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 A.A. 2010\2011 Antropologia Culturale RIASSUNTO del Manuale Elementi di antropologia culturaledi Ugo Fabietti  (Milano, Mondadori 2010) Genesi e Natura dellAntropologia Culturale 1. Origini e significato dellantropol ogia. La parola etimologica mente deriva dal greco „anthropose „logose significa studio del genere umano. 1.1. Lantropologia è lo studio delle idee e dei comportamenti espressi dalless ere umano in tempi e luoghi distanti tra loro; è linsieme delle riflessioni condotte attorno a tali idee e comportamenti. Le origini dellantropolog ia: - Erodoto (VI secolo a.C.), osservazioni sulla diversità tra Greci e Barbari che hanno un gusto antropologico (anche se non si può parlare di disciplina dellantropologi a)  - il Quattrocento e lUmanesimo europeo. La scoperta del Nuovo Mondo (1492), lespansione, lintensifi carsi dei contatti con genti dai costumi „così diversi, fece sì che gli europei cominciarono a interrogarsi circa la natura di queste popolazioni, definite ora selvagge ora barbare. - seconda metà del XVIII secolo e lIlluminism o. Riflessione e ricerca sul genere umano in senso universale (rivolta allumanità). Societè des Observateurs de lHomme. - ultimi decenni dellOttocento e i primi insegnament i. Grazie alle nuove conquiste territoriali, linteresse per i popoli „esoticida parte europea andò crescendo. In questi luoghi gli antropologi trovarono i luoghi privilegiati del loro lavoro. Di cosa si occupa lantropologi a? Prevalentemente gli antropologi si sono occupati dello studio di popoli contemporanei ma geograficamente lontani (studio delle istituzioni sociali e politiche, dei culti, delle credenze r eligiose), considerati „selvagg io „primitiv i(tecnologia semplice, ignari della scrittura). Oggi gli antropologi studiano tanto le popolazioni urbane dei paesi extraeuropei quanto della stessa Europa e del Nord America. Concetto di ricerca sul campo, introdotto tra la fine dellOttocento e gli inizi del XX secolo: gli antropologi cominciarono a recarsi personalmente presso i luoghi di studio, aprendo così una nuova fase nella storia dellantrop ologia e della metodologia di ricerca. Prim a ci si avvaleva solo di testimonianze dei viaggiatori, esploratori, militari ecc. 1.2. visione dellantropol ogia comparativa e globale, perché il progetto di questo sapere è quello di comprendere il senso dellesperienza e della vita di un singolo popolo nel confronto con lesperienza e la vita di molti altri. Antropologia come attività di ricerca che è andata trasformandosi nel tempo in relazione ai mutamenti della società euro   americana e delle relazioni tra questa e i popoli della Terra. 2. Oggetti e metodi dellantropolog ia culturale 2.1. definizione di cultura: „complesso di idee, di simboli, di comportamenti e di disposizion i storicamente tramandati, acquisiti, selezionati e largamente condivisi da un certo numero di individui, con cui questi ultimi si accostano al mondo, sia in senso pratico sia intellettuale. Ogg etto  privilegiato dellantropolog ia sono allora le differenze che int ercorrono tra le idee e i comportamenti in vigore presso le varie popolazioni. 2.2. origini del concetto antropologico di cultura. 1871 „Primitive Culturedi E. Tylor . Definizione che la cultura sia intesa come realizzazione di particolari predisposizioni umane (dato comune allintero genere umano). Il clima evoluzionista creato negli ambienti scientifici dalla rivoluzionaria

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A.A. 2010\2011Antropologia Culturale

RIASSUNTO del Manuale

„Elementi di antropologia culturale‟ di Ugo Fabietti (Milano, Mondadori 2010)

Genesi e Natura dell‟Antropologia Culturale 1. Origini e significato dell‟antropologia. La parola etimologicamente deriva dal greco „anthropos‟ e „logos‟e significa studio del genere umano.

1.1. L‟antropologia è lo studio delle idee e dei comportamenti espressi dall‟essere umano in tempi e

luoghi distanti tra loro; è l‟insieme delle riflessioni condotte attorno a tali idee e comportamenti. Leorigini dell‟antropologia: - Erodoto (VI secolo a.C.), osservazioni sulla diversità tra Greci e Barbari che hanno un gustoantropologico (anche se non si può parlare di disciplina dell‟antropologia) - il Quattrocento e l‟Umanesimo europeo. La scoperta del Nuovo Mondo (1492), l‟espansione,l‟intensificarsi dei contatti con genti dai costumi „così diversi‟, fece sì che gli europei cominciarono ainterrogarsi circa la natura di queste popolazioni, definite ora selvagge ora barbare.- seconda metà del XVIII secolo e l‟Illuminismo. Riflessione e ricerca sul genere umano in sensouniversale (rivolta all‟umanità). Societè des Observateurs de l‟Homme. - ultimi decenni dell‟Ottocento e i primi insegnamenti. Grazie alle nuove conquiste territoriali,l‟interesse per i popoli „esotici‟ da parte europea andò crescendo. In questi luoghi gli antropologitrovarono i luoghi privilegiati del loro lavoro.

Di cosa si occupa l‟antropologia? Prevalentemente gli antropologi si sono occupati dello studio dipopoli contemporanei ma geograficamente lontani (studio delle istituzioni sociali e politiche, deiculti, delle credenze religiose), considerati „selvaggi‟ o „primitivi‟ (tecnologia semplice, ignari dellascrittura). Oggi gli antropologi studiano tanto le popolazioni urbane dei paesi extraeuropei quantodella stessa Europa e del Nord America.Concetto di ricerca sul campo, introdotto tra la fine dell‟Ottocento e gli inizi del XX secolo: gliantropologi cominciarono a recarsi personalmente presso i luoghi di studio, aprendo così una nuovafase nella storia dell‟antropologia e della metodologia di ricerca. Prima ci si avvaleva solo ditestimonianze dei viaggiatori, esploratori, militari ecc.

1.2. visione dell‟antropologia comparativa e globale, perché il progetto di questo sapere è quello di

comprendere il senso dell‟esperienza e della vita di un singolo popolo nel confronto con l‟esperienzae la vita di molti altri. Antropologia come attività di ricerca che è andata trasformandosi nel tempo inrelazione ai mutamenti della società euro – americana e delle relazioni tra questa e i popoli dellaTerra.

2. Oggetti e metodi dell‟antropologia culturale 2.1. definizione di cultura: „complesso di idee, di simboli, di comportamenti e di disposizionistoricamente tramandati, acquisiti, selezionati e largamente condivisi da un certo numero diindividui, con cui questi ultimi si accostano al mondo, sia in senso pratico sia intellettuale‟. Oggetto privilegiato dell‟antropologia sono allora le differenze che intercorrono tra le idee e i comportamentiin vigore presso le varie popolazioni.

2.2. origini del concetto antropologico di cultura. 1871 „Primitive Culture‟ di E. Tylor. Definizioneche la cultura sia intesa come realizzazione di particolari predisposizioni umane (dato comuneall‟intero genere umano). Il clima evoluzionista creato negli ambienti scientifici dalla rivoluzionaria

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opera di Darwin (1859 „l‟Origine della Specie‟) contribuì tuttavia a dare un forte impulso alle teorieantropologiche relative alla storia della cultura e della società umana viste come il risultato di unaevoluzione dal semplice al complesso.

2.3. Concetto di incompletezza dell‟uomo. L‟uomo nasce „nudo‟, incompleto. Fabbricare certe cosepiuttosto che altre, pregare certe entità invisibili piuttosto che altre è frutto di una lunga storia dirapporto con l‟ambiente; dipenderà da ciò che ci è stato insegnato dal gruppo in cui siamo cresciuti,per vivere in mezzo ai loro simili, gli esseri umani devono adottare codici di comportamento chesiano riconoscibili dagli altri.Cultura come complesso dei codici comportamentali e ideazionali riconoscibili dal gruppo nel qualegli esseri umani vengono al mondo e nel quale sono educati.Cultura come complesso di modelli. Come modelli culturali diversi orientino comportamentidifferenti (es. gli europei apprezzano le carni bovine e suine e non quella di cane, mentre i cinesi leapprezzano tutte e tre e i musulmani rifiutano la carne di maiale). Si tratta di modelli introiettatigrazie all‟educazione del gruppo nel quale sono cresciuti; modelli-guida per il comportamento e il pensiero in contesti culturali differenti. [ il ragazzo selvaggio dell‟Aveyron ]. 

La cultura è operativa. Grazie ai modelli culturali, l‟uomo si accosta al mondo in senso pratico eintellettuale. La cultura è operativa poiché mette l‟uomo nella condizione di agire in relazione ai propri obittivi, adattandosi sia all‟ambiente naturale che a quello sociale e culturale che lo circonda. 

La cultura è selettiva. La cultura è un complesso di modelli tramandati, acquisiti, ma ancheselezionati. Agisce sempre un‟operazione di selezione al fine di accogliere nuovi modelli che siaccordino con quelli in vigore e bloccare eventuali incompatibilità. La cultura in questo senso risultapiù o meno aperta alle alterità e alle novità.

La cultura è dinamica. I processi di selezione lasciano intendere che si tratta di culture non statiche,ma piuttosto caratterizzate da idee e comportamenti in continuo cambiamento. Le culture sonoprodotti storici, cioè il risultato di incontri, cessioni, prestiti e selezioni.

La cultura è stratificata. I modelli culturali di riferimento risultano spesso molto diversi a secondadel grado di istruzione, di opinione politica e di ricchezza.

La cultura è olistica (dal greco olos = intero). I modelli interagiscono sempre con altri modellicapaci di coniugarsi in un insieme più complesso, dando vita alla cultura. (es. se agli europei repellel‟idea di cibarsi della carne di cane è perché questo è connesso con l‟idea di intimità che abbiamocon il cane). La cultura è dunque olistica, cioè complessa e integrata, formata da elementi che stannoin un rapporto di reciproca interazione. Ci sono culture più olistiche di altre, perché alcuni elementicostitutivi sarebbero pensati dagli stessi componenti in un rapporto di integrazione maggiore (per L.Dumont ad esempio la società Indù è più olistica di quella occidentale, perché gli individui siconsiderano parte di un sistema complesso di elementi secondari, mentre gli occidentali sono

individui pensati come distinti e autonomi).

Le culture non hanno confini netti e precisi: sono aperte e chiuse, sono selettive e comunicative,dinamiche e differenziate al proprio interno, sono creative e prodotto di processi storici di incontri,scambi e prestiti.

2.4. la ricerca antropologica. Dal momento che la cultura è olistica, per studiarla occorre adottareuna prospettiva che ci predispone a stabilire collegamenti tra i vari aspetti della vita di coloro chevivono quella cultura [Malinowski – Argonauti del Pacifico Occidentale]. Gli antropologi studiano disolito determinati aspetti di una cultura; non possono tuttavia concentrarsi solo sull‟aspetto da loroprescelto, bensì considerare un fenomeno in relazione a tutti gli altri.

Ricerca etnografica e la raccolta di dati. Principale compito dell‟antropologo è „raccogliere dati‟sul campo, attraverso l‟osservazione e l‟ascolto che egli riesce a esercitare nei confronti deicomportamenti e delle parole della gente in mezzo alla quale vive (mangiare lo stesso cibo,

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dormendo negli stessi luoghi ecc. Si conoscono informazioni mai esplicitate prima). Inoltre unantropologo si avvale del metodo dell‟intervista, della compilazione di tabelle e questionari. Questotrascorrere del tempo con le persone sulle quali si compiono ricerche è un carattere che distinguel‟antropologia dalle altre discipline e pratiche di ricerca.Concetto di ricerca etnografica: lavoro di scavo e di raccordo tra comportamenti e idee che va al di làdelle pure ricorrenze statiche. Comporta che l‟antropologo viva a stretto contatto con i soggetti dellasua ricerca, condivida il più possibile il loro stile di vita, comunichi nella loro lingua o in unlinguaggio conosciuto da entrambi e prenda parte alle loro attività quotidiane. Osservazionepartecipante  –   permette di considerare con un certo distacco (osservazione) l‟esperienza condivisadall‟antropologo con gli appartenenti a una cultura diversa dalla sua (partecipazione) 

3. Le caratteristiche fondamentali del ragionamento antropologico3.2. prospettiva olistica  – problematica del contesto. I dati individuati e selezionati nel corso dellediverse ricerche etnografiche devono essere posti in relazione al contesto di provenienza. I primiantropologi misero a confronto fenomeni provenienti da luoghi e popoli lontani nel tempo e nellospazio, senza chiedersi quale fosse il contesto d‟origine. La ricostruzione del contesto consente di far emergere le varie sfaccettature e i differenti significati che un dato fenomeno può assumere se

osservato da punti di vista differenti.3.3. antietnocentrismo e universalismo dell‟antropologia. [etnocentrismo = tendenza istintiva eirrazionale che consiste nel ritenere i propri comportamenti e i propri valori migliori di quelli deglialtri]. L‟antropologia nonostante spesso interpreta la vita degli altri popoli attraverso il filtro delleproprie categorie culturali, produce modelli di analisi e interpretazione che siano in grado di rendereconto tanto dell‟unità quanto della diversità dei fenomeni che essa studia.

3.4. lo stile comparativo. Per conoscere nel vivo una cultura, occorre attuare delle comparazioni conaltri modelli culturali (vicini o lontani nel tempo e spazio). Mentre ai suoi esordi l‟antropologia siprefiggeva di giungere alla scoperta delle leggi che segnarono le trasformazioni di una cultura (dalleforme più semplici o „primitive‟, a quelle più complesse o „evolute‟), oggi lo stile comparativo, non

più approssimativo, delinea due metodi:- il primo si esercita sul culture storicamente interrelate o geograficamente vicine (precisionedescrittiva, no grandi generalizzazioni);- il secondo prende in considerazione società prive di legami e cerca, attraverso l‟accostamento difenomeni simili, di pervenire all‟elaborazione di conclusioni più ampie.

3.5. il compito della traduzione  – ricerca di un punto di riferimento comune tra le culture. Nonriguarda solo il problema della diversità linguistica, ma soprattutto con il senso che le parolerivestono all‟interno del proprio codice culturale. lavoro di traduzione anche di tipo concettuale. Ciòè tanto più importante in quanto oggi, di fronte a processi planetari che stanno riducendo la varietàdell‟esperienza culturale umana a vantaggio di modelli uniformi, anche le comunità più debolipossono trovare, nella mediazione dell‟antropologia, un mezzo per far udire la loro voce. 

3.6. l‟inclinazione critica e l‟approccio relativista. L‟antropologia ha esercitato una potentefunzione critica verso quegli atteggiamenti di sopraffazione e sottovalutazione delle culture piùdeboli messi in atto dai gruppi di interesse più disparati. Ma questa funzione critica non si esauriscenella difesa di culture deboli, ma individua le trasformazioni delle culture nei contesti storici delcolonialismo prima e della globalizzazione oggi. Tale funzione critica rimette in discussionel‟atteggiamento etnocentrico e imperialista. Relativismo culturale = atteggiamento che consiste nel ritenere che comportamenti e valori, per poteressere compresi, debbano essere considerati all‟interno del contesto entro cui prendono vita e forma.L‟antropologia è relativista perché ritiene che le esperienze culturali non possono venire interpretateattraverso l‟applicazione scontata delle categorie della cultura dell‟osservatore. Comportamenti e valori, quindi, devono essere letti in una prospettiva olistica. Il relativismo è unatteggiamento intellettuale che mira a comprendere (e non giustificare) e collocare il senso delle coseal posto giusto, nel loro contesto.

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3.8. il versante applicativo dell‟antropologia, sapere con risvolti applicativi nella societàcontemporanea e passata.

3.9. la condizione riflessiva. Antropologia come disciplina riflessiva, cioè l‟incontro con soggettiappartenenti a culture diverse dalla propria consente di esplorare la propria soggettività e la propriacultura. l‟incontro con alterità produce sempre, in chi lo sperimenta, un tentativo di comprensioneche induce a riflettere anche su sé stessi. [ brano di Danforth sui riti funebri nella Grecia rurale ].

Unicità e varietà del genere umano1. „Razze‟, Geni, Lingue e Culture 

1.1. apparentemente diversi ma del tutto simili. A fronte di una apparente grande varietà nel genereumano, possiamo constatare elementi di forte unità. Nella seconda metà dell‟Ottocento gliantropologi culturali dimostrarono che gli esseri umani sono tali in quanto produttori di cultura. perlungo tempo l‟aspetto degli essere umani ha costituito il principale fattore di riconoscimento delladifferenza: le differenze fisiche, in varie epoche storiche, sono state supporto di ideologie e pratichedi discriminazione; il razzismo ha preteso di giustificare, sulla base delle differenze somatiche, ladominazione di alcuni gruppi su altri. Questo avvenne principalmente in Europa nell‟Ottocento, in

epoca di colonialismo e di nazionalismo.Il concetto di razzismo è uno stereotipo diffuso e persistente frutto di pregiudizi, xenofobia, interessipolitici e problemi sociali, proprio perché non esiste alcun criterio scientifico per suddividere letipologie di „razza‟. L‟unica analisi scientifica valida sulle differenze tra gruppi umani, si fondasull‟esame del DNA e dei suoi componenti di base (geni classici) che ha catalogato alcune differenzeumane. Distanza genetica tra le popolazioni che è frutto di migrazioni, che a loro volta traggonoorigine da fattori ambientali e\ o culturali. Le migrazioni sono dunque l‟effetto di spinte culturali e paradossalmente, sono all‟origine della distanziazione genetica. 

1.2. popolazioni genetiche e famiglie linguistiche. Le teorie dei genetisti sulla distribuzione deigeni umani, sembrano ricevere conferma dagli studi sulla classificazione delle „famiglielinguistiche‟. Alcuni linguisti e glottologi hanno intravisto somiglianze e affinità tra gruppi di lingue:

ad es. quelle semitico – camitiche (arabo, ebraico ecc), quelle uraliche (finnico, ungherese ecc) ecc.Visione del „mosaico linguistico‟ planetario come riconducibile a famiglie e superfamiglie a lorovolta derivate da un ceppo comune.Le ricostruzioni operate sulla distanza e sul processo di differenziazione delle lingue sembranocorrispondere largamente a quella di distanziazione delle popolazioni genetiche a cui appartengono isoggetti che parlano quegli idiomi. Esistono quattro processi che determinano la presenza di unalingua in una determinata parte del pianeta:

o  l‟occupazione iniziale di una regione disabitata (es. colonializzazione Polinesia dapopolazioni del sud-est asiatico);

o  la divergenza (conseguenza di migrazioni, conflitti ecc);o  la convergenza (frutto di intensi contatti culturali);o  la sostituzione di una lingua (gruppo conquistatore che impone la propria lingua).

1.3. geni, lingue, culture. Non solo le migrazioni sono causa di spinte culturali: il corredo geneticodegli individui varia anche a causa di altri fattori casuali (deriva genica) e adattativi (selezionenaturale). La distanziazione genetica tra le popolazioni, e la sua corrispondenza con la distanza trafamiglie linguistiche, non trova un corrispettivo nelle differenze culturali che le popolazionipresentano. Geni e lingue cambiano anch‟essi ma ad una velocità infinitamente minore rispetto almutamento dei comportamenti, delle usanze e dei modelli culturali.

1.4. le aree culturali. Lo sviluppo delle ricerche etnografiche nel corso del Novecento ha indotto gliantropologi a sistematizzare le conoscenze acquisite secondo il criterio delle aree culturali (= regionigeografiche che presentano una serie di elementi sociali, culturali, linguistici ecc relativamentesimili). Il criterio è indicativo delle maggiori differenze socio – culturali riscontratedall‟antropologia. Queste aree non devono essere considerate definite e comprensive di elementiomogenei, potrebbe comportare un irrigidimento della realtà culturale.

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2. forme storiche di adattamento – le società „acquisitive‟ 2.1. Homo sapiens sapiens, il „colonizzatore‟. L‟uomo, nel corso degli anni, è andato diversificandosinon solo dal punto di vista somatico, linguistico, culturale, ma anche dal punto di vistadell‟adattamento all‟ambiente (lento processo finalizzato all‟ottenimento di risorse naturali vitali per la nostra specie). L‟uomo ha dovuto elaborare strategie di adattamento altamente diversificate, aseconda delle situazioni: i cacciatori delle terre circumpolari, i pastori nomadi dei deserti d‟Arabia,gli orticoltori amazzonici, i pescatori delle coste del Madagascar, gli agricoltori d‟Europa e d‟Asia.Ognuno ha dovuto adattarsi a un ambiente particolare, costruire utensili differenti per sfruttarel‟ambiente circostante, inventare metodi diversi per proteggersi dal freddo o dal caldo ecc. Dallacaccia – raccolta e dalla pesca con strumenti tecnologicamente semplici si passa alla rivoluzioneagricola (che in molte aree del pianeta ha portato altre modifiche, fino ad arrivare alla rivoluzioneindustriale d‟Europa, XVIII secolo, che ha provocato un‟accelerazione nel campo della produzione edell‟innovazione tecnologica).

