nic

a d

ell'a

rea

verd

e lim

itro

fa a

l pro

pri

o c

on

do

min

io s

ito

in

via

Sci

pio

ne

Dal

Fer

ro 6

-8-1

0.

27

/01

/20

17

3

1/1

2/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

47

M

anu

ten

zio

ne

ord

inar

ia e

tu

tela

ig

ien

ica

del

par

co d

ei C

ed

ri –

Q

uar

tier

e Sa

ven

a

Un

gr

up

po

d

i ci

ttad

ini

si

imp

egn

erà

nel

la

man

ute

nzi

on

e o

rdin

aria

e n

ella

tu

tela

igi

enic

a d

i u

na

po

rzio

ne

de

l par

co d

ei C

edri

, dal

la v

ia C

raco

via

al

torr

ente

Sa

ven

a,

inte

gran

do

gl

i st

and

ard

m

anu

ten

tivi

ga

ran

titi

d

al

Co

mu

ne

al

fin

e d

i m

iglio

rarn

e la

viv

ibili

tà e

la f

ruib

ilità

.

23

/03

/20

17

3

0/0

4/2

01

8

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

48

M

anu

ten

zio

ne

ord

inar

ia e

tu

tela

ig

ien

ica

di u

na

po

rzio

ne

de

l Par

co

Cas

erm

e R

oss

e -

Qu

arti

ere

Nav

ile

L'A

sso

ciaz

ion

e C

ort

icel

la F

oo

tBal

l sv

olg

erà

atti

vità

d

i cu

ra e

man

ute

nzi

on

e d

el p

arco

Cas

erm

e R

oss

e al

fin

e d

i mig

liora

rne

la v

ivib

ilità

e la

fru

ibili

tà.

14

/04

/20

17

3

1/1

0/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

49

M

ens

san

a in

co

rpo

re s

ano

? -

Qu

arti

ere

Save

na

L'A

sso

ciaz

ion

e Se

len

ite

inte

nd

e co

invo

lger

e i

raga

zzi

che

freq

uen

tan

o i

l C

AV

Sav

ena

in d

iver

se

atti

vità

su

i te

mi

del

l'alim

enta

zio

ne,

d

ell'e

du

cazi

on

e am

bie

nta

le e

del

l'igi

ene,

tra

mit

e la

22

/02

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

Page 156: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

15

1

crea

zio

ne

di

lab

ora

tori

su

lle

corr

ette

m

od

alit

à al

imen

tari

-igi

en

ich

e,

sulla

m

anu

ten

zio

ne

e cu

ra

del

l'ort

o

sito

in

vi

a Lo

mb

ard

ia

36

, e

sulla

p

roge

ttaz

ion

e d

i u

n a

rre

do

urb

ano

sem

plic

e m

a fr

uib

ile

ed

acco

glie

nte

n

ell'a

rea

verd

e at

tigu

a al

l'ort

o.

50

M

icro

pu

lizia

e m

on

ito

ragg

io d

el

van

dal

ism

o g

rafi

co z

on

a C

iren

aica

-

Qu

arti

ere

San

Do

nat

o-S

an V

ital

e

Att

ivit

à d

i tu

tela

igi

enic

a e

pu

lizia

in

tegr

ativ

a e

u

tiliz

zo

del

le

nu

ove

te

cno

logi

e

di

segn

alaz

ion

e

rifi

uti

. M

on

ito

ragg

io d

el v

and

alis

mo

gra

fico

co

n

do

cum

enta

zio

ne

top

ogr

afic

a.

13

/10

/20

16

0

7/0

9/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

51

M

ura

le a

lla s

cuo

la p

er l'

infa

nzi

a "S

avio

2"

- Q

uar

tier

e Sa

ven

a

Rea

lizza

zio

ne

di

un

mu

rale

su

lla p

aret

e es

tern

a d

ella

scu

ola

del

l'in

fan

zia

Savi

o 2

al f

ine

di r

end

ere

p

bel

la

e ri

con

osc

ibile

l'e

ntr

ata

del

se

rviz

io

edu

cati

vo

rivo

lto

ai

b

amb

ini

di

3-6

an

ni.

