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5 giugno 2012 anno XII n. 7 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli www.inchiostronline.it Se Roberto Saviano entra in casa Cupiello Il direttore del Corriere del Mezzogiorno ha fatto la somma dei risarcimenti richiesti da Roberto Saviano a tutti coloro i quali hanno polemizzato con la sua versione del caso Croce-terremoto di Casamicciola . In breve si tratta di questo: secondo alcuni racconti, mai per di testimoni del fatto, Croce si sa- rebbe salvato tra le macerie del terremoto dell anno 1883 (in cui morirono i genitori e la sorella) promettendo a un ignoto soccorrito- re la somma, per quei tempi favolosa, di ben 100mila lire! Saviano raccont l episodio in televisione nell ambito di un discorso sulle tante mazzette di cui pullula, da sempre, il Paese. continua a pag.20 A scena aperta Dietro le quinte del Napoli Teatro Festival Italia @ Francesco Squeglia

A scena aperta · 2012. 6. 9. · Per me stata una breve ma stimolante avventura. Mi mancava l esperienza di direttore di un giornale che per questo numero ha utilizzato un bel colore

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Page 1: A scena aperta · 2012. 6. 9. · Per me stata una breve ma stimolante avventura. Mi mancava l esperienza di direttore di un giornale che per questo numero ha utilizzato un bel colore

5 giugno2012

annoXII

n. 7

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoliwww.inchiostronline.it

Se Roberto Saviano entra in casa CupielloIl direttore del Corriere del Mezzogiorno ha fatto la somma dei risarcimenti richiesti da Roberto Saviano a tutti coloro i quali hannopolemizzato con la sua versione del caso Ò Croce-terremoto di CasamicciolaÓ . In breve si tratta di questo: secondo alcuni racconti,mai per˜ di testimoni del fatto, Croce si sa-rebbe salvato tra le macerie del terremoto dellÕ anno 1883 (in cui morirono i genitori e lasorella) promettendo a un ignoto soccorrito-re la somma, per quei tempi favolosa, di ben 100mila lire! Saviano raccont˜ lÕ episodio in televisione nellÕ ambito di un discorso sulle tante mazzette di cui pullula, da sempre, il Paese.

continua a pag.20

A scena apertaDietro le quinte del Napoli Teatro Festival Italia

@ Francesco Squeglia

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Napoli-Tel AvivAndata e ritornoNoa al San Carlo con Gil Dore il Solis String Quartet

Formula leggerezzaGregoretti: mi piace

di Steno Giulianelli

Ò Napoletani e israeliani hanno uno spirito forte, niente pu˜ abbatterloÓ . Parola di Noa. È questa l’anima comune di due popoli affacciati sul Mediterraneo, lontani solo in apparenza. La musica e lÕ amore per le proprie origini li uniscono. E lei non vede lÕ ora di riabbracciare la Ò suaÓ Napoli.La cantante israeliana darˆ il via alla rassegna con un concerto-anteprima sulle note di Ò NoapolisÓ , lÕ album in cui reinterpreta alcuni tra i pi• noti brani popolari partenopei. Con lei, lÕ inseparabile chitarrista Gil Dor e gli archi del Solis String Quartet. Se Noa ha scelto la musica allÕ ombra del Vesuvio, il merito • anche dei quattro musicisti campani.Ò Abbiamo contattato Noa nel 2003 per un concerto al teatro Politeama. LÕ ascolta-vamo da anni, ha una voce magnifica”, ci raccontano il violista dei Solis Gerardo Morrone, insieme al violoncellista Antonio Di Francia e ai due violinisti Vincenzo Di Donna e Luigi De Maio. Ò Ci eravamo giˆ incontrati in alcune manifestazioni musi-cali ed era nato un feeling artistico a distanzaÓ .UnÕ amicizia musicale che Noa ricorda molto bene: Ò Incontrai i Solis pi• di dieci anni fa in un concerto al monastero di Santa Chiara Ð racconta lÕ artista di Tel Aviv Ð. Mi chiamarono come ospite in due concerti a Napoli e Roma. Mi innamorai su-bito di questi talentuosi musicisti e li invitai in tour con me. Abbiamo registrato tre album insieme, un live in Israele e due dischi di canzoni napoletaneÓ . Erano Ò Napoli-Tel AvivÓ , cantato in ebraico, e il successivo Ò NoapolisÓ , opere che hanno arricchito il percorso della cantante nella musica popolare napoletana. Ò Noa aveva giˆ mostrato interesse per queste canzoni Ð ricordano i quattro musicisti del Solis Ð. LÕ abbiamo spinta ad ascoltare centinaia di brani tradizionali in varie ver-sioni. La voce dellÕ artista israeliana ricordava quello stile ormai scomparso delle cantanti partenopee di inizio NovecentoÓ .Proprio lei che aveva iniziato ad ascoltare brani in napoletano da un mangianastri nella cucina della madre, negli Stati Uniti. Ò Ero una bambina Ð racconta Noa Ð. Potevo ascoltare quelle bellissime canzoni provenire da appartamenti e negozi dei tanti italiani che, come me, erano emigrati a New York. Tra tutte spiccava Ô Torna a SurrientoÕ . Anni dopo decisi di cantare quella melodia in Italia, al termine di una mia esibizione. Imparai molti altri brani grazie ad alcuni amici italiani, tra cui i So-lisÓ .Ma Tel Aviv e Napoli sono cos“ diverse? Ò No, anzi. Si somigliano sotto alcuni aspet-ti Ð sorridono i musicisti del quartetto campano Ð. I ragazzi israeliani in discoteca cantavano Ô MaruzzellaÕ , cÕ • un grande amore per Napoli e la sua culturaÓ . Per Noa neppure le distanze geografiche incidono: “Ho trovato molti legami – sottolinea la cantante Ð. Sono due realtˆ che condividono lo stesso mare. I napoletani e gli ebrei sono eterni migranti, sempre alla ricerca del loro futuro, tra guerre e conqui-ste. Hanno imparato a convivere con i loro problemi, sviluppando un senso dello humor che viene dalla sofferenza. Entrambi non hanno mai dimenticato la loro terra. La sognano, la idealizzano. E la cantanoÓ .

di Sara Angrisani

A dirigere Il numero speciale di ÒI nChiostroÓ sul Na-poli Teatro Festival Italia, il giornalista, regista, attore e drammaturgo Ugo Gregoretti. Che consigli dˆ ai praticanti giornalisti che si af-facciano alla professione? “Perseverare. La realtà è difficile. Siete praticanti nel gergo burocratico, ma in realtˆ avete tutte le capacitˆ dei bravi giornalisti. I testi presenti in questo numero sono di notevole qualitˆ . Per me • stata una breve ma stimolante avventura. Mi mancava lÕ esperienza di direttore di un giornale che per questo numero ha utilizzato un bel colore violetto che spero non turbi i teatrantiÓ. Direttore • magenta, non viola.ÒV ai a spiegarlo alle persone che lavorano nello spet-tacolo. Sono molto superstiziose. Per loro i vari tipi di rosso nascondono minacce violacee. Il viola a teatro, secondo loro, porta sfortunaÓ.Quali sono i punti di forza di questo Festival in una cittˆ ricca di contraddizioni?ÒSo no spesso uno stimolo per superare se stessi. Le contraddizioni feconde di questa manifestazione stanno nelle compagnie ospitate che manifestano due esigenze: lÕa vanguardia pi• criptica e il bisogno di comunicareÓ. Cosa pensa dellÕide a del teatro fuori dal teatro?ÒM i piace. Il pioniere • stato Roberto De Simone che ha resuscitato l’anfiteatro di Pozzuoli. Anche Luca De Fusco ha anticipato questo concetto. Lo conobbi giovanissimo. Faceva un tipo di teatro che si svolge-va nelle case di persone che offrivano anche ospita-litˆ agli attoriÓ. Le piace la scelta del tema del Festival, la legge-rezza? ÒSi . é unÕi dea aerea, sorridente, vaporosa, che ri-specchia la scelta dei temi degli spettacoliÓ .Il Festival ospita due maestri del teatro, Robert Wilson e Peter Brook. Cosa pensa del loro lavoro?ÒAmmi ro in modo particolare sia Brook che il funam-bolismo di Wilson. Inventa spettacoli dai temi pi• ine-diti. Riusc“ persino a fare una pi• ce sul design con le sedie di Gio Ponti creando immagini bellissime e fa-cendo diventare protagonisti degli oggetti inanimatiÓ .Quali sono gli spettacoli del Festival che la intri-gano?ÒSo no tante. Mi piacerebbe seguire Ô Sart•Õ , trovo Ôa ppetitosaÕ lÕi dea del teatro in cucina. é interessante ÔArr evuotoÕ con i ragazzi di Scampia. Sono incuriosito dagli steward danzatori di Ô Welcome on boardÕ . Mi attraggono le novitˆ come la rilettura di Cirillo della traduzione che Pier Paolo Pasolini fece del Ô Vanto-neÕ. Mi interessa anche il lavoro di Latella e De Fu-sco con il quale ho lavorato in uno spettacolo sulla Certosa di Parma di Stendhal. Anche il progetto di Ramblas • interessante.Mi • piaciuto anche il lavoro della cantante Noa, sulla musica israeliana che incontra quella napoletana. Le caratteristiche di questi spettacoli sono lÕ intelligenza e la novitˆ Ó.

INCHIOSTRO N. 7 - 2012 // SPECIALE NAPOLI TEATRO FESTIVAL PAGINA 2

Noapolis // 6 Giugno // Teatro San Carlo

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di Antonio S. Lanzillotta

Uno spettro si aggira nella Grotta di Seiano: • Marx. Nel maestoso tunnel, alle volte si sentono parole filosofeggianti, altre, battute di fervido umorismo. Karl? Groucho? Il filosofo tedesco o il comico americano. C’è indecisione. L’unica cer-tezza • che sarˆ la nostra guida: ci condurrˆ nei meandri della grotta (e non solo) per farci scoprire gli altri fantasmi che si aggirano allÕ interno, smaniosi di raccon-tarci le loro storie. Questo • Ò Museo delle utopieÓ . E non solo. Diversi racconti accompagnano lo spettatore in questo cammino surreale: Ò é una sorta di galleria di fantasmi dove si alternano personaggi letterari e personaggi realmente esistiti, tutti a fare i conti con i sogni del proprio tempoÓ, spiega Giuseppe Sollazzo, regi-sta della rappresentazione. Ma perchŽ parlare di utopie? Fa parte del paesaggio interiore di ognuno tutti noi. é unÕe sigenza. ÒA spirare a un cambiamento positivo fa parte dei tutti noi. é un paesaggio connaturato allÕ uomoÓ , spiega Sollazzo. Scritto da Pietro Favari e inizialmente concepito come un insieme di monologhi, Ò Museo delle utopieÓ viene riadattato per l’occasione. Meditazione? Divulgazione filosofica? Niente di tutto ciò. Solo teatro. “Mettiamo in scena il gioco del teatro”, afferma Sollazzo. Che specifica: “Tento di raccontare queste parole alate, filosofiche, alte, con la leggerezza del teatro”. La leggerezza non è sinonimo di superficialità. All’oppo-sto: “È una riflessione sui sogni che hanno avuto uomini del mondo reale e del mondo della finzione. Sono dei punti di vista alternativi”, dice il regista. Una guida particolare, una località affascinate e, non di poco conto, una pluralità di linguag-gi: unÕ opera che comprende media, oggetti e forme espressive di qualsiasi tipo installati in un determinato ambiente. Ci sarˆ un video che presenterˆ il testo di George Orwell, “1984”, e che sarà interpretato dal direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara. Le crudeltˆ e le stoltezze dellÕ uomo contemporaneo nellÕ installazione: “Anche il mio nemico contribuisce alla mia felicità”. Dall’installazione “Happy hour sulla lunaÓ, si passa per quella molto suggestiva di Ò Con la prossima bomba intel-ligente comprer˜ un trenino elettricoÓ: presenterˆ un allestimento scenico con un lettino bianco tutto puntellato di bandiere americane che rappresenta il lettino dei condannati a morte. Restif la Bretonne: un bordello perfetto pensato e concepito per ovviare agli inconvenienti della prostituzione. Ò LÕ autore immagina un luogo

immune da malattie e soprusi Ð dice sorridendo Sollazzo Ð in cui allÕ ingresso gli uomini devono depositare le armi e le donne hanno diritto a un bagno tiepido. Un giorno s“ e uno noÓ . Racconti e utopie di ogni tipo. Non soltanto Ô serieÕ ma anche ironiche. Come quella raccontata nellÕ istallazione Ò Migliora te stesso per migliorare il mondo”. “Un drammaturgo ritratto come una figura a metà strada tra l’Ecce Homo e un San Sebastiano – dice –, trafitto da penne, assunto agli onori della pittura di scuola napoletana perchŽ eternamente inascoltatoÓ . Tante utopie, alle volte contrastanti ma che, come una stoffa, vengono tessute insieme. Anche (e forse soprattutto) nella loro diversitˆ . PerchŽ , chiosa Sollazzo: Ò Come diceva Antonin Artaud: non avere paura di usare parole che non stanno bene insieme perché in genere sono quelle che significano più cose”.

Il regista Giuseppe Sollazzo mette in scena una pièceche scava nella memoria dei grandi pensatori del Novecento

Gli attori di Davide Iodice recitano sul palco con i propri genitori

Museo delle utopieviaggio tra gli spettri

Padri e figli nella stanza dei giochi di Christian Gargiulo

ÒPr ovo a intercettare, con lÕ arte, la vita che ci circon-daÓ. Davide Iodice sembra aver chiara la sua idea di teatro. Dopo lÕe sperienza de ÒL a fabbrica dei sogniÓ , ritorna a confrontarsi con non-attori. Nel lavoro data-to 2010 i suoi teatranti si accompagnavano ai senzatetto del Dormitorio pubblico di Napoli - luogo dove • andato in scena -.Nella sua ultima fatica ÒU n giorno tutto que-sto sarˆ tuoÓ, invece, il regista napoletano ha affiancato ai propri attori i loro genitori. E se • vero che la buona riuscita di un lavoro tea-trale dipende molto dalla bravura degli attori, in questo caso, forse, lo è ancor di più. “Han-no condotto una straordinaria opera di im-mediazione, cio• sono diventati dei medium e, insieme a me, registi dello spettacoloÓ. Iodice sa di averli messi in difficoltà, perché tra il palco e lÕ attore esiste un rapporto spe-ciale. Òé un poÕ come una stanza dei giochi. Farvi entrare il proprio genitore • problema-ticoÓ. Senza contare, poi, i momenti scenici che mettono a dura prova lÕ emotivitˆ dei non attori-genitori, nei quali gli attori-figli si sen-tono Òg iustamenteÓ chiamati a proteggere i propri compagni di scena. E non solo. ÒG li attori sono al loro servizio. é come se veicolassero lÕe motivitˆ dei genitori; come se la strutturassero, la vestissero, la rendessero possibileÓ.

