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Politiche e Progetti Urbanistici Prof.ssa Agata Spaziante Politecnico di Torino, A.a. 2013 – 2014 Facoltà di Architettura I – Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura Esercitazione n° 1
Riqualificazione delle Periferie: Lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
G r u p p o n : B r u n o F r a n c e s c a C a n n o n e A n d r e a
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
Indice: Introduzione……………………….……………………….……………………….……………………….…………………..............3 Capitolo 1: Periferie e Peri-‐ferie……………………….……………………….……………………….………………............4 1.1: Ernest Burgess, Homer Hoyt, Chauncy Harris e Edward Ullman…………………………...5 1.2: Gated Communites e le diverse forme d’insediamento………………………………………..6 Capitolo 2: Esperienze sul campo: Corviale a Roma……………………………………………………………………….7 2.1: Il Progetto………………………………………………………………………………………………………….…8 2.2: Modalità d’intervento per la Riqualificazione……………………………………………….........8 Capitolo 3: Tre casi Europei………………………………………………………………………………………………............10 3.1: L’esperienza Olandese: Dalle Western Garden Cities al Park City 2015 di Amsterdam…………………………………………………………………………………………………………10 3.2: L’esperienza Francese: Vita e morte delle (nelle) Banlieue………………………………….15 3.3: L’esperienza Spagnola: L’area metropolitana di Barcellona e la periferia “ghetto” di La Mina……………………………………………………………………………………………………............18 Conclusioni e Situazione Attuale…………………………………………………………………………………………………..22 Bibliografia…………………………………………………………………………………………………………………………………..23
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le politiche Urbanistiche Politiche urbane : «insieme delle azioni compiute da un insieme di soggetti (gli attori), che siano in qualche modo correlate alla soluzione di un problema collettivo» 1
Introduzione Il tema PERIFERIA è ancora oggi un tema di delicata gestione e la sua riqualificazione risulta ancora essere complicata. Messo in sordina negli ultimi decenni , ora più che mai si sente il bisogno di far riaffiorare una decente qualità di vita in quelle zone marginali di quel grande apparato chiamato “Città” che, come se fossero opera di discriminazione, sono state messe in disparte e lasciate alla loro innata espansione. Negli ultimi decenni , centri storici e periferie, sono stati oggetto di studio da parte di sociologi, urbanisti , architetti ed associazioni di cittadini. Troviamo utile capire e analizzare quali sono e quali sono state le problematiche intorno alla questione ”Periferie” in quanto se prima la casa, era il “dormitorio”, il contenitore della vita residua dal lavoro , in opposizione alla fabbrica o all’ufficio, ora è il contenitore di molti e diversi tempi liberi, divenuto negli ultimi decenni luogo dell’espressione del Sé. Il termine periferia deriva dal greco periphéreia , circonferenza , da periphérein portare ( phérein ) intorno (perì)2. Generalmente si tratta di aree urbanizzate in seguito a fenomeni di urbanizzazione e sviluppo demografico. A causa dell’industrializzazione, ci fu un ‘aumento delle attività del terziario collocatesi nei centri urbani. Questo fenomeno ha favorito la ristrutturazione e il risanamento di vaste aree cittadine con la conseguente espulsione di abitanti di ceti medio-‐bassi e delle piccole attività commerciali e artigiane. Questo fenomeno, unito all’aumento del costo/valore delle aree e in particolare, degli immobili, ha spinto gli abitanti alla ricerca di nuovi spazi dove ci fosse la speranza di una vita migliore in un ambiente più salubre e più vicino alle aspettative che cominciavano ad essere diffuse dai mass media . Gli strati della popolazione con minori possibilità economiche si sono andati a stanziare nelle periferie a ridosso delle aree urbane (cinture); mentre i ceti medio borghesi, con maggiori possibilità, scelgono aree più decentrate verso la campagna e la collina, con maggiori servizi e una migliore qualità di vita. Tra i tanti problemi, che fanno parte delle politiche urbane, vi è quello della riqualificazione delle periferie, cresciute caoticamente ai margini della città, con esigenze e necessità legate non solo a fattori logistici riguardanti le abitazioni a basso costo, ma necessità legate a fattori economici, fruitivi (servizi e rete commerciale), sociali (rapporti tra abitanti locatari di case di proprietà pubblica e quelli proprietari di abitazioni private) e, in particolare, fattori connessi alla mancanza di norme implicite che ogni gruppo deve arrivare a darsi per regolare i propri rapporti nello spazio e con lo spazio. Una politica di qualità deve tenere conto, oltre alla parte amministrativa e burocratica, dei cambiamenti e delle conseguenze che ogni progetto urbano porta al contesto in cui si applica. La carta AUDIS della Rigenerazione Urbana3 oltre ad individuare gli elementi necessari affinché producano una riqualificazione di Qualità, propone dei principi di riferimento per programmi di trasformazione di aree dismesse rivolgendosi a tutti i soggetti sia pubblici che privati identificando cinque categorie denominate “indicatori di qualità”:
-‐ RIQUALIFICAZIONE EDILIZIA ; -‐ RIQUALIFICAZIONE DEGLI SPAZI PUBBLICI ;
-‐ RIDEFINIZIONE DELLE RETI DEI TRASPORTI ; -‐ RIGENERAZIONE SOCIALE ; -‐ RIGENERAZIONE ECONOMICA.
1 Dente, 1990, p. 15 2 Dal Dizionario Zingarelli, periferia è la parte o zona esterna rispetta ad un centro. 3 AUDIS, Associazione Aree Urbane Dismesse, Carta AUDIS della rigenerazione urbana, Giugno 2008
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
L’Obiettivo della ricerca è di confrontare in maniera critica i vari processi di riqualificazione secondo tali punti, attuati in Europa, e comprendere se ci sono metodi preventivi per ovviare alle situazioni di degrado protagoniste nelle aree marginali dell’urbe. Innumerevoli sono state le iniziative programmatiche riguardanti i processi di ammodernamento e di riqualificazione urbana, tra i più citati vi è il programma operativo di cooperazione transnazionale Meddoc4 che finanzia studi e ricerche di cinque regioni Europee (Francia, Italia, Spagna, Portogallo , Grecia) , con l’obiettivo di renderle più appetibili e più competitive in materia di Sviluppo Sostenibile. IL programma Meddoc finanzia e promuove il Progetto CVT avendo l’obiettivo di fornire delle linee guida per la valutazione dei territori che tengano conto degli aspetti urbanistici, architettonici, ambientali , economico-‐finanziari . Il coordinamento generale del progetto è affidato ad un Comitato di pilotaggio , che assicura e controlla lo svolgimento dei lavori e si avvale del supporto di un Comitato Scientifico ,costituito da quattro coordinatori seconda una suddivisione di azioni svolte all’interno del progetto di valutazione :
-‐ sotto il profilo URBANISTICO TERRITORIALE
-‐ come tema della Governance ,partecipazione e gestione dei conflitti;
-‐ valutazione ECONOMICO-‐FINANZIARIA ;
-‐ COMUNICAZIONE del progetto.
