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1 Antropologia Forense L’antropologia biologica (un tempo definita come antropologia fisica) studia le caratteristiche morfologiche fisiche, la variabilità e l’evoluzione. L’antropologia comprende diversi discipline di studio, quali: _ la paleoantropologia (studio di reperti fossili e molto antichi), _ la primatologia (studio dei primati, nostri parenti non umani), _ l’osteologia, _ la bioarcheologia, _ l’antropologia genetica (studio della trasmissione dei tratti). _ l’antropologia forense (studio di reperti scheletrici recenti). Queste discipline spaziano dall’analisi di meccanismi biologici, alla base dell’evoluzione biologica, ai meccanismi di trasmissione genetica, permettendo un’analisi della variabilità e dell’adattabilità della specie umana. Dunque, l’antropologia è una disciplina di sintesi che si serve di metodi e teorie proprie di discipline diverse (principalmente la genetica) applicandole a questioni evolutive, a tematiche antropologiche. L’antropologia genetica è così in grado di fornire risposte a: o i processi evolutivi dell’uomo (perché siamo così oggi?), o la diaspora umana dall’Africa (OOA) (Come è avvenuta la popolazione al di fuori dell’Africa? Quando è avvenuta?), o la distribuzione geografica di varianti genetiche che dimostrano la quantità di variabilità (perché alcune popolazioni variano tanto e altre poco?), o il coinvolgimento bio-culturale nelle malattie complesse. Lo studio della medicina evolutiva è un nuova disciplina che vede malattie di oggi (sindrome metabolica, obesità) in chiave evolutiva, cioè non più come disadattamento evolutivo ma disadattamento ambientale: i geni avrebbero dunque un’interazione con l’ambiente che portano alla manifestazione di patologie disadattive. Differenze tra genetica umana e antropologia genetica Antropologia genetica Genetica umana Più ampia prospettiva bioculturale su interazioni genetiche e ambientali (interazione del genoma mano con l’ambiente). Lo studio non si concentra solo sui malati. Meccanismi e processi, specialmente in malattie. Studio della popolazione, dove i pedigree sono utilizzati per misurare la somiglianza familiare. Analisi di famiglie, gemelli e famiglie di gemelli; sempre collegati alla malattia. Quindi lo studio rimane rilegato a paesi industrializzati, in quanto aventi strutture ospedaliere in grado di diagnosticare e raccogliere informazioni circa la malattia. Studio di popolazioni piccole e isolate, spesso non occidentali. Ricerca di popolazioni mescolate il meno possibili (ricerca di pool genici). Es. uomini di popolazioni indigene del Perù non hanno problemi di prostata (può essere interessante dal punto di vista medico). Studio di una grande quantità di casi clinici presenti in aree urbane (ospedalizzate). Popolazioni culturalmente omogenee. Popolazioni eterogenee per motivi socio-economici, occupazione e stile di vita (i paesi industrializzati sono un insieme di genomi provenienti da aree diverse, es. emigrati). Campionamento rappresentativo della normale variabilità nella popolazione. Campionamento per diagnosi clinica (es. tutti i pazienti obesi). Attenzione nella caratterizzazione e nella misurazione dell’ambiente Le variazioni ambientali sono raramente considerate.

Antropologia Forense

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Antropologia Forense L’antropologia biologica (un tempo definita come antropologia fisica) studia le caratteristiche morfologiche fisiche, la variabilità e l’evoluzione. L’antropologia comprende diversi discipline di studio, quali: _ la paleoantropologia (studio di reperti fossili e molto antichi), _ la primatologia (studio dei primati, nostri parenti non umani), _ l’osteologia, _ la bioarcheologia, _ l’antropologia genetica (studio della trasmissione dei tratti). _ l’antropologia forense (studio di reperti scheletrici recenti). Queste discipline spaziano dall’analisi di meccanismi biologici, alla base dell’evoluzione biologica, ai meccanismi di trasmissione genetica, permettendo un’analisi della variabilità e dell’adattabilità della specie umana. Dunque, l’antropologia è una disciplina di sintesi che si serve di metodi e teorie proprie di discipline diverse (principalmente la genetica) applicandole a questioni evolutive, a tematiche antropologiche. L’antropologia genetica è così in grado di fornire risposte a:

o i processi evolutivi dell’uomo (perché siamo così oggi?), o la diaspora umana dall’Africa (OOA) (Come è avvenuta la popolazione al di fuori dell’Africa?

Quando è avvenuta?), o la distribuzione geografica di varianti genetiche che dimostrano la quantità di variabilità (perché

alcune popolazioni variano tanto e altre poco?), o il coinvolgimento bio-culturale nelle malattie complesse. Lo studio della medicina evolutiva è un

nuova disciplina che vede malattie di oggi (sindrome metabolica, obesità) in chiave evolutiva, cioè non più come disadattamento evolutivo ma disadattamento ambientale: i geni avrebbero dunque un’interazione con l’ambiente che portano alla manifestazione di patologie disadattive.

Differenze tra genetica umana e antropologia genetica

Antropologia genetica Genetica umana

Più ampia prospettiva bioculturale su interazioni genetiche e ambientali (interazione del genoma mano con l’ambiente). Lo studio non si concentra solo sui malati.

Meccanismi e processi, specialmente in malattie.

Studio della popolazione, dove i pedigree sono utilizzati per misurare la somiglianza familiare.

Analisi di famiglie, gemelli e famiglie di gemelli; sempre collegati alla malattia. Quindi lo studio rimane rilegato a paesi industrializzati, in quanto aventi strutture ospedaliere in grado di diagnosticare e raccogliere informazioni circa la malattia.

Studio di popolazioni piccole e isolate, spesso non occidentali. Ricerca di popolazioni mescolate il meno possibili (ricerca di pool genici). Es. uomini di popolazioni indigene del Perù non hanno problemi di prostata (può essere interessante dal punto di vista medico).

Studio di una grande quantità di casi clinici presenti in aree urbane (ospedalizzate).

Popolazioni culturalmente omogenee. Popolazioni eterogenee per motivi socio-economici, occupazione e stile di vita (i paesi industrializzati sono un insieme di genomi provenienti da aree diverse, es. emigrati).

Campionamento rappresentativo della normale variabilità nella popolazione.

Campionamento per diagnosi clinica (es. tutti i pazienti obesi).

Attenzione nella caratterizzazione e nella misurazione dell’ambiente

Le variazioni ambientali sono raramente considerate.

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Studio della normale variabilità in tratti complessi. Dicotomia tra malattia e sanità (solitamente si fanno confronti e studi su malati e sani, trovandone le differenze).

5-7 milioni di anni fa si ha la separazione della linea evolutiva umana dall’antenato comune tra noi e le scimmie antropomorfe (scimpanzé), detto LUCA (last universal common ancestor). Ogni disciplina antropologica è in grado di studiare caratteristiche più indietro nel tempo, rispetto alle altre.

La nuova sintesi

L’antropologia è una disciplina di sintesi in quanto richiede diverse modelli disciplinari per interpretare il dato puramente genetico o antropologico. Dunque, bisogna tenere conti di modelli della linguistica, dei processi culturali avvenuti nel tempo, di variabilità genetica e avvalersi di conoscenze di linguistica storica, preistoria. Sono necessarie altre discipline per interpretare i dati ottenuti. Infatti, nessuna di queste singole discipline è più importante di un’altra ma tutte concorrono a dare un’idea dei processi evolutivi passati. Ci si avvallerà di una disciplina rispetto ad un’altra in base al tipo di domanda biologica presa in considerazione (che cosa sto cercando). Confronti tra individui strettamente correlati, ad esempio della stessa specie, dovrebbero fornire la prova di processi evolutivi più recente. Lo studio dell’antropologia forense si basa su studi genetici effettuati su: _ genomi di individui, tramandati dagli antenati. _ DNA antico proveniente da resti fossili ben mantenuti, che può o meno essere stato tramandato ai discendenti.

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Microevoluzione e macroevoluzione Con il termine ”microevoluzione” si indica l’evoluzione che avviene all’interno delle specie viventi (genesi di varietà e di sottospecie) ed i processi di speciazione (nascita di nuove specie da specie ancestrali). Avviene in tempi più ristretti all’interno della stessa specie e ci si avvale della genetica di popolazione, per studiare il cambiamento delle frequenze genetiche. È lo studio della diversità genetica e della variabilità delle popolazioni odierne (nella specie) e lo studio delle forze microevolutive che causano le fluttuazioni delle frequenza, come deriva genetica, mutazioni, etc.

Con il termine “macroevoluzione”, si intende invece l’evoluzione su grande scala che, nel corso di circa quattro miliardi di anni, ha portato, dalle cellule primordiali, fino alla biodiversità attuale. Parliamo di macroevoluzione quando compariamo specie diverse (uomo, scimpanzé, gorilla), ricostruendo i rapporti evolutivi tra specie diverse attraverso la filogenetica molecolare. La filogenetica molecolare studia le relazioni evolutive tra i diversi organismi e tra geni e proteine e spiega modelli biogeografici.

Polimorfismi Le persone sono differenti tra loro, dunque anche i loro genomi sono diversi. Dal febbraio 2001 è stata disponibile la sequenza del genoma umano, anche se ottenuta da 4 genomi diversi ( a puzzle); nel 2007 è stata sequenziato completamente il primo genoma umano diploide; il genoma di Venter.