2.2. I cacciatori raccoglitori: passato e presente. Attualmente conosciamo le popolazioni ei pigmeiBatwa e Bambuti della foresta equatoriale congolese e camerunese, i boscimani !Kung San dellaNamibia, gli Hazda della Tanzania, alcuni gruppi aborigeni australiani, Inuit o eschimesi (popoli

dell‟area circumpolare), popoli del sud-est asiatico e dell‟India. Nonostante vengono accomunatinella stessa categoria, questi popoli mostrano alcune differenze. [ es. i Kwakiutl, popolo della fasciacostiera che corre dagli Stati Uniti al Nord del Canada, fondavano la loro sussistenza soprattutto sullapesca del salmone, vivevano in villaggi stabili, erano un popolo bellicoso e conoscevano l‟istituzionedella schiavitù. I !Kung San, invece, del deserto del Kalahari, sono noti per il comportamento pacifico, l‟esiguità numerica dei gruppi, l‟uguaglianza che caratterizza la loro società sul pianoeconomico, politico, ecc]

Scheda - !Kung San, cacciatori raccoglitori del Kalahari.I boscimani !Kung erano dispersi in vari accampamenti occupati da ottanta individui ciascuno. Eranoprivi di armi da fuoco, bestiame e agricoltura, ed erano totalmente dipendenti dalla caccia  – raccolta.Ogni accampamento costituiva un‟entità autosufficiente per la produzione di cibo: gli individui

cacciavano e raccoglievano dall‟alba al tramonto. Gli individui cominciavano l‟attività di„produttori‟ in età matrimoniale (sia per i maschi che per le femmine). I rapporti tra i sessi eranoimprontati a una parità di diritti e doveri (le donne erano libere dai vincoli domestici). Negli annisuccessivi però i coloni agricoltori, introducendosi nel territorio, hanno provocato un cambiamentoalla società, divenuta società di pastori, di salariati, agricoltori e artigiani.

2.3. caratteristiche delle società acquisitive. La caccia – raccolta si basa su tecniche di sfruttamentodelle risorse naturali finalizzate all‟acquisizione di risorse spontanee, di natura animale e vegetale. Ilcarattere „spontaneo‟ delle risorse (secondo l‟antropologia) avrebbe ripercussioni sull‟organizzazionesociale dei popoli. La natura non produce le proprie risorse tanto velocemente da sostenere unapopolazione numerosa; la mobilità favorirebbe la formazione di gruppi ridotti (comunementechiamati „bande‟ o „orde‟). La mancanza di riserve quindi obbligherebbe questi popoli a una

continua ricerca di cibo. Fondamentale il concetto di egualitarismo (cooperazione tra i membri) e delrapporto di parità tra i sessi, che rende la divisione del lavoro quasi inesistente.

Scheda –  I Vezo, pescatori del Madagascar. In villaggi di qualche centinaia di persone, a pochedecine di metri dal mare, questa popolazione trae la maggior parte delle risorse alimentari praticandola pesca. La mancanza di diritti di proprietà sulle risorse marine fa dei Vezo un popolo sganciato daforme stabili di identità e di gerarchia sociale riconducibili al possesso dei mezzi di sussistenza. Icontatti con i mercati di Morondava e con le industrie ittiche che surgelano i prodotti marini perdestinarli ai grossi centri abitati, favoriscono un maggior guadagno per questa popolazione.

2.4. le società acquisitive oggi: residui del passato o moderni „marginali‟? impossibileomologazione dei cacciatori raccoglitori odierni a quelli passati, perché i primi mantengono rapportidi vario genere con le società agricole, pastorali e con le amministrazioni degli stati centralizzati. [icacciatori Penan del Borneo forniscono rattan (un tipo di legno) al mercato internazionale; i pigmeidella foresta congolese sono nel mercato dell‟avorio] 

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 3. Forme storiche di adattamento – coltivatori e pastori

3.1. dalle società acquisitive all‟apertura di nuovi scenari alimentari, demografici e politici con ildomesticamento di piante e animali. (evento verificatosi in epoche differenti, in più punti dellaTerra). Attività come l‟orticoltura e l‟agricoltura richiedono un investimento lavorativo, a differenzadello sfruttamento di risorse naturali spontanee delle società acquisitive. Il rapporto tra il mondocontadino, fonte della produzione, e quello urbano, sede del potere, è stato storicamente complesso,problematico e talvolta conflittuale. Molte zone, come le società agricole dell‟Asia, dell‟Africa edell‟America centro-meridionale, sono società arretrate in quanto meno capaci di sostenere unapopolazione crescente.

Scheda –  Gli Yanomami, orticoltori amazzonici 

3.2. popoli pastori. Pastorizia = forma di adattamento che, come l‟agricoltura, segna il passaggio daun‟economia di caccia-raccolta a un‟economia di produzione vera e propria. Nacque in MedioOriente; ora, popoli di pastori, sono presenti in tutta l‟Asia, l‟Africa e, in passato, in Europa. Oltre ai pastori esistono comunità che fanno del nomadismo il loro modello ideale di esistenza. Sono

tutte quelle comunità „senza fissa dimora‟, quali i Rom, i Sinti e altri. Queste, diffuse in Asia e inEuropa, vivono di commerci e piccoli servizi, e sono dette „comunità peripatetiche‟, cioè inmovimento, per distinguerle dai pastori nomadi che fanno del movimento un fattore funzionale allariproduzione delle risorse animali in loro possesso.

Scheda –  Gli Shammar, allevatori nomadi dell‟Arabia Settentrionale 

Comunicazione e Conoscenza 

1. Oralità e scrittura.

Quasi tutte le culture conoscono la scrittura, ma tuttavia la comunicazione principale avviene per viaorale, via fortemente influenzata da quella scritta. Le culture prive della conoscenza della scrittura vengonodefinite a oralità ristretta, mentre le culture come la nostra dove la scrittura è ampiamente diffusa, vienedefinita oralità ristretta.

La scrittura apparve per la prima vola attorno al III millennio a.C in Mesopotamia; oggi non esistonopiù società a oralità primaria e la scrittura laddove è scarsamente diffusa esercita comunque un suo „potered‟influenza‟ attraverso, ad esempio, le leggi: tali culture vengono pertanto definite a oralità diffusa, inquanto la comunicazione scritta non ha ancora preso il sopravvento. Tuttavia però tali società non possonoesser definite analfabeti in quanto tal termine indica un‟emarginazione esclusione povertà tipica di queigruppi che per vari motivi non possono o non riescono accedere

al sistema scolastico.

Si è detto che la comunicazione orale viene fortementeinfluenzata dalla comunicazione scritta: le parole esercitano unasorta di potere in quanto le nostre menti non possono pensare aduna parola se non in forma scritta. Taluni autori hanno ancheavanzato l‟ipotesi che gli individui scolarizzati non possanocogliere il pieno significato di una parola se pronunciate oascoltate da coloro che non sconoscono la scrittura. A talproposito Walter Ong dice che commettiamo un grosso errorenel definire „letteratura orale‟ poesie canzoni o canti di certi

popoli trasmessi oralmente perché in tal modo verremmo adefinire ciò come una imperfezione della letteratura scritta (un po‟ quello che successe ai testi di Omero).Recenti studi hanno fatto concludere che cantastorie/improvvisatori procedevano come i griot africani i qualipreferiscono mantenere una trasmissione orale nonostante possano avvalersi di una tradizione scritta: ciò

Griot 

Termine francese per indicare musici ecantastorie dell‟Africa sud saharianaoccidentale che si dedicavano alla raccolta etrasmissione di leggende. Possono essereitineranti o vivere alla „corte‟ di qualchepersonaggio importante. Le loro specialitàriguardano al genealogia di capi, re, eroi erispettive imprese. 

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significa che per raccontare le loro storie i griot si avvalgono di un particolare esercizio mnemonicoimparando i testi verso per verso e inserendo continue ripetizioni che aiutano il cantastorie. Ciò fa si che lacanzone muti molto lentamente nel tempo. Tale tecnica è utilizzata dalle culture a tradizione fortemente oraleanche per testi politici giuridici amministrativi conoscitivi: ci si basa dunque sul procedere per formule, cosache non scampare nemmeno con il passaggio ad un alfabetizzazione.

Nelle società ricche post – industriali si parla invece di regresso dell‟oralità causato da media pubblicitàimmagini etc. che hanno provocato una carenza lessicale e conoscenze linguistiche di certe fasce sociali o dietà.

In assenza di scrittura le parole non hanno una propria esistenza visiva; tuttavia ciò non significa che lesocietà a oralità diffusa abbiano poca memoria, anzi, si avvalgono proprio di elementi che facilitanol‟esercizio mnemonico. In questo tipo di società la parola assume un significato e efficacia nel momento incui vengono pronunciate e per accentuarne l‟efficacia diventa determinante nel discorso assumere certeposizioni piuttosto che un determinato tono di voce o determinate gestualità. Michel Jousse definisce taliculture „verbomotorie‟, quindi presentano un forte legame tra modelli ritmici, gestualità e respirazione.Malinowski dice invece che nelle culture orali le parole si carica in determinate circostanze di un poterecausativo, come se „dire‟ diventasse un „fare‟. Diventa pertanto evidente il potere dei nomi: ad esempio nellaGenesi della Bibbia dove „all‟inizio era il Verbo‟. 

Alcuni popoli hanno una vera e propria teoria della parole come i Dogon che vedono nella parola „la proiezione sonora dello spazio della personalità dell‟uomo‟. Come il corpo umano anche la parola è formatadai 4 elementi: acqua che inumidisce, aria che permette la trasformazione in vibrazione sonora, terra che da ilsuo peso = significato e fuoco che da calore come riflesso dello stato d0animo interiore. tale concezione dellaparola è così complicata perché mette in gioco il kiniku, soffio della parola stessa che designa il tono su cuiessa si manifesta ed esiste solo in relazione alla voce mi.

La differenza principale tra culture orali e culture scritte sta nel fatto che queste ultime hanno la scritturache favorisce una conservazione scritta quindi fissa del sapere e quindi la trasmissione dello stesso. Nelle prime l‟unico modo di trasmissione del sapere è sfruttare moduli mnemonici (temi proverbi scenari antitesietc.). Ciò comporta che ci si può fidare solo della parola; ma tale effetto tende a produrre effetti „omeostatici‟ovvero a eliminare tutto ciò che non ha un interesse per il presente. Tuttavia questo è un fenomeno comune atutte le culture. Nelle culture orali dove si hanno metodi mnemonici si „conservano‟ anche „ricordi inutili‟ siadi eventi sia di conoscenze; nelle e culture prive di scrittura non si ha invece la conservazione di ricordiinutili.

Per comprendere i fenomeni omeostatici si può far riferimento alle genealogie di taluni popoli chetalvolta non si identificano con la memoria del passato ma con la giustificazione delle relazioni esistenti fra ivari gruppi.

Caso a parte lo costituiscono quelle società come gli Antemoro del Madagascar che conservano tracceindecifrabili di un passato funzionali al presente: possiedono iscrizioni di formule divinatorie in un alfabetodi origine incerta, che essi „leggono‟ senza saper bene il significato delle parole. Qui la parola è soloagganciata alla scrittura e produce effetti in senso di suoni. Ciò non toglie che queste parole abbiano unaqualche funzione nella vita di questa popolazione.

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I Dogon sono una popolazione molto famosa della zona del Mali in Africa occidentale, studiata dai francesifra gli anni 30 e 40 e, in particolar modo, da Marcel Griaule. Sono oggetto di turismo sfrenato perché tappadei percorsi turistici dell‟Africa occidentale in quanto considerata una popolazione autentica, o meglio hannosubito cambiamenti ma non drastici (viene considerata una sorta di popolazione immobile nel tempo).

Quando Griaule li studiò si occupò delle danze; un giorno durante una sessione di danza, che ha un numerodi maschere fisso, comparve un‟altra maschera che entrò ed iniziò a fare domande: era la mascheradell‟antropologo. 

Il tipo di oralità che avevano i Dogon prima dell‟introduzione , in quanto possedevano solo questa modalitàcomunicativa (ora si parla di oralità diffusa in quelle società dove si ha ancora una forte prevalenzadell‟oralità). La nostra società è definita a oralità ristretta poichè la scrittura ha un posto determinante. IDogon sono stai oggetto di studio in questo tema perché l‟antropologo, in generale,quando incontra unapopolazione a oralità primaria o diffusa traduce il loro pensiero in forma scritta: cambia la qualità dellatradizione orale perché diventa qualcosa di scritto e quindi fisso.

Griaule scrisse nel 1948 il libro „Dio d‟acqua‟: racconta di un cacciatore cieco che descrive la cosmogoniadel suo popolo. Si tratta di un libro che cambia l‟opinione sui sistemi di pensiero in Africa poiché diventa unpunto di riferimento per dire che gli Africani non sono selvaggi ma pensatori raffinati (sorta di filosofi): si hadunque una nobilitazione del pensiero africano. Questa cosmogonia una volta scritta viene fissata: noncambia, diventa in assoluta la cosmogonia Dogon. L‟oralità comporta la possibilità di cambiamenti, lascrittura fissa la storia.

Jack Cudi mette in luce come l‟oralità riesca a giustificare il presente attraverso una trasformazione di mitioriginari: es. in un villaggio abbiamo 5 gruppi (lignaggi) il mito originario racconta che all‟inizio c‟erano 5figli di un unico dio che hanno dato origine ai 5 lignaggi odierni. Ma una volta ad es. i gruppi erano 3. Cosaracconta dunque il mito originario? La oralità permette di trasformare la mitologia che ha un funzione nelpresente, per questo è possibile cambiarlo perché deve rispondere alle esigenze del presente.

Oggi i Dogon leggono il libro di Griaule e se ne servono per auto presentarsi ai turisti come una popolazione piena di simboli complessi. Inoltre si parla di una samsonaitizzazione dell‟arte: l‟arte delle popolazione diattrazioni turistica si trasforma nel tempo per rispondere alle esigenze dei turisti (quindi la maggior partedelle opere d‟arte ha la misura di oggetti rientrabile in un bagaglio a mano). Inoltre il turista va in Africa ecompra quello che in realtà ha già visto (su cataloghi documentarti etc.) quindi l‟arte di queste popolazionirisponde alle esigenze dei turisti e non ha nulla a che fare con la produzione locale ma è quella che a noisembra vera e autentica. Questo aspetto della fissazione vale anche particolarmente anche per le danze.

Video sui Dogon 

 Il Metropolitan museum of Art possiede una varietà di oggetti sull’arte Dogon, dalle maschere cerimonialialle sculture riturali e costruzioni architettoniche: ciò lo si deve soprattutto al contributo di Lester 

Waterman che collezionò tale arte fin dal 1957, in modo tale che potesse condividere l’arricchimento chequesti oggetti gli hanno por tato. Sono tutti manufatti molto importanti per l’organizzazione religiosa dei

 Dogon, come tali appaiono carichi di misticismo e vitalità. 

Vivendo a stretto contatto con questa popolazione e dopo essersi fatto accettare ha studiato tradizione e riti

nei quali la loro arte gioca un ruolo molto importante. 

 Nel 15 e 16 sec migrarono dall’impero di Mali verso l’africa occidentale (nelle falesie) dove gli scafandri

rocciosi favorirono l’insediamento in quella zona desertica. Qui i Dogon svilupparono società comp lessa

radicata sui diversi miti sull’origine del mondo, sulla lotta fra ordine e disordine e sulla collocazionedell’uomo dell’universo: credenze che ispirano tutti gli aspetti dell’arte Dogon, e danno vita a elaboratecerimonie rituali e danze, come la tamà. Eseguita ogni 10 / 15 anni la tamà ha lo scopo di elevare i morti al

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ruolo di antenati, celebrare le nuove vite che riempiono il vuoto lasciato alla loro scomparsa; per i Dogon

l’anima non si è spostata in un altro luogo, ma si è elevata per esser spir itualmente più vicina a Dio e agli

altri spiriti ritenuti antenati. Durante questa danza di indossa la maschera kanagà , che con la sua croce

 può simbolizzare l’equilibrio dell’universo, con la sbarra superiore che rappresenta il cielo e quellainferiore la terra. Le maschere rituali sono formate dell’impiego di materiali diversi che simbolizzano levarie forze dell’universo. I dipinti rupestri che vengono ridisegnati ogni hanno, generalmente rappresentanomaschere Dogon, si trovano in luoghi protetti, dove vengono conservate le maschere e dove si svolgono i riti

di iniziazione. 

Secondo la tradizione orale, quando arrivarono nella regione dove si trovano attualmente, le falesie erano

abitaste da un popolo che i Dogon chiamarono ‘Tellem’ = ‘li abbiamo trovati’. Anche i Dogon, come iTellem prima di loro, seppelliscono i loro morti nelle caverne rocciose. Nelle caverne sovrastanti i villaggi

 Dogon sono stati ritrovati scheletri e manufatti appartenenti a Dogon e Tellem i quali seppellivano insieme

ai loro morti oggetti per dar loro conforto, tra i quali dei poggiatesta; nelle caverne sottostanti a quelle

sepolcrali, sono stati ritrovati manufatti inconsueti per i Dogon: delle ciotole in ceramico con dei piedi alla

base, che si ritiene siano state utilizzate nelle cerimonie funebri dei Tellem. 

 Alcune opere dei Dogon richiamano alcune sculture di terracotta sono state ritrovate a 160 km dalluogo in cui questi vivono; ci sono degli elementi in comune, come gli occhi sporgenti e cerchiati o il naso

diritto. Le sculture in terracotta sono state datate fra il 16esimo e 18esimo secolo: ciò significa che lo stile

dei Dogon era popolare nel medesimo periodo. Nel medesimo luogo in cui sono state ritrovate le statuette di

terracotta, vi sono delle strutture architettoniche che ricordano quelle dei Dogon. Ci sono quindi dei punti di

contatto fra cultura Dogon e regione del delta interno del Niger che testimoniano influenze culturali. 

 Lo scambio commerciale nei mercati offusca la tradizioni etniche ed artistiche. Molte statuette

riflettono esclusivamente una scienza estetica e non vari livelli di abilità. I padri dell’Africa occidentali sonoabilissimi artigiani e uno stato sociale unico: ben ricompensati per la loro abilità artigianale, sono gli unici

 fra i Dogon a non aver l’ obbligo di coltivare la terra. 

 I Dogon hanno sempre allevato bestiame e coltivato grano e cotone. In questa regione così arida il

 principale materiale da costruzione è costituito da argilla mischiata a sabbia e fanghi. I villaggi Dogon

richiamano la severa  geometria della superficie rocciosa. L’abitazione di una capo clan si distingue per lenicchie che costituiscono la sua facciata. I fabbri lavorano sia legno sia ferra e i sono responsabili per 

l’intera produzione scultorea Dogon: per secoli hanno forgiat o le statue per il mondo spirituale dei Dogon,

il cui scopo è quello di onorare il morto o ringraziare/pregare le divinità celesti. Durante i rituali sacri le

sculture dei Dogon vengono consacrate con libagioni del loro alimento principale: la minestra di miglio,

con oli vegetali, sangue animale e altre sostanze ritenute imbevute di sostanze vitali. Durante le cerimonie

 sugli oggetti si forma una patina che talvolta diventa una vera e propria incrostazione che ricopre l’intera superficie dell’oggetto. L’att eggiamento delle diverse sculture può assumere significato diverso e scopi

altrettanto diversi: 

- Una scultura simmetrica che stando seduta si copre il viso potrebbe esser stata collocata su un altare di

 famiglia per significare il senso di dolore per la perdita di un congiunto 

-  Le figure con le braccia alzate hanno significati diversi e ambigui: potrebbe assumere il significato di

supplica di pioggia nei confronti del cielo; possono esprimere dolore o gioia 

 Le tavole di legno intagliate sembra che fossero appoggiate agli altari (un lato infatti è più annerito e

incrostato di materiale sacrificale). Le sculture hanno un ruolo fondamentale nei riti sacri in quanto sono in

grado di supplicare gli spiriti degli antenati, coloro che sono in grado di influenzare le massime autorità fra

 gli spiriti dell’universo. 

 Per i Dogon tutti le cose viventi hanno un’energia tangibile: un’energia estraibile per esser utilizzatanella creazione delle sculture rituali. Tale energia fa si che aumenti l’energia di coloro che compiono i

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rituali e degli antenati. Molte sculture, inoltre, vengono talmente ricoperte di materiale sacrificale che le

 forme vengono nascoste. 

 L’arte Dogon e africana in generale tendono a simboleggiare più che a ritrarre: è raro ritrovare una

scultura che raffiguri emozioni e espressioni facciali (inoltre, forse la scultura serve per riconoscimento x il

lavoro svolto. La gravidanza è un elemento molto comune per l’arte Dogon: per un uomo Dogon è normale prendere in sposa più di una moglie per ampliare la famiglia; i gemelli hanno un’importanza mitologicalegata al modello della creazione ed è per questo che vengono considerati come dotati di un’importanza

 forza vitale che porta prosperità e fertilità a tutta la loro famiglia. Una coppia seduta rappresenta il cuore

della famiglia costituito da moglie e marito, rappresentati sempre con grande simmetria di dettagli che

uniscono le figure e mettono sullo stesso piano ruoli femme e maschili della società: questo concetto di

dualità radicato nella mitologia influenza notevolmente la vita familiare dei Dogon. 