Non mancano, nel lavoro di Iodice, parti ora pi• vi-sionarie, ora pi• astratte, ora pi• concrete. In alcu-ne, i dialoghi sono del tutto improvvisati. Ò Mantengo i microfoni accesi in scenaÓ . LÕ improvvisazione • una componente significativa. Del resto, i non attori-geni-tori potrebbero mai recitare la parte di loro stessi? Ò é

impossibile, oltre che osceno. Sono se stessi. I figli invece sono figli, e diventano altro quando il teatro innesca i suoi meccanismi. È un flusso che io non

controllo totalmente. Tutta questa complessitˆ pone gli attori in uno stato di grande fragilitˆ Ó .Quasi ultimate le prove, Ò Un giorno tutto questo sarˆ tuo” sarà incompleto fino alla messa in scena. “L’ele-mento di incontro con il pubblico definisce il mio lavoro, lo completa. Produce una scarnificazione”.

Iodice prova a lavorare su un concetto che • Ô lasciarsi guardareÕ , e non Ô farsi vedereÕ . é verso questa dimensione che tenta di condurre i suoi attori. Ò Il teatro non • uno strumento di auto-ce-lebrazione degli artisti. Ô Lasciarsi guardareÕ si-gnifica accettare che ti si guardi per come sei”.Ò Un giorno tutto questo sarˆ tuoÓ , nel titolo, cita una frase de Ò Il piccolo LordÓ , romanzo di Fran-ces Hodgson Burnett. “Ma il rimando è anche alle barzellette. Da un poÕ di tempo, con i titoli, sto lavorando sui luoghi comuni, perchŽ pos-siedono una sfera semantica nella quale posso-no ritrovarsi in tantiÓ . Succedeva anche ne Ò La fabbrica dei sogniÓ . Ò Un titolo molto televisivo, che per˜ strideva con la realtˆ dei senzatettoÓ . Ò Un giorno tutto questo sarˆ tuoÓ • utilizzato con un intento ironico. Gli attori-figli non eredi-teranno le fortune di Lord Fauntleroy. Molto più probabile che, come nella battuta circolata in Internet qualche tempo fa, rispondano: Ò Papˆ , non vedo nienteÓ .

PAGINA 3

Museo delle Utopie // 8-9-12-13-17-18 Giugno //Grotta di Seiano

Un giorno tutto questo sarˆ tuo // 8-9-10 Giugno //Teatro San Ferdinando

@ Lucia Dovere

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di Daniela Abbrunzo

ÒN on se ne pu˜ pi• di Napoli uguale pizza e mandolino. Questa cittˆ • fatta di contrasti. é lÕ ora di svecchiare certe etichetteÓ . é Marco Luciano a parlare, regista e attore di Ò Napoli.Interno.Gior-no.Ó . Lo spettacolo itinerante tenta di ritrarre il capoluogo campano e tutte le sue contraddizioni. Il viaggio parte da uno spazio teatrale in via San Biagio dei Librai 121, da l“ ci si sposta in un basso in vico Purgatorio ad Arco 13 e infine in un appartamento in via Atri 33. Qui nelle vie del centro storico si snoda il percorso dei due protagonisti: Carmine Marino e Biagio Spedalieri al secolo Emilio Massa e Roberto Cardone. Ò é uno spettacolo cinematografico, come un lungo piano sequenza Ð osserva Luciano durante le prove Ð. Un invito a battere nuove stra-de che incuriosiscano lo spettatoreÓ . Il soggetto nasce grazie a Beatrice Baino, che nella pi• ce interpreta una detenuta, prendendo spunto da De Sica e De Fi-lippo: “I loro film erano quasi sempre in

casa, ho pensato che si poteva fondere un luogo immaginario con uno realeÓ .La storia racconta del dottor Marino che viene accompagnato dal medico Speda-lieri, suo sostituto per un mese, in una Ò giornata-tipoÓ fatta di visite mediche ma anche dÕ illegalitˆ , relazioni e interessi particolari. Ogni abitazione corrisponde a una storia: la prima • quella di un fune-rale, la seconda racconta di una detenu-ta ai domiciliari e la terza racconta di una nascita improvvisa. Ò Questo viaggio • in-nanzitutto emotivoÓ , precisa Baino. Ò La fine che conduce a un inizio è metafora di una rinascita culturale e sociale del-la cittˆ Ó , le fa eco Luciano. Ò In una delle scene viene rappresentato lo scontro tra un figlio che vuole fare il neomelodico e la madre cantante jazz Ð aggiunge -. Ci siamo chiesti la gente da che parte si metterˆ . Chi • pi• cafone o ridicolo? Il ragazzo o lei che si ostina a voler fare la cantante? Abbiamo cercato di rac-contare uno spaccato della nostra realtˆ , spesso omessoÓ . Tutto ruota intorno ai due medici: gli al-

terego. Le due facce di Napoli. Ò Il dottor Marino è un uomo cinico, un traffichino a cui importa solo della sua sopravvivenza - spiega Emilio descrivendo il suo per-sonaggio Ð. Per lui non esistono valori. A un certo punto cÕ • un litigio violento con una sua paziente. Ed emerge la leg-gerezza, tema del Festival di questÕ anno. Una leggerezza intesa come immedia-tezza o veritˆ nuda e crudaÓ . DallÕ altro lato cÕ • Biagio. Ò Molto ligio al dovere, ma non capisce cosa significhi arrangiarsi”, spiega Roberto Cardone parlando del suo ruolo.Lo spettacolo definito dagli stessi auto-ri Ò 25 point of viewÓ (per via del numero di persone in grado di accedere a una singola replica) si presenta, fino alla fine, pieno di sorprese. Ò La particolaritˆ di Napoli.Interno.Giorno. • che ogni spet-tatore senza nessun contatto con gli at-tori sarˆ regista dello spettacolo Ð rivela Luciano Ð. Non proprio senza, un contat-to cÕ • . Ma quello non posso raccontarlo a parole, bisogna venire scoprirlo sulla scenaÓ .

Si chiamano Giulio Barbato e Claudio Benegas. All’anagrafe 32 e 34 anni. Italiano il primo, argentino il secondo. Entrambi artisti di strada. Il loro incontro avviene a Napoli nel 2004. Giulio ha una busta per Claudio: gliel’ha data un suo amico cono-sciuto per caso a un festival. Ò Sono arrivato da Venezia per un meeting di artisti di strada. Sembravo un postino con questa lettera per Claudio. Da allora siamo di-ventati inseparabiliÓ, racconta Giulio mentre ha appena cominciato a piovere fuori Castel dell’Ovo (dove si trova per esaminare una location per le esibizioni, n.d.r.). Sono passati ben 8 anni da quellÕ incontro e i due amici hanno formato unÕ asso-ciazione per gestire il progetto ÒRa mblasÓ. LÕi niziativa al quarto anno di partecipazione alla rassegna ha acquisito importanza: dopo l’entusiasmo manifestato dal pubblico – due anni fa si raccolsero 2000 firme per sensibilizzare le istituzioni sul tema - e lÕ autorizzazione del sindaco de Magi-stris alle esibizioni. Ma i due non si fermano e anno dopo anno continuano a fare piccoli passi in avanti: come il workshop con Anthony Trahair. “Volevamo trovare un modo per comunicare alla gente cosa significa fare il nostro mestiere”, spiega Giulio. Entro il 10 di giugno ci si potrˆ candidare a [email protected] per partecipare a un corso a pagamento tenuto dallÕ artista britannico.Ò Ramblas in Corsias” invece consisterà in quattro date negli ospedali: Santobono, Pausylipon,

Secondo Policlinico e Giuseppe Moscati di Avellino. Ò Riproporremo il festival per questi bambini laddove sarˆ possibile. Siamo molto contenti perchŽ il progetto si sposa perfettamente con il nostroÓ , aggiunge. Tutto pronto per lÕ invasione delle 20 compagnie di artisti e di altre 15 per “OffRamblas” (si esibiranno a cappello, cioè per offerta) che animeranno le strade durante i tre weekend del Festival. Ò Gli artisti sono stati selezionati con un bando. Sono arrivate oltre 200 domande da tutta Europa. Anche per questÕ anno la giuria sarˆ composta da un gruppo di bambini per una serata e, ancora in forse, ci sarˆ unÕ altra giuria molto specialeÓ , ricorda.Napoli infatti • da sempre legata a questÕ arte. Ò Il suo rapporto • pi• antico di quel-lo di Barcellona. Basti pensare alla Commedia dellÕ Arte o la PosteggiaÓ , osserva. Ò La nostra • unÕ arte aperta a tutti. La pi• democratica Ð conclude mentre il sole spunta dietro al Castello -. Ma se vogliamo fare dei passi avanti bisogna togliere quella patina di poeticitˆ al mestiere. Molti artisti in Europa mantengono la loro famiglia con questo lavoro perchŽ sono pagati al di lˆ del cappello. Finalmente in Italia questo fenomeno inizia a farsi stradaÓ .

d.a.

INCHIOSTRO N. 7 - 2012 // SPECIALE NAPOLI TEATRO FESTIVAL PAGINA 4

Lo spettacolo dal palco si sposta in casaE il pubblico diventa regista per una sera

La Rambla dalla strada arriva in corsiaPer le vie del Centro si esibiranno venti compagnie provenienti da tutta Europa

Napoli.Interno.GiornoUn tour cinematografico

Ramblas // 9-10-15-16-22-23 Giugno // Spettacolo itinerante

Napoli.Interno.Giorno. // 10-11-17-18 Giugno // San Biagio dei Librai 121

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Il realismo magico de Ò LÕ isola di ArturoÓ

Viviani si ascoltain riva al mare di Giorgio Laurenti

Un’atmosfera decisamente particolare quella scelta da Antonella Monetti per “ ‘E feste a mmare”. La spiaggia del molo Cappellini e la luce naturale del sole, che ogni giorno regalerà agli spettatori un effetto diverso. “Ho scelto un testo – spiega la regista – che mi desse la possibilità di rappresentarlo in riva al mare. L’acqua sala-ta è un grandissimo veicolo di emotività che riverbera nel teatro”.Rispetto agli anni scorsi, in cui pubblico e attori venivano imbar-cati, quest’anno il palcoscenico sarà la sabbia. A stare sulle onde saranno i cantanti, parte integrante dei cinque quadri tratti dalle opere di Raffaele Viviani, autore teatrale stabiese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento. In questa antologia parte essenziale ce l’ha la commedia “Napoli in frac”, scritta nel 1926 con l’intento di magnificare – tessendone le lodi – la città di Napoli e la volontà di risanamento da parte dell’amministrazione fascista. Essa vo-leva risolvere i problemi igienici, soprattutto dei “bassi”, i quali avrebbero dovuto lasciare spazio a quartieri residenziali. Inconsa-pevolmente ne venne fuori un’opera satirica, in cui più trascorreva il tempo senza che questo risanamento avvenisse, più l’intento di Viviani veniva capovolto nella sostanza. Le cinque parti dello spettacolo non sono legate tra loro, ma seguono ugualmente un filo logico: la sequenza in cui sono state messe e la presenza del presentatore fanno in modo di dare allo spettacolo uno svolgi-mento fluido: “Non è una drammaturgia, in quanto non ho scritto una parola. Ho messo insieme questo spettacolo con lo scopo di ridare vita a canzoni chiuse nelle pagine dei libri”, dice. A recitare, oltre ad attori, cantanti e ballerini, ci saranno alcuni giovani dete-nuti dell’Istituto Penitenziario per minori di Nisida (dove si sono svolte alcune prove dello spettacolo); un progetto utile per il rein-serimento di ragazzi che hanno ancora tutta la vita per riabilitarsi. L’Istituto ha avuto un ruolo fondamentale per la realizzazione del progetto, dice la Monetti, che ringrazia i responsabili e la Polizia Penitenziaria per aver permesso di svolgere lo spettacolo nella cornice del molo Cappellini.

LÕ attrice di teatro e cinema Li-cia Maglietta, vincitrice nel 2000 del David di

Donatello come migliore attrice per lÕ interpretazione nel film di Silvio Soldini “Pane e tulipani”, porta la storia di Arturo

Gerace nella villa di Publio Vedio Pollione, uno dei luoghi simbolo del Napoli Teatro Festival.

Signora Maglietta, perchŽ ha scelto proprio questo romanzo?Ò é il pi• importante romanzo scritto dalla Morante e quello che a me piace di pi• .

Vagliando le varie possibilitˆ mi piacque lÕ idea di narrare questa storiaÓ .Le letture si terranno al Parco Archeologico Pausilypon. Ha scelto lei il posto?

“Il Pausilypon è un luogo magnifico. L’idea è partita dall’organizzazione del Festival. Parlando del progetto con loro sono andata a vedere il parco. Il mare, le scogliere, le

rocce a picco sono molto evocative. Anche l’edificio in stato di abbandono che si vede a fianco del teatro all’aperto è molto evocativo, sembra la Casa dei guaglioni del romanzo”.

Come si svolgeranno le cinque serate in programma?Ò Nelle cinque serate verrˆ letta tutta lÕ Isola di Arturo, con alcuni tagli, perchŽ • un romanzo lungo. Ogni sera quindi verrà inscenato uno spettacolo diverso”. Cesare Garboli ha scritto: Ò Se si pu˜ essere protagonisti di una misteriosa alleanza, di un invisibile sodalizio con Dio, questo è Arturo”. Lei è d’accordo con questa affer-mazione?S“. La sua visione del mondo non • realista, • una visione molto pi• alta. Tutto ci˜ che lo circonda prende lÕ aspetto di una divinitˆ Ó .Anche il rapporto con il padreÉ“Vede il rapporto con il padre è qualcosa di diverso. Anche se la figura paterna assume sembianze di una divinitˆ • lÕ isola il centro del suo mondo. Per conoscere la storia e ci˜ che sta fuori dallÕ isola di Procida ha solo pochi libri, sui quali legge di antichi faraoni, grandi re del passato. Ma • lÕ isola il fulcro di tutto. LÕ isola madre e la sua magiaÓ .

Ad accompagnarla la sua voce ci sarˆ la musica vero?Ò Non • un accompagno. é un dialogo tra la voce e la musica. Con me ci sarˆ Tiziano

Palladino, un grande mandolinista di fama internazionale. Ho scelto il mandolino perchŽ Elsa Morante era unÕ appassionata di questo strumento, ne possedeva

due. Alle mie parole quindi si legheranno le note del mandolinoÓ .

g. l.