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Nel genoma di Venter vennero riscontrate delle variabili (30%) mai state riscontrate prima, quindi dal 2007 si ha il 30% di variabilità in più del genoma umano. Le varianti includono SNPs, delezioni, inversioni, inserzioni, duplicazioni segmentali e forme di variabilità più complesse del DNA. Prima che si studiassero i marcatori molecolari (dunque studio su marcatori classici, come gruppo sanguigno), la stima dei geni codificanti proteine era di 100.000; oggi sappiamo che sono 20.000- 25.000 dopo aver scoperto il ruolo fondamentale dello splicing alternativo e la presenza di DNA junk (spazzatura) Solo il 2% del DNA codifica per proteine. Nell’ambito del DNA genico, il 23,5% non è codificante (extragenico). Il DNA non genico (extragenico) comprende zone altamente ripetitive (anche il DNA genico ha ripetizioni ma molto meno rispetto a quello extragenico). Oltre al DNA nucleare, nella cellula è presente il DNA mitocondriale. Il DNA mitocondriale è molto importante nella biologia forense perché essendo presente in molte copie per cellula (in quanto presenti molti mitocondri in una cellula), può essere ricercato in reperti molto antichi dove il genoma è frammentato e degradato; dunque è molto usato in ambito forense e antropologico. Il DNA mitocondriale è di 1,65 Kb ed è formato da 16569 paia di basi. Dunque è un genoma molto piccolo ma informativo in ambito forense. Il junk DNA (non codificante) ha una funzione indiretta ed è importante evolutivamente perché ha un gran ruolo nelle dinamiche cromosomiche e nella loro struttura. In ambito forense- antropologico, si analizza la variabilità del genoma codificante o meno e il loro tasso di accumulo e mutazione. Quindi nel genoma si ricercano regioni variabili che conservano la variabilità nell’evoluzione, regioni che variano nel tempo e nello spazio, sia per ricostruire ciò che è successo in passato ma anche per effettuare una differenziazione spaziale nel mondo. Esistono due tipi di mutazioni:

1. Mutazione a singola base (SNPs = polimorfismo da singolo nucleotide). Ad esempio, una persona nella posizione X avrà la base G, mentre un’altra può avere C. Altro esempio, nel cromosoma Y c’è un’inserzione filogeneticamente molto antica, sulla cui base si può distinguere maschi positivi e maschi negativi. Questo tipo di pol imorfismo è detto anche biallelico perché i tri e i tetrallelici sono più rari.

2. Inserzioni o delezioni di uno o più nucleotidi : a. Inserzioni/ delezioni

Dal punto di vista statistico, sono sempre polimorfismi binari, cioè caratterizzati tramite un dato binario: ad esempio, nel gruppo 0 sono presenti gli individui che in una determinata posizione hanno CG; nel gruppo 1 tutti gli individui che non hanno CG.

b. Ripetizioni in tandem Sembra che la ripetitività del genoma sia ciò che predispone il DNA a questi riarrangiamenti localizzati tra repeat omologhi e che possa generare quindi questi polimorfismi da indel, cioè sembra che così tanto DNA ripetuto sia la causa di inserzione e delezione di nucleotidi.

Tutte queste ripetizioni in tandem sono definite anche VNTR (variable number tandem repeat). In base alla lunghezza del motivo ripetuto si distinguono:

Minisatelliti: da 1 a 6 ripetizioni. Sono stati i primi marcatori molecolari in ambito forense. Microsatelliti o STR (short tandem repeat): da 14 a 100 ripetizioni. Se il cromosoma è su un

cromosoma autosomico potrei ricavarne un fenotipo. Se il microsatellite è presente su cromosoma autosomico si potrebbe leggere come un fenotipo. Considero due cromosomi: uno è di origine paterna e uno materna; ad esempio nel cromosoma 1 c’è un locus che presenta repeat: sull’allele materno ci sono 4 repeat e nel paterno 2. Quindi il mio genotipo per quel locus è 4-2. Si possono descrivere genotipi anche per i cromosoma Y (in questo caso avrò solo un locus). Il genotipo e il numero di repeat è importante nella diagnosi di alcune malattia (sindrome X fragile, ecc.) perché n base alla quantità di repeat, un individuo sarà predisposto o no a quella malattia.

Le ripetizioni sono importanti dal punto di vista medico, in quanto se il numero aumenta possono insorgere malattie. I microsatelliti vengono identificati con sequenziatori automatici, ma anche con kit (specialmente in biologia forense) sia per cromosomi autosomici e cromosomi Y: in base alla lunghezza del micro satellite si avranno picchi diversi.

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I polimorfismi sono forme multiple e quindi non conservate; si trovano soprattutto nelle zone non codificate (introni). Si parla di polimorfismo quando esistono almeno 2 varianti e la variante alternativa ha almeno la frequenza dell’1%. Quindi si parla di polimorfismo quando due varianti coesistono. Ma le varianti non sono eterne: quando un allele si fissa, cioè diventa unico nella popolazione, si arriva al monomorfismo. Potrebbe diventare unico perché vantaggioso ma anche per effetto del caso. Inizialmente con i marcatori classici si potevano analizzare solo proteine polimorfiche che avevano subito mutazioni non sinonime (cambia aa). Le mutazioni sinonime non venivano studiate perché non rilevabili; oggi è possibile rilevarle (e quindi considerarle parte dello studio della variabilità) grazie ad analisi dirette della sequenza del DNA (PCR o sequenziamento, NO con elettroforesi). È possibile evitare il sequenziamento attraverso l’utilizzo di enzimi di restrizione, nel caso in cui il polimorfi smo sia di restrizione, cioè rilevato e rilevabile con un enzima di restrizione. Generalmente i polimorfismi di restrizione sono degli SNPs e sono distinguibili in dati binari: gruppo 0 quando l’enzima taglia (quando non c’è mutazione), gruppo 1 quando non taglia (se il sito di restrizione ha una mutazione, l’enzima non riconosce e non taglia). In biologia forense, il concetto di variabilità è strettamente legato al concetto di informatività: più un marcatore è variabile (in questo caso si parla di numero di ripetizioni) più è informativo. Il potere informativo e discriminante di una certo marcatore si possono calcolare. Variabilità tra specie L’omologia di genoma tra uomo e scimpanzè (specie più affine e vicina a quella umana) è del 96%; mentre tra uomo e uomo (variabilità intraspecie) è del 99,9%. Gli SNPs rappresentano il 90% della variabilità genetica umana. Tuttavia la maggior parte non da origine a cambiamenti fenotipici. I CNVs (copy number variations) sono variazioni nel numero di copie di un gene. Ad esempio, il gene per l’amilasi 1 ha avuto una notevole importanza nel corso dell’evoluzione umana in funzione degli shift nutrizionali (transizione neolitica). Modalità di eredità dei marcatori

Autosomici: ad ogni generazione si ha crossing over. Quindi è difficile stabilire se il cromosoma sia di origine materno o paterna.

Cromosoma Y: non subisce ricombinazione, quindi viene trasmesso in modo invariato da una generazione all’altra.

Mitocondriali: trasmesso dalla madre a tutti i figli (sia maschi che femmine), MA solo le femmine figlie lo trasmettono alle altre generazioni. Quindi se una donna ha solo figli maschi, la variabile mitocondriale si perde (perdita di variabilità).

Dunque i marcatori mitocondriali e del cromosoma Y sono uniparentali, non ricombinanti o detti marcatori di linea e mi permettono di riscostruire la storia di un cromosoma. I marcatori sono scelti in modo che siano sparsi su tutto il genoma. Esistono loci che permettono di individuare il sesso di una persona da una traccia biologica. Marcatori del DNA Si distinguono in:

Ad evoluzione lenta: SNPs e indel. È importante conoscere lo stato ancestrale degli SNPs, definito attraverso il confronto con un outgroup, cioè uno fuori dal gruppo, di un’altra specie (nel nostro caso, lo scimpanzé). Questi polimorfismi sono detti anche polimorfismi da evento unico perché hanno tasso di mutazione bassissimo (10-9) e perché l’evento di mutazione è avvenuto una volta sola nel corso dell’evoluzione di quel cromosoma. Per le indel il tasso di mutazione è inferiore (10 -

11). Anche le sequenza Alu sono eventi unici e quindi si conosce lo stato ancestrale facendo inferenze di tipo evolutivo.

Ad evoluzione rapida: microsatelliti e minisatelliti. Una stessa variante si può presentare più volte, per cui ci possono essere eventi di omoplasia, cioè eventi in cui si presenta la stessa variante.

Il tasso di mutazione μ non è costante lungo il genoma e varia proprio in funzione della caratteristi ca dei marcatori.

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In ambito forense, sono più importanti gli SNPs e gli STR perché hanno diversi pattern di mutazione. Gli indel hanno tasso di mutazione bassissimo quindi si può escludere la presenza di alleli ricorrenti e retromutazioni: ogni volta che si verifica una mutazione si genera un allele nuovo. Quindi il modello di mutazione proposto è quello a siti infiniti che esclude l’omoplasia, cioè la presenza di alleli ricorrenti perché sono avvenute retromutazioni. Per quanto riguarda i microsatelliti e i minisatelliti si parla di modello di mutazione stepwise. Facendo un esempio: si hanno 4 TCA ripetuti e la mutazione può causare la presenza di 5 TCA (aggiunta di una) o 3 TCA (perdita). Dunque la mutazione avviene o per perdita o per aggiunta di una ripe tizione. In altre parole, l’allele 14 potrebbe mutare in 15, ma questo potrebbe retromutare in 14 causando un evento di omoplasia. In questo modello non si può escludere l’evento di omoplasia perché i ministaelliti e i microsatelliti sono molto variabili e variano molto velocemente. Questo modello prende in considerazione mutazioni a singolo step e le chiama +1; -1, quindi riguarda un incremento e un decremento ugualmente probabili, indipendentemente dalla lunghezza e dal numero di ripetizioni. Dunque non è più probabile che l’allele 14 evolva in 15 o 13 rispetto all’allele 5 in 6 o 4. Su ogni cromosoma, si avrà una combinazione di ripetizioni di diversi di microsatelliti e queste verranno ereditate tutte assieme, al completo. Ci possono essere mutazioni ma sostanzialmente la combinazione rimane la stessa. Con gli SNPs si avrà meno probabilità di trovare variabilità. Studiare i marcatori con un elevato tasso di mutazione è molto informativo dal punto di vista forense. I marcatori più stabili danno informazione sull’area geografica di appartenenza di un individuo. Filogenesi Effettuare una filogenesi significa vedere i rapporti evolutivi tra specie diverse, in ambito di macroevoluzione, o all’interno della stessa specie, in microevoluzione. Sfruttando le sequenze geniche e le linee genetiche, si è in grado di studiare la filogenesi microevolutiva dell’uomo: ad esempio attraverso marcatori non ricombinanti. La coalescenza è quel fenomeno per il quale due linee genetiche tracciate indietro nel tempo riportano ad una antenato comune. Per antenato non si intende necessariamente un individuo ma una linea genetica; ad esempio, dai cromosomi Y di due maschi riesco a risalire al cromosoma Y ancestrale comune. È possibile dunque risalire alla linea comune più recente, cioè campionabile tutt’ora perché ancora facente parte della variabilità attuale. La teoria della coalescenza è una teoria matematica che sottende la distribuzione attesa di quanto tempo è necessario andare indietro nel tempo per trovare un antenato comune nella popolazione di studio. In genetica umana, gli alberi genealogici sono costituiti da individui ma anche da linee genetiche, in quanto è possibile applicare il principio della coalescenza a linee genetiche. Quindi è possibile ricostruire, partendo da una distribuzione attuale, come nel corso del tempo le linee genetiche si sono intrecciate tra loto e sono arrivate a coalescenza (si sono unite) fino ad arrivare ad una linea antenata genitrice. Quindi la genetica umana studia dal passato al presente e la trasmissione dei caratteri; mentre lo studio di popolazioni si basa sulla raccolta dei dati presenti (attuali) e indaga nel passato, andando indietro nel tempo (questo studio è alla base degli studi macroevolutivi di specie diverse). Per gli studi microevolutivi (umani) è necessario anche fornire un outgroup (di altra specie) conoscendo però il tempo della separazione. Radicare un albero significa inserire un outgroup e quindi che ci sia una radice, un’origine ben precisa in fatti di tempi. Per la specie umana, l’outgroup è lo scimpanzé e il suo genoma. Il tempo di separazione si stima conoscendo il tasso di mutazione di una sequenza analizzata (diverso per introni e esoni, e calcolato in base all’analisi del pedigree) e sapendo che il tempo di una generazione viene fissato a 25- 30 anni. La teoria della coalescenza è un modello di evoluzione attraverso il quale è possibile fare genealogie di famiglie e individui, ma anche di linee genetiche. Dai dati reali ottenuti in laboratorio, si stimano i parametri e si confrontano i dati ottenuti con quelli previsti dal modello. Come tutti i modelli, esistono assunzioni: la trasmissione ereditaria viene trattata indipendentemente dal processo di mutazione. Ad esempio nello studio della genealogia materna di un gruppo di individui, si considera il DNA mitocondriale; quindi due