Le linee guida della valutazione individuano un processo che implica partecipazione e coinvolgimento di tutti i soggetti interessati , orientato all’assistenza e all’ accompagnamento. “La funzione di questo testo, va ricercata proprio nella necessità di una sedimentazione delle esperienze ( e nella possibilità di comunicare e scambiarle) ,nella capacità di apprendimento e nella definizione di strumenti in grado di ridurre l’incertezza e la discrezionalità , di aiutare la pubblica amministrazione a decidere”5. SICUREZZA, PULIZIA E DIGNITA’ sono termini comuni che ogni cittadino di ceto alto, medio e basso cerca di auspicare. Per dignità, nelle aree periferiche può significare un riconoscimento di un’identità locale, di una centralità funzionale (fosse pure il bel panorama); mentre nel centro storico assume una domanda di valorizzazione del patrimonio storico-‐artistico e un valore di vita sociale. Nelle zone più difficili emergono processi di costruzione dell’identità urbana: “processo di identificazione per cui ogni città (e ogni parte di città) può offrire stimoli affettivi, riconoscibilità emotiva e di sollecitazione sensoriale tali da produrre attrazione o rifiuto, sintonia o distonia, empatia o antipatia fino alla costruzione di una sorta di identità negativa quando un individuo si identifica in uno spazio urbano che giudica perverso o pervertitore.6
4 Valutare i programmi complessi, L’artistica Editrice, Mariella Olivier 5 Giovanni Ferrero, Valutare i programmi complessi, L’artistica Editrice 6 Gazzola, Puccetti, 1999.
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
Capitolo 1: Periferie e Peri-‐ferie Il paradosso più evidente è quello di trovarsi di fronte due grandi famiglie di periferie: quelle “spontanee” e quelle “pianificate”. Le prime nate sulla spinta di diverse ondate di “emergenze” abitative, le seconde quasi tutte in attuazione del PRG. Eppure, come suggerito da alcuni sociologi urbani (come Franco Martinelli), quasi sempre le periferie spontanee sono dotate di tracce consolidate di una “qualità” che in quelle pianificate è scarsa o del tutto assente7. Diversi sociologi hanno cercato di studiare teorie riguardanti le aree urbane e lo sviluppo della città, l’esponente principale che ha dato inizio a queste teorie è stata proprio la Scuola di Chicago. Gli studiosi pongono al centro della loro attenzione i problemi sociali e le forme di segregazione-‐assimilazione che emergono dal processo d'immigrazione nelle grandi città americane del periodo fra le due guerre (1915-‐1940) e analizzano le forme di “adattamento” messe in atto dagli individui e dalle comunità di diversa origine che giungono a Chicago (nel 1900 più della metà della popolazione di Chicago, come del resto a New York, vi era un alto tasso di immigrazione, in soli cinquant’anni, da piccolo agglomerato di 4500 abitanti è diventata una metropoli con più di un milione di abitanti e avrebbe raggiunto i tre milioni e mezzo appena quarant'anni dopo). Gli esponenti della scuola focalizzeranno i loro studi sugli spazi delle minoranze; sulla figura dello “uomo marginale” e dello sradicamento sociale; su diversi fenomeni di devianza sociale, delinquenza giovanile e criminalità organizzata (le gangs). L’interesse principale è quello di studiare l’evoluzione urbana che va dal ghetto al melting pot, per ragionare e analizzare i processi di disorganizzazione e ri-‐organizzazione delle configurazioni spaziali, per far ciò, gli esponenti della scuola individuano zone, limiti e margini delle “regioni naturali“ (zone urbane non prodotte da ritagli amministrativi) e delle “regioni morali” (raggruppamenti sociali caratterizzati da particolari stili di vita) situate all’interno dell’agglomerato urbano.
7 Mario Cerasoli, 2008.
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1.1 – Ernest Burgess, Homer Hoyt, Chauncy Harris e Edward Ullman
Ernest Burgess nel 1925, propone una modellazione per “zone concentriche“. Tale modello di distribuzione individua uno scivolamento a carattere sociale, dal centro verso le periferie. Attorno al centro degli affari, denominato loop, si organizzano diversi cerchi concentrici che indicano le zone con un popolamento omogeneo, caratterizzato da alloggi abitati da migranti suddivisi per origine etnica, poi seguono le zone malfamate e malavitose, quartieri “neri”, residenze di lavoratori migranti e infine, le aree residenziali più ricche, si dispongono verso l’esterno. Tutto ciò indica che vi è una stretta relazione connessa al ceto di appartenenza e alle possibilità economiche della popolazione. Il secondo schema, proposto da Homer Hoyt nel 1939, deriva dallo studio empirico di alcune decine di città degli Stati Uniti e descrive un modello di sviluppo urbano organizzato sulla base di “settori radiali”(Figura B).
Considerando il criterio dei redditi e quello del valore e dell'uso del suolo, l'autore rileva una distribuzione che si sviluppa lungo le principali vie di comunicazione e di trasporto. Tenendo anche conto degli insediamenti commerciali e industriali, evidenzia inoltre che le residenze più ricche seguono lo spostamento degli uffici, delle banche e dei centri commerciali. Infine Chauncy Harris e Edward Ullman introducono nel 1945 uno schema più sofisticato, detto “a nuclei multipli”, che combina cerchi, settori e nuclei (Figura C). I processi di crescita urbana individuati dallo schema descrivono una città esplosa e diffusa in centri principali, centri secondari e quartieri periferici (suburbs), che si
sviluppa a proposito dell’evoluzione delle forme
della mobilità e allo spostamento degli insediamenti industriali. Lo schema di Harris e Ullman è il primo a rappresentare la frammentazione delle aree urbane, la specializzazione funzionale di parti di città e l’emergere dei processi della suburbanizzazione. Tali schemi, benché parziali e sottoposti a critiche, sono serviti per lungo tempo a ispirare altre analisi e approcci allo studio della città.