La

dec

ora

zio

ne

del

la p

aret

e, in

olt

re,

off

re a

i bam

bin

i la

po

ssib

ilità

di v

iver

e es

per

ien

ze c

reat

ive

di g

ioco

e

soci

alit

à al

l'ap

erto

n

el

segn

o

del

l'ou

tdo

or

edu

cati

on

.

21

/10

/20

16

3

1/1

2/2

01

6

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

52

M

ura

le a

lle S

cuo

le R

occ

a –

Qu

arti

ere

San

Do

nat

o-S

an V

ital

e

Rea

lizza

zio

ne

del

m

ura

le

pre

sso

la

sc

uo

la

del

l'in

fan

zia

Ro

cca.

Ver

rà r

ealiz

zato

su

un

mu

ro

este

rno

at

trav

erso

la

co

llab

ora

zio

ne

di

un

vo

lon

tari

o.

24

/11

/20

16

3

1/1

2/2

01

6

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

53

N

idi d

i no

te –

Qu

arti

ere

Save

na

Qu

arti

ere

Bo

rgo

Pan

igal

e-R

en

o

Even

ti

arti

stic

i d

i va

len

za

cult

ura

le

volt

i al

la

pro

mo

zio

ne

del

la

crea

tivi

urb

ana.

Il

pro

gett

o

per

segu

e d

ue

ob

iett

ivi:

la s

ensi

bili

zzaz

ion

e d

egli

adu

lti

(ed

uca

tori

, in

segn

anti

, ge

nit

ori

) su

ll'im

po

rtan

za d

ell'e

du

cazi

on

e m

usi

cale

fin

dai

p

rim

i an

ni d

i vit

a d

ei b

amb

ini,

e la

rea

lizza

zio

ne

di

per

cors

i d

i in

tro

du

zio

ne

alla

mu

sica

nei

nid

i, n

elle

sc

uo

le d

ell'i

nfa

nzi

a e

nel

la s

cuo

la p

rim

aria

.

13

/03

/20

17

3

0/0

6/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

54

N

o t

ag P

ort

o S

arag

ozz

a –

Qu

arti

ere

P

ort

o-S

arag

ozz

a

Il gr

up

po

di

citt

adin

i “N

o T

ag P

ort

-Sar

ago

zza”

e i

l C

om

itat

o p

er i

l re

stau

ro d

el P

ort

ico

di

San

Lu

ca s

i so

no

at

tiva

ti

per

la

re

aliz

zazi

on

e d

i at

tivi

fin

aliz

zate

alla

cu

ra e

alla

riq

ual

ific

azio

ne

del

le a

ree

o

su

pe

rfic

i in

tere

ssat

e d

a va

nd

alis

mo

gra

fico

. Nel

lo

spec

ific

o

l’att

ivit

à ri

guar

da

la

rim

ozi

on

e d

el

van

dal

ism

o g

rafi

co e

il

rip

rist

ino

del

co

lore

del

la

11

/04

/20

17

3

1/0

1/2

01

8

Cu

ltu

rale

Ben

e ar

chit

etto

nic

o d

i in

tere

sse

cult

ura

le

no

n v

erif

icat

o

(59

74

31

).

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

Page 157: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

15

2

sup

erf

icie

mu

rari

a d

egli

edif

ici-

po

rtic

i, in

acc

ord

o

con

la S

op

rin

ten

den

za.

55

N

od

o d

i in

ters

cam

bio

H.U

.B. "

Ho

tta

Un

der

gro

un

d B

ase"

Azi

on

i ch

e ga

ran

tisc

ano

sp

azi

cult

ura

li,

di

form

azio

ne,

in

form

azio

ne,

ag

greg

azio

ne

e p

roge

ttaz

ion

e a

cost

o z

ero

, an

che

in r

acco

rdo

co

n

il Q

uar

tier

e N

avile

, al

fin

e d

i off

rire

op

po

rtu

nit

à d

i cr

esci

ta e

di c

oes

ion

e so

cial

e.