Dickinson, vita e poesiedi un angelo ribelleUnÕa nticonformista dimenticata e le sue passioni. Antonella Cilen-to e Giorgia Palombi portano in scena Emily Dickinson, poetessa americana fuori dagli schemi, con una rilettura che non tocca solo il profilo poetico, ma anche quello biografico.Ribelle, lontana dalle convenzioni e dalle imposizioni familiari, amante della natura e dotata di grande forza spirituale: la scrittrice vissuta nella seconda metˆ dellÕ 800 aveva una personalitˆ com-plessa che la port˜ a isolarsi dal mondo, a chiudersi nella casa dei genitori. E a scrivere poesie.“Leggevo i suoi componimenti e mi affascinava la sua figura – rac-conta la regista Palombi Ð. Non usciva mai di casa, di lei si sapeva poco. Dopo aver letto il testo di Gabriella Sica ‘Emily e le altre’, ho pensato a uno spettacolo sulla sua figura. Antonella Cilento ha vo-luto lavorare su questo testo teatrale con molti materiali che avevo raccolto, poesie e idee visiveÓ. Da qui lÕ idea di rappresentare una sorta di rinascita della poetessa, quasi fosse una crisalide, e la forte luce interiore che emerge dalla sua scrittura e dalle sue riflessioni. “Vedremo Emily Dickinson nella quotidianità, tra passioni, amori e sentimenti, compreso un triangolo incestuoso con il fratello e la co-gnata. Fuggiva dagli schemi dell’epoca, dal matrimonio, dal fidan-zamento, dai salottiÓ , spiega la regista de ÒL Õ angelo della casaÓ . Sul palco Giovanna Di Rauso, Susanna Poole e Giancarlo Cosentino, con questÕ ultimo a dare volto e voce a tutti i personaggi maschili della rappresentazione. ÒC hi conosce la poetessa subirˆ un piccolo shock Ð conclude Palombi Ð sarˆ uno spettacolo di estrema attua-litˆ , non solo drammatico, ma anche pieno di ironia e desiderioÓ .

s.g.

PAGINA 5

‘E feste a mmare // dal 10 al 17 Giugno // Molo Cappellini di Nisida

L’angelo della casa // 12-13-14 Giugno // Orto botanicoL’isola di Arturo // 12-13-17-18-24 Giugno // Teatro Odeion

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Il teatro in cucinaÒS art• Ó , la ricetta di Rosi Padovani. Si ride e si mangia Una commedia esoterica con il sapore delle emozioni

ÒL a cucina e il gusto sono la prima forma di conoscenza che il bambino ha del mondo. LÕ apparato emotivo dellÕ essere uma-no comincia a costruirsi attraverso il ciboÓ . Cos“ Rosi Pado-vani, autrice e sceneggiatrice di Ò Sart• Ó , spiega come nasce il concetto del teatro abbinato alla cucina: Ò Sono partita da una storia scritta per Ô ContaminArteÕ , un progetto che pre-vedeva una serie di eventi artistici, un ciclo composto dagli spettacoli Ô GenoveseÕ , Ô Rag• Õ e ÔP armigiana di melanzaneÕ . Dalla serie di racconti legati al teatro in cucina ho scritto un libro che usci-rˆ a luglio con il titolo Ô Basilico a NataleÕ Ó. Roberto Azzurro, attore e regista di ÒS art•Ó, spiega gli ingredienti di questo spettacolo in cui gli attori cucinano sulla scena il piatto che dà il titolo alla pièce e ne offrono un assaggio a ogni spettatore con un bicchiere di vino: ÒQ uando Rosi mi ha proposto di leggere alcune storie in occasione della Festa del riso a Napoli, mi sono innamorato di questi piccoli racconti autobiografici a cui erano associate ricette culinarie. L’opera nasce dalla nostra collaborazioneÓ . La storia • ambientata in un condominio dove abitano diver-se persone. LÕ impianto • abbastanza realistico. Lo spettacolo • diviso in tante scene, per cui tutto avviene come in un bal-letto. “L’ho immaginato come una sorta di coreografia. Ho inserito brani di musica pop ai quali non rinuncio mai perchŽ credo che questo faccia riferimento alla memoria collettiva.

é un lavoro che coinvolge i cinque sensi. La vicenda ha una portata simbolica e metaforicaÓ . A differenza dei precedenti che prevedono la presenza di due o al massimo tre interpreti sulla scena, questo • uno spet-tacolo corale composto da nove attori. “Ogni personaggio rappresenta, attraverso le proprie caratteristiche, un ingre-diente del sart• di risoÓ racconta il regista. Ò Tenere degli attori

accanto ai fornelli • come abbas-sare le loro inibizioni. Cucinare • unÕ azione quotidiana. Grazie a questo gli interpreti si muovono sulla scena con maggiore sponta-neitˆ . Cos“ si pu˜ raggiungere la veritˆ del teatro in maniera natu-rale. Il cibo • una grande forma di comunicazione. Osservare gli altri a tavola • un modo per conoscere lÕ animo delle personeÓ . Attraverso i monologhi, i personaggi offrono primi piani delle loro personalitˆ . Raccontano al pubblico la loro esistenza, il loro intimo, passando

attraverso dialoghi interiori. Ò é uno spettacolo di sentimenti. Napoli • per certi versi la cittˆ della fame legata alle emozioni forti che questa scatena. La voglia di condividere il cibo rap-presenta lÕ esplosione di vita dei popoli del sudÓ .Ò Sart• Ó avrˆ il sapore delle emozioni semplici, quelle che fanno parte dei micro istanti della vita. Piccoli nodi emotivi si scioglieranno davanti agli occhi degli spettatori. Avrˆ an-che un sapore esoterico. Si svolgerˆ nellÕ arco di un giorno passando per il pranzo domenicale, cos“ caro ai napoletani.

Un problema attanaglierˆ i personaggi e per risolverlo ci vorrˆ lÕ intervento di una donna, che • a metˆ tra una Sibilla cumana e una Madonna.

s.a.

La porta di uno sgabuzzino, un baule nero, uno stand con degli abiti. Uno specchio. Tutto rigorosamente scuro. Una scenografia semplice e una scrittura non lineare per “Tommy… non apro!!!”.Dall’omosessualità all’omofobia, dal finto perbenismo di alcune madri di fronte al toccarsi di un figlio, “Tommy… non apro!!!” è uno spetta-colo “che tratta una serie di problematiche che, nella nostra società, sono nascoste e che abbiamo paura di affrontare”, spiega Vincenzo Borrelli, regista e autore della rappresentazione. Ma chi è Tommy? “Tommy sono io – racconta Borrelli –. Sono le mie esperienze vissute in un’adolescenza particolare. Uno spettacolo abbastanza autobiografi-co per quanto teatralizzato”. È un personaggio che ha bisogno di uno sgabuzzino chiuso per parlare. Un ragazzo che non ama specchiarsi per paura di guardarsi dentro. Un uomo di quarant’anni che è rimasto incastrato in questo luogo spazio-temporale: la sua adolescenza, mo-mento peggiore della sua vita.Starnutisce con puntuale frequenza nel momento in cui sta per aprirsi: “Per parlare ha la necessità di stare chiuso dentro”, aggiunge Borrelli. Da qui l’idea di fare una sorta di seduta psicoanalitica. Lo psicoanali-sta? L’altro. L’ascoltatore.“Quattro attori in scena compongono una gabbia e rappresentano la mia vita – afferma pacato –. Mia madre; mio padre; una ragazza di cui ero innamorato. Me stesso”. Così come Tommy è incastrato nello sgabuzzino, lo è in questa gabbia che creano in maniera surreale gli attori che gli girano intorno. Troverà una via d’uscita?Nelle corde dello spettacolo non manca l’ilarità: la madre di Tommy irrompe nello sgabuzzino sorprendendolo nell’atto di masturbarsi. Co-micità imbarazzante.E, poi, c’è la musica: invade lo spettacolo e smuove lo spettatore. Come una saetta. “I miei spettacoli hanno bisogno della musica, – puntualizza Borrelli –. Deve essere travolgente e coinvolgente. Il par-lato deve essere parte integrante della musica. Come un canto”. Un canto che, spera Borrelli, scompagini gli animi degli spettatori.

a.s.l

INCHIOSTRO N. 7 - 2012 // SPECIALE NAPOLI TEATRO FESTIVAL PAGINA 6

Sart• // 20-21-22 Giugno //Accademia delle Belle Arti

Tommy... non apro!!! // 10-11-12 Giugno // Galleria Toledo

Il regista Vincenzo Borrelli:metto in scena me stesso

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Il teatro in cucina

di Luca Bosio

“Nella vita di un attore ci sono testi che ti perseguitano, ti ossessio-nano. A me è capitato più volte. Ho recitato in spettacoli che erano diventati un chiodo fisso”. Cristina Donadio ha un rapporto viscerale con l’arte. Da bambina ascolta spesso “Histoire du Soldat” di Stravin-sky, un’opera che piace molto a suo padre. Anche lei inizia ad amarla e a sognare di rappresentarla su un palco. L’occasione si presenta nel 1986 al Festival del teatro di Benevento, diretto da Ugo Gregoretti. È lei stessa a proporre alla direzione del festival l’opera del compositore russo. Ottiene la regia. Vengono usati fantocci a grandezza naturale, e gli attori li muovono attraverso la bocca e un braccio. Durante la magia di quel Festival accade la più grande tragedia della sua vita. Suo mari-to, l’attore Stefano Tosi, perde la vita in un incidente d’auto insieme a Annibale Ruccello, suo amico e collega. L’attrice napoletana ci mette un po’ a elaborare il lutto. Anche l’incontro con la “Casa Morta”avviene

per caso. Riceve in regalo un libro antico, una raccolta di poesie dal titolo “Prima dell’Uomo”. Lo apre e inizia a sfogliarlo. La sua atten-

zione cade sul poemetto della “Casa Morta”. È amore a prima vi-sta. “Da quel momento in poi non mi sono più liberata della Casa Morta. È diventata un’ossessione. Stavamo solo aspettando il momento giusto per unirci e portarla in scena”. Yannis Ritsos asseconda la follia artistica della protagonista. Passato e pre-sente, finzione scenica e mondo reale saranno rappresentati in una lirica poetica complessa come i tempi d’oggi.

PAGINA 7

Saponaro: Ò Briciolea questa generazioneÓ

ÒL Õut ilizzo del romanesco • stato per me lÕ unica possibilitˆ di recuperare qualcosa di vagamente analogo al teatro di Plauto, di cos“ sanguigna-mente plebeo, capace di dar luogo a uno scambio altrettanto intenso, ammiccante e dialogante tra testo e pubblicoÓ. Pier Paolo Pasolini spie-gava così nel 1963 la sua traduzione del “Miles Gloriosus” di Plauto. Arturo Cirillo, regista di ÒP asolini Plauto il VantoneÓ, nella sua pi• ce ana-lizza lÕi ntellettuale e le sue scelte: lÕ utilizzo del romanesco e il richiamo allÕa vanspettacolo. ÒL Õe lemento pi• forte che viene fuori da questÕ opera • il suo aspetto fortemente teatraleÓ dice Cirillo. ÒP asolini detestava il teatro di prosa del suo tempo. Ha cercato una musicalità attraverso il romanesco, rivisita-to da una lingua teatrale ingenua, infantile. La cosa che mi interessa • l’atto poetico che ha compiuto nella traduzione. Ha inventato rime che non si trovano in latino. Ha creato un linguaggio legato alla filastrocca, al ritornello, a una poesia semplice e popolare. La commedia latina per me ha aspetti elementari, c’è poca psicologia nei personaggi e nei conflitti. é un teatro di emotivitˆ , fatto da protagonisti fortemente caratterizzati.

di Ciro Cuozzo

Nemo profeta in patria. Dopo aver conquistato la Spagna, France-sco Saponaro torna nella sua Napoli con “Yo, el heredero”, mes-sinscena spagnola del testo di Eduardo De Filippo “Io, l’erede”. Una commedia che mette a nudo il finto buonismo e le numerose contraddizioni di una borghesia che Eduardo “demolisce dal suo interno”. “Viviamo – esordisce Sa-ponaro - in un Paese trincerato die-tro una presunta legalità, un paese sempre più apparente che concre-to. Perciò credo che le rivoluzioni oggi debbano essere fatte dall’in-terno. La politica utilizza un sistema filantropico per infliggere mediati-camente una sudditanza. Bisogna riappropriarsi del proprio destino, senza affidarlo agli altri”. La chiave di lettura principale di “Yo, el heredero” è quella di una ge-nerazione di mezzo, quella dei qua-rantenni, che trova sempre meno spazio. “E’ un’epoca a cavallo tra la vecchia e la nuova generazione, i cui protagonisti non hanno prole, non hanno eredità. Oggi si corre il rischio di eliminare que-sta generazione a causa di una classe dirigente troppo vecchia, sempre più legata ai suoi privilegi. E come se da un palazzo si togliesse un intero piano: è inevitabile il crollo della struttura. In Italia sta accadendo questo. C’è poca meritocrazia. Siamo stati in scena per 5 settimane al ‘María Guerrero’, il teatro più prestigioso di Madrid: abbiamo aperto la stagione con un testo di Eduardo mentre qui bisogna elemosinare per farsi riconoscere. E’ una cosa tragica che demolisce questa generazione. Ci vengono lasciate le briciole”. Passando all’aspetto meramente artistico per Saponaro il teatro è “un’opera di sartoria, dove occorre mettere sempre in discussione il testo, interrogarlo e dargli successivamente forma, vita. Il confronto con gli attori è fondamentale”. Confronto decisivo anche per il difficoltoso lavoro di traduzione, “una delle cose più complesse e affascinanti. Eduardo ha una scrittura iperbolica. In “Io, l’erede” la struttura è napoletana ma le parole sono italiane”.“Le quattro canzoni che scandiscono lo spettacolo – sottolinea infine Saponaro - sono interpretate da Enzo Moscato, un grandis-simo artista che rappresenta per il sottoscritto un punto di riferi-mento per la drammaturgia”.