Figura B
Figura C
Figura A: Modello a Zone Concentriche
Figura B: Modello a Settori
Figura C: Modello a nuclei multipli
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1.2 – Gated Communites e le diverse forme d’insediamento Durante il corso degli anni, quindi, si sono formati diversi insediamenti nella città contemporanea, suddivisi per ragioni economiche, sociali e culturali. Una prima distinzione che occorre fare è quella tra PERI-‐ FERIE e PERIFERIE. Le prime, abitate da ceti medio alti, possono essere eleganti e piacevoli, di queste aree non si parla quasi mai, se non in maniera positiva; le Periferie invece, quelle abitate da ceti medi o medio-‐bassi, vi sono persone in condizione di grave disagio socio-‐economico, spesso considerati luoghi pericolosi e malfamati. Un po’ ovunque nel mondo, nascono zone urbanizzate nate dalla paura e dalla volontà di auto-‐emarginazione, coltivando la mixofobia (la paura di mescolarsi); zone a-‐contestualizzate distaccate dalle località e dalle persone che sono fisicamente vicine ma socialmente ed economicamente lontane. Barvikha, per esempio, è una città – satellite nei pressi di Mosca definita la “strada più coccolata al mondo” con poliziotti a ogni incrocio per garantire la scorrevolezza e macchine asfaltatrici per curarne ogni cura8. Qui vi sono selezioni d’accesso in base alla disponibilità di denaro. Il centro della cittadina, “Luxury village”, ospita negozi e servizi di alto prestigio e perfino la pubblicità promuove articoli o servizi destinate alle fasce di reddito più alte. Vi sono esempi anche di natura diversa come il co-‐housing, nato in Olanda che oltre all’idea di condividere spazi vi è anche quella di lavorare insieme e di accettare regole e riti comuni. Questo fenomeno ha cominciato a diffondersi in Francia con il nome delle “villes privées”. Spesso si trovano intorno a grandi centri urbani e la loro caratteristica principale è quella di essere costitute da piccoli insediamenti che offrono sicurezza, simbolo del loro successo. Oltre che alla elevata qualità edilizia e alla presenza di elevati servizi, il punto forte di queste residence fermées è uno spazio “sicuro” e controllato. Tra lo spazio pubblico e lo spazio privato c’è un limite chiaro e preciso; può essere superato solo dagli happy few che vivono all’interno e da persone solo autorizzate. Questi insediamenti non sono visibili né accessibili e vi è una netta separazione tra privato e pubblico. Anche l’Italia, negli anni ’90, ha avuto residenze di questo tipo: nel comune di Arenzano (Genova) vi è un quartiere degli anni ’50 con caratteristiche molto simili a quelle descritte in precedenza. Ma la patria delle “città private” in assoluto è stata l’America con le sue Gated Communities. Qui, come abbiamo già detto, trovano rifugio tutti quei cittadini spinti dalla mixofobia, che hanno paura di restare a contatto con criminali e persone poco affidabili. Questo fenomeno, iniziato intorno agli anni ’80 è in costante crescita soprattutto in California. Vi sono rigidi regolamenti associativi che impongono la manutenzione dei prati, il divieto di ridipingere la propria casa o di piantare in giardino; ad offesa della costituzione queste comunità sono composte da cittadini omogenei per reddito, etnia e cultura. La Disney, in Florida, ha costruito un insediamento per 20000 persone, con stili di vita imposti, limiti ed attrezzature come un grande ospedale e una sede dell’Università della Florida. Anche all’interno di queste comunità sono presenti fenomeni di delinquenza giovanile e movimenti da parte di oppositori interni ed esterni che si sentono lesi dalla privatizzazione di un bene pubblico, gli amministratori per gestire i disaccordi tendono a concedere ciò che è richiesto cercando di non creare un polverone mediatico. Ci sono numerosi villaggi destinati ai ceti medio-‐bassi,un esempio potrebbe essere Serris Val d’Europe, abitati da giovani con alto tasso di occupazione. L’ambiente ricorda la provincia americana prima degli anni ‘60, dove tutto è grazioso ed ordinato. Non vi sono accessi controllati e particolari vincoli per i cittadini, le case sono tutte di proprietà, con mutui abbastanza pesanti. La giovane età media e i progetti di vita comune giocano a favore di una tranquillità sociale spontanea. Un interessante esempio di città privata finanziata e costruita da privati, destinata agli strati più disagiati della popolazione, è il caso de La Cité de la Joie creata nel 1954 e riqualificata tre volte da allora. E’ nato come un quartiere per i “senza tetto” ed ora sta subendo un processo di trasformazione con l’abbattimento di molti edifici. Questi diversi casi ci spingono a pensare che la forma e il livello di manutenzione sono importanti, ma non necessari per una buona qualità di vita e che la condivisione di regole, di un progetto o comunque di una visione comune è più significativo del livello socio-‐economico di ogni abitante. Anche se, in primo approccio, queste città possono sembrare idilliache, è evidente come lo spazio collettivo è sostituito da uno spazio privato. Gli spazi pubblici, sin dall’antica
8 Cfr. “Mosca deluxe” di Giampaolo Cadalanu su “la Repubblica”
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Grecia, sono sempre stati luoghi dove affiorava uno spiccato senso di appartenenza, erano luoghi di scambio e di mixtè sociale. Con la creazione di spazi privati vengono a mancare i principi di accessibilità, diversità di usi costumi (che possono essere accettati o non dalla cittadinanza) e soprattutto di una parità di diritti e di fruizione tra tutti gli utilizzatori.