 I Dogon sono circa 250 mila e vivono in villaggi di 500 persone. Un tipico villaggio è suddiviso in clan

con dozzina di famiglie ciascuno, ognuna delle quali ha un capo di sesso maschile. L’età avanza impone

rispetto quindi ogni clan è capeggiato dal maschio più anziano che svolge un’azione patriarcale sull’interogruppo. Gli uomini si riuniscono in assemblea per discutere i vari problemi de villaggio: si riuniscono in

luoghi dai tetti bassi per evitare che si stia in piedi perchè si ritiene che lo stare seduti produce maggiorearmonia tra i vari capi clan. 

 In generale, le opere d’arte sono sempre fonti che collegano questa società al suo complesso sistema dicredenze. 

Osservando attentamente questo video si può notare l‟introduzione di questo concetto di „mana‟ comeforza vitale che permea ogni essere viventi; si parla di culto degli antenati; si parla di simbolismo (maschere,croci etc.); si parla di congregazione nel svolgere collettivamente le varie attività; statue come medium per

l‟esortazione. 

Analizziamo la religione (1) e gli elementi culturali(2):

1- La preghiera: qui sono le statue stesse, rappresentate dalle donne in legno che fa una determinataazione

2- Società stratificata ; anzianità come modellodell‟autorevolezza; divisione in clan; società stratificata;poligenia; cultura olistica; dimensione operativa: capannebasse per i luoghi di incontro perché uomo seduto è piùconciliante assumendo un atteggiamento corporeo che glipermette di ascoltare molto; dimensione dinamica: idea chequesti prodotti artistici si scrivano in una atemporalità e sonoil risultato di un‟operazione collettiva e quindi non si pensache non ci sia uno stile di un determinato artista; culturacreativa, soprattutto in questo caso per quanto riguardal‟arte); cultura selettiva: in una cultura a tradizione orale, lacultura è selettiva perchè quello che vediamo è quello che èstato selezionato in quanto non c‟è nulla di conservato 

Si parla però tuttavia anche di selettività della cultura

occidentale che sceglie taluni pezzi rispetto ad altri permetterli in un museo. Il problema è: cos‟è che riconosciamocome artistico? L‟arte africana in che modo è stata

Il carattere sacro della scrittura 

Ciò è un fenomeno tipico delle società a oralitàdiffusa come il Medioriente e le civiltàprecolombiane. Tuttavia è riscontrabile anchenelle società a oralità ristretta dove la scritturaassume ambiti autorevoli come documenti checontengono leggi scritte. Talvolta l‟importanzadel decumento è talmente elevata che bastasemplicemente citarlo per renderlo incontestabile.Ad ese. In Tunisia nell‟oasi di El Ksar, studiatadall‟antropologo Kilani: il documento non haalcuna funzione di prova scritta ma è unadichiarazione di onore da parte di colui che lo hacitato; si fa dunque riferimento ad un‟autorità cheriguarda ad esempio documenti che attestano

la shorfa, sacralità e nobiltà, di alcune famiglie. 

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selezionata nei musei e su quali basi? Il criterio fondamentale è l‟influenza che queste opere hanno avutosulle culture occidentali: ci interessano perchè hanno influenzato la nostra cultura (vedi Picasso ad esempio).Questo è solo un esempio perchè nei vari paesi europei c‟è una forte presenza di arte proveniente da paesicolonizzati. Inoltre, negli expo si vedono esibizioni etnologiche che servono per giustificare l‟impresacoloniale.

Il rapporto tra oralità diffusa e oralità ristretta: se il rapporto tra parole e esperienza viene meno,automaticamente la parola perde significato il quale viene o alterato o si perde perché l‟esperienza èindispensabile per l‟individuazione di un oggetto. Es. dello psicologo Luria che condusse un esperimento inUzbekistan: fece vedere un cerchio a preletterari e a degli scolarizzati: i primi definirono cerchio come ilsole, la luna o comunque qualcosa di circolare, i secondi ne diedero la definizione esatta. Ne consegue cheuna cultura preletteraria non riesce a ragionare in termini di categorie; di conseguenza le definizioni astrattediventano comprensibili solo se si fa esperienza di queste. Goody infatti definisce l‟esperienza comeaddomesticamento del pensiero che consente l‟acquisizione di un pensiero più ampio rispetto all‟oralità. 

La diffusione massiccia della scrittura fa si che le cose cambino. Ad es. in Giordania i beduini hannoiniziato a sviluppare una forma di memoria genealogica scritta con lo scopo di modernizzare le tribù: ciòcomporta che il modello identitario dello stato giordano viene ripreso dai beduini che tentano di mantenerevisibilità e quindi peso politico.

2. Percezione e cognizione

Il contatto con le popolazioni primitive fece sorgere stupore di fronte alla semplicità di calcolo e

numerazione o la presenza di pochi termini lessicali. Ciò costituisce un errore in quanto mancano unacorretta conoscenza della lingua e informazioni necessarie su quelle determinate culture. Ad es. gli Inuteschimesi hanno una moltitudine di termini per indicare la neve. Il pensiero primitivo è dunque legato allecapacità d‟esercitate nei contesti dell‟esperienza. 

Animali impuri, Animali simbolici 

In tutte le culture è possibile ritrovare animali chehanno un forte valore simbolico (per noi il pipistrelloè un succhiasangue che si appiccica ai capelli e i loriescrementi possono trasmettere la tigna) che non hanulla a che vedere con la realtà. Nella Bibbia e piùspecificatamente nel Levitico e nel Deuteronomio sidistinguono gli animali in animali abominevoliimpuri e animali commestibili come bue vacca

 pecora cervo etc. l‟antropologa Mary Douglas diceche tal distinzione dipende da una coerenzaclassificatoria: sono puri gli animali ruminanti e

artiodattili mentre sono impuri tutti quelli che nonrientrano in queste due categorie (tuttavia però lalepre anche se non lo è viene considerata ruminantein quanto mastica in continuazione). L‟antropologa

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Gli antropologi distinguono

- Processi cognitivi elementari: le capacità universalmente presenti in soggetti „normali‟ quindi privi di patologie odisturbi e si distinguono in processi di astrazione, capacità di

fissare su un aspetto una complessità di elementi,categorizzazione, la capacità di raggruppare elementi in classi ogruppi, induzione, la capacità di passare dallo specifico algenerale, deduzione, capacità di passare dal generale allo specifico.

- Processi cognitivi funzionali: ovvero il prodotto del contesto entro cui l‟individuo attua processi cognitivielementari.

Gli antropologi definiscono per stili cognitivi le modalità con cui individui appartenenti ad ambiticulturali diversi si rapportano al mondo sul piano cognitivo. Questo stile oscilla fra uno stile cognitivo

globale (tipico delle società euro- americane, ed è la capacità di arrivare al particolare partendo dal generale)e uno stile cognitivo articolato (tipico delle società tradizioni, ed è la capacità di partire dal particolare perarrivare al totale). Tale opposizioni di stile non è valida in quanto le società si rapportano con entrambi i tipidi stili cognitivo a seconda delle situazioni in cui ci si trova.

Con etnoscienziati definiamo quegli antropologi che studiano come le culture diverse organizzino leloro conoscenze dal mondo naturale. Quindi da questo punto di vista si parlerà di etnobotanica, etnozoologia,etc.

Si sa che il mondo fisico procede per modelli o prototipi che sono il punto di riferimento attorno alquale vengono costruite categorie o classi di oggetti; cercando di dare una definizione di pianta ad esempioun uomo scolarizzato ha una visione meno dettagliata rispetto ad un uomo non scolarizzato di ciò che è„pianta‟. 

Il carattere culturale delle organizzazioni è più evidente in relazione alle pratiche sociali. Ad es.prendiamo i Waiwai dell‟Amazzonia che possiedono molti tabù per i sessi: solo agli uomini è consentita lacaccia e il consumo di carne; tuttavia però alle donne è concesso il consumo del fegato di taluni animali. Ciònon si sa se risponde all‟esigenza di far mangiare delle proteine alle donne o perché questi attribuiscono ilfegato animale al mondo vegetale in quanto richiama l‟immagine di una foglia. 

La possibilità di organizzare e individuare la realtà ci è data dagli schemi, termine ripreso dalla Criticadella Ragion Pura di Kant: si tratta di regole concettuali attraverso le quali la nostra immaginazione forniscead ogni concetto la sua immagine. Ad esempio nel momento in cui pensiamo „cane‟ ci figureremol‟immagine di un cane che rimarrà però solo astratta e non concreta. Fillmore fa l‟esempio di „scrivere‟ initaliano e „kaku‟ in giapponese. Essi sono la stessa cosa dell‟altro nel momento in cui si pensa all‟azione manon ne implicano l‟atto, ma non coincidono riguardo al significato perché l‟italiano intende per   „scrivere‟tutto ciò che si possa leggere mentre il giapponese „kaku‟ qualsiasi cosa che si possa leggere e disegnare. 

Gli schemi pertanto organizzano la nostra esperienza che per esser rappresentata necessita degli modelliorganizzati in schemi.

2.5. La terminologia del colore. Universalismo percettivo e determinazione socio-culturale.

richiama poi l‟attenzione sul fatto che il pensierobiblico fa della coerenza concettuale la condizione dipurezza. 

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 Berli e Kay hanno studiato le terminologie dei colori di 26 lingue diverse concludendo che esistonoda un minimo di 2 ad un massimo di 11 termini per indicare i „colori base‟, quindi quei colori chenon necessitano ulteriori specificazioni. I due ne hanno tratto 3 conclusioni:

(1)  – Tutti gli esseri umani sono in grado di percepire 11 differenze del colore che o vengono indicate con 11

termini diversi o vengono ricondotte ad altre categorie cromatiche.

(2)  – La terminologia cromatica si sviluppa lungo una linea precisa: ci usa solo due termini ha chiaro scuro,chi tre bianco nero rosso, chi quattro bianco nero rosso verde giallo, chi cinque bianco nero rosso verdegiallo blu, chi di più aggiunge arancione porpora grigio rosa.

(3)  – Il numero di termini impiegato da una lingua è in relazione alla complessità culturale e tecnologica dellacultura in questione.

I due antropologi non presero in considerazione i fattori culturali in quanto non è corretto dire che tuttivediamo gli stessi colori dal momento che traducendo i colori in termini linguistici finiamo per creare un

mondo fatto di modelli schemi parole e simboli. Come individui appartenenti a culture differenti possonotrarre conclusioni differenti dalla medesima esperienza, ciò avviene anche con i colori i quali possonoassumere significati diversi a seconda del contesto: tale variazione di significato dipende sia da come i colorivengono percepiti sul piano fisico (cromatico) sia dalle connotazioni che a volte precedono la definizionecromatica (colori caldi o freddi, oppure secchi o umidi).

Tuttavia sebbene gli uomini si esprimano diversamente con le variazioni cromatiche, altrettanto siesprimono in maniera diversa per quanto riguarda la denominazione di queste variazioni: ad es. alcunepopolazioni della Nuova Guinea per indicare un determinato colore denominano una oggetto che ha queldeterminato colore.

I colori possono anche esser percepiti in maniera diversa a seconda dei significati culturali a questiattribuiti; inoltre la percezione che un individui ha del colore può dipendere anche da gusti personali.

3. Spazio e Tempo

Gli uomini percepiscono il tempo in riferimento alle trasformazioni delle cose e di sé; percepiscono invececome spazio la collocazione in un luogo fisico di sé e degli oggetti circostanti. Come disse Kant, si trattadi intuizioni pure a priori senza le quali non potremmo pensare: nonostante siano le dimensioni costitutive diqualunque modo di pensare, le loro rappresentazioni vengono percepite in maniera diversa dalle culture.Durkheim li definisce come „istituzioni sociali‟ ovvero lo stile di pensiero prevalente all‟interno di unasocietà a determinare le valenze simboliche affettive e percettive che il tempo e lo spazio assumono in quelcontesto culturale particolare.

Il tempo

Nilsson dice che il tempo nelle società primitive viene percepito come puntiforme, legato quindi adeventi naturali o sociali o stati fisiologici (due raccolti fa = due anni fa, due sonni fa = due giorni fa), come iTiv della Nigeria che calcolano il tempo in base all‟organizzazione dei mercati che comprendono un ciclo di5 giorni. Infatti l‟idea che l tempo sia qualcosa di misurabile non è universale. La nostra stessa concezione ditempo ad esempio è strettamente legata all‟idea di produttività nata con Marx (il tempo come denaro). Ciònon toglie che anche nella nostra società il tempo possa avere valenze diverse a seconda dello stato d‟animodel soggetto (infatti talvolta percepiamo delle dilatazioni e delle compressioni di tempo). In verità il senso diun tempo non quantizzato è presente in tutte le società che necessitano di rievocare periodicamente eventi

considerati fondali: Capodanno, Natale etc. (Mircea Eliade dice che fanno parte dei „miti dell‟eternoritorno‟). 

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Alcune società, o meglio le società rurali che sono state inglobate in sistemi statuali a base urbana,hanno poi un doppio regime di misurazione del tempo: i Baluch del Pakistan pensao l‟anno in ter ministagionali e il giorno in termini di „fasi solari‟. 

Il tempo non quantificabile è detto „qualitativo‟, conosciuto benissimo da una società come la nostra

fondata sui termini temporali quantizzati (quando andavo all‟asilo.. all‟epoca in cui i miei nonn i eranogiovani..).

Lo spazio

Non è sempre e ovunque quello geometrico in quanto assume valenze che gli fanno assumere caratteridiversi agli occhi dell‟uomo. Basti pensare alla Terrasanta cara ai cristiani rappresentata in affreschi dipintisculture per tutto il Medioevo fino alla cristallizzazione in immagini che non hanno nulla a che fare con iluoghi reali. (Maurice Halbwachs dimostrò che i crociati diedero vita ad un lavoro di riconoscimento di queiluoghi e per poter soddisfare le aspettative cristiane dovettero esser ricostruiti in altri luoghi che non eranogli stessi del Vangelo).

Lo spazio può anche esser concepito come un elemento centrale per la memoria di un gruppo: ad e. gliZafimaniry del Madagascar collocano a diverse altitudini le loro case permettendo di individuare una lineastoria e genealogica ufficializzata mediante la trasformazione della casa originaria in un luogo sacro.

Lo spazio è anche una dimensione che per esser vissuta deve esser addomesticata, bisogna quindientrare in un diretto rapporto con esso. Es. dell‟anziano salito in auto con De Martino che avverto uno statodi panico nel momento non in cui non scorge più all‟orizzonte il campanile del suo paese. Si ha dunque lanecessità di percepire un luogo dello spazio come un punto di riferimento.

A partire dalle considerazioni di Nillson, l‟antropologo britannico Hallpike nel 1979 sviluppò una teoriadi distinzione fra tempo operatorio e preoperatoria del processo temporale riconducendovi la distinzionestabilita da Piger tra

(1) Pensiero operatorio, che mette in relazione spazio e tempo considerandoli due variabili dipendentiproducendo una concezione quantitativa lineare misurabile sia del tempo sia dello spazio.

(2) Pensiero preoperatorio, tipico del pensiero infantile, non stabilisce coordinazioni tra fattori della duratasimultaneità e successione (coordinazione della velocità relativa).

Hallpike estese la presenza del pensiero preoperatorio a tutte le società che non erano in possesso di unaconcezione linearte e misurabile del tempo e dello spazio, convenendo alle medesime conclusione di Luria.

Tuttavia alcuni studiosi hanno sollevato dei dubbi: Forth rilevò che i Rindi dell‟isola Sumbadell‟Indonesia hanno indicatori temporali qualitativi simili alle civiltà che possiedono una concezione ditempo lineare e quantificabile riuscendo a coordinare perfettamente la velocità relativa. Praticano ad esempiouna corsa di cavalli alle quali partecipano animali raggruppati in quattro gruppi distinti in base alladimensioni dei cavalli: si deve dunque percorrere in senso antiorario una pista circolare che ha l‟arrivo nelpunto X, consapevoli del fatto che i cavalli più grandi sono in grado di andare più veloci di quelli di tagliainferiore.

Sistemi di Pensiero 

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1. Sistemi chiusi e Sistemi aperti 

Nonostante il pensiero umano non sia affatto coerente tende sempre a cercare una coerenza, caratteristicatipica dei sistemi di pensiero. Questi comprendono ambiti di riflessione diversi come spazio e tempo,religione, etc.

A metà degli anni l‟antropologo Horton mise a confronto i sistemi di pensiero africani e pensiero scientificoeuropeo sostenendo che questi due modi di pensare assolutamente diversi avessero qualcosa in comune (unafunzione esplicativa in percepibile da parte di un individuo occidentale pensante scientificamente): entrambii sistemi sono alla ricerca di un sistema del mondo. I sistemi africani affrontano tal problema in termini diconcetti religiosi e di divinità mentre quello scientifico in termini di forze fisiche. Delle spiegazioni datedagli africani gli occidentali ne rimangono sconcertati poiché spiegano la realtà mediante opposizioni etensioni di uomini spiriti antenati ed eroi mitici; ciò non accade con l‟antropologo che conosce le religioniafricane. L‟errore che commettono gli occidentali è quello di non considerare tale visione del mondo comeun tentativo di prendere le distanze dal senso comune, ma li considerano dei ragionamenti sbagliati perchélontani dal punto di vista logico  – causale. Sono dunque cose che ci sembrano lontane dal nostro modo diragionare e che non rientrano nel senso comune, ma altrettanto di questo non fanno parte elementi della

scienza moderna che possono apparire assurde (come ad esempio l‟elettromagnetismo o il teorema diBernoulli).

Quando gli individui di certe popolazioni cercano le cause di una determinata malattia e neattribuiscono la causa a una determinata divinità, cercano anche di capire il motivo che abbia spinto taldivinità a comportarsi in un certo modo. Noi non riusciamo a cogliere come per certi popoli sia possibilistabilire una relazione causale tra tensioni e disagi nelle relazioni interpersonali e sociali da un lato e certemalattie o sventure dall‟altro. Il pensiero elabora sempre delle analogie esplicative: 

- Il cervello „occidentale‟ si rivolge alla „cose‟ per costruire le proprie analogie esplicative. 

- I sistemi come quello dell‟africa sud sahariana fanno riferimento al mondo sociale allontanandosi dunquedai modelli empirici, ovvero le cose, i nostri parametri di riferimento.

- Per altre società le analogie esplicative si traducono in termini di idiomi personali trasferiti al sistemadelle reazioni causali (pertanto alcune spiegazioni di fenomeni possono esser attribuite all‟azione di un dio):le spiegazioni vengono date in termini di relazioni sociali e interpersonali. Ad esempio l‟AIDS viene siconosciuta come una malattia che si diffonde empiricamente quindi soprattutto attraverso rapporti sessuali,ma viene anche letta come un male che trae origine dal mal funzionamento dell‟ordine sociale diventandol‟elemento esplicativo dominante. 

Secondo Horton ciò avviene poiché una volta che una società adotta un modo di spiegazione, tende ad

allontanare gli altri.

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Secondo Lévy-Bruhl si parla di mentalità primitiva unamentalità fondata su principi diversi dalla logica tradizionalearistotelica della quale avrebbero difettato il principio diidentità, non contraddizione e di causalità. Tali teorie venneromodificate dallo stesso poco prima di morire dicendo che ciòera la base anche di alcuni sistemi di pensiero „civilizzati‟ equindi non esclusivi delle mentalità primitive. Molti autoridopo Lévy-Bruhl hanno cercato di render conto delledifferenza che caratterizzano il modo di pensare delle diverseciviltà. Horton definisce sistemi chiusi le mentalitàtradizionali che non prendono in considerazione possibilitàalternative (gli indovini o stregoni africani non sonoconsapevoli che esistono alternative esplicative) e sistemi

aperti quelle mentalità che tengono in considerazionepossibilità esplicative alternative (come lo scienziato).

Tale distinzione si è però rivelata eccessivamente rigida

in quanto è da intendere in senso relativo e non assoluto:l‟apertura di cui parla Horton è tipica della scienza e non del modo di ragionare delle persone, infatti solo icomputer ragionano bonariamente sull‟opposizione vero/falso mentre il cervello umano ragiona su „zonegrigie‟ quindi sfumature che meglio aderiscono al carattere altrettanto sfumato della realtà. 

Tuttavia però è necessario dire che la piena consapevolezza delle alternative sia qualcosa che emergecon la scrittura che consente facilmente di confrontare affermazioni concezioni e teorie diverse edeeventualmente elaborarne di nuove.

2. Pensiero metaforico e Pensiero magico

Molti dei popoli studiati dagli antropologi presentano cosmologie e sistemi di pensiero diversi dainostri, ma è giusto ritenere tali cosmologie semplicemente dedotte dal pensiero? Ad esempio, se per noi ilsole che va giù o su è una metafora, perché dovremmo pensare che gli altri popoli sarebbero incapaci difarlo? Ciò se lo domanda l‟antropologo Keesing in relazione al fatto che quanto gli altri popoli dicono oaffermano viene da noi considerato una concezione ultima e definitiva della realtà ritenuta vera.

