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1 ATTI DEGLI APOSTOLI INTRODUZIONE Gli Atti degli Apostoli raccontano la storia della Chiesa delle origini, dall’Ascensione del Signore (At 1, 6-11) all’arrivo di Paolo a Roma (28, 16-30). Il nucleo del racconto consiste nella lenta ma graduale diffusione del messaggio cristiano da Gerusalemme, a tutta la Palestina (“in tutta la Giudea e Samaria” 1,8), fino agli estremi confini della terra. L’annuncio, quindi, è rivolto prima agli ebrei, poi ai pagani. Nella prima parte degli Atti (nei primi 12 capitoli), il compito di estendere la fede al mondo ebraico è affidato a Pietro, che inizia da Gerusalemme, e continua poi in tutta la Palestina. Mentre la diffusione del Vangelo nel mondo greco-romano e l’annuncio ai pagani, seconda parte, (dal capitolo 13 fino alla fine) è affidato a Paolo, il quale continua l’opera avviata da Pietro e dai Dodici, in comunione con loro e per loro mandato. L’unanime tradizione cristiana a partire dalla metà del II secolo attribuisce l’opera a Luca, compagno di viaggio di Paolo, menzionato nell’epistolario paolino come «medico carissimo» (Col 4,14; cfr. Fm 24; 2Tm 4,11). Per questo la maggior parte degli studiosi è sempre stata incline a ravvisare in Luca quel misterioso personaggio che in alcune pagine degli Atti appare come testimone oculare degli avvenimenti che narra in prima persona (sono le cosiddette «sezioni noi»: At 16,10-17; 20,5-21; 27,1 - 28,16). Per quanto riguarda il tempo e il luogo di composizione non è possibile dire nulla di preciso, è certo soltanto che fu scritto non molto tempo dopo il vangelo. L’opinione più seguita colloca la data di composizione degli Atti intorno all’anno 80. Il racconto copre un trentennio delle origini cristiane, dal 30 d.C. anno in cui si colloca verosimilmente l’Ascensione, fin verso il 60 d.C. data probabile dell’arrivo di Paolo a Roma. Il libro si presenta come la continuazione di un’unica opera (Vangelo e Atti) dedicata alla stessa persona, l’«egregio Teofilo», la cui identità rimane a noi sconosciuta. Nella prima parte (Vangelo) Luca, narra la storia di Gesù e la sua attività cominciando dalla Galilea fino all’ascesa al cielo in Gerusalemme. Nella seconda ( Atti degli Apostoli), presenta l’origine e la diffusione della Chiesa da Gerusalemme fino a Roma, svelando così un disegno non soltanto geografico ma storico e teologico, che presenta il cammino della fede della Chiesa primitiva, che parte dal popolo d’Israele e raggiunge tutti i confini della terra. Il libro degli Atti proietta gli Apostoli nel “cenacolo della strada”, nel senso che la straordinaria vicenda di Gesù di Nazaret che ha sconvolto la loro esistenza, ora, con la sua risurrezione ed ascensione al cielo, li obbliga a ritornare in quella strada che è la vita di tutti i giorni, ma con una “novità” (il Vangelo), che deve ra ggiungere tutti gli uomini: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni” (Lc 24, 45-49). I. Contenuto e divisione. – Uno sguardo d’insieme al libro degli Atti mette subito il lettore davanti a una grande varietà di elementi: discorsi, sommari, episodi, descrizioni, racconti autobiografici («sezioni noi»), narrazioni di miracoli, contesti ebraici, ambienti giudeo-

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ATTI DEGLI APOSTOLI

INTRODUZIONE

Gli Atti degli Apostoli raccontano la storia della Chiesa delle origini, dall’Ascensione delSignore (At 1, 6-11) all’arrivo di Paolo a Roma (28, 16-30). Il nucleo del racconto consistenella lenta ma graduale diffusione del messaggio cristiano da Gerusalemme, a tutta laPalestina (“in tutta la Giudea e Samaria” 1,8), fino agli estremi confini della terra.L’annuncio, quindi, è rivolto prima agli ebrei, poi ai pagani.Nella prima parte degli Atti (nei primi 12 capitoli), il compito di estendere la fede al mondoebraico è affidato a Pietro, che inizia da Gerusalemme, e continua poi in tutta la Palestina.Mentre la diffusione del Vangelo nel mondo greco-romano e l’annuncio ai pagani, secondaparte, (dal capitolo 13 fino alla fine) è affidato a Paolo, il quale continua l’opera avviata daPietro e dai Dodici, in comunione con loro e per loro mandato.

L’unanime tradizione cristiana a partire dalla metà del II secolo attribuisce l’opera a Luca,compagno di viaggio di Paolo, menzionato nell’epistolario paolino come «medicocarissimo» (Col 4,14; cfr. Fm 24; 2Tm 4,11). Per questo la maggior parte degli studiosi èsempre stata incline a ravvisare in Luca quel misterioso personaggio che in alcune paginedegli Atti appare come testimone oculare degli avvenimenti che narra in prima persona(sono le cosiddette «sezioni noi»: At 16,10-17; 20,5-21; 27,1 - 28,16).

Per quanto riguarda il tempo e il luogo di composizione non è possibile dire nulla di preciso,è certo soltanto che fu scritto non molto tempo dopo il vangelo. L’opinione più seguitacolloca la data di composizione degli Atti intorno all’anno 80.Il racconto copre un trentennio delle origini cristiane, dal 30 d.C. anno in cui si collocaverosimilmente l’Ascensione, fin verso il 60 d.C. data probabile dell’arrivo di Paolo aRoma.

Il libro si presenta come la continuazione di un’unica opera (Vangelo e Atti) dedicata allastessa persona, l’«egregio Teofilo», la cui identità rimane a noi sconosciuta. Nella primaparte (Vangelo) Luca, narra la storia di Gesù e la sua attività cominciando dalla Galilea finoall’ascesa al cielo in Gerusalemme. Nella seconda (Atti degli Apostoli), presenta l’origine ela diffusione della Chiesa da Gerusalemme fino a Roma, svelando così un disegno nonsoltanto geografico ma storico e teologico, che presenta il cammino della fede della Chiesaprimitiva, che parte dal popolo d’Israele e raggiunge tutti i confini della terra.Il libro degli Atti proietta gli Apostoli nel “cenacolo della strada”, nel senso che lastraordinaria vicenda di Gesù di Nazaret che ha sconvolto la loro esistenza, ora, con la suarisurrezione ed ascensione al cielo, li obbliga a ritornare in quella strada che è la vita di tuttii giorni, ma con una “novità” (il Vangelo), che deve raggiungere tutti gli uomini: “Così stascritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome sarannopredicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando daGerusalemme. Di questo voi siete testimoni” (Lc 24, 45-49).

I. Contenuto e divisione. – Uno sguardo d’insieme al libro degli Atti mette subito il lettoredavanti a una grande varietà di elementi: discorsi, sommari, episodi, descrizioni, raccontiautobiografici («sezioni noi»), narrazioni di miracoli, contesti ebraici, ambienti giudeo-

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cristiani, situazioni tipicamente elleniche e romane, il tutto però tenuto insieme da undisegno unitario che sembra trovare ispirazione già nelle ultime parole che Gesù rivolge aidiscepoli prima dell’ascensione: «Riceverete da lui (lo Spirito Santo) la forza per essermitestimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea e la Samaria e fino all’estremità dellaterra» (At 1,8). Sulla scorta di questo annuncio la storia degli Atti viene disposta in modotale che al succedersi progressivo di fatti narrati secondo un l’itinerario geografico, sisovrapponga uno sviluppo dell’esperienza cristiana, che si svolge in varie fasi.- La una prima fase (cc. 1-7) è tutta localizzata a Gerusalemme, dove i cristiani, diestrazione ebraica, continuano a frequentare il tempio e ad osservare le prescrizionimosaiche,

- Una seconda fase intermedia (cc. 8-12), è localizzata prevalentemente in Samaria e nellaGiudea, nella quale si descrive l’estendersi del vangelo dagli Ebrei ai pagani secondo unchiaro disegno divino già manifestato a Israele,

- Nella terza fase (cc. 13-28), si descrive l’operato missionario di Paolo e la vita delleChiese fuori della Palestina, formate da cristiani che non si sentono più legati alle pratichegiudaiche.

Come si vede, storia e teologia si intrecciano e i fatti contengono tutti un significatoteologico che li collega a un disegno divino. In questa prospettiva sono da leggersi tutti gliepisodi maggiori degli Atti. Ostacoli, prigionie e persecuzioni non impediscono alla piccolacomunità dei discepoli di espandersi sotto la guida dello Spirito, anzi si rivelano come unfattore scatenante. Il piano di Dio, adombrato già nelle Scritture antiche, si compienonostante gli impedimenti degli uomini, anzi, paradossalmente, grazie ad essi la «parola»si diffonde, cresce il numero dei credenti, la Chiesa si edifica in Israele e tra i pagani, e lapredicazione del vangelo raggiunge finalmente Roma, dove il vangelo di Gesù Cristo vieneannunciato «con piena libertà e senza ostacoli»: questa è l’ultima parola (e il traguardofinale) con la quale termina il libro degli Atti (28,31).

II. Composizione e stile. - L’autore degli Atti non ha inteso tracciare un quadro completodelle origini cristiane. Servendosi di un genere letterario in uso nella tradizione ellenistica,che conosceva gli Atti di Annibale, gli Atti di Alessandro, ecc., (genere letterario giàadottato nella letteratura biblica, come i libri dei Maccabei dedicati ai grandi liberatorid’Israele sotto la persecuzione religiosa dei Seleucidi), Luca ci ha dato un racconto ordinatodella nascita della Chiesa e del passaggio del vangelo alle genti servendosi di testimonianzee documenti di diversa provenienza, che oggi gli studiosi cercano di analizzare, cercando didistinguervi ciò che è primitivo da ciò che appartiene alla redazione di Luca. Ciò valesoprattutto per la prima parte, dove l’autore ha dovuto attingere a fonti palestinesi, mentrenella seconda parte i viaggi di Paolo e i suoi processi fino al trasferimento a Roma possonoessere il racconto di un testimone oculare che ha integrato le notizie con ricordi personali econ informazioni raccolte nelle comunità evangelizzate da Paolo. Tra le caratteristichenarrative proprie dell’autore colpiscono soprattutto l’equilibrio degli episodi, le ripetizioni ela presenza dei discorsi. Un esempio caratteristico di disposizione binaria dei fatti si trovanella presentazione delle figure di Pietro e di Paolo: di tutti e due viene riferito un discorsoinaugurale, At 2,14-36 e 13,16-41, lo scontro con il mondo della magia, 8,9-24 e 13,6-11,una sequenza di guarigioni prodigiose, 5,15-16 e 19,11-12, il risanamento di uno storpio,3,1-10 e 14,8-10, e la risurrezione di un morto, 9,36-42 e 20,7-12. Tra le ripetizioni sonorilevanti la triplice narrazione della conversione di Paolo, 9,1-18; 22,5-16; 26,10-18, e le

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ripetizioni che si leggono nella conversione di Cornelio, 10,1 - 11,18 esperienza capitalenella chiesa della prima ora.

Un posto particolare nell’economia degli Atti spetta ai discorsi. Essi vengono collocati neipunti più importanti della narrazione per indicare il significato degli eventi. L’autore seguein ciò i moduli della storiografia antica (per esempio Tucidide, Tito Livio) che usavaintrecciarli con il racconto e se ne serviva per esprimere in maniera oratoria le tesidell’opera. E’ difficile quindi ritenere che l’autore riproduca alla lettera o riassuma discorsiveramente pronunciati. Sembra piuttosto che voglia riprendere i temi fondamentalidell’annuncio della fede agli Ebrei e ai pagani, nel quadro dei ricordi storici e di circostanzedocumentate. Così i discorsi di Pietro a Gerusalemme contengono i termini tipicidell’annuncio evangelico fatto agli Ebrei. Il discorso di Stefano (Atti 7, 2-53) riflette certediscussioni che sorsero ben presto nelle prime comunità e da cui nacque il movimentomissionario degli ellenisti. Anche il discorso di Pietro a Cesarea (Atti 10, 34-43) offre unsaggio della catechesi tenuta fuori di Gerusalemme a persone ancora legate al mondogiudaico. Lo stesso ci mostra il discorso di Paolo agli Ebrei di Antiochia di Pisidia, (Atti 13,16-41).

Il discorso di Listra (Atti 14, 15-17), documenta invece un tipo di predicazione alla gentesemplice dei piccoli centri, mentre quello pronunziato all’Areòpago di Atene (Atti17, 22-31), rappresenta un tipico appello missionario alla cultura greco-romana. Il discorso tenuto aMileto agli anziani di Efeso (Atti 20,18-35), ha i tratti tipici del discorso di addio, in cui sidanno agli uditori le ultime direttive perché continuino il lavoro iniziato dagli apostoli.Infine i discorsi di difesa (Atti 22, 1-21; 24, 10-21; 26, 2-23), rispondono alle accuse chevenivano rivolte ai cristiani di abbandono della legge mosaica e di insubordinazione allostato romano.

III. Valore storico e didattico. - Da quanto si è detto si deduce che negli Atti non è dacercarsi una presentazione completa e organica delle origini cristiane, bensì unadelineazione storico-teologica del compimento del disegno salvifico di Dio annunciatonell’Antico Testamento, realizzato nella vita-morte-risurrezione di Gesù Cristo e portato permezzo della chiesa tra tutte le genti. L’opera possiede un sicuro carattere storico, attestatooltre che dalla persuasione della Chiesa antica, che lo ha distinto accuratamente da altri«Atti» o racconti di vicende di vari apostoli nati nel II secolo, anche dal confronto con i datiofferti dalla storia profana e dall’archeologia.I personaggi politici che compaiono negli Atti sono quelli del tempo e hanno un riscontropreciso nella storiografia antica. Le città e le province romane, gli itinerari per terra e permare e persino le direzioni e i periodi dei venti per la navigazione sono rigorosamenteaderenti alla realtà. In particolare il complesso dei titoli dei governatori delle diverse localitàviene riferito con sorprendente esattezza; si trovano così i «proconsoli» a Corinto e a Pafo, i«politarchi» a Tessalonica, il «primo» a Malta.

Ma se la narrazione degli Atti, analogamente a quella dei vangeli, corre sul terreno dellastoria, il suo scopo, come già si è detto, è di comunicare attraverso la storia un messaggiospirituale per tutta la Chiesa. Si ricava infatti dalla lettura del libro degli Atti un quadroesemplare dei primi cristiani, che viene presentato come modello e guida alle Chiese di tuttii tempi. Con la risurrezione di Gesù e particolarmente con l’effusione dello Spirito Santo aPentecoste è iniziato il tempo messianico definitivo, nel quale la Chiesa è chiamata a essereministra della «parola» e dello Spirito tra tutte le genti «finché Egli venga».

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Nella presenza di gente proveniente dai principali popoli allora conosciuti, si prefigura giàla vocazione universale della Chiesa e la sua missione di essere «segno e strumentodell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano», secondo la solenne affermazionedel Concilio Vaticano II (Lumen Gentium, 1).

Le linee fondamentali del suo cammino si trovano nella docilità allo Spirito, nella fedeltà almessaggio di Gesù Cristo, nella comunione, nella carità fraterna, nella preghiera assidua,nella libertà interiore, nel servizio ai fratelli, con la gioia nelle persecuzioni e la speranza nelcuore, in un’apertura universale senza preclusioni di razza né di cultura. Quale fu la Chiesadelle origini, tale deve essere la Chiesa per sempre, se vuole essere fedele alla«testimonianza» affidatale dal Signore prima del suo commiato visibile: “Mi saretetestimoni fino all’estremità della terra” (At 1,8).

I. LA CHIESA DI GERUSALEMME

PROLOGO (1, 1-5)

Come per la sua prima opera (il Vangelo), Luca apre il suo nuovo libro con un prologo-dedica indirizzato a Teofilo. Con queste parole iniziali si stabilisce un aggancio con ilvangelo, del quale vengono ripresi e sviluppati due eventi finali (il ricordo delle apparizionidel Risorto e la sua promessa di donare lo Spirito Santo), che sono quasi la sorgente da cuiavrà inizio la nuova narrazione. Si delinea così il tempo della Chiesa, tempo caratterizzatodall’annuncio del vangelo a tutti gli uomini: sarà questo il compito dei primi predicatori emissionari, compito descritto appunto nell’opera che stiamo per leggere.

L’ASCENSIONE (1, 6-14)Con questo racconto Luca si accinge a scrivere il libro degli Atti. L’intento èteologicamente importante: il tempo di Gesù che Luca racconta nel Vangelo (e che terminacon l’Ascensione) e il tempo della Chiesa (che inizia con l’Ascensione) sono due momentidi un “unico tempo”, quello della grazia che rivela la fedeltà di Dio alle sue promesse e latenerezza del suo amore di Padre, manifestato nella morte e risurrezione del suo figlio Gesù.

Gesù è il Salvatore, ma i suoi discepoli sono gli annunciatori e i portatori della salvezzamediante la parola e i sacramenti.

Un altro elemento che non deve sfuggire è la prospettiva lucana, presente sia nel Vangelo:“Cominciando da Gerusalemme” (Lc 24,47) che negli Atti: “Avrete forza dallo SpiritoSanto e mi sarete testimoni da Gerusalemme fino a gli estremi confini della terra” (Atti 1,8).Luca che è un cristiano probabilmente di origine pagana, riconosce che Gerusalemme è illuogo per eccellenza dove c’è il Tempio cioè, la Presenza di Dio; il luogo dellarealizzazione delle promesse, la terra santa che ha percorso il Figlio di Dio fatto carne. Ciòvuol dire che, se i discepoli dovranno partire da Gerusalemme per raggiungere tutti i“confini della terra” (Atti 1,8), è da questa terra, che dovranno ereditare tutta una storia disalvezza che li ha preceduti.

Dio – Gesù Cristo – gli Apostoli: una relazione di continuità che sviluppa una storia diamore che sgorga dal cuore di Dio ed è destinata ad entrare nel cuore di ogni uomo,attraversando i secoli e i confini della terra!

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Il ritorno di Cristo al Padre inaugura anche il cammino della Chiesa: il suo uscire dallastoria segna il suo ingresso nella Chiesa. Anzi, la Chiesa si radica sulla trascendenza del suofondatore glorificato, per prolungare “fino all’estremità della terra” (v. 8) la dinamica vitale.Gesù, ormai nella gloria del Padre, non è più da vedere, ma da attendere nella fede, daannunziare come proposta di vita e da testimoniare con la forza dello Spirito. L’assente delmondo si fa presente attraverso l’esperienza e la testimonianza della Chiesa che ècontinuazione visiva della vicenda storica del Signore e costruttrice di storia con prospettivadi eternità.

Sulla Chiesa grava la missione-dovere di “fare discepoli” di Cristo tutti i popoli. Non sitratta di un indottrinamento, ma di uno stile di vita contagioso, che parte dall’esperienzabattesimale e si arricchisce con il pane della Parola e dell’Eucarestia.In definitiva, credere all’Ascensione del Signore significa comunicare ad ogni uomo lasperanza-certezza che niente vi è nella sua vita che non abbia un destino di gloria.

Ora i discepoli devono tornare a Gerusalemme (v. 12) per dare inizio alla loro missione,come Gesù aveva loro indicato: “Cominciando da Gerusalemme”. E nel Cenacolo siraccolgono in preghiera costante con Maria, la madre di Gesù, le donne e i parenti dellostesso Gesù. Questo ritratto della comunità delle origini offre lo spunto a Luca perpresentarci una nuova lista degli Apostoli, ormai priva di Giuda (vedi la prima lista in Luca6, 14-16).

SOSTITUZIONE DI GIUDA (1, 15-26)Questa scena è collegata alla precedente. In un’assemblea di tutti i credenti Pietrosuggerisce di ricostituire il numero pieno dei Dodici, così da riproporre l’idealecontinuazione delle dodici tribù d’Israele, come era avvenuto nella prima scelta di Gesù.Rievocando le vicende terminali della vita di Giuda, Pietro ci offre una versione diversa delsuo suicidio rispetto a quella per impiccagione narrata da Matteo (27,5): sembrerebbe,infatti, una caduta in una voragine, ove il suo corpo si sfracella (così è descritta la fine degliempi in Sapienza 4,19).

Pietro, basandosi su due passi biblici (Salmo 69,26 e 109,8), riletti in chiave cristiana allaluce della passione di Cristo, propone la sostituzione di Giuda.

La sostituzione deve essere, comunque, effettuata tra i testimoni della prima ora, cioè tracoloro che avevano seguito l’arco intero del ministero pubblico di Gesù. Due sono icandidati, un certo Giuseppe detto Barabba, e Mattia. E’ però, al Signore che viene affidatala scelta attraverso un’invocazione e il sortilegio[1]. Quest’atto del sortilegio non è unrimando al caso, ma un affidarsi a Dio che avrebbe guidato per questa via la sua scelta. Ed èil nome di Mattia a emergere dal sorteggio. Sarà lui il nuovo dodicesimo apostolo.

LA PENTECOSTE (2, 1-13)Luca paragona questo racconto della Pentecoste[2] a una teofania, cioè a una manifestazionedivina, simile a quella del Sinai accompagnata da vento e fuoco, cioè da tempesta e folgori,segni della trascendenza di Dio.

- Il “vento” o lo “spirito” (ruah in ebraico e pnéuma in greco) hanno lo stesso significatosia in ebraico che in greco e rivelano o simbolizzano entrambi la presenza e l’azione di Dio(Gen 1,2;2,7; Sal 33,6; 104,30; 1 Re 19, 11-13; Gv 3, 5-8; 20,22).

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- Il “rombo” richiama subito “i lampi e tuoni” della rivelazione sinaitica: il “suonofortissimo di tromba che scuote il popolo”,- Anche il “fuoco” è un elemento tipico della presenza di Dio. Il Signore, nell’esodo delpopolo ebraico, marcia alla testa del popolo come colonna di nube di giorno e come“colonna di fuoco” durante la notte (Es 13, 21-22). Dio parla dal “fuoco” (Dt 4,12;5,4.22.24); nel fuoco Dio dona le tavole della legge (Dt 9,10). Il “Sinai era fumante perchésu di esso era sceso il Signore nel fuoco”.L’immagine delle “lingue di fuoco”, quindi, mette in evidenza che lo Spirito scese suciascuno dei presenti. In conclusione come “tutto” il Sinai era pervaso dalla potenza dellamanifestazione di Jahwè, così “tutta la casa” dove si trovavano gli apostoli venne “riempita”dalla presenza dello Spirito che prese pieno possesso degli Apostoli.L’intento dell’autore sacro va certamente al di là del puro dato letterario, cioè della puraespressione visiva. Parlando del dono dello Spirito ai discepoli, egli vuole anzituttosottolineare che ci troviamo di fronte a una manifestazione divina. Nel giorno di Pentecoste,la prima comunità cristiana ha fatto l’esperienza di una particolare rivelazione di Dio, che siè comunicato ai credenti come realtà interiore di luce e di forza che li ha cambiati, li haabilitati e resi disponibili alla missione. Dio, col suo Spirito, ha preso possesso dellacomunità post-pasquale (come l’AT si impossessava dei profeti), e li mette in grado dicontinuare l’opera del Figlio.E’ lo stesso Spirito più volte promesso dal Cristo (Lc 24,49; Gv 16,7; At 1,5) che avrebbedovuto riempirli di “forza” (Atti 1,8), e avrebbe comunicato loro i “carismi” (1 Cor 12,4)necessari per la predicazione e la testimonianza.L’effetto immediato dell’azione trasformante dello Spirito si manifesta subito qui, col donodelle lingue[3]. Sembra che la versione più antica di questo racconto, non riferisca che gliapostoli parlavano “in altre lingue” (“xenoglossia” dal greco: “xenos” = straniero e“glossa” = lingua) ma semplicemente il loro parlare “in lingue” (“glossolalìa”: “lalìa”=loquace e “glossa” = lingua) cioè “parlare un linguaggio diverso”, estatico. E l’estasi cheaccompagna l’episodio è testimoniata nei vv. 7 e 12.Quindi l’interpretazione della “glossolalìa pentecostale” (parlare “in lingue”, cioè in “modoestatico”) trasformata degli apostoli in “xenoglossia” (“in altre lingue”), è considerata danumerosi studiosi come un’innovazione di Luca nell’interesse della sua teologia improntatasull’universalismo. Questa tesi è suffragata da due elementi presenti in questo testo:- Nella descrizione della reazione della città al fenomeno del “dono delle lingue”, si registrala presenza di “Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo”. Sono gli ebrei delladiaspora. L’espressione vuol sottolineare l’universale provenienza dei Giudei. Più avantil’universalismo verrà di nuovo ribadito con un secondo elemento:- l’elenco dei popoli[4] (vv. 9-11).Quindi prima ancora che gli Apostoli possano uscire da Gerusalemme per raggiungere “gliestremi confini della terra” secondo il comando di Gesù (Atti 1,8), i popoli si sono giàradunati attorno a loro. Si tratta di un abile annotazione di Luca, per mettere in risaltol’universalità dell’azione dello Spirito e della salvezza.Nel “dono delle lingue”, Luca vede anche la restaurazione di quella unità tra gli uomini chesi era perduta a Babele.Nella tradizione biblica, Babele (Gen 11, 1-9) è presentata come luogo e simbolo delladispersione degli uomini, origine di lotte etniche e di imperialismi destinati a creare barrieree ostacoli all’unità dei popoli. Dio scende dalla sua residenza celeste per scardinare i folliprogetti degli uomini: “Il Signore li disperde sulla superficie di tutta la terra ed essicessarono di costruire la città”, fondata su una pericolosa unità: quella nell’imperialismo,per ricostruire col dono dello Spirito nel giorno di Pentecoste, quella comunione tra i popolifondata sull’annuncio di un’unica Parola, che permette di professare l’unica fede in Cristo

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nelle varie lingue. In questo modo si attua il superamento dell’esperienza negativa diBabele, si passa dall’integralismo religioso del popolo ebraico (la torre di Babele)all’universalismo dei popoli (la Pentecoste cristiana).Certamente il “dono delle lingue” è solo uno degli aspetti dell’azione trasformante delloSpirito, perché lo Spirito, oltre al dono delle lingue, istruisce anche i primi missionari (Atti8,29; 10,19; 11,12; 13,2); è la forza decisiva e stimolante nella proclamazione delmessaggio (Atti 4,31; 6,10; 11,23) e nella conversione alla fede di Cristo (Atti 2, 38; 8,15;10,44; 19,2). Esso infonde pure forza per sopportare la persecuzione (Atti 4,29; 9, 16-17;13,52) e rimane il principio direttivo nell’attività missionaria di Paolo (Atti 13,4; 20, 22-23;21,4.11). Lo Spirito è il motore principale negli eventi decisivi degli Atti, Colui che apre laChiesa ai pagani (10,19; 11,12).L’evento della Pentecoste sottolinea che il Cristo vive e agisce ormai attraverso lo SpiritoSanto, il che non gli impedisce di agire talvolta in prima persona (si pensi ad esempio allavocazione di Paolo in Atti 9,3).

Concludiamo il nostro discorso sulla Pentecoste, con una riflessione più spirituale.

Lo Spirito che ricostruisce l’unità, attraverso lo stesso linguaggio dell’intera umanità, hadato appuntamento a Gerusalemme (v. 5) e non nella casa dove si trovavano gli apostoli,nello spazio aperto dove stanno tutte le genti delle nazioni e non nel chiuso delle riunioni dipochi eletti, E’ il primo passo e il più importante, anche più del discorso di Pietro.Interessante è anche il fatto che l’unità viene ricostruita con un’azione diversificata (lefiammelle scendono su ciascuno dei presenti, v. 4): è l’unità plurale dello Spirito. L’unità sicostruisce nella molteplicità dei linguaggi: “Li udiamo annunziare nelle nostre lingue legrandi opere di Dio” (v. 11).Il tempo dello Spirito è caratterizzato dall’universalità anche in campo religioso, cioèdall’ecumenismo: “giudei e proseliti” (v. 11). Ciò a causa della forza rinnovatrice capace ditrasformare gli apostoli in predicatori e la folla degli uditori in credenti.

La Chiesa, dunque, nasce universale (=cattolica) e la sua missione deve trascendere ognidivisione di lingua e di cultura. La sua originaria vocazione le vieta di usare un sololinguaggio e di identificarsi in una cultura particolare.

Si tratta di un compito arduo, ma quanto mai impellente oggi. Le paure e i ritardi nell’aprirsiagli apporti dei nuovi popoli che vengono alla fede sono frutto delle pigrizie umane, nondelle esigenze dello Spirito. Le nostre chiusure al “diverso”, le molteplici espressioni dirazzismo umiliante o addirittura violento sui “poveri-cristi” che approdano al nostro paese,gli integralismi teologici o spirituali dei gruppi o di singoli sempre in contesa, ecc… non sisa fino a che punto siano dettati da quell’unico Spirito, che tende a “formare un solo corpo”senza distinzioni di giudei o greci, di schiavi o liberi, di donne o di uomini”Il centro dell’esperienza cristiana non è il frutto di una conoscenza morale, ma la potenzadello Spirito di Cristo; per questo il credente non è assimilabile a un sapiente o a un uomopio: ma è una persona traboccante di Spirito che, in tutto ciò che fa e dice, manifesta questasingolare presenza che lo ha rinnovato. Naturalmente uomini spirituali non ci si inventa, nonè la generosità dell’impegno a renderci tali, ma il dono di Dio.

