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1 ANNALI del Liceo classico statale “Umberto I” - Palermo N. 2 – 2015

ANNALI del Liceo classico statale “Umberto I” - Palermo 2015 - terza... · indicazioni molto parziali, possono acquisire valore solo nella “triangolazione” di dati provenienti

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ANNALI del Liceo classico statale “Umberto I” - Palermo N. 2 – 2015

 

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Indice Prefazione del Dirigente Scolastico, prof. Vito Lo Scrudato pag. 3 Un saluto dal dr. Francesco Del Bene pag. 7 Sezione I – SAGGISTICA Vito Lo Scrudato - L'invenzione delle salsicce al curry. Una recensione neppure troppo seria della novella di Uwe Timm Die Entdeckung der Currywurst pag. 9 DANIELA MUSUMECI - Devota come un ramo pag. 15 GIUSEPPE SAVAGNONE - La dinamica della libertà pag. 22 Sezione II – Cultura siciliana MICHELE AMARI - La guerra del vespro, Capitolo VI pag. 39 BERNARDO PULEIO - Gli avvertimenti cristiani di Argisto Giuffredi pag. 53 MARIO PINTACUDA - Ricordo del poeta bagherese Pietro Maggiore pag. 76 BERNARDO PULEIO - Un breve ricordo di Giuseppe Lo Verde e dell’Austria infelix pag. 97 MARIO PINTACUDA - Un’antica antologia dialettale per la V classe elementare: Li cosi nuvelli (1924) di G. A. Di Giacomo (Vann’Antò) e L. Nicastro pag. 100 GIUSEPPE ODDO - Considerazioni sulla decorazione in opus sectile a motivi geometrici del duomo di Monreale pag. 108 FRANCESCO CACCIOPPO - Aspetti del pensiero sociologico di Luigi Sturzo pag. 118 Sezione III - Didattica CINZIA DE FLORIO - Proposta di un percorso possibile di orientamento al liceo classico (con particolare riferimento alla fase di accoglienza) pag. 123 ADA MAGNO - CIAK SI GIRA - Racconto di un'esperienza scolastica vivificante pag. 126 KARIN GUCCIONE - Il corso POF di Mitopsicologia classica e moderna pag. 128 Sezione IV - L’UMBERTO SI RACCONTA PIPPO MACALUSO - Una consonante e due vocali pag. 136 CLAUDIO DI CARA – Umberto I - formativa palestra di vita dei futuri cittadini pag. 137

 

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SEZIONE III – DIDATTICA

 

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Proposta di un percorso possibile di orientamento al liceo classico (con particolare riferimento alla fase di accoglienza) di Cinzia De Florio Orientare al liceo classico: cosa significa? Fino ad oggi, nella migliore delle ipotesi, accogliere con affabilità gli studenti il primo giorno di scuola, far conoscere a loro e ai loro genitori la mission e le potenzialità formative dell’istituto - attraverso il POF, le strutture, i servizi - e poco altro. L’unica concessione allo spirito competitivo del nostro tempo è stata, già da diversi anni, l’attivazione di una fase preliminare di raccordo con la scuola media inferiore, effettuata in prossimità delle iscrizioni, al mero scopo di pubblicizzare l’istituto. Il liceo classico non ha mai avuto bisogno di molto altro, forte della sua tradizione, della nomenclatura della classe dirigente che vi si è formata, così come dei docenti illustri che vi hanno insegnato, elitario come è sempre stato per vocazione, prima ancora che di fatto. Oggi le cose sono molto cambiate perché cambiata è la società, i nostri ragazzi, le loro aspirazioni e i loro problemi, così come quelli delle loro famiglie. Anche i giovani più brillanti hanno difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro, chi può migra all’estero, forte della nuova dimensione globale… Il liceo classico, in questo mondo in rapidissima trasformazione, rischia di diventare una scuola di provincia, talvolta polverosa come le sue biblioteche. Di questa percezione collettiva è testimone il vistoso decremento delle iscrizioni degli ultimi anni, gravido di conseguenze sul piano culturale non meno che su quello economico e sociale. Io penso, e siamo in tanti, che lo straordinario potenziale formativo degli studi classici possa ancora dare tanto, soprattutto in una società che nel suo continuo divenire, consumare, nel suo essere continuamente “connessa”, rischia spesso di perdere il senso di sé e dei valori fondativi della sua storia. La condizione imprescindibile è, tuttavia, che il liceo classico perda quell’aura di autoreferenzialità che lo ha sempre contraddistinto e si dimostri capace di interpretare le esigenze dei tempi, promuovendo un’azione sinergica che non risparmi nessuna delle componenti della scuola, rinnovandosi soprattutto nei metodi e nell’approccio. A cominciare dai primi giorni di scuola o, ancor prima, dalla fase in cui matura, negli allievi della scuola media inferiore, la scelta dell’indirizzo scolastico. Da queste riflessioni è nata l’idea di un percorso che aiuti gli allievi, in procinto di intraprendere gli studi superiori, a rispondere ad una domanda semplice ma importante: perché studiare il latino e il greco nell’epoca imperante delle tre “ i “? Non è certamente facile dare una risposta che possa essere realmente convincente per i nativi digitali della nostra epoca, tuttavia, nella mia pratica di insegnante, ho cercato soprattutto di capire il perché tanti allievi, tra quelli che ancora scelgono di intraprendere gli studi classici, finiscano, soprattutto nei primi due anni, per “mollare”, quanti di questi abbandoni siano dovuti a scelte inconsapevoli o frutto di convenzioni sociali e quanti invece all’incapacità della scuola di accogliere ed orientare o di interpretare esigenze nuove. Abbandoni e decremento delle iscrizioni sono spesso, a mio avviso, due aspetti diversi della stessa realtà. Il problema non è irrilevante se si considera che l’approccio alle lingue classiche può risultare particolarmente ostico, soprattutto all’inizio, sia per l’eccesso di tecnicismi che l’allievo deve acquisire prima di poter fruire delle opere classiche, sia per la poca spendibilità di questo tipo di conoscenze nella vita quotidiana. Può essere dunque importante far comprendere agli allievi, fin dall’inizio, che il greco e il latino non sono “altro” da noi, poiché molto profondo è, per continuità o per opposizione, il rapporto che ci lega a quelle civiltà alle quali appartengono molte delle nostre categorie concettuali e molti dei valori che sostanziano la nostra esistenza. Il percorso di accoglienza che è stato ipotizzato è rivolto agli studenti di IV ginnasio perché possano acquisire maggiore consapevolezza della loro scelta e sentirsi un po’ più a loro agio in un mondo che potrebbe risultare, e talvolta risulta, “respingente”, ma potrebbe essere utilizzato, in una versione opportunamente riadattata, anche come attività di orientamento in uscita dalla scuola secondaria di primo grado.