14

/10

/20

16

3

0/0

9/2

01

9

Soci

ale

C

om

un

ità

56

P

atto

qu

adro

per

la r

ealiz

zazi

on

e d

i in

terv

en

ti d

i cit

tad

inan

za a

ttiv

a -

20

17

- A

sso

ciaz

ion

e A

gesc

i Bo

logn

a

Il p

rese

nte

pat

to d

eno

min

ato

“p

atto

qu

adro

”, h

a lo

sco

po

di

def

inir

e le

co

nd

izio

ni

gen

eral

i e

le

mo

dal

ità

di

colla

bo

razi

on

e tr

a il

Co

mu

ne

e

l'Ass

oci

azio

ne

per

la

re

aliz

zazi

on

e,

med

ian

te

l'im

pie

go d

i vo

lon

tari

, di a

ttiv

ità

e in

terv

en

ti d

i cu

ra

e ri

gen

eraz

ion

e d

ei b

eni

com

un

i, ch

e an

dra

nn

o d

i vo

lta

in v

olt

a co

nco

rdat

i co

n i

terr

ito

ri c

oin

volt

i. In

p

arti

cola

re,

l'Ass

oci

azio

ne,

nel

le s

ue

arti

cola

zio

ni

sul t

err

ito

rio

, po

trà:

-

pre

sen

tare

pro

po

ste

sp

on

tan

ee d

a d

efin

ire

in

co

pro

gett

azio

ne;

-

risp

on

der

e a

solle

cita

zio

ni g

en

eric

he

o r

ich

iest

e sp

ecif

ich

e d

ell'A

mm

inis

traz

ion

e.

21

/07

/20

17

2

4/0

7/2

02

0

-

-

57

P

er u

na

Cas

aral

ta p

iù p

ulit

a:

pro

gett

o d

i co

mu

nic

azio

ne

- Q

uar

tier

e N

avile

L'as

soci

azio

ne

Cas

aral

ta p

rom

uo

ve u

na

cam

pag

na

di c

om

un

icaz

ion

e al

fin

e d

i sen

sib

ilizz

are

i cit

tad

ini

sul t

ema

de

lla c

ura

del

ter

rito

rio

, in

vita

nd

oli

a n

on

ab

ban

do

nar

e i

rifi

uti

, le

d

eie

zio

ni

can

ine

ed

i

mo

zzic

on

i di s

igar

etta

ne

lle a

ree

verd

i pu

bb

lich

e.

19

/01

/20

17

3

0/0

6/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

58

Pia

nta

la!

Inte

rven

ti d

i cu

ra,

man

ute

nzi

on

e e

tute

la ig

ien

ica

del

le a

iuo

le d

i via

Mo

nte

llo, v

ia

Asi

ago

e v

ia M

on

ten

ero

– Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Att

ivit

à d

i cu

ra,

rige

ner

azio

ne

e ri

qu

alif

icaz

ion

e d

i ai

uo

le e

fo

rmel

le s

ite

in v

ia M

on

tello

, vi

a C

ol

di

Lan

a fr

on

te c

ivic

i n.9

e n

.11

di v

ia M

on

tello

, an

golo

vi

a M

on

tello

- v

ia M

on

ten

ero

fro

nte

civ

ico

n.

16

, an

golo

via

Asi

ago

- v

ia M

on

ten

ero

fro

nte

civ

ici n

.1

e n

. 2 d

i via

Asi

ago

.

13

/10

/20

16

3

1/1

2/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

59

P

icco

li gu

fi a

l Nid

o -

Qu

arti

ere

Bo

rgo

Pan

igal

e-R

eno

Il C

entr

o S

oci

ale

Ric

reat

ivo

Cu

ltu

rale

San

ta V

iola

e

il C

om

itat

o d

i Ges

tio

ne

del

Nid

o F

ava

real

izze

ran

no

u

n m

ura

les

den

om

inat

o “

I pic

coli

gufi

al n

ido

” su

lla

par

ete

este

rna

del

nid

o d

'Infa

nzi

a “F

ava”

sit

o in

via

d

el

Gia

cin

to

42

, al

fi

ne

di

ren

der

e p

bel

la

e ri

con

osc

ibile

l'en

trat

a d

el s

ervi

zio

ed

uca

tivo

.