IL PRIMO DISCORSO DI PIETRO (2, 14-41)Questo è il primo dei tanti discorsi che costellano gli Atti degli Apostoli e che sonoaltrettanti esempi della proclamazione evangelica della Chiesa degli inizi. Questo discorsodi Pentecoste è tutto intarsiato di citazioni bibliche in modo da mostrare la coerenza intimatra l’annuncio dei profeti e gli avvenimenti cristiani. Pietro, quale primo testimone[5]

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dell’evento pasquale, inizia il suo discorso con una lunga citazione del profeta Gioele (3, 1-5), dedicata all’effusione dello Spirito di Dio sull’intero popolo messianico, in modo damostrare il collegamento con ciò che è accaduto a Pentecoste. Si è così entrati in quegli“ultimi giorni”, cioè nel tempo della pienezza annunziato da Gioele.L’apostolo passa poi a proclamare l’elemento centrale nello schema dei discorsi missionari,il cosiddetto kerjgma cioè l’annunzio fondamentale cristiano: quello della morte erisurrezione di Gesù. Anche questo evento centrale della fede della Chiesa è visto comel’attuazione di una profezia, attribuita a Davide, considerato l’autore dell’intero Salterio. Sicita, infatti, il Salmo 16, 8-11 (ripreso da Paolo in Atti 13, 34-37), che esalta la liberazionedalla morte del fedele, ora inteso come il “Santo” per eccellenza, cioè Cristo. Pietro osservache Davide non poteva riferirsi a se stesso: la sua tomba era allora venerata inGerusalemme. Egli, quindi ispirato dallo Spirito divino, dichiarava già la gloria del Messia,che noi abbiamo visto compiersi nella Pasqua di Cristo.

Pietro continua il suo discorso esaltando soprattutto la Risurrezione, confermata dallatestimonianza apostolica e vista come la sorgente del dono dello Spirito.

E’ significativo notare che si usa anche in questa pagina, come nella rappresentazione dellaRisurrezione in Giovanni, l’immagine dell’ “innalzamento” o glorificazione per descriverel’evento pasquale. Cristo, dopo l’umiliazione dell’esistenza terrena e della morte, riapparenella gloria della sua divinità, assiso come Signore alla destra del Padre. E Pietro anche perquesto cerca una conferma biblica e la trova nel Salmo 110,1: “Oracolo del Signore al miosignore: siedi alla mia destra”.Alla proclamazione dell’annuncio cristiano gli uditori reagiscono con una domanda che, peralcuni, faceva parte dell’antico rituale battesimale: “Che cosa dobbiamo fare?”. Si ha così ilpassaggio alla risposta morale del credente, che Pietro formalizza in due elementi capitali: laconversione e il battesimo. E’ per questa via che l’uomo viene rinnovato e riceve il donodello Spirito Santo, riservato non solo agli Ebrei ma anche ai “lontani” scelti dalla liberachiamata divina. Il numero di tremila, storicamente eccessivo, vuole descrivere la diffusionestraordinaria degli inizi, quando il cristianesimo si è affacciato alla storia.

LA VITA DELLA PRIMA COMUNITA’ CRISTIANA (2, 42-47)L’autore degli Atti inserisce qui il primo di una serie di “sommari”[6] che hanno lo scopo diillustrare la vita e la testimonianza della Chiesa delle origini.

Quattro sono le colonne fondamentali che reggono la comunità cristiana: l’insegnamentodegli apostoli, la koinonìa (cioè la comunione fraterna nei beni), la frazione del pane (lacelebrazione eucaristica in memoria di Cristo) e le preghiere nel tempio. Luca esalta inparticolare la koinonìa (si legga anche 4, 32-37), segno di una condivisione efficace delleproprietà personali. E’ questa testimonianza forte e gioiosa ad attirare molti alla nuovareligione.

La perseveranza nell’insegnamento degli apostoli è fondamentale per approfondire la fedeche i credenti hanno abbracciato e della quale gli apostoli sono i maestri autentici(“Abbiamo visto il Signore” Gv 20,25).L’unione fraterna (“koinonìa”) si manifestava nella comunione dei beni materiali, vendutivolontariamente, dando il ricavato agli Apostoli per essere usato a vantaggio dei bisognosi.Naturalmente l’anima di questo comportamento è l’amore fraterno dei cristiani.La perseveranza nella frazione del pane, si riferisce alla celebrazione eucaristica, indicatanei primi tempi col gesto rituale dello spezzare il pane consacrato in vista della distribuzione

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(1 Cor 10,16). Questa celebrazione, che caratterizzava in modo eminente la comunitàcristiana, si svolgeva, come ci viene detto dopo, in case private: “Spezzavano il pane a casa”(v. 46), ma non viene indicata la frequenza (ma cfr. 20,7).

La frequenza nella preghiera. I cristiani frequentavano ancora il Tempio (2,46; 3,1; ecc..),ma qui si tratta forse di preghiere propriamente cristiane, come quella di 4, 24-30. Ma senzascendere a una determinazione particolare, si deve ritenere che le quattro “perseveranze”erano praticate simultaneamente dai cristiani e in modo comunitario: esse continuano aessere un ideale anche per le nostre comunità.

GUARIGIONE DELLO STORPIO (3, 1-11)Per dimostrare che il ministero di guarigione di Gesù venne continuato dagli Apostoli da luiscelti, Luca registra un episodio che era stato conservato nella tradizione della comunità. Lastruttura e la tematica ci sono familiari dai racconti di guarigioni riportati nei sinottici: lascena (vv. 1-2); il punto dottrinale (v. 6); la guarigione per mezzo di parole e gesti (vv. 6-7);esito positivo e dimostrazione (v. 7-8); la reazione edificante degli spettatori (vv. 9-10). Lecomunità primitive raccontavano i miracoli degli Apostoli allo stesso modo in cui narravanoquelli del Maestro, così che si dava l’impressione che fosse lo stesso Signore che operava iprodigi compiuti nel suo nome dai suoi testimoni.

Più che di guarigione, qui si deve parlare di risurrezione. Lo storpio, infatti, proprio perchétale, viveva sotto la maledizione pronunziata da Davide (2 Sam 5,8) che gli impedival’ingresso al Tempio per prendere parte alle assemblee liturgiche, perciò si trova alla PortaBella, confine tra il cortile dei pagani e quello delle donne. Guarendo lo storpio, Pietro,come aveva fatto Cristo (Mt 21,14; Lc 14,21), vuole togliere tutte le barriere e formareun’assemblea universale aperta a tutti.Pietro non offre allo storpio quello che non ha (argento e oro) ma quello che ha: il nome diGesù. Egli infatti agisce in nome di un Altro e sa di offrire qualcosa che non gli appartiene.Ed ecco il dono della salute fisica, come segno e anticipo della salute completa, quellaescatologica.

Anche lo “stupore” della gente è simile a quello dei testimoni dei grandi miracoli di Gesù(Lc 4,22; Mt 8,27), stupore simile anche a quello che invadeva i testimoni di unaapparizione di Dio nell’AT (Gen 15, 1-7; Es 3, 1-5). Il miracolo di Pietro e Giovanni èdunque una specie di teofania: Dio è ora presente nei suoi apostoli.

SECONDO DISCORSO DI PIETRO (3, 12-26)“Ciò vedendo, Pietro disse al popolo” (v. 12). E’ Pietro a spiegare che il miracolo dellostorpio è avvenuto per opera di quel Gesù respinto e ucciso dai Giudei. Quello stesso Gesù èora risorto e nel suo nome si è compiuto il prodigio. La morte di Gesù non è stata unincidente o solo la conseguenza di un’azione contestatrice verso le autorità, ma ilcompimento delle Scritture. Di qui le conseguenze: la necessità del pentimento, della fede inGesù, come lo annunzia la Chiesa, per fare parte del Regno. Come nel primo discorso,Pietro fonda le sue affermazioni reinterpretando l’AT. Qui fa riferimento a un passo delDeuteronomio (18, 15-19), così da avere la testimonianza di Mosè. In quel testo siannunziava la continuità della presenza dei profeti dopo la morte di Mosè, ora Pietro viintravede nel Messia, profeta perfetto, il volto di Cristo. A Mosè si associano nel prefigurareCristo anche tutti i profeti, a partire da Samuele. Proprio per questo gli Ebrei devono essere i

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primi a riconoscerlo perché, memori della promessa fatta a d Abramo, siano pronti acomunicarlo a “tutte le tribù della terra” (Gen 12,3). Cristo, chiamato “servo” come il servodel Signore cantato da Isaia (capitoli 42; 49; 50; 53), è perciò il punto di convergenza ditutte le speranze dell’AT. E questo può essere compreso solo ora, quando con la venuta diCristo si è compiuta la storia della salvezza.

PIETRO E GIOVANNI DAVANTI AL SINEDRIO (4, 1-31)Nel momento in cui la salvezza viene annunciata a Israele, vengono arrestati i suoipredicatori. Inizia così l’ondata di opposizione che culminerà nella dispersione dellacomunità (8,1) e nell’annuncio del messaggio ai pagani (capp. 10 e ss.).Essi vengono arrestati a causa della predicazione sulla risurrezione, negata dai Sadducei,corrente giudaica sostenuta dall’aristocrazia sacerdotale.Pietro e Giovanni dopo una notte in carcere, vengono deferiti al Sinedrio, il supremoConsiglio giudaico. Davanti a questa assemblea Pietro, nel suo terzo discorso, ribadiscel’annuncio pasquale cristiano, fondandolo ancora sulle Scritture, in questo caso citando ilSalmo 118,22 già usato nei Vangeli al termine della parabola dei vignaioli omicidi (Mt21,42). Gesù Cristo è la base di ogni salvezza offerta da Dio all’umanità, come la pietra datestata d’angolo di un edificio.Un quarto discorso, ma il secondo davanti al Sinedrio, sarà pronunciato da Pietro nelcapitolo successivo (5, 29-32).

La “franchezza” con cui egli parla impressiona i giudici, i quali concludono la seduta conuna semplice diffida, temendo reazioni popolari a una condanna. Ma nonostante i moniti atacere, Pietro e Giovanni dichiarano il principio dell’obbedienza a Dio come superiore aquella riservata agli uomini.

Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni si ricongiungono ai loro fratelli di fede e si riunisconoin preghiera. L’orazione ha al centro una citazione del Salmo 2, un testo messianico che oraviene ritagliato nella parte dove si descrive la ribellione di alcune genti contro il re Messia.Si ha così la possibilità di raccontare il Salmo alla vicenda di Gesù condannato, maindirettamente anche a quella appena vissuta dagli apostoli. Si chiede, allora, a Dio la“franchezza” nell’annunziare il vangelo, cioè il coraggio proprio degli uomini liberi, nellacertezza che il Signore sosterrà i suoi testimoni con segni e prodigi. A confermadell’esaudimento della preghiera si ha una teofania, cioè un intervento divino caratterizzatodal segno del terremoto, accompagnato da una nuova effusione dello Spirito Santo, comenel giorno di Pentecoste.

A questo punto viene inserito nel racconto il secondo sommario (4, 32-37) destinato adipingere la vita della Chiesa in modo esemplare (il primo sommario l’abbiamo trovato in 2,42-47).

Da un lato c’è la testimonianza della Risurrezione di Cristo, che è il cuore dell’annuncio edella fede cristiana.

Dall’altro lato, ampio spazio è riservato alla comunione fraterna dei beni, con un rimandosia all’AT che alla cultura greca. La frase: “Nessuno tra essi era bisognoso” evoca unappello del libro del Deuteronomio (15,4), mentre l’ espressione “ogni cosa era fra lorocomune” è l’eco di un proverbio greco sugli amici, citato anche da Platone. Questacomunione si manifesta concretamente con il mettere in comune i beni, così da poterlidistribuire a ciascuno secondo il bisogno.

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Di questa prassi si presentano due esempi antitetici. Il primo è quello di Giuseppe dettoBarnaba, un ebreo della diàspora cipriota, che vende un campo consegnandoneintegralmente il ricavato alla cassa della comunità. Il secondo caso ha per protagonista unacoppia di cristiani: Anania e Saffira.

LA FRODE DI ANANIA E SAFFIRA (5, 1-11)Qualcuno ha definito questo racconto il “brano più difficile del Nuovo Testamento”. Quali iproblemi sollevati? Innanzitutto ci sembra di essere ancora all’Antico Testamento, dove ilgiudizio e il castigo di Dio si rivelano inesorabili e fulminano la morte dei peccatori (cfr 1Re 14, 1-18). Un altro interrogativo: di quale peccato si tratta? Può essere punita così unabugia di due sposi che vogliono far bella figura e nello stesso tempo cautelarsi per il futuro?Perché non è dato loro la possibilità di spiegarsi e anche di riconoscere il loro gestosbagliato e di convertirsi? Certamente si può affermare che questo racconto agghiacciante diAnania e Saffira, come gran parte delle narrazioni popolari, hanno un certo fondamentonella realtà, ma l’attuale sequenza dei fatti e l’interpretazione della loro morte come uncastigo divino – di cui non si hanno paralleli nel NT – sono indubbiamente prodottidell’immaginazione popolare.Questo episodio è costruito sull’opposizione tra lo Spirito Santo e Satana, e sul contrasto:vita-morte, verità-menzogna, fiducia-paura. Il peccato di Anania e Saffira non è solo unpeccato di vanità o una menzogna, ma un affronto e un attentato contro la santità el’integrità cristiana che hanno la loro radice nella presenza dello Spirito Santo: “Tu non haimentito agli uomini ma a Dio” (5,4). Nel gesto di Anania che introduce la menzogna e labramosia del denaro dentro la comunità dei discepoli è all’opera quella potenzamenzognera, Satana, che già si servì di Giuda per condurre Gesù alla morte. Per questo simanifesta improvviso il giudizio di Dio di cui Pietro si fa interprete autorevole. Il loropeccato, quindi, è visto come un attentato contro la santità e l’integrità della comunitàcristiana, che si fonda sullo Spirito. Per questo porta alla morte fisica, ma soprattuttospirituale: poiché essi si sono contrapposti allo Spirito che dà la vita. L’accento sullapotenza di Satana (v. 3) e sulla tentazione (v. 9) può alludere alle tentazioni di Gesù (Lc 4,1-13). Alcuni hanno suggerito un paragone con 1 Cor 5, 1-5 dove Paolo ordina unascomunica (cioè l’allontanamento dalla comunità) con la formula: “Sia dato in balia diSatana”.Si propone qui un terzo sommario (5, 12-16), dopo i primi due (2, 42-47 e 4, 32-35), cherappresenta la comunità cristiana delle origini riunita nel tempio, nell’area del portico diSalomone Un colonnato già noto per la guarigione operata da Pietro e Giovanni (3,11). Essaè circondata da un’aura di ammirazione e rispetto. Pietro continua l’opera di Cristo con leguarigioni delle folle di infermi e di sofferenti, testimoniando così la salvezza nella fede.

LA SECONDA PERSECUZIONE (5, 17-42)Il successo clamoroso degli Apostoli fa scattare un secondo arresto, ordinato dalle autoritàreligiose-giudaiche. La liberazione miracolosa ad opera di un angelo è l’anticipazione di ciòche sarà narrato più diffusamente a proposito di Pietro (12, 6-17) e di Paolo (16, 25-34). E’il segno della protezione divina sulla missione apostolica. I persecutori, però, non desistonodal contrastare l’opera degli apostoli, che sono di nuovo convocati e interrogati. Così Pietroè costretto per la seconda volta a difendersi davanti al Sinedrio e lo fa ribadendo unprincipio già formulato nella sua prima arringa difensiva (4,19) e che, tra l’altro, lo stessofilosofo greco Platone metteva in bocca a Socrate: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto cheagli uomini” (5,29).

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Pietro proclama nuovamente l’annunzio della morte e risurrezione di Cristo, celebrandoGesù come “capo e salvatore”. Nel v. 30 la croce è chiamata con il termine greco xjlon(“legno”, “albero”) che rimanda a Deuteronomio 21,22 (vedi anche Atti 10,39; 13,29).L’ostinazione di Pietro irrita i giudici, che si orientano perfino verso una sentenza capitale,come era stato deciso nei confronti dello stesso Gesù. Entra in scena un membro delSinedrio della corrente dei Farisei, più aperta rispetto a quella dei Sadducei a cuiappartenevano i sacerdoti. Il suo nome Gamaliele[7] è noto anche alla tradizione giudaica edera un intellettuale stimato. Il suo intervento è centrato su un principio storico-teologico: seun’idea o un movimento sono frutto di progetti umani, prima o poi sono destinati a svanire.Se, invece, in essi c’è la presenza divina, sono destinati a permanere. La parole di Gamalielehanno il loro effetto e, dopo una sommaria flagellazione, gli apostoli vengono messi inlibertà.

STEFANO E GLI ELLENISTI (6,1-8,1a)L’annunzio evangelico ha, così spazio per diffondersi (6, 1-6). Nella comunità ormaiallargata anche a Ebrei di lingua greca della diàspora[8], oltre che agli Ebrei palestinesi,cominciano le prime tensioni. Esse riguardano soprattutto la distribuzione dei beni che,come si è visto (4, 32-35), era il fiore all’occhiello della comunità cristiana. Le vedove dilingua greca erano, infatti, trascurate, data la prevalenza di Ebrei convertiti nella Chiesadelle origini.

Ci imbattiamo a questo punto del racconto di Luca nel primo dissenso nella Chiesa diGerusalemme. Già si è parlato delle persecuzioni esterne da parte delle autorità giudaiche,ora è una crisi interna che disturba l’unità idilliaca della Chiesa.In realtà, questa crisi prefigura il superamento e la liberazione della Chiesa da certecostrizioni e restrizioni del giudaismo palestinese: la crisi infatti nasce tra due gruppi digiudei convertiti al cristianesimo, gli “ebrei” e gli “ellenisti” (giudei della diàspora dilingua greca, che abitavano a Gerusalemme).

Di fronte a questi dissensi, gli Apostoli, ribadendo che la loro missione primaria era quelladella preghiera e della predicazione, decidono di affidare la gestione dell’attività caritativa aun collegio di sette saggi, i cui nomi di origine greca rivelano la loro provenienza. Luca nonattribuisce però ad essi la definizione di “diaconi” (“servi”, “ministri”), che sarà usata daPaolo.

Un breve sommario (v. 7) delinea la diffusione della parola di Dio proclamata daimissionari cristiani: essa fa breccia anche nella classe sacerdotale, inizialmente ostile.

a) L’arresto di Stefano (Atti 6, 8-15)

A questo punto entra in scena - e sarà per due capitoli protagonista – la figura di Stefano,uno dei sette incaricati della condivisione giusta dei beni. La tensione tra lui e unasinagoga[9] composta da Ebrei provenienti, come lui, dalla diàspora dà il via a una vicendadrammatica, descritta da Luca tenendo in filigrana la passione e morte di Gesù, che ora siripropongono e continuano nel discepolo. Stefano viene, infatti, arrestato e incolpato da falsitestimoni che – come era accaduto per Gesù – lo accusano di tre reati.

Ha pronunziato bestemmie contro Mosè e contro Dio.

Ha parlato contro “il luogo santo” (il tempio di Gerusalemme) e la legge.Ha sostenuto che Gesù di Nazaret distruggerà questo luogo e cambierà le usanze mosaiche.

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b) Il discorso di Stefano (Atti 7, 1-53)

L’interrogatorio davanti al Sinedrio permette all’imputato di difendersi. Ed egli, raffiguratocome un santo dal narratore (“il suo volto era come quello di un angelo”), pronunzia unlungo discorso, il più ampio e sistematico tra quelli degli Atti degli Apostoli. Come inquello di Paolo in 13, 16-41, si ha qui il tentativo di abbozzare sinteticamente tutta la storiadi Israele, tratteggiata nell’Antico Testamento, interpretandola alla luce di Cristo. E’, quindi,un maestoso esempio di predicazione biblica in uso nella Chiesa delle origini.

La trama del discorso segue lo svolgimento degli eventi così come sono delineati nellaSacra Scrittura. In questa pagina tre sono i personaggi-cardine di quella storia di salvezzache vengono evocati. Si parte da Abramo, chiamato da Dio in Mesopotamia e avviato versola terra di Canaan, sostenuto dalla promessa di una discendenza e legato a Dio dal vincolodella circoncisione.

Particolare attenzione nella discendenza di Abramo è riservata alle vicende di Giuseppe, ilpatriarca biblico tradito e venduto dai fratelli, ma scelto da Dio alla gloria in Egitto, ove funominato viceré dal Faraone. E’ facile comprendere come questo personaggio risulti caro aStefano, sia perché illustra la storia di Gesù, sia perché la sua vicenda si riflette anchenell’esperienza personale che egli sta vivendo. Lo stanziamento in Egitto degli Ebreipermette il passaggio alla terza figura, quella più ampiamente trattata: Mosè. Si segue ilracconto dell’Esodo fin dai suoi esordi, con la nascita e la salvezza del popolo ebraico.L’intensità della ripresa della figura di Mosè è dovuta alla connessione che la tradizioneevangelica aveva posto tra lui e Gesù.

Mosè si presenta come salvatore del suo popolo, ma sono proprio i suoi a noncomprenderlo. Ne è testimonianza l’episodio della lite tra Ebrei sedata dallo stesso Mosè, el’astio dei suoi connazionali nei suoi confronti (Esodo 2, 13-15).

Costretto a riparare nella terra di Madian, Mosè vive la straordinaria esperienza del rovetoardente e riceve l’incarico da parte di Dio di liberare Israele oppresso. Stefano sembra quasiinterrompere il corso della narrazione, per ribadire un atto d’accusa contro l’ingratitudinedel popolo ebraico: “Questo Mosè, che avevano rinnegato… proprio lui Dio aveva mandatoper essere capo e liberatore” (v. 35).Si passa così al grande evento dell’esodo, accompagnato da “prodigi e segni” e sfociato nelsoggiorno peregrinante del deserto. Stefano dipinge Mosè quasi in un alone di luce,celebrandolo come il mediatore perfetto tra Israele e il Signore e come il profeta pereccellenza, che comunica la parola divina. Ma la ribellione e l’ostinazione di Israelecostringono Dio a ritirarsi, lasciando il suo popolo in balia dell’idolatria (il vitello d’oro) intutte le sue forme. Si fa infatti menzione del “culto dell’esercito del cielo”, cioè l’adorazionedegli astri, e si cita un passo del profeta Amos (5, 25-27), per mostrare l’abominio di Israeleche erige santuari al dio fenicio Moloch, che si rivolge alla stella di un’altra divinità nonmeglio precisata, Refan, e che si dedica a statue idolatre, causando la punizione divinadell’esilio babilonese.La trama della storia sacra continua con l’erezione della tenda santa, il santuario mobile deldeserto, che Giosuè porterà in battaglia durante la conquista della terra promessa, e che saràsostituita dal tempio di Salomone. Un tempio, però, considerato relativo dai profeti, cheavevano puntato all’interiorità dell’adesione a Dio: Stefano cita Isaia 66, 1-2 ove il Signoreafferma la sua presenza universale, superando lo spazio sacro del tempio quando è fine a sestesso. Si ha così l’occasione di puntare di nuovo l’indice contro l’ostinazione dell’infedeltà

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di Israele. Essa si era manifestata anche nell’uccisione dei profeti che avevano annunziato ilMessia, quel Gesù Cristo eliminato proprio dagli ascoltatori di Stefano.

c) La lapidazione di Stefano (Atti 7, 54-60)

La reazione del Sinedrio di fronte a questo atto di accusa è violenta. La condanna allalapidazione è un linciaggio più che l’esecuzione di una sentenza di morte. La condanna amorte, infatti, spettava solo al governatore romano non al Sinedrio. Luca presenta la mortedi Stefano sul modello di quella di Gesù: egli perdona ai suoi assassini e pronunzia le stesseparole di Gesù morente (Lc 23,34.46).

Tra gli spettatori del martirio di Stefano c’è Saulo, il futuro apostolo Paolo.

LA TERZA PERSECUZIONE E LA DISPERSIONE (8,1b-3)Abbiamo accennato prima che, accanto agli ebrei di lingua aramaica c’erano inGerusalemme credenti di lingua greca, i cosiddetti ellenisti. Un banale motivo, cioè losvantaggio che subivano le loro vedove nella distribuzione quotidiana del sostentamento(Atti 6,1) portò a una protesta che fu risolta immediatamente con la nomina dei sette uomini.

Il conflitto che covava sotto la cenere mise però in luce alcune questioni fondamentali. Essicome credenti ellenisti, provenivano da circoli della sinagoga della diàspora, e quindiaspiravano ad una apertura missionaria oltre Israele. Di fronte all’esempio dell’ellenistaStefano, che non riconosceva più il tempio come luogo di salvezza (Atti 6,13 ss.), apparvecon maggiore evidenza la differenza tra loro (ellenisti) e gli ebrei. Anche perché la loroapertura missionaria faceva crollare la base teologica degli Ebrei, fondata sulla certezza chel’annuncio della salvezza escatologica dovesse essere legata a Gerusalemme.L’elezione dei “sette” – tutti di nome greco – che dovevano provvedere al sostentamentodegli ellenisti, non avvenne dunque perché essi rimanessero subordinati agli Anziani delSinedrio. Essi rappresentavano piuttosto quei credenti che, come i giudei ellenizzati,rispettavano il segno della circoncisione, ma che nella loro attività missionaria andavanooltre i confini di Israele. La persecuzione che scoppiò dopo il martirio di Stefano dispersequesto gruppo di giudei ellenisti, che dovette perciò abbandonare Gerusalemme. Laprimitiva comunità cristiana non presentava dunque un quadro unitario, anche se essa vennespesso idealizzata da movimenti riformisti posteriori.

Questi versetti iniziali del cap. 8 servono, pertanto, da collegamento tra il racconto delmartirio di Stefano e la diffusione della Parola da Gerusalemme alla Giudea e alla Samariasotto l’influenza degli ellenisti. La morte dell’ellenista Stefano scatena la persecuzioneverso i soli ellenisti (cioè i giudeo-cristiani di lingua greca e i “Sette”) opposti a quelli dilingua ebraica che facevano capo agli Apostoli.

Ma questa persecuzione anziché sconfiggere l’annunzio della Parola, ne favoriscel’espansione: in Samaria, nei confronti di un Etiope, e in altre zone della terra d’Israele, finoalla conversione di un pagano, il centurione Cornelio (cap. 10-11).

Prima di passare alla seconda parte del libro degli Atti, cioè la diffusione della Parola di Diofuori Gerusalemme, chiariamo meglio il concetto di diàspora.

La parola diàspora è di origine greca e significa dispersione, e indica la dispersione di unpopolo che lascia la propria terra migrando in varie regioni. Lo stesso termine (diàspora)indica la situazione degli ebrei che a partire dall’esilio babilonese (586 a.C.) in poi, hannosviluppato una forte corrente migratoria, talvolta spontanea (per esempio per motivi

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commerciali), altre volte forzata. Infatti, caduti molte volte sotto il dominio straniero edeportati in territori lontani dalla patria, si sono dispersi in altre regioni e in molti casi hannoscelto di continuare a vivere lontano dalla propria terra. Mantenendo la propria identitàculturale e religiosa, hanno fondato comunità in molte città, con una propria sinagoga. NelII secolo a.C. (285-247 a.C.) una forte comunità ebraica si trovava per esempio adAlessandria d’Egitto. E la traduzione della Bibbia in greco (chiamata dei “Settanta”),avvenne proprio grazie ai componenti di questo gruppo. Con la distruzione di Gerusalemmenel 70 d.C. da parte dell’imperatore Tito e la distruzione della Città Santa, ci furono motividi ulteriori ondate migratorie.

Durante il periodo medioevale troviamo importanti gruppi di ebrei in Spagna (chiamatiSefarditi) e nei paesi germanici (Askhnaziti). Nell’Ottocento vi è una forte immigrazioneebraica nei paesi del centro Europa.

Nel 1516 la Palestina fu occupata dal potente regno ottomano (impero turco musulmano)che lo tennero fino all’occupazione inglese del 1917. La politica britannica di appoggio siaal movimento sionista[10] sia al movimento nazionalista arabo acuì il contrasto fra comunitàarabe ed ebraiche. La proclamazione dello Stato d’Israele (14.5.1948) determinò il sorgeredella questione palestinese: in gran parte assoggettati al nuovo Stato, in parte (600.000)costretti all’esodo. Gli arabo- palestinesi o semplicemente i palestinesi (cioè gli abitanti enativi arabi viventi in Palestina) crearono un movimento di resistenza (OLP 1964)appoggiato dai paesi arabi (guerra dei sei giorni nel 1967; guerra del Kippur nel 1973).Nonostante i tentativi dell’ ONU (riconoscimento dell’OLP nel 1974; pace a Camp Davidnel 1978) la situazione, ancora oggi, permane tesa. Con l’avvio della colonizzazione ebraicadei territori della Cisgiordania e di Gaza occupati nel 1967 inizia la rivolta dei palestinesidei territori occupati (intifada)[11]. Nel 1988 è stato proclamato la stato di Palestinacomprendente la Cisgiordania e Gaza, che è stato riconosciuto da molti paesi pur essendototalmente occupato da Israele. Nel 1993, in seguito ai colloqui di pace tra Israeliani ePalestinesi, si è giunti a un accordo (ratificato il 4.51994) per la concessione dell’autonomiaa Gerico e nella striscia di Gaza. Il processo di pace è tuttavia ostacolato dai gravi e ripetutiatti terroristici a opera di gruppi integralisti islamici.

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II. LA MISSIONE NELLA GIUDEA E NELLA SAMARIA

IL VANGELO IN SAMARIA (8, 4-25)La Parola di Gesù inizia il suo cammino, parte dalla Giudea: luogo di nascita di Cristo, perdiffondersi nel mondo intero. La Parola non può essere imprigionata, posseduta daqualcuno, da una qualche cultura, o da una religione.

Il capitolo 8 degli Atti, quindi, segna un primo grande sviluppo del cristianesimo, che passada Gerusalemme alla Samaria e ad alcune città della Giudea.

Dopo il martirio di Stefano “scoppiò una violenta persecuzione contro la chiesa diGerusalemme” (8,1) che costrinse i cristiani – gli ellenisti provenienti dalla diàspora – adabbandonare la città santa. Questa dispersione si trasforma in un grande movimentomissionario: “Quelli che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la paroladi Dio” (8,4). E’ in questo contesto che si colloca l’attività di Filippo[12], uno dei sette (6, 1-5), che meriterà il titolo di “evangelista” (21,8).Il luogo dell’attività di Filippo è “una città della Samaria” (v. 5). Luca non dice il nomedella città forse per indicare l’evangelizzazione dei samaritani, che realizza il piano delRisorto: da Gerusalemme e Giudea alla Samaria, per poi raggiungere i confini della terra(1,8). Certo è che i samaritani – tanto disprezzati dai giudei, ma tanto cari a Cristo (Lc 9,52:Gesù manda i Dodici in un villaggio di samaritani; Gv 4: l’incontro di Gesù con lasamaritana e i samaritani; Lc 10, 30-37: la parabola del buon samaritano) – si sentonoannunciare il vangelo e lo accolgono generosamente.