 

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Esso si propone di rispondere alle esigenze molteplici di quella delicata fase di passaggio che chiamiamo Accoglienza, coniugando, ad un tempo, attività di orientamento, potenziamento della motivazione alla scelta dell’indirizzo prescelto, screening sui requisiti iniziali degli allievi, avvio della didattica. E’ tuttavia necessario tenere conto che gli allievi da accogliere sono ragazzini tra i tredici e i quattordici anni e che le modalità di questo approccio devono essere adeguati all’età, tali quindi da azzerare qualunque difficoltà iniziale, valorizzare le conoscenze pregresse e “catturare” la loro curiosità. Le linee-guida potrebbero essere due: la proposta di attività che aiutino gli allievi a comprendere con immediatezza il rapporto di continuità tra passato e presente e la coerenza metodologica ispirata ai principi della didattica orientativa. L’idea è quella di avvicinare gli allievi ad alcuni argomenti di civiltà – scuola, sport, politica, medicina, scienze – o a tematiche importanti come la differenza di genere, di cultura o il rapporto con l’Altro, tramite attività graduate nella difficoltà: giochi etimologici, lettura, analisi e comparazione di testi di diversa tipologia, del passato e del presente, di fonti o reperti, elaborazione di mappe testuali e concettuali, attività di scrittura creativa o funzionale, esercizi vari. La fase di accoglienza in cui avviare queste attività, ben lungi dal risolversi nella prima settimana di scuola, dovrebbe essere quindi un periodo dai confini sfumati che alterni, in modo solo apparentemente casuale, attività di socializzazione, diagnostiche, di orientamento e più strettamente didattiche, secondo un percorso che anticipa, in modo ludico e laboratoriale, concetti, attività e metodiche coerenti e funzionali al rimanente anno scolastico. Dopo un periodo di tempo che può variare da uno a due mesi, forse in ritardo nello svolgimento di qualche argomento, sarà tuttavia possibile constatare che gli alunni hanno lavorato molto: sono stati stimolati a valorizzare le loro conoscenze pregresse, hanno letto molti testi, da cui hanno dedotto alcuni elementi di civiltà del mondo greco e latino, hanno partecipato, collaborando tra loro, ad attività significative di comprensione, schematizzazione, sintesi, scrittura non solo creativa ma anche con vincoli, hanno iniziato a comprendere, infine, che le civiltà del passato si ricostruiscono tramite fonti di varia natura, ognuna delle quali ci parla in modo diverso. È questo un modo, a mio avviso, per dotare di senso una fase dell’anno che, quando viene proposta con sterile ritualità, viene vissuta dagli insegnanti come una sostanziale perdita di tempo e dagli allievi, nel migliore dei casi, come l’ultimo regalo dell’estate. Nell’immaginare questo percorso, che si pone solo come opportunità per la proliferazione delle tante altre idee possibili, sono partita da quelle che immagino siano le esigenze di un ragazzino o una ragazzina di tredici anni che varca la soglia del nostro istituto: innanzitutto affrancarsi dal numero, acquisendo identità agli occhi dei compagni e dei docenti e iniziare a conoscerli interagendo con loro, conoscere nel contempo gli spazi entro i quali prenderà corpo la sua nuova vita, così come le risorse e le regole dell’istituto e, ovviamente, capire cosa studierà e, possibilmente, perché. Dall’altro canto conosco bene le esigenze dei docenti: tra di esse, innanzi tutto, vi è quella di conoscere gli allievi, il livello medio della classe così come l’individualità dei singoli, in un modo che risulti più significativo dei test d’ingresso disciplinari che, se hanno il merito di offrire una valutazione oggettiva, penalizzano la pluralità delle intelligenze e, offrendo indicazioni molto parziali, possono acquisire valore solo nella “triangolazione” di dati provenienti da diversi punti di osservazione. Tra le tante U.D. sperimentate in questi anni, ne propongo, a titolo esemplificativo, una selezione: alcune di scrittura creativa, che consentono agli allievi di rompere il ghiaccio e di autopresentarsi con un buon margine di libertà, creatività e autoironia; altre, con vincoli progressivi, per conoscere le regole della scuola e declinarle all’interno della classe, riflettere sulla specificità del ruolo docente e sulle aspettative degli allievi, conoscere spazi e servizi della scuola; altre, infine, per avvicinare gli allievi al mondo classico e apprezzarne il rapporto di continuità/discontinuità con il presente, come Lo sport, tra passato e presente e Il lungo percorso verso la democrazia, queste

 

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ultime con un livello di difficoltà progressivo che implica, in alcuni casi, l’ausilio, da parte dei docenti, di alcuni “facilitatori”. È ovvio chiedersi, a questo punto, di chi sia la regia di un progetto del genere, cioè, più semplicemente, chi fa che cosa e in quale arco di tempo. La risposta può variare in relazione a diversi fattori ma, soprattutto, alla disponibilità del consiglio di classe a condividere il progetto di accoglienza. Questo è uno dei nodi problematici su cui, a mio avviso, potrebbe giocarsi la partita del rinnovamento nella nostra scuola. L’autoreferenzialità del liceo classico, a cui prima alludevo, si riflette spesso, infatti, in quella dei singoli docenti del tutto disabituati e dunque spesso riottosi a lavorare insieme e a “condividere”, quasi fosse una diminutio della propria professionalità o un attentato alla libertà d’insegnamento. Io credo, per averlo sperimentato in altro tipo di scuola, che la maggior parte dei docenti del liceo classico non conosca, e non per sua responsabilità, la bellezza e la straordinaria potenzialità del lavoro di squadra, che è un’abilità che si costruisce, come tutte le altre, a patto che la politica dell’istituto lo consideri un valore e investa, di conseguenza, in una formazione specifica. Qualcuno potrebbe, a buon diritto, obiettare che la normativa presuppone la sinergia del consiglio di classe come condizione imprescindibile dell’azione didattica ma tutti sappiamo che, dall’alunno al docente, senza tralasciare nessun soggetto della scuola, tutti dobbiamo credere in quello che facciamo perché la forma acquisti sostanza. CINZIA DE FLORIO docente di Materie letterarie, Latino e Greco presso il Liceo “Umberto I” di Palermo

 