Non metto in scena una commedia latina, ma la rilettura di Pier Paolo Pasolini. Di Plauto, alla fine, resta solo la vicenda”. Nel seguire le prove di questÕ opera scandite dalla musica, si avverte lÕi ntenzione del regista. ÒV olevo uscire dal possibile tranello di provare a leggere questo testo come se fosse di Trilussa. La musicalitˆ delle parole deve essere inventata e contaminata. Vorrei giocare su questa lingua spuria. Non mi interessa fare unÕ indagine antropologica sulla re-altˆ borgatara romana, la scommessa • di inventarsi una lingua nuova per questo spettacoloÓ. LÕ assenza delle donne dalla scena • legata a Plauto. ÒT rovo un certo cinismo nelle donne di PlautoÓ continua Cirillo Òmi interessava percorrere un processo creativo non naturalistico. Non cÕ• una scena, ci siamo noi che ci travestiamo e creiamo i personag-gi. Le musiche sono del nostro repertorio, abbiamo attraversato autori come Annibale Ruccello che ha un rapporto con la musica totalmente emotivo. La cosa che mi interessa • provare a far emergere lÕ emozione delle parole e del significato celato a prescindere da quello letterale”.

s.a

Una vita di ossessioni

La mia favolacontaminataCirillo porta sul palco la musicalità delle parole

La casa morta // 8-9 Giugno //Teatro di Pausylipon

Pasolini Plauto il Vantone // 17-18 Giugno // Teatro Pausylipon

Yo, el heredero // 23-24 Giugno // Teatro San Ferdinando

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Non ci sono nŽ attori n• spettatori. Ò Quando eravamo lupiÓ del Teatro dei Sensi Rosa Pristina • popolato soltanto da Ò abitantiÓ e Ò viaggiatoriÓ . LÕ en-semble ha sede a Napoli, presso lÕ Asilo della conoscenza e della creati-vitˆ in cui organizza laboratori teatrali gratuiti. Diretto da Susanna Poole, viene fondato nel 2009, dopo una collaborazione della regista con il Tea-tro de Los Sentidos di Enrique Vargas. Il maestro colombiano nel 2008 era in cittˆ per presentare la messa in scena di Ò Cosa deve fare NapoliÓ . LÕi ncontro con Vargas • stato centrale per la na-scita della compagnia – afferma la Poole –. An-che noi lavoriamo sui sensi. Ma se Los Sentidos rivolge la propria attenzione a elementi universali per indagare le comunitˆ , le nostre indagini ri-guardano, invece, la sfera intima dellÕ individuoÓ . Lo spettacolo presentato dal Teatro dei Sensi • vincitore dellÕ ultima edizione del Fringe2Fringe. Anche questÕa nno il Napoli Teatro Festival Italia e lÕAsso ciazione culturale Interno5 promuovono il progetto “Fringe Biennale”. Ottanta compagnie presenteranno i propri lavori a una giuria compo-sta da direttori di teatri italiani e internazionali. Nel 2013 le 30 compagnie selezionate andranno in scena al “E45 Napoli Fringe Festival”. “Quando eravamo lupiÓ • un percorso per un solo viaggia-tore: ÒU n labirinto sensoriale che ogni spettatore percorre intraprendendo un viaggio in uno spazio da esplorare con tutti i sensiÓ , dice Susanna. Il viaggiatore-spettatore interagisce con lÕ abitante-

attore in un percorso onirico che mira a ridestare la memoria corporea di ciascuno. Compito dellÕ abitante • quello di accompagnare il viaggiatore verso una ritrovata consapevolezza dei sensi e del corpo. Per riscoprire modi di vivere pi• complessi e meno omologati. Quello del montaggio della drammaturgia • un lavoro collettivo. I dodici attori della compagnia

partecipano, insieme con la regista, alla genesi del-la messa in scena. Tutto • fatto in casa, anche la logistica: dal mixaggio audio allÕ allestimento luci. Il training preparatorio dei performer • volto alla ri-cerca della delicatezza nel contatto con il pubblico. Ò Il singolo spettatore deve sentirsi accolto e pro-tetto per poter godere al meglio lÕ esperienza indivi-dualeÓ continua ancora. LÕ idea • creare uno spettacolo che risvegli gli ar-chetipi del nostro immaginario collettivo ricevuti at-traverso i racconti dellÕ infanzia. Un cammino den-tro paesaggi olfattivi e sonori in cui le parole sono poco meno che assenti e dove la vista, senso do-minante della vita adulta, • quasi del tutto sopita. Ò Lo spettatore non deve sapere cosa succede du-rante lo spettacolo Ð continua la regista Ð. Viaggia nellÕ oscuritˆ e nel silenzio, per poter lasciare alle spalle le proprie certezze e raggiungere il proprio io interiore, la propria intimitˆ troppo spesso ignoti e ignoratiÓ .

ellebi

Quando eravamo lupi

Dalle nuvole al parquet, la vita delle hostessraccontata attraverso i passi della danza

Un viaggio all’interno del labirinto dei nostri ricordi

Il vincitore dellÕu ltima edizione del concorso Fringe2Fringe

di Eleonora Tedesco

Nessun viaggiatore pu˜ fare a meno di asso-ciare al proprio viaggio in aereo il sorriso di una graziosa hostess o di un aitante steward. CÕ• chi ironizza sui gesti classici che compio-no per spiegare le misure di sicurezza e chi si crogiola al pensiero di un drink offerto con grazia e gentilezza. Quello degli assistenti di volo • un mondo che lÕi mmaginario colletti-vo lega indissolubilmente al viaggio, come se fosse un mestiere privilegiato, mentre, come sempre accade non cÕ• solo il sorriso e lÕ eb-brezza del viaggiare nelle loro vite. Da qui prende vita Ò Welcome on boardÓ, il balletto del Körper international dance contempora-ney art center, dal 7 al 26 giugno che, per la prima volta, mette in scena il dietro le quinte della vita degli assistenti di volo. ÒDa gli anni Ottanta, quando ancora danzavo, sono sta-to anche io uno di loro Ð racconta, Gennaro

Cimmino che dello spettacolo • lÕi deatore Ð oggi voglio rendere il mio omaggio intenerito a questa professione che ho amato profon-damenteÓ. E Cimmino, che direttamente ha vissuto la meraviglia del viaggiare, sa bene Òc he grande distanza ci sia tra lÕ immagine ideale che si ha di un assistente di volo e il duro lavoro di una hostess o di uno stewardÓ. Gli otto ballerini, tutti rigorosamente napole-tani, si esibiranno allÕ interno di cinque alber-ghi cittadini. Faranno colazione con gli ospiti, danzeranno irrompendo nelle hall con trolley sgargianti e si lasceranno spiare mentre si preparano ad essere impeccabili per il pros-simo volo.Le coreografie sono di Francesco Nappa. Na-poletano, papˆ che lavorava nella British Air-ways, attuale residenza a Lione, è un ballerino e un coreografo con un curriculum importan-te a livello internazionale. “Ho lavorato sulle forme, sulla leggerezza e sullÕe steticaÓ spiega

Nappa, che alterna ai gesti reiterati e alienati movimenti sinuosi e plastici che fanno fluttua-re i ballerini come se volassero. Talvolta mani-chini, altre uccelli libranti, i danzatori portano in scena umanitˆ e storie diverse e anche i ferri del mestiere, come i tubi delle masche-rine per lÕ ossigeno che si trovano negli aerei. La musica arriverà da un trolley.LÕ idea originaria, pensata da Gennaro Cimmi-no, avrebbe dovuto coinvolgere anche lÕ aero-porto e i lavoratori dellÕ Alitalia, ma il progetto • stato ridimensionato in corso dÕ opera. Re-sta, per il futuro, il progetto di un centro co-reografico regionale che dia l’opportunità ai molti talenti sul territorio di formarsi in maniera altamente professionale, cos“ come accade in paesi europei come la Francia. ÒF ormazione, produzione e promozione - dice Cimmino - saranno gli obiettiviÓ.

INCHIOSTRO N. 7 - 2012 // SPECIALE NAPOLI TEATRO FESTIVAL PAGINA 8

Quando eravamo lupi// 21-22-23 Giugno// Galleria Toledo

Welcome on board // 7-8-9-10-13-14-15-21-22-23 Giugno // Alberghi cittadini

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Maestri allo specchio Robert Wilson e Peter Brook a Napoli ospiti della kermesse

ÒPo sso scegliere un qualsiasi spazio vuoto e chiamarlo nudo palcosce-nico. Un uomo attraversa questo spazio vuoto mentre un altro lo sta a guardare, e questo • tutto ci˜ di cui ho bisogno perchŽ si inizi un atto teatrale”. È il 1968 e queste parole appaiono nel saggio “Il teatro e il suo spazioÓ di Peter Brook. In sole tre righe, il grande regista racchiude tutta la sua poetica. In questi giorni Brook • in cittˆ per la prima italiana di ÒT he suitÓ dello scrittore sudafricano Can Themba. Lo spettacolo • la nuova versione de ÒLe costumeÓ, andato in scena nel 2000. Ò Con grande naturalezza, oggi abbiamo voglia di tornare verso questÕ avventura e di presentarla nella sua lingua originale, lÕ inglese, con una piccola orchestra sulla scena in una versione tra parlato e cantato”, afferma il maestro. Brook, inglese classe 1925, comincia la sua carriera di regista giovanis-simo. A soli 21 anni debutta a Stratford-upon-Avon con Ò Pene dÕ amor perduteÓ di Shakespeare che gli fa riscuotere un grandissimo successo di critica. Per tutti gli anni Cinquanta • in giro per il mondo con le sue regie di Miller, Williams, Genet e soprattutto Shakespeare.Entra nella Royal Shakespeare Company, fondata nel 1961. Qui spinge i propri attori ad abbandonare lo stile recitativo tradizionale inglese. Ri-corre all’esasperazione della fisicità dei suoi performer mutuando le sue teorie sul lavoro dellÕ attore da Artaud, da Brecht e dalle tecniche del circo e dei teatri orientali.In questi anni conosce un altro maestro: il polacco Jerzy Grotowski. Nel ’67 Brook, dopo un breve ma significativo lavoro insieme, scrive la pre-fazione di ÒPe r un teatro poveroÓ di Grotowski. LÕ incontro • fatale: ÒLo choc • scoprire che da qualche parte del mondo, la recitazione viene considerata unÕa rte di dedizione assoluta, monastica e totaleÓ, scriverˆ di quella esperienza. Negli anni Settanta abbandona lÕ Inghilterra. Vuole sperimentare ancora di più. Fonda a Parigi, al Théâtre des Bouffes du Nord, un locale di varietà abbandonato, le Centre International de CrŽ ation ThŽ ‰ trale. LÕ idea • cre-are un luogo in cui culture e mondi teatrali lontani tra loro si incontrino per dare vita a una nuova tradizione. La summa di questa visione arriva nel 1985, quando cura la regia del “Mahabharata”. L’adattamento diventa leggenda.

ellebi

“Ho amato Napoli fin da quando ci sono arrivato da ragazzo la prima volta negli anni ’60, facendo l’autostop. Mi colpì l’eleganza degli uomini. CÕ• unÕe nergia speciale, e una luce unicaÓ. Robert Wilson (Waco, Texas, 1941) descrive così il suo rapporto con la città.Chiamato a inaugurare la rassegna, presenterˆ uno spettacolo musicale, “The Makropulos Case”, tratto da una commedia del 1922 dello scrittore e drammaturgo boemo Karel Čapek. Architetto, regista, drammaturgo, video artista, lighting designer, core-ografo, pittore, scultore e padre della tecnica slow motion applicata al teatro e all’arte terapia, Wilson è una delle figure più poliedriche dell’arte contemporanea.A Napoli ha giˆ dedicato alcune installazioni che si possono ammirare nella fermata Toledo della nuova stazione della metropolitana. ÒS ono sta-ti il mare, la luce e gli angeli la mia fonte dÕi spirazioneÓ, dice. Lo spettacolo è la storia fantastica di Emilia Marty, donna dai molti nomi e delle molte esistenze che grazie a un filtro magico vive da oltre 300 anni conservando la sua seducente bellezza. Gli anni vissuti, permettendole di perfezionare le tecniche canore, lÕha nno portata a diventare una fa-mosa cantante, che tuttavia conduce unÕe sistenza infelice. Il tema della longevitˆ trattato nellÕo pera fa comprendere che la vita per essere goduta a fondo deve contemplare la morte. Wilson spiega la genesi dello spettacolo: ÒT utto • iniziato con una visita a Praga per vedere la mia amica Sona Cervena nellÕo pera ÒT omorrow The-re Will BeÓ. Quando mi • stato proposto ÒT he Makropulos CaseÓ sono rimasto immediatamente colpito. Ho pensato che si trattasse di un lavoro perfetto per Sona. Penso che questo lavoro vada riscoperto. é una storia folle, articolata. Sono molto attratto dallÕa ssurditˆ del testo. Presenter˜ un allestimento totalmente anticonvenzionale, mai visto primaÓ.La musica • vista da Wilson come un elemento imprescindibile dellÕ azio-ne scenica. Porre domande • la tensione del suo lavoro fatto dÕ immagini e oggetti di design che diventano protagonisti della scena. I temi trattati sono quelli individuali e universali che vengono ripresi con unÕ e stetica che trasforma i grandi interrogativi etici in cristalline visioni.

s.a.

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“The Makropulos Case”: uno spettacolo audace

Il regista del “Mahabharata”mette in scena “The suit”

The Makropulos Case // 7-8-9 Giugno //Teatro Mercadante

The Suit // 22-23-24 Giugno //Teatro Mercadante

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La danza dei kibbutzSpazio alla creativit̂ delle compagnie israeliane

INCHIOSTRO N. 7 - 2012 // SPECIALE NAPOLI TEATRO FESTIVAL PAGINA 10

di Steno Giulianelli

Lo spirito del kibbutz nella danza moderna. é la chia-ve proposta da due compagnie israeliane dÕ eccellen-za, Vertigo Dance Company e Kibbutz Contemporary Dance Company. L’essenza e il modus vivendi delle comunitˆ locali riportate sui palcoscenici di tutto il mondo, a far da sfondo alle tematiche sociali trattate durante gli spettacoli. È il riflesso di un nuovo modo di intendere il rapporto tra uomo e ambiente, simbiotico e non conflittuale. Una dinamica che si riscontra in modo particolare nella compagnia Vertigo. Il merito artistico dei due fondatori Adi ShaÔ al e Noa Wertheim • soprattutto questo: aver fornito unÕ interpretazione originale e in-novativa di una danza israeliana sempre pi• protago-nista nel panorama internazionale, combinandolo con una cultura del Òve rdeÓ anche dietro le quinte. E con unÕa ttenzione particolare al riciclo dei materiali.Qui si innesta lÕ esperienza delle residenze creative della Vertigo, cos“ attenta ai temi ambientali. Si trat-ta di laboratori che uniscono teatro ed ecologia; luo-ghi in cui gli Òa rtisti socialiÓ, come Noa Wertheim si definisce, stimolano nella società un cambiamento culturale attraverso il linguaggio della danza. Il primo Eco-Arts Village • stato realizzato in una vallata tra Tel Aviv e Gerusalemme, nel kibbutz Netiv Ha Lamed Hei. Agricoltura sostenibile, lavoro e vita famigliare si intrecciano con lÕ arte; una realtˆ vissuta direttamente non solo dai tre figli della coppia Wertheim – Sha’al, ma anche da quelli degli altri membri della compa-gnia. Un luogo che a buon diritto si pu˜ chiamare Òc asaÓ.Queste fattorie sono state rimesse a nuovo attraverso lÕuso di elementi riciclati e riciclabili, a partire dai ma-teriali di costruzione. L’offerta “formativa” si completa con lÕ istituzione di una scuola per costruzioni eco-sostenibili in terra battuta e per il riciclo delle acque, nonchŽ un centro di arti spirituali e gruppi di lavoro per disabili.L’intero processo promosso dalla Vertigo si riflette ne-gli spettacoli e nello stile portato sul palco, con una danza armoniosa e fluida. Esempi emblematici sono gli spettacoli proposti durante il festival napoletano. Da una parte ÒBi rth of the PhoenixÓ, che indaga le relazioni umane e il distacco dalla natura, portando in scena una coreografia emisferica formata da nu-merose travi intrecciate; dallÕ altra ÒN ullÓ, una sorta di rituale misterioso in salsa contemporanea, sensuale, profondo, con sequenze di ballo intense eppure cari-che di serenitˆ .Ma la Vertigo non • lÕ unica realtˆ artistica ad aver in-trapreso la strada della danza come espressione di uno spirito comunitario. é sufficiente gettare lo sguar-do sulla ricchezza dell’offerta teatrale del paese me-diorientale, che ha in Tel Aviv il centro culturale di rife-rimento, rafforzato dal mondo dei kibbutz.