Il tema della predicazione di Filippo è ben preciso: “Cominciò a predicare loro il Cristo” (v.5).

Nel successo della missione, però, si inserisce un elemento negativo. Esso è rappresentatoda un mago[13] molto popolare di nome Simone, il quale vorrebbe acquisire dagli apostoli,per denaro, il potere di conferire lo Spirito Santo. Pietro reagisce aspramente a questapretesa, che verrà chiamata successivamente “simonia”, e lo fa con un monito severo chegenera pentimento nel mago.

Filippo però intraprende l’evangelizzazione della Samaria senza dipendere da alcuno.Benché coronata da grande successo la sua attività non è considerata da Luca comepienamente autorizzata. E’ per questa ragione che la nascente Chiesa istituzionale inviaPietro e Giovanni (v. 14) i quali mediante l’imposizione delle mani conferiscono lo Spirito eincorporano nell’ovile l’immatura comunità cristiana della Samaria. Luca fa capirechiaramente che lo Spirito è donato soltanto nell’unione con il collegio autorizzato deiDodici. Il fatto rivela che Luca, mentre scriveva gli Atti, era conscio dell’esistenza nelcristianesimo primitivo di gruppi separati che la madre Chiesa cercava di incorporare (cfr.18, 25-27; 19, 2-6; 20, 29-30).

L’EUNUCO ETIOPICO (8, 26-40)Filippo è qui protagonista di un’altra espansione della fede in Cristo, su sollecitazione di unangelo: negli Atti non è raro che si introducano messaggeri celesti a sostenere la missione(1,10; 5,19; 10,3; 12, 7-10.23; 27,23).

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Sulla strada che conduce da Gerusalemme al sud della Giudea è in viaggio un funzionarioetiopico della regina di quel paese, Candace (un nome portato da molte regine si pensa chefosse un titolo , simile a “Faraone” usato per i re d’Egitto).Costui doveva essere un simpatizzante del giudaismo, leggeva infatti, sul cocchio che lotrasportava, il capitolo 53 di Isaia, il celebre quarto carme del servo del Signore, che latradizione cristiana aveva applicato a Gesù. Filippo coglie l’occasione per sviluppare la suacatechesi partendo da quel testo e conduce il funzionario alla fede e al battesimo. E’evidente che, narrando questo episodio, Luca vuol far balenare la diffusione del vangeloanche in territori lontani e tra razze diverse. Tutto è sotto la guida e il sostegno di Diostesso, che conduce i missionari verso orizzonti sempre nuovi.

LA VOCAZIONE DI SAULO (9, 1-19)Avendo prefigurato la propagazione della Parola ai pagani nell’episodio dell’eunuco dellaregina etiopica, Luca ritorna ora alla persona che sarà l’eroe della seconda parte del suolibro. Prima che venga ufficialmente iniziata la missione ai pagani, è necessario che Lucaincorpori il suo eroe nella Chiesa primitiva. Viene perciò introdotto a questo punto ilracconto della conversione di Saulo[14]. Non è semplicemente un racconto di conversione,ma di vocazione, poiché è stato chiamato ad essere “lo strumento da me scelto per portareil mio nome dinanzi alle nazioni”.Che la vocazione di Paolo sia stata per la Chiesa delle origini un evento fondamentaleemerge dal fatto che negli Atti degli Apostoli essa è narrata per ben tre volte, ora e neicapitoli 22 e 26, con variazioni che forse documentano la presenza di differenti tradizioni.

Quello di Saulo è un incontro con il Cristo risorto, come lui stesso attesterà ponendosi nellalista di coloro che furono beneficiari di un’apparizione pasquale (1 Cor 15, 8-9). Egli èinviato a Damasco dal Sinedrio, che esercitava la sua giurisdizione in modo indiretto anchesulle sinagoghe della Siria, per combattere i seguaci di Cristo.

L’apparizione del Risorto è di per sé una teofania, cioè una rivelazione divina, come èdimostrato dalla luce, che è un simbolo di Dio e che acceca l’uomo. Per Paolo inizia unanuova esistenza che egli descriverà come un “essere conquistato” o “afferrato” da Cristo(Filippesi 3,12). Egli entra, così, nella comunità cristiana ove è accolto – sia pure con leperplessità del caso – da un discepolo di Damasco, Anania, il quale pure è destinatario diuna teofania. Si noti come il racconto non manchi di indicazioni concrete riguardanti leprime vicende di Paolo convertito: ad esempio, la via Diritta era una strada nota, cheattraversava Damasco da est a ovest.

Anania, in un certo senso, è il padre di Paolo nella fede cristiana, perché è lui che lointroduce nella comunità attraverso il battesimo. La permanenza di Paolo nella capitale dellaSiria si trasforma già in occasione di testimonianza per Cristo. Da persecutore egli diventasubito missionario, soprattutto nelle sinagoghe della città, creando imbarazzo tra gli Ebreiche decidono di farlo tacere eliminandolo. Ma Paolo viene salvato in modo rocambolesco:nella notte viene calato in una cesta dalle mura di Damasco e fatto fuggire a Gerusalemme.

A Gerusalemme ad avere perplessità e paura nei confronti del convertito sono in molti tra icristiani. E’ solo con la mediazione di Barnaba che Paolo è accolto e inizia il suo apostolatomissionario rivolgendosi agli Ebrei di lingua greca della diaspora, i quali reagisconoduramente cercando di ucciderlo: Paolo è, così, costretto a riparare nella sua città natale,Tarso, nell’attuale Turchia meridionale.

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Il racconto prosegue orientandosi verso la figura di Pietro e la sua missione nell’area sud-occidentale della Palestina. A Lidda egli opera la guarigione del paralitico Enea, mentre aGiaffa (o Ioppe) riporta in vita una discepola di nome Tabithà, cioè Gazzella, unabenefattrice cristiana.

Il miracolo di Tabithà, riportata in vita da Pietro, ha similitudini con quello operato da Gesùverso la figlia di Giairo 8Mc 5, 38-43). Ma per l’apostolo si sta preparando un’esperienzasorprendente, che segnerà una svolta nella missione della Chiesa delle origini. Essa ha la suaorigine proprio in Giaffa, ove ora Pietro è ospite di un tale Simone, di professioneconciatore di pelli.

III. LA MISSIONE FINO ALL’ESTREMITA’ DELLA TERRA

Questa sezione di Atti descrive la diffusione della Parola di Dio dal centro geografico dellastoria sacra, Gerusalemme, fino alla terza fase (i confini della terra) dell’attività apostolicaindicata nel comando di Gesù: “Mi sarete testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea e laSamaria, fino all’estremità della terra” (1,8).Due note importanti caratterizzano questa parte del racconto di Luca: prima di tutto,l’attività influente di Pietro, e poi, il problema più grande che il cristianesimo ha dovutoaffrontare in questo stadio del suo sviluppo, e cioè la rottura con la sua matrice giudaica e leusanze giudaiche.

VISIONE DI PIETRO E LA CONVERSIONE DI CORNELIO(Cap 10-11)Questi due capitoli degli Atti ci parlano della pentecoste pagana: la salvezza è per tutti.Pietro si sorprende dell’agire di Dio, a favore dei pagani. Lo Spirito Santo sorprendesempre, deve sorprenderci sempre, e ha diritto di sorprenderci. Difatti in questo episodiodegli Atti tutto è orchestrato dallo Spirito Santo: la visione di Cornelio, la visione di Pietro,l’incontro di Pietro a casa di Cornelio, e il primo discorso di Pietro a Cesarea, dove avvieneimprovvisamente l’effusione dello Spirito, anche su dei pagani. Cosa che sconcerta tutti,compresa Gerusalemme, e Pietro deve giustificare a Gerusalemme quello che è avvenuto,cioè come Dio ha stracciato tutti i confini stabiliti dall’uomo.

1) Visione di Cornelio (Atti 10, 1-9).In questo primo testo (10, 1-9) c’è la presentazione di Cornelio, la visione, e il luogo(Cesarea) della irruzione divina. L’episodio infatti inizia con l’indicazione della città dove èavvenuto questo intervento di Dio, decisivo per il futuro della vita della Chiesa: il futurodella Chiesa è legato a questa visione. Cesarea è una città che il re Erode aveva fattocostruire in 12 anni, in onore di Cesare Augusto. Era diventata sede abituale del procuratoreromano e al tempo della missione cristiana era la città più importante della Palestina. Quic’era una popolazione mista formata da una minoranza di Giudei e da una maggioranza dipagani, e i rapporti erano abbastanza tesi. I Giudei facevano appello al fatto che Cesarea erastata costruita da un re giudeo (Erode, appunto), i pagani potevano fare riferimento al fattoche la vita pubblica della città e le sue istituzioni erano pagane (in onore di Cesare). Quindisullo sfondo storico di una tale situazione etnica, caratterizzata da tensioni tra Giudei epagani, acquista maggior rilievo il fatto che proprio a Cesarea alcuni giudeo-cristianisaranno testimoni del fatto che anche i pagani abbiano ricevuto lo stesso dono dello SpiritoSanto. Là dove vivevano questi due gruppi etnici divisi tra loro e in continuo conflitto,

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nasceva una comunità cristiana fatta da persone che pur appartenendo a estrazioni culturali ereligiose diverse, sentivano il bisogno di vivere in comunione, grazie allo stesso dono delloSpirito Santo, che Dio aveva loro concesso.Questa solenne introduzione alla visione di Cornelio è giustificata dal ruolo che svolgerà ilcenturione in questa vicenda. Nei suoi confronti infatti Pietro opererà un miracolo moltopiù grande di quelli operati lì in quei giorni, e cioè, la guarigione del paralitico alla porta delTempio e quella della discepola di Ioppe.Accanto alla figura di Cornelio va notata, nell’introduzione, la presenza di tutta la sua casa:quello che accadrà a lui e alla sua casa farà epoca nella storia della Chiesa. E Luca metteràin buona luce, come è suo costume, questi personaggi romani, e fra le qualità di Corneliomerita una particolare attenzione quella di “pio” di un “timorato di Dio”. Sono appellativiche incontreremo ancora due volte nella storia di Cornelio e altre volte negli Atti. Nellasinagoga di Antiochia di Pisidia, Paolo incomincia il suo discorso con le parole: “Israeliti evoi timorati di Dio”.La parte centrale della visione di Cornelio è costituita dall’apparizione e dal dialogodell’angelo di Dio che Luca descrive secondo il cliché stereotipato del genere letterario delle“apparizioni”: l’irruzione improvvisa del messaggero celeste, il saluto, la risposta, ilmessaggio e poi la scomparsa.“Manda degli uomini a Giaffa e fai venire un certo Simone, detto Pietro”: è un ordinedivino. E’ significativa, a questo proposito la domanda di Cornelio: “Che c’è Signore?”. Lastoria è messa in cammino da un intervento di Dio, Cornelio deve uscire dal suo isolamentoper mettersi in contatto con una persona che vive altrove, questa distanza geografica, chel’angelo di Dio comanda di annullare, certamente non è lunga: Cesarea dista da Giaffa unacinquantina di km, ma è la distanza spirituale che è enorme.A Giaffa Pietro è ospite di una comunità di giudeo-cristiani, cioè di quei cristiani cheprovenivano dal mondo giudaico (Pietro in qualche modo si sentiva il leader delmovimento cristiano nato a Pentecoste), e si erano convertiti al cristianesimo.Cornelio, anche se pagano, è simpatizzante del giudaismo, non conosce ancora Gesù diNazaret, non ha nessuna esperienza della comunità cristiana. Cosa potrà significarequest’ordine dato dall’angelo a un pagano come Cornelio, di cercare un contatto con uncapo dei cristiani come Pietro? D’altra parte il messaggero non rivela al centurione diCesarea lo scopo di questo comando, non indica neppure il motivo per cui deve mandarealcuni uomini per far venire Pietro a Cesarea, che lui neanche conosce.Ma se un intervento di Dio induce Cornelio a mandare una delegazione a Giaffa perchiedere a Pietro di voler gentilmente recarsi a Cesarea, certamente l’incontro tra questi duepersonaggi, non è un colloquio banale tra persone: è un evento carico di mistero, cheCornelio e chi legge gli Atti, attende che sia svelato in seguito.Però l’intervento dell’angelo che entra nella casa di Cornelio, come nella casa di Maria,anticipa già simbolicamente l’ingresso della salvezza cristiana nella sfera vitale di unafamiglia pagana. Certo che la pietà religiosa di Cornelio è quella tipica del giudaismo: le suepreghiere, le sue elemosine, sono accettate da Dio come un sacrificio, e l’interventodell’angelo appare come una risposta, un premio di Dio per la pietà di Cornelio. D’altraparte il testo non suggerisce nella religiosità di Cornelio nessun elemento che potrebbe farpensare ad una farisaica morale del compenso. Non si dice negli Atti come Cornelio preghi,che vanti dei meriti per la sua osservanza, ma è l’angelo di Dio che rivela al centurione chela sua preghiera è riuscita gradita a Dio.Per Luca l’ingresso dell’angelo nella casa di Cornelio e il messaggio che comunica alcenturione è un dono di Dio, anche se dato in cambio del dono che Cornelio ha fatto con lasua preghiera, con la sua elemosina al Signore. A questo punto, potremmo dire che nello

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stesso tempo in cui avveniva questo evento a Cesarea con Cornelio, avviene anche lavisione di Pietro.

2) Visione di Pietro (Atti 10, 9-16).Pietro è il secondo protagonista di questa vicenda (10, 9-16), colui al quale Cornelio avevainviato la sua delegazione. E’ interessante osservare l’analogia dell’esperienza vissuta daCornelio con quella di Pietro: al pari del centurione romano che risiede a Cesarea, Pietrorisiede a Giaffa. Cornelio ha una visione, Pietro riceve questa rivelazione, nel contesto diuna preghiera. Nella situazione di Cornelio, il mediatore divino è un angelo di Dio,nell’esperienza di Pietro è una voce, come nel caso di Saulo. Ma l’identica risposta dell’unoe dell’altro: “Signore”, accomuna le due esperienze, sotto un unico regista della storia: ilSignore Dio. E il contenuto della rivelazione che Pietro riceve non sembra avere nessunarelazione con la problematica personale di Cornelio, questo rafforza la convinzione che ilvero soggetto operante della prima e della seconda scena è sempre il Signore Dio, e ci facapire che sia Cornelio che Pietro sono semplici strumenti attraverso i quali si realizza ilpiano di Dio.Intanto considerato in se stesso l’episodio di Pietro è chiaro.:

- sia “il lenzuolo calato dal cielo dove si trovavano varie specie di animali puri eimpuri”, (regole tipiche delle purità alimentari);

- sia il comando della voce celeste che per tre volte ordina a Pietro: “Uccidi emangia, ciò che Dio ha reso mondo, tu non considerarlo immondo”,

non possono avere che un solo senso: Dio ordina a Pietro di lasciar cadere tutte ledistinzioni legali tra cibi puri e impuri.Questa triplice ripetizione della voce celeste indica con chiarezza che il superamento di talileggi di purità degli alimenti è per l’instaurazione di un’ottica di libertà ed è una rivelazioneche viene da Dio. Questa è una rivelazione che Dio dona al capo della comunità cristianaperché liberi il cristianesimo da queste leggi di purità alimentare, che se avevano unaragione di esistere nella economia veterotestamentaria, sono assurde nella nuova alleanzafondata da Gesù. Questo superamento della legge sui cibi era già stato oggetto dellapredicazione di Gesù di Nazaret e la tradizione sinottica ha conservato una sentenza di Gesùcon la quale “egli dichiarava mondi tutti i cibi”.Tuttavia questo secondo intervento della voce celeste: “Ciò che Dio ha reso mondo, cessadi chiamarlo profano”, lascia aperta la possibilità, che oltre alla questione degli alimenti cisia un riferimento concreto anche alle persone. Difatti l’espressione: “Ciò che”, (è unneutro), e può riferirsi sia alle cose che alle persone, e dal seguito del racconto sapremo chetale riferimento, nell’attuale redazione di Luca, è una certezza.

3) Incontro di Pietro con gli inviati di Cornelio (Atti 10, 17-23).Luca sottolinea con insistenza i ripetuti tentativi di Pietro di interpretare la visione solo in

senso letterale. Ma, come vedremo in seguito, la visione si riferirà ad una realtà che Pietroper il momento non riesce a cogliere, perché è ancora un giudeo ben radicato. La voce hadetto a Pietro: “Alzati, uccidi e mangia, ciò che Dio ha reso mondo cessa di considerarloprofano” e mentre Pietro si chiedeva il significato di questa visione, lo Spirito gli disse:“Alzati, discendi, và con loro” senza tentare di interpretare la visione. Solo alla luceinterpretativa dello Spirito, Pietro comprenderà che la visione del lenzuolo interessava nonsoltanto gli alimenti ma anche e soprattutto le persone. Infatti i due imperativi: “Uccidi emangia”, che riguardavano gli animali, sono compresi per mezzo dello Spirito Santo, inriferimento agli due imperativi che seguono: “Discendi e và con loro”, che interessano irapporti di comunione tra le persone. Questi imperativi stanno a significare che non ha piùalcuna ragione d’essere la tradizionale distinzione giudaica tra uomini puri (Giudei) e

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impuri (i pagani). Quindi solo alla luce di questa ulteriore rivelazione dello Spirito(“Discendi e và con loro”) è possibile l’incontro tra Pietro e gli inviati di Cornelio: da notareche questi sono tutti pagani.Questa rivelazione assolve a una duplice funzione, prima di carattere diciamo ermeneutico(cioè di metodo, interpretativo) perché permette di cogliere il collegamento tra la visione diCornelio e quella di Pietro, e l’altra di carattere ecumenico, perché consente di superare ladistanza spirituale tra Giudei e pagani, che nonostante l’arrivo della delegazione di Cornelioa Giaffa, questa chiusura, questa separazione persisteva. Se il cammino materiale deidelegati di Cornelio ha reso possibile il superamento della distanza geografica tra Cesarea eGiaffa, il cammino intellettuale di Pietro non era sufficiente ancora a colmare la distanzaspirituale tra Giudei e pagani: occorreva un’ulteriore illuminazione dello Spirito che facessecomprendere a Pietro il disegno di Dio.L’intervento dello Spirito Santo, che induce Pietro all’azione evoca una costante teologicadel libro degli Atti: ogni qualvolta istruzioni o comandi vengono dati in una visione, inun’estasi, attraverso la voce dello Spirito, la voce di un angelo, siamo di fronte a una tappaimportante nella realizzazione del piano di Dio: “Pietro, allora li fece entrare e li ospitò”:un pagano non poteva entrare nella casa di un giudeo.Condotto dallo Spirito sul senso profondo della visione e illuminato dal dialogo con gliinviati di Cornelio, Pietro non ha difficoltà ad ammettere i pagani sotto lo stesso tetto, doveegli abita. I delegati del centurione, che arrivati a Giaffa chiedevano dove fosse ospiteSimone, detto anche Pietro, non solo hanno la gioia di osservare che Pietro va loro incontro:“Ecco sono io colui che cercate”, ma vengono introdotti nella casa e ospitati. Nella stessacasa dove Pietro ospita il giudeo-cristiani, sono ospiti anche i pagani. Tutto ciò non può nonavere valore simbolico, in considerazione del futuro sviluppo della nazione: giudeo-cristianie pagano-cristiani saranno insieme nell’unica Chiesa di Dio. L’azione che Pietro compie neiconfronti dei delegati di Cornelio, annuncia simbolicamente il conferimento del Battesimoche egli ordina di dare alla casa del centurione, e attraverso il quale i pagani faranno il loroingresso nella casa del Signore.

4) Incontro a Cesarea di Pietro e Cornelio (Atti 10, 23-33)Il senso fondamentale di questa scena è l’ingresso di Pietro nella casa di Cornelio. Luca nonpoteva sottolineare meglio l’importanza dell’avvenimento: sia la visione di Cornelio, chequella di Pietro, erano finalizzate da Dio a tale incontro, e la descrizione dell’avvenimento ècurata bene dall’autore degli Atti, fin nei minimi particolari. Ben quattro volte ripete lostesso verbo: “Entrare”. Il significato dell’avvenimento è illustrato in modo convergente dalcomportamento e dal discorso di Pietro: questi entra nella casa di Cornelio, nellaconsapevolezza di essere un uomo. E’ molto bello questo atteggiamento di Pietro: “Alzati,anch’io sono un uomo”. C’è il dovere di non ritenere profano, impuro, alcun uomo: il fattoche Pietro sia un giudeo e Cornelio un pagano non è più motivo di discriminazione, possonoincontrarsi nel comune possesso della stessa umanità. Questa è la base: se non siamouomini, non siamo nemmeno cristiani. Le prescrizioni legali giudaiche sono definitivamentesuperate, attraverso un lungo processo di riflessione, Pietro ha compreso che Dio gliordinava di non tenerne più conto. Il gesto di Cornelio che si prostra ai piedi di Pietro peradorarlo, simile a quello dei pagani di Listra nei confronti di Paolo, ha il colore di unabestemmia: Pietro si scandalizza.L’ingresso di Pietro nella casa di Cornelio segna l’inizio di una nuova fase della storia nellaquale gli uomini hanno la possibilità di intrecciare rapporti di comunione con tutti, senza loscrupolo di dover trasgredire una legislazione discriminante. Quante norme oggi sonoancora discriminanti! Dopo l’esperienza di Cornelio per un giudeo che voglia avere rapporti

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con un pagano non sarà più necessario un intervento dello Spirito: perché qui è giàintervenuto.Accanto a questo significato fondamentale di questo incontro (cioè non c’è più distinzionetra giudei e cristiani), ce n’è un altro a livello simbolico: con Pietro entra nella casa diCornelio la salvezza di Dio. L’identità, operata da Luca, nel descrivere sia l’ingressodell’angelo che quello di Pietro nella casa di Cornelio, pone le due scene in rapportoreciproco: l’intervento dell’angelo nella casa di Cornelio preannuncia l’ingresso di Pietronella casa del centurione romano, una scena qualifica l’altra.Il terzo dato teologico da rilevare è la marcata accentuazione della dimensione comunitariadell’evento.Il racconto delle tre scene precedenti lasciano pensare che l’episodio interessi solo la figuradi Cornelio e di Pietro. Anche se insieme a Cornelio è fatta menzione della sua casa, tuttolascia pensare che si tratti di elementi secondari, una vicenda strettamente personale. Ma inquesta quarta scena, invece, balza agli occhi prepotente la dimensione comunitaria di quantosta per accadere.Arrivato Pietro a Cesarea, Luca nota che, erano ad attendere l’ospite non solo Cornelio, maanche i suoi parenti, gli amici più intimi, e infine, nella conclusione della scena, si precisache: “Tutti noi siamo qui riuniti per ascoltare tutto ciò che ti fu ordinato dal Signore”, anchePietro è accompagnato, non è solo, tutti sono in attesa del discorso di Pietro. L’avvenimentoha un significato teologico che trascende la sola figura di un uomo, per quanto importantecome Cornelio, per rivestire un significato comunitario.Se all’inizio poteva sembrare che era stato Cornelio, su comando dell’angelo, a mandare achiamare Pietro, qui invece appare chiaro che la venuta di Pietro non interessa soltanto ilcenturione di Cesarea, ma tutta la sua casa. A Cesarea sta per nascere una nuova comunitàdi salvezza.

5) Discorso di Pietro (Atti 10, 34-43).- Il primo messaggio contenuto nel discorso di Pietro è l’affermazione che la salvezza diDio è destinata a tutti gli uomini. Il capo della comunità cristiana comincia il suo discorsocon una dichiarazione di principio, dalle dimensioni universalistiche: “Dio non fapreferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartengaè a Lui accetto”. Dio non guarda in faccia a nessuno, ama il forestiero e gli dona pane evestito, diceva già il Deuteronomio. Grazie all’opera di Gesù, Pietro comprende chel’imparzialità di Dio verso tutti i membri del popolo eletto si estende anche a tutti gli uominidi qualunque nazione “chiunque teme Dio e opera la giustizia è a lui gradito”. Per piacere aDio non è più necessario far parte del popolo giudaico, l’imparzialità di Dio non simanifesta soltanto nel “giudizio”, ma ora “nelle relazioni verso tutti gli uomini”. Cornelio,uomo giusto, timorato di Dio, le cui opere buone salivano come memoriale al suo cospetto,vive nella condizione presupposta dal discorso di Pietro, anche se è un pagano, è un amicodi Dio. Questa prospettiva universalistica, con la quale Pietro apre il suo discorso non è cheun’applicazione cristiana di un principio già noto nell’AT e nel giudaismo. Anche aPentecoste Pietro aveva terminato il suo discorso con la dichiarazione che Gesù è il Signore(Att, 2,36): era un discorso rivolto soltanto al giudei, ora egli parla ai pagani, dice che Gesùè il Signore di tutti. L’antica professione di fede: Gesù è il Signore” è qui utilizzata da Lucain senso universalistico: “Dio ha mandato Gesù, Signore di tutti per stabilire la pace tragiudei e greci”; “Cristo è la nostra pace” (Efesini), qui si vede il forte legame che c’è traPaolo e Luca. “Chiunque crede in lui riceve il perdono”, gli uomini ormai non sidistinguono più tra puri e impuri, la vera purificazione si ottiene mediante la fede, che nonopera più alcuna discriminazione fra gli uomini. Tutto il messaggio biblico dell’AT riletto

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alla luce dell’esperienza di Gesù Cristo è una testimonianza del fatto che la salvezza di Dioè offerta a tutti gli uomini.- Il secondo messaggio del discorso di Pietro è costituito dalla stessa centralità della personae del ministero di Gesù. E qui Luca nel ricordare i fatti più salienti della sua vita (l’inizio delsuo ministero, il Battesimo, la sua attività in Giudea, in Galilea, fino all’Ascensione)presenta Gesù come il realizzatore definitivo delle promesse di Dio.La salvezza che Dio offre agli uomini è la persona stessa di Gesù nella totalità della suaesperienza, del suo mistero. I cristiani di tutti i tempi non potranno mai staccarsidall’evento-Gesù, senza compromettere seriamente la genuinità della propria fede. Cornelioè il primo pagano che diventa cristiano, non perché convertito dagli uomini ma da Dio:questo è il fatto strepitoso che suscita lo stupore di Pietro, il quale deve semplicementeconstatare che Dio “non fa differenze di persone”. I giudeo- cristiani venuti da Giaffa conlui, sono meravigliati che anche su un pagano è stato effuso il dono dello Spirito, sarà poi lastessa comunità di Gerusalemme a riconoscere che Dio ha concesso anche che ai pagani lapenitenza per la vita.Convertito da Dio, Cornelio è già un cristiano.

6) Effusione dello Spirito e Battesimo (Atti 10, 44-48).Dopo aver letto questi episodi, il lettore degli Atti finalmente comprende qual’era lo scopocui mirava Luca fin dall’inizio. Tutta la storia di Cornelio è stata orchestrata dall’evangelistaper mettere in risalto l’effusione dello Spirito Santo sui pagani. La pentecoste dei paganiavviene nella casa di un pagano, Cornelio. E questo per una iniziativa gratuita di Dio, anchenoi dovremo sempre fare i conti con le iniziative gratuite di Dio, in tutti i tempi. E’ Dio cheha posto sullo stesso piano pagani e giudeo-cristiani. Attraverso il battesimo e la comunionedi vita con i giudeo-cristiani i pagani hanno fatto il loro ingresso ufficiale nella comunitàecclesiale.- Il primo dato teologico da rilevare è che l’irruzione improvvisa e assolutamente gratuitadello Spirito sulla casa di Cornelio, stravolge tutto il normale processo di iniziazionecristiana le cui tappe importanti erano fondate sulla proclamazione della Parola di Dio,l’ascolto, la fede, la conversione, il battesimo e il dono dello Spirito. Qui sembra che tuttoquesto non abbia senso.- Un’altra chiara preoccupazione teologica di Luca è l’assimilazione della Pentecoste deipagani con Pentecoste cristiana (cioè la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli).Luca fa un parallelismo e fa notare che: tutto quello che è avvenuto a Gerusalemme, nelgiorno di Pentecoste è avvenuto lo stesso a Cesarea. L’accostamento tra le due scene emergeda una serie di termini che sono caratteristici nella descrizione delle due esperienze.

1. Il termine “tutti” (“pàntes”) è riferito sia agli apostoli presenti nello stesso luogodurante la discesa dello Spirito Santo, sia a “tutti (“pàntes”) i pagani presenti aCesarea dove sono investiti del dono dello Spirito.

2. L’effusione dello Spirito a Pentecoste provoca nei giudei presenti a Gerusalemmeuna reazione di stupore, di meraviglia (dicevano: “Sono ubriachi”), uguale a quellaprovata dai giudeo-cristiani che avevano accompagnato Pietro da Giaffa a Cesarea, eche sono testimoni di questo evento. Quindi sia nella pentecoste giudaica sia inquella dei pagani, lo Spirito è definito come “dono”.

3. A Gerusalemme Pietro dice: “Ravvedetevi e fatevi battezzare nel nome di GesùCristo per ottenere il perdono dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spiritosanto”.A Cesarea, gli amici di Pietro si meravigliano che anche sui pagani è stato effuso ildono dello Spirito Santo. Nell’uno e nell’altro caso, l’irruzione dello Spirito èespressa con lo stesso verbo “effondere” e al dono dello Spirito segue il fenomeno

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della “glossolalìa”, questo parlare in lingue, che vuol dire “farsi capire” non tantolinguaggi strani. I membri della casa di Cornelio ricevuto lo Spirito parlano in lingue,cioè annunciano le meraviglie di Dio, i cristiani di Cesarea magnificavano Dio.