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individui possono avere 2 madri diverse o la stessa, in quest’ultimo caso la loro linea coalesce (l’antenato comune è la mamma). Se dei loci non sono neutrali, vuol dire che sono sotto selezione. Neutrali invece vuol dire che non sono stati posti a pressioni selettive. Negli studi degli alberi genealogici si assumono le stesse condizioni di Hardy - Weinberg: accoppiamento casuale, dimensione della popolazione costante, generazioni non sovrapposte (vedi più avanti). Il tempo di studio è quel lasso di tempo tra il presente e l’antenato comune più recente. In una popolazione diploide di dimensione costante, con 2N copie per ciascun locus (N = numero degli individui) ci sono 2N potenziali genitori nella generazione precedente. Così la probabilità che due alleli coalescano, cioè condividano lo stesso antenato, è 1/2 N; la probabilità che l’antenato comune non ci s ia è 1 – ½ N. Ogni genealogia, andando indietro nel tempo, viene necessariamente ricondotta ad uno solo, cioè all’antenato comune più recente. Se si prende una popolazione con N costante, N donne hanno una madre tra le N donne della generazione precedente. Quindi la probabilità di coalescenza è 1N perché consideriamo il DNA mitocondriale; prima era ½ N perché si considerava una popolazione diploide. Quindi la probabilità, indicata come P(N), che N alleli abbiano N antenati distinti nella generazione precedente, diminuisce con li diminuire del campione popolazione. Ovviamente più numerose sarà una popolazione, maggiore è la probabilità di coalescenza. Quindi la probabilità varia in funzione di N. La teoria del coalescente fornisce un modello di evoluzione basato sull’indipendenza tra processo genealogico e processo mutazionale. Nelle popolazioni umane si possono individuare le regioni variabili del genoma e studiare le differenze a livello delle frequenze di determinate varianti del nostro genoma (marcatori microsatelliti, snps, ecc.). Queste variazioni sono date da fattori microevolutivi, cioè da fattori che producono variabilità all’interno di una specie, e sono:

mutazione flusso genico

deriva genetica

selezione Sono dunque fattori microevolutivi cioè concorrono a produrre microevoluzione, cioè variabilità di frequenze geniche. I fattori interagiscono fra loro ed agiscono simultaneamente nel determinare la struttura della popolazione e vedere da quali componenti genetiche essa è formata. Proprio perché nel nostro passato tutta la nostra storia è stata data da migrazioni, mescolamenti, ricombinazione, nel nostro genoma sono presenti diversi componenti diverse che possono strutturare ciascun individuo e tutta la popolazione in un certo modo: più omogenea o più eterogenea, più vicina in frequenza geniche a popolazioni europee o di qualche altro continente. La struttura genetica nella popolazione è il risultato della storia evolutiva: partendo dall’individuo attuale si esegue un percorso inverso per ricostruire la storia evolutiva (microevolutiva). La variabilità attuale è diversa da quella presente 100 anni fa e da quella futura. Quindi si analizzano combinazioni di frequenza in determinati geni; la struttura genetica è il risultato di quello che è avvenuto nel passato e viene analizzata utilizzando marcatori genetici, che per essere tali devono essere polimorfici (variabili), presentandosi almeno in 2 o più forme alleliche note. Un marcatore genetico è un qualsiasi sito, che per il fatto di esistere in almeno due forme alleliche note, si presta ad essere studiato con un’analisi genetica, cioè attraverso la trasmissione dei suoi alleli da parte degli eterozigoti. Un marcatore genetico che possa essere utile in campo forense deve essere molto informativo e cioè molto polimorfico (tante variabili per es. microsatelliti perché hanno il tasso di mutazione elevato e ciò vuol dire che con il passare del tempo hanno accumulato molte varianti) . I marcatori polimorfici sono molto importanti per il CODIS INDENTIFY dell’FBI che si basa su calcoli statistici.

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Il grado di eterozigosità (H) è un parametro che indica la percentuale di eterozigoti per un marcatore, cioè la sua variabilità all’interno della popolazione. Inciso: l’85% di tutta la variabilità risiede all’interno della popolazione, mentre è bassa fra pop olazioni diverse (circa 5%). Dunque, l’efficienza è

direttamente proporzionale al grado di eterogeneità tra popolazioni (cioè a quanto queste popolazioni si differenziano per quel marcatore).

inversamente proporzionale al grado di eterogeneità all’interno della popolazione cioè al suo grado di eterozigosità.

Bisogna sapere la variabilità interna alla popolazione ma anche i tassi di mutazione per capire se un marcatore è più o meno variabile, dunque più o meno efficiente. I polimorfismi genetici o marcatori possono essere utili: _ a fini medico- legali, per identificare un sospetto o la paternità. _ a livello popolazionistico antropogenetico. _ a scopi clinici, per consulenze genetiche o diagnosi prenatali. Il medico legale e l’antropologo utilizzano marcatori naturali, in quanto più indicativi per ricostruire la storia rispetto ai marcatori sottoposti a pressione selettiva: si cercano marcatori non sottoposti a pressione quindi se hanno accumulato variabilità l’hanno fatto perché è passato più tempo. Popolazione umana La demografia è interessata al numero, alla struttura e a come si distribuiscono gli individui. In biologia, la definizione di popolazione è definita dal punto di vista genetico e viene a costituire l’unità dell’evoluzione biologica, e attraverso gli individui di una popolazione si ottiene l’unità. Dunque, la popolazione è vista in un’ottica mendeliana e in genetica è definita deme. Il deme è un gruppo riproduttivo di individui interfecondi che condivide un pool genetico comune. Quindi la popolazione è un raggruppamento spazio- temporale: insieme di individui di età diversa circoscritti in un’area geografica (distribuzione nel tempo) e nel tempo che condividono lo stesso pool genico anche se non appartengono allo stesso gruppo riproduttivo nonostante siano presenti nella medesima località. Gli individui all’interno della popolazione condividono: _ cultura e abitudini. _ storia. _ vicinanza geografica (area). _ regole sociali e valori che dettano gli accoppiamenti e che implicano un certo tipo di costituzione di una popolazione (ad es. accoppiamento fra cugini). Nello studio di una popolazione bisogna inoltre ricostruire la struttura della popolazione analizzando le componenti e le variazioni sincroniche e diacroniche delle frequenze. Le componenti sincroniche sono quelle che variano nello stesso tempo, momento (è come una fotografia di una situazione attuale). Le componenti diacroniche variano invece nel corso del tempo (in molti anni); ad es. combinazioni di frequenze di certe linee avvenute in 100, 1000 o più anni. Questa distinzione spaziale della variabilità non è casuale: è una distribuzione che riflette una storia. Dunque è uno strumento per capire cosa è avvenuto attraverso anche l’utilizzo di altre discipline. Diversamente dallo studio della genetica di piante e animali, lo studio della genetica umana non può utilizzare incroci sperimentali perché gli accoppiamenti sono basati su una scelta consapevole e spontanea del coniuge. Per studiare la genetica umana, si utilizzano dati relativi al le famiglie, ai coniugi, ai figli e attraverso l’ereditabilità sfruttando le leggi di Mendel (sempre considerando che l’accoppiamento sia casuale e non forzato; così si è in grado di studiare le frequenze e il comportamento genico) . In questo modo si è in grado di elaborare modelli e capire quanta variabilità e come si evolve (variazione della diversità) nel corso del tempo. Dunque tutta la popolazione mondiale è strutturata in popolazioni mendeliane studiate attraverso astrazioni (popolazione mendeliane = modello astratto).

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Le popolazioni mendeliane, cioè i demi, sono sottopopolazioni, cioè gruppi di individui di una stessa specie che vivono in un’area geografica sufficientemente ristretta da permettere l’incrocio. infatti tramite le leggi di Mendel si riesce a spiegare la distribuzione delle frequenza genotipiche e alleliche nella progenie. Nella genetica di popolazione si applica la genetica mendeliana (leggi di ereditabilità) ai demi, utilizzando il modello del pool genico:

un locus genico con una coppia di alleli, dove con 2N indichiamo il numero di copie di un gene in una popolazione di N individui.

Il pool genico può essere inteso anche come pool gametico (gameti maschili e femminili) dal quale sono campionati gli zigoti della generazione successiva.

P e q sono le frequenze dei 2 alleli A e a

Le frequenze si calcolano dal numero dei genotipi parentali e poi si presuppone che non ci sia alcuna differenza tra maschi e femmine.