NellÕ ovest della Galilea esiste unÕ altra realtˆ , quella della Kibbutz Contemporary Dance Company e del suo Dance Village. LÕ idea • partita dal fondatore Ye-hudit Arnon nel 1970. Non solo una residenza per gli artisti che vi lavorano, ma anche un centro di studio ed educazione alla danza per i novizi. Insomma, una scuola di vita e di arte che trae forza dallo spirito del kibbutz GaÕ aton. Anche loro saranno protagonisti del-la rassegna napoletana con due spettacoli alla prima europea, “If At All” e “Bein Kodesh Le’Hol (Sacred and Profane)”. Nel primo le coreografie del direttore artistico Rami BeÕ er saranno le protagoniste formali e sostanziali dellÕ esibizione. I danzatori disegneranno con i loro movimenti forme sempre diverse, passando da strutture chiuse ad aperte: una riflessione artistica sulle variabili dellÕ accadere. Nel secondo spettacolo, dal titolo decisamente evocativo, la scena sarˆ do-minata dalla sabbia e dallÕ ocra. Un richiamo alla terra e al suo rapporto con lÕ uomo, vicino alle forme as-sociative originarie del kibbutz. In questo contesto si muoveranno i danzatori, come granelli di una enorme clessidra che scorre inesorabile.Oltre alle compagnie Vertigo e Kibbutz, il Festival ri-serverà uno spazio importante anche al Dafi Dance Group, con la prima assoluta di “Sensitivity to heat”. Uno sguardo a un’altra artista emergente, Dafi Alta-beb, coreografa, danzatrice e musicista, che dal 2005 stupisce e affascina con i suoi spettacoli. I suoi focus esplorano la complessitˆ della psiche umana e la for-za delle emozioni. A Napoli arriverˆ con una sorta di omaggio allÕ Italia: una esibizione ricca di arie estrapo-late da famose opere teatrali del nostro Paese.

La risposta positiva del pubblico internazionale • un indicatore attendibile per comprendere l’efficacia dei percorsi artistici cresciuti in Israele. é un panorama fresco, nuovo, vivace, che ha nei kibbutz un luogo di forte spinta e creativitˆ . Un bagaglio di messaggi sociali, ecologici e formativi applicati alla danza.

Null 19 (ore 20), 20 Giugno (ore 19,30)Teatro San Ferdinando

Bein Kodesh Le’Hol (Sacred and Profane)19 (ore 21,45), 20 Giugno (ore 21,30)Teatro Politeama

Birth of the Phoenix21, 22, 23 Giugno (ore 20)Teatro Pausilypon

If At All22 (ore 22,15), 23 Giugno (ore 21)Teatro Politeama

Sensitivity to heat23 (ore 22), 24 Giugno (ore 21,30)Teatro Pausilypon

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Ecco il teatro low costLÕ alternativa artistica che arriva da Buenos Aires

di Daniela Abbrunzo

Undicimiladuecento chilometri • la distanza che separa Napoli da Buenos Aires. Una lontananza fisica ma non mentale. La capacità di arrangiar-si • la caratteristica che le due cittˆ condividono pi• di ogni altra cosa: quellÕa bilitˆ di risalire la china a prescindere dagli strumenti in possesso o dal contesto circostante. ComÕ • successo allÕ Argentina, entrata in re-cessione tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000, ma che oggi grazie alla creatività di cooperative autogestite dai propri lavoratori affronta un periodo di ripresa dellÕ economia. UnÕa utogestione che passa anche per altri settori e arriva dritta allÕ arte fino a raggiungere il “Teatro Indipendiente”, come lo chiamano a Buenos Aires, o da più parti definito “Teatro low cost” per via del minimo budget utilizzato per gli spettacoli. Una corrente nata e diffusasi agli inizi del No-vecento, ma che tra la metà degli anni Zero è stata riscoperta e diffusa tra Ôl os patiosÕ, cio• i cortili e gli appartamenti di Baires. Si tratta di quel teatro ben descritto nel 2006 in un’intervista dal regista argentino Javier Dalte: ÒSe si pensa alla quantitˆ e qualitˆ degli spettacoli oltre che al fenomeno, • davvero una barbarie che un direttore di calibro internazionale come Daniel Veronese debba portare in scena Ô Esp’a a una mujer que se mataÕ , dalla pi• ce Ô Tio VaniaÕ di Cechov, in un piccolo spazio per pochi spettatori e con famosi attori tv che non guadagnano nulla neanche per un caffè, anzi se lo fanno da soli. L“ il teatro alternativo non • aperto solo a quelli che cominciano, • per tutti. A Buenos Aires in questo momento sono circa 350 gli spettacoli di questo genere in cartelloneÓ .é cos“ che dal cilindro fuoriescono nomi come Daniel Veronese, Claudio

Tolcachir e Romina Pau-la, presenti alla rassegna con spettacoli che da diversi anni portano in giro per i teatri di tutto il mondo.Veronese va in scena con il giˆ citato Ò Esp’a a una mujer que se mataÓ del 2006 e la più recente Ò Los hijos se han dor-midoÓ , sempre tratta da unÕ opera del maestro Anton Cechov, Ò The Se-

agull”. È una delle figure di riferimento del teatro rioplatense, prima attore e mimo poi regista: Daniel Veronese, circa 57 anni, ripropone due sue rielaborazioni di opere tradizionali dello scrittore russo. Nella prima a far da protagonisti sono gli interrogativi universali sullÕ amore, la natura e la ricerca della veritˆ attraverso lÕ arte. Non cÕ • spazio per i co-stumi di scena, tutto è ridotto all’osso. Sotto i riflettori c’è solo una piccola stanza dove i personaggi, tra un gioco e un bicchiere in pi• , si interrogano sul mondo e sul teatro. NellÕ altra opera, Ò Los hijos se han dormidoÓ , il dramma russo viene trasformato in un gruppo di dieci attori che si muove su e giù per il palco, in un climax che tocca il suo apice con la fine dello spettacolo. Ò Solo la placida abitudine al quotidiano, al banale e a tutto ci˜ che • minimale sembra getti un velo su ci˜ che bolle in profonditˆ , sulla confusione e il disordine, lÕ isolamento e lÕ incomprensione di questi attori di campagna che vivono consumandosi e distruggendosi le anime e i cuo-ri - racconta Veronese in merito alla pi• ce -. Mi piacerebbe sorgesse un interrogativo tra lÕ opera e il pubblico: questo consumarsi dello spirito pu˜ essere evitato per dare allÕ anima lÕ energia necessaria per vivere in pienez-za? Questo • lÕ interrogativo posto senza che si arrivi a una soluzioneÓ .Claudio Tolcachir presenta invece la sua trilogia completa cha ha origine con “La Omisión de la Familia Coleman”, in cui viene messa in scena una famiglia sui generis composta da una madre scombinata e quattro figli nati da padri diversi, legati da ambigui rapporti, e una nonna che • lÕ unico personaggio sano di mente. Vittima di questa crudeltˆ latente • Mariet-to: disadattato, forse autistico. Opera più famosa di Tolcachir, risalente al 2005, la famiglia Coleman • stata rappresentata per la prima volta a casa sua. Di qui il nome della compagnia, “Timbre 4”, che corrispondeva al campanello da suonare. Il tema dei nuclei familiari Ò particolariÓ ricorre anche ne Ò El viento en un violinÓ : una coppia omosessuale che desidera a tutti i costi avere un figlio e un ragazzo disorientato con una madre invadente e ossessiva. Mentre in Ò Tercer CuerpoÓ sono in discussione le relazioni che intercorrono tra cinque personaggi in quattro ambienti dif-ferenti: un ufficio, un bar, una casa e uno studio medico. La difficoltà di comunicare nella quotidianitˆ • il tema al centro dello spettacolo.A chiudere questa maratona sul teatro argentino • Ò El tiempo todo enteroÓ di Romina Paula, opera del 2009 ispirata liberamente a “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams. Racconta dellÕ istante esatto in cui il fratello di An-tonia parte e il suo cuore si spezza. Questa ragazza e la sua famiglia non sono rappresentativi della societˆ argentina di oggi, ma della giovent• tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del XXI secolo: apatia e mancanza di combattivitˆ sono i loro caratteri predominanti.

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Los hijos se han dormido13 (ore 19,30), 14 (ore 20), 15 Giugno (ore 21)Teatro Nuovo

Espía a una mujer que se mata14 (ore 22,30), 15 (ore 23,30), 16 Giugno (ore 22,30)Galleria Toledo

Tercer cuerpo15, 16, 17 Giugno (tre spettacoli: ore 16, ore 20 e ore 23,55)Teatro Mercadante

El viento en un violín15, 16 e 17 Giugno (ore 18)Teatro Mercadante

El tiempo todo entero15 (ore 19), 16 Giugno (ore 20)Teatro di Corte

La Omisión de la Familia Coleman15, 16 e 17 Giugno (ore 22)Teatro Mercadante

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Arrevuoto: i ragazzi di Maurizio Braucciraccontano la loro visione della cittˆ

La tradizione non muore

Nato nel rione Montesanto a Napoli, Maurizio Braucci • scrittore, po-eta e regista del progetto di teatro e pedagogia Ò ArrevuotoÓ , in scena dal 7 giugno. Una non scuola di teatro dove i giovani imparano a vivere, affrontando i problemi di Napoli da un punto di vista critico e costruttivo. Rappresentano su un palco il loro desiderio di rinnova-mento dei modelli culturali. Lei ha fama di uomo impegnato nel sociale e nel recupero di ra-gazzi a rischio. Quanti ragazzi crede di aver salvato?ÒI o non salvo nessuno e non ho a che fare con ragazzi a rischio. Con ÒArr evuotoÓ non faccio altro che dare un mano alla cittˆ . QuestÕ anno sono 108 gli attori in scena. Sono ragazzi di varia estrazione sociale, dai campi rom abusivi ai lotti di Ponticelli e di Scampia alle case del Vomero e di Posillipo. La forza del progetto sta nel mettere insieme di-versità. Portiamo temi forti in quelle che abbiamo definito ‘ZCL’, zone a cittadinanza limitata in cui i diritti sono ridotti, per evitare che siano ghettizzati. Alla fine sono i ragazzini che salvano noi”. ÒAr revuotoÓ opera a cavallo tra la periferia e il centro di Napoli. Qual è il modo migliore di educare i ragazzi “difficili”?ÒLa sciare loro la parola, ascoltarli, al contrario di quello che fanno le famiglie e le scuole. Non devono affrontare certe tematiche se gli adulti che li accompagnano non le hanno sapute comprendere e

spiegare. Non esistono questioni che i giovani non possano affronta-re. Non a caso il nostro progetto si intitola Ò ArrevuotoÓ . Diamo spazio a giovani che non sono mentecatti, perchŽ cÕ • una giovent• stupida, nŽ giovani che tentano di emulare gli adultiÓ .Nel 2008 • stato tra gli sceneggiatori di Gomorra. CÕ era una te-matica che avrebbe dovuto essere affrontata diversamente?Ò Sono stati tanti i temi da raccontare e non si poteva fare meglio. Il film ha portato a galla cose che non si volevano vedere come il traf-fico dei rifiuti tossici e il fatto che ci sono zone della Campania dove la camorra è padrona. “Gomorra” è uno dei pochi film che mostra i camorristi senza suscitare nel pubblico alcuna fascinazione per la camorra, al contrario di altre pellicole. Alla fine il pubblico finisce per amare un poÕ il criminale. In Gomorra • impossibileÓ . PerchŽ la vita da criminale attira tanto certi ragazzi?Ò Il fascino del crimine • trasversale, quindi sfatiamo il mito che riguar-di solo giovani e classi medio basse. Dostoevskij ce lo insegna: il male ci affascina perché noi stessi siamo composti di bene e di male. UnÕ altra questione • quella della viltˆ . Ci sono persone che vedono come una forma di protezione la possibilitˆ di poter avere il criminale dalla loro parteÓ . l.b.

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Un popolo che non conosce la propria storia • come un albero senza radici, diceva il pensatore giamaicano Marcus Garvey. Il concetto si può estendere anche in ambito teatrale. Ben venga allora chi, come Laura Angiulli, mette in scena una pi• ce della tradizione napoletana. La scelta • caduta su “‘O paparascianno” di Antonio Petito, figura chiave del teatro partenopeo dell’Ottocento. “Si tratta di un testo dalla struttura solida, che presenta una storia molto movimentata e ricca di colpi di scenaÓ, dice la regista. LÕo pera • una delle ultime scritte da Petito prima di morire; in essa Òsi percepisce tutta la sua esperienza maturata in ambito drammaturgico”. L’importanza de “‘O pa-parasciannoÓ per˜ sembra risiedere in altro. ÒI n questÕo pera vi • unÕ evoluzione del personaggio di Pulcinella, non più perdente, affamato e pronto a tutto per un piatto di maccheroni”; bensì con-sumato burattinaio, abile nel muovere i fili dell’intera vicenda. Tra gli attori chiamati a dare volto ai personaggi, vi saranno certamente Mariano Rigillo, Alessandra DÕ Elia e Tonino Taiuti, che lÕ Angiulli ha giˆ diretto nel Ò SciosciammoccaÓ. In forse Giovanni Battaglia per una questione linguistica - in quanto non-napoletano - ma anche di stilemi recitativi. ÒD ovrebbe interpretare un guappo che in realtˆ • molto fragile. A me non piace lavorare sugli stereotipi, e so che Battaglia ci regalerebbe un fantastico guappo, sicuramente non convenzionaleÓ. Giocheranno un ruolo decisivo le luci, curate da Cesare Accetta, compagno dÕa rte e di vita dellÕ Angiulli. ÒI n unÕ opera del genere, • importante che lÕa ttore abbia una buona mimica. La luce quindi dovrebbe evidenziare ogni minima sfumatura del voltoÓ. Nulla per˜ • ancora deciso. ÒN on escluderei di giocare sui chiaroscuri. Devo ancora mettere a fuoco l’elemento visivo. Ho bisogno di confrontarmi con gli attori. Solo prova dopo prova capir˜ di che tipo di luce necessitoÓ.

c.g.