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CIAK SI GIRA - Racconto di un'esperienza scolastica vivificante di Ada Magno Qualche anno fa, un po' per capire e conoscere meglio il linguaggio cinematografico ed un po' per condividere un'esperienza scolastica " insolita" e "fuori dai ranghi" con i miei allievi e gli studenti tutti dell'Umberto, ho deciso di svolgere il ruolo di tutor in un corso PON di scrittura creativa e sceneggiatura con realizzazione di un cortometraggio. La sfida si presentava ancora più allettante perché si trattava di lavorare con un ex compagno di classe, umbertino come me negli anni19 83/88, Ugo Barbara, oggi giornalista dell'agenzia AGI, professore universitario alla Sapienza in un corso di scrittura creativa e scrittore. Abbiamo iniziato nel 2009 con circa trenta allievi che, con passione e impegno, trascorrevano a scuola cinque ore al giorno, di pomeriggio, per cinque giorni di seguito e, successivamente, per altri cinque giorni, visto che l'esperto veniva da Roma e la durata del corso prevedeva una frequenza di cinquanta ore. Per tre anni ho lavorato con Ugo e con il regista Giovanni Calvaruso e abbiamo realizzato tre corti, "L'interro(re)gazione, nel 2009, "Ombre" e "Greek impossible" in anni successivi. In particolare, questi ultimi sono due "Cortissimi" destinati ad una fruizione immediata su smartphone o tablet. Ugo e Giovanni hanno dato un'impronta di levita' e piacevolezza al corso ed ai prodotti realizzati, tale che il numero degli iscritti al progetto è aumentato di anno in anno. L'esperienza ha avuto un prosieguo con il regista Marco Amenta, anche lui ex umbertino e mio compagno di classe, proveniente da Roma. Sia con Barbara che con Amenta il corso ha previsto, in una prima fase, una trattazione teorica, con esemplificazione attraverso la visione di stralci di film, di elementi di cinematografia, in una seconda fase la scrittura per gruppi delle sceneggiature sulla base di varie idee proposte dagli stessi allievi e, infine, in una terza fase, l'assegnazione dei ruoli e la realizzazione del corto. Amenta ha dato un taglio diverso al corso, sia per ragioni caratteriali, sia per scelte stilistiche. Infatti, Ugo Barbara sosteneva la necessità di produrre un corto rispondente alla tipologia di pubblico prevalente, cioè gli adolescenti, abituati ad una fruizione "mordi e fuggi", immediata. Marco Amenta, invece, regista impegnato socialmente, come si evidenzia dai suoi lavori (il documentario "Il fantasma di Corleone" , su Bernardo Provenzano, il film "La siciliana ribelle" su Rita Atria, il docufilm su Berlusconi non ancora in programmazione in Italia ma già fruibile in Francia), ha scelto di dare una caratterizzazione diversa ai suoi due corsi. Il corso del 2012 ha determinato la produzione del corto "L'intruso" in cui il tema centrale consiste nello scontro-incontro tra due mondi, due culture, completamente differenti: l'intruso è un giovane di estrazione sociale modesta, costretto dalle condizioni economiche disagiate a rubare. Si rifugia, dopo un furto, in una scuola "occupata", con dei giovani appartenenti alla media e alta borghesia che, attraverso un dibattito asprissimo, manifestano i diversi punti di vista relativi a ciò che si debba fare nei confronti dell'intruso, se consegnarlo alla polizia o decidere altrimenti. Il corto ha previsto delle riprese "in presa diretta": non si è preimpostato un copione, ma gli allievi sono stati invitati a esprimersi liberamente e quanto più autenticamente possibile, anche grazie all'uso di un linguaggio forte ed esplicito, alla ricerca di un "cinema verità", che è la cifra stilistica di Marco Amenta. Nel corso del 2014 sono stati realizzati due corti: "Il concilio degli Dei" e "Il mediatore", che saranno visionati nel corso di quest'anno 2015, all'interno di una manifestazione ufficiale a scuola. Quest'ultimo corso è stato frequentato da circa settanta allievi "indomiti", appassionati, con forti personalità, i quali si sono battuti con tutto il coraggio e la pervicacia tipici dei loro anni, per riuscire a realizzare due prodotti, il primo più rispondente ad un'ansia di evasione dai problemi reali e decisamente divertente, l'altro, invece, legato ai temi del bullismo e dell'accettazione del diverso per orientamento sessuale. Ci siamo divisi in due sottogruppi, ciascuno con un proprio corpo di operatori, dagli sceneggiatori, agli aiuto regista, agli operatori con telecamera, ai microfonisti, ai fotografi, ai truccatori, oltre ovviamente agli attori, tutti naturalmente sotto la sapiente guida di un "concentratissimo" regista come Marco Amenta, che ha dovuto fare i conti anche con i diversi punti di vista degli allievi sui temi da trattare e le modalità da mettere in campo.

 

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Cosa rimane a me, come tutor, e a tutti coloro che hanno vissuto questa esperienza? Per alcuni allievi è stata l'occasione per capire le proprie attitudini ed alcuni hanno scelto già la via della regia o della recitazione come professione futura. Per me, docente di Latino e Greco, indomita e creativa quanto e più dei miei allievi in alcuni casi, questi momenti rappresentano il cuore dell'attività formativa di un docente, attraverso cui trarre fuori i talenti più inaspettati degli allievi, grazie ad una dimensione diversa, quella propria di un'attività extra-curricolare che, nonostante richieda impegno, fatica, dedizione e concentrazione, permette ai ragazzi di esprimersi più liberamente, di lavorare in sinergia con compagni, che diventano anche amici, della propria classe o di altre classi. Cosa c'è di più gratificante per tutti coloro che operano nella scuola che viverla come un luogo di conoscenza, creatività, socialità e gioia e vedere prendere forma ad un progetto che è frutto della collaborazione di tutti? Ogni volta, inoltre, sono venuti operatori esterni di testate giornalistiche differenti, che hanno realizzato servizi interessanti sulle attività svolte all'interno del corso, ed hanno intervistato gli esperti, la tutor, gli allievi. In ordine di tempo menziono il più recente e agile servizio della giornalista Marta Gentilucci, all'interno della nuova testata giornalistica on line "I quaderni de l'ora quotidiano" del 13 Novembre 2014: in questo servizio si può percepire il fervore, la passione, ma anche il forte senso di appartenenza e di affezione degli Umbertini di ogni tempo alla propria intramontabile scuola. ADA MAGNO Docente di Materie letterarie, Latino e Greco presso il Liceo classico “Umberto I” di Palermo

 

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Il corso POF di Mitopsicologia classica e moderna di Karin Guccione