Equilibrio di Hardy- Weiberg Normalmente si presume che le popolazioni siano in equilibrio di Hardy- Weinberg. Nel modello di Hardy- Weinberg si presume che se determinate condizioni sono rispettate, le frequenze genotipiche e alleliche non cambiano nel corso delle generazioni. Ciò significa che le frequenze ricavate nelle generazion i parentali siano uguali nella progenie (NO evoluzione). Le condizioni (assunzioni) sono:

o Organismo diploide a riproduzione sessuata. o Generazioni non sovrapposte (no accoppiamenti di un individuo con uno della generazione

precedente). o Unione casuale. o Popolazione grande. o Mutazione, ricombinazione e migrazione trascurabili. o Mortalità e fertilità indipendenti dal genotipo.

Se tutte queste condizioni sono rispettate, la popolazione è in equilibrio di Hardy- Weinberg, cioè non evolve e quindi le frequenze genotipiche e alleliche sono costanti nel corso delle generazioni. Se queste condizioni non sono rispettate si avrà:

Inbreeding, unione non casuale, cioè accoppiamento fra consanguinei o preferenziale. Popolazione piccola, con effetto di deriva genetica (quando si esegue il campionamento, non

potendo disporre di infiniti individui, si cerca di scegliere un campione rappresentativo cercando di evitare la deriva).

Migrazione (quindi flusso genico). Mutazione.

Mortalità e fertilità dipendenti dal genotipo, cioè alcune genotipi comportano dei vantaggi e quindi sottoposti a selezione. Se tutti i genotipi hanno la stessa probabilità di riprodursi e di lasciare discendenti, allora vuol dire che non c’è selezione naturale.

Assunzioni Forze microevolutive

1. Unione casuale Inbreeding 2. Popolazione grande Deriva genetica

3. Popolazione isolata (migrazione trascurabile) Migrazione 4. Mutazione trascurabile Mutazione

5. Mortalità e fertilità indipendenti dal genotipo Selezione

La deriva genetica è un fattore microevolutivo di tipo stocastico, casuale che interviene sia in popolazione grandi che piccole. È un processo stocastico di campionamento di gameti da una generazione a quella successiva. Ad esempio, partendo da una situazione di parità numerica di allele A e a (50%), in modo casuale in 5 generazioni si riesce a perdere il polimorfismo ave ndo così gameti di un solo tipo (monomorfismo).

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La deriva è importante perché la maggior parte dei marcatori utilizzati nel campo forense sono neutrali, mentre la deriva è la maggior responsabile di cambiamenti in piccole popolazioni non adattative, dunque è il fattore microevolutivo responsabile dei cambiamenti di tipo non adattativo. La deriva ha molta importanza per la conservazione, in quanto riduce la diversità. L’effetto della deriva è che a lungo andare tenderà in modo casuale a fissare un allele e a perderne un altro. Ciò avviene in funzione del numero di individui della popolazione: ciò spiega perché nelle piccole popolazioni è più marcatala perdita di variabilità e nello stesso tempo è anche causa della comparsa di patologie. Infatti, gli alleli patologici sono rari ma in caso di deriva possono diventare comuni. Dunque la deriva riduce la variabilità genetica dentro la popolazione. Il collo di bottiglia è un fenomeno associato alla deriva genetica ed è una riduzione drastica della popolazione che permette il passaggio di pochi alleli alle generazioni successive. I pochi alleli rimasti e quindi le poche persone rimaste aumenteranno la loro numerosità col tempo, aumentando la frequenza di quei pochi alleli, rispetto alla popolazione di partenza (si ha perdita di variabilità dalla generazione iniziale). L’effetto fondatore è un fenomeno caratterizzato dalla perdita di varianti alleliche, con distribuzione molto elevata solo di un tipo di variante. L’effetto del flusso genico (e quindi della migrazione) è l’aumento della variabilità all’interno della popolazione (è il contrario della deriva) e riduce la differenza tra popolazioni (mentre la deriva aumenta). Esistono diversi modelli teorici dell’azione del flusso genico:

Ad isole. Si ignorano le differenze e quindi tutte le popolazioni possono scambiarsi individui (migranti) indipendentemente dalla distanza (anche se nelle popolazioni umane, la distanza è un fattore importante). Quindi le relazioni geografiche tra demi vengono ignorate.

Ad isolamento per distanza che tiene conto delle relazioni geografiche e il numero di migranti (m) proporzionale alla distanza. È un modello più realistico, in cui le popolazioni vicine si scambiano maggiormente migranti e quindi sono più affini, simili, perciò a pochi chilometri ci saranno somiglianze genetiche maggiori mentre a più chilometri più differenze. La distanza si misura attraverso un indice che varia da 1 a 0: più è vicino a 0 più le popolazioni sono simili geneticamente, più è vicino a 1 maggiore sono le differenze; quindi la differenza è proporzionale alla distanza e l’indice aumenta in funzione della distanza.

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Mutazione, ricombinazione e flusso genico fanno aumentare la diversità genica, mentre la deriva genetica la fa diminuire. La selezione può sia aumentare che diminuire in funzione del locus analizzato; quindi la selezione è locus o contesto specifica. Studi su marcatori classici nella genetica forense Il primo polimorfismo scoperto è il sistema AB0 agli inizi del ‘900 e nel 1919 uscì la prima mappa di distribuzione di frequenze dei tipi AB0 nel mondo, mostrando zono con distribuzione diversa. Nel Sud America lo 0 è comune e non è un polimorfismo perché quasi tutti gli individui sono di tipo 0 (90-100%). NB: il tipo 0 è un carattere recessivo; quindi nel locus sono presenti due alleli dominanti (A e B) e uno recessivo, per cui esistono 6 possibili genotipi, in cui sono presenti 95 varianti e 42 popolazioni con una grande mole di dati. Per semplificare la mole di dati, senza perdere informazioni Cavalli- Sforza utilizzarono componenti principali. Dunque la componente principale riassume e sostituisce un enorme dato di frequenze e varianti di una o più popolazioni. Le CP sono state utilizzate da Cavalli- Sforza per lo studio dello sviluppo dell’agricoltura in Europa. Con l’analisi delle componenti principali sono state descritte diverse mappe: _ la prima mappa ha alta corrispondenza con le datazioni archeologiche eseguite con il radio- carbonio che mostrano l’antichità dei siti dello sviluppo dell’agricoltura in Europa. Analizzando i geni si ritrova lo stesso gradiente dove è presente un nucleo accentuato nel punto di origine dell’agricoltura: questo pattern di variabilità spiega la diffusione unidirezionale dell’agricoltura con gradiente sudest -nordovest. _ la seconda mappa analizza la variabilità spiegata dalla seconda CP (spiegazione della variabilità residua): il centro non è più in Africa ma la Lapponia. Questo potrebbe essere interpretato come un gradiente nord- sud e spiegato con l’adattamento al freddo o la distribuzione delle famiglie di lingua uralica. _ la terza mappa ottenuta con la terza CP (variabilità non spiegata dalla prima e dalla seconda) mostra un picco nella Germania orientale; quindi c’è una corrispondenza elevata con datazioni archeologiche che dimostrano la diffusione di pastori nomadi di lingua indoeuropea a partire dalle steppe euroasiatiche (circa 6000- 4500 anni fa). NB: i dati relativi alla Sardegna sono stati esclusi dall’analisi perché ha peculiarità genetiche non rappresentative della varianza totale europea (ad esempio mutazione H26 sull’Y, tipica sarda). A questi studi si nota una coevoluzione tra gene e cultura. Ad esempio si nota che le popolazioni africani sono tolleranti al lattosio e hanno una mutazione diversa rispetto agli europei; la pressione selettiva (mancanza di acqua) può aver portato allo stesso genotipo in modi diversi: convergenza evolutiva o evoluzione gene- cultura. Marcatori genetici molecolari Polimorfismi del cromosoma Y e del DNA mitocondriale A partire dal1986, con la scoperta della pcr, non si studiarono più i polimorfismi da proteine o enzimi ma direttamente il DNA. Gli studi si possono effettuare su: _ genoma nucleare (cromosomi autosomici e somatici). _ genoma mitocondriale. Con i cromosomi autosomici, si possono studiare loci ricombinanti (diploidi), mentre con marcatori di linea (DNA mitocondriale per la linea materna e cromosoma Y per la linea paterna) si studiano loci non ricombinanti (aploidi) però trasmessi sempre uguali da generazione a generazione perché non ricombinano. Sfuggendo alla ricombinazione sono utilizzati per costruire alberi genealogici. La distribuzione geografica dei geni è importante perché rispecchia la storia delle popolazioni e la storia di una mutazione; dunque la filogenesi delle linee storiche si ottiene studiando mutazioni di popolazioni: si fa una storia di linee genetiche (chi h avuto quella mutazione, chi l’ha trasmessa). Dal fondatore, ogni mutazione causa la formazione di linee genetiche; perciò da una popolazione fondatrice dopo 5 generazioni si avranno popolazioni diverse. Ogni linea ha una distribuzione geografica precisa, ad esempio una linea può essere più diffusa in un posto piuttosto che un’altra, quindi presumibilmente avrà avuto origine da quella popolazione. Nell’ambito forense e nei reperti antichi, il DNA mitocondriale è di elezione perché è presente in molteplici copie, anche se è un genoma piccolo (tanti mitocondri per cellula e tanti DNA per mitocondrio).