Arrevuoto // 29 Settembre // Auditorium Scampia

‘O paparascianno // 28-29-30 Settembre // Galleria Toledo

@ Cesare Accetta

@ Stefano Cardone

@ Cesare Accetta

Scuoladi vitaScuoladi vita

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Il direttore artistico Luca De Fusco:Ò Antigone, la mia eroina postmodernaÓdi Livianna Bubbico

Luca De Fusco, direttore del Teatro Stabile di Napoli, porterˆ in scena in prima assoluta Ò AntigoneÓ di Valeria Parrella. Il testo uscirˆ per Einaudi nei giorni dello spettacolo. Al regista chiediamo di saperne di pi• .Qual • la chiave di volta per lÕ allestimento della sua Antigone? Ò Valeria ha scritto un testo che tiene insieme lÕ attualitˆ dei temi trattati con un linguaggio alto, poetico e mai banale. La messa in scena sarˆ il pi• possibile astratta e moderna, per cercare di assecondare le due peculiaritˆ del testo: la sua contemporaneitˆ e il suo carattere mitico assoluto. Vorrei un’Antigone immersa nell’oscurità con alcune figure che saltano fuori come nelle inquadra-ture cinematografiche. Sarà uno spettacolo sobrio il cui punto forte saranno le luci del light desi-gner Luigi SaccomandiÓ .In cosa sarˆ diversa dalle altre?“Sarà un’Antigone contemporanea. È differente nelle tematiche e nel modo asciutto, nudo, quasi ascetico con cui la metteremo in scena. I temi non sono estranei a quelli della cronaca italiana degli ultimi anni; non saranno banalizzati come in un salotto televisivo. é un approccio classicoÓ .Un ritorno al mito? Ò Antigone • il testo pi• riscritto di tutta la storia dellÕ umanitˆ . La nostra sarˆ unÕ immersione del mito nella contemporaneità. George Steiner nel 1984 scrive Le Antigoni raccontando come siano state scritte centinaia di versioni di questo personaggio letterario. Neppure di Amleto o di Edipo, dice Steiner, esistono tante versioni. Se si torna sempre a questo testo • perchŽ Antigone diventa un topos per il nostro inconscio collettivo. Stimola la nostra immaginazione e la nostra coscienzaÓ . PerchŽ Antigone rompe con i dettami della cultura e della societˆ in cui si trovava a vivere? Ò La sua ribellione • nel nome che porta. Antigone: colei che si antepone, • antitetica, antagonista. È l’archetipo della giovane ragazzina, piccola, minuta, fragile fisicamente, che da sola si oppone al grande potere. Un misto di fragilitˆ e forza. Un poÕ come per il mito di Davide e Golia, ma innervato da una visione etica pi• profonda. Tocca le corde del nostro inconscio collettivo e il testo di Valeria non fa eccezione. Nella messa in scena, siamo agevolati dalla fisicità dell’interprete di Antigone, Gaia Aprea: piccola, nervosa, apparentemente fragile. In realtˆ • una leonessaÓ .La sua Antigone • solo una signorina insolente o • anche unÕ eroina postmoderna?“È un’eroina postmoderna, figlia di una famiglia di governo. È nipote di Creonte. Valeria lo chiama Ò LegislatoreÓ per sottolineare il tema centrale dello spettacolo: la legge del Cuore contro quella dello Stato. Trovo che Antigone, oltre a essere molto umana, abbia anche una posizione liberale. Ritiene che su alcune cose non si deb-ba legiferare, che lo Stato non abbia il diritto di stabilire per legge le cose che riguardano la nostra coscienza. é una posizione molto attuale e contemporaneaÓ .

“Libertà è partecipazione”. Pensando a “Odis-sea napoletana. Il ritorno di Ulisse Esposito”, ri-echeggiano le parole che Giorgio Gaber cantava nella sua celebre canzone del 1972, La libertà. Scaturita dalla penna di Gabriele Russo, che ne è anche il regista, “Odissea Napoletana”, nasce, almeno nelle attese del regista, come una logica d’interscambio continuo tra attore e spettatore. Uno spettacolo aperto. Partecipato. Si parte da una rivisitazione, in chiave ironica, della celebre opera omerica e si passa ad affron-tare alcuni temi spinosi della situazione (politica) napoletana: una rappresentazione anche grotte-sca per mantenere il passo di una realtà politi-ca sempre più esilarante. Intrisa di suggestioni, sensazioni visive, sensoriali, temporali (ma non solo), “Odissea Napoletana” si distacca dal mito greco in quanto tale. “Non ho l’esigenza di di-mostrare la contemporaneità dell’opera”, spiega Russo. E allora, perché l’Odissea? Meglio, per-ché Ulisse? Esposito poi? Dal nome mitico, e dal cognome comune, Ulisse “non ha nessuna va-lenza concettuale né intellettualistica – afferma Russo –. È quello che tutti dovremmo cercare di essere: eroi nel quotidiano più che miti”.Partendo dalla consapevolezza che i napoletani “aspettano sempre che qualcuno arrivi dall’alto a liberarli (vedi San Gennaro, Maradona, il nuovo sindaco, la ribellione di Masaniello)”, “Odissea Napoletana” cerca di sollecitare gli animi dei partenopei: piuttosto che aspettare l’arrivo di un angelo disincarnato, iniziamo ad agire. Questo il messaggio: partiamo dai piccoli gesti quotidiani. Eroici? Sì. Anche (e soprattutto) quelli. Ampio spazio allo spettatore/attore; libertà di scelta; libertà di proposte e di risposte. Certo. Ma non ci si affida al caso: c’è la voglia di pro-vocare il pubblico, di scuotere, di porre delle do-mande. “Da un lato una drammaturgia chiusa – puntualizza Russo – dall’altra lo spettatore attivo e propositivo”. E la regia? Una trama che tiene il testo. “È un viaggio itinerante – spiega Sergio Fenizia, coautore dell’opera insieme a Russo e Claudio Buono – pieno di domande ma che par-te da una esigenza: darsi un senso come gene-razione”. E allora: cos’è realmente “Odissea Na-poletana”? Russo risponde: “Non è una lezione. Ognuno può dare una risposta. Può far paura, può essere gioia: Dio; Gesù; la coscienza; Ma-radona; noi; il popolo… la rivoluzione. Ognuno può trarne un’idea. A volte le risposte arrivano da sole, per gioco. Dal gioco, a volte, ti arrivano delle risposte serie”. a.s.l.

Napoli • mito

Ò Voce Ô e notteÓ e la Sastri

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Voce ‘e notte // 27-28 Settembre // Teatro Diana

Odissea napoletana //26-27 Settembre //Teatro Bellini

Antigone // 25-26Settembre // Teatro Mercadante

Il Napoli Teatro Festival non termina a giu-gno. Con l’estate a fare da spartiacque, la kermesse teatrale riprenderà a inizio au-tunno per altri sei giorni, dal 25 al 30 set-tembre. In questa seconda parte, per due serate (il 27 e 28 settembre), andrà in sce-na al Teatro Diana lo spettaco-lo “Voce ‘e Notte”: un viaggio musicale che avrà come prota-gonista la voce di Lina Sastri, grande cantante e attrice na-poletana, vincitrice tra l’altro di tre David di Donatello.Lo spettacolo prende il nome dalla canzone napoletana, di cui la Sastri è stata una delle interpreti insieme a Claudio Villa e Mas-simo Ranieri: nata come poesia nel 1903 dalla penna di Edoardo Nicolardi per Anna Rossi, è poi diventata canzone con le note di Ernesto De Curtis.Il titolo non inganni, le sonorità dello spet-tacolo non si fermeranno a quelle della tradizione napoletana. A brani conosciu-

tissimi nel golfo campano (e non solo) come “Maruzzella”, “O sole mio”, “Ma-lafemmina” ed “Era de maggio”, se ne accosteranno altri, di generi sempre, per così dire, popolari. Accompagnata da musicisti (con gli ar-

rangiamenti di Maurizio Pica) e danzatori, prenderanno vita sul palco del Diana il fado, il tango, il flamenco, con canzo-ni internazionali come “Alfa-ma”, “Corazon encadenado” e “The man I love”.Un percorso, quello dello spettacolo, che riprende le varie tappe della carriera ar-

tistica della Sastri, come dice lei stessa: “Parto dall’inizio, quando da giovanissima incontrai una ‘reginella’ in musica. Senza pensare, senza studiare, senza niente, per caso scoprii le antiche melodie e scelsi di cantarle a modo mio”.

g.l.

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Il noto e lÕ ignoto di Eduardo De Filippo. Sono i due aspetti che Enzo Moscato metterˆ in luce in Ô Tˆ -kai-tˆ Õ . Il massimo esponente della nuova drammaturgia napoletana an-drˆ alla riscoperta di un Eduardo inedito, Ò ancora capace di darci grandi emozioni a patto che nellÕ indagarlo si segua il metodo dellÕ immaginazione attiva, superando i soli-ti clich• Ó . Scritta tre anni fa, lÕ opera andrˆ in scena per la prima volta a Napoli a fine settembre.Moscato verrà affiancato da Isa Danieli, ce-lebre attrice teatrale e cinematografica, di-retta pi• volte al San Ferdinando dal grande maestro partenopeo.Che Eduardo De Filippo emerge da Ô Ta-Kai-TaÕ ? Ò Un Eduardo pi• immaginario che reale. E non perchŽ non avessi a disposizione dei dati concreti, ma perchŽ • esattamente questo il metodo fantastico che ho impie-gato per indagarne parte dellÕ anima. Que-sto si deve fare quando si scrive di un altro autore: riattraversarlo con la massima liber-tˆ e fantasia. In qualche modo reinventarlo, riadattarlo al presente. Non utilizzare que-sta chiave di lettura • come considerarlo mortoÓ .Lei • nel mondo del teatro da oltre 30 anni, che evoluzione ha avuto?Ò La televisione e Internet hanno dato il col-po di grazia a ci˜ che era la vera ricchezza del teatro. La sua umanitˆ , la sua umiltˆ , il suo essere campo esperienziale privilegiato

per la crescita e il miglioramento dellÕ essere umano si sono quasi del tutto perdute. A parte pochi nuclei di resistenti e combat-tenti, il teatro • morto. LÕ ultimo tentativo serio di salvarlo avvenne negli anni ’70-’80, quando con una nuova compagine di dram-maturghi e di nuovi inventori della scena sembrava si potesse ritornare agli antichi albori. Dopo cÕ • stata unÕ inarrestabile de-cadenzaÓ .La figura dell’artista-artigiano è andata perdendosiÉ Ò Gli artisti sono sempre di meno mentre cresce il numero di imprenditori, cinici e spietati. Vediamo nascere novelli dramma-turghi, attori, registi, cantanti, scrittori che in realtˆ sono solo vuoti e ignoranti. A teatro non ci sono pi• professionisti autentici, ma solo avventurieri che godono della stima di un pubblico ingannato. Il teatro come disci-plina misterica e sacra, come sapere fatto passare da maestro rigoroso ad allievo me-ritevole, non cÕ • pi• . Quello che ci fanno ve-dere • solo una grande menzognaÓ .In un teatro superficiale e poco concre-to, che soluzione adotterebbe?Ò Non cÕ • soluzione che tenga. Bisognereb-be denunciarne costantemente il suo lam-pante e vile decesso. Come giˆ faceva Ar-taud negli anni ’30 e ‘40 del secolo scorso. E come nel mio piccolo faccio io e pochi altri ogni volta, sempre pi• rara, che ci viene consentito di affacciarci sulla scena”.

c.c.

Moscato:Eduardoa modo mio

La nuova sceneggiata secondo LatellaAlla riscoperta della sceneggiata napoletana. Anto-nio Latella, in scena a fine settembre con “C’è del pianto in queste lacrimeÓ, riporterˆ sul palco del tea-tro San Ferdinando la celebre rappresentazione po-polare. LÕo biettivo • Òt rattare la sceneggiata come un

grande classico del passato dove lÕ uomo riconosce il proprio essere nelle parole e la propria anima nella musicaÓ. Qual • il messaggio che vuole mandare al pubbli-co con questa opera?

Ò Rispondere a questa domanda non mi • facile. Non ho mai affrontato un testo pensando di dovere trova-re un messaggio per il pubblico. Penso al pubblico in un modo assoluto, lo penso come un attore e mai come uno spettatore o come un abbonato, come singolo individuo che accoglie o rifiuta la totalità di una messa in scena. Mi piace pensare che anche nellÕ insuccesso nasca una discussione e per fare questo bisogna sempre accettare il confronto totale con lÕ autore, con il testo, con la riscritturaÓ . Fare teatro in passato voleva dire essere artisti. Oggi si pu˜ sostenere la stessa cosa?Ò In passato questa parola • stata talmente usata male che ha perso valore.Io ho sempre pensato che il teatro sia il luogo degli artigiani, delle arti varie. Essere un buon artigiano in teatro • giˆ qualcosa di enorme. Spesso mi imbat-to in colleghi che si pongono come artisti: ne invidio la sicurezza, il loro stare nelle cose ma allo stesso tempo penso che imporre un pensiero artistico alcu-ne volte pu˜ essere fuorviante per il risultato dello spettacolo.Credo che lÕ arte assoluta risieda nelle parole dellÕ au-tore, a noi il compito di provare a raccontarle in modo soggettivo e autoriale, agli altri il compito di decidere se lo spettacolo che hanno visto porta la firma di un artistaÓ .Lei ha vissuto e lavorato a Berlino. Quali sono le

differenze sostanziali tra il teatro italiano e quello tedesco?Ò Il pubblico berlinese • abituato al confronto e allo scontro, • un pubblico preparato che vive il teatro come esigenza primordiale. La Drammaturgia • lo sguardo da dove parte ogni progetto.EÕ nei drammaturghi la forza che nei teatri tedeschi fa la differenza. I direttori dei teatri sono giovani e quando si dice gio-vane non • come da noi che ci riferiamo ai quaran-tenni. Lì un regista giovane ha ventisette/trenta anni.Altra cosa importante sono i soldi che si investono nella cultura rispetto a quello che avviene in ItaliaÓ .La sceneggiata napoletana, che avuto in Mario Merola il suo massimo esponente, quale futuro • destinata ad avere?Ò Mario Merola • la sceneggiata, tutto il resto • clo-nazione. La sceneggiata vive di memoria ma essa stessa non ha mai avuto una vera nascita, • sempre stata un innesto nella grande tradizione del teatro na-poletanoÓ .

c.c.