“Nessun’altra mitologia a noi nota – evoluta o primitiva, antica o moderna - può vantare un grado di complessità e sistematicità tanto elevato quanto quella greca […] Dietro e dentro la cultura greca - nell’arte, nel pensiero e nell’azione - c’è il suo sfondo mitico policentrico” ( J. Hillmann) Un esperimento, che è diventato un metodo. Così è nato, un po’ per caso, dalla collaborazione fra l’autrice di questa comunicazione ed il prof. Mario Pintacuda, il corso di Mitopsicologia Classica e Moderna che da diversi anni viene proposto in questo Liceo e che è unico nel suo genere. È partito come un incontro nelle singole classi, in cui si affrontavano, in una doppia chiave di lettura, alcuni personaggi del mito. Oggi, dopo diversi anni, il corso è stato inserito nel POF e conta sulla partecipazione di circa 60 allievi. L’incontro tra il mondo greco, i miti, il mondo immaginale e la psicologia non è nuovo. Da anni la psicologia trova nei miti lo specchio della profondità dell’anima. Ciò che è nuovo è rendere comprensibile e fruibile questo connubio a ragazzi adolescenti e potere fare con loro un lavoro unico di rielaborazione del mito stesso. Affinché questo progetto si potesse realizzare è stato necessario mettere insieme due diverse professionalità, una psicologa con la passione per i miti ed un docente grecista e scrittore, con la passione per la psicologia. È da questa terra di confine che è nato questo metodo. Siamo partiti dall’assunto che, al di là della ricchezza storico-culturale che racchiudono i miti, la loro lettura possa sollecitare in noi una serie di domande sull’animo umano, sulle forze che lo agitano, inducendo una riflessione ancora più profonda, su noi stessi e sulle nostre emozioni, su ciò che ci accomuna al genere umano, sulla natura dei rapporti sociali. Jung, un grande psicoanalista, diceva che i miti ci presentano una serie di contenuti archetipici, appartenenti alla psiche collettiva, che mostrano in modo esemplare la natura multiforme della psiche umana. Essi possono diventare, pertanto, anche specchio del dramma dell’anima, agitata da emozioni spesso contrastanti ed in eterna lotta tra ciò che soddisfa se stessa e ciò che è utile per il benessere collettivo: “…oltre alla nostra coscienza immediata, che è di natura del tutto personale, e che riteniamo essere l’unica psiche empirica, esiste un secondo sistema psichico di natura collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui. Quest’inconscio collettivo non si sviluppa individualmente ma è ereditato. Esso consiste in forme preesistenti, gli archetipi, che possono diventare coscienti solo in un secondo momento e danno una forma determinata a certi contenuti psichici”1. “ Come spesso accade, lo studio dei miti che la scuola predilige passa attraverso la lettura delle opere

                                                                                                                         1 C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo.  

 

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dei grandi scrittori e poeti dell’antichità. Ciò non stupisce, data la complessità e ricchezza di materiali ed il poco tempo disponibile per la didattica. Ci si concentra quindi unicamente sui contenuti storico-culturali che, sebbene essenziali, non esauriscono tutti i possibili modelli di lettura e analisi dei miti. È possibile infatti associare a questo livello di studio la prospettiva metodologica della mitopsicologia e recuperare in tal modo un patrimonio che andrebbe altrimenti perduto, per ciascun allievo, non emergendo mai alla coscienza. Riappropriarsi di questo patrimonio significa per ognuno di noi, cambiare, lasciarsi trasportare in un meraviglioso viaggio che va oltre il tempo e l’oggettività. Il tempo è circolare; pertanto i miti rievocati ritornano, rivivono nel presente e trovano anche spazio nel futuro. Il mito è specchio dell’anima, intesa come ciò che di più profondo abita in noi e ciò che è comune al genere umano. Partendo dall’assunto che il mito greco, di cui le tragedie sono uno specchio, sia una sorta di “psicologia delle origini”, e riappropriandoci della sua dimensione simbolica, si può cogliere la natura trascendentale del mito stesso in quanto manifestazione degli archetipi di personalità e di comportamento. Più che richiamare la funzione narrativa del mito, quindi, viene richiamata la funzione psichica, la capacità di attivare una dimensione immaginafica che induca una nuova consapevolezza di sé. Gli dèi greci ed i personaggi del mito costituiscono un universo immaginale della molteplicità dei nostri mondi psicologici e questo spiega perché i ragazzi, sollecitati attraverso la scrittura creativa a cercare quella componente del mito che abita la propria anima, siano in grado di esprimere sfaccettature dell’animo umano che trascendono la propria personale esperienza. Il metodo che abbiamo costruito parte da una lettura comparata delle fonti, perché è importante che vi possa essere una base ampia di analisi del corpus letterario. Attraverso questa analisi, che prende origine da ciò che ha prodotto il mondo greco e latino, ma che si arricchisce con ciò che appartiene al mondo mitologico di altre culture, si può rintracciare il mitologema sottostante ai diversi miti. Il mitologema è, come ha scritto K. Kerényi2 è “un’antica massa di materiale tramandata in racconti conosciuti che tuttavia non escludono ogni ulteriore modellamento. […] La mitologia è il movimento di questa materia, qualcosa di solido e tuttavia mobile, materiale e tuttavia non statico, bensì suscettibile di trasformazione”. Il mitologema è la via maestra per attraversare il ponte simbolico, per accedere al metalivello che ci consente di ri-appropriarci del significato più profondo del mito. Capita allora di scoprire che il mito di Tisbe sia identico alla storia ripresa da Shakespeare di Romeo e Giulietta e che Elena sia un personaggio fortemente legato al mondo palustre come la cugina Penelope ed entrambe abbiano elementi che le ricollegano alle antiche dee madri. Contemporaneamente ci siamo proposti, attraverso la rilettura moderna dei miti, di effettuare un viaggio immaginale che si avvicina molto al concetto del “fare anima” di Hillman: “Chiama il mondo, se vuoi, la valle del fare anima. Allora saprai a cosa serve il mondo” diceva John Keats. “Fare anima”, secondo Hillman è ciò che accade quando entriamo in relazione con la nostra interiorità attraverso l’ascolto dei nostri contenuti interiori. “Fare anima” però è anche la capacità di mettere in comune con gli altri questi contenuti. Questo corso trova la sua massima espressione nel “fare anima”, poiché consente, attraverso un lavoro immaginale, di ri-appropriarsi di un dialogo interiore, ma anche di ri-elaborare e condividere queste consapevolezze con il gruppo, consentendo un’ulteriore trasformazione che nasce dal confronto e dalla condivisione di questi aspetti intimi. Quando abbiamo deciso di “andar per miti” sapevamo che sarebbe stato un viaggio affascinante ma non semplice. La complessità dei livelli di lettura doveva essere resa disponibile ai ragazzi, anche a coloro che potevano possedere livelli di conoscenza del mito diversi. Mentre i primi corsi sono stati pensati per ragazzi del triennio liceale, quest’anno, anche in relazione all’elevato numero di                                                                                                                          2  K. Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, trad. it. A. Brelich, Boringhieri, Torino, 1983, pag 15-17.  