Capitolo 2: Esperienze sul campo: Corviale a Roma Il Caso di Corviale, a paragone con altre situazioni simili, s’inserisce come elemento di DIVERSITA’, nel quale la forza di volontà e la tenacia degli abitanti riuscirono nel corso degli anni a rendere vivibile quel chilometro sdraiato, che appena nato non era in grado di reggersi in piedi.9
Dagli anni ‘50, in Italia abbiamo avuto molti casi di edilizia pubblica, dettati la maggior parte dalle normative vigenti riguardanti l’edilizia residenziale e il bisogno di colmare e “gestire” questa forte espansione a macchia d’olio che si stava creando al di fuori delle mura della città; la periferia romana è proprio una di quelle. Andiamo ad analizzare la storia di Corviale, che ci mette di fronte ad un caso unico in Italia, dettato soprattutto dalla volontà degli abitanti di rendere vivo e abitabile l’ emblema di una cattiva gestione e amministrazione pubblica. Le due nuove leggi 167 e la 60 (negli anni 1962 e 1963) crearono l’occasione per aprire un periodo di sperimentazione a livello architettonico ed urbanistico di rivalsa e di esperienza dove mettere in gioco tutte le tematiche e le problematiche espresse nelle realizzazioni residenziali pubbliche. L’idea era di concepire una città altra rispetto a quella esistente, una città che potesse rappresentare un nuovo modo di vivere urbano, integrando residenze e servizi.
9 Antida Gazzola, 2008
Il “Serpentone” a Corviale, Roma
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2.1 – Il Progetto Il progetto del “Nuovo Corviale “ capitanato dall’architetto Mario Fiorentino, comprende un impianto che occupa (nel disegno originale) 6,5 ettari a Ovest di Roma. Lungo circa un chilometro e suddiviso in cinque unità ognuno con una propria piazza d’ingresso e un corpo scala principale, prevedeva 6.300 abitanti. L’edificio è composto da nove piani fuori terra: nei primi quattro piani, ogni vano scala distribuisce quattro appartamenti per piano, mentre per gli ultimi quattro vi era un lungo ballatoio. Il progetto comprendeva anche una serie di servizi indispensabili per la città (era previsto un asilo nido, attività commerciali, percorsi pedonali, bar, ristoranti, cinema, parco urbano, centro sanitario etc.). A completare il tutto, vi erano cinque opere di grandi artisti, ma che non furono mai realizzati. L’unica opera è lo studio effettuato da Nicola Carrino per la facciata di questo lungo nastro: ogni elemento modulare varia a seconda delle incidenze solari, marchiato da una serie di “graffi” diagonali (Gazzola , 2008). A causa di una veloce trasformazione della società dell’ epoca, Fiorentino sentì l’esigenza di modificare la sua opera ma
Corviale era già stato concepito. Nel 1983, ancora in costruzione, furono assegnati i primi appartamenti. I primi scontri contestati allo IACP (???) ebbero inizio quando gli assegnatari si sono ritrovati a pagare il riscaldamento anche per le case sfitte e di tutta risposta, lo IACP decide di spegnere i termosifoni. Da quel momento i residenti acquisirono di avere una consapevolezza e un’identità ben dichiarata. Le 700 famiglie che avevano occupato gli appartamenti, subirono uno sgombro, molte delle quali si accamparono di fronte al complesso. Nel 1988 gli appartamenti furono tutti assegnati e parallelamente proseguivano anche le occupazioni negli spazi pubblici mai ultimati. Nel 1991 un gruppo di nomadi, che aveva occupato uno dei teatri, si coalizzò con i residenti nella richiesta di servizi, poi arrivarono profughi della Ex Iugoslavia, occupando lo spazio destinato per un centro commerciale ed infine nel ‘94 arrivò un gruppo di peruviani. Dal ‘90 in poi i residenti iniziarono una sorta di autogestione dello stabile: per prima cosa si organizzarono per interrompere questi lunghi corridoi con dei cancelli, si autotassarono per realizzare i citofoni, crearono un poliambulatorio abusivo e autogestito, fu creata una palestra e venne inaugurato nel 1995, nel piano interrato, un Centro Anziani (autocostruito e autogestito). 2.2 – Modalità d’intervento per la Riqualificazione La domanda che ci poniamo è come mai Corviale è riuscito tuttora a rimanere in vita e soprattutto a non cadere in tutte quelle dinamiche di malavita, malaffare e mal gestione della cosa pubblica? Il “Serpentone” come lo chiamano a Roma, è visto come un tentativo fallito di risolvere uno stato d’emergenza, ma nel tempo, tutti gli interventi che la stampa ha riservato al Serpentone, hanno reso più compatti gli abitanti generando un senso di COMUNITA’. Martinelli afferma che l’impegno dei residenti è quello di riscattare l’immagine di sè e della propria casa. Il Comune di Roma, quindi, ha attuato diversi metodi d’intervento per migliorare le condizioni qualitative di vita dei residenti tra questi vi è il PRU (Programma di Recupero Urbano) avviando un Contratto di Quartiere e un Laboratorio territoriale inserito all’interno della struttura con lo scopo di favorire la partecipazione degli abitanti alla riqualificazione. Visto lo scarso successo ed entusiasmo di questi metodi, la Fondazione Adriano Olivetti, con il supporto del gruppo Osservatorio Nomade, ha proposto di integrare il progetto di riqualificazione con un lavoro di valorizzazione tra arte e società. Questa esperienza è stata indispensabile per riuscire a trovare partecipazione dei residenti e per iniziare a modificare la percezione di Corviale. L’ obiettivo che il progetto “Immaginare Corviale” si poneva, era quello di ribaltare l’immagine stereotipata trasmessa dai media attraverso Corviale Network, uno strumento nelle mani dei cittadini per raccontare
Prospetto principale del “Serpentone”
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l’edificio, presentarsi, proponendo programmi d’intrattenimento, reportage dei workshop, resoconti delle riunioni e assemblee. Attraverso questo potente mezzo, gli abitanti hanno fatto sì che i media si occupassero di Corviale come un luogo di sperimentazione artistica e produzione. Corviale Network ha funzionato perché non è stato gestito dall’alto, ma è nato giorno dopo giorno come prodotto di gusti, preferenze, bisogni, aspettative di tutti gli abitanti. Questo ha contribuito alla formazione di forme autogestite di comunicazione, informazione e rappresentazione di sé. Le otto puntate settimanali di Corviale Network, non sono state l’unico lavoro portato avanti dal progetto “Immaginare Corviale”, anzi il lavoro più grande si è svolto attraverso workshop e seminari che hanno coinvolto, oltre gli abitanti, anche persone estranee ad esso: -‐ Uno dei primi lavori organizzati insieme alla Penn State University, intitolato “(K)now! From Libetta to Corviale” prevede un attraversamento nel quartiere attraverso una serie di scatti fotografici di luoghi o particolari momenti, volti a far conoscere il territorio. -‐ Un secondo workshop, sempre in collaborazione con la Penn State University, s’intitola “Far West Corviale”, ha prodotto una mappa dove sono segnati i diversi aspetti di questo territorio: servizi, animali, sculture, luoghi d’abbandono. -‐ Corviale Beach è un workshop organizzato dalla Facoltà di Architettura di Roma Tre, volto a collocare dei pannelli fotovoltaici per rendere l’edificio autosufficiente. Per quanto riguarda i seminari, si sono sviluppati in quattro temi: Il sistema di ballatoi, il piano occupato, le chiostrine interne e le strisce di orti: -‐“M_28 studio” ha analizzato ed individuato dei modelli di trasformazione attraverso la collocazione di attività di servizio all’interno degli spazi liberi nei vani scala centrali;