L‟affermazione „noi Bororo siamo arara rossi‟ (pappagalli) condusse Lévy –  Brohl a dire che lamentalità bororo era primitiva e gli stessi era incapaci di distinguere tra immagine e modello, tra uomo eanimale e tra animale e antenato mitico: definendosi arara rossi si ritenevano dunque discendenti di unpappagallo mitico. Tuttavia però i Bororo quotidianamente non si comportavano come pappagalli netrattavano il prossimo come uno di questi. Il divario tra l‟affermazione Bororo e il ragionamento ordinario siattenua se pensiamo che anche noi quotidianamente parliamo e ragioniamo con metafore. Analizzandoquindi i contesti con cui gli arara e gli uomini vengono posti in relazione agli aroe (spiriti: i Bororoinvitavano lo spirito a discendere su di loro, da ciò deriva il travestimento in piume) gli antropologi songiunti alla conclusione che dimensione pratica e simbolica di quella società finiscono per produrreun‟assimilazione metaforica degli uomini maschi agli arara rossi. Bisogna dunque prendere inconsiderazione tre fattori:

- L‟iridescenza delle piume degli arara è una manifestazione dello spirito 

- La società bororo si identifica con un modello di discendenza matrilineare e di residenza uxorilocale: ivillaggi sono divisi in due metà (un uomo deve abitare nella metà in cui vive la famiglia della moglie e provvedere a mantenere madre sorelle e figli di queste che vivono nell‟altra metà) 

- I pappagalli sono considerati gli unici animali da compagnia, ma sono accuditi e posseduti solo dalledonne che li assimilano a dei bambini.

La stregoneria degli Azande 

Un esempio di sistema chiuso studiato da Evans-Pritchard. Per gli Azande qualsiasi tipo didisgrazia viene attribuita a atti di magia ostregoneria, chiunque soggetto a magia o

stregoneria consulta un individuo per capirne lecause, esistono pratiche per proteggerel‟individuo. Il tutto costituisce un complessosistema di credenze che prendon senso solo secollocate all‟interno di un sistema a strutturalogica, un intreccio di nozioni e concetti inognuno di questi dipende dagli altri. Di fronte alfallimento dell‟individuo o delle pratichemagiche o della stregoneria gli Azande fannoricorso a spiegazioni secondarie che però nonpermettono la fuoriuscita dal sistema: il pensieroAzande è dunque prigioniero di sé stesso. 

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I pappagalli occupano dunque la posizione di animale simbolo dello spirito in quanto iridescenti, dellasimbiosi uomo animali perché custoditi amorevolmente dalle donne e della strana condizione in cui sitrovano gli uomini importanti su piano politico e religioso ma dipendenti dalle loro mogli. „noi siamo arararossi‟ diventa il modo in cui i Bororo esprimono la condizione maschile. 

Per magia si intende una serie di atti gesti formule mediante cui si vuole influire sul corso degli eventi edella natura delle cose; l‟atto magico è compiuto da qualcuno per influenzare qualcosa o qualcunopositivamente o negativamente (magia bianca effetti benefici, magia nera colpisce qualcosa che è stato incontatto o appartenuto con la persona che si vuol colpire). Gli antropologi la definirono come aberrazione

intellettuale tipica dell‟uomo primitivo comportando una mancanza di coerenza logica, e scienza imperfetta,quindi un tentativo di manipolare la natura di cui si intuivano regolarità e costanza.

Frazer distingue due tipi di magia:

- Imitativa: si può influenzare la natura imitandola (spargendo acqua sul terreno si imita la pioggiainfluenzandone l‟arrivo) 

- Contagiosa: due cose poste a contatto conservano anche se allontanate il potere di agire una sull‟altra 

I primi antropologi tra cui Frazer credevano che vi fosse un legame stretto tra magia religione e scienza:gli uomini ricorrevano alla magia per manipolare il corso degli eventi, quando risultò insufficiente sirivolsero agli spiriti superiori per ingraziarseli e ottenere ciò che volevano, infine ricorsero alla scienzabasandosi su osservazione e esperimento, fondati su logica razionale.

Secondo Malinowsky invece i tre sono distinti: la religione non risponde all‟origine dei fenomeni ma

fornisce certezze di fronte alle grandi incertezze della vita, la magia (una cosa a sé stante) ha finalità praticheper rispondere a situazioni generatrici di ansia consistendo in una serie di atti sostitutivi volti a ritualizzarel‟ottimismo nell‟uomo: di conseguenza non è nata né prima né dopo religione e scienza e volge alla ricercadi rassicurazioni di fronte all‟incertezza e all‟imprevedibilità degli eventi. 

Secondo De Martino la magia può esser compresa solo in relazione all‟angoscia, alla perdita della presenza condizione che l‟essere umano non cessa di costruire per sottrarsi all‟idea angosciosa di nonesserci: il pensiero magico è il primo tentativo di affermazione del pensiero umano nel mondo che non siottiene mai definitivamente in quanto la presenza può esser messa sempre in discussione da crisi individuali

o collettivi, rischio che l‟uomo tenta sempre di allontanare con atteggiamenti o rituali (ad esempio il lamentofunebre è l‟affronto della crisi della presenza che minaccia la comunità di fronte alla morte). Questoatteggiamento di continuo tentativo di affermare la propria identità è tipica del Mezzogiorno non avendoancora preso coscienza della propria identità storica e di classe.

In molte circostanze è difficile distinguere atti magici da atti di altro tipo come gesti o formule chehanno lo scopo esplicito di influenzare le divinità o spiriti inducendoli a comportarsi nelle modalitàdall‟uomo desiderate. Ad esempio tra i Beduini del Medio Oriente i bambini tengono legati al collo deipezzetti di stozzo con scritti sopra versetti del Corano in funzione di protezione da malattie o malocchi.

3. Il Pensiero Mitico

Per molti anni gli antropologi hanno usato per spiegare l‟origine dei miti la loro coerenza e connessione coni riti i quali fanno spesso riferimento ai miti. Ma mentre un rito è sempre identico il mito ad esso collegatopuò variare: si dovrebbe dedurre che il rito viene prima del mito, visto come una giustificazione a posteriori.

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Ciò ovviamente ha causato vari dibattici; ci sono molti miti non collegati a riti e viceversa e pare che esistanopopoli ricchi di riti ma privi di miti come i Kwaio delle isole Salomone.

Alcuni studiosi hanno ritenuto che il mito sia una ricostruzione o giustificazione fantastica e primitiva difatti o eventi realmente accaduti. In realtà esistono forme narrative storiche riconosciute come indipendenti e

autonome dal racconto mitico.

Quali sono le caratteristiche del mito?

-  Ignora spazio e tempo, in quanto i personaggi agisconosenza tener conto della successione temporale e vivono inluoghi immaginari o fantastici o addirittura impossibili dafrequentare.

- Annulla la differenza tra regni specie generi tra mondosensibile e sovrasensibile: viene disegnata una unità di

esseri collocata in una situazione pacifica originaria, lacui fine ha portato al mondo attuale.

- Produce una antropomorfizzazione della natura:attribuisce al creato caratteristiche umane. Ma è veroanche il contrario: talvolta sono gli uomini ad averecaratteristiche pertinenti il mondo naturale.

La creazione del mondo viene quindi sempre creata attraverso separazioni e allontanamenti tra i protagonisti degli elementi costituivi dell‟unità originaria: ad esempio nella Bibbia una serie di atti separanoprogressivamente la materia dando origine ai vari elementi del creato. La rottura dell‟equilibrio è causata da

un personaggio particolare ad esempio un eroe o un animale o un semidio, personaggio definito dallaletteratura antropologica come trickster , imbroglione/impiccione. Il più celebre è quello dei miti dell‟originedegli indiani Winnebago del Nord America studiati da Radin: incorpora caratteri opposti e contraddittori,sottoforma animale e umana, agisce come uno spensierato irresponsabile. Con il suo comportamentopresociale e premorale e quindi preculturale, plasma la realtà così come gli uomini la conoscono: gli uominisono però consci che si tratta dio una realtà piena di contraddizioni. Il trickster è ambiguo nelcomportamento come nella sua natura: dona conoscenza e tecniche ma anche malattia e morte.

Il mito ha funzione speculativa pedagogica sociologica e classificatoria. Malinowsky sosteneva inoltreche il mito fosse qualcosa che fissasse un codice di comportamento e di pensiero.

 Non c‟è dubbio che inoltre possa fungere da modello d‟ordine atto a legittimare lo stato delle cosepresenti.

L‟antropologo inglese Radcliff Brown studiò e comparò miti di nativi nord americani e miti aborigenigiungendo alla conclusione che il mondo animale viene rappresentato nei miti in termini di relazioni socialisimili a quelle umane e che le coppie d‟opposizione costituite dagli animali simbolo esprimonol‟applicazione del  principio strutturale che consiste nell‟applicazione di idee di contrario (definisce contrariedue specie sulla base di talune caratteristiche) e opponente (mette in relazione la loro relazionecomplementare che appare tale se e solo se messa in relazione all‟organizzazione sociale, quindi le duespecie sono tra loro in un rapporto di opposizione complementare, opposizioni rivali ma strutturalmente unitein una relazione funzionale le due metà di un gruppo per lo scambio matrimoniale). I miti australiani enordamericani avrebbero quindi la funzione di rappresentare la realtà sociale nei suoi aspetti complementari

funzionali e contraddittori.

Mito e inversione rituale: i Koyemshi degli Zuni 

Si tratta di personaggi definiti „buffoni rituali‟presenti in alcune società. Si comportano esattamenteall‟opposto rispetto alla norma, ad esempiocamminando all‟indietro, e con il lorocomportamento sembrano voler evocare ilcomportamento del trickster che ha plasmato ilmondo violando le disposizioni degli dei.L‟inversione rituale degli koyemshi ha lo scopo dievocare un episodio della mitologia Zuni connesso

con la concezione stessa dell‟ordine sociale:comportandosi al contrario della norma, rivestonouna funzione cognitiva e pedagogica ovvero mostrareciò che è culturalmente impossibile e tener vivo ilsenso della loro impossibilità di messa in scena. 

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Levi-Straus da una interpretazione assai diversa del mito che viene trattato come una attività speculativasenza badare ad eventuali collegamenti che il mito può avere con la vita sociale e culturale di unapopolazione. Secondo l‟antropologo il mito è un‟entità scomponibile in parti minime (mitemi) che rivestonosenso solo se poste accanto ad altre dello stesso tipo; un mitema prende sembianze diverse con culturediverse ma ricorre a racconti mitici differenti assumendo sempre un significato diverso a secondo della suavicinanza con altri mitemi. Secondo lo stesso il mito sarebbe chiamato a conciliare quegli aspetticontraddittori dell‟esistenza umana e del mondo naturale che non possono esser mediati da alcuna forza didialettica razionale, assumendosi il compito di risolvere le varie contraddizioni introducendo nella narrazioneun „mediatore simbolico‟ di una contraddizione irrisolvibile per via razionale: queste mediazioni non sonomai dirette ma si presentano sottoforma di azioni personaggi contesti che apparentemente non hanno nulla ache vedere con il problema intellettuale che il mito cerca di risolvere. Ad esempio prendiamo il binomio vitamorte: inserendo in un mito le figure di una preda e di un predatore come gazzella e leone, il primo nonuccide a differenza del secondo, queste possono esser mediate da una terza figura, la iena, che non uccide masi nutre di carogne, risolvendo dunque la mediazione tra vita e morte.

Sempre secondo Levi-Straus il pensiero mitico si presenta come un pensiero libero che ha i propri limitisolo in sé stesso: il mito sarebbe dunque il frutto di un pensiero che pensa se stesso.

Il sé e l‟altro 1. Identità, corpi, „persone. 

1.1. I confini del sé e la rappresentazione dell‟altro: IDENTITA‟ \ ALTERITA‟.L‟interesse umano si è rivolto da sempre verso la stessa umanità, ossia al sé e all‟altro: il problema disapere „chi siamo noi‟ e chi invece „siano loro‟, poter leggere al di là della morfologia sessuale, qualisiano i caratteri femminili e\ o maschili ecc.. La definizione del sé e dell‟altro è articolata in relazioneal sesso, al genere e alla sfera emotiva da un lato, e all‟appartenenza a gruppi come le caste, le classie le etnie dall‟altro.L‟appartenenza di un individuo a un gruppo è resa possibile attraverso la condivisione di modelliculturali. Far parte di un sé collettivo (tribù, nazione, confessione religiosa, casta) si realizzaattraverso comportamenti che tracciano confini nei confronti degli „altri‟. Appartenenza da un latoe distinzione dall‟altro sembrano due aspetti opposti ma sono complementari del vivere umano.L‟idea di appartenere a un sé collettivo e quella di essere ciò che siamo rinviano a ciò che vienechiamata Identità. Oggi le città del mondo sono caratterizzate dalla presenza smepre maggiore diminoranze di ogni tipo (etniche, linguistiche, sessuali ecc); gli „incontri con la differenza‟ sono untratto costitutivo della nostra vita e contribuiscono all‟acquisizione del senso del confine tra sé el‟altro.La nostra cultura ha un‟idea rigida della propria identità, ma non tutti i popoli sono così. In Africa,ad esempio, esistono gruppi ben coscienti di come la loro identità sia il risultato di incontri altrui.

1.2. Corpi. Aspetto particolare della dimensione identitaria è il rapporto degli individui con il corpo,

proprio e altrui. Il corpo è mediatore tra noi e il mondo, mezzo attraverso il quale entriamo inrelazione con l‟ambiente circostante: forma di conoscenza, definita incorporata. Habitus (daBourdieu) = complesso degli atteggiamenti psico-fisici mediante cui gli esseri umani „stanno almondo‟; l‟habitus varia tanto sulla base delle caratteristiche psico-fisiche dell‟individuo, quanto aseconda dei modelli comportamentali in quanto facente parte di una determinata cultura.Sedersi, portare il cibo alla bbocca, assumere determinate posture, sono cose che non si attuano allostesso modo in tutte le culture: il corpo è culturalmente disciplinato (Michel Foucault); cioè letecniche che sono preposte all‟attuazione di tale disciplina dipendono dai modelli culturali in vigore.I corpi non sono disciplinati soltanto sulla base di quelli che la società ritiene siano i comportamenticorretti; la società cerca di imprimere nel corpo dei suoi componenti i „segni‟ della propria presenza.Tatuaggi, scarificazioni, perforazioni, pitture, deformazioni craniche, avulsioni, circoncisioni,infibulazioni, escissioni sono tutte pratiche finalizzate alla „fabbricazione dell‟umano‟ da parte della

società.Corpo come veicolo per manifestare la propria identità: pitture facciali degli indù amazzonici, il velodelle donne musulmane, il bikini delle occidentali, l‟orecchino portato da alcuni uomini europei ecc. 

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 1.3. corpi sani e corpi malati. Il corpo è lo strumento di „resistenza‟ e „risposta‟, tanto consapevolequanto inconscia, nei confronti delle situazioni esterne. Gli antropologi si sono concentrati su comegli individui „incorporano‟ il disagio sociale dando luogo a patologie di vario tipo, sia organiche che psichiche. Anche l‟aspetto della salute e della malattia è preso in considerazione dall‟antropologia in prospettiva „relativista‟: prendere atto che tutte le culture hanno una concezione complessa deldisagio fisico e psichico e che tali concezioni rispondono a un tentativo più o meno coerente dispiegare e curare questi disturbi. Uno studio antropologico considera che questi stati della mente siintrecciano con vari piani della vita sociale e rinviano costantemente alle concezioni locali del corpoe della persona. Ad esempio, il fenomeno del tarantismo nel Salento  – manifestazione del disagiopsicologico di alcune donne salentine curato mediante sedute pubbliche di musicoterapia.

1.4. „persone‟ e „soggetti‟. L‟individuo non è pensato ovunque come un tutto integrato e armonico dal punto di vista motivazionale, emotivo e cognitivo sul modello della „persona‟ della tradizioneoccidentale. Bisogna distinguere il concetto di persona da quello di soggetto: il secondo rinvia alsingolo in quanto unico esemplare diverso da tutti gli altri, mentre il primo rinvia al modo in cuil‟individuo entra in relazione con il mondo sociale di cui fa parte. Il soggetto è pensato ovunque

come un‟entità largamente „coerente‟, anche se tale coerenza non può essere concepita sul modellodella nostra.

2.Sesso, genere, emozioni2.1. Il femminile e il maschile. Distinzione esistita da sempre nella storia dell‟uomo; la differenzadei tratti sessuali e la diversa funzione riproduttiva del corpo femminile e maschile deve essere statasin dalle origini fatta oggetto di speciali attenzioni. L‟universalità dell‟opposizionefemminile\maschile non implica che in tutte le culture si abbiano rappresentazioni analoghe dellerelazioni tra sessi; tale distinzione è il risultato di una serie di manipolazioni simmetriche e concreteche riguardano gli individui, trattandosi di una costruzione sociale. [costruzione sociale delladistinzione femminile\maschile] –  es. Inuit: presso questa popolazione l‟identità sessuale di unindividuo non è legata al sesso anatomico, bensì all‟identità sessuale dell‟anima reincarnata,

assegnata al momento della nascita tramite segni.

2.2. sesso e genere. Il caso degli Inuit è un fatto socialmente costruito ed è l‟esempio di come inalcune culture l‟identità sessuale di un individuo può non essere legata al sesso anatomico.L‟antropologia usa il termine „sesso‟ per distinguere l‟identità sessuale anatomica dall‟identitàsessuale socialmente costruita (genere). I tratti della mascolinità e della femminilità, ossia ledistinzioni di genere, sembrano essere costruzioni culturali.

2.3. sesso, genere e relazioni sociali. Risulta impossibile, ad esempio, considerare la procreazioneumana come un „dato naturale‟, per una serie di elementi propri di ogni cultura che rendono taleconcezione una manipolazione dell‟uomo e della società (allattamento artificiale, banche dellosperma, uteri in affitto, fecondazione in vitro ecc). il controllo delle capacità riproduttive delle donne

costituisce un elemento cruciale di tutti i sistemi sociali e della nascita di certe forme di potere;spesso i rapporti tra i sessi sono fatti oggetto di vere e proprie norme giuridiche codificate.Molte culture hanno costruito veri e propri „spazi di genere‟ (i club esclusivamente maschili inInghilterra, il gineceo nella Grecia antica, le „case degli uomini‟ in Nuova Guinea, l‟haremfemminile nel mondo musulmano ecc).Molte società insistono su aspetti della personalità femminile come la reputazione, la verginità,l‟onore ecc… Tutti tratti connessi con l‟ostentazione del corpo e il portamento in pubblico (adesempio, nelle società amazzoniche la donna può mostrarsi nuda; in India non è sconveniente per ladonna mostrare l‟ombelico, perché simbolo generatore della vita; altri popoli ritengono che il corpofemminile debba rimanere nascosto). Sono costruzioni di genere più che differenze di naturasessuale.

2.4. emozioni. Studio che nasce come interesse per la costruzione del sé in relazione al mondoesterno, alla alterità umana, sociale e naturale. Variabilità dell‟espressione emotiva: gli stati d‟animonon sono universali, non sono espressi ovunque nella stessa maniera. Essi sono piuttosto concepiti in

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 base ai modelli culturali introiettati durante l‟infanzia e riplasmati nel corso della vita. Ad esempio, icinesi mascherano le proprie emozioni, come i Jaranesi di fronte alla morte dei propri cari; ma gliYanomani amazzonici, in occasione dell‟uccisione di un parente, sottolineano apertamente il propriostato d‟animo. 

3. Casta, Classe, Etnia.3.1.Caste. Termine utilizzato oggi in riferimento a gruppi sociali ritenuti, per una qualche ragione,superiori o inferiori ad altri e che, per questa caratteristica, tendono a condurre una vita in qualchemodo separata da questi ultimi. Casta = termine dal portoghese = casata, stirpe.

Caste indiane. Nel XV secolo, i portoghesi giunsero in India e applicarono questo concetto perdistinguere le popolazioni sotto l‟autorità dei principi: sistema dei Varna (le quattro categorie socialipiù importanti: sacerdoti, guerrieri, commercianti e contadini, oltre ai „fuori casta‟ o intoccabili)suddiviso in molteplici jat e sotto – jat, ognuno corrispondente a uno specifico gruppo occupazionale(vasai, barbieri, fabbri …) 

I rapporti tra gli individui sono improntati a rigide regole di frequentazione o di evitazione fondate

sulla distinzione castale –  nelle caste indiane, le unioni matrimoniali devono avvenire tra individuiappartenenti alla stessa casta. Il sistema castale indiano è disposto gerarchicamente; tale gerarchia sifonda su un criterio di maggiore o minore purezza rituale. Alcuni autori hanno visto una formaesasperata di stratificazione sociale in India fondata sulla disparità di accesso alle risorse. Il sistemagerarchico non informa solo l‟ambito delle relazioni economiche e di potere, bensì è una gerarchia di purezza rituale che informa l‟intero pensiero indù. 