 

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richieste, abbiamo deciso di permettere l’accesso anche a ragazzi del biennio ginnasiale. Al di là infatti della padronanza delle conoscenze, essi sono accomunati proprio dalla dimensione psicologica che il mito riattiva, sollecita. Il contatto con questo livello diverso di consapevolezza produce infatti quello che in psicologia si chiama insight, una sorta di illuminazione, una comprensione più profonda della propria dinamica psichica. Proprio questo aspetto personale rende differente questo lavoro mitospicologico da tanti altri metodi di analisi dei miti. Non è tanto la lettura psicologica dei personaggi ad essere oggetto di interesse, quanto la lettura di quanto di quel personaggio abita in noi, ormai spoglio della sua oggettività. Il mito allora è come una chiave, che apre simbolicamente la nostra anima. Metodologicamente abbiamo deciso di sfruttare due approcci metodologici. Un primo modello di lavoro viene attuato attraverso la rilettura di personaggi chiave del mito stesso, come Elena, Fedra, Medea, Antigone, Elettra, Andromaca, Clitemnestra, Alcesti, Oreste, Edipo, Odisseo, Nausicaa, ecc. Tali personaggi, essendo “a tutto tondo”, ovvero estremamente caratterizzati nella loro psicologia, possono consentire un lavoro di rilettura psicologica preliminare al lavoro di analisi mitopsicologica. Un secondo modello invece trae spunto da argomenti chiave, come il sogno, la magia, i vari volti del femminile, la violenza, nevrosi e follia, eros e philia. I ragazzi vengono condotti, attraverso un percorso interdisciplinare fatto di suggestioni psicologiche e artistiche, ad effettuare una personale rilettura del mitologema, a trasformarlo nuovamente tessendo nuove trame simboliche. Per attivare tali suggestioni vengono utilizzati metodi esperienziali che vanno dalla scrittura creativa al social dreaming, al role playing. I ragazzi hanno una naturale propensione a lasciarsi condurre e a sperimentare diversi modi per attivare livelli di introspezione. La condivisione di questi momenti consente a ciascuno di loro di esprimere parti di sé e di donarle agli altri. È capitato pertanto di poter leggere cosa ha provato Andromaca catapultata per un gioco psicologico ai giorni nostri in uno studio psichiatrico dopo il grave lutto subito, e ascoltarla spiegarci il dolore che permeava il suo animo e scorgere, nella caratterizzazione che l’allieva aveva fatto, tutte quelle sfumature emotive che è difficile possa sapere una giovane ragazza che non conosce la follia. Andando per miti è stato anche possibile scoprire come Dioniso sia legato al Dio norreno Wotan e arrivare a rendersi conto di come la gioventù tedesca di Wandervogel (“Uccello vagabondo), calatasi pericolosamente nel mito orgiastico del Dio guerriero, abbia creato storicamente una forma aberrante di struttura sociale, preludio dei nuclei armati delle SS. Forse questo aspetto dei miti è quello più affascinante: la natura del processo, dell’incessante trasformazione che il mito attiva e che può anche spiegare fenomeni sociali complessi. Il mito trova anche spazio nella realtà del nostro tempo, sia individuale che collettiva, tanto che abbiamo potuto assistere ad una seduta psicologica familiare di un’Elettra sconvolta dai tradimenti della madre e dal suo voler imporre un uomo diverso dal padre nella propria famiglia. Medea, il personaggio tra tutti più controverso, che uccide i propri figli, viene riletta con le diverse sfumature, cercando di comprendere che cosa possa indurre in questa donna una forma di rabbia tale da sovvertire i canoni naturali del sentire comune. Per alcuni è egoismo, per altri è la massima e più negativa forma dell’amare, per alcuni invece è l’aver capito che i propri figli sarebbero stati “barbari” come lei, così simile nella propria scelta di diventare matricida a quella Magda Goebbles, che sacrificò i suoi figli perché non poteva tollerare che vivessero come stranieri in un mondo senza il Reich. Per agevolare la possibilità di effettuare sempre un lavoro psicologico sul e con il mito, gli incontri vengono suddivisi in due sezioni. Una prima parte comprende l’analisi dei testi e la comparazione delle riscritture, l’altra parte comprende la lettura psicologica e il lavoro di gruppo e/o individuale. L’uso del power point rende più marcati i diversi collegamenti con l’arte, la musica, il teatro, il cinema, affinché si comprenda come il mito è una suggestione e offra suggestioni che trovano espressioni in forme diverse, come quelle che i ragazzi stessi producono.

 

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Dalle riscritture creative dei ragazzi infatti è stato possibile già da diversi anni, ricreare uno spettacolo teatrale. Con l’aiuto di un esperto esterno, che cura la sceneggiatura e l’adattamento teatrale, i ragazzi si cimentano nella messa in scena dei loro stessi prodotti che vengono commisti ai testi originali. Da queste rielaborazioni sono nati lo spettacolo Noi e lo spettacolo Dell’Umana Ragione e del Dolore. I ragazzi che avevano preliminarmente seguito il corso di mitopsicologia e che avevano potuto sperimentare se stessi nella rielaborazione dei contenuti mitici, seguiti da Chiara Pasanisi, esperta teatrale e coadiuvati da Karin Guccione e Mario Pintacuda, hanno potuto realizzare in scena le loro stesse suggestioni. Proprio a queste suggestioni vogliamo dare spazio, affinché chi legge possa comprendere il valore aggiunto del percorso. La possibilità di esprimersi con più registri stilistici e psichici ha consentito ai ragazzi di poter far emergere il proprio vissuto tragico o ironico, e di calarsi nel personaggio evocato. Attivazione richiesta: immagina una Medea moderna che dopo ciò che è successo si trova chiusa in ospedale nel reparto psichiatrico con una diagnosi per follia. …365esimo giorno, sono rinchiusa qui , riesco a fare il conto dei giorni, ma non è facile, mi dicono che sono pazza ma non lo sono. Ho iniziato a scrivere per non dimenticare la sofferenza della mia vita, e di queste quattro pareti, mi danno poco cibo, mi fanno sempre poche domande , mi dicono che mento, cercano di farmi credere che la mia vita sia tutto frutto della mia immaginazione, ma non è cosi. Io ho vissuto tutto; il dolore dell’essere lasciata per un’altra solo perche io sono straniera. Ho fatto tutto per lui, e lui mi ha lasciata sola, con i miei figli. Continuano a ripetermi che è tutta una bugia, che non avrei mai potuto uccidere i miei figli., ma l’ho fatto…l’ho fatto, e non me ne pento. Lui ha distrutto la mia vita ed io la sua. Hanno avuto il coraggio di dirmi che io non sono Io, che mi sono impersonificata in lei, ma sono dei ladri bugiardi. Io sono Medea! Mi hanno rubato la libertà, la mia vita, ma troverò il modo di vendicarmi. Io Sono Medea, sono una maga, son una vendicatrice, e finché avrò il mio ultimo respiro, nessuno mi controllerà, nessuno avrà la mia libertà. Io Sono Libera, rido, rido, rido, la mia mente viaggia nel tempo che fu e nei luoghi in cui fui felice, non sono mai stata fortunata ma sempre libera. Ma adesso…silenzio…non mi devono sentire ridere, devo nascondere questo foglio e questa piccola penna, non scopriranno che li ho. Riuscirò a scappare potrei passare dalla finestra, non è cosi piccola, voglio.. posso…e devo sopravvivere. Dovranno conoscere la mia versione dei fatti. Giasone è solo un codardo che si nasconde, non ammetterà mai i suoi errori, ma non mi sconfiggerà. Io Medea, donna poco ascoltata mi farò ascoltare, io vincerò. Attivazione richiesta: immagina una Pandora moderna che si trova chiusa in ospedale nel reparto psichiatrico con una diagnosi per follia. Non capisco quale sia il loro problema. Voglio dire, era solo un vaso. Un maledetto vaso. Che ne sapevo io di cosa conteneva? non c’era nelle istruzioni. A dire il vero non c’erano neppure le istruzioni. quindi tutto risolto no? Non è stata mica colpa mia, ma della ditta produzione vasi. Non che fosse un vaso particolarmente grazioso, Poi..chi avrebbe immaginato che tutti, ma proprio tutti i mali del mondo fossero contenuti in un vasetto del genere? Che li contenessero in uno molto più grande, magari con un cartello: Attenzione! Pericolo calamità universali. Non aprire. Lo avevano solamente detto a voce, sussurrato più che altro, giuro. E beh..per quanto ne so, potevo anche essere sorda! So cosa state pensando, povera ragazza, ha assolutamente ragione” cosa’ non stavate pensando questo?ah allora stavate sicuramente pensando “come si fa a contenere tutti i vasi del mondo in un vasetto a grandezza naturale?beh è esattamente quello che ho pensato anche io. Pensate che io sia pazza ? beh vi dirò una cosa, non sono pazza e sapete perché? Perché ho la prova di quanto è successo. Esatto si..ho le prove. E le ho mostrate ai dottori, ma loro continuano ad ignorarle. Ebbene la prova sta nella speranza. Si perché è l’ultima a morire no? E sapete perché? Perché ho rinchiuso il vaso prima che se ne andasse. Sissignore… è successo. Quindi capite? Finchè c’è speranza io sono assolutamente normale, siete voi i pazzi a non crederci. Perciò no…non è affatto giusto quello che mi stanno facendo. Soprattutto perché qua non c’è più nulla da fare e mi annoio. Ma la cosa più terribile è che qui non fanno altro che servire vasetti da mangiare. Di continuo, a colazione, a pranzo, a cena. E sinceramente ne ho avuto abbastanza di vasetti, per tutta la vita….. Attivazione richiesta: costruisci un monologo di Antigone come se la storia fosse ambientata in epoca diversa. “Salve a tutti, il mio nome è Antigone… e ho un problema con l’alcool.” Coro: “Ciao Antigone!” A: “Fin da piccola ho avuto una situazione familiare tranquilla e felice, insieme ai miei due fratelli e mia sorella, ma qualche tempo fa è venuto alla luce che in realtà mio padre era il primo figlio, dato in adozione dopo la nascita, di mio… di mio nonno, ossia il primo marito di mia madre. In pratica la nostra famiglia si è disintegrata, e allora ho cercato di scappare, di dimenticare il suicidio di mia madre e la morte del mio padre-fratellastro. I miei due fratelli,