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Attraverso l’analisi del DNA mitocondriale e del cromosoma Y è possibili costruire mappe di frequenze mondiali di mutazioni, che identificano a loro volta aplogruppi (vedi dopo).Gli aplogruppi del cromosoma Y sono identificati di determinate aree geografiche: _R1B è tipico dell’Europa occidentale; _J in medio oriente con andamento da est a ovest: ciò può essere interpretato come una diffusione di questa linea secondo un cline (gradiente decrescente o crescente) di frequenza decrescente da sud-est a nord- ovest. È possibile ipotizzare che J sia insorta più recentemente in periodo neolitico e portata con flusso genico dagli agricoltori neolitici in Europa (c’è in dubbio se il nostro pool genico paleolitico s ia stato completamente sostituito dall’ondata di agricoltori neolitici). Genoma mitocondriale Il DNA mitocondriale è circolare, piccolo con alta densità di geni e ha alta differenza nucleotidica all’interno della specie umana. Il DNA mitocondriale paterno è in quantità inferiori, inoltre esiste un sistema di degradazione nell’ovulo del DNA mitocondriale paterno (100.000 copie negli oociti e 50-75 nello sperma). Dunque è un marcatore di linea materna. Il mtDNA ha un tasso di mutazione maggiore di 10- 20 volte rispetto a quello nucleare; quindi si riesce ad andare più indietro nel tempo perché nella stessa unità di tempo ci sono più mutazioni: più variabilità e più alto potere di risoluzione. Inoltre il mtDNA ha diversi tassi di mutazione nelle sue 2 diverse regioni: _ 10 volte maggiore del genoma nucleare nella regione codificante. _ 100 volte maggiore del genoma nucleare nella regione non codificante ad alta variabilità HVR1 (HVR = hypervariable regione). La regione codificante codifica per 37 geni e quindi enzimi importanti per la respirazione cellulare, come ATPsintasi, citocromo ossidasi, coenzima Q e NADH deidrogenasi. Dunque, avvengono meno mutazioni perché ci sono geni importanti alla funzione della cellula. La regione non codificante è detta regione di controllo, regione d-loop o HVR. È lunga 1122 bp, è molto variabile ed è suddivisa in altre regioni: HVR1 (che va dalla posizione 16024 a 574), HVR2 e HVR3, dove la 1 ha tasso di mutazione maggiore della 2, e la 2 più della 3. Nel 1981 si ha il primo sequenziamento completo del mtDNA e successivamente nel 1999 fu corretta, e a tutt’oggi si quest’ultima come riferimento negli studi di popolazione: per questo viene chiamata Cambridge Reference Sequence (CRS). Le due regioni del mtDNA sono utilizzate negli studi di popolazione:

Regione d-loop. Sequenziata direttamente, quindi si fa un’analisi diretta e in particolare della regione HVR1. L’insieme delle mutazioni nella regione d-loop rispetto alla CRS va a formare l’APLOTIPO, che è una combinazione di loci ereditati in blocco. Ad esempio, se una persona ha una C nella posizione 16224, al posto della G (come è nella CRS) e una C in 16311 (G in CRS) avrà un determinato aplotipo. Questo aplotipo farà parte di un aplogruppo in base alle mutazioni presenti nella regione codificante.

Regione codificante. Più stabile: avvengono meno mutazioni. Si ricercano solo gli RFLPs (SNPs riconosciuti da un enzima di restrizione, quindi detti polimorfismi di restrizione). Lo studio degli RFLPs identifica linee monofiletiche dette anche APLOGRUPPI. L’aplogruppo è un insieme di aplotipi con mutazioni caratterizzanti nella regione codificante.

Parliamo di mutazioni caratterizzanti, perché alcune possono comuni a più linee e quindi inutilizzabili nello studio. È possibile avere diversi individui che differiscono per mutazioni nell’aplotipo ma che nella regione codificante hanno tutti la stessa mutazione appartenente allo stesso aplogruppo. L’aplogruppo viene definito dalle mutazioni nella regione codificante ma è possibile predire l’ aplogruppo grazie al sequenziamento della regione d-loop se vengono trovate mutazioni caratterizzanti negli aplotipi perché esclusive. Eteroplasmia: aplotipi multipli nello stesso individuo. Omoplasmia: un solo di mtDNA nello stesso individuo. Omoplasia: pattern uguali da mutazioni ricorrenti e ricombinazione, che possono avere effetti simili nel generare variabilità. Si può avere una stessa distribuzione su certe linee per fenomeni di omoplasia anziché essere filogeneticamente legate.

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Il FILOTREE è un albero genetico, il cui database viene aggiornato ogni 6 mesi che attualmente contiene 9439 sequenze complete di DNA mitocondriale. È inoltre presente un albero complessivo che rappresenta la filogenesi mitocondriale umana; nella radice del ramo più lungo è presente la linea mitocondriale più recente che ha lasciato variabilità ed è arrivata fino a noi. È possibile andare a vedere l’origine di certe linee e i tempi di origine. Ad esempio, la linea L3 ci fornisce l’ipotesi più accertata di uscita dell’uomo de ll’Africa dopo esserci rimasto per 140-110 anni: in questo periodo si è sviluppata una variabilità interna al continente africano.

Cromosoma Y Ha un DNA lineare di 50- 60 Kb con bassa densità di geni rispetto al mtDNA. Scarsa diversità nucleotidica all’interno della specie umana. È nel nucleo, perciò è difficile andare ad analizzarlo nei reperti , inoltre è l’unico cromosoma aploide perché quasi il 95% dell’Y non ricombina, ad eccezione delle regioni pseudoautosomiche PAR1 e Par2 che permettono la ricombinazione con il cromosoma X: l’unica fonte di cambiamento lungo le linee sono mutazioni casuali che si sono accumulate nel tempo. I marcatori utilizzati sono:

o SNPs e indel: marcatori ad evoluzione lenta (tasso di mutazione 10-6- 10-8), quindi la loro mutazione si trasmette per più generazioni rimanendo costanti. Definiscono gli aplogruppi, che vanno a formare gli alberi filigenetici.

o Microsatelliti (STR) e minisatelliti: marcatori ad evoluzione rapida (tasso di mutazione 10-2-10-3) e cambiano da individuo a individuo. Definiscono gli aplotipi, che vanno a formare i network.

Riassumendo, per il cromosoma Y:

L’aplotipo è dato dallo studio degli STRs ed è la combinazione degli stati allelici (numero di ripetizioni) per un set di marcatori polimorfici (loci STRs) associati alla stessa molecola di DNA (per esempio un cromosoma o una regione cromosomica).

L’aplogruppo è dato dallo studio degli SNPs ed è l’insieme delle linee monofiletiche identificate sulla base della condivisione di specifiche mutazioni per marcatori biallelici (SNPs) a lenta evoluzione.

Nella genetica forense (identikit) si valutano 17 marcatori STR, dove il numero di ripetizioni ci definisce l’aplotipo. Per quantificare le ripetizioni si utilizza l’Yfiler Allelic Ladder: per ogni locus esiste un range di possibili ripetizioni (ad esempio un STR può essere presenti da 15 a 19 copie) e ad ognuna corrisponde un picco. Ad esempio, il locus DY9456 può avere STR composti da 13, 14, 15, 16, 17 o 18 copie, dove ogni

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numero di ripetizione è indentificato con un picco nella ladder. Dall’analisi del cromosoma Y del sospettato troverò un solo picco: dal numero corrispondente al picco definiscono l’aplotipo per quel locus. Si può consultare il sito YHRD, un database di aplotipi dove si inserisce il numero di ripetizioni degli STRs (17 loci) e il database trova il match specifico se esiste, altrimenti l’aplotipo più simile a quello cercato. Per l’identificazione dell’aplogruppo (più stabile) si utilizzano 10 SNPs del cromosoma, analizzati con una multiplex pcr, con una tecnica chiamata minisequenziamento che visualizza gli SNPs separati e in colori diversi in funzione dell’allele. Oltre all’analisi diretta: _ si può cercare l’aplotipo geograficamente nel mondo inserendolo in un database (si possono cercare anche gli aplotipi simili). _ si può fare un’analisi gerarchica (ricerca a tappe). L’aplogruppo può essere predetto con studi statistici e algoritmi di calcolo in base agli aplotipi dati da Y - STRs. Esiste un sito, haplogroup predictor che usa questo modello matematico. La combinazione dell’aplotipo può appartenere a un aplogruppo con una certa percentuale di probabilità, che deve essere alta per poter considerare l’aplotipo appartenente a quell’aplogruppo. Se la percentuale è bassa (sotto l’80%) si fanno altre Multiplex pcr per vedere le altre mutazioni in radice (ancestrali) per vedere se realmente appartiene a quell’aplogruppo; dunque la ricerca avrà bisogno di un livello di risoluzione maggiore per poter affermare l’appartenenza.

Colore degli occhi Il colore degli occhi è determinato dalla quantità di melanina presente nel tessuto epiteliale e nello stroma dell’iride e anche dalla densità cellulare dello stroma. Non esistono colori definiti bensì sfumature; infatti tra l’azzurro e il marrone ci sono una gamma infinita di sfumature che vanno dal nocciola al grigio passando per l’ambra e li verde: in questi casi, il contenuto di melanina è una via di mezzo. Esiste un sistema (IrisPlex) che basandosi su 6 snps è in grado di predire con accuratezza elevata il colore degli occhi di una persona. Questo modello è stato messo a punto da scienziati dell’Erasmus University Medical Centre of Rotterdam, basandosi su uno studio di 6000 individui olandesi che confronta il colore degli occhi e il DNA. I 6 snps associati considerati sono:

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o rs12913832 (Herc2) o rs1800407 (OCA2) o rs12896399 (SLC24A4) o rs16891982 (SLC45A2) o rs1393350 (TYR) o rs12203592 (IRF4)

Herc2 è il gene in grado di dirci subito se una persona avrà gli occhi marroni o no. Infatti, ci fornisce subito la direzione dell’analisi del colore dell’occhio, grazie proprio al pattern (genotipo). Gli altri 5 snps servono solo a modificare leggermente la colorazione dell’occhio, schiarendola o scurendola, a seconda dei casi. Nell’occhio chiaro (azzurro) sono presenti delle cripte nell’iride che distinguono un individuo dagli altri (anche nei gemelli, le iridi sono diverse). Nell’iride sono presenti cripte, anelli pigmentati e nevi,in modo unico in ognuno di noi e tutti sono predetti attraverso modelli di snps. Essendo un modello predittivo, si otterranno percentuali, probabilità sul reale colore dell’occhio, sulla base di un modello matematico di regressione logistica. Il progetto HGDP-CEPH si è basato sullo studio dei linfociti di volontari (circa 40) provenienti da diverse etnie sui quali è stato predetto il colore degli occhi . Da questo studio successivamente è stato predetto il colore degli occhi di altre 1000 persone. Grazie all’utilizzo di questi marcatori (snps) è stato possibile ricostruire la distribuzione della variabilità in Europa e nel resto del mondo. Nel disegno è rappresentata la variabilità del colore degli occhi, dove la grandezza del grafico a torta è proporzionale alla numerosità della popolazione.