-‐ “Ma0” si è occupato del problema delle chiostrine, inaccessibili e murate. Ha ripensato l’attacco a terra dell’edificio per liberare quei vuoti bui, e con proposte provocatorie, si è pensato di sfondare in più punti il piano terra per aprire dei percorsi pedonali e creare dei luoghi di aggregazione; -‐ “Ellelab” ha avuto il compito di occuparsi del piano Occupato, quarto piano dello stabile destinato a servizi pubblici. Il workshop ha prodotto spazi di aggregazione tra le varie famiglie e i vari abitanti, che condividono uno spazio ed hanno la possibilità di trasformarlo nelle funzioni più svariate; -‐ Il gruppo che si è occupato degli orti urbani è “Nicole_fvr/2A+P”; propone uno spazio per le relazioni attraverso un salotto verde, punto di aggregazione, ed una parte attrezzata alla coltivazione, dove i cittadini ne potranno beneficiare. Questo esperimento attuato dall’Osservatorio Nomade, ha fatto si che le narrazioni e le richieste dei cittadini si siano ascoltate e realizzate.
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
Capitolo 3: Tre casi Europei 3.1 -‐ L’esperienza Olandese: Dalle Western Garden Cities al Park City 2015 di Amsterdam La città di Amsterdam alla fine del XVII secolo è la quarta area urbana più grande d’Europa con i suoi 210.000 abitanti. Nei decenni successivi è interessata da un intenso processo di degrado così da collocarsi in una difficile situazione congiunturale di crisi economica aggravata dagli eventi bellici. A metà del XIX secolo un terzo della popolazione residente vive in condizioni di povertà. La crescita della città avviene, fino alla metà del secolo, in assenza di regole e segue una dinamica insediativa spontanea che porterà alla realizzazione degli slums, quartieri caratterizzati dall’assoluta carenza di adeguate condizioni di salubrità igienico-‐sanitaria e di servizi.
Planimetria di Amsterdam
Tale situazione pone con forza al governo locale la necessità di controllare il processo di espansione in atto. L’intervento della municipalità di Amsterdam è stato perciò indirizzato verso la formulazione di regole per gestire l’urbanizzazione di nuove aree per migliorare la qualità dell’ambiente urbano. Il problema del risanamento delle abitazioni fatiscenti attirò l’attenzione sia dell’opinione pubblica che dei responsabili della pianificazione locale e nazionale. Nel secondo dopoguerra molte aree urbane vennero ricostruite ex-‐novo; si trattava di interventi di risanamento tesi al miglioramento dell’abitato o di una sua parte nell’interesse della qualità abitativa, ma anche di interventi di ristrutturazione urbanistica, finalizzati al miglioramento della struttura urbana dell’abitato e strettamente collegata alla formazione della city. L’esigenza della riqualificazione cominciò a delinearsi a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta ma solo nel 1972 venne emanato un decreto nel quale veniva chiaramente spiegato il significato del termine “riqualificazione” intesa come “il miglioramento dell’abitato o di una parte di esso tramite risanamento, ristrutturazione urbanistica o una combinazione di questi10”. Nel corso degli anni Settanta si cominciò a dare un nuovo significato al concetto di “recupero urbano”; si faceva, cosi, strada un nuovo concetto di “rinnovo urbano” articolato e localizzato su aree con caratteristiche omogenee in fatto di degrado strutturale, ambientale e sociale. Le amministrazioni locali divennero più sensibili ai problemi sociali e attente ai bisogni di quella fetta di popolazione che viveva in prima persona i disagi derivanti dall’estremo degrado di alcune porzioni di territorio. In molti casi, alla fine degli anni Sessanta, gli abitanti di queste aree, riunitisi spontaneamente in associazioni di inquilini, avevano rivendicato il diritto di esprimere il loro parere in merito alla drastica trasformazione del loro quartiere,
10 P. Ugolini, Riqualificare la città in Europa: il caso dell’Olanda e della Svezia, Edizioni Casamara, Genova, 1996
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
contestando le demolizioni su larga scala che avevano caratterizzato la prassi urbanistica del decennio precedente. Proprio negli ani Settanta venne codificato, a partire dai comini più importanti, il diritto degli abitanti a partecipare alla stesura dei piani di rinnovo del loro quartiere. Alcuni comuni come Amsterdam e Rotterdam si dimostrano molto attivi in tal senso e iniziarono fin dalla seconda metà degli anni Settanta questa fruttuosa collaborazione, dando vita ad una vasta gamma di sperimentazioni. Nonostante l’oggettiva diversità di tali realizzazione è possibile riconoscere in esse il medesimo principio ispiratore, racchiuso nel concetto di “costruire per il quartiere11”, tenendo conto della complessa rete di relazioni sociali, economiche ed ambientali che ne sono parte integrante. Ci si accorse che migliorando le condizioni al contorno si potevano ottenere ottimi risultati dal punto di vista del recupero edilizio. Proprio le esperienze degli anni Settanta hanno dimostrato che per ottenere risultati soddisfacenti nella rigenerazione di un tessuto urbano degradato è necessario ricostruire l’entità del quartiere. All’inizio degli anni Ottanta esistevano ancora molte aree caratterizzate da un estremo degrado. Nella Relazione Governativa sul Rinnovo Urbano12 venne denunciato un grave ritardo nella manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture urbane risalenti al periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale. In questo caso si intendeva per riqualificazione urbana “il processo teso ad eliminare tale arresto nelle aree edificate prima del 1970 rendendo le loro condizioni abitative, produttive e sociali consone agli standard attuali13”. Al suo interno troviamo un’altra definizione di recupero urbano inteso come “l’azione sistematicamente diretta sia sul piano urbanistico che sul piano sociale, culturale ed igienico -‐ ambientale, al mantenimento, ripristino, miglioramento, ristrutturazione o risanamento di parti di territorio comunale caratterizzate da un’intensa edificazione. Non si trattava più di fatti episodici o di sperimentazioni: tutte le realizzazioni seguivano uno schema preciso e coordinato. Si è operato in questo senso attraverso la suddivisione del territorio comunale in aree di intervento ed individuazione delle aree di maggiore degrado, la creazione di piani di recupero con valore legale introdotti dall’omonima legge del 1985, al fine di migliorare la quantità urbana nella sua interezza, il sostegno finanziario alle imprese che operano nelle aree più degradate, attingendo da un fondo speciale per il recupero urbano. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta invece, in corrispondenza con la recessione economica si nota una minore disponibilità da parte dello Stato olandese ad offrire sussidi e finanziamenti a privati ed enti locali. Pertanto si cominciò a dare meno importanza alle connotazioni sociali legate al tema della riqualificazione urbana e a cercare partner fra gli investitori privati in grado di fornire i capitali necessari allo svolgimento dei lavori. Il concetto stesso di recupero venne ridimensionato verso la fine degli anni Ottanta, quando il governo decise di fare un’altra indagine per valutare i risultati ottenuti nel decennio precedente e fornire le direttive per il decennio successivo. Una prima indagine, nel 1989, si ebbe con il progetto concepito all’interno della “Politica per il Rinnovamento Urbano per il futuro”, nel quale vennero distinti alcuni obiettivi principali di riferimento per i contributi economici a privati ed enti locali per il decennio successivo. Si parla di possibili finanziamenti per l’acquisto e la successiva urbanizzazione di aree adibite a costruzione di abitazioni e non, il miglioramento delle abitazioni occupate dai proprietari, il miglioramento delle abitazioni date in affitto, l’acquisto di case con l’obiettivo di ristrutturarle, il rinnovo delle abitazioni, l’aumento delle spese di gestione, il miglioramento delle condizioni ambientali interne agli edifici, la creazione di infrastrutture, il supporto finanziario alle imprese in crisi in special modo a quelle definite a rischio dal punto di vista ambientale, e l’assistenza sociale. Infine si è preferito usare la definizione di riqualificazione apparsa nella Relazione Governativa del 1981 e non quella che venne utilizzata nella Legge del 1985 poiché quest’ultima, troppo completa, avrebbe costretto il governo a prolungare l’impiego economico per tempi lunghissimi, senza poter rispettare il termine previsto in origine e fissato al 2005. Il governo intende quindi coinvolgere sempre di più il settore privato per risolvere i problemi che ancora persistono nel campo della rigenerazione urbana.
11 “Bouwen voor de buurt”. 12 Nota over de stands en dorsvernieuwing, 1981. 13 Legge sul Rinnovo Urbano, titolo 1, par. 1, 1985.
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Le particolari caratteristiche del’Olanda hanno fatto sì che vi si sviluppasse, in maniera molto più pronunciata che altrove, una spiccata sensibilità ai problemi inerenti la pianificazione territoriale. Con la pronunciata espansione del Paese, il governo locale sente la necessità di controllarlo in primo piano. L’intervento della municipalità di Amsterdam è stato perciò indirizzato verso la formulazione di regole per gestire l’urbanizzazione di nuove aree residenziali e per migliorare la qualità dell’ambiente urbano. Il “Piano Generale di Espansione”, approvato nel 1935, costituisce il migliore esempio di un modello di pianificazione con il quale l’amministrazione pubblica tenta di indirizzare lo sviluppo urbano. Il Piano attribuisce a ciascuna parte del territorio una precisa destinazione funzionale. La caratteristica dell’urbanizzazione delle Western Garden Cities di Amsterdam è il modello semplice di una città concentrica con un sistema radiale e anulare di strade, canali e aree verdi, organizzati a formare una maglia reticolare. I quattro elementi chiavi dello sviluppo urbano, ovvero la residenza, la produzione, i servizi e la mobilità, sono stati dimensionati separatamente e questa separazione delle funzioni rispondeva alla consapevolezza generale che la città aveva raggiunto una situazione di caos tale da rendere impossibile dare risposte ai bisogni della maggioranza della popolazione. Ma lo scarto fra desideri e realtà è diventato sempre più ampio. Per rispondere alle limitate riprese finanziarie ed alla pressione sociale, il disegno originale del piano è stato snaturato e cambiato: vennero sviluppati insediamenti ripetitivi e monotoni. Le Western Garden Cities entrarono in una spirale di declino. Il problema del degrado della periferia Ovest è stato affrontato fin dall’inizio degli anni Novanta. L’amministrazione locale e le Housing Corporations14 (HC), proprietarie più del 75% dell’intero patrimonio edilizio, si accordarono per pianificare una nuova prospettiva di sviluppo delle Western Garden Cities nel loro insieme, attraverso l’elaborazione di esempi di progetti di riqualificazione alla scala dell’intero distretto e la promozione di strumenti di pianificazione mirati a supportare le azioni di rivitalizzazione prospettate. Questa iniziativa ebbe grande successo, se non fosse però che il progredire dell’iniziativa fu molto lento, con minimi effetti sul miglioramento delle condizioni dell’intera area, tanto che alcune aree delle Western Garden Cities rimasero ancora marchiate come “aree in cui non andare”15. Nelle Western Garden Cities di Amsterdam la proprietà ed il patrimonio edilizio sono frammentate tra undici housing corporation; la maggior parte del patrimonio è situato in quartieri periferici, realizzati tra il 1945 e il 1970 e si trovano in condizioni di avanzato degrado. Anche se le diverse housing corporation lavorano insieme, raramente la cooperazione è stata senza problemi. Per questo motivo quattro di queste undici HC, le più progressiste ed importanti, hanno preso una decisione rivoluzionaria. Alla fine del 1999 hanno fondato una nuova organizzazione chiamata Far West, chiamata a gestire la ristrutturazione della proprietà comune. Quest’ultima ha l’obbiettivo di concentrarsi esclusivamente sull’azione di promozione dello sviluppo di rivitalizzazione. L’impatto è stato enorme: l’unione dei poteri e delle competenze delle quattro principali HC delle Western Garden Cities ha determinato un radicale cambiamento nelle pratiche correnti. Le undici HC che fino a poco tempo pria operavano indipendentemente, hanno unito le forze formando tre consorzi: Far West, Prospect Amsterdam e Westwards. Ciascuno dei tre consorzi ha elaborato uno scenario per il futuro delle Western Garden Cities. Nel momento in cui i tre piani sono stati completati, presentati e discussi, sono emerse diverse analogie e i tre consorzi hanno così deciso di formulare un’unica visione di pianificazione dell’area. L’amministrazione locale ha prontamente risposto predisponendo una proposta per il futuro per l’intero ambito urbano periferico. In questo modo in tre consorzi che l’amministrazione hanno adottato uno scenario condiviso per lo sviluppo delle Western Garden Cities che si rispecchia nel piano denominato ParkCity 2015.