 

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per cercare di mantenere noi due sorelle sopravvissute, si sono dati alla malavita, ma sono finiti in un brutto giro, e uno di loro non è più stato ritrovato… È stato un periodo molto, molto brutto. Abbiamo cercato di tirare avanti da sole, ma mia sorella è finita in una comunità psichiatrica, mentre io sono riuscita a non cedere, anche se poco dopo mi sono resa conto di non essere in grado di sopravvivere da sola. Era il senso di colpa che mi mangiava dentro, e anche il vino più buono che potessi permettermi non mi dissetava. Sentivo che mi mancava qualcosa, ma non sapevo dire allora di cosa si trattasse. Fu in quel frangente che conobbi un uomo, era dolce, affettuoso, non capivo cosa trovasse in me, e nemmeno lo capiva suo padre, ma per un po’ fummo sereni. Poi una notte capii, abbracciandolo, cosa mi mancava: la mia famiglia perduta non poteva ancora lasciarmi davvero. Andai in analisi, e la mia psicologa mi suggerì di elaborare meglio il dolore prodotto dall’accumularsi di tutte queste perdite. Chiesi aiuto a quella che cercavo di considerare la mia nuova famiglia, ma il padre del mio promesso non voleva che io mettessi in pericolo suo figlio ficcando il naso nel pessimo ambiente in cui erano entrati i miei fratelli. Infatti desideravo completare il cerchio trovando lo scomparso. È stata una scelta meno sofferta di quanto avessi mai potuto immaginare: credevo che dopo sarebbe andato tutto meglio, credevo che non avrei più avuto bisogno di appoggiarmi ad un contenitore vuoto in cui riversare un animo vuoto. Oggi sono qui, seduta, una fra molti, spenta fra opachi riflessi di uomini… senz’ offesa.” Coro: “Ma no! Figurati! Per favore continua…” Antigone: “Sono scesa nelle fogne più putride, esplorato i vicoli più bui, provato quanto può essere dolce la carezza di una corda… E nonostante tutto sono qui, con quel coraggio prima insufficiente a liberarmi, raccontando la mia storia… Ieri ho saputo che anche l’uomo che ho amato è morto, ucciso dalla sua stessa sofferenza… Il senso di colpa mi sugge l’aria dai polmoni versandovi acqua gelida… Però ora ho capito tutto…” Antigone sospira, gli occhi le si spengono e si alza lentamente, dirigendosi verso la porta. Coro:”Ma dove vai Antigone?” Antigone:”Ho capito di aver bisogno di un’altra carezza che mi consoli…” Attivazione richiesta: immaginate di realizzare un Inno a Nausicaa O divina Nausicaa dagli occhi belli, Signora dei Feaci cari agli dei, tu che fosti compassionevole col naufrago Ulisse non temendone in cuore il terribile aspetto; Saffo ancora t’invoca: come in te l’amore di fanciulla, dapprima sbocciò, più dolce del miele, prodigo di innumerevoli doni per l’anelato figlio di Laerte, così io ti prego: che fiorisca come germoglio di palma in Cleide, l’incolto amore che tinge le vergini di pudico rossore. In lei non regna infatti amore, il suo cuore è sterile come terra arida, avverso al dolce talamo che invece dovrebbe agognare. Riempi il vuoto in lei con la tenera speranza delle nozze, e delle sospirate promesse nuziali di Zopirione, similmente al beato giorno in cui il luminoso Odisseo sconvolse, apparendoti innanzi, il tuo immacolato cuore. Attivazione richiesta: immaginate di essere giornalisti e dover fare un’intervista ad Eros Andai, non so quando e non ricordo dove, so soltanto una cosa: alla fine lo trovai. Cammiani a lungo per trovarlo, so solo questo. Gli andai incontro, nel mezzo dell’etere. Vicino a lui, vidi Afrodite, silenziosa, imperturbabile. Presenziava al nostro incontro. Mi chiese chi ero, da dove venivo, ma tutto lì mi fece scordare la mia identità umana. Sapevo solo che la mia anima aveva molte domande per lui. Mi disse di sedermi e che una volta a mio agio, avrei potuto chiedere ciò che volevo. Gli chiesi chi fosse. “Eros” – rispose- “è chiaro non credi? Sono quel demone astuto, povero e scarno che vedi”. Gli domandai anche cosa stesse cercando “Io? Semplice, io cerco l’abbondanza, aspiro a possederla, amarla, baciarla, e… nulla di più. Attivazione richiesta : immagina una Andromaca moderna che dopo ciò che è successo si trova chiusa in ospedale nel reparto psichiatrico con una diagnosi per follia. ANDROMACA: Non può essere vero, Ettore. Tu non puoi essere morto. Sono sola, il dolore mi logora l'anima, fa così male che mi consuma il cuore. Sono sola, qui, e ripenso a quella scena. (Pausa). Infilza la carne con la sua lancia, quel demone dagli occhi di fuoco, infilza la sua lancia nelle tue membra. Eri giovane, coraggioso, pieno di progetti, avevi voglia di tornare a casa da me e dal nostro bambino. Ma stai morendo: cadi a terra, lo vedo, ti stai accasciando. Che fai Ettore, che fai? Non torni a casa? La tua voglia di vivere, dov'è? Scivola via insieme al sangue che scorre... scappa veloce, abbandona il corpo, abbandona la mente. Il demone ha sete di sangue, infierisce, infilza ancora la sua lancia. Demone! Cede il mio Ettore, cade. (Pausa). Torni a casa? Vieni, su, nostro figlio ti aspetta. Vorrà sapere quanto è forte suo padre, devi dirglielo, devi mostrargli il tuo elmo, devi insegnarli ad essere coraggioso come sei tu. Torna da me. Io ti aspetto, sono qui, mi vedi? Io ti vedo e ti aspetto. (Pausa). Pazza! Sono pazza e non posso guarire, perché un demone ha ucciso il mio sposo condannandomi all'infelicità, relegandomi a quest'angolo di angoscia, solitudine e disperazione. Che fai Ettore? Ti accasci? Non torni a casa? Non sei stanco di combattere, di rotolare nella polvere, di agonizzare? Alzati Ettore, vieni a casa... (Pausa). No, tu non puoi essere morto, sei qui accanto a me e mi stringi la mano. Io ti sento.