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ÒT ˆ -Kai-Tˆ Óattraversa lÕope radi De Filipporeinventandola

Tˆ -Kai-Tˆ // 28-29-30 Settembre // Teatro Nuovo

C’è del pianto in queste lacrime // 28-29-30Settembre // Teatro San Ferdinando

@ Fiorenzo de Marinis

@ Brunella Giolivo

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ÒT aking care of babyÓ : al pubblico la sentenzaUna donna viene accusata di aver ucciso i sui due figli. Un caso di cronaca accaduto in Inghilterra, si-mile a tanti accaduti nel nostro Paese, non ultima la vicenda di Cogne, • il punto da cui si dipana Ò Taking Care of baby”.Il regista Fabrizio Arcuri, che dirige lÕ Accademia degli Artefatti, porta in scena, il 18,19 e 20 giugno al Tea-tro Nuovo, un testo del drammaturgo Dennis Kelly, ispirato alla storia di Sally Clark e Angela Cannings attraverso una forma inedita di teatro documentario strutturato su interviste reali e materiali relativi alla cronaca. Tutta la vicenda è letta attraverso il filtro dei mass me-dia perchŽ la madre omicida • Ò sospettata di essere innocente” dal momento che è afflitta da una sindro-me che la costringe a incrudelire verso i suoi stessi figli. Innocentisti e colpevolisti affollano i salotti tele-visivi, i circuiti mediatici rendono partecipi di quel do-lore e, in qualche modo, tutti collusi con quel gesto. Così, anche il pubblico di “Taking care of baby” si ri-trova a essere protagonista, pu˜ e deve scegliere a che cosa credere, • lÕ unico che pu˜ mettere insieme le tessere del puzzle e determinare quale sia la veritˆ .A parlare sono lÕa ccusata, detenuta in una prigione di Stato, che ricostruisce la propria vita in cella e poi vie-

ne interrogata da Kelly stesso; sua madre, rampante politica che dalla tragedia della figlia riesce a ricavare i voti decisivi per unÕ elezione; un eccitatissimo gior-nalista alle prese con lÕ inchiesta; il celebre psichiatra che teorizza la sindrome di Leeman- Keatley, della cui esistenza la stessa comunità scientifica finirà per du-bitare.Tutti sono chiamati a prendere una posizione, nel ten-tativo di ricostruire il filo di una storia della quale è certo soltanto il tragico epilogo. Ciascuno sente di avere una colpa della quale difen-dersi: nessuno pu˜ sentirsi assolto davanti a una ma-dre che ammazza i suoi figli. “Taking care of baby” è una tragedia ancestrale e al contempo un evento di cronaca contemporanea, uno spettacolo teatrale, ma anche un documentario tele-visivo; unÕ indagine psicologica; una documentazione giornalistica. Una videocamera riprende e proietta il primo piano della donna che recita dal vivo in un angolo; lo scher-mo trasmette anche spezzoni pre-registrati della ma-dre dellÕ accusata nel pieno della campagna eletto-rale; il giornalista • in platea, a strettissimo contatto con il pubblico; la conferenza del medico avviene sul palco, cos“ come il drammaturgo.

La realtà viene trasfigurata e il pubblico investito da giochi semantici che fanno perdere il senso, ancor di pi• , la distinzione tra reale e irreale. La concretezza di un fatto di cronaca si disperde, di-venta rarefatta, viene fagocitata dalla sua stessa rap-presentazione. Gli spettatori si ritrovano smarriti e le loro emozioni manipolate dal video. Per Accademia degli Artefatti si tratta di una tappa ulteriore nellÕ indagine delle forme della drammaturgia contemporanea. “Taking care of baby” è anche il testo che ha consa-crato Dennis Kelly a drammaturgo di fame mondiale. A poco meno di 40 anni, ha esordito nel 2003 sulla scena teatrale londinese con lÕ acclamatissimo Ò De-bris”. Nel 2004, il suo “Osama The Hero” è stato rap-presentato all’Hampstead Theatre. “After the End”, la ricostruzione di cosa accadrebbe se una bomba atomica esplodesse, ha debuttato in prima mondiale al Traverse Theatre di Londra il 5 agosto 2005, riscuo-tendo, poi, grande successo al festival di Edimburgo. Le musiche dello spettacolo sono dei Subsonica.

ele.ted.

Diritto di cronaca

Con il concetto di esilio si intende un luogo fisico, geografico. Eppure, esiste anche un esilio volon-tario, dell’anima. E’ il caso di due spettacoli in sce-na al festival. Il primo, “Exilis”, del belga Fabrice Murgia, è un racconto di storie di migranti: uomi-ni e donne che attraversano i confini dell’Europa alla ricerca di un’opportunità. Il secondo, “’Igiene dell’assassino”, regia di Alessandro Maggi, tratto dall’omonimo romanzo di Amélie Nothomb, è la storia di un esilio volontario di un premio Nobel che si allontana dal mondo e che solo attraverso il confronto serrato con una giornalista si mette-rà in discussione. In “Exilis”, il 12 e il 13 giugno al Mercadante, la dimensione sociale s’incontra con quella esistenziale. In un’atmosfera avvolta dal fumo, tra percussioni e rumori urbani, il regi-sta belga mette in scena “le storie drammatiche degli immigrati”. Una riflessione, scrive il regista drammaturgo, “sulla Comunità Europea, immagi-nata e concepita come un progetto di apertura sul mondo” – diventata, invece - “una fortezza impossibile da attraversare”. “Quanti restano imprigionati nelle carceri della

Libia? – si chiede Murgia – quanti muoiono su imbarcazioni precarie attraversando il Mediterra-neo?”. Come in una sequenza filmata, sul palco, prendono vita i personaggi, amplificati dalle im-magini. Un malato che porta sempre con sé un burattino con le sue sembianze per sentirsi vivo, un poliziotto, una ragazza e Kabilia che recita in Wolof. “’Igiene dell’assassino”, prima assoluta prodotta dalla Fondazione Campania dei Festi-val, in scena al Teatro Nuovo l’8, il 9 e il 10 è l’in-contro tra una reclusione volontaria e una profon-da riflessione sul senso della letteratura e della lettura. “Ogni popolo brandisce il suo scrittore o i suoi scrittori come cannoni” dice il premio No-bel per la letteratura Prétextat Tach, che, dopo un esilio di anni, decide d’incontrare un giornalista per ciascun giorno che va dal 14 al 17 gennaio 1991. È affetto dalla sindrome di Elzenveiverplatz e ha due mesi di vita. Dagli incontri emerge un uomo misogino, intollerante e provocatore. Sol-tanto una giornalista riuscirà a scavare nel suo passato.

ele.ted.

Storie di esilio e disinganno

PAGINA 16INCHIOSTRO N. 7 - 2012 // SPECIALE NAPOLI TEATRO FESTIVAL

Taking care of baby // 18-19-20 Giugno //Teatro Nuovo

Exilis // 12-13 Giugno // Teatro Mercadante

Igiene dell’assassino // 8-9-10 Giugno // Teatro Nuovo

Page 17: A scena aperta · 2012. 6. 9. · Per me stata una breve ma stimolante avventura. Mi mancava l esperienza di direttore di un giornale che per questo numero ha utilizzato un bel colore

Ò ƒ crire e mettre en sc• ne aujourdÕh uiÓ: pr ogetto per autori e attori

ÒU n piccolo cantiereÓ. Sembra il progetto Ò ƒ crire et mettre en sc• ne aujourdÕ huiÓ. Il perchŽ • presto detto. Ò Non sempre lÕ autore di una pi• ce ha la possibilitˆ di confrontarsi con gli attori che la metteranno in scena”, afferma Francesca Corona di Pav, società attiva nell’ide-azione e realizzazione di progetti culturali. Ò NellÕ ambito di Ô ƒ crireÕ in-vece questo confronto avviene, cos“ lÕ autore ha la possibilitˆ di mo-dificare il proprio testo in base agli attori chiamati a interpretarlo”.Ò ƒ crire et mettre en sc• ne aujourdÕ huiÓ si inserisce nellÕ ambito della VI edizione di ÒF ace ˆ face - Parole di Francia per scene dÕ ItaliaÓ , progetto ideato dallÕ Institut fran• ais Italia e dallÕ ambasciata fran-cese con lÕ obiettivo di promuovere la drammaturgia transalpina in Italia e, viceversa, quella italiana in Francia. Ò ƒ crireÓ • unÕ idea del Pantha-thŽ ‰ tre di Caen, accolta nellÕ ambito di Ò Face ˆ faceÓ grazie all’Institut français di Napoli: due autori d’Oltralpe, e altrettanti regi-sti, si confrontano con 5 attori del Bel Paese - campani, di nascita o residenza, per la precisione - nellÕ ambito di due sessioni di lavoro da 9 giorni ciascuna. Al termine di ognuna, si va in scena. Dove? Pro-prio allÕ Institut fran• ais di Napoli, il 10 e il 21 giugno. Ò Dal 2 maggio al 2 giugno, invece, a Caen sono state messe in scena le opere degli autori italiani in cui hanno recitato teatranti francesi. Il progetto si • sviluppato in tre sessioni di lavoro da 10 giorni ciascunaÓ .

“Orgueil, poursuite et décapitation (comédie hystérique et familia-le) • lÕ opera scelta per la prima sessione. Suddivisa in 11 capitoli, la pi• ce mostra uno spaccato impietoso dei rapporti di potere. La drammaturgia è firmata Marion Aubert, fondatrice della compagnia Ò Tire pas la NappeÓ , mentre il regista sarˆ GŽ rard Watkins: artista polivalente (• autore, regista, attore e anche cantautore), ha lavorato come autore in pi• di 30 produzioni teatrali con registi come AndrŽ Engel, Jean-Louis Martinelli e Viviane Theophilides. Nella seconda sessione, invece, i 5 attori italiani - gli stessi dei primi 9 giorni di laboratorio, perché a differenza di autore e regista non cambiano - si confronteranno con unÕ opera di Pierre-Yves Chapalain, Ò Travaux d’agrandissement de la fosse”, diretti dal regista Guy Delamotte, da diversi anni direttore (con VŽ ro Dahuron) del Panta-thŽ ‰ tre. Am-bientato in uno squat, in una cittadina vicina al mare, il lavoro ruota attorno al tema dellÕ esilio. Pav organizza il progetto nella sua bi-lateralitˆ : segue gli artisti italiani impegnati in Francia e li mette in contatto con il Pantha-thŽ ‰ tre nellÕ ambito di Ò ƒ crire et mettre en sc• ne aujuordÕ huiÓ - pi• in generale con i teatri francesi partner di Ò Face ˆ faceÓ .

l.b. e c.g

La Babilonia Teatri • una giovane compa-gnia teatrale diretta da Enrico Castellani e Valeria Raimondi. Dal 2006 a oggi ha col-lezionato molti riconoscimenti tra cui il Pre-mio Vertigine nel 2009 e il Premio Ubu dello scorso anno nella categoria novità italiana/ricerca drammaturgia con Ò The EndÓ . Dal 18 al 20 giugno nella Sala Assoli verrˆ messo in scena la loro ultima creazione, The Rerum Natura.Enrico Castellani sul vostro sito si legge che lo spettacolo • un Ò ready madeÓ di ÒTh e EndÓ , quanto • stato preso da que-sta opera?Òé una rielaborazione. Siamo partiti dalle no-stre esperienze personali: persone che ci la-sciavano e che arrivavano. Nel confrontarci con lÕe sterno su questi temi abbiamo trova-to molte difficoltà. Riflettendo su quanto ci • accaduto • nata lÕ idea per lo spettacoloÓ .In Ò The EndÓ sul palco cÕ era la sola Vale-ria Raimondi, in The Rerum Natura oltre a lei ci saranno altre due protagoniste (Olga Bercini e Giovanna Caserta). Che signifi-cato ha questa scelta?ÒLe protagoniste sono tre perchŽ rappresen-

tano tre diverse etˆ : una bambina, una don-na e unÕ anziana. é come se si passassero un testimone, scivolando lÕ una dentro lÕ altraÓ .Nel mondo in cui viviamo la morte • con-siderata un tab• . Lei crede che il rapporto che lÕ uomo aveva con essa sia cambiato parecchio rispetto al passato?“Ovviamente i tempi passati non li abbiamo vissuti, quindi non possiamo fare un con-fronto diretto. Vero • che prima le famiglie erano molto numerose e vivevano insieme, spesso in campagna, a contatto con la natu-ra e gli animali. La vecchiaia era un aspetto della vita che veniva vissuto quotidianamen-te. Oggi soprattutto nei paesi occidentali le famiglie sono ristrette e le persone anzia-ne vivono gli ultimi anni della loro vita negli ospizi e nelle case di curaÓ .Eppure nei media la morte • un argomen-to molto trattato. Pensiamo alle trasmis-sioni televisive di cronaca nera o le serie tv. Non • un controsenso secondo lei?Ò Lo spettacolo parla anche di questo: la spettacolarizzazione della morte. Per come viene mostrata diventa un evento, che ri-guarda persone note o persone morte in

maniera violenta. La morte come evento na-turale nella vita di ognuno di noi • trattata in modo completamente diversoÓ .E come?Ò Rimuovendola. Non vogliamo vederla fino a quando ce la tro-viamo davanti. Cos“ facendo diamo meno valore anche al tempo che viviamoÓ .Come compagnia teatrale, qual • la vo-stra idea di teatro?Ò Il teatro dovrebbe oc-cuparsi del mondo e della realtˆ . In passato • sempre stato cos“, pensiamo a Goldoni, che metteva in scena i vizi del suo tempo. Questa cosa si • per-sa nel corso del XX secolo. Noi vogliamo che lo spettatore uscito da teatro rifletta sui quesiti che noi per primi ci poniamoÓ .

g.l.

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Le tre etˆ della vita

Registi francesi incontranoi talenti del teatro campano

ÒTh e Rerum NaturaÓ , generazioni di donne a confronto

The Rerum Natura // 18-19-20 Giugno // Sala Assoli

ƒ crire et mettre en scène aujourd’hui // 10-21 Giugno //Institut francais de Naples

Gerard Watkins Guy Delamotte

@ Sara Castiglioni

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Il teatroÒm utoÓdi MatthewLenton

ÒW onderlandÓ e splorai limiti della sessualitˆ“Ardente di curiosità”. Così Alice inseguiva il Bianconiglio fin dentro la sua tana. Senza pensare ai guai eventuali verso cui si lanciava a braccia aperte. D’altron-de un coniglio parlante, con una sottoveste e un orologio da tasca, lei non l’aveva mai visto. Tanto bastava alla sua curiositˆ per accendersi.“Wonderland”, l’ultimo lavoro di Matthew Lenton, prende le mosse proprio dalla curiosità del personaggio ideato dalla penna di Lewis Carroll. “Ma il tema non è Alice nel Paese delle Meraviglie”, tiene a precisare il non anco-ra quarantenne regista scozzese. “Al centro della pièce vi è la fantasia sessuale; un mondo sconosciuto e senza controllo; vi è la volontà di mettere alla prova i propri limiti e i pericoli che ne conseguono; vi è l’apertura di una porta su un luogo che probabilmente non dovremmo scoprire; vi è qualcosa che non posso spiegare”.Il lavoro nasce nell’ambito della Ècole des maitres, una scuola di alta formazione teatrale - diretta dallo stesso Lenton nel 2010 - che si rivolge ai migliori attori under 30 diplomati nelle accademie teatrali di Belgio, Francia, Italia e Portogallo. “Lo spettacolo sarà molto diverso dalla presentazione fatta in quell’occasione. Quello era un lavoro particolare nato con un preciso gruppo di attori, mentre oggi sto lavorando con la mia compagnia. Ho sentito il bisogno di mettere un punto a quell’esperienza. Se, inconsciamente, qualcosa di quell’immaginario dovesse riemergere, accadrà naturalmente”.A poche settimane dalla messa in scena, su “Wonderland” vige ancora il riserbo da parte di Lenton. Chi conosce il regista scozzese, per˜ , sa di doversi attendere un lavoro spiazzante.Nel 2010, nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia, presentò “Interiors”, uno spettacolo dove il pubblico era diviso dal palcoscenico con un pannello di plexiglass. Per gli spettatori non era possibile udire le voci dei personaggi. Le loro parole restavano indistinguibili. Un po’ come se si guardasse l’interno di una stanza dall’esterno di una finestra. “Trovo molto bello l’effetto che si crea guar-dando scene che non si possono udire; e mi piace il modo in cui questo stimola lo spettatore a lasciare libera la propria immaginazione permettendogli di sogna-re. Ma non credo che ‘Wonderland’ sia completamente “muto”. Probabilmente il pubblico guarderà i personaggi attraverso un vetro, ma li potrà anche udire”.

c.g.