E come se queste analogie non bastassero, Luca sottolinea chiaramente l’identitàdell’esperienza spirituale avuta dagli apostoli a Gerusalemme e dai pagani a Cesarea:“Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto loSpirito Santo al pari di noi?”. L’identità del dono dello Spirito costituisce la prova decisivaperché Pietro non abbia più alcuna difficoltà a comandare che essi siano battezzati e inseritiufficialmente nella comunità ecclesiale. Il conferimento del battesimo sancisce in modoufficiale l’accoglienza dei pagani nella comunità ecclesiale. Non è più il battesimo che donalo Spirito ma esso segna l’appartenenza ormai definitiva dei pagani di Cesarea alla Chiesa,il vero dono che Pietro fa a Cornelio e che era l’unica ragione del suo viaggio a Cesarea è ilconferimento del battesimo. Lo Spirito non è certo una realtà istituzionale, è dato allaChiesa ma non è proprietà della Chiesa, la sua presenza, pur essendo talvolta legata a unministero umano resta sempre una realtà trascendente, che Dio liberamente concede comedono a qualsiasi uomo. Lo Spirito sfugge a tutti i tentativi umani di manipolazione, diràGiovanni: “Lo Spirito Santo è come il vento, non si sa dove viene né dove và”. D’altraparte l’azione dello Spirito si manifesta pienamente nella comunità ecclesiale. Il dono delloSpirito crea la vera libertà e la vera comunione fra gli uomini. Per Luca la comunioneecclesiale non è soltanto un fatto spirituale ma anche una realtà esterna, visibile, che devemanifestarsi nella vita quotidiana dei credenti, all’inizio del libro degli Atti abbiamo lettoche essi “mettevano tutto in comune”.E alla fine Pietro deve fare una relazione di quello che è avvenuto:

7) Discorso di Pietro a Gerusalemme (Atti 11, 1-18).Pietro di fronte alle critiche che venivano da Gerusalemme è costretto a dire come stavanole cose, per cui la comunità pagano-cristiana di Cesarea riceve il riconoscimento ufficialenell’incontro di Pietro con la Chiesa di Gerusalemme.- Questo è il significato fondamentale di questo brano. Secondo la concezione teologicadella Chiesa che ha l’autore degli Atti, tutte le comunità cristiane sparse nel mondo, pur nelpluralismo culturale e religioso che li caratterizza, devono essere collegate in modo vitalecon la Chiesa Madre di Gerusalemme. Anche Paolo rispetterà lo stesso stile: terminato ilprimo viaggio missionario, giunto insieme a Barnaba a Gerusalemme, furono accolti dallaChiesa, dagli Apostoli, dai presbiteri e annunciavano “tutto ciò che Dio ha operato permezzo loro”. Quindi nessuna meraviglia che tale regola venga rispettata dallo stesso Pietro,per la comunità nata a Cesarea, benché sia sorta per iniziativa esclusiva di Dio. Gliinterventi di Dio messi in atto nell’origine della Chiesa di Cesarea non esonerano questanascente comunità dalla comunione con la Chiesa di Gerusalemme. Pietro ne è consapevole,perciò sale a Gerusalemme e fa la sua dettagliata e ordinata esposizione dei fatti e riceve ilsigillo ufficiale della Chiesa che pubblicamente riconosce che “anche ai pagani Dio haconcesso la penitenza per la vita”. E attraverso la comunione con Gerusalemme, tutte lechiese locali sono collegate a Gesù di Nazaret come centro della storia. E la Chiesa diGerusalemme non è vista da Luca come centro di potere, cui tutto deve essere subordinato,ma come luogo di mediazione, che consente alle chiese di tutti i tempi, sparse per il mondo,di essere “cattoliche” nel senso di “universali”. Il riconoscimento che la comunità diGerusalemme ha dato all’operato di Pietro è stato in fondo un atto di obbedienza a Dio:“Anche ai pagani Dio ha concesso la vita”.- Il secondo aspetto del messaggio teologico contenuto in questo brano, che emerge daldiscorso di Pietro, si può cogliere nel versetto conclusivo: “Chi ero io da potermi opporre aDio?”. E questo è un interrogativo che dobbiamo porci tutti nei casi delle nostre storie: “Chi

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ero io per oppormi a Dio?”. A volte Lui ci sopravanza, d’altra parte questa conversione deipagani aveva suscitato problemi all’interno della Chiesa di Gerusalemme: Pietro ha offertoospitalità a dei pagani e lui stesso è ospite in una famiglia di pagani, certamente non haosservato le leggi, le norme legali del tempo. A Gerusalemme erano in comprensibileapprensione, il testo dice: “Quelli della circoncisione si erano fatti portavoce”. L’effusionedello Spirito sulla famiglia di Cornelio appare quindi come un nuovo compimento di unaParola del Signore.Quante suggestioni nascono da questo brano, forse l’abbiamo letto tante volte, ma letto inmodo analitico capiamo come lo Spirito Santo, ci sorprende. La grande libertà dello Spiritovà al di là delle nostre istituzioni, che vanno sempre in qualche modo relativizzate, siamo incammino verso il Regno e deve affacciarsi il senso della provvisorietà: qui si piantasoltanto tenda, ciò che rimane è il Signore e il suo regno, Lui ha sempre il diritto discombinarci, quando ci leghiamo in modo irreversibile alle nostre idee, alla nostra visionedella vita. Da qui l’apertura continua alla Parola, allo Spirito che vibra in essa,relativizzando anche le nostre piccole miserie, ma restando aperti al dono dello Spirito, allasua libertà che è senza limiti.Ma torniamo al racconto. L’obiettivo del narratore ora si sposta fuori della Giudea, nelleterre dove il vangelo si sta diffondendo. In particolare l’attenzione si fissa su Antiochia[15],la maggiore città della provincia romana di Siria, sede del governatore romano. Qui per laprima volta alcuni cristiani di matrice giudeo-ellenistica, cioè appartenenti alla diasporaebraica di lingua greca, annunziano Cristo anche ai greci, con un successo straordinario diconversioni.Ancora una volta la Chiesa-madre di Gerusalemme invia un suo rappresentante ufficiale,Barnaba, per incorporare nell’ovile i nuovi cristiani, in tal modo la missione antiochena èapprovata ufficialmente dalla Chiesa di Gerusalemme. In questo caso l’inviato non è uno deiDodici (come in Samaria, fu Pietro e Giovanni 8,14), anche se in seguito Luca chiamaBarnaba col titolo di “apostolo” (14,4.14).

PERSECUZIONE DI ERODE (12, 1-23)Questo testo ritrae un momento cruciale della Chiesa di Gerusalemme. Dopo le persecuzionida parte delle autorità religiose (4,3; 5, 17-26) cominciano ora anche le autorità politiche. Latattica di Erode Agrippa[16] è antica, comune a tutti i despoti: tenere divisi i sudditi perpoterli meglio governare, ma parteggiando nel frattempo per il più forte.L’imprigionamento di Pietro senza accuse e senza processo era illegale ma la legalità non èla virtù dei potenti e dei tiranni. La situazione è ricostruita dall’autore degli Attidrammaticamente.Da una parte c’è Erode, con la connivenza dei cittadini di Gerusalemme, le sue guardie edall’altra un prigioniero con un gruppo di povere persone che premono per la sualiberazione.Ma per l’autore sacro al di sopra di tutti vi è Dio che non sempre, ma quando vuoleinterviene sgominando qualsiasi opposizione ai suoi piani, come fa nel presente caso.Il “miracolo” non è la soluzione abituale delle situazioni incresciose e difficili, ma qualchevolta avviene. Esso però nella Bibbia è solo un “segno”, una prova che Dio anche quandonon si fa vedere, non è lontano dai suoi fedeli.La liberazione di Pietro è certamente avvenuta miracolosamente, ma l’autore rinuncia afarne sapere le modalità; quelle che egli presenta hanno più uno scopo teologico-apologeticoche storico. Addirittura ricorda che Pietro esce come da un sogno (12,11) e rientra in sestesso solo allo scomparire dell’angelo.

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La lezione finale è chiara: la comunità di Gerusalemme non può da sola competere conErode, ma con l’aiuto di Dio può riuscire anche a sconfiggerlo. In fondo il testo rimanesempre un messaggio di speranza.Questo brano degli Atti ripropone la storia di un uomo, Pietro, che molto tempo prima, siera arreso alla forza di Dio. Era notte. Ormai la rassegnazione aveva convinto Pietro astarsene buono in catene. Sapeva che la rabbia dei farisei non aveva limiti e che prestosarebbe stato processato. Solo la forza di Gesù Risorto e dello Spirito lo confermava nellacertezza che Gesù era il Dio grande e potente della sua fede. Del resto aveva già visto che,nel suo nome, lo zoppo era riuscito a mettersi in piedi, gli ammalati riacquistavano la salute,la folla trovava ragioni per vivere nonostante tutto.Era una notte in catene, che lasciava ben poco alla speranza di libertà. E Pietro era un uomotroppo concreto per credere alle illusioni. Mentre tutto sembrava finito, l’Angelo gli dice:“Mettiti la cintura, avvolgiti nel mantello e seguimi!”. Lui crede che sia un sogno affannoso,tipico dei tempi di ansia. Pietro è stupito e solo quando si trova, solo, sulla strada, si accorgedi essere libero.La Parola di Dio racconta sempre storie che hanno a che fare con la nostra vita.Un altro sommario minore (v. 24) registra la crescita della comunità primitiva malgrado lapersecuzione (cfr. 6,7, 9,31).

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IL PRIMO VIAGGIO MISSIONARIO DI PAOLO (cap. 13-14)

Luca inizia ora il racconto di un tema che occuperà la parte piùvasta degli Atti: i viaggi missionari di Paolo. Siamo ad Antiochia, ilcuore della vita missionaria della Chiesa delle origini. Dellacomunità cristiana locale vengono presentati i membri che ladirigono: essi sono detti “profeti” nel senso sopra indicato (cioè“pieni di Spirito Santo” 11,27) e “maestri”, perché annunciatoridella parola di Dio e interpreti del messaggio cristiano. Paolo e

Barnaba sono ufficialmente incaricati attraverso l’imposizione delle mani (rito non diordinazione, ma di incarico e di affidamento a Dio) per quello che sarà il primo viaggioapostolico. Prima tappa del primo viaggio sarà l’isola di Cipro (patria di Barnaba), con lecittà di Salamina e di Pafo.

Le grandi missioni di Paolo saranno continuamente presentate da Luca come guidate dalloSpirito, e tale elezione viene qui esplicitamente affermata (13,4).

Il viaggio comincia con la partenza dal porto di Seleucia[17] verso Cipro, dove risiedeva unavasta colonia di giudei, attraversata tutta l’isola giungono a Pafo[18]

Nell’isola di Cipro si registra lo scontro tra un mago, di origini giudaiche (Bariesus,definito anche Elimas, forma grecizzata del soprannome aramaico “halema”, cioè“interprete di sogni”) e Saulo, che lo chiamerà “figlio del diavolo”, accusandolo dipervertire con l’inganno il proconsole romano dell’isola, Sergio Paolo. Su Elimas l’apostolofa scendere la cecità, segno della menzogna che è in lui, così da impedirgli di condurre altrialla falsità. Si noti che a partire dal versetto 9 Saulo sarà chiamato definitivamente Paolo. Ilmutamento avviene quando l’apostolo entra in scena in pienezza nella sua missione dievangelizzatore.

Il viaggio prosegue verso l’Asia minore fino a Perge[19]: è qui che si verifica l’abbandonodella missione da parte di Giovanni Marco[20] (vedi 12,12).

Ci si sposta poi, con 160 km di pesante itinerario, ad Antiochia di Pisidia[21] (da nonconfondersi con la più nota Antiochia di Siria).

Attenendosi alla direttiva secondo la quale bisognava annunciare la parola di Dio prima aiGiudei (At 13,46 ss), Paolo e Barnaba si presentano alla sinagoga, durante il culto sabbatico.Letta le legge con un brano dei profeti, la spiegazione omiletica è affidata agli ospiti, cioè aPaolo e ai suoi compagni. L’apostolo pronunzia il più lungo dei discorsi a lui riferiti negliAtti. L’intervento è articolato in tre parti.- La prima (vv. 16-25) è una sintesi della storia della salvezza dai patriarchi fino a Davide.Questa testimonianza è basata su un intreccio di citazioni bibliche (Salmo 89,21; 1 Sam13,14; Isaia 44,28), che culminano nella “promessa” del Messia dalla discendenza davidica(2 Sam 7, 12-16).

- E’ in questa discendenza che appare Gesù Cristo, che domina la seconda parte del discorso(vv. 26-37). Si noti come il Battista sia collegato ancora all’Antico Testamento. La salvezzaè offerta da Cristo a Israele. I Giudei nella crocifissione, senza essere coscienti, hannoadempiuto le profezie. Ma è la Risurrezione il pieno compimento delle promesse. Essa èattestata, secondo la tipica lettura cristiana dell’AT, da tre passi biblici: il Salmo messianico2,7 (con l’intronizzazione del re davidico perfetto), Isaia 55,3 (che celebra la fedeltà di Dio

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alle sue promesse), e il Salmo 16,10 (che assicura l’eternità di questo regno, rendendoimmune il Messia dalla corruzione della morte).

- La terza parte del discorso (vv. 38-41) proclama la salvezza attraverso la fede in Cristo,ammonendo gli Israeliti ad aprirsi all’annunzio dell’opera gloriosa che Dio sta compiendo(si cita il testo di Abacuc 1,5).

Ad Antiochia di Pisidia Paolo ha un secondo incontro pubblico: questa volta è con l’interacittà, cioè con pagani e membri della comunità giudaica. Il successo dell’apostolo scatena lareazione aspra e ostile degli Ebrei locali. Paolo, allora, dichiara esplicitamente – fondandosisul secondo dei cosiddetti “canti del servo del Signore” (Isaia 49,6), un testo messianiconella lettura cristiana – il passaggio del vangelo ai pagani, dopo che i primi destinatari, cioèIsraele, hanno opposto il loro rifiuto. Un rifiuto, per altro, aggressivo nei confronti di Paoloe Barnaba, che si vedono costretti a lasciare Antiochia.

La nuova tappa del viaggio di Paolo e Barnaba è Iconio[22] (l’attuale Konja, in Turchia), a140 km a est di Antiochia. Anche qui si ripete la stessa vicenda di Antiochia: si ha un primoincontro nella sinagoga, i Giudei increduli sobillano i pagani ai quali gli “apostoli”predicano il vangelo. La reazione violenta degli oppositori, se da un lato costringe ipredicatori alla fuga, dall’altro lato apre orizzonti nuovi all’annunzio di Cristo.La tappa successiva è Listra[23], a circa 40 km a sud di Iconio, e a Derbe[24], 40 km più a sud-est di Listra. Ora il confronto di Paolo e Barnaba è direttamente con il mondo pagano.

E’ un evento miracoloso, la guarigione di uno storpio da parte di Paolo, sul modello diquanto aveva fatto Pietro (3, 1-10; 9, 32-35) a stimolare l’incontro. I cittadini di Listra, difronte a questo prodigio, hanno una reazione di impronta pagana: immaginano che Barnabae Paolo siano Zeus (Giove) ed Hermes (Mercurio) incarnati.[25] Si ha perfino il tentativo diadorazione sacrificale nei confronti dei due missionari, i quali si sottraggono a malapena aquesto omaggio idolatrico e annunziano il loro messaggio, secondo uno schema adatto peruditori pagani e che verrà ripreso da Paolo ad Atene (17, 22-31; vedi 1 Tess 1, 9-10).

Tuttavia i Giudei di Antiochia e Iconio riescono a gettare fermento ostile a Listra, al puntotale da far passare quegli abitanti ingenui dall’adorazione alla lapidazione. Paolo restatramortito, ma riesce a passare a Derbe. Dopo un certo periodo, rientra a Listra, a Iconio ead Antiochia per fortificare quelle comunità di cristiani, costituendo anche un organismocollegiale di guida: “gli anziani”. Paolo e Barnaba si preoccupano quindi di dare alle variecomunità locali un’organizzazione strutturale e istituzionale, simile a quella diGerusalemme.

La missione procede verso nuovi orizzonti, a Perge[26] e ad Attaglia[27], ove Paolo e Barnabasi imbarcano per ritornare ad Antiochia di Siria, dalla quale avevano iniziato la loro operaapostolica.

E’ difficile stabilire con precisione la durata di questo viaggio. Sembra che la primamissione di Paolo sia durata dal 46 al 49 d.C.

IL CONCILIO DI GERUSALEMME (15, 1-35)Questo episodio è inserito secondo un piano prestabilito, al punto centrale del racconto degliAtti, perché ne rappresenta la svolta decisiva, quando cioè il collegio apostolico epresbiterale di Gerusalemme riconosce ufficialmente l’evangelizzazione dei pagani che èstata iniziata da Pietro, Barnaba e Paolo. In tal modo la Chiesa cristiana si svincola

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ufficialmente dalla sua matrice giudaica. Questo è l’ultimo atto di Pietro o del collegioapostolico che viene registrato da Luca. Adesso anche i Dodici si separano, contrariamenteall’indicazione contenuta in 8,1. La Chiesa madre di Gerusalemme continuerà ad esercitarela sua influenza, ma sotto la direzione di Giacomo. Paolo dominerà il resto del racconto diLuca. Fino a questo capitolo Luca aveva ordinato tutto il suo materiale attorno aGerusalemme come il punto focale dottrinale della sua narrazione. Le città o regioni dellaPalestina o Siria che venivano evangelizzate, venivano incorporate dai suoi inviati nellamadre Chiesa. Ora, invece, la Parola, fatta libera e matura, prosegue la sua marcia “finoall’estremità della terra”.Ora torniamo al concilio di Gerusalemme, che sarebbe meglio chiamare “concilioapostolico”, nell’intenzione di Luca dovrebbe equivalere a un incontro di apostoli delSignore e dei loro più stretti collaboratori, che mettono a confronto le loro esperienze dievangelizzatori, e prospettano di risolvere le difficoltà incontrate in maniera accettabile per ineoconvertiti: Giudei e pagani. Il conflitto scoppia ad Antiochia, dove si era instaurata laprassi di non circoncidere i pagani convertiti. Allora, alcuni Giudei divenuti cristiani,scesero ad Antiochia a rivendicare i pretesi diritti del giudaismo sul paganesimo, ponendocioè, come condizione per l’accoglienza dei pagani, l’obbligo della circoncisione mosaicaper essere salvati (Atti 15,1b). Questi “giudaizzanti”, pertanto affermando necessaria per lasalvezza l’osservanza della legge mosaica, annullavano praticamente la redenzione operatada Cristo e riducevano la Chiesa ad una setta giudaica, minacciandone la stessa esistenza.L’argomento che questi “giudaizzanti” portano a sostegno della loro tesi, si fonda sul fattoche i pagani neo-convertiti, prima di essere cristiani, dovevano essere integrati nell’Israelestorico, unico erede delle promesse di Dio, con i riti (quindi la circoncisione) riservati ainuovi seguaci che abbracciano la nuova religione.

Queste dottrine erronee, quindi, furono l’occasione per il concilio di Gerusalemme (circal’anno 49-50), in cui la Chiesa, come si è detto, si staccò decisamente dalla sinagoga,dichiarando che per la salvezza eterna è necessaria e sufficiente la redenzione operata daCristo. L’errore, però, non finì lì, e Paolo ebbe a soffrire durante tutto il suo apostolato acausa dei giudaizzanti.

Una delegazione, presieduta da Paolo e Barnaba, fu incaricata di presentare la questione agli“apostoli e agli anziani” della Chiesa di Gerusalemme (Atti 15, 3-4). Paolo e Barnabaraccontano del successo della loro missione (15,4) e suggeriscono la soluzione dellacontroversia: i risultati ottenuti tra i pagani, grazie all’iniziativa divina, garantiscono labontà della via seguita. La prima risposta viene dai farisei convertiti ed è chiusura: essiinsistono sulla necessità della circoncisione e dell’osservanza della legge di Mosè (15,5).Forte della sua esperienza, Pietro interviene con un riferimento all’episodio dellaconversione del centurione pagano Cornelio e della sua famiglia, sui quali scese lo SpiritoSanto prima che fossero battezzati. Non si deve quindi imporre ai credenti del vangelo,Giudei o pagani, il giogo della legge, poiché “noi crediamo che per la grazia del SignoreGesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro” (15,11).I giudeo-cristiani di Gerusalemme, per buona parte farisei convertiti, si attendevano allorada Giacomo (“fratello del Signore”, subentrato a Pietro nella guida di quella comunità:12,17; vedi Mc 6,3; Gal 1,19) loro capo, una reazione che ribadisse il significato tuttoravalido della legge di Mosè.

Con loro sorpresa ascoltarono un intervento articolato di Giacomo che, riprendendo leparole di Pietro, e basandosi su un passo del profeta Amos (9, 11-12), riletto in chiave

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cristologia e universalistica, affermava il principio della salvezza offerta a tutti i popoli, percui i pagani sono associati ai Giudei attraverso la fede.

Tuttavia, preoccupato della pacifica convivenza delle comunità miste (Ebrei e pagani),propose ai cristiani di origine pagana l’osservanza di alcune clausole che comprendevanol’astensione da quattro tipi di impurità rituale: le carni immolate agli idoli da non usare neibanchetti, certe unioni matrimoniali considerate illecite dal diritto giudaico (“impudicizia” o“impurità”: vedi Lev 18, 6-18 dove si condanna l’incesto e la poligamia), le carni nonmacellate secondo l’uso ebraico, che eliminava il sangue dalla carne (Lev 17, 15-16), ilcibarsi del sangue animale (Lev 17, 10-14).

La mediazione di Giacomo è accolta dall’assemblea che delega, oltre a Paolo e Barnaba,quali rappresentanti della comunità di Antiochia, anche un certo Giuda (figlio di Barabba) eSila (conosciuto anche come Silvano e futuro collaboratore di Paolo: 2 Cor 1,19; 1 Tess 1,1)quali rappresentanti della Chiesa di Gerusalemme, a comunicare le decisioni del “concilio”di Gerusalemme alla comunità di Antiochia. Queste decisioni sono formulate in una lettera-decreto che viene letta ad Antiochia dai delegati, suscitando entusiasmo e accettazione.

Mentre Giuda e Sila abbandonano Antiochia, Paolo e Barnaba vi restano per continuare laloro opera di evangelizzazione.

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IL SECONDO VIAGGIO MISSIONARIO DI PAOLO(15,36 - 18,22)

Si apre ora il secondo grande viaggio missionario di Paolo, destinato ad approdare inEuropa. E’ curiosa la nota a riguardo del dissenso tra Paolo e Barnaba sulla scelta diriprendersi come compagno di missione Giovanni Marco, che li aveva abbandonati a Perge,in Panfilia (13,13). Forse alla base c’erano diverse strategie pastorali: Barnaba decide distaccarsi e di unirsi a Marco, recandosi a Cipro. Paolo sceglie allora Sila, uno dei delegati diGerusalemme, e si avvia verso un’area già visitata nel suo primo viaggio missionario.Infatti, si reca in Asia Minore, a Derbe e a Listra. Qui incontra colui che diverrà un suostretto collaboratore, Timoteo, figlio di madre giudea e di padre pagano, che non eracirconciso, pur essendo ebreo, dato che la linea di appartenenza al giudaismo è determinatadalla madre. Per evitare polemiche con i giudeo-cristiani, Paolo lo fa circoncidere, rivelandoun sano realismo pastorale (vedi 1 Cor 9,20).L’itinerario di Paolo in questa missione lo porta da Antiochia di Siria nella Cilicia, a Derbee a Listra, e da qui nella Frigia, Galazia (nord), Misia e Troade. Dopo una visione avuta nelsogno passa in Europa: a Neapoli, nella Macedonia, Filippi, Anfiboli, Apollonia,Tessalonica e Berea. Da qui prosegue verso l’Acaia: ad Atene e Corinto. Infine salpa dalporto di Cencre e per via mare si dirige verso Efeso, Cesarea Marittima, Gerusalemme eAntiochia. La missione dura approssimativamente dal 49 al 52 d.C. Stando al racconto diLuca la seconda missione avrebbe avuto inizio immediatamente dopo il “concilio” diGerusalemme (Atti 15, 3-33).Commentiamo ora brevemente queste tappe del secondo viaggio di Paolo.L’attività missionaria di Paolo si svolge in Asia Minore, l’attuale Turchia. Il gruppo deimissionari lasciando la regione di Iconio, Derbe e Listra (città nella Galizia del sud) si dirigeverso la Galizia del nord, e di là verso l’Asia Minore. Attraversano, quindi, la Frigia[28], laregione della Galazia (del nord) e la Misia, posta più a nord: qui Paolo ha un’esperienzamisteriosa di rivelazione. In visione gli appare la figura di un uomo della Macedonia[29],terra greca, che lo supplica di andare ad annunziare il vangelo. E’ a questo punto, in 16,10,che hanno inizio quei brani dell’opera scritti alla prima persona plurale e detti dagli studiosi“sezione noi”. Si pensa a Luca come compagno dell’apostolo; è curioso che essi riportinosoprattutto notizie di viaggi via mare.

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PAOLO A FILIPPI (16, 11-16)Paolo con i suoi collaboratori giunge per nave a Filippi, importante città della Macedonia, equi incontra una donna originaria della città di Tiatira in Lidia, nell’attuale Turchia.Benestante, commerciante di porpora, la donna, che porta il nome della sua terra, Lidia,costituisce con la sua famiglia il primo nucleo cristiano nel continente europeo, fondamentodi quella comunità di Filippi che sarà particolarmente cara a Paolo. Ma in agguato c’è ilpericolo. L’apostolo, infatti, con un esorcismo aveva scacciato “uno spirito di divinazione”da una schiava, che i padroni usavano come maga con grandi profitti. I padroni di questadonna sobillarono la folla, risvegliando sentimenti antigiudaici e costringendo le autoritàromane a intervenire.Le autorità romane sottopongono i missionari, Paolo e Sila, alle verghe e poi li gettano incarcere (Paolo, in 1Tess 2,2: e 2Cor 11,25 ricorderà questi maltrattamenti). Ma eccoripetersi anche per Paolo e Sila la prodigiosa liberazione descritta prima per Pietro (Atti 12,3-17). Anzi, colpito da questa specie di epifania divina segnata dal terremoto, il carcerierestesso si converte, riceve il battesimo con la sua famiglia, allargando così la comunitàcristiana di Filippi.Gli Atti degli Apostoli amano chiamare queste prime comunità con il termine grecoekklesìa, che indica sia la comunità locale sia la Chiesa nel suo insieme.I magistrati romani, l’indomani, sospendono la carcerazione, che tra l’altro era illegittima,perché la flagellazione doveva essere preceduta da un’indagine. Paolo approfitta peravanzare un reclamo formale in quanto cittadino romano[30], al quale non poteva per leggeessere inflitta la battitura con verghe. Ricevute le scuse, salutati i nuovi fratelli e le nuovesorelle nella fede, i missionari continuano la loro opera itinerante seguendo il percorsodell’Egnazia, la via romana che collegava Roma all’Oriente. Passano per Anfiboli, a 60 kmda Filippi, procedono per altri 40 km fino ad Apollonia e, dopo 50 km, arrivano aTessalonica[31], capitale della Macedonia, per procedere poi fino a Berea.

PAOLO A TESSALONICA (17, 1-9)A Tessalonica prima e a Berea dopo, c’è uno stesso stile pastorale di evangelizzazione: lavisita alla sinagoga, l’annuncio di Cristo, la reazione della gente.A Tessalonica, quindi, i missionari hanno un primo contatto con la locale comunitàgiudaica. Qui si annunzia Cristo sulla base delle profezie messianiche, la reazione di moltiè positiva, si segnalano conversioni di uomini e donne di rilievo (Giasone a Tessalonica). Siha però anche un rigetto aggressivo da parte di altri Ebrei, che sobillano la folla ecostringono le autorità romane a intervenire, accusando i predicatori cristiani di essereagitatori politici, perché “affermano che c’è un altro re, Gesù” (17,7).

PAOLO AD ATENE (17, 16-34)Paolo è costretto a staccarsi da Sila e Timoteo, che restano a Berea, e a puntare sulla grandecapitale greca, Atene. Ad Atene Paolo giunse per la prima volta verso l’estate del 50, avent’anni dalla morte di Gesù. Egli proveniva dalla macedonia e aveva già soggiornato invarie città (Filippi, Tessalonica, Berea), suscitandovi piccole comunità cristiane, frutto delsuo viaggio missionario in Europa. Ma una città come Atene, con il suo glorioso passatopolitico e culturale, doveva costituire qualcosa di nuovo e affascinante. Qui Paolo stabilìdue punti di attività missionaria: la sinagoga e l’agorà (la “pubblica piazza”). L’Aereòpagoera fuori delle sue intenzioni, e l’intervento al suo interno fu occasionale.