 

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Attivazione richiesta: costruisci un monologo di Elena come se la storia fosse ambientata in epoca diversa. ELENA: Mia madre mi generò come qualcosa di prodigioso e la mia vita e le mie vicende sono tutte un prodigio. La causa? Era la mia bellezza. Oh potessi, come un dipinto essere cancellata e perdere la bellezza e averne in cambio un aspetto deforme. I Greci scorderebbero la mia cattiva fama e avrebbero di me una buona opinione. Io sono sommersa dalle disgrazie: innanzitutto, senza colpe, vivo nell'ignominia. E un'accusa ingiusta è un male più grande di una giusta condanna. Gli dei mi hanno strappata alla mia terra e portata in mezzo a genti barbare. Priva dei miei amici, io, nata libera sono divenuta schiava. Avevo una sola ancora di salvezza: il ritorno di mio marito, lui solo avrebbe potuto mettere fine alle mie sofferenze. Ma Menelao è morto: non c'è più. Se mio marito fosse vivo ci riconosceremmo da segni noti a noi soli. Ma anche questa illusione è svanita, svanita per sempre. E io, perché vivo ancora? Che futuro mi aspetta? Vivere con un barbaro e sedere alla sua ricca tavola? Meglio la morte. E' la scelta più giusta … impiccarsi è indecoroso, sconveniente anche per uno schiavo. Uccidersi con un pugnale invece ha qualcosa di elegante, di nobile: un attimo, quando è l'ora, e si chiude con la vita. In che abisso di mali sono precipitata! Per le altre donne la bellezza significa felicità, per me rovina.

Lavoro di gruppo sul tema Eros e Philia. Anno 2015

 

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Immagini tratte dalle rappresentazioni teatrali Noi e Dell’umana ragione e del dolore KARIN GUCCIONE Psicologa del Liceo classico “Umberto I” Palermo

 

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SEZIONE IV - L’UMBERTO SI RACCONTA

 

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Una consonante e due vocali di Pippo Macaluso Nulla res sine nomine. Chiarissimo. Nomen omen. Appunto! Perché si esista bisogna avere un nome, e in questo nome è contenuto il nostro destino. Ma il nome non ce lo scegliamo, e nemmeno ci scegliamo i genitori che, per confermare che sei nato, ti attribuiscono proprio quel nome e non un altro. Ma, nella consuetudine di una volta, non erano neanche i genitori a sceglierlo: era il nome del nonno, quello di uno zio precocemente scomparso oppure quello del santo che viene ricordato proprio nel giorno della nascita dell’ignaro innocente. Insomma, un certo destino si impossessa di noi e come se non bastasse, per somma ironia, impariamo a dire “mi chiamo…”. Così, mentre in inglese, ad esempio, si impara a dire “my name is…”, noi invece cresciamo convinti che siamo stati noi stessi a “chiamarci” con un certo nome, ce ne facciamo una qualche ragione e di solito non ci pensiamo più! Questo vale naturalmente per i nomi, di qualunque natura o gusto, che siano dei veri nomi; i vari soprannomi e diminuitivi che ci vengono attribuiti completano l’opera di attenuazione necessaria soprattutto nel caso di nomi poco eleganti o poco fonogenici. Bene! E se, invece, come nome te ne viene dato uno che è già un diminuitivo? Hai un bel dire “mi chiamo…”. Non hai scampo! E se, addirittura, vieni a sapere che quel nome non l’hanno scelto i tuoi genitori né i tuoi antenati e neppure il calendario dei Santi? Non ti puoi capacitare di come il tuo nome sia stato deciso dall’impiegato dell’anagrafe che, in quel giorno in cui il sole cadeva nella costellazione del Leone, sentenziò che ai sensi dell’articolo etc. etc. il nuovo nato non può portare lo stesso nome del genitore, specie se questi ha lo stesso nome del proprio padre, cioè del nonno del nuovo nato. Sì, perché fu proprio quell’impiegato che, di fronte all’insistenza di mio padre di chiamarmi Giuseppe come lui e come suo padre, dette prova di grande comprensione e che, dopo attenta riflessione, suggerì il nomen e di conseguenza, non so quanto inconsapevolmente, l’omen: Pippo! Graficamente e anagraficamente altro dal Giuseppe contra legem e, poiché diminuitivo dello stesso, idoneo a soddisfare il doveroso rispetto del ricordo del nonno scomparso e, certamente, non passibile di ulteriori semplificazioni; la conferma che davvero il genio si annida in persone insospettabili alle quali solo il caso, a volte, permette di rivelarsi. Erano gli ormai mitici anni ’60, l’Italia correva forte e anche mio padre aveva fretta. Quel nome telegrafico, breve, dovette sembrargli al passo con i tempi. Tutto era più veloce: la sua Vespa sprint più veloce del carretto di suo padre, il crescere dei palazzoni più rapido della stesura dei piani regolatori… Alla radio impazzava un motivetto che segnò il mio rodaggio sociale: “E Pippo, Pippo non lo sa/che quando passa ride tutta la città/si crede bello come un apollo/e saltella come un pollo…”. L’avvento della televisione mi regalò invece una serie di spot di una certa marca di pannolini il cui protagonista era “Il Pippopotamo”; fui uno dei primi ad avvertire chiaramente i rischi per l’umanità derivanti dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. Ma la sorte sa anche essere benigna: i colpi all’autostima e il gusto per lo scherno, di cui si è capaci negli anni a volte crudeli dell’infanzia, si infransero spesso contro un bastione possente: la mia Maestra. Lei pronunciava il mio nome in un modo tale che non avrebbe sfigurato nemmeno in un qualche elenco di nobili condottieri o di grandi esploratori. In quella classe tutti si sentivano condottieri o esploratori, e qualcuno perfino un re. PIPPO MACALUSO docente di Educazione Fisica, Liceo classico “Umberto I”