[confronto tra sistema delle caste indù e totemismo australiano, ossia tendenza ad associare agliindividui e ai gruppi l‟immagine di un animale o di una pianta (totem): i gruppi totemici si autopercepiscono come gruppi culturali, essi si scambiano donne, atti magici e atti cerimoniali, mentre lecaste indù, al contrario, si auto percepiscono come gruppi naturali e sono unità chiuse sul pianomatrimoniale e separate le une dalle altre sulla base di precisi divieti]

3.2. Classi. Nozione di classe derivante dalla tradizione filosofica ed economica e politica europea,in particolare dallo scoppio della rivoluzione industriale. Karl Marx (filosofo tedesco) riteneva che lastoria delle società fosse il risultato di ciò che egli chiamò „la lotta di classe‟, ossia lo scontro tragruppi sociali con interessi economici e politici differenti. [la borghesia prevalse sull‟aristocrazia,dando luogo alla classe del proletariato, come riscatto ai propri diritti e doveri]. Non si trattava solodi disparità di carattere economico, bensì anche della rappresentazione che ogni gruppo aveva di séstesso in relazione alle altre classi (dato anche culturale). ogni gruppo, in base alle proprie esperienzemondane, si differenzia dall‟altro, creando distinzione „di fatto‟, e non „di diritto‟ come nel caso dellecaste indù.Le classi sociali si hanno in sistemi economici e politici in cui è formalmente assicurata a tutti lapossibilità di ascendere socialmente, e in cui i diritti e i doveri sono equamente distribuiti. La

divisione in classi ha naturalmente a che vedere con la divisione del lavoro ma non coincide conquest‟ultima, come nel caso dei gruppi occupazionali. All‟interno di ogni classe vi è „la coscienza di classe‟, cioè una forma di auto percezione che nasce dalla contrapposizione ad altri gruppi sociali.

3.3.Etnie ed etnicità. Per molti anni gli antropologi hanno parlato di etnia indicando un gruppoumano identificabile mediante la condivisione di una medesima cultura, di una medesima lingua, diuno stesso territorio ecc. Definizione rivista successivamente perché l‟equazione cultura = lingua =territorio sembra dichiarare che vi sia un‟origine comune ad ogni etnia, e che questa assegni unfondamento naturale e un carattere assoluto, statico, eterno del gruppo. Il concetto di etnia noncorrisponde a quello di stirpe, „razza‟ o comunità di sangue. - l‟uso politico dell‟etnicità. Nella contrapposizione etnica agisce la volontà di enfatizzare uno o più elementi differenzialidimenticando quelli comuni. Lo scopo dello scontro etnico non è la sottomissione dello sconfitto(guerra classica) né l‟instaurazione di un regime politico a una parte della popolazione (guerracivile); è l‟eliminazione dell‟altro, lo ster minio, il suo annullamento fisico.

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Forme della parentela1. La parentela come relazione e come rappresentazione. Relazioni di parentela = sono relazionibiologicamente, socialmente e culturalmente stabilite, le quali incidono con forza straordinaria sulla vitadegli uomini.

1.1.Idee di parentela. La parentela può essere definita come relazione che lega individui o sulla basedella consanguineità o per via matrimoniale; queste relazioni sono alla base dei diritti e doveri„primari‟ che legano tra loro le persone.Le relazioni di parentela sono inoltre rappresentazioni riguardanti la concezione che ogni società hadei rapporti tra esseri umani. [alcune società ritengono che un bambino non prenda forma nel ventrematerno ma nel cervello del padre, il quale lo trasmetterà con lo sperma alla madre; altre consideranoun essere umano frutto di elementi incorruttibili (ossa) derivanti dal padre e elementi destinati acorrompersi (sangue, tessuti) dalla madre ].Lo studio della parentela dunque non ci indica solo i parenti di un individuo, ma è molto più: esso ciillumina su molti aspetti della vita sociale e culturale, in quanto si collega alle concezioni della vita e

della morte, della morale, della religione… 1.2. diagrammi di parentela – disegni costituiti da simboli convenzionali, linee, lettere, numeri perdescrivere le relazioni di parentela tra individui o gruppi

1.3. consanguinei o alleati (o affini). I parenti consanguinei sono legati biologicamente a Ego; quelli alleati sono i parenti acquisitiattraverso il matrimonio dei consanguinei di Ego. Alcune relazioni spesso non risultano neidiagrammi perché le società tendono a rimuovere le relazioni considerate illegittime sul pianogiuridico o moralmente riprovevoli.- sigle, utilizzate per designare gli individui in rapporto a Ego; l‟uso delle sigle permette didescrivere i parenti di Ego indipendentemente dal modo in cui, nella società di questo ultimo, si è

soliti chiamare o rivolgersi ai parenti.

1.4. Discendenza e consanguineità. I paleoantropologi hanno dimostrato che l‟evoluzionedell‟uomo e i processi di adattamento all‟ambiente sono da ricondursi alla vita sociale degli ominidida cui derivano. Gli esseri umani vivono in gruppi e sembra che, a partire dal Paleolitico, il sistemaper dar vita a gruppi sia stato quello della parentela. Questi gruppi distinti da altri, che prendonoorigine dalle relazioni di parenti definiti dall‟antropologia gruppi di discendenza = gruppi diindividui i quali, per il fatto di discendere da un antenato comune, sono in grado di far coincidere leproprie risorse e diritti e trasmetterli ai loro discendenti, ossia a tutti quegli individui che nascendosaranno inclusi nel gruppo in base al criterio della comune discendenza.- tipi di discendenza. Tre modi diversi per determinare la discendenza e quindi l‟appartenenzasociale dei nuovi nati:

- patrilineare, stabilita attraverso legami tra individui di sesso maschile (discendenzaunilineare);

- matrilineare, fondata sui legami tra individui di sesso femminile (discendenza unilineare);- cognatica, fondata sui legami stabiliti attraverso una linea di discendenza che comprendeindividui sia di sesso maschile sia femminile – non segue alcuna linea di discendenzaprestabilita.

Nelle società di derivazione europea e in quelle presenti sul continente europeo non vi sono gruppi didiscendenza; pertanto si parla di società bilaterali.

-  gruppi corporato = gruppo fondato sul principio della discendenza, il quale condivide, su basicollettive, diritti, privilegi e forme di cooperazione economica, politica e rituale. Non tutti i gruppi didiscendenza però sono gruppi corporato: un insieme di individui può condividere la stessaascendenza ma non per questo condividere determinate risorse o diritti.

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-  Lignaggi e clan. Lignaggio è costituito da coloro che possono tracciare una comune discendenza daun determinato individuo (si parla sempre di patri lignaggio e matrilignaggio). Clan sono quei gruppiche hanno solo un sentimento di appartenenza a una comune discendenza (spesso l‟antenato è unafigura mitica, concepita sottoforma di animale o vegetale).

-  Parentado = si tratta di un „gruppo egocentrato‟ di un individuo, poiché è costituito da tutti gliindividui patri e matrilineari in relazione di consanguineità con Ego. La nozione di Parentadodesigna quell‟insieme di persone che sono rilevanti dal punto di vista della vita concreta del singoloindividuo. Il parentado ha un peso sociale notevole, anche in quelle società a discendenza unilineare;ciò è visibile in occasioni come la nascita, il matrimonio, le cerimonie, i riti che marcano icambiamenti di condizione sociale.

Scheda –  Il Khandan dei Baluch. Popolazione di agricoltori del Pakistan, i Baluch hanno comegruppo di riferimento il Khandan, un nucleo parentale ego centrato, assimilabile al parentado,formato da tutti i parenti consanguinei viventi di un individuo, sia da parte di padre che da parte dimadre.

1.5. Residenza e Vicinato. Nel caso di gruppi di discendenza che risiedono nello stesso territorio, la

prossimità diventa un fattore di ulteriore coesione e il loro carattere corporato ne esce rafforzato.Quando si disperdono, i gruppi possono perdere il senso della comune appartenenza e il caratterecorporato può ridursi.Tutte le società hanno modelli di residenza postmatrimoniale:

-  patrilocale, la coppia va a vivere dai parenti del marito;-  matrilocale, la coppia va a vivere dai parenti della moglie;-  ambilocale, la coppia sceglie se vivere dai parenti del marito o della moglie;-  neolocale, la coppia si stabilisce in un luogo diverso da quello dei parenti dei coniugi;-  natolocale, i due coniugi continuano a vivere ciascuno con i propri parenti;-  avuncolocale, la coppia va a stabilirsi vicino alla residenza del fratello della madre dello sposo (MB)

 \ questa forma di residenza è presente solo nelle società matrilineari.

La dimensione del vicinato è questione importante in quanto è un insieme di famiglie nucleari oestese che si trovano nella necessità di cooperare per gestire spazi e risorse. Il vicinato è statodefinito „forma sociale effettivamente esistente‟.

1.6. Matrimonio e alleanza. La dimensione dell‟alleanza o affinità coincide coi legami contratti daun individuo con altri attraverso l‟istituzione da noi conosciuta come matrimonio. 

- matrimonio monogamico, tra due individui;- matrimonio poliginico, tra un uomo e più donne, diffuso in molte aree del mondo musulmano;- matrimonio poliandrico, tra una donna e più uomini, diffuso in alcune aree del Nepal, dell‟India edel Tibet.

Quindi matrimonio = forma socialmente riconosciuta di unione attraverso la quale un individuo entrain relazione di alleanza con altri individui. Ma non c‟è una definizione di matrimonio universalmentericonosciuta, per la presenza di realtà di unione particolari. Ad esempio, l‟istituzione dell‟epicleratonell‟Antica Grecia, dove se un uomo sposato aveva figlie femmine e non maschi, questo poteva far unire la propria figlia ad un uomo e diventare a tutti gli effetti il padre del figlio della figlia. Inoltread esempio il matrimonio col fantasma diffuso presso i Nuer del Sudan: se un uomo muore senza prole, il fratello del defunto „contrae matrimonio‟ legalmente con una donna a nome dello scomparsosicchè i figli che nascono da tale unione sono considerati a tutti gli effetti figli del defunto.

Matrimonio, famiglia e gruppo domestico. Alle diverse forme di matrimonio corrispondonoaltrettante forme di costituzione, che noi chiamiano „famiglia‟: famiglia monogamica, poliginica opoliandria.La famiglia composta dai coniugi e dalla prole è detta famiglia nucleare che, spesso, esiste nelcontesto della famiglia estesa. Quest‟ultima, costituita da individui appartenenti a tre generazioni,

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con l‟aggiunta di altri elementi, forma il gruppo domestico (elementi che non sono in rapporto né diconsanguineità né di alleanza coi membri della famiglia, come servi, schiavi, pastori di lavoro ecc).

Gruppo domestico = insieme di individui che vivono insieme contribuendo allo svolgimento delleattività di sussistenza di comune interesse.

1.7. esogamia ed endogamia. esogamia indica l‟unione matrimoniale di un individuo all‟esterno delgruppo; endogamia indica l‟unione matrimoniale di un individuo all‟interno del gruppo. 

- la proibizione dell‟incesto, espressione che indica il divieto universalmente diffuso nelle societàumane relativo all‟unione matrimoniale (e sessuale) tra determinati individui. L‟unione con individuiche per noi sarebbero del tutto leciti, sono per altri assolutamente proibiti. La proibizione dell‟incestoè una regola culturale e non un dato di natura.

-  cugini incrociati e cugini paralleli. I cugini incrociati sono i figli e le figlie di fratelli germani disesso differente, mentre cugini paralleli sono i figli e le figlie di fratelli germani dello stesso sesso.Dal punto di vista matrimoniale, la distinzione tra cugini incrociati e paralleli ha senso solo se siamo

in presenza di gruppi unilineari esogamici: in questo caso, infatti, solo i cugini incrociati saranno perego individui leciti, in quanto appartenenti a un diverso gruppo di discendenza; società endogamicheavranno sia cugini incrociati sia cugini paralleli come individui leciti.

-  Il principio di reciprocità. L‟esogamia, se considerata in relazione a gruppi di discendenzaunilineare, può essere letta come un meccanismo per instaurare relazioni di cooperazione e dialleanza tra gruppi diversi. (Claude Levi – Strauss): i sistemi elementari non solo vietano, maindicano alcune categoria determinate di individui come possibili partner matrimoniali. Questo permette, nel rispetto dell‟esogamia, che un gruppo stabilisca relazioni privilegiate con altri gruppi.

-  Scambio allargato e scambio differito. Lo „scambio delle donne‟ (principio di reciprocità) è unoscambio allargato quando coinvolge più di due gruppi e differito quando il gruppo che cede una

donna ne riceve una in cambio nella generazione successiva.

-  Gruppi di discendenza endogamici. Il matrimonio tra cugini paralleli è un modello di unionepreferenziale, non obbligatorio (è particolarmente diffuso in Medio Oriente, nel Nord Africa e nelmondo musulmano). Il matrimonio di Ego maschile con la figlia del fratello del padre (FDB) è ditipo endogamico in società patrilineari.

2. Le terminologie di parentela: si intende il complesso dei termini di cui una società dispone per designaregli individui in relazione di consanguineità e alleanza.

2.2. I tre assunti di Morgan.- le terminologie di parentela costituiscono dei sistemi: significa che a ogni termine con cui

un individuo designa un suo „parente‟ ne corrisponde sempre un altro usato da questo ultimo per designare il primo. Si parla di sistemi terminologici di parentela o sistemi di parentela.- i sistemi di parentela rientrano in poche categorie fondamentali.- sistemi molto diversi possono trovarsi in regioni geograficamente vicine, mentre sistemi traloro simili possono essere rintracciati in zone geografiche lontane l‟una dall‟altra. 

Gli otto principi di Kroeber.Agli inizi del Novecento, l‟antropologo americano Kroeber evidenziò come nello studio delleterminologie si debba tenere conto di alcuni fattori, i quali corrispondono ai principi che regolano lacostituzione dei sistemi di parentela. (non tutti fanno uso degli stessi principi)1.  la generazione. Tutti i sistemi distinguono tra Ego e suo\a padre\madre.2.  il sesso. Tutti i sistemi distinguono il sesso del parente (alcuni limitano però la distinzione solo

ad alcuni individui).3.  distinzione tra consanguinei e affini. I sistemi separano termino logicamente i parenti di sangue

da quelli acquisiti attraverso il legame matrimoniale.

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4.  distinzione terminologica tra consanguinei in linea diretta e in linea collaterale. Il nostro sistemadistingue ad esempio F (consanguineo in linea diretta) da FB (consanguineo in linea collaterale),mentre per gli Irochesi, ad esempio, gli individui sono tutti F.

5.  la biforcazione. Questa caratteristica comporta che i parenti del lato paterno e quelli del latomaterno vengano indicati con termini diversi (il nostro sistema non applica questo principio,perché non distingue tra FZ e MZ (zia), né tra FBS e MZS (cugino)

6.  l‟età r elativa. Prevede la distinzione terminologica tra individui maggiori o minori di età.7.  il sesso del parente attraverso il quale passa la relazione con l‟individuo a cui il termine si

riferisce (es. Cugino\a incrociato\a o cugino\a parallelo\a)8.  condizione (defunto o vivente) del parente a cui si fa riferimento.

2.3. i sei sistemi terminologici di parentela: hawaiano, eschimese, sudanese, omaha, crow eirochese (prendono il nome da popoli o regioni presso cui tali sistemi furono individuati per la primavolta). A loro volta, si raggruppano in tre categorie: sistemi non lineari o bilaterali, sistemi linearie sistemi descrittivi.

-  sistemi non lineari o bilaterali  – hawaiano ed eschimese. In questi sistemi Ego non fa distinzione

tra parenti del lato paterno e parenti del lato materno (noi, ad esempio, usiamo lo stesso termine „zio‟o „zia‟ per indicare nel primo caso sia FB che MB, nel secondo caso sia FZ che MZ). Il nostro,infatti, è un sistema di tipo eschimese.I sistemi bilaterali, da un un punto di vista sociologico, danno la stessa importanza a entrambe lelinee di discendenza di Ego (sia patri laterale sia ma trilaterale).Il sistema hawaiano fa uso esclusivamente dei principi della generazione e del sesso (principi 1 e 2 diKroeber): Ego distingue solo i maschi dalle femmine e la loro generazione di appartenenza.Il sistema eschimese fa uso, inoltre, del principio 4 di Kroeber, ovvero distingue i parenticonsanguinei in linea diretta da quelli consanguinei in linea collaterale, oltre a distinguere i membridella propria famiglia nucleare da tutti gli altri.

-  Sistemi lineari  – Irochese, Crow, Omaha. Questi sistemi si hanno presso società di discendenzaunilineare; Ego distingue termino logicamente i parenti consanguinei da parte di padre dai parenti

consanguinei da parte di madre (FB e MB). Questi sistemi adottano il principio della biforcazione(principio 5 di Kroeber). Il sistema Crow è tipico di società matrilineari, mentre il sistema Omaha,speculare a quello Crow, lo si riscontra in società patrilineari.

-  Sistemi descrittivi- hanno la caratteristica di usare un termine differente per ogni parente di Egoappartenente alla propria generazione, a quella dei genitori e a quella dei propri figli. Sistemi amassima distinzione terminologica, diffusi in gran parte del Medio Oriente arabo e nell‟Africasettentrionale e orientale.

3. la parentela come pratica socialeI diversi modi di intendere la parentela non si riducono alla diversità dei sistemi terminologici usati inEuropa, in Nord America, in Africa ecc ma consistono anche, e soprattutto, nell‟uso pratico che i vari popolifanno di essa. Presso molte società i parenti costituiscono una cerchia di individui con cui intraprendere

iniziative economiche, con cui svolgere determinati riti, con cui formare delle fazioni politiche.

3.2. la parentela nelle società unilineari. Il principio della discendenza unilineare consente lacostituzione di gruppi corporati i quali possono gestire risorse e stabilire criteri d‟accesso a questeultime che, in molti casi, sono possedute su basi collettive. Ci sono tuttavia differenze notevoli tragruppi a discendenza patrilineare e gruppi a discendenza matrilineare.

-  gruppi patrilineari. È probabile che il tipo di discendenza debba essere connesso al tipo diresidenza postmatrimoniale dei componenti di una società, allo scopo di rafforzare la discendenza (laregola dell‟esogamia consente che le donne si sposino fuori) e permettere che si vengano a costituiregruppi corporati interessati allo sfruttamento collettivo delle risorse e alla trasmissione di queste aidiscendenti. Più i principi di patrilinearità e patrilocalità vengono a sovrapporsi, più il gruppo didiscendenza svolge un ruolo importante nella vita degli individui; economicamente, politicamente eritualmente il gruppo patrilineare svolge, in condizione di patrilocalità, una funzione „avvolgente‟che in altre condizione non può aversi. Esistono comunque delle eccezioni, ad esempio in Brasile, la

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società Mundurucu è patrilineare e matrilocale: l‟uomo va a stabilirsi nel villaggio della moglie, manon vive con lei, bensì nelle „case degli uomini‟ che ospitano mariti provenienti da fuori. 

-  Il controllo della pro genitura. Per ogni gruppo a discendenza patrilineare è importante lapreoccupazione di avere figli maschi che ne assicurino la continuità verso generazioni successive.Molte culture enfatizzano l‟elemento maschile, lo esaltano. Questo carattere ideologico che esalta lasuperiorità dell‟uomo sulla donna è tipico specialmente delle società a discenza patrilineare. Esistonopratiche culturali che consentono di ottenere una prole possibilmente maschile (es i matrimonifantasma dei Nuer o il matrimonio tra donne degli Igbo). Nascita di vasti sistemi di scambiomatrimoniale che prevedono il coinvolgimento di numerosi gruppi.

-  La compensazione matrimoniale. Tra le istituzioni di scambio matrimoniale vi è questa checonsiste nel cedere da parte del gruppo del futuro sposo al gruppo della futura sposa una quantità dibeni, in modo da acquisire diritti sulla prole di una donna (e non acquisire potere totale su lei).

-  Gruppi matrilineari. Caratteristica è la distribuzione asimmetrica del potere e dell‟autorità tramaschi e femmine: la discendenza viene trasmessa per via femminile mentre l‟autorità per via

maschile. L‟autorità si tr asmette dal fratello di una donna al figlio maschio di questa – sovente alaldiscendenza matrilineare è la residenza avuncolocale.

-  L‟avuncolato. Malinowski accertò che in società matrilineari, lo zio materno di un giovane, oltre aprovvedere al sostentamento della famiglia della propria sorella, esercitava sul figlio maschio diquest‟ultima l‟autorità, gli trasmetteva i beni e le eventuali cariche politiche e rituali. 

-  Residenza o discendenza? Il dilemma delle società matrilineari. Queste società devono affrontare ilproblema della tensione tra potere e discendenza che vede protagonisti il fratello e il marito di unadonna che si contendono il controllo sulla prole della donna. Questa tensione si manifesta soprattuttoin relazione alla scelta del modello di residenza: se dopo il matrimonio la coppia e i figli, per ilprincipio della patrilocalità, andranno a vivere nel gruppo del padre, il fratello della donna non potrà

esercitare il controllo ereditario. Una soluzione poteva essere quella di adottare un modello diresidenza che non comporti l‟allontanamento degli uomini dalle loro famiglie d‟origine (ad esempio,gli uomini Bororo, rimanendo all‟interno del villaggio, possono seguire la propria famigliad‟origine). La più frequente soluzione è la residenza avuncolocale, la più frequente adottata dallesocietà matrilineari.