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Nella sinagoga, che offriva un uditorio più ristretto, l’apostolo poteva rivolgersi in modomirato agli Ebrei e ai “pagani credenti in Dio”, cioè a coloro che erano idealmente vicini algiudaismo (vedi Atti 17,17). Paolo, quindi, dopo avere preso, come al solito, contatto con lacomunità giudaica locale, tenta di agganciare direttamente la cultura ellenistica in unincontro divenuto giustamente famoso per il dialogo tra cristianesimo e mondo pagano.Paolo pertanto scende nella pubblica piazza[32] di Atene, ove discute con i rappresentantidelle varie correnti filosofiche, soprattutto gli epicurei, che davano valore al piacere comeguida dell’agire, e gli stoici, che avevano una visione panteistica del cosmo ed esaltavano ildominio di se stessi a livello morale. Paolo è invitato a esporre le sue teorie in unaconferenza pubblica all’Areòpago[33].Luca fa di questo discorso paolino uno dei punti culminanti dell’attività missionariadell’apostolo. Esso è in effetti una composizione lucana, un altro esempio di discorsoinserito dal redattore. Esso rispecchia la reazione di un missionario cristiano di fronte allacultura pagana, alla vita intellettuale e religiosa greca, mentre Paolo parla dal profondo dellasua fede.Il discorso all’Aereòpago si può suddividere in un esordio (vv. 22-23), nell’annunciodell’unico Dio con i rischi della sua ricerca (vv. 24-29) e nel tipico annuncio cristiano (vv.30-31).Vogliamo chiederci qui quale sia, in generale, il suo significato per l’incontro tra vangelo ecultura. A questo proposito, possiamo individuare tre aspetti interessanti.1) Incontrare gli “altri”. L’intervento di Paolo all’Aereòpago è l’unico esempio nel NT diun discorso ai pagani. Anche se storicamente l’atteggiamento di Israele verso di loro puòaver assunto forme di integrazione a vari livelli, restò però sempre un giudizio di fondonegativo, che li considerava come “un nulla” (Is 40,17) o come “peccatori” (Gal 2,15).Ebbene, questa “operazione culturale” attuata da Paolo è stata appunto quella di aprire il Diod’Israele anche ai “pagani” e di ammetterli gratuitamente, cioè senza richiedere lorol’osservanza della legge di Mosè, ma proponendo la semplice fede in Cristo, non in base aicomandamenti formulati da Mosè, ma alle promesse fatte da Dio al Patriarca Abramo. Perquesto Paolo si è sempre battuto per avvicinare i lontani (Ef 2,13), per accogliere “gli altri”,quelli cioè che erano religiosamente esclusi, per superare i molti recinti del sacro, dellacultura, della razza, e persino del sesso (Gal 3,28), tutte barriere che egli sa ormaiirrimediabilmente abbattute da Cristo. Il suo discorso all’Aereòpago rappresenta il momentotipico di questa “politica”, che non ha la pretesa di strapparli allo loro cultura perimporgliene una nuova, magari antitetica, bensì adottando punti di vista della cultura altruiche possono valere come vera e propria preparazione evangelica.2) L’alterità del Vangelo. Nonostante tutta la buona volontà ecumenica di Paolo, eglituttavia all’Aereòpago annunziò il messaggio cristiano nel suo aspetto fondamentale: laRisurrezione di Cristo. E’ bastato ciò per ricevere un rifiuto, come di fatto avvenne.Gli Ateniesi vengono riconosciuti “molto timorati di Dio” (v. 22), però questo non solo nonvalse a nulla, ma costituì forse l’ostacolo maggiore alla fede. Il Vangelo infatti è sempreanche una critica a una certa religione, che fissa l’accesso a Dio in figure, istituzioni eritualità tradizionali. Il Vangelo invece annuncia a sorpresa un comportamento divino chenon era previsto e che perciò sconvolge questi schemi. Per accoglierlo occorre unadisponibilità a superare se stessi, che non è sempre facile e non si può dare mai per scontata.Il “Dio ignoto” degli Ateniesi (v. 23) può essere metafora di tutto ciò che sta oltre ognicomprensione e che, sulla base della rivelazione, è compito del cristiano comunicare.3) Le agorà e gli aereòpaghi possibili. L’Areòpago di Atene, alla luce dell’esperienza diPaolo, può valere come metafora di tutte le possibili occasioni e di tutti i possibili luoghi diconfronto pubblico e qualificato tra il vangelo e la cultura umana. Però, se è vero cheall’Aereòpago si giunge solo su invito o per un cortese trascinamento, non sempre e non a

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tutti è possibile accedervi. Le agorà (le pubbliche piazze) sono invece sempre adisposizione, poiché esse sono di tutti, aperte per definizione. Se l’Aereòpago richiamal’idea di un ambito riservato e in definitiva aristocratico, l’agorà propone l’idea di unambito popolare, democratico, in cui chiunque può incontrare tutti, e al quale nessuno èprecluso. Del resto è dall’agorà che si comincia, perché essa ha una destinazione universale,è per le folle. In fondo, la Galilea era stata l’agorà di Gesù, e il sinedrio di Gerusalemme,che l’ha messo a morte, è stato il suo Aereòpago. Sembrerebbe perciò di dover riconoscereche il cristianesimo non può appartenere alle èlites del potere, non solo di quello politico,ma neanche di quello culturale. Nel Vangelo c’è qualcosa che non solo è irriducibile aqueste strutture mondane, ma ne è anche in contrasto.La menzione finale di Dionigi e Damaris (v. 34), che invece di irridere Paolo ne accolsero ilmessaggio, ci dice almeno che l’impegno apostolico non è senza un qualche risultato. Equesto ottimismo incoraggia il cristiano, il quale sa che l’odierna società così frammentatanelle specializzazioni non manca di offrire nuovi areopaghi. L’importante è di nonprivatizzare la propria fede, ma di esporla pur senza ostentarla, di confrontarla senzaprevaricazioni, di aprirla ad apporti altrui al di là di presunzioni autonomistiche, e di offrirlacon gioiosa umiltà.Dopo questa doverosa riflessione su Vangelo e cultura, torniamo a questo secondo viaggiodi Paolo.

PAOLO A CORINTO (18, 1-17)Dopo l’insuccesso ad Atene, Paolo si sposta a Corinto (51 d.C.), la capitale della provinciaromana della Grecia (detta l’Acaia), dotata di due porti: Cencre sull’Egeo, e Lechaionsull’Adriatico, sede di traffici internazionali, ma anche di grande corruzione. Qui l’apostoloincontra una coppia di Ebrei di Roma, Aquila e Priscilla, espulsi dalla capitale in seguito aun editto antigiudaico dell’imperatore Claudio[34], emesso nel 49: forse costoro s’erano giàconvertiti al cristianesimo a Roma. Paolo condivide casa e lavoro con questa coppia,adattandosi a confezionare tende di pelli, memore dell’educazione giudaica che insegnavaanche un’attività manuale. Il sabato, invece, nella sinagoga Paolo svolgeva la sua attivitàmissionaria creando reazioni ostili e consensi. Tra questi ultimi viene segnalata laconversione di Crispo, capo della sinagoga.Un evento trascendente (una visione) conferma l’apostolo nel suo impegno missionario aCorinto, che si prolunga per un anno e mezzo. Ma i Giudei non sopportano questa presenzaconcorrente di Paolo e inoltrano una causa presso il proconsole romano Lucio GiunioGallione (fratello del filosofo Seneca), che governò la città di Corinto dal 1° luglio 51 al 30giugno 52 (è un elemento cronologico importante per la vita di Paolo). L’accusa di illegalitàviene considerata infondata ed è rigettata da Gallione. I Giudei, allora, si sfogano con ilcapo della sinagoga, Sostene, accusato forse di non avere formulato con vigore l’accusa. Lasoluzione positiva della vicenda giudiziaria permette all’apostolo di dilazionare il suosoggiorno a Corinto.Il ritorno ad Antiochia segna il termine del secondo viaggio missionario di Paolo. Sullastrada del rientro visita le comunità già fondate in precedenza. A margine si segnala il votodi nazireato (Numeri 6), fatto da Paolo e comprendente l’astinenza da bevande inebrianti edal taglio dei capelli, voto sciolto a Corinto.

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IL TERZO VIAGGIO MISSIONARIO DI PAOLO (18,23 - 26,32)

Il periodo di transizione tra il secondo e il terzo viaggio di Paolo, nel resoconto di Luca, èquasi avvolto nell’oscurità. E’ possibile che Paolo sia rimasto ad Antiochia dall’autunno del52 d.C. alla primavera del 54 d.C.Il terzo viaggio vede Paolo ripercorrere le regioni della Galazia e della Firgia, “confermandonella fede tutti i discepoli”.Entra in scena anche la figura di Apollo[35], una personalità rilevante per la cultura greca, maanche per la sua formazione ebraica, avvenuta nel raffinato ambiente intellettuale diAlessandria d’Egitto, ove egli era nato. Costui sostenuto dalla Chiesa di Efeso, è inviato aCorinto a continuare l’opera di Paolo.Questi cinque versetti (24-28) interrompono il resoconto della nuova missione di Paolo.Probabilmente sono stati inseriti perché viene in essi menzionato il battesimo di Giovanni(18,25), che anticipa 19,4.

PAOLO A EFESO (19, 1-40)Con il capitolo 19,1 si riprende il racconto del terzo viaggio di Paolo, che giunge adEfeso[36], capitale della provincia romana di Asia (cioè la zona circostante di Efeso, nonl’intera Asia Minore). Efeso era uno dei centri commerciali, culturali e religiosi piùimportanti dell’antico mondo greco-romano. Paolo vi giunge incontrandovi un gruppo dicristiani che non conoscono il dono dello Spirito Santo sceso a Pentecoste e che hannoricevuto solo il battesimo di Giovanni Battista. L’Apostolo li istruisce, allora, sullasuperiorità della figura di Gesù, rispetto a quella del Battista e del battesimo cristianorispetto a quello praticato nelle comunità che ancora si riferivano al precursore. Ecco, allora,ripetersi sui credenti Efesini l’effusione pentecostale dello Spirito (alcuni hanno visto inquesto evento la figura del sacramento della confermazione).Paolo sosta almeno un paio di anni a Efeso, tra il 52 e il 55 ed è qui che egli scrive la primalettera ai Corinti, probabilmente quella ai Galati e forse quella ai Filippesi. Il suo metodopastorale suppone anzitutto il contatto con la sinagoga e con i Giudei del luogo, con esitiantitetici di conversione e di rigetto. Si rivolge poi a tutti in pubblico, compiendo ancheopere prodigiose. Si ha, così, l’interesse della folla, ma pure di coloro che praticavano la

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magia[37]. Paolo deve, così, prendere le distanze da queste manifestazioni dagli aspettidiscutibili e lo fa aprendo una vera e propria campagna contro la magia.Vengono distrutti soprattutto i testi magici, dei quali si dà anche un’indicazione del girod’affari: cinquantamila dracme o monete d’argento (si consideri che il salario giornalieroera, allora, di una sola dracma). Paolo, poi, decide di riprendere il suo viaggio missionario.Nel frattempo a Efeso scoppia una dura reazione contro la diffusione della fede cristiana(chiamata la “Via” in 19,23 come anche in 19,9 e in altri passi degli Atti). Essa infattimettendo al bando idolatria e magia, creava difficoltà all’industria del sacro, che in quellacittà prosperava accanto al celebre tempio della dea Artemide[38].I compagni di Paolo, i macedoni Gaio e Aristarco, sono trascinati in un’assemblea pubblicapresso il teatro, che si può ammirare anche oggi. Paolo, ancora presente a Efeso, vieneinvitato a non partecipare a quell’incontro per evitare ogni provocazione (a suggerirgliquesta scelta sono alcuni funzionari imperiali che si erano avvicinati al cristianesimo). Aintervenire per primo è un ebreo di nome Alessandro, ma la folla, sobillata e confusa daicommercianti efesini, gli impedisce di parlare, abbandonandosi a una litania infinita diinvocazioni alla dea di Efeso, Artemide.A placare la folla turbolenta è il cancelliere (uno dei più alti funzionari cittadini, incaricatodi convocare l’assemblea popolare, stendere i decreti da essa approvati e renderli esecutivi)che con molta abilità egli presenta ai suoi concittadini il rischio che la riunione degeneri insedizione e suggerisce ai commercianti di affidarsi ai tribunali normali per una denunciaregolare.Dopo questa vicenda piuttosto grave, Paolo affretta la partenza, riprendendo il suo viaggiomissionario. La meta è Gerusalemme, ma prima egli si rivolge a settentrione, verso laGrecia, accompagnato da una delegazione di cui si offre l’elenco dei nomi (20,4): forseerano gli incaricati della raccolta di aiuti per la Chiesa di Gerusalemme, di cui si parla nelcapitoli 8-9 della seconda lettera ai Corinti.Si noti in Atti 20,5 la ripresa del racconto in prima persona plurale, “noi”, con la narrazionedi un episodio per certi versi curioso, ambientato durante una celebrazione eucaristicadomenicale nella città di Troade[39], sulla costa egea della Turchia, una ventina di chilometria sud dell’antica Troia. Durante il rito dello “spezzare il pane” eucaristico, l’apostolo parla alungo: un ragazzo, un certo Eutico, che era seduto su una finestra, s’addormenta e precipitadal terzo piano. Paolo lo raccoglie e grida: “Non vi turbate, è ancora vivo!”, e lo restituiscealla comunità in festa.Il viaggio di Paolo tocca altri centri, come Asso[40], Mitilene[41], l’isola di Chio, Samo isola asud-est di Chio, Mileto, a sud di Efeso. E’ qui che Paolo saluta gli “anziani” della Chiesa diEfeso, chiamati anche “vescovi” (20,28), cioè i responsabili di quella comunità che vivevain un contesto difficile, come abbiamo visto. Il saluto si trasforma, però, in un vero e propriotestamento pastorale di particolare intensità. Da un alto, è un discorso d’addio sul modellodi paralleli noti anche all’AT e al giudaismo, dall’altro lato, contiene un’esortazione airesponsabili delle Chiese sul modello della prima lettera a Timoteo, di quella a Tito e di 1Pietro 5, 1-4.Paolo intende qui affermare che egli ha assolto al compito assegnatogli da Cristo, egli hacoraggiosamente predicato la buona novella del regno e della misericordia divina verso gliuomini. Non è pertanto responsabile di fronte a Dio del fatto che essi non riuscirono arealizzare una vita nuova. Paolo non intende vantarsi ma dire francamente di essere consciodi aver fatto tutto il suo dovere malgrado tutte le accuse di cui può essere stato oggetto adEfeso.Si fissa poi l’attenzione sul presente. L’apostolo sta orientandosi verso Gerusalemme ed eglisente già che sta per compiersi con questa scelta il suo destino di donazione totale, fino almartirio. Conscio, quindi, della sua imminente separazione dalla Chiesa di Efeso che

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secondo il suo presentimento sarà definitiva, Paolo esorta gli anziani ad assolvere a tutti iloro doveri di pastori a servizio della Chiesa di Dio. L’appello si fa caloroso e appassionato,richiamando l’importante dovere della vigilanza sulla comunità cristiana.L’addio di Paolo ai responsabili della comunità cristiana di Efeso si conclude con un appelloalla generosità e al distacco dai beni, sull’esempio dell’apostolo che, nel ministero, avevaevitato ogni forma di cupidigia. Egli fonda il suo appello su una frase di Gesù che non ècitata dai vangeli: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”. Il saluto commosso agli anzianidi Efeso chiude una pagina di grande intensità, come pura una tappa importante della vita diPaolo. Egli dovrà ora salutare progressivamente anche le altre comunità, mentre si staprotendendo verso la meta che si è prefissa, Gerusalemme.

L’ARRIVO A GERUSALEMME E L’ARRESTO (21, 1-40)Attraverso una navigazione diurna l’Apostolo salpa dall’isola di Cos per Rodi[42] e di lì perPatara, un porto della costa meridionale dell’Egeo, ove cambia nave. Si trasferisce poi versola Fenicia, cioè le attuali coste siro-libanesi, per toccare i porti di Tiro e cesarea, passandoper Tolomaide[43] l’antica Acco. I cristiani delle varie Chiese sentendo che è l’ultima visitadi Paolo cercano di trattenerlo, ma l’Apostolo è ormai deciso. Anzi, a Cesarea accade unepisodio che ha per protagonista Agabo, un “profeta” già menzionato in 11,28. Costuicompie un gesto simbolico nello stile degli antichi profeti: si lega piedi e mani con la cinturadella veste di Paolo, a indicare il suo futuro destino di carcerato a opera dei Romani.La reazione di Paolo è molto affettuosa, ma irremovibile nelle scelte fatte. Egli, come Gesù,sembra preannunziare la sua passione e morte (Lc 9,44; 18, 32). Paolo, dunque, giunge aGerusalemme e subito si reca in visita a Giacomo, responsabile della Chiesa diGerusalemme, riunito con gli anziani (i “presbiteri”). La narrazione dell’attività missionariadi Paolo presso i pagani è seguita da un avvertimento molto preoccupato da parte deicristiani di Gerusalemme. Essi sono venuti a conoscenza che molti giudeo-cristiani sonoadirati contro l’Apostolo sulla base di false dicerie, secondo le quali egli inviterebbe gliIsraeliti ad abbandonare la pratica della circoncisione e dell’osservanza della legge mosaica.In realtà, la libertà dalla legge giudaica per i cristiani significava che essi non eranoobbligati a osservarla per essere salvi, ma questo non comportava il suo rigetto e la suanegazione, soprattutto da parte degli Ebrei. Si suggerisce, allora, a Paolo – per smentirequeste dicerie – di presentarsi in pubblico, partecipando con altri cristiani a riti ufficiali dipurificazione, mostrando rispetto per queste tradizioni, fermo restando quanto era statodeciso riguardo all’osservanza della legge nel “concilio” di Gerusalemme. Paolo accetta laproposta e si presenta al tempio, ma la folla, aizzata da alcuni Giudei di Asia, reagisceviolentemente.Di fronte al tentativo di linciaggio contro Paolo da parte dei Giudei della provincia di Asiapresenti a Gerusalemme, che accusano l’apostolo di aver profanato l’area sacraintroducendo un pagano[44] (il cristiano Trofimo di Efeso), interviene l’esercito romano. Ilcomandante della guarnigione (“il tribuno della coorte” romana) di stanza nella TorreAntonia[45] fa arrestare Paolo sottraendolo alla folla, e cerca di aprire un’istruttoria perappurare lo svolgersi dei fatti. Ma la folla inferocita reclama la pena capitale. Lo stesso urloricorre nella narrazione lucana della Passione.

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DIFESA DI PAOLO DAVANTI AI GIUDEI DI GERUSALEMME(22, 1-30)Paolo, allora, chiede di parlare al tribuno per non essere confuso con un sobillatore politicocome quell’Egiziano che – stando anche allo storico Giuseppe Flavio – aveva mobilitatouna grande folla, promettendo di far crollare le mura di Gerusalemme, ed era stato messo infuga dal governatore romano Felice. In ebraico[46] (più propriamente in aramaico) Paoloripercorre la sua autobiografia, partendo dalla formazione farisaica ricevuta “ai piedi diGamaliele” (secondo l’uso rabbinico, significa “alla sua scuola”), il maestro è già presentein Atti 5,34. L’apostolo insiste sul suo impegno a favore della nuova religione cristiana (la“Via”), ma anche sulla grande svolta della strada di Damasco e della relativa conversione,che è narrata per la seconda volta (dopo quella del capitolo 9).Quell’evento Paolo non lo vede in contrasto con la fede dei padri, perché è lo stesso Dio chel’aveva coinvolto in questo nuovo itinerario di adesione a Cristo. E’ interessante notare conquanta passione l’apostolo evochi la vicenda del suo ingresso nel cristianesimo e come eglifaccia balenare l’orizzonte ultimo della sua missione, che è quello di varcare le frontiere delgiudaismo per approdare al mondo pagano. E’ proprio quest’ultima parte dell’autodifesapubblica di Paolo a far scattare una reazione furiosa da parte della folla.Infatti la ragione profonda dell’opposizione giudaica era in questa apertura, che veniva vistacome una contaminazione e una distruzione del patrimonio spirituale di Israele. La folla simette a gridare invocando la pena di morte, scagliano mantelli e polvere della terra versol’alto, forse a indicare il loro desiderio di sbarazzare se stessi e il suolo sacro del tempiodalla presenza blasfema di Paolo. Il comandante romano decide, allora, di condurrel’Apostolo nella Torre Atonia, sottoponendolo a un interrogatorio con tortura. E’ a questopunto che – diversamente da quanto accadde in 16,23 (dove, con Sila, fu caricato di colpi) –Paolo oppone la sua cittadinanza romana, non acquisita ma posseduta fin dalla nascita (era,nato a Tarso, città romana). Questa dichiarazione genera timore e sconcerto tra i soldatidella guarnigione e in particolare nel tribuno che lo stava interrogando sottoponendolo allaflagellazione, vietata dai romani.Paolo dichiara con orgoglio la sua cittadinanza romana davanti al comandante romano, il cuinome – Claudio Lisia, attestato in 23,26 - rivela forse l’acquisto della cittadinanza sottol’imperatore Claudio. Ormai l’apostolo viene trattato con rispetto e soprattutto secondoun’istruttoria che cerchi di seguire le norme. E’ dunque necessario un confronto con ilSinedrio.

PAOLO DAVANTI AL SINEDRIOE IL COMPLOTTO CONTRO DI LUI (23, 1-35)Il confronto è aperto con una dichiarazione di Paolo, convinto di aver agito con rettacoscienza anche di fronte agli ebrei. Questa affermazione scatena la reazione dura delsommo sacerdote Anania[47] che ordina di percuotere Paolo. La motivazione dell’ordinesommo sacerdote non è chiara. Forse era una protesta contro la sua affermazione o contro ilmodo succinto di salutare l’uditorio (un semplice “fratelli” davanti a un’assemblea cosìmaestosa). Nella replica Paolo usa un’immagine (“muro imbiancato”) per designarel’ipocrisia in Mt 23,27, ma l’intera sua risposta è ironica: egli si atteggia a esempio diobbedienza alla legge e non pensa affatto di insultare il sommo sacerdote e a suffragio dellasua protesta cita Esodo 22,27 dove si invita a “non maledire un capo del popolo”.L’intervento di Paolo si fonda sulla sua appartenenza alla corrente dei farisei e questo dato èabilmente usato per dividere gli avversari. Infatti, come oggetto della sua condanna, egli

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sostiene la fede nella risurrezione, sostenuta dai farisei ma negata dai sadducei, che era poil’altra corrente del sinedrio, di matrice aristocratico-sacerdotale.L’assemblea si spacca e il dibattito degenera al punto tale che il tribuno è costretto a ritirarePaolo e a farlo riparare sotto scorta nella fortezza Antonia. In questa tempesta di eventi siprofila, però, nella pace della notte, l’apparizione di Cristo risorto, che dà coraggioall’apostolo e gli delinea la futura missione a Roma.Le vicende, perciò, sono in ultima istanza guidate da Dio che, proprio attraverso lecontraddizioni della storia, riesce ad attuare un progetto di grande respiro. Gli eventi, però,continuano ad essere drammatici: un gruppo di Ebrei fanatici orchestra u complotto pereliminare Paolo, ma un giovane nipote dell’apostolo, figlio di sua sorella (è l’unica notiziasulla famiglia di Saulo), riesce a conoscere questa macchinazione, che sarebbe sfociata in unattentato per eliminare lo zio. Paolo, allora, propizia un incontro tra il tribuno Claudio Lisa eil nipote, il quale offre al comandante romano tute le informazioni che ha a disposizione.Dopo aver imposto la segretezza assoluta al giovane, il tribuno elabora un piano perimpedire che Paolo venisse eliminato durante uno dei trasferimenti presso il tribunalegiudaico: sarà necessario evitare qualsiasi contatto con la giustizia ebraica e trasferirel’apostolo sotto la diretta giurisdizione romana. Una scorta agguerrita ed enorme condurràdi notte Paolo da Gerusalemme a Cesarea Marittima, la città costiera sede del governatoreromano Felice, uno schiavo emancipato che godeva i favori dell’imperatore Claudio (e poidi Nerone). Qui il procuratore romano lo terrà in prigione per due anni.Il tribuno Claudio Lisia accompagna il detenuto con una lettera per il governatore Felice, incui si sottolineano la cittadinanza romana dell’imputato e la convinzione che si tratti diquestioni interne al giudaismo, di scarsa rilevanza penale.La consegna del detenuto all’autorità romana è, perciò, fondata solo su ragioni di sicurezza.Si noti come l’autore sacro esalti la correttezza dell’impero nei confronti dell’apostolo,volendo mostrare che il cristianesimo era una religione esente da crimini o sospetti diinsubordinazione.A Cesarea, Paolo è presentato al governatore che, però, aggiorna il giudizio, in attesadell’arrivo degli accusatori da Gerusalemme. L’unico interrogatorio riguarda le origini diPaolo: è forse un tentativo di dirottare la questione presso il tribunale romano dellaprovincia di Cilicia, ove si trova Tarso, la patria di Paolo, anche se di per sé la primagiurisdizione era quella del luogo ove era stato perpetrato il delitto.

IL PROCESSO DAVANTI A FELICE (24, 1-27)Gli accusatori ebrei si presentano in delegazione ufficiale, guidata dal sommo sacerdoteAnania e sostenuta da un legale esperto in oratoria greca, Tertullo. Paolo è accusato disedizione, un delitto per l’autorità romana era particolarmente sensibile. L’accusa, giàventilata in passato contro l’apostolo (17, 5-7), era stata alla base della denuncia di Gesù altribunale romano (Luca 23,5). La delegazione giudaica conferma i capi di accusa disedizione e profanazione del tempio da parte dell’imputato.Paolo con maggior sobrietà, ma anche con puntigliosità, ribatte alle accuse. Durante il brevesoggiorno a Gerusalemme, motivato da ragioni religiose, egli non ha mai avuto incontripubblici né convocato assemblee popolari, tali da far sospettare intenzioni sediziose. La“Via” che egli segue (così è definita, come altrove, la religione cristiana) non è in contrastocon la fede biblica e si presenta come una scelta di alta moralità. Paolo poi contesta l’accusadi profanazione del tempio, svelandone la falsità e rievocando lo svolgimento dei fatti. Inparticolare ribadisce che la reazione violenta del tribunale giudaico è stata motivata da unaquestione religiosa, la disputa sulla risurrezione, che Paolo proclama come verità di fede.

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Il governatore Felice decide di aggiornare la seduta, in attesa di convocare il tribuno Lisia.Frattanto, incuriosito dalla figura e dal pensiero di Paolo, incontra il detenuto,interrogandolo sulla sua “fede in Gesù Cristo”, ascoltandolo con sua moglie Drusilla,un’ebrea, figlia di Erode Agrippa I e sua terza sposa. In realtà, considerando la corruzionedei funzionari romani, sperava pure di rilasciare Paolo dietro il versamento di un contributo.Le lentezze processuali fecero sì che Felice fosse sostituito da un nuovo governatore.Il nuovo governatore è Porzio Festo, un funzionario corretto, che forse assunse il mandatoin Palestina attorno al 59-60. E’ lui a riaprire l’azione giudiziaria, ferma ormai da più di dueanni.

PAOLO SI APPELLA A CESARE (25, 1-27)Giunto a Gerusalemme in visita ufficiale, Festo, subisce pressioni da parte giudaica per iltrasferimento del processo contro Paolo nella città santa. La sua reazione è ferma ericonvoca l’assise a Cesarea. Luca narra in modo essenziale il nuovo processo: l’unicoelemento nuovo è l’insistenza delle autorità ebraiche nel chiedere il trasferimento delgiudizio a Gerusalemme. Paolo, di fronte a questo rischio grave, decide di giocare l’ultimacarta, possibile a un cittadino romano, l’appello all’istanza suprema, quella del tribunaleimperiale a Roma. Festo non può che prenderne atto: “Ti sei appellato a Cesare, a Cesareandrai” (25,12).Si inserisce a questo punto un evento particolare, la visita al governatore di una coppiaregale ebraica. Si tratta di Erode Agrippa I, sovrano di un piccolo stato, la Calcide, inLibano, ma investito del diritto di nominare i sommi sacerdoti, e di Berenice, una donnabellissima, sua sorella, con la quale conviveva in un’unione incestuosa. Festo racconta aisuoi ospiti il caso che ha sotto mano e puntualizza il fatto che egli, in qualità di garante deldiritto romano, non può cedere alle pressioni giudaiche per un processo sommario. Anzi, èpersonalmente convinto che Paolo non è perseguibile penalmente, perché gli addebiti mossicontro di lui sono irrilevanti da questo punto di vista. Anzi Festo coglie l’occasione perottenere da Agrippa un consiglio sulla stesura del rapporto scritto da inviare con il detenutoa Roma per il processo d’appello presso il tribunale imperiale.Paolo, invitato a parlare, lo fa con un solenne discorso che riprende per la terza volta ilracconto della sua conversione e che si rivela come la più articolata e appassionata delleautodifese dell’Apostolo presenti negli Atti. E’ interessante notare che Paolo non prendeneppure in considerazione le accuse elevate contro di lui dalla delegazione ebraica, ma cercain modo positivo di esaltare la grandezza della fede cristiana, trasformando così il suointervento da autodifesa in testimonianza in favore di Cristo.

IL DISCORSO DI PAOLO DAVANTI AL RE AGRIPPA(26, 1-32)Paolo nel suo forte discorso di autodifesa davanti al governatore romano Festo e al reAgrippa afferma la coerenza della sua fede con quella dei padri e, quindi, dell’ebraismo, cheora lo sta osteggiando: la speranza nella risurrezione è, infatti, condivisa dal vero Israelefedele. La scelta di schierarsi dalla parte di Cristo non fu motivata da convenienza oipocrisia, perché Paolo era un feroce oppositore della nascente religione cristiana. Ma ecco,all’improvviso, l’irruzione di Cristo nella sua vita lungo l’itinerario che lo conduceva aDamasco per perseguire i cristiani. E’ la terza volta che negli Atti si descrive questo eventocapitale:

- nel capitolo 9 era stato l’autore del libro a narrare la manifestazione di CristoRisorto;

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- nel capitolo 22 era stato lo stesso Paolo a raccontarlo agli Ebrei radunati nelTempio di Gerusalemme:

- in questo capitolo 26 è di nuovo Paolo a evocare quelle parole che mutarono lasua esistenza: “Io sono Gesù, che tu perseguiti” (26,15).

Da quel momento la sua era diventata la vita di un testimone e missionario del vangelo diCristo e della sua Risurrezione davanti agli Ebrei e pagani. Ma l’ostilità scatenata contro dilui dai suoi antichi fratelli di carne e di fede è immotivata, perché la Scrittura, agli occhidell’Apostolo, converge verso la fede in Cristo. La sottolineatura della Resurrezione fareagire il governatore Festo, ritenendo folle questo messaggio e pazzo chi lo proclamava.Paolo replica ribadendo la sua sanità mentale, ma anche il valore della sua testimonianza,appellandosi all’altro spettatore, l’ebreo Agrippa.Al termine del dibattito, Festo e Agrippa si sono convinti che Paolo non è perseguibilepenalmente e potrebbe essere rimesso in libertà, se non avesse interposto appello presso iltribunale imperiale di Roma. A questo punto è necessario eseguire il trasferimento nellacapitale. L’operazione è affidata a un centurione romano che imbarca Paolo su una nave diAdramitto, una località della costa egea settentrionale dell’attuale Turchia, diretta verso iporti del Mediterraneo orientale.