14 Agenzia locale per la pianificazione e la realizzazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica. 15 No go area
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Western Garden Cities: 45.000 case, 1935-70
L’amministrazione olandese ha messo in atto un programma di riqualificazione delle Western Garden Cities, denominato ParkCity 2015 che si muove in un contesto di opportunità e non di problemi; si intende, cioè, individuare quali sono gli aspetti da potenziare e fare in modo che le criticità presenti nelle periferie diventino opportunità per uno sviluppo integrato. Parallelamente all’azione di rigenerazione, precedentemente attuata dalle Western Garden Cities, si è avviata un’attività di concertazione e di partecipazione di diversi attori come: progettisti, amministratori, investitori, enti pubblici e cittadini i quali, tutti, si addentrano intorno al progetto di riqualificazione. In questa fase di complessificazione del progetto è inevitabile l’intromissione dell’azione di più figure professionali dell’urbanista, del’economista e del sociologo e di tutte quelle figure in grado di dare un apporto utile allo sviluppo di un buon progetto di riqualificazione urbana. Il progetto, così, assume una natura esplorativa e dialogica e per questo diventa uno strumento che può contribuire ad aprire nuovi scenari di immagini, di attori, di azioni possibili ai fini di migliorare le situazioni di degrado presenti nel territorio. Quindi ci si prepone di indagare i contesti in cui si opera e mettere in evidenza le risorse e le potenzialità per il rilancio dell’immagine della porzione di territorio presa in esame. I contenuti del progetto integrato diventano tutte le proposte che sono state formulate dai diversi attori coinvolti intorno al tavolo di lavoro. Per la realizzazione del piano ParkCity 2015 è stata effettuata un’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’area. I punti di forza sono diversi, iniziando dalla posizione geografica: l’area non è unilateralmente dipendente dal centro di Amsterdam, ma si colloca strategicamente in una regione dinamica circondata da Schipol, sede dell’aeroporto, dal nuovo asse terziario, dal centro della città e dalla zona del porto. I 130 mila residenti previsti per ParkCity generano una forte domanda di mercato per l’insediamento di nuove attività commerciali, servizi e attrezzature culturali e per il tempo libero che sono attualmente carenti. Le aree che costituiscono i margini delle Western Garden Cities vantano importanti sviluppi commerciali, con la localizzazione di centri di affari trainanti da Schipol lungo il nuovo Westrandweg e di uffici lungo l’anello occidentale di Amsterdam. ParkCity costituisce potenzialmente una delle regioni chiave del rinnovamento multiculturale16. I punti di debolezza sono invece rappresentati dai seguenti aspetti: la bassa qualità e la ripetitività del patrimonio edilizio costituito principalmente dal prevalere della proprietà pubblica e da alloggi di piccole dimensioni e di impianto rigido. Una generale mancanza di identità architettonica determinata da tipi edilizi tutti uguali generati da blocchi di appartamenti. Le lottizzazioni hanno più dell’80% di spazi pubblici, che mancano però di una gestione adeguata. Le aree verdi di frangia di ParkCity presentano scarsa qualità e sono frammentati dalla rete delle grandi infrastrutture tecnologiche di trasporto.
16 F. Governa, S. Saccomani (a cura di), Periferie tra riqualificazione e sviluppo locale. Un confronto sulle metodologie e sulle pratiche di intervento in Italia e in Europa, Alinea Editrice, Firenze, 2002.
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Amsterdam Plan, 2003-2015, ParkCity
Per giungere all’elaborazione di piani unitari di riqualificazione delle singole aree, sono state compiute alcune scelte strategiche relativamente a diversi aspetti. Sviluppare ParkCity in una prospettiva regionale e con attenzione alle opportunità, attraverso il miglioramento delle reti pubbliche di viabilità interne e anche attraverso il miglioramento della rete di trasporto su gomma con la realizzazione di un secondo anello tangenziale attorno alla città. Migliorare la qualità ambientale e insediative di Sloterplas, trasformandola in una città-‐parco con un nuovo centro. Promuovere la realizzazione di ambienti residenziali di alto livello, articolati in ambienti dinamici e vitali, caratterizzati da elevata densità e zone meno congestionate. Realizzare circa 15 mila alloggi supplementari per poter rilocalizzare la popolazione residente durante l’attuazione dei progetti di riqualificazione edilizia secondo il principio “prima costruire, poi demolire”. Rinforzare la rete di canali, delle aree verdi, delle infrastrutture e delle aree residenziali valorizzandone le vocazioni funzionali delle diverse parti. Introdurre nella periferia Ovest nuova qualità promuovendo azioni di riqualificazione del patrimonio ecologico a scala regionale. Promuovere politiche economiche di rigenerazione che possano offrire opportunità di sviluppo locale per i residenti. Investire nei settori dell’economia, nell’istruzione e nel rafforzamento delle attività di coinvolgimento e partecipazione sociale: dare priorità a questi progetti ed investimenti che hanno un forte “effetto guida”.