-  L‟Atomo di parentela. Introdotto da Levi – Strauss, è la configurazione costituita da quattroindividui: una donna e il figlio maschio, il fratello della donna e il marito di questa. Taleconfigurazione costituisce l‟unità minima parentale, l‟elemento senza il quale non potrebbero essere pensabili né lo scambio matrimoniale, né l‟esogamia né quindi il concetto stesso di parentela comefatto culturale e sociale. Questa configurazione è facilmente comprensibile a partire dall‟istituzionedell‟avuncolato nelle società matrilineari.

-  La condizione delle donne nelle società matrilineari. Non si sa se le donne delle societàmatrilineari siano più libere delle donne di società in cui vigono altri principi di discendenza. In ognicaso si può valutare la posizione della donna in base all‟autorità maggiore o minore che su leiesercitano il marito da un lato e il fratello dall‟altro. Matrilinearità, infatti, non significa matriarcato(potere femminile).

3.3. gruppi a discendenza doppia. Sono quelli dove Ego appartiene a due linee di discendenza:quella stabilita attraverso il patri lignaggio e quella stabilita attraverso il matrilignaggio. Parlare didiscendenza doppia non significa parlare di situazioni sempre identiche: vi sono società in cui ilprincipio della patrilinearità e quello della matrilinearità non si bilanciano, ma danno luogo aconfigurazioni diverse, ad esempio, tra gli Yako in Nigeria e pressi gli Ashanti del Ghana.

3.4. gruppi di discendenza cognatica. Questi, a differenza delle nostre società definite bilaterali, sifondano sul concetto di gruppo corporato. Sono rare le comunità in Europa che hanno posseduto

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questa forma organizzativa. Un individuo può far parte di linee differenti, le quali però non possonoavere, per Ego, la stessa importanza. Un gruppo di discendenza può funzionare con criterio direclutamento di un gruppo in vista di un obiettivo, per lasciare il „passo‟ a un altro gruppo in un‟altracircostanza.

Dimensione religiosa, Esperienza Rituale1. Concetti e culti

1.1. Cos‟è la religione? La religione possiede per noi un significato scontato: essa rinvia a uncomplesso di credenze che si fondano su dogmi (le verità della fede) e riti, cerimonie e liturgie chehanno lo scopo di avvicinare i fedeli alle entità soprannaturali; inoltre riteniamo che dogmi e ritisiano coordinati da „specialisti‟ all‟interno di luoghi particolari, come chiese, moschee, templi ecc.Invece esistono popoli che non hanno fede, altri che non hanno dei, altri ancora che non hannoluoghi né individui specializzati nelle attività di culto; esistono bensì esseri umani che immaginanouna vita dopo la morte, che pensano il corpo come animato da un soffio vitale ecc. Non esiste unconcetto universale di religione. Tuttavia, se si sposta l‟attenzione dagli aspetti formali a quellimotivazionali (che cosa spinge gli uomini a credere? A compiere certi riti?) avremo una visione più

unitaria del fenomeno.Una religione può essere definita come un complesso di pratiche e di rappresentazione cheriguardano i fini ultimi di una società di cui si fa garante una forza superiore all‟uomo. Questadefinizione tiene presente della dimensione del significato della religione (cioè nei valori esprimenti ifini ultimi di una società) e la dimensione del potere, che risale nell‟idea che vi sia qualcosa oqualcuno che ha l‟autorità di sanzionare tali valori. Questo qualcosa o qualcuno in genere èidentificato come un ente soprannaturale che si manifesta direttamente oppure, nelle societàstratificate, attraverso i suoi rappresentanti umani.

In quanto la religione articola idee e concetti relativi ai valori ultimi di un gruppo, ha il compito dispiegare l‟importanza stessa di quei valori, affermarli e ribadirli. La religione svolge dunque unafunzione integrativa e protettiva; quest‟ultima si riferisce a mettere al riparo gli individui dalle ansie

e dalle insicurezze connesse con la vita personale e collettiva. La religione si esplica attraversosimboli che veicolano i concetti, miti o racconti che organizzano concetti in discorsi dotati di unapropria coerenza e riti che sono le azioni che mostrano i concetti a coloro che eseguono opartecipano al rito.

Le origini dello studio antropologico della religione. Si può dire che l‟antropologia nasce comeantropologia della religione, perché questo ultimo fu uno dei primi motivi di interesse di studio.L‟antropologia si avvicinò allo studio della religione in due prospettive: 

-  intellettualista, promossa da Tylor che nel Primitive Culture del 1871 definì la religione come„credenza in esseri spirituali‟, introducendo il concetto di anima o fantasma. 

-  Sociologica, che propose un nuovo approccio allo studio del rito e del sacrificio. Smith sostenne chequesti erano gli strumenti attraverso i quali gli individui affermavano la propria appartenenza allacomunità (senso di comunione tra i fedeli)

1.2. Tipi di culto. Nel 1996 Wallace propose quattro tipologie di culto, che diedero forma allecredenze religiose.

-  culti individuali. Sono praticati dal singolo individuo (preghiere, invocazioni ecc) ma pur sempreall‟interno di un codice religioso culturalmente condiviso. [il cristiano che si rivolge a un santo per avere aiuto in una situazione difficile o l‟indiano nordamericano che si rivolge al propr io spiritoguardiano perché lo assista nella caccia al bisonte].

-  Culti sciamanici. Sono tipici di quelle società in cui il contatto con le potenze invisibili è assicurato,

oltre che dal culto individuale, dall‟opera di una particolare figura definita sciamano. Si tratta di unpersonaggio che detiene un posto particolare nella vita religiosa e rituale della comunità perchédotato di particolare facoltà di avere visioni del mondo soprannaturale.

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Possessione. Il temine „possessione‟ indica l‟idea, diffusa in molte culture ma rispondente amanifestazioni diverse, che „spiriti di defunti‟, di eroi, di divinità, di animali o di qualsiasi forzasovraumana possano impossessarsi di determinati individui per parlare e agire attraverso essi. Questeforme di possessione consistono in „esibizioni‟ di soggetti predisposti, spesso psichicamenteinstabili, che danno luogo a manifestazioni scoordinate e sussultorie del corpo, perdita del senso deltempo e dello spazio, nonché di sensibilità al dolore e alla fatica. Il corpo diviene „ricettacolo‟dell‟essere che se ne impossessa [Casi di possessione particolarmente noti sono quelli legati ai cultiVodu di Haiti e quelli legati alla credenza del morso della tarante e diffusi nell‟area salentina dellaPuglia] 

-  Culti comunitari. Sono tutte quelle pratiche religiose che vedono la partecipazione di gruppi diindividui organizzati sulla base dell‟età, del sesso, della funzione, del rango, oppure su basivolontarie. Alcuni culti comunitari sono praticati con fini terapeutici e possono avvalersi dellapartecipazione di sciamani, gruppi di danza, suonatori ecc. (ad esempio, alcune confraternitemistiche musulmane). Vi sono poi culti comunitari la cui partecipazione è basata sul genere (adesempio, culti tributati da donne a determinate figure di santi come avviene nell‟Europamediterranea e in area musulmana).

Il TOTEMISMO è un tipo di culto comunitario speciale. Anticamente era ritenuto una formadi religione che si fondava sul culto degli antenati, mentre non è che un modo di classificaregruppi e individui basato sul repertorio delle specie animali e vegetali. La relazionesimbolica tra esseri umani e specie animali costituisce un elemento importante nellecosmologie e nelle religioni di molte culture con importanti riflessi sul piano rituale.

-  Culti ecclesiastici. Prevedono l‟esistenza di gruppi di individui specializzati nel culto. Con i cultiecclesiastici siamo quasi sempre di fronte a testi scritti che vengono tramandati in luoghi specialicome scuole, seminari ecc.

-  TABU = parola di origine polinesiana che intende le proibizioni relative a esseri animati o cosespeciali che, per questo motivo, sono essi stessi tabu. Tutte le religioni prevedono oggetti, esseri

animati o persone tabu (l‟ostia consacrata per i cristiani, i rotoli manoscritti della Bibbia per gli ebreiecc)

2. simboli e riti.2.1. I simboli sacri. Alla base di ogni rappresentazione religiosa vi sono dei simboli sacri, cheservono a sintetizzare l‟ethos di un popolo (il tono, il carattere e la qualità della vita, il sentimentomorale ed estetico, la sua visione del mondo ecc). I simboli, insomma, significano concetti cherinviano ai valori fondamentali e ultimi di una società. I simboli sacri agiscono su coloro che li percepiscono suscitando un particolare stato d‟animo (il pellegrino cristiano che accede al sepolcrodi Cristo, l‟ebreo che dopo un lungo viaggio si trova di fronte al muro del pianto ecc). I simboli sacri producono, in chi ne riconosce il significato, un‟idea di ordine; la certezza che nonostante il mondorisulti caotico e colmo di eventi imprevedibili e dolorosi, vi è sempre una realtà sicura, ultima alla

quale costoro possono affidarsi. Questo riconduce alla funzione protettiva della religione. Ilriconoscimento di un simbolo avviene attraverso una procedura di addestramento che si realizzaattraverso i riti.

2.2. i riti della religione. Un rito è un complesso di azioni, parole, gesti, la cui sequenza èprestabilita da una formula fissa, come ad esempio la procedura del Venerdì santo per un cristiano, ilsacrificio di un montone nel giorno di „Id al Kabir‟ per un musulmano. Mediante queste azionivengono evocati dei simboli, i quali svelano il carattere sacro ai loro partecipanti. Solitamente i ritisono officiati da personaggi speciali, dotati in qualche modo di un‟autorità: un sacerdote nel casodella processione, un capofamiglia nell‟esecuzione del sacrificio musulmano. Un rito rende evidenti le verità, i valori della religione e della società. Vi sono però riti, detti„profani‟ che evocano solo in parte rappresentazioni sacre. Sono eventi pubblici ricorrenti chemettono pur sempre in gioco rappresentazioni dal carattere „sacro‟, ma hanno un fine non religioso. 

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2.3. la verità dei riti. Non è possibile definire tutti i tipi di riti poiché i simboli sacri rimandano asvariati aspetti della realtà sociale con molteplici significati. Vi sono però riti dalle caratteristicheparticolari ai quali gli antropologi hanno dedicato numerosi studi.- riti di passaggio. Sono quei riti che sanzionano pubblicamente il passaggio di un individuo, ogruppo di individui, da una condizione sociale o spirituale ad un‟altra: battesimi, circoncisioni rituali,matrimoni, funerali, insediamenti ecc. Ogni cambiamento all‟interno di questi ambiti produce unaperdita di equilibrio che deve essere compensato per esigenze di ordine simbolico; ogni eventodunque dal fidanzamento al matrimonio, dal raggiungimento della pubertà al parto, dalla gravidanzaalla morte ecc, deve essere accompagnato da riti di passaggio che scandiscono la transizione da unacondizione all‟altra. Van Gennep (antropologo che si dedicò allo studio di questi riti) distinse tre fasiall‟interno di ogni rito: separazione (che prevede riti preliminari), margine (che prevede riti liminari)e aggregazione (che prevede riti postliminari). Le teorie di Van Gennep si fondano e rispecchianol‟idea secondo cui il mondo primitivo era profondamente segnato dall‟opposizione tra sacro e profano e che ogni variazione da una condizione ad un‟altra provoca un‟alterazione delle for ze chesono alla base dell‟ordine del mondo. Un esempio che rispecchia le teorie di Van Gennep è quello del momento del pellegrinaggiomusulmano alla Mecca. [il pellegrinaggio musulmano è un rito che, in quanto tale, prevede alcune

fasi. La prima fase (Ihram o assunzione della condizione di pellegrino) segna il distacco dal mondo profano. L‟Ihram pone il pellegrino in una condizione di „sospensione‟ (liminalità) tra il mondoprofano e quello sacro, al quale si accosterà solo dopo aver compiuto una serie di cerimonie. Lo statodi Ihram comporta il divieto (tabu) di consumare alcuni cibi, l‟astensione dei rapporti sessuali: è lafase di margine, che culminerà nel sacrificio di „Id al Kabir‟. Dopo di che il pellegrino raggiungerà ilsimbolo sacro per eccellenza, la Ka‟ba, e raggiungerà lo stato superiore.] 

-  rituali funebri. Di fronte alla morte le comunità fanno riferimento ai valori ultimi sui quali esse sifondano; per rendere questi ultimi espliciti e pubblici si ricorre alla rappresentazione attraverso l‟usorituale di simboli. I riti funebri, in quanto riti, contengono gesti, parole e azioni che richiamano, nellamente dei partecipanti, i valori e i significati su cui la comunità fonda l‟ordine del mondo e di sémedesima. In molte società la morte è connessa a ciò che riguarda i processi della vita, primo tra tuttiil concepimento della vita come continua ricreazione; presso le società che invece considerano

l‟ordine del cosmo come retto dagli antenati, i temi della fertilità femminile e maschile e dellasessualità vengono a caratterizzare i riti funebri. Questi concetti non trascurano il senso del lutto edel dolore, bensì la formula di un rito funebre non prende in considerazione direttamente la sferadell‟emotività.Robert Hertz fu il primo studioso ad occuparsi della morte in una dimensione antropologica. Per luilo studio della morte costituiva un aspetto di studio più vasto, relativo ai meccanismi grazie ai qualiuna società conserva la propria coesione e la propria identità anche di fronte agli eventi piùdrammatici. 

-  Riti di iniziazione. Sanciscono il passaggio degli individui da una condizione sociale o spirituale aduna condizione diversa dalla precedente (es. la circoncisione praticata da ebrei e musulmani, ilbattesimo cristiano sono atti che sanciscono l‟ingresso dell‟individuo nella comunità dei credenti). I

riti di iniziazione sono la dichiarazione pubblica, socializzata dell‟assunzione di un nuovo status daparte di un individuo e delle responsabilità che questo status comporta. Riti di iniziazione sono i ritidella pubertà (che sottolineano l‟entrata di giovani ragazzi e ragazze nell‟età fertile) o quelli cheriguardano il passaggio dallo stato di adolescente a giovane guerriero e, da questo, a quello di adultoe padre di famiglia. Riti di iniziazione sono anche quelli che sanciscono l‟affiliazione degli individuia logge massoniche o società segrete, come in molte società dell‟Africa occidentale o degli indianidel Nord America. Tra questi, sono noti quelli degli Hopi e dei Mende, i quali esprimono lasuddivisione in fasi presentata da Gennep: praticano l‟isolamento degli inizianti, il cuiallontanamento corrisponde alla fase di „separazione‟; la permanenza nel novizio lontano dai proprisimili corrisponde alla fase di „margine‟, mentre il ritorno ha la funzione di „riaggregare‟ l‟iniziatoalla comunità. Inoltre, anzianità e autorità sono condizioni che possono essere raggiunte progressivamente e, in parecchi casi, attraverso riti di iniziazione, poiché in molte culture l‟anzianitàè qualcosa che evoca l‟autorità suprema degli antenati e i riti sanciscono l‟acquisizione progressivadell‟autorità in connessione con la dimensione religiosa delle comunità in questione. 

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3. Religioni e identità nel mondo globalizzato3.1. secolarizzazione e nuove religioni. Il pullulare di movimenti religiosi e di nuovi culti in tutto ilmondo contemporaneo sembrano derivare da eventi e dinamiche relativamente recenti. Ciò che staavvenendo non è tanto la scomparsa del sacro, bensì una sua privatizzazione da un lato edessenzializzazione dall‟altro. Per privatizzazione si intende una sempre più diffusa religiositàpersonale, sintesi di credenze, riti, rappresentazioni provenienti da altre tradizioni. Peressenzializzazione si intende una riduzione della fede a un discorso di pura contrapposizione politica,etnica e culturale. Oggi sono gli squilibri tra le aree del pianeta a essere causa dell‟origine di nuoviculti o del rafforzamento di quelli nati alla fine dell‟Ottocento in epoca coloniale. - culti di revitalizzazione, in cui un gruppo dichiara di puntare ad un miglioramento della vita;- culti millenaristici, accentuano le rappresentazioni relative all‟avvento di un‟epoca di pace efelicità;- culti nativistici, mirano a riaffermare e far rinascere aspetti culturali come strumenti dirivendicazione della propria identità;- culti messianici, sono legati alla presenza di una forte personalità (messia) e attendono unrivolgimento socio – politico radicale.

3.2. le religioni e la globalizzazione. Il pensiero religioso ha subito profonde trasformazioni a causadella sempre maggiore dimestichezza con la moderna tecnologia: fotografie dell‟aldilà, del volto deisanti, di Cristo e di Maria affollano i siti web dedicati a questo tema. Internet è diventato il potenteveicolo di questa forma di visionarismo tecnologico. La rete permette inoltre di stabilire gruppi dipreghiera, di celebrare riti comunitari e di visitare siti come se fossero luoghi di pellegrinaggio.L‟entrata in scena di internet nella sfera della rappresentazione r eligiosa produce una radicadeterritorializzazione della religione creando per esempio comunità virtuali di credenti. Allafrantumazione della dimensione religiosa si contrappone una rappresentazione della religionetotalizzante e capace di definire intere identità culturali: questa immagine del mondo diviso inreligioni corrisponde ad una visione semplicistica del carattere variegato della dimensione spiritualeed è una pericolosa mossa ideologica suscettibile di produrre forme di contrapposizione. Nel nostromondo, la religione è frutto di manipolazione.

Creatività culturale ed espressione artistica1. La creatività culturale

1.1. La creatività come aspetto costitutivo della cultura. (è interessante notare come le culture producano,a partire dalle esperienze passate e presenti, nuovi significati mediante accostamenti tra rappresentazioni epratiche precedentemente non correlate.)

La creatività culturale è strettamente legata a una caratteristica fondamentale del linguaggio

umano: la sua produttività infinita.Essa consiste dunque nella possibilità che gli esseri umani hanno di produrre sempre nuovisignificati a partire dai modelli culturali a loro disposizione, produrre dunque novità mediante lacombinazione e la trasformazione delle pratiche culturali esistenti.In questo senso, la creatività è non soltanto presente in tutte le società, ma trova anche riscontroin campi molto diversi da quelli in cui noi d‟abitudine tendiamo a collocarla: la tecnologia, lascienza e l‟arte.In tutte le regioni del pianeta, in Europa come in Nuova Guinea, la creatività, così come laintendono gli antropologi, è costantemente all‟opera. 

Scheda –  Le storyboards di Kambot, Papua-Nuova Guinea

Un buon esempio di cosa gli antropologi intendano per creatività culturale è costituito dallaproduzione delle storyboards di Kamboti, una località della Nuova Guinea la cui popolazione è

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diventata famosa per queste assi di legno scolpite e dipinte di cui vanno pazzi turisti e mercantid‟arte occidentali. Le popolazioni della Nuova Guinea furono sottoposte, a partire dalla fine del secolo XIX, fino araggiungere il culmine alla vigilia della Seconda guerra mondiale, ad una forma dicolonizzazione e soprattutto ad una situazione di subordinazione e schiavitù.Questo comportò ovviamente notevoli effetti di disgregazione e di decadenza culturale, checoinvolse anche le attività artistiche, che erano condotte nelle case degli uomini e degli spiritidegli antenati, luoghi legati soprattutto ai rituali di iniziazione maschile.

Nella seconda metà del Novecento si è assistito in tutta l‟isola all‟insorgenza di espressioniidentitarie nuove, per una serie di ragioni che vanno dall‟alfabetizzazione della popolazione per opera dei missionari, all‟arrivo delle merci europee, ai giornali, ai contatti ecc… Si è avuta ancheuna specie di rinascita culturale legata soprattutto al rifiorire dell‟arte locale, sia sacra cheprofana.Di questa ultima nuova produzione artistica fanno parte le storyboards, così chiamate daimercanti d‟arte occidentali. Si tratta di tavole di legno leggero che recano incise e dipinte scenedella vita quotidiana e composizioni che si riferiscono alla tradizione mitologica locale. Il

linguaggio utilizzato è facilmente comprensibile all‟occhio del turista, un linguaggio visivoestremamente referenziale.

Per i turisti le storyboards rappresentano la vita dei Papua così come loro possonoimmaginarsela; confermano lo stereotipo della Nuova Guinea, della sua cultura e delle suepopolazioni che sono state elaborate proprio dal turista: è immagine di primitività, autenticità edesotismo.

Per i Papua le storyboards hanno un significato diverso. Anzitutto è certamente un significatoeconomico: se per i turisti queste poche decina di dollari australiani o americani sono poca cosa,per i Papua sono moltissimo. Esse inoltre costituiscono per i Papua anche i veicolidell‟immagine della loro terra all‟estero, un mezzo con cui i locali esportano, potremmo dire, la

propria identità.