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Si nota una grande predominanza del colore marrone (brown). Anche se, è bene sapere che l’azzurro ha un’origine più recente, datata 6 milioni di anni fa (periodo del neolitico) e si è affermato perché la personna risultava più attraente. Colore dei capelli È possibile predire il colore dei capelli attraverso un modello dato da 45 snps localizzati in 12 geni. Per campione sono stati presi 385 uomini e donne di origine polacca che sono stati divisi in base al colore dei capelli in 7 categorie: _ biondo _ biondo scuro _ castano _ castano ramato _ biondo- rosso _ rosso _ nero Le quali sono state poi raggruppate per colori simili in 4 macrocategorie: _ biondo _ rosso _ castano _ nero Il colore dei capelli, della pelle e degli occhi sono quelli più conosciuti dal punto di vista genetico perché studiati precedentemente in modelli animali. Il primo gene umano associato alla normale variazione del pigmento sia della pelle sia del capello è il gene codificante per la melanocortina (MC1R). numerosi snps associati a questo gene sono co llegati al colore rosso dei capelli e la pelle chiara. Nei Neanderthaliani sono stati ritrovati questi polimorfismi e quindi è pensabile che fossero di carnagione chiara e avessero i capelli rossi. Con solo 3 snps si è in grado di riassumere il 90% dei fenotipi a pelle chiara e a capello rosso (quindi è dal DNA è molto facile risalire all’identikit di un assassino se è rosso). Dal modello iniziale con 45 snps è stato creato un modello lineare in cui ogni snp viene pesato in base

all’efficacia della predizione. Eliminando le varianti meno utili si è ottenuto un modello formato da soli 13 snps localizzati in questi geni: MC1R, Herc2, IRF4, TYR, EXOC2, SLC45A2, TYRP1, OCA2, SLC45A4, KITLG, ASIP. Si tratta di un modello molto efficace dal momento che riesce ad individuare i soggetti con i capelli rossi o neri con un’accuratezza del 90%, e quelli con i capelli biondi o castani dell’80%. Come si vede da questi grafici, l’accuratezza cresce man mano che si aggiungono snp raggiungendo il massimo con 13. Possiamo notare che si ritrovano altri geni come Herc2, OCA2 che sono sempre responsabili della pigmentazione.

Ricerca del DNA di Luigi XVI Indagine svolta congiuntamente ad un gruppo di Barcellona e pubblicato su Forensic Science International. Si è ricercato in una zucca (oggetto di antiquariato stupendo) la possibile presenza di tracce di sangue di Luigi XVI ghigliottinato in Francia nel 1793 durante la rivoluzione francese. Un anonimo portò questa zucca istoriata su cui viene raccontata una storia e su cui sono presenti i profili di D’Antoine, Marais, De Mulain. Sulla zucca c’è scritto che Maximilian Bourdaleue nel 21 gennaio ha intinto il suo fazzoletto nel sangue del re dopo Ia decapitazione e che avrebbe venduto la zucca per 500 franchi alI’aquila, ovvero al giovane Napoleone. Dal fondo della zucca è stata prelevata una polverina marrone, ottenuta con un raschiamento: non c’erano tracce del fazzoletto.

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Procedimento per valutare la presenza di sangue in questa polvere marrone: 1. Estrazione del DNA a partire da 5 campioni, inviati sia a Barcellona che a Bologna. L’estrazione e

stata fatta in due modi diversi, lavorando in sterilità e con Ie massime precauzioni possibili. 2. Metodo cromatografico per vedere se la polvere era data da un residuo di sangue e se questo fosse

effettivamente umano. E’ stato confermato che era sangue umano. 3. Sequenziamento del mitocondriale: a Barcellona amplificazione solo HRV1, a Bologna HRV1 e

HRV2. Il genoma ha una mutazione in 16093 con una C, in 16945 con una A e 176 e 123 una C. L’apIotipo ottenuto e compatibile con I’aplogruppo N1b. E’ un aplotipo veramente molto raro e si e trovato solo in due altri individui europei su 20960 pplotipi, un turco ed uno del Caucaso

4. Ricerca del cromosoma Y con Yfiler. L’aplotipo corrisponde all’aplogruppo G2A. Lo si è confermato testando 8-9 mutazioni presenti sul G. Il confronto sul database non ha trovato alcun match tra oltre 21800 aplotipi includendo anche i 6382 aplotipi dall’Eurasia.

5. Ricerca degli autosomici. Nel kit c’è anche il locus della melogenina, che discrimina il sesso, oltre ad analizzare questi loci tetranucleotidici altamente variabili.

6. Indagine di HERC2, per il colore degli occhi. Sono state eseguiti 14 cloni dove 6 hanno confermato il colore marrone (dato dalla base A) mentre 8 per l’azzurro (mutazione in G). Potrebbe essere stato un eterozigote GA e non si è sicuri del colore dell ’occhio. Però esiste un 15,8% di individui eterozigoti che hanno gli occhi azzurri; quindi non è escluso che abbia gli occhi azzurri seppur controverso.

La genealogia è stata ricostruita cercando i discendenti per linea materna di Luigi XVI basandosi sull’analisi del mtDNA. lnfatti, nonostante fosse analizzato anche il genoma dell’Y, bisogan considerare che Luigi ha avuto un unico figlio maschio morto giovanissimo (Luigi XVII). Il figlio morto piccolo è nella cattedrale di Saint Deni a Parigi e ne fu conservato il cuore. Dopo 200 anni, in Belgio, un gruppo ha estratto il DNA da Luigi XVII e hanno studiato il mitocondriale, ma questo non è rilevante, perchè Ia mamma di Luigi XVII non è la stessa di Luigi XVI. Quindi l’unica alternativa possibile e ricostruire gli alberi per rintracciare un qualche discendente attuale per linea materna. E’ un lavoro molto lungo e complesso per essere preciso ma una rapida ricostruzione ha condotto alla famiglia di principi di Torlonia a Roma, ma non è un risultato sicuro. L’alternativa e sperare che, con l ’aumento di mitocondri e cromosomi Y sequenziati, si arrivi ad una risposta. Mummia del Similaun Anni fa ne fu sequenziato il DNA datato 5000 anni fa (330-3200 a.C.). Caratterizzando solo 1000 bp si ipotizzò una linea nuova chiamata aplogruppo KÖ: un K1 che non rientrava in nessuno di quelli sino allora conosciuti. un paio di anni fa, con una pyrosequencing, il mtDNA è stato completamente sequenziato confermando l’ipotesi iniziale. Quindi può essere una linea che non ha dato discendenti arrivati fino a noi oppure che sia una linea non ancora individuata. Al Congresso delle Mummie, a Bolzano, sono stati portati i risultati dello studio sul cromosoma Y di Oetzi. E’ stato annunciato che Oetzi appartiene all’aplogruppo G2A4 (stesso di Luigi XVI). Studio e rappresentazione dei dati genetici Considerando gli aplotipi deIl’Y è possibile costruire delle reti per individuare le connessioni tra questi. Ci si focalizza su:

Statistiche descrittive. Ad esempio: quanto è variabile una popolazione? Quale tra due popolazioni è la più variabile? Più tempo una popolazione ha avuto per evolvere, più variabilità ha accumulato (ad esempio al mtDNA africano appartengono molte più varianti che non ai sud americani). La variabilità è in funzione del tempo. Posso confrontare loci differenti e scoprire che andando su loci sottoposti a pressione selettiva, o collegati a funzionalità importanti nell’organismo, questi varieranno meno.

Distanza genetica = affinità genetica, cioè quanto una popolazione dista da un’altra.

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Analisi multivariate. Ad esempio le componenti principali in Cavalli - Sforza. Una misura di diversità può essere il numero di alleli presenti nella popolazione. Una popolazione più alleli ha e più è variabile.

Mismatch distribution= distribuzione delle differenze di sequenze tra gli individui di una popolazione presi a coppia. Se abbiamo 5 sequenze, si fanno confronti tra tutte (prima con la seconda, con la terza ...) e si calcola la quantità di differenze tra una e l'altra. Questa è una matrice di distanza: calcolo del numero di nt di differenza tra un individuo e un altro. Ad esemp io si valuta quante volte c’è una differenza sola, quante volte non ci sono differenze e quante volte più di una. Alla fine si ottiene una frequenza di differenze rappresentabile con un istogramma. Questa distribuzione è un indicatore della variabilità genetica di una popolazione: maggiore è il numero di differenze, maggiore è la variabilità. La distribuzione ha una forma indicativa di eventi di espansione demografica o se la popolazione è rimasta a dimensione costante. Ad esempio le popolazioni che sono rimaste a dimensione costante nel tempo, hanno una distribuzione spezzata, mentre la distribuzione a campana è quella propria di una popolazione in fase di incremento demografico. Più ci si allontana dallo 0 (si va verso destra) più l’espansione è antica. Osservando i rami, si nota che i rami meno sono profondi più recente è l’espansione della popolazione, più sono profondi e più l’espansione è antica. Facciamo un esempio considerando un campo da calcio e in particolare la distanza sul campo corrisponda al tempo.

caso della popolazione a dimensione costante. Immaginiamo di avere tanti gruppi (popolazioni) compatti di persone separati tra loro e a distanze diverse. Possiamo dire che all’interno della popolazione la differenza di sequenze è praticamente nulla ma la distanza nel tempo è grande; quindi avrò a livello grafico una spezzata.

Casi delle popolazioni ad evoluzione rapida. Possiamo spiegarle come un gruppo di persone che partono tutte al centro del campo e devono spostarsi. o In caso di evoluzione recente sono tutte al centro; quindi la differenza tra sequenze è

praticamente zero, perché solo pochi si saranno allontanati dal centro, cioè accumulato differenza.

o Poi il tempo scorre (distanza aumenta) e o Nel caso di evoluzione antica, tutte le persone si saranno allontanate dal centro e quindi

saranno distribuite uniformemente nel campo (perché hanno avuto tempo di muoversi). La distribuzione è una gaussiana perché le differenze di sequenza si saranno distribuite attorno ad un valore medio di differenza.

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Indice FST= proporzione di varianza totale delle frequenze alleliche che si stabilisce tra

sottopopolazioni. E’ la misura di distanza genetica più usata per la varianza tra sottopopolazioni. P è la frequenza di quella variante nella popolazione e può assumere valori compresi tra 0 e 1: più è vicino a 0 e più le popolazioni sono simili; più è vicino a 1 più saranno differenziate.