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IL VIAGGIO DI PAOLO VERSO ROMA (27,1 - 28,30)

Prima tappa di questo viaggio fu Sidone, sulla costa libanese, il centurione tratta conbenevolenza il detenuto e gli permette di incontrare i cristiani della città. La navigazioneprocede con variazioni dettate dal regime dei venti: Cipro; Mira nella Licia, sulla costa egea;Cnido, una penisola della Caria; Creta. Durante il percorso avvengono mutamenti diimbarcazione e rallentamenti di vario genere a causa delle condizioni del mare. Da questomomento in avanti il racconto sarà dominato proprio dalla descrizione, spesso vivacedell’itinerario con avventure molteplici, riferite quasi in presa diretta.Stando al calendario ebraico, siamo nel periodo della festa del Kippur[48] (“il giorno delDigiuno”), che cadeva in autunno. Paolo segnala i rischi della navigazione in quel periodo,tuttavia il comandante decide di proseguire. Ma, ecco, si scatena un uragano, sollevato dalvento detto Euroaquilone, forse un termine marinaresco per indicare il vento est-nord-est.La narrazione si fa vivace: nel tumulto della scena emerge la figura di Paolo, la cuiautorevolezza coinvolge tutti. Si offrono indicazioni molto concrete sulla rotta, che si faconfusa perché l’imbarcazione è ormai travolta dal vento. Dall’isola di Cauda (l’odiernaGavdos) a sud-ovest di Creta, si sbanda in direzione dei banchi di sabbie mobili del golfodella Sirte (le “Sirti”), verso la Libia, più avanti si è trascinati alla deriva verso l’“Adriatico”, cioè il mare che abbracciava il Mediterraneo da Creta verso la Sicilia e oltre,nell’attuale Adriatico.Non sono necessari commenti a questa pagina di grande efficacia narrativa: basterebbe lalettura diretta per rievocare le emozioni vissute dall’Apostolo e dai compagni dinavigazione. Vogliamo solo segnalare le azioni che lo vedono protagonista. Egli rassicura ipasseggeri, cercando di convincerli che essi saranno salvati proprio per la sua presenza e peril disegno che Dio ha su di lui. Egli, infatti, è chiamato a Roma per compiere un’operadivina: quella di testimoniare Cristo. Si oppone con fermezza alla fuga dei marinai cheavrebbe messo a repentaglio la vita dei passeggeri: tra l’altro, si offrono indicazioni precisesulla navigazione, sull’uso degli scandagli per misurare il fondo marino, la cui distanza ècalcolata in “braccia”, equivalenti a 1,85 metri.

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Paolo esorta i compagni di avventura a non lasciarsi morire per mancanza di cibo. Eglistesso ne dà l’esempio con un gesto che è descritto con un riferimento simbolico allamoltiplicazione dei pani: “Prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò…”. C’èchi ha ipotizzato una celebrazione eucaristica, ma nel contesto è più ovvio rimandare a unnormale pasto secondo l’uso giudaico. Infine, si segnala un episodio che vede Paoloprotagonista, sia pure in forma indiretta.

La nave, sbattuta dalle onde, si incaglia in un banco di sabbia e subisce gravi lesioni apoppa. Con Paolo erano trasferiti anche prigionieri comuni, sotto scorta militare. Lasituazione poteva offrire l’occasione per una fuga a nuoto. I soldati erano garanti dellacustodia dei prigionieri a potevano essere chiamati a pagare con la vita la loro fuga. Perquesto, essi decidono di ucciderli, pur di impedire che fuggissero. Ma il centurione li bloccaper salvare Paolo, nei cui confronti nutriva stima e rispetto. E’ un alto segno del profilopositivo con cui gli Atti delineano il potere imperiale romano.

La tempesta ha fatto incagliare la nave di Paolo presso l’isola di Malta, che dipendevaamministrativamente dalla Sicilia. Il racconto del soggiorno in quest’isola comprende dueepisodi che dipingono l’apostolo come taumaturgo. Quasi attuando la promessa di Gesù aisuoi discepoli (“vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti”, Lc 10,19), Paolo èmorso da un serpente, ma ne esce illeso. Riesce poi a sanare il padre di un altro funzionarioromano, colpito da febbre e dissenteria, e tutti coloro che accorrano a lui con malattiefisiche. E’ il segno della sua missione più alta: annunziare a ogni creatura la salvezza offertada Dio in Cristo.

Dopo aver passato l’inverno a Malta, la comitiva riprende la navigazione con una naveproveniente dall’Egitto e dedicata a Castore e Polluce, detti i Diòscuri[49], dèi protettori dimarinai e viaggiatori. Siracusa, Reggio Calabria e Pozzuoli sono le tappe di avvicinamentoalla meta: Roma. Anzi, a Pozzuoli, che era il porto principale del commercio per maredell’Italia, si presentano ad accogliere Paolo alcuni cristiani, mentre i credenti romani glivengono incontro fino al Foro Appio, a 65 chilometri dalla capitale, e alle Tre Taverne, a 50chilometri. Giunto a Roma, Paolo è posto agli arresti domiciliari, sotto la custodiapermanente di un soldato.

L’apostolo chiede subito di incontrare i capi della comunità giudaica romana, che eranumerosa e rispettata. Il primo incontro che ha con loro rivela implicitamente lo scopo dipresentarsi e di avere l’appoggio dell’influente comunità presso la corte imperiale. Paolosottolinea il suo legame con la “speranza di Israele”. Nel secondo incontro decide, invece, dipresentare un articolato discorso su Gesù e sulla connessione della sua figura e del suomessaggio con l’Antico Testamento. Di questo annunzio Luca ci offre solo un’indicazionesintetica e segnala la reazione dell’uditorio, che si spacca in due differenti scelte: alcuniabbracciano la nuova fede, altri la respingono con veemenza.

E’ a questo punto che Paolo cita un passo di Isaia (6, 9-11), che anche nei vangeli era statousato per giustificare il rifiuto di Israele di fronte alla predicazione di Gesù (Mt 13, 14-15;Mc 4, 11-12; Lc 8,10; Gv 12,40). Orecchi, occhi, cuore si chiudono e diventano insensibilidavanti all’offerta del vangelo. Ma questa offerta continua a presentarsi ad altri, cioè aipagani, ai quali l’apostolo sta per rivolgersi. Gli Atti degli Apostoli terminano con lamenzione dell’attività missionaria permessa a Paolo dallo Stato romano “con tuttafranchezza e senza impedimento”, anche nella condizione degli arresti domiciliari a cui erasottoposto.

La prigionia di Paolo a Roma, secondo Atti 28,30 dura due anni: Luca, però, non dàinformazioni sull’esito del processo. Del martirio parla Clemente Romano, in una lettera

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datata alla fine del I secolo. La data è, secondo Eusebio di Cesarea che scrive nel IV secolo,il 68 d.C. Se l’informazione è corretta, si deve pensare che Paolo, dopo i due anni diprigionia, sia stato liberato. Secondo alcune tradizioni si recò in Spagna (vedi Romani15,24). Rientrato a Roma, subì il processo e il martirio per decapitazione lungo la viaOstiense. Secondo la più antica tradizione il martirio avvenne nell’anno 67 d.C. alle TreFontane, appena fuori la città, il corpo però fu sepolto, per opera dei devoti cristiani, nelluogo dove più tardi sorgerà la maestosa basilica di S. Paolo fuori le mura.

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L’APOSTOLO PAOLO

LA VITALa data di nascita di Paolo[50] è sconosciuta, ma va posta nella prima decade d.C. Siccomeviene descritto come un giovane al tempo della lapidazione di Stefano (At 7,58), vale a dire,tra i 24 e i 40 anni ed egli stesso si definisce un uomo vecchio in Filemone 9, la data dellasua nascita non può essere fissata più tardi del 10 d.C.

Paolo nacque a Tarso in Cilicia (At 22,3), da genitori giudei che facevano risalire la lorodiscendenza fino alla tribù di Beniamino (Rom 11,1; Fil 3,5). Per ragioni di commercio eper la sua natura cosmopolita, a Tarso si erano dati convegno numerosissimi Ebrei. Fraquesti immigrati sembra che fossero anche i genitori di Paolo. Stando ad At 23,16 aveva unasorella. Fin dalla nascita Paolo godette dello stato civile di cittadino romano (At 22, 25-29;16,37; 23,27), una cittadinanza non acquisita ma posseduta fin dalla nascita, essendo nato aTarso, che era una città romana.

Nel 66 a.C. , quando Pompeo riorganizzò l’Asia Minore dopo le sue conquiste, costituì laprovincia della Cilicia e Tarso[51] ne divenne la capitale. Più tardi Marco Antonio concessealla città libertà, immunità e cittadinanza romana. La condizione di Paolo di “cittadinoromano” è senza dubbio collegata a questo stato di libertà della città. Oriundo di una cittàfortemente ellenizzata qual era Tarso, Paolo conosceva il greco (At 21,37); le sue lettererivelano che egli era in grado di scriverlo abbastanza bene.

Paolo tuttavia si vantò di essere un “giudeo” (At 21,39; 22,3), un “israelita” (2 Cor 11,22;Rm 11,1) un “ebreo, figlio di Ebrei… e quanto alla legge, un fariseo” (Fil 3,6; At 23,6).“Ho vissuto da fariseo, secondo la più rigida setta della nostra religione” (At 26,5; Gal1,14). Inoltre, egli fu “istruito ai piedi di Gamaliele” (At 22,3). Paolo definendosi un“ebreo” intendeva dire che egli era un giudeo di lingua greca che sapeva parlare l’aramaico.L’istruzione di Paolo ai piedi di Gamaliele fa pensare che egli si stesse preparando adiventare un rabbino[52].

Sia l’eredità giudaica della sua famiglia, sia l’ambiente ellenistico di Tarso lasciarono laloro impronta sul giovane Paolo.

L’impronta rabbinica farisaica è presente soprattutto nelle lettere polemiche di Paolo, doveegli rifiuta decisamente la legge. Ma il robusto sfondo ebraico di Paolo appare soprattuttonelle categorie e nelle immagini veterotestamentarie che egli usa.

L’influenza del mondo greco, invece, è evidente nel suo stile e nell’ uso della Bibbia dei“Settanta”. Paolo conosceva il greco e aveva una certa formazione greca. Se non divenne unretore professionista, il suo modo di esprimersi rivela almeno a volte, l’influenza dellaretorica greca. L’Apostolo visse per circa 10 anni in un’atmosfera ellenistica, sia dopo la suaconversione, che prima della sua missione, in centri culturali come Damasco, Tarso eAntiochia. Egli inoltre fa largo uso di immagini derivanti da una cultura ellenistica: lapolitica greca (Fil 1,27; 3,20; Ef 2,19), i giochi greci (Fil 2,16; 3,14: 1 Cor 9,24-27);adopera termini commerciali greci (Col 2,14) e allude al commercio ellenistico di schiavi (1Cor 7,22).

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LA CONVERSIONE DI PAOLOLa data[53] della conversione di Paolo non è certa, ma è collegata con il martirio di Stefano,quando i testimoni deposero le loro vesti ai piedi di Saul (At 7,58; 22,20) perché lecustodisse.

Paolo stesso e anche Luca in Atti descrivono l’esperienza sulla via di Damasco come unasvolta decisiva nella vita dell’Apostolo. Fu un incontro con il Signore risorto che indussePaolo ad adottare un nuovo stile di vita. Fu l’esperienza che trasformò Paolo da fariseo inapostolo.

Paolo ci dà un resoconto della sua conversione in Gal 1, 13-17 dal suo punto di vistaapologetico (in difesa della fede) e polemico. Tre altre narrazioni sono riportate in Atti (9, 3-19; 22, 6-16, 26, 12-18), e tutte lo descrivono come un’esperienza fortissima e inattesa,avuta quando egli era al massimo della sua attività di persecutore dei cristiani. Benché neitre resoconti si riscontrino varianti su certi dettagli (i suoi compagni rimasero in piediammutoliti o invece caddero per terra; anch’essi sentirono - oppure no - la voce) e benchéGesù si rivolga a Paolo “in lingua ebraica” e citi poi un proverbio in greco (At 26,14),l’elemento essenziale del messaggio comunicato a Paolo è identico. Tutti e tre i resocontisono concordi su questo: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” – “Chi sei tu Signore?” – “Iosono Gesù (di Nazaret) che tu perseguiti”. Le varianti possono essere dovute alle diversefonti a cui Luca attinse le sue informazioni.

Nessuno è più autorizzato del suo protagonista a darci il senso e l’interpretazionedell’improvviso folgoramento avvenuto sulla via di Damasco: egli parla, infatti, di quellaesperienza come di una rivelazione del Figlio concessagli dal Padre (Gal 1,16). In essa eglivide “Gesù il Signore” (1 Cor 9,1). La sola differenza tra quella esperienza di Paolo, in cuiGesù gli apparve (1 Cor 15,8) e l’esperienza dei testimoni ufficiali della risurrezione (At1,22), fu una sola: mentre le apparizioni di Cristo Risorto ai Dodici avvennero dopo la suamorte in croce, la visione di Paolo avvenne, invece, dopo la Pentecoste. Ma la realtà fu lastessa: la visione di Paolo, infatti, si situò allo stesso livello delle apparizioni ai Dodici, cheavevano veduto il Cristo Risorto.

LA CRONOLOGIADopo l’esperienza di Paolo sulla via di Damasco (33 o 36 d.C.), Anania guarì la sua cecitàimponendogli le mani. Paolo fu battezzato e rimase a Damasco “per alcuni giorni” (At9,19). Non molto dopo la sua conversione, Paolo si ritirò nella solitudine e nellameditazione dell’Arabia (Gal 1,17), per prepararsi al suo futuro ministero. Il suo soggiornofu breve. Dopo il suo ritorno dall’Arabia, l’Apostolo si fermò per circa “tre anni” aDamasco (Gal 1,18).

Durante il suo soggiorno a Damasco egli mise in grande agitazione i giudei di quella cittàdimostrando loro che Gesù era il Messia, e verso la fine di quel soggiorno, si era giàconquistato dei discepoli. Alla fine però, l’opposizione giudaica, incoraggiata dal re AretaIV di Damasco (2 Cor 11,32), lo costrinse a lasciare la città. La sua fuga fu organizzata daisuoi discepoli che lo calarono giù dalle mura della città in un canestro.

Si recò quindi a Gerusalemme, e questa fu la sua prima visita alla città, dopo la suaconversione (At 9,26; Gal 1,18). Ciò avvenne nel 40 circa d.C. Barnaba dissipò la naturalediffidenza dei cristiani di Gerusalemme nei confronti di Paolo e fece di tutto perché venisseaccettato bene. Scopo di questa visita è secondo Gal 1,18 quello di “consultare Pietro”.

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Durante la sua visita Paolo ebbe nel tempio quell’estasi di cui si parla in At 22,17. Unacongiura di ellenisti a lui contrari lo costrinse alla fine, ad abbandonare Gerusalemme edegli si recò a Tarso (At 9,30). Paolo rimase certamente a Tarso dal 40 al 44, ma non si sanulla della sua attività in questo periodo. A quest’epoca molto probabilmente ebbe lavisione a cui si riferisce il testo di 2 Cor 12, 2-4 (ca. 43-44 d.C.). Il suo soggiorno a Tarsoebbe termine quando Barnaba andò a visitarlo per condurlo ad Antiochia, dove si fermò perun anno intero (At 11, 25-26), impegnato nell’evangelizzazione della città.Da questa città inizia il suo primo viaggio missionario di (46-49 d.C.), verso la fine del suoitinerario apostolico (49 d.C.) torna a Gerusalemme per il “Concilio”. Il secondo viaggiomissionario avvenne dal (49-52 d.C.). Il terzo viaggio dal (54-57 d.C.). L’ultima visita aGerusalemme coincide col suo arresto (58 d.C.). Dopo la prigionia nella Fortezza Antonia,Paolo fu inviato al procuratore della Giudea, Felice, che risiedeva a Cesarea Marittima.Felice lo tenne in prigione per due anni, 58-60 d.C. Paolo allora chiese di essere processatoa Roma, e arrivò nella capitale nella primavera del 61 d.C. Per due anni fu tenuto agli arrestidomiciliari (61-63).

Il suo arrivo a Roma e la possibilità di predicare il vangelo senza alcun impedimentorappresentano il punto culminante del racconto della diffusione della buona novella daGerusalemme fino alla capitale del mondo civilizzato di quell’epoca, essendo Roma ilsimbolo dei “confini della terra” (At 1,8). Conscio che il termine della sua vita era prossimo,Paolo pose Tito a capo della Chiesa cretese e Timoteo a capo di quella efesina. Le duelettere sarebbero state scritte a quei discepoli e alle loro Chiese, quando egli stava peraffrontare la morte. La 2 Tm fu scritta nel 67 d.C. mentre era in prigione Per altri dettaglisugli ultimi anni della vita di Paolo dobbiamo dipendere dalla tradizione ecclesiasticaposteriore.

Eusebio parla del martirio di Paolo sotto Nerone (64-68 d. C.). Tertulliano fa il confronto trala morte di Paolo e quello di Giovanni Battista, e cioè, per decapitazione.

L’anno comunemente preferito per la morte di Paolo è il 67 d.C. verso il termine dellapersecuzione di Nerone, come sembra suggerire la narrazione di Eusebio. Paolo fu sepoltosulla via Ostiense, presso l’odierna basilica si San Paolo fuori le mura.

LA TEOLOGIA DI PAOLOIl concetto chiave attorno al quale deve essere organizzata tutta la teologia paolina è Cristo.La teologia di Paolo è quindi CRISTOCENTRICA. Ogni tentativo di cercare un principioorganizzativo per la sua teologia a prescindere dal Cristo è destinato a rimanere inadeguato.E tutto questo ci riporta ancora alla visione sulla via di Damasco: quel bagliore di luce, chespense per tre giorni la sua capacità visiva, non era che il simbolo dell’accecante splendoreche invase e penetrò allora la sua anima. Mentre Paolo perdeva la vista, acquistava occhinuovi per fissare meglio Cristo. In quel contatto fisico col Risorto, egli afferrò con un rapidocolpo d’occhio le verità più essenziali ma anche più sconcertanti che nel Cristo siincentrano. Tutti gli enigmi dell’Antico Testamento (lui era un fariseo osservante) alloradiventavano chiari. Se Gesù è risorto da morte, vuol dire che egli è veramente il Figlio diDio, e se è il Figlio di Dio, e gli è il Santo e il Giusto per eccellenza e perciò non può esseremorto per i suoi peccati, ma per quelli degli uomini. Dunque la sua morte ha un valore disalvezza per tutti (l’aspetto SOTERIOLOGICO, di salvezza, è conseguenza di quellocristologico). La salvezza si otterrà perciò non più attraverso le faticose osservanze legali,ma solo accettando “nella fede” la “buona novella di Gesù Cristo”, cioè il suo Vangelo:

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“Piacque a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione (kerygma). Sicchémentre i Giudei chiedono i miracoli e i greci cercano sapienza, noi predichiamo Cristocrocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani; ma per quelli che sono chiamati,sia Giudei che greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 21-25). Ilvangelo, quindi, non è solo un annuncio dell’evento redentivo della morte e risurrezione delCristo, ma è esso stesso una forza che lo comunica a tutti gli uomini, giudei o greci(l’annuncio ha validità universale: Rom 1,16). In un certo senso, è esso stesso un eventoredentivo ogniqualvolta rivolge il suo appello agli uomini. Sorprendentemente, Paolo lochiama “la potenza di Dio”, proprio come ha chiamato il Cristo stesso (1 Cor 1,24). Eccoperché “predicare Cristo crocifisso” è “predicare il vangelo”. Sia il Cristo che il vangeloportano agli uomini il dono salvifico del Padre. Il vangelo è il mezzo che il Padre ha perrivolgersi agli uomini, sollecitando da loro le risposte della fede e dell’amore. Perciò esso èil “Vangelo di Dio” (1 Tess2,2. 8.9; 2 Cor 11,7; Rom 1,1; 15,16), ma anche il suo “dono”, lasua “grazia” (2 Cor 9, 14-15). Così Paolo può scrivere ai Tessalonicesi che il suo “Vangelonon fu predicato solo a parole, ma con potenza, con Spirito santo e con piena convinzione”(1 Tess 1,5; 1 Cor 4,20). Infatti, in quanto “potenza di Dio” il vangelo non è annunciatosenza l’assistenza dello Spirito di Dio. In realtà, attraverso questo “Vangelo di salvezza” icredenti sono sigillati con lo Spirito Santo della promessa, “caparra della nostra eredità” (Ef1,13). Attraverso di esso gli uomini sono già salvi (1 Cor 15,2).

Pertanto la distinzione tra Ebrei e pagani non ha più alcun senso. Tutto questo demoliva inun istante il suo vecchio mondo spirituale e gli scopriva altre realtà più belle: Cristo, Figliodi Dio, incarnato, morto e risorto, è dunque il nodo e il senso di tutte le cose e della vitaintera.

Un altro aspetto del vangelo paolino si vede nel suo modo di concepirlo come un “mistero”o “segreto” (mysterion). Paolo parla del “mistero di Dio” identificandolo con “Gesùcrocifisso” (1 Cor 1,17.23). Il suo vangelo è indicato così perché rivela un piano di salvezzaconcepito dal Padre e nascosto in Lui da tutta l’eternità (1 Cor 2,7). Esso è stato ormairealizzato in Gesù Cristo ed è stato rivelato ai cristiani attraverso gli apostoli e i santi profetidella nuova economia. Abbraccia la salvezza di tutto il genere umano, concedendo ai paganiuna partecipazione all’eredità di Israele. Anche la parziale insensibilità di Israele fa parte diquesto “mistero” (Rom 11,25). Nascosto lungamente in Dio, esso è al di là dellacomprensione dei mortali e anche delle autorità di questo mondo. Ma ormai è stato resonoto “al popolo santo di Dio” e anche a Paolo, affinché egli possa annunciarlo ai Gentili eportare questi a partecipare all’inesauribile ricchezza del “mistero del Cristo” (Col 4,3).Attraverso il Cristo la salvezza arriva a tutti gli uomini mediante la loro incorporazione nelsuo corpo, che è la Chiesa, ed egli ne è il capo (Col 1, 26-27; 2,2; Ef 1,9; 3, 4-10).

Il “mistero” paolino, è cristocentrico. Come Paolo identifica Cristo con vangelo,chiamandoli entrambi “potenza di Dio”, così egli identifica Cristo e il mistero, chiamandoli“la sapienza di Dio” (1 Cor 2,7; 1,24). In realtà questo mistero del vangelo (Ef 6,19) è uno eil medesimo: Cristo, che è “il disegno segreto di Dio” (Col 1,27). Ma presentando ilVangelo come “mistero”, Paolo afferma implicitamente che esso non è mai comunicato agliuomini completamente con i mezzi ordinari di comunicazione. Poiché il Vangelo (mistero)è qualcosa di rivelato, lo si apprende solo per la fede; e anche quando è rivelato, “lasapienza divina” non rivela mai pienamente se stessa, c’è sempre una zona di oscurità chenon si dissipa mai completamente per gli uomini.

La vita successiva dell’Apostolo fu un atto continuo di fedeltà e di amore a quella luce, ilsuo pensiero non fece altro che individuare e approfondire appassionatamente, dando loro

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formulazione teologica, quei dati più immediati ed evidenti che la visione di Damasco conforza accecante gli proponeva.

Paolo considera tre stadi dell’esistenza di Cristo:la sua preesistenza presso il Padre

la sua umiliazione mediante l’incarnazione e la morte in crocela sua glorificazione nella Risurrezione. Particolarmente significativo al riguardo è il passodi Fil 2, 5-11.

Di questi tre stadi è soprattutto l’ultimo che ama descrivere e presentare l’Apostolo, fedeleanche in ciò alla visione di Damasco che gli “rivelò” appunto il Cristo glorioso. La suaRisurrezione lo colloca in uno stato permanente di vita gloriosa e di operazioni salvifiche,che non possono mai subire alcuna limitazione di tempo, di spazio, di materialità. Con ilCristo che risorge è la creazione stessa che riceve una investitura di sacralità e un impulsoverso l’alto. Il cristiano soprattutto, in quel “mistero” di morte e di vita che è simboleggiatoe realizzato dal Battesimo, viene assunto a partecipare alla gloria e alla luce dellarisurrezione. Egli perciò deve vivere sempre in un clima di festosa e trasparente mattinata diPasqua (Rom 6, 8-10; Col 3,1-2).

Alla luce di queste considerazioni possiamo capire meglio la pienezza di significato dialcuni brani cristologici di Paolo. Cristo è al centro di tutto: Egli è “Immagine del Dioinvisibile, primogenito di ogni creatura, poiché in lui furono create tutte le cose: quellenei cieli e quelle sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili, siano essi Troni, oDominazioni, o Principati, Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e invista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte le cose hanno in lui consistenza” (Col 1,15-17). Niente dunque ha senso fuori di Cristo, perché tutto è stato fatto “in vista di lui”, edEgli dà coesione, intima forza, “consistenza” a tutte le cose, sia “visibili” che “invisibili”.Se in forza della Creazione, tutto il creato gli appartiene, molto di più in forza dellaRedenzione che il creato è unito a Lui. L’universo intero, infatti, viene segnato dal suosangue e diventa, esso pure, la sua grande “Chiesa” (Col 1, 18-20). Questa centralità diCristo, in cui tempo ed eternità si congiungono, è anche meglio espressa nel grandioso innodi benedizione che apre la lettera agli Efesini (1, 3-10).

L’uomo, in particolare, in forza della Redenzione, viene a trovarsi in un rapporto tale colCristo Risorto da diventare un suo membro vivo, un suo “consanguineo”, un “figlioadottivo” di Dio, proprio in forza di questa assimilazione ontologica a Cristo. Inseriti“innestati” nel “Figlio”, anche noi diventiamo “figli”: anzi è proprio a questo che già “primadella fondazione del mondo” ci ha “predestinati” l’amore di Dio.Quest’ultima considerazione già ci fa intravedere un’altra dimensione non menoaffascinante del Cristo, l’aspetto ECCLESIOLOGICO: egli si comunica spiritualmente aisuoi fedeli e prolunga e dilata in essi la sua vita. In tal modo è come una misteriosamoltiplicazione che egli fa di se stesso. E’ la dottrina del “Corpo mistico”, anche questa giàenunciata nella risposta del Risorto sulla via di Damasco: “Io sono il Gesù che tuperseguiti”. C’è dunque identificazione fra il Cristo e i cristiani! E questa identificazionenon nasce da una giustapposizione o compensazione dell’uno con gli altri, ma da un“completamento” per cui il Cristo non sarebbe “tutto” senza i cristiani, così come il caposenza il corpo. Cristo è appunto il “Capo” e i cristiani sono le “membra”. “Capo e“membra” a loro volta formano il “Corpo”, armonicamente disposto nelle sue funzioni.E si noti che Cristo è detto “Capo” non tanto nel senso di superiorità, per affermare una suaposizione egemonica o di comando nella Chiesa, quanto piuttosto in senso “organico” e

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“fisiologico”, da rapportarsi alle cognizioni mediche correnti a quel tempo: dal “capo”infatti deriva in tutto l’organismo il flusso della vita e si dipana tutta l’articolazione deicentri nervosi. Ora è dal “Capo”, Cristo, che “Tutto il corpo riceve armonia e compattezzamediante ogni specie di giuntura che somministra nutrimento secondo l’energia propria aogni singola parte; è così che il corpo opera la propria crescita per l’edificazione di sestesso nella carità (Efes 4,16).

La Chiesa è appunto questo organismo meraviglioso che, ricevendo influsso vitale daCristo, si amplifica sempre più, “cresce” in solidità spirituale e anche in quantità numerica.E questa crescita della Chiesa significa una massa sempre maggiore di umanità e di realtàterrestri che vengono permeati dalla forza lievitante della grazia: nella Chiesa perciò è ilCristo, fatto “Spirito vivificante” (1 Cor 15,45), che si completa e si attua sempre di più.Non a torto dunque l’Apostolo potrà chiamare la Chiesa, oltre che “Corpo”, anche“pienezza” di Cristo (“tò plèroma”), “che tutte le cose riempie di ogni bene” (Efes 1,23).In tale prospettiva teologica non è solo la fede che si illumina e si consolida, ma è la vita diogni giorno che riceve alimento e dinamismo. Pensiamo solo ai rapporti verso gli altri:amando il prossimo, il cristiano ama se stesso e soprattutto ama Cristo che, secondo ladottrina del “Corpo mistico”, quasi si travasa in ogni redento. Ed è esattamente a questoprincipio che l’Apostolo continuamente si rifà per esortare i fedeli a vivere nellascambievole carità (Rom 12, 4-5. 15-16; 1 Cor 12,27).

Né meno pertinente è l’applicazione di questa dottrina al vizio della impurità: il fornicatorenon offende soltanto se stesso, quanto Cristo, di cui noi tutti siamo le membra vive (1 Cor6,15. 19-20).

E non solo la vita morale che viene permeata dalla realtà di questa dottrina teologica delCristo “totale”, ma la stessa vita spirituale ne viene strutturata in una duplice maniera:

primo, nel senso che il cristiano avverte di vivere una vita non sua, non autonoma, ma lastessa vita del suo Capo, che in lui presente in maniera organica;

secondo, nel senso che il cristiano avverte pure che la sua vita di amore e di grazia deveviverla in sintonia con tutti i fratelli sparsi per il modo.

Parlando della sua esperienza spirituale, l’Apostolo poteva dire: “Ormai non sono più io chevivo ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). E’ chiaro che questo vale anche come impegnoprogrammatico per ogni cristiano: è la “fede” intensa, che sempre fiorisce nell’amore, arealizzare questo innesto di vita soprannaturale che ora agisce misteriosamente nell’internodegli spiriti, ma che domani sboccerà negli splendori della gloria (Col 3, 2-4).

Ma in questa sua intimità con Cristo, il cristiano non può estraniarsi dai “fratelli”, ognicristiano, infatti, è “debitore” verso tutti della grazia e dei doni ricevuti da Dio. Anche Paolodiceva di essere “debitore verso i Greci e i barbari, verso i sapienti e gli ignoranti” (Rom1,14).

In un organismo vivente, ogni membro vive per il concorso di tutti i membri. E’ esattamentequesto il principio che viene ricordato per regolare l’uso dei carismi (1 Cor 12, 4-7). Il“bene comune” viene realizzato con il concorso di tutti, come un edificio che si costruiscecon il perfetto combaciamento di innumerevoli pietre (Ef 2, 19-22). Queste immagini:“familiari di Dio – suo edificio – sua abitazione” ci dicono come i cristiani devono vivere“ecclesialmente” la loro avventura terrena, in attesa della gloria (Efes 4, 1-6).