24

/05

/20

17

3

1/0

7/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 158: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

15

3

60

Pre

nd

iam

oci

cu

ra d

ella

Cit

tà,

real

izza

zio

ne

di i

nte

rven

ti d

i ri

mo

zio

ne

graf

fiti

– Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Il Li

on

s C

lub

Bo

logn

a e

alcu

ni

Isti

tuti

sco

last

ici

de

l te

rrit

ori

o

han

no

so

tto

scri

tto

u

n

pat

to

di

colla

bo

razi

on

e co

n

il p

rin

cip

ale

ob

iett

ivo

d

i af

ferm

are

la c

ult

ura

dei

be

ni c

om

un

i nel

le g

iova

ni

gen

era

zio

ni,

e d

i val

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zzar

e l'i

mp

egn

o d

elle

scu

ole

at

trav

erso

: -

atti

vità

di r

imo

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ne

del

van

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ism

o g

rafi

co e

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rip

rist

ino

d

el

colo

re

del

la

sup

erf

icie

m

ura

ria

deg

li ed

ific

i;

- in

con

tri

intr

od

utt

ivi

ne

lle

clas

si,

can

tier

i "s

cuo

la"

pe

r in

segn

are

ag

li st

ud

en

ti

com

e in

terv

en

ire

mat

eria

lme

nte

.

09

/02

/20

17

3

0/0

6/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

61

P

roge

tto

di s

ost

egn

o s

cola

stic

o a

gli

alu

nn

i str

anie

ri d

elle

scu

ole

del

Q

uar

tier

e Sa

ven

a

Att

ivit

à so

cio

ass

iste

nzi

ali

rivo

lte

alla

po

po

lazi

on

e d

el

Qu

arti

ere

Save

na

e at

tivi

di

sost

egn

o

all'a

lfab

etiz

zazi

on

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i bam

bin

i im

mig

rati

. L'a

ttiv

ità

verr

à sv

olt

a m

edia

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l'im

pie

go d

i vo

lon

tari

e i

n

colla

bo

razi

on

e co

n le

scu

ole

del

Qu

arti

ere.

26

/10

/20

16

1

5/0

9/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

62

P

ron

to s

occ

ors

o le

gale

– Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Att

ivaz

ion

e d

i un

o s

po

rtel

lo d

i in

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azio

ne

lega

le

aper

to

a tu

tti,

inte

grat

o

da

un

fo

cus

sull'

amm

inis

traz

ion

e d

i so

steg

no

. 0

8/0

2/2

01

7

31

/07

/20

17

So

cial

e

Co

mu

nit

à

63

Rea

lizza

zio

ne

di d

eco

razi

on

i mu

rali

del

le p

aret

i del

cav

alca

via

di v

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Vac

caro

- Q

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e B

org

o P

anig

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Ren

o

L'as

soci

azio

ne

Bo

rgo

mo

nd

o

si

imp

egn

a ad

ef

fett

uar

e a

ttiv

ità

di

cura

, m

anu

ten

zio

ne

e tu

tela

ig

ien

ica

nel

p

rose

guim

en

to

del

l'att

ivit

à d

i d

eco

razi

on

i m

ura

li d

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p

aret

i d

ei

pilo

ni

del

ca

valc

avia

di

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Cas

teld

eb

ole

e v

ia d

i V

acca

ro,

inte

gran

do

gli

stan

dar

d m

anu

ten

tivi

gar

anti

ti d

al

Co

mu

ne

al f

ine

di

mig

liora

rne

la v

ivib

ilità

e

la

fru

ibili

tà.

06

/02

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

64

R

ealiz

zazi

on

e d

i in

terv

enti

di

geo

refe

ren

zazi

on

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i per

cors

i e

trac

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i di i

nte

ress

e tu

rist

ico

Geo

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ren

ziaz

ion

e d

i p

erco

rsi

e

trac

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i d

i in

tere

sse

turi

stic

o

che

nec

essi

tin

o

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ag

gio

rnam

ento

ca

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graf

ico

al

fi

ne

di

imp

lem

en

tare

un

sis

tem

a in

form

ativ

o d

igit

ale.