1.2. La festa come dimensione creativa.Vi sono forme di attività e circostanze in cui questi accostamenti di pratiche e significati ineditisono più evidenti che in altre. Una di queste circostanze è costituita, oltre che dalla produzioneartistica e dall‟innovazione tecnica, dalla festa. La festa è un tratto universalmente diffuso nelle società umane, al pari del gioco e del rito. Comela maggior parte dei giochi e dei riti anche le feste mettono in moto comportamenti improntatialla dimensione collettiva.Proprio in quanto costituiscono degli „stacchi‟ nel flusso della vita ordinaria, le feste, i giochi e iriti possono funzionare come dei marcatori temporali di una certa importanza: ad esempio si

 pensi ai giochi Olimpici nell‟antica Grecia, ai riti religiosi e a quelli di commemorazione tantonell‟antichità quanto nell‟età moderna, ecc… 

Come complesso di atti che si distaccano dalla routine del quotidiano e dalle sue regole, la festasi presta a essere un terreno culturalmente creativo. Anzitutto i partecipanti si sentonocoinvolti in un processo collettivo dove le differenze tradizionali tra individui si annullano o siriducono notevolmente e, gli individui, provano una sorta di „libertà‟ d‟azione e d‟espressione. Ci sono vari autori che hanno preso in esame l‟argomento delle feste: o  alcuni hanno considerato le feste come eventi collettivi che mirano a rinsaldare

 periodicamente il senso dell‟appartenenza a una comunità<, o  altri hanno visto nelle feste un modo per fronteggiare e neutralizzare la negatività

dell’esistenza; o  altri ancora un modo per rappresentare la gerarchia e i valori sociali e riaffermarli

solennemente. Molte feste sono infatti occasione per ribadire l‟ordine e le gerarchie sociali,

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come accade ad esempio presso alcune popolazione dell‟Africa orientale in occasione dei ritidi passaggio dallo stato di giovane a quello di adulto.

In che senso si può allora parlare di festa come momento creativo?La creatività della festa non coincide né con il suo carattere trasgressivo (ad esempio, come nelcarnevale) né, all‟opposto, con il suo carattere normativo. Tale creatività consiste invece nellapossibilità che, nella festa, si compiano accostamenti simbolici inediti o comunque insolitimediante i quali sia possibile trasmettere concetti e stati d‟animo difficilmente esprimibilialtrimenti.

Scheda –  il naven degli Iatmul (Nuova Guinea): festa e rito di travestimento

A proposito della festa come occasione creativa si potrebbe ricordare il naven degli Iatmul dellaNuova Guinea, un singolare rito di travestimento praticato periodicamente dalla popolazione(matrilineare) del fiume Sepik, nella Papua Nuova Guinea.Il naven era celebrato in onore di un giovane che avesse compiuto per la prima volta qualcosa disocialmente lodevole e rispondente all‟ideale del maschio Iatmul, come ad esempio il ferimento

o uccisione di un nemico; oppure dopo che il giovane fosse stato sottoposto ad un rito diiniziazione.In tali circostanze, i parenti del ragazzo celebravano una vera e propria festa; si travestivano conabbigliamento e adottavano comportamenti che richiamavano quelli abitualmente caratteristicidegli individui del sesso opposto.Il fratello della madre del giovane si travestiva da donna e parodiava, tra gli scherzi e le risate diadulti e bambini, la commozione delle donne per le imprese del giovane. Al contrario, i parentidi sesso femminile tenevano un comportamento di fierezza „che le donne mostrano nelle rareoccasioni in cui hanno un ruolo pubblico di fronte a spettatori uomini‟.Perché questo rovesciamento? Forse questa festa aveva lo scopo di consentire ai partecipanti diesprimere cose che altrimenti non avrebbero potuto essere espresse.Infatti, tra gli Iatmul, il „tomo emotivo‟ del sesso maschile consisteva in atteggiamenti fieri e

aggressivi, esattamente il contrario dei comportamenti teneri e affettuosi ritenuti esserecaratteristici dell‟ethos femminile. 

2. L‟espressione estetica 

2.1. “Arte” ed espressione estetica.C‟è una sfera dell‟attività umana a cui colleghiamo immediatamente l‟idea di creatività, ovverol‟arte. Se tuttavia, come ha detto Clifford Geertz, possiamo distinguere tra concetti vicini econcetti lontani dalla nostra esperienza, dove i primi sono quelli che chiunque può utilizzare

naturalmente per definire ciò che vede, sente, pensa, immagina e che comprenderebbe

 prontamente quando utilizzato in modo simile da altri, non c‟è dubbio che il concetto di arte

rientra in questa categoria.Però il concetto di arte rinvia a molteplici rappresentazioni riguardanti l‟artista, il suo prodotto,la sua fruibilità nonché la sua finalità. Anche in questo caso il problema è, come sempre perl‟antropologia, un problema di traduzione: traduzione dei significati che un oggetto, un disegno,un canto o una danza riveste laddove esso viene prodotto o eseguito.

Forse un modo corretto per parlare di arte sarebbe quello di considerare la questione dal punto divista dell‟espressione estetica, tratto universale dell‟umanità. In tutte le culture vi sono infattimodi di accostare colori, forme, parole, suoni e movimenti del corpo i quali producono, su chi liesegue, li osserva o li ascolta, uno stato percettivo (estetica deriva dal greco aisthesis chesignifica „percezione‟). 

Il fatto stesso che possano esistere diverse valutazioni estetiche di un oggetto all‟interno di unastessa cultura significa che il senso estetico è in parte un fatto soggettivo e, in parte, collettivo.

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2.2. La natura culturale dell‟espressione estetica. Che l‟espressione estetica sia un dato universale è provato dal fatto che se non tutte le societàpraticano quelle che per noi sono le arti, tutte producono comunque un qualche oggetto oeseguono una qualche performance capaci di generare nei destinatari delle reazioni di tipoestetico.Ne consegue quindi che la produzione estetica di una data cultura è collegata in qualche modo aivalori, alla visione del mondo e al modo di sentire che sono tipici di una certa comunità. Adesempio, possiamo ricordare che la grande arte figurativa del Medioevo europeo fu interamentededicata a soggetti di natura sacra.L‟arte non è infatti un‟attività disgiunta dal contesto sociale, politico, culturale ed economico incui viene prodotta.Inoltre, l‟atteggiamento verso l‟espressione estetica può cambiare con le epoche e con latemperie politica del momento. I nazisti disprezzavano ad esempio l‟arte moderne e soprattuttoquella astratta, qualificandola come „degenerata‟, in quanto secondo loro la scultura e la pitturadovevano produrre essenzialmente rappresentazioni degli ideali razziali tedeschi. Un altroesempio potrebbe essere l‟iconoclastia cristiana, che ebbe origine nel tentativo di contrastarecerti atteggiamenti di venerazione nei confronti di esse considerati „eccessivi‟ da una parte del

clero e dell‟imperatore d‟Oriente. Scheda –  “Arte” preistorica: Francia meridionale e Spagna settentrionale (30-15000 a.C.) 

Un tipico esempio dei problemi posti dall‟interpretazione dell‟espressione estetica nelle altreculture è quello delle pitture parietali preistoriche rinvenute nei siti paleolitici di Lascaux eVallon-Pont-d‟Arc nella Francia meridionale e di Altamira nella Spagna settentrionale. Si trattadi un esempio estremo in quanto, a parte gli strumenti litici, qualche monile e qualche sepoltura,nulla conosciamo della cultura e dell‟organizzazione sociale di queste popolazioni vissute tra itrenta e i quindicimila anni fa.Le pitture, tracciate con colori ricavati da pigmenti vegetali e da sostanze minerali, raffiguranoanimali e, più raramente, esseri umani, che paiono inserirsi in scene di caccia o di danza.

Perché gli uomini della preistoria tracciarono questi dipinti? Fu il desiderio di realizzare unimpulso estetico che aveva una finalità personale, oppure quei pittori stavano lavorando per lacomunità? Perché quegli artisti dipinsero in luoghi bui e soprattutto in luoghi in cui, anche seilluminati, non sarebbe stato possibile osservare il disegno nella sua totalità?Si presume ad esempio che molte di quelle pitture tracciate in caverne buie, strette e pocoventilate avessero uno scopo rituale. Che i soggetti preferiti dai pittori della preistoria avesseroun legame stretto con lo stile di vita di queste popolazioni è indubbio. Gli animali e i cacciatoriritratti da questa arte rupestre erano infatti i protagonisti di un‟epoca della storia umana fondatasulla caccia di grossi mammiferi e dalla lotta contro terribili predatori.

Alla luce di tali considerazioni, possono le pitture di queste popolazioni essere considerate una

forma di espressione estetica? Sicuramente sì, perché il pittore paleolitico non può aver tracciatolinee e curve indipendentemente dalla sua personale interpretazione dell‟oggetto raffigurato esenza un‟intenzione precisa, cioè quella di produrre una percezione su coloro che li avrebberoosservati.

“Arti”, pratiche sociali e significati culturali. Non tutte le culture sviluppano allo stesso modo quelle che noi chiamiamo arti. La loroespressione estetica può infatti concentrarsi su una o alcune di esse e ignorare completamente, oquasi, tutte le altre. Un esempio significativo di questo tipo di „selezione estetica‟ è costituitodalla cosiddetta „arte africana‟, la quale si è concentrata sulle arti visive e in particolare sullascultura. Nell‟Africa sub sahariana la scultura in legno e in bronzo ha conosciuto per secoli una fiorituraeccezionale, con opere considerate in Occidente espressione di una sensibilità esteticaestremamente raffinata.

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La grande varietà di forme presenti nell‟espressione artistica africana è dovuta a un‟altrettantogrande varietà di motivi culturali, sociali ed estetici, oltre che tecnici.

I Kalabari della Nigeria vedono le loro sculture come „dimore degli spiriti‟; anzi, come il „nome‟dello spirito particolare che la statua rappresenta. Essi considerano le sculture come oggetti che,notati dagli spiriti, vengono a stabilirvisi. Per questo gli spiriti devono riconoscerle come„proprie‟.Le immagini visive che la scultura veicola devono risultare adatte a raggiungere questo scopo.Quale criterio estetico a noi noto potrebbe essere fatto valere nei confronti delle sculture kalabariconsiderate dai Kalabari medesimi? Probabilmente nessuno. Quella kalabari non è però unacultura priva di senso estetico, ma quest‟ultimo piuttosto che la scultura sembra investire ladanza.

Negli esseri umani è universale la capacità di esprimersi esteticamente, ma la formaassunta da tale espressione, nelle diverse culture, dipende da un‟ampia varietà di fattori: la

funzione del prodotto, i valori e le rappresentazioni a cui esso rinvia, l‟uso che se ne fa, ildestinatario e la motivazione e l‟ispirazione dell‟artista.

Scheda –  L‟ispirazione dell‟artista: il writing come forma di contestazione (Nordamerica ed

Europa urbane, fine secolo XX inizi XXI)

Un esempio attuale di cosa possa significare l‟espressione „motivazione e ispirazionedell‟artista‟, ci è offerto da una tipica „arte di strada‟ molto diffusa in ambiente urbano: ilwriting. Questa si sviluppò nelle città americane alla fine degli anni Settanta e, a differenza deimurales, il termine writing è utilizzato per indicare quel particolare tipo di arte che consiste sì didisegni murali colorati, ma che sono tuttavia sviluppi grafici di lettere o di parole.Se tra molti secoli alcuni archeologi rinvenissero i prodotti di questa arte grafica senza conoscereil clima sociale e culturale nel quale essa è nata, potrebbero considerarli da un punto di vistaparziale. Il writing è infatti una forma di ribellione che, invece di diventare un‟aperta

contestazione di tipo politico o sociale, sceglie la via del linguaggio visivo. I messaggi che essoveicola non sono infatti politici in senso tradizionale. In essi non si inneggia a qualcuno o a unaqualche idea, né si critica apertamente nessuno. Il writing lancia semmai messaggi sullacondizione presente, sul disagio, il degrado, la sofferenza.

3. L‟arte „tribale‟ nel contesto occidentale 

3.1. Musei e arti „primitive‟. Nel corso del XIX secolo, i musei antropologici ed etnologici vennero moltiplicandosi in Europacome negli Stati Uniti. L‟enorme quantità di oggetti provenienti dai mondi „primitivi‟ dei cinquecontinenti andò accumulandosi per opera di viaggiatori studiosi di folklore, commercianti,

esploratori e etnologi interessati alla cultura materiale dei popoli della Terra.In questi musei d‟Europa e d‟America gli oggetti venivano catalogati ed esposti, in accordo con i principi dell‟evoluzionismo ottocentesco, in categorie omogenee. Ad un certo punto, invece, sicominciò a raggruppare oggetti per aree culturali, al fine di presentare le caratteristiche delle culturetipiche di determinate regioni del pianeta.A partire dagli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, i musei etnografici hanno sviluppato eaffinato sempre più i loro criteri espositivi. In alcune occasioni vengono ad esempio allestite mostretemporanee a tema; altre volte i pezzi posseduti da un museo possono venire integrati da oggetti provenienti da altri musei e che hanno un‟affinità con i primi.

In certi musei si tende a privilegiare il criterio documentaristico, in altri, a volte, quello estetico.Dove prevale quest‟ultimo, i pezzi esposti sono per lo più „decontestualizzati‟, ossia considerati daun punto di vista che ne mette in risalto il valore artistico indipendentemente dalla loro origine efunzione sociale. Dal momento che viene valorizzata la dimensione estetica dei pezzi esibiti, questi

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tendono ad essere inglobati nella categoria occidentale di arte. A tale inglobamento hanno concorsoprincipalmente due motivi:

o  tra la fine dell‟Ottocento e i primi decenni del Novecento, i pittori e gli scultori europeiappartenenti alle correnti d‟avanguardia cominciarono a prestar e una speciale attenzione aglioggetti provenienti dall‟Africa, dall‟Oceania e dalle Americhe. L‟attenzione per questimanufatti, chiamati in Francia objets sauvages, ebbe motivazioni complesse. Anzitutto cifurono artisti che sentirono la necessità di opporre, alla frantumazione dell‟universo socialeprodotta dalla modernità industriale, il recupero di modelli non competitivi, sottratti al flussodella modernità stessa. Questa corrente venne chiamata „primitivista‟ e il suo maggioreesponente fu Paul Gauguin.In seguito si formarono altre tendenze, raggruppate sotto il nome di „modernismo‟, le qualiripresero le arti esotiche come motivo di ispirazione. I maggiori artisti furono Picasso,Derain, Braque, Modigliani e Giacometti. Questi pensavano fosse necessario dar vita, in uncontesto di sommovimenti sociali, guerre e tensioni, a una produzione grafica e plasticacapace di esprimere principi atti a superare la cultura, la politica, la storia.Questa convergenza tra arte moderne e arte primitiva portò, nei decenni successivi, a parlare

di primitivismo dell‟arte includendo in questa categoria tanto i prodotti dell‟arte tribalequanto quelli dei pittori e degli scultori dei primi decenni del Novecento.Essa riduce inoltre a un comune denominatore di tipo formale quelle che in realtà sono delledifferenze sostanziali qualora si considerino elementi come le motivazioni dell‟artista, lafinalità e la funzione sociale delle opere in un caso e nell‟altro. L‟affinità che viene stabilitatra l‟opera tribale e quella moderna potrebbe essere infatti il risultato del fatto che tanto laprima quanto la seconda si discostano dal naturalismo che ha dominato la produzioneartistica europea tra il Rinascimento e la fine dell‟Ottocento. Insomma, l‟arte tribale e quellamoderna risulterebbero apparentemente affini proprio per la distanza che le separa entrambeda un universo che ci è familiare.

o  Il mercato dell‟arte. L‟arte „tribale‟ aveva cominciato ad avere un proprio mercato, il cui

sviluppo rappresenta il secondo motivo che ha reso possibile l‟assimilazione degli oggetti provenienti da contesti extraeuropei a vere e proprie opere d‟arte. Gli oggetti „esotici‟ cominciarono a fare il loro ingresso sul mercato perché erano richiestiinizialmente dai musei etnografici. Parallelamente si sviluppò un mercato privato che andòsempre più affermandosi con mostre, collezionisti, galleristi.Ciò che determina il valore economico di una maschera kwakiutl, di una scultura yoruba o diuna tavola abelam è il fatto che questi oggetti possano essere legittimamente giudicati „arte‟.A loro volta però, questi pezzi vengono considerati „artistici‟ perché hanno un valore, perché possono cioè entrare nel mercato dell‟arte. Dunque, valutazioni estetiche e valutazionieconomiche interagiscono tra loro nel determinare la considerazione di un oggetto in quanto„opera d‟arte‟ o meno.In molte di queste società il fine per cui tali oggetti erano fabbricati non esiste più: non

esistono più le religioni, i riti, quei poteri terreni o spirituali in relazioni ai quali maschere,sculture, dipinti erano stati eseguiti. Un‟osservazione importante da fare è quella per cui glioggetti acquisiti da musei e dai privati occidentali sono passati da una „sfera di consumo‟ aun‟altra, con una conseguente trasformazione della natura del loro valore, da simbolico ad„artistico‟ ed economico.

Risorse e potere

1. Potere delle risorse e risorse del potere

1.1. Risorse e potere: un‟inscindibile relazione.La disponibilità e il controllo delle risorse risultano inseparabili dall‟esercizio del potere, eviceversa. Le società umane hanno probabilmente conosciuto da sempre la relazione tra risorse epotere, relazione che è andata tuttavia modificandosi a seconda delle epoche e delle situazioni.

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 Per risorsa si intende tanto un bene materiale, concreto come l‟acqua e il denaro, quanto un bene„volatile‟ come un sapere o una conoscenza tecnica. In sintesi, le risorse possono essere di naturatanto materiale quanto simbolica.L‟acquisizione e la disponibilità di una risorsa non sono mai completamente disgiunti da unarelazione di potere, ossia dal fatto che tale acquisizione o tale disponibilità influiscono sempresulla possibilità che un individuo o un gruppo hanno di imporsi o di prevalere su altri individui ealtri gruppi. Viceversa, tale possibilità è sempre associata al controllo di una qualche risorsa,materiale o simbolica.

Presso le società industriali e postindustriali europee e americane, ad esempio, si riconosceesplicitamente da poco tempo che le risorse possono essere tanto di natura materiale quantosimbolica. Tuttavia, resta ben radicata l‟idea che tutto ciò che riguarda la produzione, lagestione, lo scambio, la distribuzione e il controllo delle risorse materiali rientri nella sferadell‟economia, mentre tutto quanto riguarda le relazioni tra individui e gruppi sociali mossi daprogetti e interessi diversi ricada nel dominio della politica. Nel mondo occidentale, economia e politica risultano distinte grazie all‟esistenza del sistema di mercato, da un lato, e delle

istituzioni politiche dall‟altro.Con gli sviluppi dell‟etnografia divenne chiaro che anche gli altri popoli avevano vari modi di produrre risorse, di farle circolare e controllarne l‟utilizzazione da parte di certi individui e dideterminati gruppi.La discussione sul modo in cui la distribuzione sociale delle risorse era organizzata in quelledefinite „società primitive‟ ebbe inizio negli anni a cavallo della Prima guerra mondiale. Furonosoprattutto le ricerche sul campo di Bronislaw Malinowski nell‟arcipelago delle Trobriand acostituire la base per gli studi antropologici sulle economie arcaiche. L‟etnologo studiò loscambio rituale presso questa popolazione che aveva lo scopo di ribadire la relazione dicollaborazione e amicizia tra partner economici abituali, rinsaldando tra gruppi e individui traloro lontani ma legati da un vincolo sacro rappresentato dagli oggetti cerimoniali scambiati.

Questi oggetti e quelli profani che venivano scambiati costituivano due diversi tipi di oggetti:beni di prestigio e beni di consumo rispettivamente. Entrambi erano risorse materiale, ma i primierano anche risorse simboliche.In che senso possiamo dire che collane e braccialetti erano per questi uomini una risorsa? E inche senso tale risorsa era finalizzata all‟acquisto di sempre maggior prestigio e potere? Larisposta va cercare nelle ricerche condotte successivamente da Malinowski.Esiste un termine, „keda‟ che rinvia alle relazioni che questi oggetti incorporano e alla ricchezza,al potere e alla reputazione di coloro che li possiedono. I percorsi di questi oggetti sono quindielementi costitutivi del prestigio degli individui.

Malinowski sosteneva che gli oggetti fossero scambiati solo a scopi di prestigio, mentre si èscoperto che essi entrano in realtà nelle com pensazioni matrimoniali, nell‟acquisto di maiali o

per pagare il diritto di coltivare terre. È inoltre ampiamente provato che molti di questi oggettisono stati acquistati, e in alcuni casi fabbricati, da mercanti europei che, con il periodo delcolonialismo, entrarono nel circuito della popolazione Trobriand. Questo suggerisce non soloche siamo di fronte a una istituzione economico-cerimoniale influenzata da eventi storici, mache tale istituzione è stata oggetto di continue manipolazioni e nuove strategie messe in atto daipartecipanti allo scambio. Questo ci permette di sottolineare come forme di scambio cerimonialedi questo tipo siano oggi sempre più influenzate dalla presenza del denaro e dalla pressione difattori economico-politici di natura globale.