Ò A bocca pienaÓriempie la panciadi Luca Bosio

Ò Da tempo avevo questo pensiero nel cuore, lÕ orrore degli allevamenti industriali. Mi • capitato di vedere qualcosa che non si ha spesso occasione di notare, la sorte degli animali in batteria. Ho iniziato a interrogarmi su questo problema”. Dopo lunga riflessione, Mascia Musy e Manuela Giordano portano in teatro un argomento insolito. AllÕ opera • stato dato il significativo titolo: “Ma che cosa ci stiamo mangiando?”. Ogni giorno apriamo il frigorifero e mangiamo, soprattutto carne. Senza chiederci da dove viene e come • stato trat-tato lÕ animale che ci sfama. Pecore, capre, bovini, per noi sono esattamente la stessa cosa, una volta arrivati sulle no-stre tavole. A bocca piena apre uno squarcio su un mondo a noi sconosciuto. “ Mangiamo antibiotici, tossine, sofferenza. Non ci cibiamo di vita naturale, ma di unÕ esistenza passata in gabbia. Questo • un poÕ lo spunto da cui sono partitaÓ . Lo spettacolo non ha la pretesa di fornire soluzioni, ma solo di provocare nel pubblico una seria riflessione che altrove, di solito, non avviene. Mascia Musy si è chiesta a lungo se un palco fosse il luogo adatto per affrontare la questione. Poi ha capito di non essere un politico, nŽ un economista, e nean-che una scrittrice o una giornalista. Lei • unÕ attrice. LÕ unico luogo che conosce • il teatro. Insieme a una compagnia di venti attori, racconta una vicenda del suo tempo. In ottica artistica e critica, senza pretendere di spiegare al mondo come risolvere certi problemi. A quello penseranno politici e governanti. Il cast • formato da venti attori, in origine erano venticinque. LÕ idea delle autrici era di selezionare i migliori, come buon senso vuole. Alla fine si è creato un tale affia-tamento che nessuno • stato lasciato a casa, nonostante la difficoltà economica di scritturare più persone. Cinque poi hanno rinunciato, ma solo per motivi personali. Uno si trova in Canada, un altro ha accettato di recitare altrove, gli altri magari non se la sono sentita. Non ci sarà una scenografia particolare. Sarˆ uno spettacolo di attori. LÕ opera sarˆ rap-presentata nella sala Ò SoliÓ del Teatro Nuovo. Le scalinate del palco sembrano muoversi verso il pubblico, invitandolo quasi a salire. Non sarˆ uno spettacolo pesante, promettono gli interpreti, e cercheranno di strappare un sorriso. I proble-mi si possono affrontare anche con una punta di leggerez-zaÒ . Questo non sarˆ uno spettacolo troppo leggero, n• un “Chiummo, come si dice a Napoli”, promette la Musy..

A bocca piena // 23-24 Giugno // Sala Assoli

Wonderland // 22-23-24 Giugno //Teatro Sannazaro

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La fede di IfigeniaBorgia indaga sullÕ uomo e sul suo rapporto con lÕ assoluto

Siamo alla fine degli anni Trenta, la scena si svolge in un lontano Paese orientale. Poniamo che sia la Turchia o lÕ India: ÒLuo ghi in cui ancora adesso • vivo e forte il rapporto con il sacro, con la fedeÓ, dice il regista Gianpiero Borgia. Una famiglia e una comunità vengono sconvolte da un dramma: Ifigenia, principessa figlia di Agamennone e di Clitemnestra, deve essere sacrificata alla dea Artemide. Solo cos“ le navi achee potranno riprendere il mare e arrivare a Troia. Ecco la storia di ”Ifigenia in Aulide” che Borgia e la sua compagnia “Teatro dei Borgia di CoratoÓ portano in scena con la cooproduzione del Teatro Stabile di Catania. La pi• ce diventa unÕ occasione di visibilitˆ per lÕ ente teatrale siciliano e i suoi artisti. Da giorni, infatti, i lavoratori dello Stabile sono in stato di agitazione dopo che la Regione Sicilia ha deciso di ridurre i fondi del 30% per la prossima stagione teatrale catanese. L’idea della messa in scena è ripercorrere il mito dell’Ifigenia secondo catego-rie comprensibili dallÕ uomo contemporaneo come nelle intenzioni dello scrittore e storico delle religioni rumeno Mircea Eliade che nel ’39 scrisse il dramma riadattato oggi: ÒI l testo di Eliade ha in sŽ tutti i semi dei suoi studi sul mito inteso come vei-colo del sacro nella cultura e nella tradizione umanaÓ spiega il regista.La trama ruota intorno alla figura della giovane donna che decide stoicamente di offrirsi in sacrificio per la ragion di Stato. Accetta la sua condizione di capro espia-torio senza mai pentimento, senza rattristarsi per il suo destino. La credono pazza ma lei Òvi ve una condizione di umanitˆ e di fede assoluta - continua Gianpiero -. Un poÕ come Giovanna DÕ Arco o Santa Maria GorettiÓ . NŽ la disperazione della madre, nŽ lÕa more cieco di Achille la possono distogliere dal suo proposito. Deve morire. E così sarà. Perché lei ha fiducia in un disegno sacro, divino più grande della co-munitˆ a cui appartiene e al quale non pu˜ e non vuole sottrarsi. Ifigenia diventa l’archetipo per tutti quegli individui che, in questa contemporaneità dominata dal materialismo e dallÕ opportunismo, decidono di fare scelte diverse. Scelte di fede. “Oggi Ifigenia è la ragazza che viene presa per folle perché a 19 anni decide di entrare in convento, – afferma Borgia – è il monaco buddista che si dˆ fuoco per protesta. La societˆ occidentale si sono prese il lusso di parcheggiare Dio, il sacro, in un cassetto. Abbiamo perso il rapporto tra quello che • buono e giusto e quello che non lo • Ó. Il vero tab• per Gianpiero oggi • avere fede. Che si tratti di religione o di un ideale: ÒQ uando ho cominciato a lavorare a questo spettacolo, ho chiesto agli allievi del mio laboratorio teatrale se credessero in qualcosa. Su venti, solo due di loro hanno risposto positivamente, ma hanno impiegato 30 minuti per motivare le ragioni della loro fede. È come se il mondo in cui viviamo ci chiedesse continue giustificazioni alla fede perchŽ • percepita come dŽ modŽ , come qualcosa di cui vergognarsiÓ . Il fine ultimo della messa in scena è di suscitare negli spettatori quelle domande esistenziali che non sono del tutto perdute. ÒV iviamo un momento storico di pro-fonda crisi Ð conclude Ð. Per uscirne indenni cÕ • bisogno di porsi interrogativi sul nostro rapporto con lÕ assoluto e con il sovrannaturaleÓ .

ellebi

Un dramma politico e sociale e anche uno studio sugli effetti e le rela-zioni che la guerra causa alla psiche umana. Tutto questo • Ò SummerÓ . Lo spettacolo, tratto dallÕ opera del drammaturgo inglese Eduard Bond, sarˆ diretto da Daniele Salvo.Quanto dista il suo lavoro da quello di Bond?ÒI ntendo rispettare le linee dellÕ autore. é un testo con un itinerario drammaturgico preciso. Bond mi ha spiegato che ha tralasciato dei dettagli da sviluppare. Sono in corrispondenza con lui per svolgere al meglio il lavoro su un testo molto criptico, pieno di segreti da svelareÓ.Quanto ha inciso la cronaca sulla preparazione dello spettacolo?“Molto, soprattutto sulla scelta della storia. Ho deciso di mettere in scena questo testo in un momento di vuoto ideologico, in un Paese in cui lÕ arte ha perso completamente la propria funzione sociale. In Italia la cultura e il teatro hanno una dimensione scolasti-ca e di intrattenimento. Il teatro • una forma alta di civiltà, riflessione, critica sociale e confronto, quindi • necessarioÓ.Quali difficoltà ha avuto nel dirigere gli attori e quali le metodologie che ha utilizzato per aiutarli a rappresentare turbamenti cos“ forti?“Ho scelto attori straordinari per la loro sensibilità e generosità. Si trat-ta di andare in fondo a questioni personali, di fare un lavoro di tra-sferimento e sostituzione. La difficoltà sta nel mettersi a disposizione della scrittura di Bond e nellÕ avere unÕ adesione assoluta. Qualsiasi so-vrapposizione stilistica • mal tollerata da questo testo. Bisogna essere sinceri e avere una visione totale di quello che si fa. Psicologicamente

bisogna essere ben saldi e avere un controllo tecnico molto forteÓ .Vita, morte, guerra e coscienza umana. Come si relazionano que-sti elementi al suo spettacolo?Ò Nel testo di Bond la morte viene accettata. LÕ amore dei due giovani • un desiderio di vita, di rinnovamento, • un modo per non cadere negli errori dei loro genitori. Si presentano due realtˆ , una legata al passato, al nazismo, alle colpe dei padri, e unÕ altra legata allÕ amore, alla natura

e alla rinascita. Paradossalmente attraverso la rap-presentazione di una serie di temi negativi si cerca di dare una speranza per un futuro miglioreÓ .Quali saranno gli elementi scenografici chiave del suo lavoro?Ò Nella stanza si vedranno molte porte. Le due prota-goniste perdono le chiavi delle valige, una metafora per manifestare la perdita dellÕ inconscio. La scena • tutta bianca, lo spettacolo si svolge nelle stanze del-la casa e sulla spiaggia dellÕ isola. Sono spazi dellÕ in-cubo, mentali e simbolici con pareti di fumo. Come in un film di David Lynch possono manifestarsi le os-sessioni del passatoÓ . Le violenze della guerra portano la loro scia an-che nel presente?

Ò Il testo • improntato sulla rimozione della memoria storica. La stanza viene riverniciata ossessivamente. Il senso • quello di una testimonian-za rimossa. Bisogna confrontarsi con la memoria senza mai dimenti-careÓ .

s.a.

Summer, la rimozione della memoria storica

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Ifigenia in Aulide // 12-13 Giugno //Teatro Pausylipon

Summer // 14-15-16 Giugno //Teatro San Ferdinando

@ Franco Accursio Gulino

@ Ph Maria Laura Aureli / ONDA

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Se Saviano entra in casa Cupiellocontinua dalla prima pagina

Il fratello di Abele

La famiglia di Croce se ne dispiacque, protest˜ , e su Saviano piovvero critiche e difese. La somma complessiva che oggi Saviano chiede per quelle critiche • di 4.700.000,00 euro. Che dire? Forse, uno sconosciuto passante si è arricchito più di un secolo fa per le conseguenze del terremoto di Casamicciola. Certamente, un famoso scrittore di oggi ritiene di doversi arricchire per le conseguenze delle conse-guenze del terremoto di allora. Domanda: Che cÕ entra questo corsivo con un giornale tutto dedicato al teatro? Vedete, non • solo il fatto che il grande Edoardo in Ò Natale in casa CupielloÓ fa dire a uno dei suoi personaggi Ò qua succede CasamicciolaÓ ; • che in fondo anche qui, come in tanti frangenti italiani, cÕ • una storia di personaggi che quasi si scambiano come in una commedia di Pirandello, un grande filosofo che (forse) dˆ parecchi soldi ma non lo racconta mai, un famoso scrittore che racconta ilfatto e pensa di dover ricevere tanti soldiÉSembra una commedia, nel frattempo la terra ha tremato in Emilia, invece • una tragedia.

La presidente Miraglia:cos“ aiutiamo il turismoÒIl fe stival guarda al sociale e promuove il territorio campanoÓ

di Livianna Bubbico

A Caterina Miraglia, presidente della Fondazione Campania dei Festi-val e assessore allÕ Istruzione e alla Cultura della Regione Campania, abbiamo chiesto unÕ opinione sul Napoli Teatro Festival Italia 2012.

Cosa si aspetta dalla quinta edizione della kermesse partenopea?

Ò Si • deciso per unÕ inversione nelle scelte culturali del Festival. Ab-biamo aperto al sociale. Il programma pu˜ essere idealmente diviso in tre parti: le opere internazionali inedite, le opere nazionali inedite e unÕ intensa attivitˆ di promozione della cultura locale. QuestÕ anno il festival entra negli ospedali pediatrici di Napoli e di tutta la regione e nel carcere minorile di Nisida. Due le madrine di queste iniziative: Maria Teresa Dolce, la moglie del sindaco Luigi de Magistris, per Ni-sida; e Annamaria Colao, moglie del presidente Stefano Caldoro, per i nosocomi pediatrici. LÕ idea • utilizzare i fondi della Fondazione per incrementare la cultura partenopea e campana in tutto il territorio re-gionale; mettere in campo strategie di cooperazione e coproduzione con la Fondazione San Carlo e lo Stabile di Napoli; portare gli spetta-coli fuori dai teatri per promuovere i nostri luoghi simbolo. Lo scopo è quello di ampliare la diffusione massiva della cultura e, contestual-mente, incrementare l’afflusso turistico in tutto il territorio campano”.

I due focus in programma, quello sulla danza israeliana e quello sul teatro argentino, sono stati pensati proprio per questa ragio-ne?

Ò La scelta di aprire ancor di pi• la kermesse allÕ internazionalitˆ • vin-cente. Basta guardare i dati delle vendite dei biglietti per le messe in scena. Abbiamo preso contatti con lÕ ambasciata argentina e lÕ am-basciata israeliana. E posso confermare che lÕ ambasciatore israelia-no sarà a Napoli il 6 giugno quando Noa aprirà il Festival con il suo concerto al San Carlo. La cultura deve diventare come un venticello insinuanteÓ .

Che cosa significa ospitare due registi conosciuti in tutto il mon-do come Robert Wilson e Peter Brook?

Ò Avere a Napoli due grandi maestri del teatro riconosciuti come tali in tutto il mondo, • , per noi, motivo di grande vanto. I loro lavori sono anteprime nazionali. é un traguardo e un riconoscimento per la no-stra cittˆ , che non • la capitale, poter ospitare due spettacoli che in Francia e in Gran Bretagna sono stati celebrati come grandi successi. E per la Fondazione, questi eventi, sono una dimostrazione indiretta della sua autorevolezzaÓ .

InchiostroAnno XII numero 75 giugno 2012www.unisob.na.it/inchiostro

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