Questa unione e fusione di sentimenti però è soltanto una pallida immagine della perfettaunità che regnerà nei cieli, quando Dio sarà davvero “tutto in tutti” (1 Cor 15,28) e Cristoconsegnerà al Padre il “regno” (1 Cor 15,24) così faticosamente conquistato col suo Sangue.

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Ma questa inaugurazione della perenne, intramontabile “liturgia” celeste sarà preceduta dalglorioso “ritorno” di Cristo, che verrà a raccogliere i suoi eletti dai quattro venti,“vivificando” gli stessi corpi nella “risurrezione” finale: sarà così tutto l’essere dell’uomo,anima e corpo, spirito e sentimenti, che parteciperà alla felicità senza fine.

Inebriato dalla contemplazione di queste stupende realtà (ESCATOLOGICHE), si capiscecome Paolo sogni e quasi affretti col desiderio il “giorno” della “Parusia” del Signore, purignorando quando di fatto esso verrà: sa solo che verrà “come un ladro di notte” (1 Tess5,2).

Questa “tensione escatologica”, sia individuale che collettiva, permea tutto l’epistolariopaolino e illumina dei suoi riflessi tutta la vita cristiana: il vero credente è colui che attendecon l’animo inondato di gioia il Signore, che può ritornare da un momento all’altro, conl’unica preoccupazione di “essere trovato degno” al suo arrivo.Tutta la sua vita è stata una “corsa” pazza nella stadio del mondo (ha percorso ben 7800 kma piedi e 9000 in nave con i mezzi di comunicazione di quei tempi), per “afferrare” il grandetrofeo: Cristo Signore. All’infuori di lui, il resto gli è apparso come “spazzatura”. E Cristoche vive in noi ed è noi, è per tutti i credenti la “speranza” della gloria (Col 1,27) che maitramonterà: Egli che è “lo stesso ieri, oggi e nei secoli futuri” (Ebr 13,8).Questo il messaggio più luminoso e consolante, che a distanza di quasi duemila anni ilgrande Apostolo lancia ancora ai credenti di oggi con l’esempio della sua vita e la luce dellesue lettere. “protendendosi” in avanti “dimenticando le cose che ci stanno dietro”, per“guadagnare Cristo”, nel quale soltanto è “vita, salvezza, speranza” per gli uomini di tutti itempi.

LE LETTERE PAOLINELa vicenda terrena di Paolo si arrestava sulla via Ostiense, ma la fiamma del suo cuore e laluce del suo pensiero non si estingueranno più e gli sopravvivranno per i secoli. Infatti, oltreche grande Apostolo e fondatore di Chiese, egli fu anche pensatore geniale, scrittore densoed efficace, il teologo più profondo che abbia mai avuto il Cristianesimo, il mistico piùinfiammato che abbia mai raggiunto Dio con l’apice della sua anima.La ricchezza del suo pensiero è tutta concentrata nelle sue quattordici “lettere”,includendovi anche quella degli Ebrei che presenta particolari problemi. Se Paolo si è decisoa scrivere, non è stato certamente per una vanità letteraria, ma esclusivamente per unafinalità apostolica.: poter comunicare a distanza con le varie comunità da lui fondate, peraiutarle a risolvere i loro problemi interni di organizzazione e di vita spirituale, oppure ildesiderio di allacciare rapporti con comunità estranee al suo raggio di azione (si pensi aRoma) per poter dispensare anche a loro “qualche dono spirituale” (Rom 1,11).Le lettere paoline nascono dunque da un bisogno di “dare”, non solo la luce della propriafede e dei propri pensieri, ma anche l’affetto del proprio cuore. E’ per questo che esse,anche quando ci trasportano sulle vette più alte della speculazione teologica e dellacontemplazione, conservano sempre un calore di comunicativa umana che commuove. Ed èper questo che esse, pur rifacendosi al genere letterario epistolare quale era coltivato daigrandi scrittori contemporanei (Plinio il Giovane, Seneca, Frontone, ecc..), recanoun’impronta tutta personale, tanto che non si può dire con precisione se esse siano vere“lettere” o “epistole”. La “lettera” infatti ha in genere un tono familiare e dimesso, e nonaffronta grandi problemi. La “epistola” invece ha un tono piuttosto cattedratico e freddo,con assenza di riferimenti affettivi e personali.

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Anche quello che potremmo definire come lo scritto più strettamente teologico di Paolo, ecioè la lettera ai Romani, nella introduzione e negli ultimi due capitoli (15,14 – 16,27) èpiena di richiami personali e sprigiona un intenso calore umano di affetto e di simpatia.

Diamo ora uno sguardo all’aspetto più tecnico e storico delle “lettere” . Diciamoinnanzitutto che l’ordine canonico degli scritti del Nuovo Testamento è tale che, mettendoper prima i quattro Vangeli e poi le Lettere di Paolo, suggerisce purtroppo la falsaimpressione che i Vangeli siano stati scritti prima delle Lettere. In realtà, dal punto di vistacronologico le lettere paoline (almeno quelle comunemente considerate autentiche, cioè:Rm, 1-2 Cor, Gal, Fil, 1 Ts, Fm) sono tutte anteriori alla stesura dei quattro vangeli. Nelcanone quindi bisognerebbe invertire la successione cronologica degli scritti.

Le lettere autentiche dell’apostolo Paolo, infatti, sono datate agli inizi degli anni 50 d.C.Anche i suoi viaggi apostolici si aggirano attorno a questi anni.

Il primo viaggio missionario (46- 49 d.C.)

Il secondo viaggio missionario (49-52 d. C.)

Il terzo viaggio missionario (54-57 d.C.)

I Vangeli, invece, hanno date posteriori.

Marco (65-70 d.C.)

Matteo (70-80 d.C.)

Luca (70 d.C.)

Giovanni (100 –110 d.C.).

Paolo, nelle sue lettere non fa riferimento ad episodi particolari della vita di Gesù[54], nonricorda le sue parabole o le sue controversie con gli avversari, i suoi insegnamenti morali,non ne menziona la vasta attività taumaturgica. Tutte le sue riflessioni sono concentratesull’evento decisivo della passione, morte e Resurrezione. Il Cristo della Pasqua si èimpossessato di lui sulla via di Damasco (36 d.C. per altri invece siamo nel 33), aprendoalla sua mente e alla sua predicazione gli spazi sconfinati dell’antropologia redenta. Ivangeli colmano questa specie di lacuna, delineando un ritratto più completo di Gesù diNazareth, dal momento della sua nascita fino alla sua conclusione gloriosa nellaRisurrezione.

PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI

Iniziamo le nostre riflessione sulle lettere dell’Apostolo Paolo con questa prima lettera aiTessalonicesi, perché è quasi certamente il primo scritto cristiano in ordine cronologico. Fuinfatti composta durante l’inverno del 50-51 d.C. e fu destinata alla comunità cristianadell’importante città commerciale di Tessalonica[55], posta in Macedonia e visitatadall’apostolo durante il suo secondo viaggio missionario. Paolo essendo andato, come alsolito, a predicare nella sinagoga, vi fece poca fortuna: al terzo sabato perciò li piantò inasso rivolgendosi ai pagani, fra i quali ebbe grande successo (Att 17, 1-4). Allora i Giudei,presi da invidia, gli aizzarono contro la gentaglia di piazza, la quale, non avendo potutomettere le mani su Paolo e su Sila, si accontentò di portare davanti ai “politarchi” (imagistrati della città) il buon Giasone che li aveva ospitati nella sua casa. Durante la notte idue missionari furono accompagnati a Berea, dove ebbero maggior successo. Anche lì peròli raggiunse l’invidia dei Giudei, per cui Paolo fu costretto a ritirarsi ad Atene (la suapredicazione agli ateniesi fu un completo insuccesso: At 17, 22-34) e di qui a Corinto (Atti

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17, 5-9.13-15; 18,1). Pur essendo lontano, Paolo seguiva con trepidazione le sorti dellacomunità di Tessalonica, che egli non aveva avuto neppure il tempo (forse tre o quattro mesidi permanenza) di istruire sufficientemente e organizzare la comunità, situazione che si eraresa ancona più difficile dalle persecuzioni alimentate dai Giudei (1 Tess 2, 14-16). Nonpotendo resistere a tanta ansia, tentò egli stesso per ben due volte di tornare a visitare lacittà, ma difficoltà improvvise (a noi ignote) glielo impedirono (2, 17-18). Perciò decise di“rimanere solo ad Atene” (l’insuccesso dell’Areopago gli aveva procurato scoramento edesolazione) e di qui mandò a Tessalonica il diletto Timoteo (3, 1-5). Il quale poco dopo loraggiunse a Corinto portandogli una quantità di notizie consolanti circa la “fede” operosa, la“carità” disinteressata, la “speranza” tenace di quei cristiani, pur in mezzo a numerosedifficoltà e tribolazioni (1, 3-6). Le uniche ombre del quadro erano un’esageratapreoccupazione per la sorte dei loro “morti” al momento della “Parusia” e un certoindulgere verso rimanenze di costumi pagani, come la lussuria e una certa licenza neirapporti sessuali.

Le preoccupazioni dei Tessalonicesi per la sorte dei loro “defunti” dovevano essere nate daalcune idee errate e fantasiose circa l’imminenza del ritorno di Cristo: forse Paolo nella suabreve dimora a Tessalonica non aveva avuto tempo di precisare meglio il suo pensiero circaquesto argomento. Comunque, per chiarire le idee al riguardo, per difendersi da certe diceriedei suoi avversari circa un suo apostolato interessato, e soprattutto per rallegrarsi con tuttidei successi della “Parola di Dio” (2,13) in mezzo a loro, scrisse questa sua prima lettera,che insieme alla seconda lettera furono subito attribuite all’apostolo Paolo da tutti gli autoriantichi.

Questa prima ai Tessalonicesi è meravigliosa per il senso di “umanità”, di affetto e dipaternità che ispira. I primi tre capitoli, infatti, non sono altro che una calda evocazione dicommossi ricordi. Ora egli si paragona a una madre che “riscalda” i suoi piccoli, disposta adare per essi perfino la vita (2, 7-8); ora a un “padre” amorevole ma forte, che ammonisceindividualmente ciascuno dei propri figli “a camminare in maniera degna di Dio” (2, 11-12).Lontano da loro si sente “orfano” (2,17); ricevute invece le buone notizie, si sente come“vivere” (3,8). Tutto questo aveva creato tra loro un ambiente di facile comunicativa. Di quil’insistente richiamo di Paolo alla sua presenza e al suo insegnamento orale quando era inmezzo a loro: “Voi ricordate, voi sapete” (1, 3-5; 2, 1-2.5.9.11; 3, 3-4; 4,2; 5,2), come se sitrattasse di una affettuosa “conversazione da lontano”.Lo schema della lettera è semplice e può essere riassunto così:

Esordio (1, 1-10), contenente saluti e un solenne ringraziamento a Dio per i frutti di beneottenuti a Tessalonica.

I Parte (2,1–3,13): rievocazione della predicazione di Paolo a Tessalonica e delle suesollecitudini anche nella forzata assenza.

II Parte (4, 1-5,24): esortazioni e ammaestramenti vari (dottrina escatologica).

Epilogo (5, 23-28). Preghiere e saluti.

INDIRIZZO E RINGRAZIAMENTO (1, 1-10)Accanto a Paolo, tra i mittenti, figurano anche due suoi collaboratori, il già noto Timoteo eSilvano (va identificato con Sila di Atti 15,22; è infatti un nome latinizzato dall’aramaico),che furono suoi compagni nel secondo viaggio missionario. Uno dei due fu probabilmentel’amanuense della lettera.

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Subito dopo l’indirizzo si leva una preghiera di ringraziamento a Dio per i doni effusi sullaChiesa[56]. Il motivo del ringraziamento è dato dalla fresca vitalità della Chiesa che fioriscein ognuna delle tre virtù teologali. Si noti il preciso elenco che ne fa per la prima voltaPaolo: la fede è “operosa”, la carità si dona “sacrificandosi”, la speranza è “tenace”.La vitalità della Chiesa di Tessalonica non è dovuta solo alla corrispondenza dei cristianialla grazia, ma soprattutto all’amore di Dio, che li ha chiamati alla fede per mezzo dellapredicazione del vangelo. Siamo in pieno clima soprannaturale. L’arte della parola è vana (1Cor 2, 4-6) se non viene in aiuto la grazia divina: lo Spirito Santo è il responsabile di ognimanifestazione spirituale. E’ in forza dello Spirito che i Tessalonicesi accolsero la “Parola”con grande “gioia”, anche in mezzo alle “tribolazioni”. Qui l’Apostolo accenna alletribolazioni da parte dei Giudei (At 17,5-9), che costrinsero Paolo e Sila a fuggire, di notte,a Berea.

Nel ringraziamento a Dio si fa anche menzione alla prevalente origine pagana dei cristianidi Tessalonica: essi, infatti, si sono convertiti dal culto idolatrino, hanno aderito al Diounico e vero e vivono nell’attesa del Cristo Risorto, che verrà a giudicare il peccato delmondo. Si introduce così uno dei temi fondamentali della lettera: la futura venuta di Cristo.E “l’ira ventura” si riferisce appunto alla punizione riservata ai malvagi nell’ultimo giorno.Il tema è presente nella tradizione giudaica e compare più volte nel Nuovo Testamento.Giovanni Battista l’aveva presentata come imminente, nella sua sferzante predicazione (Mt3,7). L’ira di Dio è provocata da un eccesso di iniquità e di orgoglio dell’umanità (Giudei epagani), fino a pretendere di fare a meno del Signore e dei suoi comandamenti. Ad essanessuno può resistere (Ap 6,17), ma in Cristo i credenti sono liberati da questo giudizio.Cristo è morto appunto per “liberarci” dalla condanna irreparabile.

PREDICAZIONE DI PAOLO A TESSALONICA (2, 1-20)Paolo abbandonandosi all’onda dei ricordi, richiama alla memoria dei Tessalonicesi, leenormi difficoltà, in mezzo alle quali era avvenuta la sua predicazione nella loro città (At17, 1-9), e le qualità della medesima predicazione.

Dopo aver sperimentato il carcere a Filippi (At 16, 19-40), Paolo e Sila giungono aTessalonica, e iniziano il nuovo lavoro come se niente fosse successo (At 16, 19-40),avendo solo un’immensa “fiducia in Dio” (v. 2).Circa le “qualità” della sua predicazione, Paolo ricorda che fu verace, sincera edisinteressata (vv. 3-5) come si conviene alla Paola di Dio, che non può essere alterata eridotta a calcoli umani. Il predicatore deve rispondere del suo operato non agli uomini ma aDio, che “scruta” i cuori e che lo ha “approvato” (v. 4) e gli ha affidato il geloso “deposito”della sua Parola: da questa fedeltà al “mandato” divino dipenderà sempre il vero successodel lavoro apostolico.

E’ quanto è accaduto a Tessalonica: la genuina Parola di Dio ha una innata capacità disuccesso anche in mezzo alle più gravi difficoltà. Il successo perciò non è di Paolo, ma del“Vangelo”. Per conto suo Paolo ha perfino rinunciato a quei legittimi vantaggi(sostentamento, ecc. vv. 6-7) che gli derivavano dalla sua condizione di Apostolo (1 Cor 9,3ss; 2 Tess 3,8).

Il frutto, comunque, non è mancato, perché i Tessalonicesi avevano accolto la predicazioneapostolica con fede e costanza, anche in mezzo alle prove che gli Ebrei avevano escogitatoper colpire i credenti in Cristo. Paolo usa espressioni molto severe verso il mondo giudaico,preso com’è dalla polemica per l’opposizione da lui subita. Si noti anche l’uso per gli Ebrei,dell’espressione: “nemici di tutti gli uomini”, un luogo comune diffuso presso alcuni autori

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greci e latini dell’epoca. Si tratta, perciò, di una reazione immediata che fioriscenell’apostolo impossibilitato ad annunziare il Vangelo, e non di una dichiarazioneantisemita di principio. Anzi Paolo sente in questo ostacolo l’azione di Satana, il veroavversario dell’azione di salvezza (3,5).

MISSIONE DI TIMOTEO (3, 1-13)Paolo non riesce a stare lontano da questa comunità in difficoltà e invia da Atene il suofedele collaboratore Timoteo, perché sostenga i Tessalonicesi, portando il messaggiodell’apostolo, il quale è consapevole del dramma vissuto da quella Chiesa e dei rischi chesta correndo anche ad opera di Satana, il tentatore (2,18). Timoteo torna portando notiziemolto positive e Paolo ne è profondamente consolato. Lo si nota dal calore con cui sirivolge a loro, testimoniando la sua preghiera di ringraziamento, il suo augurio per lacrescita sempre più intensa nell’amore e nella speranza della venuta futura di Cristo, perportare a compimento la salvezza.

Inoltre, egli esprime il desiderio di raggiungere personalmente quei cristiani per confermarlinella fede.

La lettera passa poi ad affrontare alcuni temi teologici, due in particolare: la vita morale delcristiano e l’attesa della venuta del Cristo. La morale è incentrata su due impegni: la santitàdella vita e l’amore fraterno.

SANTITA’ E VITA CRISTIANA (4, 1-18)La società pagana da cui provenivano i cristiani consideravano la promiscuità e la licenzasessuale come cose del tutto normali. Quindi, riuscivano con fatica a dominare lepassioni[57], a trattare il “corpo con santità e rispetto” (4,4), e ad astenersi dall’impurità.Paolo ribadisce con fermezza queste scelte di vita, ricordando che gli abusi sessualiriscontrabili presso i pagani dipendevano soprattutto dalla loro “ignoranza” di Dio, il qualevuole essere “glorificato” anche attraverso la mondezza del proprio corpo (1 Cor 6, 12-20),che è il “tempio dello Spirito Santo”. Il nostro corpo, quindi, essendo anch’esso opera diDio, non può servire come strumento di degradazione, ma solo di elevazione spirituale, omediante l’astensione celibataria o mediante il retto uso del matrimonio, focolare di amore edi vita.

C’è, poi, l’amore fraterno che deve essere conservato con forza, ma deve manifestarsianche attraverso il servizio quotidiano nell’ambiente di lavoro e nell’esistenza di tutti igiorni. Alcuni, infatti, si erano lasciati prendere dalla tentazione di abbandonare i loroimpegni concreti per dedicarsi a una spiritualità effervescente e alienante.

Rimane da affrontare la questione - molto sentita dalla Chiesa delle origini – della venutafinale del Signore. Alcuni cristiani tessalonicesi consideravano svantaggiati coloro chemorivano prima dell’evento finale, al quale non avrebbero partecipato. Paolo, usando unlinguaggio apocalittico, raffigura lo scenario grandioso di quella suprema manifestazione diCristo e fa notare che, quando il Signore ritornerà[58], i morti si troveranno addirittura in unaposizione di vantaggio rispetto ai viventi, dato che essi per “primi” risorgeranno, e poi, conquanti saranno ancora in vita, si avvieranno verso il Cristo glorioso per essere sempre conlui.

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IL RITORNO DI CRISTO (5, 1-11)La venuta definitiva del Cristo glorioso, “Parusia”[59], è chiamata da Paolo con un terminecaro ai profeti, “giorno del Signore” che indicava il giudizio divino sulla storia umana. Glielementi innegabili della escatologia del futuro di Paolo sono: la parusia (1 Tess 4,15), larisurrezione dei morti (1 Tess 4,16; 1 Cor 15,13 ss), il giudizio (2 Cor 5,10: Rom 14,10; Ef6,8), e la gloria dei credenti giustificati (Rom 8,12.21; 1 Tess 2,12).

Ma accanto a questo futuro c’è anche l’aspetto presente, secondo il quale il “tempo futuro”(l’escaton) è già cominciato, e gli uomini sono già in un certo senso salvati: “Ora è il tempopropizio, ora è il giorno della salvezza” (2 Cor 6,2). Le “primizie” (Rom 8,23) e il “pegno”(2 Cor 1,22; 5,5; Ef 1,14) sono già in possesso dei fedeli cristiani. Cristo ci ha già trasferitinel regno celeste (Ef 2,6; Col 2,12; Fil 3,20). Paolo parla a volte come se i cristiani fosserogià salvi (Rom 8,24; 1 Cor 15,2; 1,18; 2 Cor 2,15; Ef 2,8), eppure altre volte dichiara cheessi devono essere ancora salvati (1 Cor 5,5; 10,33; Rom 5,9.10; 9,27; 10,9.13).

Questa differenza di punti di vista è dovuta in parte allo sviluppo del pensiero di Paoloriguardo all’imminenza della parusia.Nelle prime lettere, infatti, abbondano gli accenni al futuro. Ma col passar del tempo(specialmente con l’esperienza che l’Apostolo ebbe in Efeso, quando fu vicinissimo allamorte - 2 Cor 1,18; 1 Cor 15,32 -), visto che la parusia non era ancora avvenuta, la suaconvinzione escatologica si modificò.

Difatti nelle lettere della prigionia (2 Tim 4, 6-8), Paolo attende subito la “corona di gloria”che si è meritato con la sua fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, per lui, quindi, la parusia stavaper iniziare con la sua morte (con l’incontro con Cristo Risorto).Questo duplice aspetto dell’escatologia paolina è stato variamente interpretato dai teologi.Non è il caso di dilungarci su questo. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (cap. 3 art. 12)parla di “Giudizio particolare” (con l’immediata retribuzione, che sarà data, subito dopo lamorte, a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede) e di “Giudizio finale” (doveconosceremo il senso ultimo di tutta l’opera della creazione e di tutta l’Economia dellasalvezza, e comprenderemo le mirabili vie attraverso le quali la Provvidenza divina avràcondotto ogni cosa verso il suo fine ultimo. Il giudizio finale manifesterà, quindi, che lagiustizia di Dio trionfa su tutte le ingiustizie commesse dalle sue creature e che il suo amoreè più forte della morte).

Dopo questa doverosa e prolungata riflessione sulla parusia, torniamo ora al testo.

Circa il tempo di questo evento, dice Paolo, nessuno lo sa, è affidato alla decisione di Dio,per questo bisogna vigilare. L’incertezza dell’ultimo “giorno” (v. 4) dovrebbe avere l’effettosalutare di tenere sempre impegnato il cristiano, come un soldato che vigila, come un servoin attesa del padrone lontano.

ESORTAZIONI FINALI (5, 12-28)La lettera si avvia alla conclusione con alcune istruzioni concrete, destinate a rendere piùarmoniosa la vita della comunità e a stimolare la spiritualità personale. Innanzitutto siraccomanda rispetto e amore verso i responsabili della Chiesa, perché possano compiere laloro missione in serenità e dedizione.

Un monito particolare è riservato agli “indisciplinati”: probabilmente sono le persone giàdescritte in 4,11-12 dove si appellava alla necessità di lavorare e di impegnarsi nel proprioambito senza lasciarsi fuorviare da forme di esaltazione e di effervescenza spirituale.

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Un altro suggerimento riguarda la preghiera, che deve essere incessante: è un consiglio cheattraversa tutto il NT, in particolare l’epistolario paolino.L’amore fraterno, la gioia, la pace, la lode a Dio sono alcune delle componenti della serie diesortazioni essenziali che Paolo indirizza ai Tessalonicesi. Un rilievo particolare è riservatoal “non spegnere lo Spirito”, cioè a non mortificare i doni o “carismi” che arricchiscono laChiesa: è un appello che precede cronologicamente la lunga riflessione di 1 Cor 12-14. Asuggello del primo scritto, l’apostolo pone una breve ma intensa preghiera al Dio della paceperché santifichi tutto l’essere del credente (spirito, anima, corpo), così da prepararlo adaccogliere la venuta (in greco: parousìa) del Signore Gesù.

Paolo si augura che questa sua lettera abbia un valore liturgico, cioè sia letta davanti a “tuttii fratelli”. Abbiamo qui la prima testimonianza storica circa la lettura di scrittineotestamentari nelle adunanze religiose: si pensi alle Letture e al Vangelo nella nostraMessa attuale.

SECONDA LETTERA AI TESSALONICESI

Sembra che questa seconda lettera ai Tessalonicesi sia stata scritta a breve distanza dallaprima (2-3 mesi), nella primavera del 52: tanta infatti è la rassomiglianza di stile e divocabolario tra le due lettere che difficilmente si potrebbe spiegare se non pensando a unbreve intervallo fra di loro.

La prima lettera produsse l’effetto desiderato dall’Apostolo. Calmò le apprensioni deicristiani circa la sorte dei loro “defunti”. Però, per una strana convergenza di fatti e dielementi, gli spiriti irrequieti dei Tessalonicesi si impigliarono in un altro motivo di allarme.L’Apostolo aveva insegnato che la Parusia sarebbe sopravvenuta come “un ladro di notte”(1 Tess 5,2). Detto fatto. L’ambiente fu immediatamente surriscaldato. Per meglioaccreditare tale fantasticheria, si fece ricorso a tutti i mezzi: perfino, ad autentici falsi. Sistravolsero autentiche “parole” dell’Apostolo; si fecero circolare “lettere” inventate di sanapianta (2,2; 3,17). Ci si valse addirittura di incontrollate o male intese manifestazionicarismatiche, per confermare l’idea dell’imminente ritorno del Signore.

In questo clima di desiderio, di paura, ci fu più di qualcuno che vide il lato pratico delproblema: se il Signore verrà da un momento all’altro, a che vale affaticarsi, o lavorare?Perché non aspettarlo con le mani in mano? Naturalmente è facile immaginare il disordineche questi “indisciplinati” o “scioperanti” portavano nella comunità e il ridicolo che legettavano sopra, di fronte ai pagani.

Data la rapidità con cui le notizie potevano comunicarsi da Tessalonica a Corinto, Paolo nevenne subito a conoscenza, e per rimediare a questi inconvenienti dettò subito la presentelettera, che è più impersonale e meno espansiva della prima, continuamente solcata da severimoniti e da richiami al “giudizio di Dio” (1,5).Proprio questo carattere impersonale e la dottrina escatologica un po’ diversa dalla primahanno fatto credere a qualche critico troppo frettoloso (Schmidt, Kern, Wrede, ecc) che laseconda lettera ai Tessalonicesi non sia di Paolo, ma di un suo discepolo o del suo ambito.Si tratta, invece, semplicemente di circostanze diverse e di precisazioni “escatologiche”,circa i “segni” della parusia, non ritenute necessarie nella prima lettera e aggiunte qui percompletare il quadro e dissipare i dubbi e le fantasticherie insorte nel frattempo.

Schema della lettera.

Introduzione (1, 1-12) indirizzo di saluto

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I Parte (dogmatica: 2, 1-12): la parusia del Signore non è imminente.

II Parte (parenetica: 2,13 – 3,15): esortazioni alla perseveranza.

Epilogo (3, 16-18): auguri di pace e saluti.

L’interesse della seconda lettera ai Tessalonicesi, rispetto alla prima, è dato quasiesclusivamente dalla “dottrina escatologica”, qui presentata con terrificanti balenamentiprofetici. Con elementi descrittivi, presi in prestito dall’apocalittica dell’AT e giudaico-cristiana. L’Apostolo delinea le fasi drammatiche della lotta già in atto tra le forze del male,impersonate dall’Anticristo, l’Iniquo per eccellenza, palese emissario di Satana (2,9) eCristo Signore. Gli innegabili successi di Satana, saranno puramente illusori: il semplice“soffio di bocca” del Signore (2,8) disperderà l’Anticristo come polvere al vento.Consolazione dunque e motivato timore si mescolano nella prospettiva apocalitticadell’Apostolo. E’ certo che l’ultimo giorno non è imminente, perché i “segni” premonitorinon si sono ancora profilati all’orizzonte. Ma se è certo anche che la vittoria finale è giàassicurata a Cristo, non è però altrettanto certo che i singoli cristiani siano anche lorovittoriosi e non cadano piuttosto vittime delle suggestioni dell’Anticristo. A meno che nonabbiano in se quel genuino “amore della verità”, che solo potrà “salvarli” (2,10)introducendoli nella “gloria del Signore” (2,14).

INDIRIZZO E RINGRAZIAMENTO (1, 1-12)

Paolo inizia la seconda lettera ai Tessalonicesi con un indirizzo e un saluto simili a quelli di1 Tess, ma con l’aggiunta di “da Dio nostro padre”, come l’unica fonte di pace e di grazia.Dopo il saluto di Paolo e dei suoi collaboratori (Silvano e Timoteo), c’è la classica forma diringraziamento a Dio per la fede e l’amore dei cristiani di Tessalonica, in particolare per laloro fermezza nel superare le prove e le persecuzioni (principalmente quelle scatenate daiGiudei), viste come una specie di purificazione che li introduce nel regno di Dio, cioè inParadiso. E’ giusto, infatti, che chi soffre “per la giustizia” riceva il premio, e che ipersecutori siano puniti. Tutto questo avverrà nel giorno della Parusia, quando il Giudicedivino si “manifesterà” nella sua gloria e nella sua “potenza” accompagnato dai suoi Angeli,per “far vendetta” di tutti coloro che non hanno avuto “l’amore della verità”, siano essipagani, o Giudei.

Si noti la somiglianza di questa brevissima descrizione della Parusia con quella più ampia di1 Tess 3,13; 4,16. In più qui si aggiunge il “fuoco” anch’esso elemento descrittivo esimbolico, quasi sempre presente nelle teofanie, specialmente in riferimento al giudizio diDio (Is 10,17; 66,15; Es 3,2; 13,22; 19,16 ecc…).L’Apostolo qui si dilunga a dare qualche altro tratto descrittivo della parusia e specialmentealla punizione dei malvagi. La loro “rovina” sarà “eterna” e consisterà soprattuttonell’essere separati da Dio “lontani dal volto del Signore” (v. 9); mentre la felicità dei“santi” consisterà “nell’essere sempre col Signore”.

LA SECONDA VENUTA DI CRISTO E L’ANTICRISTO (2,1- 3,15)Paolo indica qui alcuni segni distintivi della parusia e lo fa ricorrendo al linguaggioapocalittico e al libro di Daniele. La venuta del Signore dovrà essere preannunciata da due“segni” terribili e sensazionali: un clamoroso abbandono della fede religiosa(“l’apostasia”), e la manifestazione dell’ “uomo del peccato”, “il figlio della perdizione”(secondo l’uso semitico è l’anticristo).