1.2. Le nature del potere.Sono state affermate, nel corso dei secoli, diverse teorie sul potere. La più recente, e forse quellapiù significativa, è quella di Michel Foucault (1926-1984). Il potere, dice Foucault, è ovunque:nelle parole che utilizziamo, nei discorsi che produciamo, negli atti che compiamo, nelle coseche sappiamo e nell‟applicazione del nostro sapere. Il potere può si essere identificato con

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istituzioni particolarmente rappresentative di esso (lo Stato, il carcere, la scuola, l‟esercito ecc)ma la sua efficacia si realizza per lo più nei pensieri e nei comportamenti.La concezione del potere di Foucault è importante perché moltiplica le nostre possibilità dianalizzare sotto questa luce le società e le culture.Se „il potere è ovunque‟, è chiaro che non solo i rapporti sociali ed economici, ma anche quellitra sessi, generazioni e tra culture stesse possono essere analizzati in termini di azioni e discorsinei quali il potere è incorporato. Considerato in questo modo il potere perde la sua connotazionestrettamente politica.Il potere invece, per il sociologo Max Weber è l‟imposizione intenzionale della propria volontàad altri. Nell‟isola di Bali, ad esempio, fino a non molti decenni fa i re organizzavano vere eproprie rappresentazioni teatrali in cui veniva riprodotto il fasto dello Stato balinese; in Maroccoil sovrano organizza ancora grandi processioni in cui il suo potere si rende visibile.

Che cosa mette in condizione individui e gruppi di agire politicamente allo scopo di ottenerepotere e di imporlo? Una risposta potrebbe essere: individui e gruppi agiscono politicamentenella misura in cui possono gestire delle risorse che conferiranno ad essi il potere di controllarealtre e più importanti risorse, di natura simbolica e materiale.

Lo studio antropologico del potere ha posto attenzione alle diverse modalità in cui, pressoculture differenti, si crea ciò che è stato chiamato arena politica, ovvero uno spazio astrattooccupato da tutti gli elementi che determinano il confronto politico: organizzazioni, individui,valori ecc, manovrati dagli attori politici. Considerare la politica come uno spazio in cui sidisputa la partita per il potere, svincola la politica stessa dall‟immagine statica che hacaratterizzato gran parte della riflessione passata dell‟antropologia sul tema del potere. Anziché pensare in termini di istituzioni, l‟antropologia preferisce concentrarsi sugli aspetti dinamicidella contesa politica, prendendo in considerazione tutti quegli attori che si rivelano interessati alcontrollo delle risorse. È in base a queste considerazioni che l‟antropologia ha adottato quellache è stata chiamata prospettiva processuale, la quale ritiene che motivazioni e interessi trovinoespressione nell‟attuazione di determinate strategie. 

2.  Forme di vita economica

2.1. La dimensione sociale dell‟economica: il principio di reciprocità.Il sottosettore specializzato dell‟antropologia economica nacque grazie alle precedentidescrizioni etnografiche fornite da alcuni etnologi sugli aspetti economici dei contesti esoticistudiati: ricordiamo Malinowski, Franz Boas e Marcel Mauss.Malinowski aveva notato ad esempio come nelle società da lui studiate gran parte della vitasociale si basasse su atti di natura reciproca, come presso la popolazione dei Trobriand. Ladisciplina nacque come un‟idea dell‟economia come rapporto concreto degli esseri umani con lanatura da un lato e con i propri simili dall‟altro. Questa visione dell‟economia metteva l‟accentosulla dimensione sociale di quest‟ultima, per cui le risorse e i beni prodotti erano considerati

come aventi soprattutto una „destinazione sociale‟. L‟economia sarebbe così un processoistituzionalizzato, cioè dipendente dalle strutture sociali nelle quali tale processo è incastonato.

Le forme di distribuzione e di scambio presenti nelle diverse società sono fondamentalmente tre:quella retta dal principio della reciprocità; quella basata sulla ridistribuzione e, infine, quellafondata sullo scambio.La prima forma, quella della reciprocità, fa parte delle società organizzate su gruppi di parentela,dove prevalgono scambi di tipo paritario e simmetrico tra gruppi di parenti; alla secondacategoria appartengono le economie in cui è presente un‟autorità che concentra su di sé iprodotti provenienti dalla periferia, beni che successivamente verranno ridistribuiti secondoprecisi criteri; alla terza categoria, quella fondata sullo scambio, appartengono infine leeconomie nelle quali le merci circolano in base alla legge della domanda e dell‟offerta. I !Kung San del Kalahari, i Vezo del Madagascar e gli Yanomami dell‟Amazzonia hanno formedi scambio improntate al principio della reciprocità basata sulla fondamentale simmetria e

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uguaglianza dei gruppi di parentela. Le tribù beduine d‟Arabia costituiscono un esempio delmodello fondato sul principio di ridistribuzione.La monetarizzazione dell‟economia ha alterato molti sistemi fondati sulla simmetria e lacentralità.

La circolazione dei beni è un fenomeno sociale poiché lo scambio, la distribuzione, l‟acquisto ela vendita di tali beni pongono in relazione tra loro individui e gruppi. Anche la produzione è unfenomeno che incorpora delle relazioni sociali. L‟idea risale a Karl Marx, il quale disseall‟interno de Il Capitale, opera del 1867, che un modo di produzione è determinato dallacombinazione di tre fattori: i mezzi di produzione, la manodopera e i rapporti di produzione.Questi ultimi sono la relazione sociale che articola la connessione tra mezzi di produzione emanodopera. Nell‟Alto Medioevo si sviluppò il modo di produzione feudale, dove la relazionesociale era quella signore-servo; nella società capitalista, nata con la rivoluzione industriale, larelazione sociale si riflette nell‟esistenza del lavoro salariato. 

2.2. L‟analisi antropologica delle forme di vita economica.L‟antropologia ha potuto accostarsi alle forme di vita economica secondo nuove prospettive,

seguendo queste linee guida. Molte società dell‟Africa e dell‟Asia sono state infatti studiate daun punto di vista che evidenzia alcuni aspetti centrali del processo produttivo inteso comefenomeno sociale: la natura dei mezzi di produzione, i loro possessori legittimi, la relazione chesi instaura tra possessori dei mezzi di produzione e quanti lavorano ecc… 

La comunità domestica.Esempi di questo approccio sono gli studi condotti negli anni Sessanta-Ottanta da antropologieuropei e americani sulle popolazioni dell‟Africa sub sahariana e del Sudamerica. Ad esempio,uno studio condotto dal francese Meillassoux sulla popolazione Gouro della Costa d‟Avorio(Africa occidentale), è rivolto allo studio di quale tipo di rapporti sociali determinassel‟orientamento economico all‟interno delle comunità agricole. Concentrò lo studio su ciò chechiamo „comunità domestiche‟, cioè gruppi di individui che contribuiscono allo svolgimento

delle attività di sussistenza di interesse comune.Secondo l‟antropologo, la comunità domestica si fonda su un accesso paritario di tutti gliindividui al mezzo di produzione per eccellenza, la terra. Tuttavia sono gli anziani a detenere ilcontrollo delle risorse; ma non si intende il controllo della terra e degli attrezzi, bensì l‟accessoalle donne è regolato dagli anziani delle varie comunità domestiche.Secondo Meillassoux, il controllo delle donne è il fattore-chiave da cui deriva il potere: le donnesono la risorsa fondamentale grazie alla quale gli individui possono diventare a loro voltaindipendenti, sposandole e avendo da loro dei figli. Poiché la circolazione delle donne è stabilitadagli anziani, la relazione sociale che determina il modo di produzione è il rapporto giovane-anziano. I giovani, dunque, una volta sposati debbono obbedire agli anziani e lavorare alle lorodipendenze.

In età coloniale e postcoloniale, le comunità domestiche di molti paesi africani sono divenute lerifornitrici di manodopera sia per le piantagioni che per le industrie, tanto in Africa quanto inEuropa. Ciò significa che il modo di produzione dominante nelle società tradizionali africane èentrato, a un certo momento, in un rapporto di articolazione e dipendenza da quello capitalista.

L‟articolazione dei modi di produzione comporta il progressivo coinvolgimento dei sistemilocali in sistemi più ampi e, molto spesso, una forma di dipendenza strutturale dei primi daisecondi. Molto spesso, queste trasformazioni possono risultare rapidi e rilevanti, in base aquanto il sistema locale sia in grado di difendersi dalla pressione esterna, magari imponendodivieti e tabù su certe pratiche percepite come minacciose (per esempio l‟esclusione del denaroda alcuni circuiti di scambio).È ovvio che se questa „economia dell‟affezione‟, così comunemente chiamata, è rivolta alla produzione per commercializzazione, all‟ottenimento di profitti e al reinvestimento di una partedi questi ultimi, molti sistemi economici sono sottosviluppati. L‟economia dell‟affezionecorrisponde invece a un modello produttivo e di scambio che può esistere accanto a quello

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basato sulla logica del mercato o che può rifiutare questo ultimo perché giudicato dagliinteressati intrusivo.

L‟articolazione tra sistemi e modi di produzione locali con l‟economia di mercato potrebbeessere definita come „struttura della dipendenza‟.

Razionalità e irrazionalità nell‟economia.  Nella tradizione occidentale anche l‟economia appare come un settore dell‟agire umanodominato dal calcolo e dal profitto. Questo è il motivo per cui molti occidentali si stupisconoancora del fatto che certi popoli scelgano soluzioni economiche che per gli occidentali talidavvero non sono. Si chiedono: che senso ha investire così tante risorse in feste in onore diqualche divinità antenato o santo? In Madagascar, ad esempio, la maggior parte delle famigliaspense molti soldi per organizzare periodicamente le feste che accompagnano la cerimonia del„cambio del lenzuolo funebre‟ ai propri morti, mentre in Birmania grandi risorse vengono spesein favore dei monaci buddisti e per il compimento di sacrifici animali.Pianificatori e consulenti ritengono che questi siano due esempi dell‟irrazionalità con cui moltepopolazioni del pianeta sembrerebbero comportarsi: invece di investire le risorse in attività che

potrebbero migliorare il loro livello di vita essi le sprecano devolvendole a scopi puramentesimbolici.Gli antropologi ritengono che questi comportamenti non possono essere giudicati„economicamente‟ irrazionali, in quanto rispondono al soddisfacimento di un bisogno da loroconsiderato primario.È anche vero però che non si può considerare razionale qualsiasi azione per il solo fatto cheviene rappresentata come tendente a un fine.

La razionalità economica dei Pigmei dell‟Ituri, Congo 

I Pigmei sono un classico esempio di società acquisitiva e sono stati a lungo oggetto di studio da parte degliantropologi.

Come nel caso di molte società acquisitive, anche i Pigmei vivono a contatto con i vicini agricoltori Bantu,entrando in „reti economiche‟ assai estese. Prima che il commercio dell‟avorio fosse vietato negli anni ‟60 del Novecento, i Pigmei erano tra i primiprocacciatori di questo materiale per il mercato europeo e orientale. Con questi agricoltori Bantu i Pigmeiintrattengono relazioni di scambio (baratto) grazie alle quali ottengono beni fondamentali per lasopravvivenza: scambiano i prodotti delle foreste ricevendo in cambio prodotti agricoli, oggetti ecc. Daquando la regione prospiciente a quella abitata dai Pigmei è stata colonizzata da altre popolazioni africane, èarrivata a conoscenza di questi popoli la monetarizzazione degli scambi.La popolazione dei Pigmei, nel corso degli anni, è raddoppiata e le attività commerciali, di conseguenza,hanno conosciuto un notevole incremento. Ma i Pigmei mantennero sempre il sistema del baratto perchéritenevano fosse in grado di assicurare un „tasso di scambio‟ stabile. Per questa popolazione non è tantointeressante ricavare dallo scambio un profitto, bensì ottenere beni d‟uso immediato. Questa scelta

economica li ha messi al riparo dalle fluttuazioni monetarie di un‟economia fortemente instabile e impoveritacome quella congolese.Inoltre la scelta è causa di un pensiero di carattere ambientale: importante è per i Pigmei mantenere unequilibrio socio-ambientale che l‟economia capitalista non ha, perché sfrutta le risorse naturali al fine diottenere il massimo profitto.

3.  Forme di vita politica.

3.1. Attività politica e organizzazione politica.Come già detto, invece di rappresentare il potere in termini di istituzioni o di ruoli politici,l‟antropologia ha imboccato la via che consiste nello studio degli aspetti dinamici del confrontopolitico, cercando di considerare quegli attori che, partecipando alla contesa, si rivelanointeressati al controllo delle risorse tanto materiali quanto simboliche. L‟attività politica è cosìl‟aspetto intenzionale del comportamento individuale e collettivo mediante il quale i singoli o igruppi manipolano le regole e le istituzioni vigenti nella loro società.

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Un‟organizzazione politica potrebbe essere pertanto considerata come l‟insieme delle regole,delle istituzioni e delle pratiche che contribuiscono a definire il quadro entro il quale si svolgel‟attività politica. Solitamente un‟organizzazione politica vede figure sociali particolari che rivestono determinatecariche (presidente, re, sacerdote ecc); vi sono però società in cui le cariche sono assenti. Inmolte comunità mancano ancora oggi apparati preposti a far rispettare le norme in manieracoercitiva. Ciò non toglie che siano presenti norme capaci di assicurare la coesione di un gruppoe il rispetto delle regole.Malinowski aveva individuato nella reciprocità il meccanismo capace di assicurare il rispettodelle regole in quelle società che alla sua epoca venivano chiamate „primitive‟; la parentela el‟età hanno costituito fattori importanti per assicurare il rispetto delle regole sociali. Anche lareligione può svolgere un‟analoga funzione coesiva: nell‟Europa feudale i privilegi della Chiesaerano mantenuti anche dal rispetto che tanto i signori quanto i membri delle comunità ruralidovevano ai pastori di anime, cioè ai sacerdoti.

La classificazione tipologica.Distinzione tra sistemi politici non centralizzati e sistemi politici centralizzati. All‟interno dei

 primi si può operare un‟ulteriore distinzione tra bande e tribù. All‟interno dei secondi si possonoinvece distinguere due forme principali: i potentati e gli Stati, questi distinguibili a loro volta inStati dinastici e Stati nazionali.

3.2. Stati non centralizzati.

-  LA BANDA. È stata ritenuta dagli antropologi la forma più elementare di organizzazione politica,probabilmente la più antica e oggi la meno diffusa. La banda è caratteristica infatti dei gruppicacciatori-raccoglitori nomadi. Possiamo definire l‟organizzazione politica della banda come unastruttura ristretta, informale e priva di una gerarchia decisionale.

-  LE SOCIETA‟ TRIBALI. Gli antropologi riservano l‟uso del termine „tribù‟ a un preciso tipo diorganizzazione socio-politica prevalentemente riscontrabile presso popolazioni agricole e\o pastorali.

In questo caso, i gruppi di discendenza sono formati da individui i quali, ritenendosi discendenti diun comune antenato, hanno uguale accesso alle risorse vitali e strategiche. Questa è una delle ragioni per cui tali gruppi sono detti „gruppi corporati‟. Le società tribali pongono grande enfasisull‟uguaglianza dei gruppi che le compongono, nonché sulla parità degli stessi individui che di taligruppi fanno parte. Nonostante le società tribali coltivino gli ideali dell‟uguaglianza edell‟autonomia individuale, i capi tribali sono quasi sempre scelti all‟interno di una qualche famigliache per tradizione detiene il privilegio di assegnare tale carica a uno dei propri componenti.

Usi e ambiguità del termine „tribale‟ 

La qualificazione di „tribale‟ è sempre stata, verso le società studiate dall‟antropologia, quella di sottolineareche si trattava di società fondate su principi organizzativi differenti da quelli della società europea. Oggi

alcune società attuali dell‟Africa e del Medio Oriente sono definite „società tribali‟. Il tribalismo, consideratocome la ricomparsa di forme di sopravvivenza e di relazione di tipo „arcaico‟ nel contesto della modernità,non risponde ad un „ritorno alla tradizione‟. Questo infatti è un concetto puramente inventato dagli stessipopoli al fine di legittimare differenze, competizione e conflitti con altri gruppi. In realtà i tribalismo sono ilprodotto dell‟antagonismo tra gruppi che tentano o di accedere alle risorse introdotte dai post colonialisti otra gruppi in lotta al fine di occupare posizioni politiche vantaggiose.

Lignaggi segmentari. Sono i gruppi di discendenza unilineari costitutivi di una tribù. Sono di fattodei gruppi corporati, ma prendono il nome di segmentari perché possono frazionarsi. Società tribalisegmentarie sono diffuse tanto in Africa quanto in Medio Oriente. I componenti si riconosconoidealmente come discendenti da uno stesso antenato; viene posta grande enfasi sulla parentelaconsanguinea. Questo scaturisce un‟ideologia egualitaria che tende a sottolineare il carattere paritariodi tutti i lignaggi segmentari.

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Stratificazione rituale. In molte società tribali dell‟Africa e del Medio Oriente esiste una distinzionetra lignaggi, la quale si riflette nella funzione politico-religiosa svolta da alcuni di essi. È possibile adesempio trovare alcuni individui che possono incarnare un‟autorità largamente rispettata. Tra i Nuer esisteva un personaggio chiamato „capo dalla pelle di leopardo‟ a cui si appellavano i contendenti opresso il quale si rifugiavano coloro che volevano sottrarsi alla vendetta di un gruppo offeso dalle proprie azioni. Questi capi „dalla pelle di leopardo‟ erano considerati ricettacoli di poteresoprannaturale.

Il Big Man. In società prive di lignaggi segmentari, i grandi uomini in questione sono figure un po‟anomale. Questi individui possono non avere alle spalle un forte gruppo di discendenza o nonappartenere a una famiglia di capi.

3.3. Sistemi centralizzati.

Lo Stato nazionale è una forma di organizzazione politica nata in Europa nel corso dell‟etàmoderna, e che ha avuto fortuna come poche altre nella storia. Attualmente, il modello delloStato nazionale domina il panorama politico del mondo attuale.

Prima degli stati: i potentati.L‟antropologia, a differenza della storia, è interessata allo studio delle trasformazioni sociali eculturali e, di conseguenza, alle trasformazioni dell‟organizzazione politica; studia anche comele strutture politiche di una volta siano scomparse o abbiano potuto trasformarsi a contatto diquelle degli Stati nazionali.Tra le forme di organizzazione che possono essere considerate antecedenti allo Stato gli studiosidefiniscono il cosiddetto „potentato‟: costituirebbe una specie di condizione politica intermediafra la tribù e lo Stato. Nella letteratura etnografica i potentati vengono presentati come entitàpolitiche comprendenti più gruppi spazialmente localizzati.Società politicamente organizzate sulla base di potentati così costituiti erano fino alla primametà del XX secolo presenti un po‟ ovunque: in Polinesia come nell‟Asia del Su-est, nell‟Africa

sub sahariana come in Medio Oriente.Dopo la colonizzazione, anche il potentato ha subito profonde modificazioni o è scomparso deltutto.

Gli Stati. Sono la forma di organizzazione politica oggi dominante e la sua presenza è lacaratteristica saliente della realtà politico-organizzativa planetaria attuale.Lo Stato possiede alcune caratteristiche peculiari, le principali delle quali sono: un‟autoritàaltamente centralizzata; un apparato burocratico-amministrativo sviluppato; la prerogativaesclusiva di emanare leggi; il monopolio della forza come mezzo per far rispettare le leggi sulpiano interno e come mezzo di confronto con entità ostili esterne.Le società organizzate su base statuale presentano:

-  un accesso alle risorse più differenziato che nelle forme di organizzazione politica considerate

sin qui;-  una stratificazione sociale accentuata;-  la sostituzione dei legami di parentela come criterio regolatore delle relazioni sociali con

rapporti di tipo impersonale.

3.4. Un racconto sulle risorse e sul potere.In un mondo sempre più globale, nel quale le risorse del pianeta sono sfruttate all‟infinito avantaggio di una minoranza dei suoi abitanti, ripensare il rapporto tra la gestione delle risorse egestione del potere significa, in un certo senso, riconsiderare il futuro stesso del genere umano.I miti hanno sempre la straordinaria capacità di fissare, in una storia, aspetti della condizioneumana; essi infatti non sono qualcosa che ci proviene dagli abissi dell‟inconscio, ma sono modiin cui gli esseri umani cercano di attribuire un senso alla propria condizione. Sono, secondol‟etimologia greca, dei racconti. Il racconto riportato, opera di un capo degli Yanomami, riflettela lucida consapevolezza che questo popolo ha del rapporto tra l‟uso delle risorse e il potere chele controlla. Anche se le figure del racconto sono fantastiche, esse corrispondono agli agenti

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responsabili dell‟accadere degli eventi che in esso sono descritti. Il racconto parla di come lospirito-vapore Xawara, rilasciato dal sottosuolo durante la ricerca dei minerali, porti ladistruzione per tutti, Yanomami e bianchi.