 

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Umberto I: formativa palestra di vita dei futuri cittadini di Claudio Di Cara Suono della campana. Migliaia di gambe che salgono quelle scale che avrei calpestato per cinque anni. L’attesa del primo appello in atrio, i saluti del Preside e si sale. Così è cominciata nel 2005 la mia avventura all’Umberto I. Un’avventura fatta di tante risate con tanti, tra cui quei pochi che continuo a chiamare amici con la A maiuscola, e purtroppo anche di qualche pianto che è passato oltre ogni antipatia e ha rimarginato anche le liti più insanabili. Tutte esperienze che affronterete anche voi, cari umbertini di oggi: litigi, gioie, successi, primi amori, delusioni, dolori… dai più grandi ai più piccoli, cui sul momento non darete più peso del dovuto, ma che tra qualche anno, vi accorgerete, avranno influito sugli uomini e le donne che sarete diventati. Un viaggio di cui siete protagonisti, ma in cui verrete accompagnati da figure che non riesco a non definire epiche: che ascoltano le vostre castronerie, che assistono ai vostri momenti più alti e più bassi, che da un singolo sguardo comprendono le vostre sensazioni, i vostri tentativi di fugare la chiamata fatale alla cattedra, insomma i professori. I professori, che vi fanno crescere, o almeno ci provano, sia culturalmente che, ognuno, a suo modo, umanamente. Perché imparare il pensiero di Cartesio, le tragedie di Sofocle, la poetica del fanciullino è importante, ma molto di più lo è imparare a ragionare, a pensare criticamente, a sostenere e difendere la propria posizione anche se nettamente minoritaria. Questo è quello che si impara nel nostro Liceo e che nessun’altra scuola vi potrà dare. Perciò se volete un consiglio, sfruttate i professori! Spremete fino all’osso ogni goccia del loro sapere, tempestateli di domande, chiedete, chiedete! Chiedete di fare di più! di fare cose diverse! Saranno loro i primi, con le dovute eccezioni, a non accontentarsi di fare la classica lezione: “io parlo, voi ascoltate”. Ed inoltre non vi capiterà più di avere al vostro fianco, al di fuori dei vostri genitori, persone di esperienza che, vedendovi ogni giorno, comprenderanno se ci sia qualcosa che vi turba. Chiedete un consiglio, una mano, se avete bisogno, nessuno ve li negherà. Perché c’è una bella differenza tra il professore liceale, che preferisco chiamare insegnante, e i professori che incontrerete all’università: gli insegnanti, sempre con le dovute eccezioni, hanno tra i loro scopi quello di aiutarvi a crescere, di comprendere (entro certi limiti) le vostre difficoltà, di farvi diventare gli uomini e le donne di domani; i professori universitari invece, anche qui con qualche rarissima eccezione, si disinteressano di voi in quanto persone, siete numeri, una massa indistinta di figure cui impartire la lezione accademica e da esaminare in pochi minuti, dopo una preparazione durata anche mesi e mesi. Prima di concludere lasciatemi fare qualche saluto a quelli che considero i mentori della mia avventura. In primis il mitico “bersagliere” prof. Pintacuda, che ha tollerato un’infinità di miei commenti del tutto insensati, qualche giocata e chiacchiera di troppo in classe, ma molto più mi ha fatto comprendere che cultura significa anche sapere di materie e argomenti che non si studiano a scuola, come musica, cinema, attualità… In secundis, non certo per importanza, il prof. Puleio, che oltre a ringraziare per avermi invitato a scrivere questo contributo, ha reso più leggere le pesantissime ore di Divina Commedia con qualche approfondimento sull’U.S. Città di Palermo e ha sopportato diverse fughe dell’ultimo minuto dalle interrogazioni. Infine, anche se non credo leggerà questo articolo, il grande prof. Savagnone, che ha formato generazioni di umbertini lussandone le clavicole a forza di pacche sulle spalle, che mi ha insegnato l’arte della dialettica, mi ha invitato a partecipare in maniera seria e propositiva ad un dibattito, spiegandomi che non è detto che l’opinione della maggioranza sia quella corretta. L’ultimo saluto lo dedico a voi. Voi che occupate le aule in cui ho seduto per anni, calpestate l’atrio in cui ho trascorso innumerevoli ricreazioni. Come vi verrà detto un giorno sì e l’altro pure, voi sarete la classe dirigente di domani che dovrà tornare a far correre il nostro Paese e la nostra terra. Io vi invito a cominciare da ora, dalla vostra Scuola, iniziando a non viverla semplicemente come il luogo dove si svolgono lezioni, si affrontano le interrogazioni, si conoscono altri ragazzi e nulla di

 

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più. Passate migliaia di ore dentro quei cancelli, è il vostro angolo di mondo, un angolo che evidentemente ha i suoi difetti e necessita di miglioramenti e cambiamenti. Non attendete soluzioni calate dall’alto! Organizzate, partecipate e proponete iniziative per migliorare e sopperire alle carenze della scuola di oggi. Non accontentatevi di mantenere tutto per come è, ma cercate di cambiare il vostro futuro, cominciando dal vostro piccolo angolo di mondo, l’Umberto I. Io lo faccio nel mondo dell’Università con la mia associazione Forum Lybra-FareUniversità, cercando di tutelare i diritti degli studenti e rispondere alle carenze organizzative dell’Università degli Studi di Palermo. Non credo di cambiare da solo il mio o il vostro futuro, ma credo che se ciascuno facesse la propria parte, la famosa piccola goccia nel mare, nella propria realtà, il nostro sarebbe un Paese migliore. Claudio Di Cara (ex alunno umbertino, studente del quinto anno del Corso di studi Magistrale della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo; ricopre la carica di consigliere del corso di Laurea magistrale a ciclo unico)