Quindi prima si parte da statistiche descrittive che informano su quanta variabilità c’è nelle popolazioni. Poi si calcola il numero delle differenze per avere informazioni sulla storia demografica di una popolazione. Per calcolare la distanza tra popolazioni, si calcola principalmente l’indice F ST. Altri indici che partono da dati molecolari devono tener conto dei modelli mutazionali: sono indici che non si possono applicare a tutti i tipi di dato. Quindi per lo studio del mtDNA si usa un tipo di indice di distanza che tiene conto di come questo muta e del fatto che le transizioni sono più frequenti della trasversioni; per lo studio dei microsatelliti si usa un altro indice che tiene conto del loro modello mutazionale. Ci sono dei software che calcolano in base ai dati gli indici di distanza, in modo automatico. Ad esempio stepwise si usa per i microsatelliti. Alla fine indipendentemente dall’indice usato, si ottengono matrici di distanza dove in diagonale ci saranno degli 0 (la distanza è quella della popolazione con se stessa). Man mano che le popolazioni si allontanano, i valori di questa matrice simmetrica crescono. Questo si fa per confrontare le popolazioni a due a due perché non si ha una visione globale.

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Dunque esistono modi per rappresentare visivamente le distanze tra più popolazioni: usando analisi multivariate si riesce a ridurre lo spazio multidimensionale a poche di mensioni che possono essere interpretate riducendo al minimo la perdita di informazioni. Ad esempio con il multidimensional scaling, in un piano bidimensionale separato in 4 quadranti, posso leggerlo secondo le due dimensioni; individuando lo 0 posso fingere di separare africani da non africani. Lungo la seconda dimensione separo tre popolazioni da tutte le altre. Quindi visivamente riesco ad interpretare i numeri ottenuti con la matrice di distanza.

L’altro metodo per ridurre i dati è quello delle componenti principali che riduce il numero delle variabili ed individua una struttura nella relazione tra le variabili. Le variabili vengono classificate riducendo la variabilità presente nel database e rianalizzando ogni volta la variabilità residua non spiegata dalle prime componenti. Una volta spiegata la prima componente, quella che rende conto della maggior variabilità, l’analisi procede cercando di spiegare la residua. Faccio un riassunto della grande massa di informazioni originaria in poche componenti. Nella rappresentazione cromatica, alle componenti principali si associano mappe cromatiche per ottenere una mappa con uno scatter pIot (popolazioni rappresentate come punti).

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Se invece ricostruiamo degli alberi, si fa una filogenesi molecolare perché si ricostruiscono le relazioni genealogiche tra le linee genetiche (mitocondriali o dell’Y). L’altezza del ramo rappresenta il numero di cambiamenti. Quando costruiamo gli alberi possiamo:

Partire dalle matrici di distanza, come abbiamo visto nello scaling. Partire dallo stato del carattere. Ad esempio partire dagli aplotipi dell’Y. Si costruiscono così dei

network, delle reti in cui si vedono i rapporti tra i diversi aplotipi ma non è individuabile il punto di divergenza (visibile invece nell’albero) perché non c’è una netta separazione, ma solo una distribuzione spaziale con un percorso tra i due oggetti più distanti. Poi si trovano gli altri a seconda dell’affinità con i più vicini. Non è un albero: parto dagli aplotipi e partendo dai più distanti tra loro calcolo via via i più vicini sino ad arrivare, senza divergenze, a collocare tutti gli aplotipi in funzione della loro somiglianza con quello più vicino. E’ una distribuzione degli aplotipi nello spazio: più i rami sono corti più la mutazione è recente. Es: linea L1C in cui tutti i pallini sono aplogruppi della linea L1C. Serve solo per vedere una distribuzione nello spazio degli aplotipi. Se ho un reticolo, non si sa da dove l’aplotipo effettivamente deriva. Tutti i cerchi sono aplotipi diversi dell’Y. Più e lungo il ramo più mutazioni ci sono state; più sono vicini più recentemente sono derivati. Ogni colore di pallino rappresenta una popolazione diversa. L’aplotipo condiviso da più popolazioni potrebbe essere anche un fondatore. Più i rami sono lunghi, più la linea ha avuto tempo per evolvere.

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Applicazione pratica delle tecniche precedentemente illustrate Progetto Genographic L’antropologia molecolare è una disciplina nata recentemente nell’ambito delle discipline storico - classiche anche in seguito al grande sviluppo tecnologico. Studia la variabilità esistente nelle popolazioni attuali sotto punti di vista che vanno dalla dimensione di popolazione a quella di individuo. Ciò avviene mediante l’utilizzo di marcatori molecolari. ln un’ottica evolutiva, questo ci consente di ottenere importanti informazioni e di ricostruire i diversi eventi che hanno dato origine alla popolazione attuale ed ai suoi differenziamenti nel corso della storia. Studiare la variabilità genetica attuale quindi ci consente di:

o Ricostruire l’origine della nostra specie o Studiare le popolazioni più antiche (out of africa) e le sue migrazioni o Studiare gli eventi di migrazione e flusso genico più recenti o Studiare la variabilità e la diversità esistenti sia nella popolazione che tra le popolazioni. La maggior

parte e nelle popolazioni. Il progetto di ricerca rientra nello studio del movimento e delle modificazion i delle popolazioni per determinare la nostra provenienza e i processi popolazionistici demografici avvenuti che nel corso delle generazioni ci hanno portati ad essere come oggi siamo. A tal fine, è stato lanciato nel 2005 un progetto che si chiama Genographic, di origine internazionale, che ha lo scopo di esplorare i principali eventi migratori utilizzando dei marcatori molecolari di dna provenienti da popolazioni più o meno di tutto il mondo. Il progetto Genographic si occupa anche dell’ambito italiano. Per ricostruire la storia genetica si utilizzano marcatori presenti nel DNA che consentono di tornare indietro nel tempo cercando quelli che sono i "segni" molecolari lasciati dall’uomo nel corso delle migrazioni. I marcatori sono uniparentali, ovvero cromosoma Y e mtDNA che non essendo soggetti a ricombinazione vengono trasmessi in modo inalterato a meno di eventi mutazionali. Questi marcatori costituiscono un’impronta che rimane nel nostro genoma nel corso della storia evolutiva e che ci permettono di torn are indietro nel tempo sino ad identificare un antenato comune. Quindi l’obiettivo e ricostruire la storia dei singoli marcatori tornando indietro nel tempo in modo tale da poter poi identificare quelli che sono stati i movimenti ed i processi avvenuti ne l corso della storia per ogni popolazione.

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All’interno del Genographic Project sono stati scelti una serie di laboratori di riferimento sia europei che locali; in Italia il BES è la struttura referente. E’ importante studiare la storia genetica di Italia poiché ha avuto un ruolo fondamentale dal punto di vista storico e in funzione della sua posizione geografica ha rappresentato un punto di arrivo e di partenza per molti processi migratori nel corso della storia, con connessioni sia con l’area mediterrane a sia con quella continentale. ln particolare il suo progetto consiste in un’ analisi della storia genetica dell’Italia attraverso l’analisi delle linee maschili e poi del mtDNA. Inizialmente, il progetto consiste in una campagna di campionamento durata circa 2 anni che alla fine ha portato alla raccolta di 1000 campioni uniformemente distribuiti nella penisola italiana. Quando si effettua un disegno sperimentale e necessario cercare di effettuare bene il procedimento; quindi già la scelta dei campioni è uno step fondamentale, in quanto il presupposto è studiare attraverso la variabilità del cromosoma Y la storia genetica della nostra popolazione. Bisogna campionare individui rappresentativi della popolazione italiana (quindi radicati nel territorio), altrimenti i risultati non saranno effettivamente rappresentativi della reale storia della nostra popolazione. Perciò è necessario:

o Per essere sicuri della validità del campionamento, un’analisi dei cognomi che, al pari del cromosoma Y, vengono trasmessi di generazione in generazione dal padre ai figli. l figli maschi lo trasmettono ai loro figli e cosi via. ln questo modo fu possibile individuare i cognomi fondatori, ovvero quei cognomi radicati all’interno di un determinato territorio. Si è visto infatti che in ogni regione ci sono cognomi caratteristici. Quindi è stato fatto prima uno studio su 80.000 cognomi provenienti da circa 17.000.000 di individui distribuiti su tutto il territorio e poi basandosi sui cognomi sono stati identificati quelli fondatori (es: Rossi non va bene perché é ubiquitario). Usando questi ultimi sono state effettuate delle cluster analisi, cioè analisi che consentono di vedere cognomi vicini. L’analisi preliminare ha diviso l’Italia in macroaree sulla base dei raggruppamenti dei cognomi ottenendo così le aree: orientale, settentrionale, nord occidentale, centro orientale, etc. successivamente, all’interno delle aree sono state scelte province campionarie per motivi storici o geografici (es vicino alla costa). All’interno di ciascuna provincia, grazie ad un contatto con la Usl, sono stati campionati individui ai quali è stato fatto un prelievo di sangue e compi lare una scheda biodemografica con la raccolta delle informazioni relative ad almeno 3 generazioni dell’individuo (nome, cognome e luogo di nascita dei genitori e dei nonni). Sui campioni raccolti è stata fatta un’ulteriore analisi ottenendo infine solo campioni di maschi sani non imparentati tra loro e con parenti di almeno 3 generazioni originari della stessa provincia dell’individuo, in modo da garantire l’ancestralità locale di ciascun individuo. Alla fine sono stati selezionati 1000 campioni da più di 2000 raccolti.

o E’ stato analizzato il cromosoma Y studiando i marcatori SNPs e STRs. Gli STRs permettono l’indagine dei fenomeni evolutivi e la variabilità più recente. Finora si sono tipizzati una serie di SNPs che individuano una serie di linee filogenetiche. Quindi è stata fatta un’analisi di frequenze degli aplogruppi. E’ possibile di vedere la distribuzione delle linee più frequenti in Italia creando mappe di distribuzione in cui ogni puntino è una provincia, cui viene assegnata una frequenza per una determinata linea. Poi si crea una mappa di gradiente decrescente, dalla frequenza maggiore a quella minore. Da questa mappa si può vedere che esistono alcune linee con elevato gradiente da nord a sud, altre più frequenti ad ovest che ad est, oppure si possono vedere linee esclusive, ad esempio in Sardegna. ln effetti, la Sardegna è un outlier, distaccata dal resto dell’Europa e ha frequenze elevate di determinate linee a causa dell’effetto del fondatore. Oppure altre linee isolate, come L1 presente solo a Vicenza e a Campobasso ritrovabile con frequenze elevate in Scandinavia e diminuisce spostandosi verso sud: questi picchi di frequenza in Italia si spiegano con le invasioni dei barbari e dei longobardi (Vicenza e Campobasso sono due fondazioni longobarde ). Ciò spiega la distribuzione delle mutazioni e degli aplogruppi non casuali ma riflettenti processi avvenuti nel passato. Quindi dall’analisi del cromosoma Y è possibile chiarire la storia genetica dell’Italia ed in particolare il suo ruolo sia nel contesto genetico mediterraneo sia in quello europeo. Possiamo anche analizzare la variabilità di specifici contesti locali e gli aplogruppi particolari per vedere una connessione ad eventi di ripopolamento dell’Italia.