13

/10

/20

16

0

8/0

9/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

65

R

ealiz

zazi

on

e d

i un

'op

era

arti

stic

a p

er la

pro

mo

zio

ne

de

l tra

spo

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p

ub

blic

o -

Qu

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ere

Nav

ile

L'as

soci

azio

ne

Art

ecit

real

izze

un

'op

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stic

a p

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pro

mu

ove

re

il tr

asp

ort

o

pu

bb

lico

p

ress

o l

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uo

ve g

en

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ion

i e

rico

rdar

ne

la s

tori

a p

iù c

he

cen

ten

aria

.

07

/12

/20

16

3

0/0

6/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 159: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

15

4

66

R

ifac

imen

to d

el b

agn

o p

ub

blic

o d

el

par

co d

ei G

iard

ini –

Qu

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Nav

ile

Ris

tru

ttu

razi

on

e d

el b

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o p

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o a

ll'in

tern

o d

el

par

co d

ei G

iard

ini,

da

par

te d

ell'a

sso

ciaz

ion

e C

a'

Bu

ra.

11

/11

/20

16

3

1/1

2/2

01

6

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

67

R

igen

eraz

ion

e im

mo

bile

in v

ia

An

dre

a C

ost

a 1

69

- Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

Il p

atto

p

reve

de

la

rige

ner

azio

ne

e ge

stio

ne

co

nd

ivis

a d

ell'

imm

ob

ile s

itu

ato

in v

ia A

nd

rea

Co

sta

n.

16

9,

16

9 a

e 1

69

b,

e d

elle

are

e lim

itro

fe.

Si

pre

sen

ta

com

e co

nti

nu

azio

ne

d

el

pre

ced

ente

p

atto

di c

olla

bo

razi

on

e.

13

/10

/20

16

2

5/0

7/2

01

9

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

68

R

iqu

alif

icaz

ion

e e

cura

dei

ben

i u

rban

i via

Mas

care

lla 1

0 –

Q

uar

tier

e Sa

nto

Ste

fan

o

Un

cit

tad

ino

in

ten

de

real

izza

re a

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pri

e s

pes

e

l'in

stal

lazi

on

e d

i un

a p

anch

ina

pre

sso

il c

ivic

o 1

0 d

i vi

a M

asca

rella

, p

er v

alo

rizz

are

la c

ura

e g

esti

on

e d

ei p

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ici,

che

cost

itu

isce

un

ob

iett

ivo

pec

ulia

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del

la c

ittà

, an

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in r

elaz

ion

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idat

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de

l si

stem

a d

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po

rtic

i p

ress

o

l'UN

ESC

O

qu

ale

p

atri

mo

nio

cu

ltu

rale

del

l'um

anit

à.

20

/06

/20

17

3

1/1

2/2

02

1

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

69

R

iqu

alif

icaz

ion

e gi

ard

ini d

i pia

zza

Cav

ou

r

Co

nfc

om

mer

cio

Im

pre

se

per

l’I

talia

ef

fett

ue

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vità

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riq

ual

ific

azio

ne

del

gia

rdin

o d

i p

iazz

a C

avo

ur

no

nch

é sv

olg

ere

in

terv

enti

d

i p

icco

la

man

ute

nzi

on

e e

pu

lizia

inte

grat

iva.

14

/06

/20

17

3

1/1

2/2

01

9

Cu

ltu

rale

Ben

e ar

chit

etto

nic

o d

i in

tere

sse

cult

ura

le

no

n v

erif

icat

o

(16

91

30

).

Pat

rim

on

io

cult

ura

le t

ute

lato

70

R

iqu

alif

icaz

ion

e p

iazz

etta

Mo

ran

di -

Q

uar

tier

e Sa

nto

Ste

fan

o

Un

gru

pp

o d

i cit

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ini i

nte

nd

e re

aliz

zare

att

ivit

à d

i cu

ra

inte

grat

iva

e ri

qu

alif

icaz

ion

e d

ell'a

rea

del

Q

uar

tier

e

San

to

Stef

ano

d

en

om

inat

a p

iazz

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M

ora

nd

i al

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ne

di

mig

liora

rne

la

fr

uib

ilità

, la

vi

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ilità

e p

er v

alo

rizz

arn

e la

vo

cazi

on

e p

edo

nal

e.