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L’apostasia sarà senza dubbio prodotta dalle seduzioni diaboliche dell’anticristo, perciòpraticamente il segno sarà unico e la successione dei segni non si deve intendere in sensocronologico.

A questo punto si introduce un misterioso ostacolo al trionfo dell’apostasia e dell’anticristo.I pareri degli esegeti circa l’individuazione di questo “ostacolo” sono tanti. I più pensanoche esso alluda alla predicazione del Vangelo, cioè nel senso che, quando dappertutto saràpredicato il messaggio di Cristo, allora verrà la fine (Mt 24,14). Per conto nostro,condividiamo la tesi di S. Cipriano, prendendo lo spunto proprio da questa soluzione ebasandoci su una frase di Luca (18,8) di significato escatologico: “Il Figlio dell’uomovenendo, troverà la fede sulla terra?”, riteniamo che l’ “ostacolo” all’insorgere dell’“Anticristo”, siano i cristiani con la loro “fede” incrollabile: quando la loro fede siillanguidirà, l’Anticristo sarà alle porte. Il misterioso “ostacolo” si traduce così in un decisoimpegno di fedeltà e di amore al Signore e alla sua verità.

L’istruzione sulla parusia si chiude con riflessioni personali e raccomandazioni, come se lalettera fosse arrivata al suo termine. Sentimenti di riconoscenza verso Dio perché iTessalonicesi non hanno ripudiato il Vangelo

Prima di chiudere la lettera l’Apostolo domanda “preghiere” come è solito fare in quasi tuttii suoi scritti, per il buon esito della sua predicazione a Corinto (“La parola del Signorecontinui la sua corsa” 3,1), dove incontrava non poche difficoltà, specie nell’ambientegiudaico (“uomini sviati e cattivi” 3,2). Il credere, necessario per la salvezza, è esclusivo“dono” di Dio: però tocca all’uomo accettare con umiltà il messaggio della salvezza.Ora l’Apostolo rivolge un severo monito contro quei cristiani che, allarmati dal pensierodell’imminente parusia, o approfittando di essa, si davano all’ozio, diventando così un pesoinsopportabile per i fratelli. Mangiare il pane altrui, scansando la fatica, è come rubarlo.Ognuno deve mangiare il proprio pane, quello cioè che le sue mani gli hanno saputoprocurare. E’ questa la regola d’oro del lavoro cristiano: se è un diritto, il lavoro è anche undovere.

Paolo conclude l’argomento con una sanzione contro l’ostinato, sempre salvando la caritàfraterna. La punizione infatti ha solo scopo medicinale: “onde si vergogni”. Nonostante tuttoessi rimangono dei “fratelli” (v. 15) a cui “non bisogna stancarsi di fare il bene” (v. 13), perrecuperarli, attraverso una consapevole correzione dei propri comportamenti.

EPILOGO (3, 16- 18)Questa seconda lettera termina col medesimo augurio di “pace” e di “grazia” che abbiamovisto nella prima lettera ai Tess (5,23.28). I vv. 17-18 furono aggiunti a lettera ultimata, diproprio pugno da Paolo, come era consuetudine presso gli antichi che, dopo aver dettato lalettera agli amanuensi, vi opponevano i saluti autografi. Qui però l’autografo haprobabilmente anche un altro scopo: quello di impedire per l’avvenire che nel nome diPaolo circolassero scritti allarmistici e incontrollati (2,2). Ogni lettera che non porterà la suafirma autografa (v. 17), dovrà, d’ora in avanti, essere respinta come falsa.

CONCLUSIONE

La missione di Cristo e dello Spirito Santo, cominciata da Gerusalemme, si è diffusa con lapredicazione degli Apostoli, “fino agli estremi confini della terra”. Questa stessa missione

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continua nella Chiesa di oggi con la predicazione del successore di Pietro: il Papa, e deisuccessori degli Apostoli: i Vescovi, in comunione con lui.Perché la Chiesa possa realizzare la sua missione, lo Spirito Santo “la provvede di diversidoni gerarchici e carismatici, con i quali la dirige”[60]. La Chiesa perciò, fornita dei doni delsuo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà e di abnegazione,riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e diquesto Regno costituisce in terra il germe e l’inizio”.La Chiesa non avrà il suo compimento se non nella gloria del cielo, al momento del ritornoglorioso di Cristo. Fino a quel giorno, la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra lepersecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio. Quaggiù si sente in esilio, lontana dalSignore, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi al suo Renella gloria.. Il compimento della Chiesa – e per suo mezzo del mondo - nella gloria nonavverrà se non attraverso molte prove. Allora soltanto, tutti i giusti saranno riuniti presso ilPadre nella Chiesa universale.Con le nostre riflessioni sugli Atti degli Apostoli, abbiamo un quadro completo della vita diGesù (meditata con le riflessioni sui quattro Vangeli), e della vita della Chiesa (Atti). Oratocca a ciascuno di noi, non deludere il Signore con la nostra inerzia e la nostra assuefazionealle realtà terrene. Il cammino della Chiesa è lungo, difficile ma affascinante, perché c’è unPadre che sempre ci ama, un Figlio che ci nutre con la sua Parola, uno Spirito che ci preparae ci attira a Cristo, e una madre, Maria che veglia sempre su tutti noi suoi figli.

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STORIA DEL POPOLO EBRAICO

LA FEDE DI ABRAMO GEN 12-36 (1850 A.C.)

IL DIO DEI PATRIARCHI GEN 12-50 (1850-1700A.C.)

DIO LIBERA IL SUO POPOLO GEN 37-50; ES, DEUT; NUM (1700 A.C.)

LA TERRA PROMESSA, I GIUDICI E I RE

(GIOSUÈ, GIUDICI 1-2 SAMUELE; 1 RE 1-11; 1CRONACHE; 2 CRONACHE 1,2).GIUDICI (1225-1040 A.C.)RE (1030-586 A.C.)SAUL (1030-1012 A.C.)

DAVIDE (1012-972 A.C)SALOMONE (972-931 A.C.)

I DUE REGNI, L’ESILIO E IL PERIODO FINO A CRISTO(1 Re 12-22; 2 Re; 2 Cronache; Amos; Osea; Isaia; Michea; Sofonia; Naum; Abdia;Geremia; Ezechiele; Esdra; Neemia; Aggeo; Zaccaria; Malachia; 1-2 Maccabei; Daniele 11;Matteo 1-2; Luca 1-2).

Alla morte di Salomone il regno si divide in due:- a sud, il regno di Giuda, governato da Roboamo (931-913 a.C), con capitale

Gerusalemme;- a nord, il regno d’Israele, governato da Geroboamo (931-910 a.C.), con capitale

Samaria.Dopo la divisione tra regno del Nord e regno del Sud il territorio degli ebrei diviene facilepreda dell’espansionismo degli imperi confinanti.

- Gli Assiri (722 o 721 a.C.) conquistano il regno del Nord e deportano gli israeliticome schiavi, favorendo l’insediamento dei propri coloni nelle terre conquistate. Ecosì il regno d’Israele cessa di esistere.

- I Babilonesi, conquistano Gerusalemme con Nabucodonosor II (586 a.C.), vienedistrutto il Tempio e gli ebrei vengono deportati a Babilonia ( Sal 137, 1-71).

Durante l’esilio a Babilonia, un gruppo di sacerdoti, con l’intenzione di conservarefedelmente le tradizioni religiose, pone mano a rielaborazioni di alcuni testi biblici e ancheantichi Salmi vengono ritoccati e riletti alla luce di questa nuova sciagura (cfr Sal 44; 74, 5-7; 51, 18-20; 79, 1-7) o dell’atteso evento del ritorno (cfr. Sal 106, 46-47; 126).Durante il periodo dell’esilio,interra babilonese sono attivi alcuni profeti, tra cui Ezechiele eil profeta identificato come Deutero-Isaia (cfr. Is 40-55). Essi interpretano l’esilio come lagiusta punizione di Dio per l’infedeltà del popolo all’Alleanza (2 Cronache 36, 15-21; Is 43,24-28).A partire dalla distruzione del Tempio (586 a.C.) e dall’esilio a Babilonia, per indicare laforma assunta dalla religione ebraica si parlerà di giudaismo.

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Nel 539 a.C. i persiani conquistano Babilonia e la stessa Palestina fu da quel momentosottomessa all’Impero persiano. Nel 538 a.C. Ciro, e di Persia, emana un editto con il qualerestituisce agli Ebrei la possibilità di ritornare nella loro terra e ricostruire il Tempio: ilritorno in patria si colloca tra il 538 e il 520 a.C. e avviene a varie riprese e in gruppiseparati. Ma alcuni preferiscono restare nei territori in cui erano stati deportati o insediarsiin altre terre, dando così inizio al fenomeno della diaspora. I profeti Aggeo, Zaccaria, ilTrito-Isaia (cfr Is 56-66) e Malachia sostengono il ritorno e con loro alcuni autori di testisapienziali: in questo periodo, infatti, nascono i libri di Qoèlet, del Siracide, della Sapienza,del proverbi, di Giobbe.

Dopo il 450 a.C. Neemia ed Esdra iniziano una riforma civile e religiosa, che prevede lariedificazione delle mura di Gerusalemme, il ripristino del riposo sabbatico, la proibizionedei matrimoni misti, la lettura della Legge (alcuni studiosi collocano in questo periodo lacomparsa delle prime sinagoghe, per l’impossibilità di molti di raggiungere il Tempio), laregolarizzazione della classe sacerdotale dei leviti. Nel contempo va formulandosi il canoneebraico dei Libri Sacri ed emerge il gruppo degli Scribi, dediti allo studio accurato dellaTorah.

Nel 334-323 a.C. quando l’Impero persiano soccombe sotto la conquista macedone, in unprimo tempo la situazione della Palestina non cambia. Ma alla morte di Alessandro Magno(323 a.C.) l’Impero macedone si divide e la Palestina è posta sotto il dominio dei Tolomeidel regno d’Egitto. Risale a questo periodo la famosa traduzione greca della Bibbia detta dei“Settanta”. Il pentateuco fu tradotto prima del 250 a.C. mentre gli altri libri vennero tradottinei due secoli successivi. Gli scrittori del Nuovo testamento quando citano i passi dell’AT sirifanno a questa traduzione dei “Settanta”, che fu il testo biblico dei primi secoli delcristianesimo. A questo periodo risale probabilmente l’istituzione del Sinedrio (organo digoverno religioso degli ebrei). Era composto di 71 membri, sotto la presidenza del sommosacerdote. Ne facevano parte gli anziani e i rappresentanti più in vista del popolo, i sommisacerdoti non più in carica e gli scribi. All’inizio aveva una competenza assai vasta, chevenne poi fortemente ridimensionata dai dominatori romani.Nel (198 a.C.), dopo la battaglia di Panion la Palestina cadde sotto il dominio dei Seleucitidel regno di Siria. Con Antioco III vengono riconfermati i privilegi di cui godevano gli ebrei(per esempio, amministrazione autonoma, esenzione dalle tasse per 3 anni, contributo regioper il Tempio), ma con l’ascesa al trono di Antioco IV Epifanie (175-163 a.C.) la cosecambiano radicalmente. Sono aboliti la Legge mosaica e il culto a Jahwè e si impongonoconversioni forzate. Scoppia così la rivolta dei fratelli Maccabei (Giuda Maccabeo, Gionatae Simone: cfr 1-2 Macc), che si caratterizza come una “guerra di religione”, poiché essicombattono per la libertà religiosa, contro la violenza straniera che impedisce l’osservanzadella Legge. La rivolta di Giuda Maccabeo (166-160 a.C.) diviene il simbolo dellaresistenza nazionale. Il successo è tuttavia parziale poiché gli Ebrei non riescono a liberarsidella dominazione straniera. Infatti, dopo la rivolta, il potere rimane nelle mani di alcunimembri della famiglia di Mattatia (il sacerdote dalla cui famiglia partì la rivolta), dando cosìorigine alla dinastia degli Asmodei. La condotta di questa dinastia porta a una situazione didecadenza e la giudea diviene un focolaio di intrighi.

Questo offrirà a Roma il pretesto per intervenire con la sua azione di conquista: nel 63 a.C.la Palestina diviene una provincia romana. Al periodo della dominazione romana risale lanascita di Gesù Cristo.

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FORMAZIONE DEL CANONE BIBLICO

Al tempo di Esdra (inizi del IV secolo a.C), viene completato il Pentateuco che è uguale aquello che possediamo oggi. Ma come si è arrivati a questa redazione definitiva?

La formazione della Bibbia.Ogni tradizione religiosa vive in genere due forme intrecciate tra loro: una trasmissioneorale, spontanea, vitale e di una successiva codificazione scritta. Un popolo ai suoi inizi,proprio come un bambino, non comincia la sua storia scrivendo libri, prima vive, poi, fattaesperienza, scrive per ricordare e far ricordare alle nuove generazioni ciò che ha vissuto.Anche il Popolo d’Israele, prima ha vissuto una Storia, poi ha cominciato a trasmettere ilricordo di padre in figlio (tradizione orale) e infine ha anche fissato tale storia in unamemoria scritta.

E’ nata così la Bibbia; ma essa non è stata scritta tutta nello stesso periodo di tempo: il Libropiù antico (forse quello del Profeta Amos) è del 750 a.C. l’ultimo del N.T. è l’Apocalisse diS. Giovanni, composta circa nell’anno 100 d.C.La redazione dei vari Libri biblici, è racchiusa tra queste due date, cioè in un periodo di oltreotto secoli. Pertanto la Bibbia non è stata scritta da un solo autore, ma moltissimi sono statigli autori diretti, che però si sono avvalsi di precedenti tradizioni orali.

Il Pentateuco (dal greco “cinque rotoli” o “libri”), è il nome dato fin dai primi secoli d.C. aiprimi cinque libri dell’Antico Testamento: Genesi, Esodo, Levitico, Deuteronomio, Numeri.Gli Ebrei lo indicavano con il nome di “Torah” o “Legge”, vocabolo citato nel NuovoTestamento.

Questi primi cinque Libri contengono tutta la legislazione d’Israele, ecco perché vengonoconsiderati una unità.

La parte più estesa del Pentateuco è composta di Leggi (di qui l’appellativo ebraico: “Torà”o “Legge”), che sono state concepite come la parte saliente della Rivelazione divina fatta aMosè e, di conseguenza, inserita nel racconto.

La teologia della Legge per Israele fu determinata dalla sua teologia della Storia. Le leggifurono sempre concepite e presentate come parte della storia del popolo Ebraico.

Gli obblighi legali che lo vincolavano rappresentavano la sua risposta all’intervento storicodi Dio in suo favore.

La composizione del Pentateuco.

Il Pentateuco era attribuito dalla tradizione ebraica a Mosè; questa è stata l’opinioneprevalente fino al secolo scorso; ma grazie a studi biblici assai più accurati si è avanzataun’altra spiegazione che risulta più attinente al testo biblico.L’esegesi moderna ha messo in risalto alcune contraddizioni, presenti nel Pentateuco, che nerendevano impossibile l’attribuzione a un solo autore.Queste contraddizioni si possono così riassumere: - doppioni (due racconti della Creazione: Gen. 1, 1-2,4a e Gen. 2,4b-24); due racconti della vocazione di Mosè (Esodo 3, 1-4,17 e Esodo 6, 2-7,7); due testi del Decalogo (Es. 20, 1-17 e Deut. 5, 6-21), quattro calendari liturgici (Es. 23, 14-19; Es. 34, 18-23; Lev. 23; Deut. 16, 1-16).

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- forme parallele nei brani legali e narrativi; - criteri di stile; vocabolario; pensiero teologico.Tutto ciò fa concludere che nella formazione del Pentateuco ci sono stare varie Tradizionedistinte (gli esegeti parlano di quattro tradizioni)che si svilupparono all’interno di Israele;esse sono così denominate: Jahwista, Eloista, Deuteronomista, Sacerdotale (quest’ultima èindicata con la lettera P, dal tedesco “Priester” = “Sacerdote”).Queste Tradizioni sono racconti indipendenti (Gen. 26, 6-11); narrazioni cultuali (Gen. 28,10-22); canti primitivi (Gen. 4, 23-24); oracoli (Numeri 23-24); spiegazioni etimologiche(Gen: 25, 22-26); leggende (Gen. 6, 1-4).

Tutto questo materiale storico, forse in forma poetica, venne trasmesso oralmente findall’epoca dei Giudici (tra il 1225 e il 1040 circa a.C.) questi giudici non amministranosoltanto la giustizia, ma esercitano anche un potere di governo, seppure temporaneo, il Librodei Giudici descrive il difficile periodo che segue all’insediamento nella terra di Canaan delPopolo ebraico, dalla morte di Giosuè all’instaurazione della monarchia), e ricevette unaforma definitiva in vari periodi dal X al VI sec. a.C.

Le quattro tradizioni.

1) La Tradizione Jahwista (X sec. a.C.), così chiamata perché utilizza il nome divino Jahwè= Dio, viene comunemente datata attorno al X sec. a.C. ed elaborata durante il periodo diDavide e Salomone (1040- 930 a.C.), essa rivela un ottimismo che malgrado la continuaprevalenza del peccato, è capace di prevedere la vittoria nel momento della caduta (Gen.3,15; 4,7).Questa Tradizione fa un uso audace di antropomorfismi (Dio che passeggia nel giardino,che interroga Caino, ecc...).2) La Tradizione Eloista (VII sec. a.C.) ha per caratteristica l’uso del nome comune Eloìm =Dio. Si distingue dalla tradizione Jahwista, per la preoccupazione di rispettare le distanzeche separano l’uomo da Dio, cioè recuperare la sua trascendenza. Dio parla all’uomogeneralmente nei sogni o dalle nubi o in mezzo al fuoco o per mezzo di angeli.3) La Tradizione Deuteronomista (VI sec. a.C.) forma la parte centrale del Libro delDeuteronomio, da cui prende il nome: contiene prescrizioni, leggi, feste. Lo stiledecisamente parenetico, cioè esortativo (dal greco. “paraìnesis”, eos = esortazione), indicaper la sua composizione un periodo di crisi religiosa. La salvezza sarebbe stata possibile,secondo la tradizioneDeuteronomista, solamente mediante una leale corrispondenza alleleggi dell’Alleanza. Il Libro fu probabilmente steso, nella forma definitiva, nella primametà del VII sec. a.C.4) La Tradizione Sacerdotale. (VI sec. a. C.), ha il suo interesse per la liturgia, le genealogie,le descrizioni degli elementi rituali. La maggior parte della seconda metà dell’Esodo,l’intero Levitico e la maggior parte dei Numeri, appartengono alla tradizione Sacerdotale.La fede d’Israele era sotto prova durante l’esilio (a opera delle truppe babilonesi diNabucodonosor II nel 586 a.C. che violarono il Tempio di Gerusalemme e deportarono gliEbrei a Babilonia). La crisi fornì lo sfondo per la storia di questa Tradizione.Come Jahwè è Santo, così Israele deve mantenersi Santo, cioè incontaminato da qualunquemorale o culto di origine umana. Questa concezione spiega la sollecitudine per le molteprescrizioni di purità rituali e legali.La tradizione Sacerdotale, è così chiamata dagli studiosi, perché si riteneva che fosse legataai Sacerdoti ebrei esuli nel VI sec. a. C. da Babilonia, in seguito alla già citata deportazionedel 586 a.C. Si ritiene, pertanto, che questa tradizione, sia una rielaborazione e unripensamento delle tradizioni d’Israele ad opera di questi Sacerdoti durante l’esilio

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Babilonese (VI sec. a.C.). E il contributo finale alla formazione del Pentateuco fu proprio diquesta Tradizione.Conclusione.L’analisi letteraria delle quattro Tradizioni, ci consente di penetrare profondamente nelgraduale sviluppo della Rivelazione. A causa della sua intima connessione con la storia, lateologia di Israele rimase costantemente viva ed adattabile alle nuove situazioni chesegnavano la continua guida, da parte di Dio, del suo Popolo, verso il traguardoescatologico. Le teologie delle quattro Tradizioni, alle quali contribuì una lunga serie diautori sacri d’Israele, testimoniano questo dialogo vivo tra Dio e l’uomo nell’AnticoTestamento.

Malgrado le diverse teologie del Pentateuco, ciascuna, con la sua accentuazionecaratteristica, dà al Testo un’evidente unità d’insieme, attorno ai quattro pilastri della feded’Israele: promessa – elezione – alleanza – legge. Ciò è sufficiente per ritenere ilPentateuco, materiale ispirato.

Le quattro Tradizioni, ricevettero forma definitiva, in vari periodi: dal X al VI sec. a.C.,contrariamente a quello che si pensava prima, e che cioè, Mosè fosse l’ unico autore delPentateuco.

I ProfetiLa Bibbia ebraica distingue due gruppi di libri profetici:

- profeti anteriori, comprendenti i libri di Giosuè, Giudici. 1-2 Samuele, 1-2 Re;- profeti posteriori, corrispondenti ai veri e propri libri profetici.

Tra i libri profetici posteriori si è soliti distinguere quelle dei:- profeti maggiori: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele;- profeti minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc,

Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia.Oltre a questa distinzione, si può anche seguire la successione cronologica, cheabbraccia un arco di tempo che va dall’VIII secolo fino al V-IV secolo d.C. Tappastorica di questo periodo è l’esilio.- Profeti precedenti l’esilio, VIII secolo (586 a.C.): Amos, Osea, Naum, Abacuc,

Isaia, Michea, Sofonia, Geremia.- Profeti del periodo dell’esilio (586-553 a.C.): Ezechiele, Deutero-Isaia, Daniele.- Profeti dopo l’esilio (538-450 a.C.): Aggeo, Zaccaria, Trito-Isaia, Abdia,

Malachia, Gioele, Giona.I profeti non scrissero i loro oracoli o scrissero assai poco: essi erano i portavoce di Dio cheli aveva scelti e inviati. La composizione scritta della loro predicazione è opera dei lorodiscepoli, a volte anche dilazionata nel tempo.La scomparsa della profezia in Israele avvenne nel silenzio come il suo inizio; sarebbeimpossibile determinare che fu l’ultimo profeta dell’AT. Negli ultimi 200 anni prima diCristo gli scrittori sapienziali continuarono coscientemente la tradizione ereditata dallaprofezia (cfr. Siracide 24,31; Sapienza 7,27), senza però pretendere di possedere uno spiritoprofetico.

Il Canone definitivoLa Bibbia ebraica, come scrive il prologo del Siracide, è composta da libri della:

- “Legge” (Il Pentateuco, i primi 5 libri della Bibbia)- “Profeti” (Isaia, Geremia, Ezechiele e 12 profeti minori)

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- “Altri Scritti” (Salmi, Proverbi, Giobbe, il Cantico dei cantici, Daniele, Rut,Qoelet, Ester, Esdra, Neemia, 1-2 Cronache, Lamentazioni).

Alla fine de I secolo d.C. esistevano nel giudaismo due canoni o liste di libri sacri.1) Un “Canone Ebraico o Palestinese”, più corto, (39 libri, invece di 46, mancano

infatti 7 libri: Tobia, Giuditta, 1-2 Maccabei, Baruc, Siracide, Sapienza). Questi 7libri non sono ritenuti ispirati sia dagli Ebrei che dai Protestanti, essi quindi accettanoquesto “canone palestinese” che fu compilato dai rabbini a Jamnia (90/100).

2) Un “Canone Alessandrino”, più lungo (46 libri) rappresentato dai “Settanta”.Questo Canone è accettato dalla Chiesa Cattolica.

Si è soliti distinguere, all’interno del Canone, i libri “protocanonici” (dal greco “pròtos =“primo”), cioè i libri biblici riconosciuti da sempre e da tutte le comunità come ispirati equindi ammessi, senza riserve, nel Canone. E i libri deuterocanonici (dal greco “dèuteros”= “secondo”), sono i libri biblici che in alcuni tempi e in alcune comunità non sono statiritenuti ispirati, e sono i 7 libri già citati dell’AT non compresi nel Canone ebraico. Gli ebreie i Protestanti, come abbiamo detto, negano l’ispirazione dei libri deuterocanonici dell’AT eli chiamano “apocrifi”, anche se essi sono riconosciuti autentici nel Canone Alessandrino.Questi termini, però, non implicano due canonizzazioni, cioè una originaria che accolse iprotocanonici ed una successiva che accolse i deuterocanonici.I Libri “deuterocanonici” del N.T. sono: Lettera agli Ebrei, Lettera di Giacomo, II Lettera diPietro, II e III Lettera di S. Giovanni, Lettera di Giuda, Apocalisse.Come si spiega l’esclusione dal Canone ebraico di questi 7 libri? Probabilmente per il fattoche dopo il tempo di Esdra (IV secolo a.C.) non ci fu più un profeta in grado di garantirel’autenticità di quegli scritti e la loro ispirazione divina. Questo fu messo in risalto dallostorico giudeo Giuseppe Flavio. Vi è forse un’altra ragione in base alla quale certi scritti nonvennero riconosciuti canonici: secondo gli ebrei più intransigenti, un libro si poteva ritenerecanonico solo se scritto in ebraico e sul suolo palestinese, l’unico nel quale Dio potevarivelarsi. I cattolici, invece, hanno sempre riconosciuto il valore divino della traduzione deiSettanta. Difatti già nel Concilio di Ippona (393 d.C.) fu riconosciuta l’autenticità di questilibri deuteronomici. La dichiarazione definitiva, però, dei libri della Bibbia si ha nelConcilio di Trento, col Decreto “De Canonicis Scripturis” dell’8 Aprile 1546, dove fudefinitivamente fissato il canone biblico in 73 libri (46 dell’AT e 27 del NT).

La lingua

La Bibbia non è stata scritta in una sola lingua, ma in tre lingue differenti, che servirono agliautori ispirati per scrivere i testi originali della Sacra Scrittura: l’ebraico, l’aramaico e ilgreco; e alla fine del IV sec. d.C. in latino, da S. Girolamo.

L’ebraico: è una lingua semitica (dal nome di Sem, figlio di Noè). Era parlato dagli Israelitifino a qualche secolo dopo l’esilio babilonese (IV sec. a.C,); poi fu usato solo nellepreghiere e nelle composizioni letterarie. Risuscitato e adattato alle esigenze della civiltàmoderna, è ora usato correttamente nello Stato d’Israele.L’aramaico: (da Aram: la regione che poi si chiamò Siria), divenne comunemente la linguaparlata dai giudei di Palestina al tempo di Gesù. Alcune parole “ebraiche” riportate daiVangeli sono in realtà “aramaiche”: “Messia”, “Pascha”, “Golgota”, “Talitha Kum”, ecc...Il greco: fu diffuso in Oriente dalle conquiste di Alessandro Magno (dal 333 al 323 a.C.) edivenne la lingua delle persone colte. La prima traduzione in greco dell’Antico Testamentoè chiamata la “Bibbia dei Settanta”; il suo nome è legato a una lettera dello Pseudo Aristea(del II sec. a.C.), secondo la quale il Re d’Egitto Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.),desiderando arricchire la celebre biblioteca di Alessandria con un esemplare della legge

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mosaica, radunò nella città “Settanta” dotti ebrei provenienti da Gerusalemme, i qualitradussero in altrettanti giorni (“Settanta”) tutto l’Antico Testamento.Certamente si tratta di una leggenda, ma sembra accertato che a partire dalla metà del IIIsec. a.C. (proprio al tempo di Tolomeo) sia cominciata una traduzione d’équipe in grecodell’A.T. , per soddisfare le esigenze dei numerosi ebrei della “diaspora” (dell’esilio), chenon parlavano più l’ebraico. Il Nuovo Testamento fu scritto interamente in greco. Sappiamoperò, che la prima redazione del Vangelo di Matteo, fu in ebraico (o aramaico); ma a noi èarrivata solo la redazione in greco.

Il latino: nel tempo cristiano, ci furono diverse traduzioni latine della Bibbia, compreso ilNuovo Testamento. La più famosa è quella di S. Girolamo (347-420), alla fine del IV sec. d.C. Questa traduzione comprende tutti i Libri biblici ed è scritta in un latino elegante, chenon traduce letteralmente gli originali, ma si preoccupa di renderne il senso. Essa fudichiarata autentica, cioè autorevole sul piano dottrinale, dal Concilio di Trento (1563). Peril suo carattere divulgativo tra il popolo, questa traduzione è detta “Volgata”, cioè“divulgata”.Tra le numerose traduzioni in italiano, oggi esistenti, c’è la Bibbia di Gerusalemme e quelladella CEI (Conferenza Episcopale Italiana).

SOMMARIO BIBLICO

ANTICO TESTAMENTO

BIBBIA EBRAICA (39 libri)

LA TORAH (Pentateuco)

I LIBRI DEI PROFETI (Nebiim), suddivisi in:

a) anteriori (Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re)

b) posteriori (Isaia, Geremia, Ezechiele e i dodici profeti minori).

GLI ALTRI SCRITTI (Ketubiim) comprendono i Salmi, I Proverbi, Giobbe, Il Canticodei cantici, Daniele, Rut, Qoèlet, Ester, Esdra, Neemia, 1-2 Cronache, le Lamentazioni.

BIBBIA CRISTIANA (46 libri)

LA TORAH (corrisponde alla Torah ebraica)

I LIBRI STORICI (Giosuè, Giudici, Rut, 1-2 Samuele, 1-2 Re, 1-2 Cronache, Esdra,Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, 1-2 Maccabei)

LIBRI SAPIENZIALI (Giobbe, Proverbi, Qoèlet, Sapienza, Siracide, Salmi, il Cantico deicantici).

LIBRI PROFETICI

maggiori (Isaia, Geremia, le Lamentazioni, Ezechiele, Daniele)

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minori (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo,Zaccaria, Malachia).

NUOVO TESTAMENTO (27 libri)

VANGELI (Matteo, Marco, Luca, Giovanni)

ATTI DEGLI APOSTOLI

LETTERE (Romani, 1-2 Corinti, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi 1-2 Tessalonicesi, 1-2 Timoteo, Tito, Filemone, Ebrei, Giacomo, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, Giuda)

APOCALISSE