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Analisi di geni sottoposti a selezione: il gene che codifica per la lattasi. Il lattosio è il principale zucchero del latte: disaccaride composto da una molecola di glucosio e una di galattosio unite da un legame β 1,4 glicosidico. La composizione del latte nei mammiferi è molto particolare ed è simile solo al latte d’asina. La quantità di lattosio presente nel latte umano è molto elevata (7,2 g) rispetto a quello della mucca (4,9 g). L’enzima che taglia il legame del lattosio è la lattasi- florizin- idrolasi e si trova nel tenue, sugli enterociti a livello dei microvilli. La lattasi è ancorata alla membrana dei microvilli scinde il lattosio in glucosio e galattosio che raggiungono la circolazione sanguigna passando attraverso pompe Na-K. Se non c’è la lattasi, il lattosio viene permutato per azione batterica ad acido lattico, idrogeno ed anidride carbonica. Essendo una molecola grossa, quando si trova nell’intestino, crea un effetto osmotico e richiama acqua causando effetti collaterali tipici dell’individuo intollerante: meteorismo, dolori addomi nali, diarrea. Il gene che codifica per la lattasi si trova nel cromosoma autosomico 2, sul braccio lungo ed è LCT, di 50 kb, preceduto dal gene MCM6. La lattasi è fondamentale durante i primi anni di vita quando la dieta di un mammifero e composta solo di latte. Nella maggior parte dei mammiferi dopo lo svezzamento la lattasi diminuisce. Alcune popolazioni riescono a digerirlo anche in età adulta. Ci sono 3 ipotesi:

1. ipotesi storico culturale: la più importante. Afferma che la distribuzione geografica del fenotipo tollerante al lattosio ha somiglianze con la distribuzione geografica della diffusione della pastorizia. Quando sono stati addomesticati gli animali, il latte diventò sempre disponibile e si inziò a berlo. Gli individui codificanti la lattasi furono avvantaggiati e durante la carestia poterono sostituire le calorie che mancavano assumendo latte.

2. ipotesi inversa: il contrario della prima e meno accreditata. La pastorizia si è diffusa laddove c’erano individui tolleranti al lattosio, ma non c’è una vera spiegazione a questa teoria.

3. Ipotesi dell’assorbimento di calcio: il lattosio stimola l’assorbimento di calcio ed il latte ne è ricco. Gli individui che possono bere latte sono favoriti in quelle zone dove l’incidenza della luce solare è minore (ai poli) poiché a livello epiteliale con l’esposizione ai raggi uvb viene stimolata la vitamina D e quindi il calcio. Le popolazioni che vivono ai poli molto spesso vanno incontro ad osteomalacia e rachitismo. Gli individui che riuscivano a bere latte a queste latitudini erano avvantaggiati. Queste malattie possono impedire la gravidanza e quindi chi beveva latte si riproduceva. A livello geografico ci sono gradienti di tolleranza al lattosio, dove gli individui sono molto tolleranti. Ci sono oltre al nord Europa delle sacche di diffusione della tolleranza al lattosio anche in Africa ed Arabia perciò si può fare un’altra ipotesi:

4. Queste frequenze cosi elevate si trovano in zone dove ci sono delle popolazioni di pastori nomadi: sono zone desertiche quindi non avendo a disposizione l’acqua, chi riusciva a bere il latte era favorito.

Test fisiologici:

Biopsia intestinale per vedere la quantità di enzima legato alla membrana (più accurato ma invasivo).

Test di riassorbimento del lattosio: viene somministrato latte agli individui e poi si preleva il sangue analizzando la quantità di glucosio presente (se il valore è alto, vuol dire che il lattosio è stato scisso).

pH delle feci. Nell’individuo senza lattasi, il lattosio viene fermentato dai batteri con produzione di H, CO2 e acido lattico. L’idrogeno rende le feci più acide e modifica il pH.

Breath test: nell’espirato troveremo una concentrazione più alta di CO2. La cosa migliore sarebbe fare tutti o 3 questi ultimi test o solo una biopsia. Spesso si chiede solo all’individuo se beve latte e se quando Io beve ha dei problemi gastrointestinali. Quindi in realtà i risultati delle analisi che oggi si hanno non sono poi così specifici. Nonostante ci sia una grande variabilità tra chi digerisce e chi non il latte, a livello molecolare le conoscenze ad oggi sono ancora molto scarse. Solo nel 2002 è stato identificato un polimorfismo che si trova 13910 basi a monte del gene LCT, completamente associato alla tolleranza al lattosio nella popolazione finlandese.

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Il polimorfismo è costituito da una mutazione di una C in un T; si trova a livello del promotore del gene LCT in un sito di legame per il fattore di trascrizione OCT1. Nella popolazione finlandese gli individui tolleranti sono omozigoti o eterozigoti per la T; quelli intolleranti sono omozigoti per la C. Studi in vitro hanno inoltre confermato che il fattore di trascrizione OCT1 lega più frequentemente le sequenze che presentano la T. Prima dello svezzamento, tutti digeriamo il latte e quindi la lattasi viene prodotta; poi in alcuni individui la lattasi continua ad essere prodotta (i finlandesi in questo caso presentano la T). Anche in età adulta la lattasi continua a essere prodotta ma non in quantità sufficienti a digerire il latte perché OCT1 si lega meno fortemente quando c’è C. Un altro polimorfismo che mostra un’associazione meno forte è stato trovato sempre nella popolazione finlandese (polimorfismo 22018 bp a monte di LCT).

Tabelle con frequenze di genotipi CT e TT nella popolazione finlandese e svedese tolleranti.

Nei cinesi la T ha una frequenza pari a 0 come anche nei giapponesi e nei messicani. Quindi devono esserci altri polimorfismi che spiegano perché in Africa e Arabia esistono popolazioni che possono bere latte pur non presentando questa variante.

La 13910 si trova all’interno di un esteso blocco aplotipico, di circa 1 megabase. Nel 2004 un ricercatore ha tipizzato 101 SNPs in popolazioni statunitensi che derivavano sia da africani che da europei. Sono SNPs che

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si trovano intorno alla 13910, sia a livello del promotore che a monte della lattasi e vengono ereditati senza ricombinazione da una generazione all’altra. E’ una conferma dell’ipotesi culturale, in quanto gli individui che riescono a bere latte sono avvantaggiati nella selezione in quelle popolazioni in cui bere latte costituisce un vantaggio. Inoltre aver trovato un blocco cosi lungo (tanti SNPs ereditati in blocco) ci permette di dire che la mutazione è recente, circa 9000 anni fa, periodo che corrisponde alla diffusione della pastorizia (ulteriore conferma dell’ipotesi culturale). All’interno del blocco aplotipico ci saranno altre varianti in gradi di spiegarci perché in Africa e in Arabia esistono individui in grado di digerire il latte; alcuni ricercatori infatti hanno trovato varianti come la 14010, la 13915 e la 13907, sempre a livello del promotore OCT1 che quindi legherà più fortemente alcune varianti rispetto ad altre.

A. 14010: particolarmente frequente nelle popolazioni di pastori della regione Nilo- Sahariana, come ad esempio i masai. E’ stata datata circa 6000-7000 anni. È un caso di convergenza evolutiva ovvero abbiamo Io stesso fenotipo dato da mutazioni diverse in tempi diversi, quindi significa che queste popolazioni africane non derivano dalle nordeuropee ma hanno sviluppato la tolleranza indipendentemente. Sono popolazioni di pastori e la possibilità di bere latte al posto dell’acqua in periodi di carestie potrebbe aver avuto l’effetto di pressione selettiva.

B. 13915: tipica della penisola arabica. Insorge 4000 anni fa e poi si diffonde in medio oriente. Sembra associata alla addomesticazione del cammello e costituisce quindi un’ulteriore differenza dalle altre 2.

C. 13907: ha distribuzione geografica più ristretta: in popolazioni del Sudan, del Kenya e dell ’Etiopia.

In Cameroon ad esempio c’è la 13910, cosi come in Marocco; quindi l’analisi dei geni sottoposti a selezione e delle migrazioni. In Italia, l’intolleranza al lattosio non è ancora stata studiata bene, fatta eccezione per la 13910. L’Italia presenta una percentuale elevata di tolleranza al lattosio al Nord con gradiente discendente spostandoci vero sud, sino a raggiungere il suo minimo in Sicilia. Probabilmente in Italia ci sono altre varianti oltre alla 13910. Dai campioni del Genographic, sono stati selezionati 1213 individui distribuiti nelle macroaree e selezionati secondo gli stessi criteri visti prima. Successivamente sono stati genotipizzati circa 50 SNPs, scegliendo quelli che erano molto frequenti nella popolazione Nordeuropea e in Italia. La genotipizzazione è stata effettuata con una particolare macchina che segue un protocollo di multiplex pcr, tipizzando più SNPs contemporaneamente in un’unica pcr. Nelle multiplex è importante utilizzare primer che non si appaiono tra loro formano forcine o coppie di primer. Perciò esistono software, in grado di predire il possibile appaiamento di primer, in modo da non sprecare risorse (costi) e avere prodotti e risultati sbagliati. Solitamente, per motivi economici, si scartano primer (e quindi analisi di SNPs) che devono essere analizzati da soli (o con pochi altri). Ciò è possibile unendo insieme diversi primer che amplificano diverse regioni. 4 passaggi per lo studio degli SNPs:

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1. Pcr con amplificazione delle regioni che contengono lo SNP di interesse (fino a 20 SNPs a reazione, quindi 40 primer, forward e reverse)

2. Purificazione dei prodotti di pcr ed eliminazione dell’eccesso (primer e deossinucleotidi che non hanno reagito).

3. Seconda reazione di pcr che usa un primer che termina una base prima del sito polimorfico di interesse. Poi viene aggiunto un dideossinucleotide terminatore di catena con una massa particolare.

4. Con uno spettrometro di massa si ricerca il genotipo presente. Lo spettrometro legge il peso degli amplificati definendone il genotipo. I dideossinucleotidi sono marcati con un fluoroforo.