26

/04

/20

17

3

1/1

2/2

02

1

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

71

S.

A.L

.T.O

. - S

po

rtel

lo A

icis

Per

Il

Lavo

ro E

Il T

alen

to O

per

ativ

o -

Q

uar

tier

e P

ort

o-S

arag

ozz

a

L'as

soci

azio

ne

A.I

.C.I

.S.

pre

sen

ta

un

o

spo

rtel

lo

grat

uit

o

per

o

ffri

re

un

so

steg

no

em

oti

vo

e u

n

sup

po

rto

op

erat

ivo

, al

fin

e d

i ai

uta

re a

su

per

are

i d

isag

i la

vora

tivi

d

i va

rio

ge

ner

e.

Le

atti

vità

p

rop

ost

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riv

olg

on

o a

ch

i ha

per

so o

sta

per

de

nd

o

la p

rop

ria

occ

up

azio

ne,

a c

hi è

alla

ric

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di p

rim

o

imp

iego

e

fati

ca

a tr

ova

rlo

, a

chi

si

tro

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in

situ

azio

ni

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vuln

erab

ilità

le

gate

a

pre

cari

e

con

diz

ion

i eco

no

mic

o p

rofe

ssio

nal

i

08

/02

/20

17

3

1/0

7/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

72

Sa

n D

on

ato

San

Vit

ale

Siam

o N

oi –

Q

uar

tier

e Sa

n D

on

ato

-San

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Even

ti c

ult

ura

li e

ricr

eati

vi e

azi

on

i di c

ura

e p

uliz

ia

inte

grat

iva

di

par

chi

ind

ivid

uat

i in

co

llab

ora

zio

ne

con

il Q

uar

tier

e.

19

/10

/20

16

0

1/0

9/2

01

7

Cu

ra d

el

terr

ito

rio

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

Page 160: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

15

5

73

Sm

AR

T Sc

uo

la 4

– Q

uar

tier

e Sa

n

Do

nat

o-S

an V

ital

e

L'as

soci

azio

ne

Vis

ual

i in

ten

de

effe

ttu

are

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rve

nti

ch

e re

spo

nsa

bili

zzin

o i

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bin

i n

ei c

on

fro

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del

lo

ro f

utu

ro i

n t

erm

ini

di

be

nes

sere

eco

logi

co e

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cial

e. L

e at

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tà a

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no

co

me

tem

a q

ue

llo d

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cu

ra d

egli

anim

ali

e l

a lo

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arti

cola

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un

zio

ne

le

gata

alla

so

sten

ibili

tà a

mb

ien

tale

(ap

i, lo

mb

rich

i, in

sett

i e a

nim

ali d

om

esti

ci).

19

/01

/20

17

3

0/0

6/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

74

SO

S G

iova

ni,

Spo

rtel

lo d

i asc

olt

o

per

gio

van

i ad

ult

i - Q

uar

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e P

ort

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Sara

gozz

a

L'as

soci

azio

ne

Incl

ud

end

o s

i è

po

sta

lo s

cop

o d

i cr

eare

un

o s

paz

io d

i as

colt

o e

di

acce

sso

gra

tuit

o

rivo

lto

a

gio

van

i ad

ult

i ch

e si

tr

ova

no

in

u

n

mo

men

to d

i d

iffi

colt

à p

erso

nal

e o

cri

si l

egat

a al

p

assa

ggio

dal

l'ad

ole

sce

nza

all'

età

adu

lta.

08

/02

/20

17

3

1/0

7/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

75

So

tto

Sop

ra a

rte

e la

bo

rato

ri –

Q

uar

tier

e Sa

ven

a

Pro

mo

zio

ne

del

l'in

clu

sio

ne

e d

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par

teci

paz

ion

e

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va d

egli

ado

lesc

en

ti a

ttra

vers

o a

ttiv

ità

lega

te a

l co

rpo

, all'

arte

urb

ana,

alla

dan

za, a

i lin

guag

gi d

ella

sc

ena

con

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po

ran

ea.

Pro

gett

o

des

tin

ato

ai

ra

gazz

i e

alle

ra

gazz

e re

sid

enti

n

el

Qu

arti

ere

Sa

ven

a d

i età

co

mp

resa

tra

gli

11

e i

18

an

ni.

22

/02

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Cre

ativ

a

Pat

rim

on

io

cult

ura

le in

tegr

ato

76

Sp

ort

ello

di m

edia

zio

ne

dei

co

nfl

itti

-

Qu

arti

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San

to S

tefa

no

L'as

soci

azio

ne

CIM

FM

Cen

tro

It

alia

no

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i M

edia

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ne

e Fo

rmaz

ion

e al

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Med

iazi

on

e,

pre

ster

à at

tivi

tà d

i co

nsu

len

za

ed a

ssis

ten

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ttad

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oss

ia l'

aper

tura

di u

n p

un

to d

i co

nsu

len

za

ed a

ssis

ten

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l q

ual

e ri

volg

ersi

qu

and

o s

i viv

e u

n

con

flit

to,

qu

and

o

è d

iffi

cile

co

mu

nic

are,

p

er

tras

form

are

il co

nfl

itto

in u

n r

app

ort

o n

uo

vo.

02

/02

/20

17

3

1/1

2/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

77

Sp

ort

ello

info

rmat

ivo

gra

tuit

o p

er

i d

istu

rbi s

pec

ific

i di a

pp

ren

dim

en

to

– Q

uar

tier

e Sa

ven

a

Spo

rtel

lo d

i in

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azio

ne

e d

i as

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o g

ratu

ito

su

i d

istu

rbi s

pec

ific

i di a

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ren

dim

en

to, p

ress

o il

pu

nto

d

i d

ocu

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tazi

on

e e

form

azio

ne

del

Q

uar

tier

e

Save

na

den

om

inat

o “

Ferm

o Im

mag

ine

”.

09

/11

/20

16

3

0/0

6/2

01

7

Soci

ale

C

om

un

ità

78

Sp

ort

ello

info

rmat

ivo

su

lle a

ttiv

ità

del

vo

lon

tari

ato

– Q

uar

tie

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15

6

79

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15

7

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15

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34

Page 164: Economie collaborative e beni comuni. Forme di ... · Lo sguardo filosofico: empatia, responsabilità, cura ... culturale, nonché per le specifiche problematiche inerenti il contesto

159

Ringraziamenti

I miei primi ringraziamenti vanno alla Professoressa Ivana Pais, relatrice di questa

tesi, e al Dott. Davide Arcidiacono, correlatore, per avermi dato la possibilità di

svolgere questo elaborato. Sono profondamente riconoscente in particolare alla

Professoressa Pais per i suoi preziosi insegnamenti nel corso di Accounting and

Fundraising e, soprattutto, per la grande disponibilità, pazienza e attenzione

dimostrata nel guidarmi e consigliarmi attraverso lo sviluppo di questo lavoro.

Ringrazio inoltre tutti i professori e i docenti del corso di laurea magistrale in

Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo, ai cui insegnamenti devo

le diverse competenze su cui ho potuto contare nella stesura del mio elaborato

finale.

Desidero ringraziare i miei genitori, il cui amore e costante esempio di umiltà e

impegno mi educa ogni giorno ad essere una persona e una cittadina migliore.

Ringrazio mia sorella Sara per esser stata sempre mio modello; per avermi sostenuta

e avermi insegnato a crescere e a superarmi continuamente – come ragazza, come

studentessa e come donna.

Ringrazio Lidia e Giulia per aver affrontato, pur nella distanza, questi anni insieme; e

ringrazio Erika, Marina e Martina per aver riempito questo percorso di gioia,

entusiasmo e calore.

Un grazie ben più grande di ogni parola va a Giulio, mio faro e mio compagno in ogni

cammino.

So long, and thanks for all the fish.