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3.2 -‐ L’esperienza Francese: Vita e morte delle (nelle) Banlieue Periodicamente il tema della pericolosità delle periferie, delle banlieue, dei suburbs, riemerge. Il nome cambia a seconda del paese e della lingua, ma il senso è il problema è sempre lo stesso. Le banlieue in Francia sono state e sono un problema per tutte le amministrazioni di ogni colore politico, in parte per la loro vastità e consistenza rispetto all’edificato residenziale e in parte per la resistenza dei problemi a ogni tentativo di soluzione. I tentativi di interpretazione di questi fenomeni sono arrivati da più parti, anche da scrittori come Samuel Benchetrit che, in una recente intervista17, ha affermato: “Racconto la vita quotidiana degli abitanti di una città periferica immaginaria. Le banlieue sono tutte uguali. Una vale l’altra. Sono luoghi grigi ed elettrici, privi di fascino, in cui è molto difficile vivere. Ma la gente che vi vive non è per niente anonima (Benchertrit, 2007, p.96).”
Quartieri di Parigi e Banlieue
La Francia negli ultimi trent’anni ha prodotto una serie molto rilevante di azioni volte al miglioramento delle condizioni strutturali e sociali dei quartieri periferici. Si possono ricordare ad esempio la DSQ (Développement social des quartiers) del 1984, la “Banlieues ‘89” gigantesca operazione di re-‐styling, il decreto del 1993, la ZFU (Moralisation des Zones franches urbaines) del 2001. Con il XII Piano (2000-‐2006) il “contrat de ville”, si è proposto di intervenire in più di 1300 quartieri e sei milioni di abitanti per azioni concernenti i singoli quartieri (riabilitazione degli alloggi, manutenzione degli spazi pubblici) o la scala comunale e intercomunale. A partire dal 2007 ai “contrats de ville” succede il “contrats de cohésion sociale” con l’obbiettivo di rinnovare il quadro contrattuale della politica in favore dei quartieri e delle popolazioni difficili. All’origine di molte delle più importanti azioni promosse dallo Stato francesce a favore delle banlieue ci sono stati eventi drammatici Le periodiche esplosioni di rabbia popolare che i traduce talvolta in vera sommossa hanno genesi simili: un fatto che coinvolge una persone una persona del quartiere e che suscita una reazione del potere pubblico giudicata ingiusta o illegittima. Questo rumeur scatena il desiderio di vendetta contro i “nemici”, cioè le forze dell’ordine, gli abitanti “normali”, le amministrazioni locali. Le violenze urbane hanno sempre una spiegazione che forse, può risultare oscura o irrazionale per il resto della cittadinanza, ma è chiara per che le compie. Ciò che mosse le ricorrenti sommosse delle cités francesi fu un sentimento di ingiustizia, originato dalla percezione sociale di discriminazioni e umiliazioni che colpirebbero i giovani e, soprattutto, i giovani immigrati che sono oggetto di ripetuti controlli polizieschi,
17 Riportata in “La Repubblica”, 26.05.07, p. 96 nell’articolo di Benedetta Marietti, Blues di banlieu.
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esclusi dal mercato del lavoro e che non vedono prospettive per il loro avvenire. Il condividere tali condizioni crea in questi giovani, da un lato, un’identità collettiva negativa e, dall’altro, fa crescere la coesione all’interno dei gruppi differenziali contro la società. La “politique de la ville”, per la complessiva gestione delle città e dei quartieri “sensibili”, nata in Francia nel 1981, ha dispiegato interventi a tutto campo che hanno migliorato la qualità della vita di un certo numero di abitanti, ma non è riuscita a contrastare il fenomeno di disgregazione dei quartieri. Jacques Donzelot (2006), ad esempio, ritiene che le politiche urbane si sono preoccupate di trasformare i luoghi piuttosto che di accrescere la capacità di decidere e di agire delle persone; si sono appoggiate sul potere degli amministratori locali piuttosto che lavorare alla crescita della democrazia a livello cittadino. La “politique de la ville”, centrata sui problemi dei “quartieri sensibili”, dovrebbe essere sostituita da una “polituque puor la ville” che tenga conto dell’insieme delle situazioni, della necessità e delle interazioni al livello metropolitano, proponendo delle soluzioni complessive. Le tre settimane di disordini del 2005 hanno sorpreso perfino gli studiosi del settore per la loro durata, per la loro ampiezza geografica e la giovinezza degli attori coinvolti. Si possono comprendere, almeno in parte, la genesi e le motivazioni profonde del disagio che genera quelle sommosse che a partire dai “rodéos des Minguettes” a Lione, del 1981, vengono definite “violenze urbane”, sembra difficile ammettere che non si sia potuto trovare un rimedio e che gli episodi si ripetano in modo sconcertante. Le spiegazioni di questo scacco sono molteplici e alcune cause sono di tipo macro sociale.
Rivolte nelle Banlieue del 2005
È evidente che altri fattori entrano in gioco: la concentrazione del disagio, l’emarginazione fisica e sociale, la complessità delle relazioni etniche, il tutto sullo sfondo di una scena urbana spesso degradata e carente, ma soprattutto, particolarmente esposta ad azioni di protesta, di rivendicazione o di provocazione che tendono a renderla costantemente degradata. L’ambiente fisico diventa ostaggio delle proteste, diventa lo schermo su cui si proietta, con vandalismi, sprechi, aggressioni di vario tipo. Un caso particolare è costituito dalle scuole che sono spesso uno dei bersagli favoriti in caso di contestazioni violente. Nei disordini del 2005, nel week-‐end del 6-‐7 novembre, 33 strutture scolastiche in tutta la Francia sono state oggetto di vandalismi e tentativi di incendio. Se è vero che la violenza è sempre una richiesta, molte persone dei “quartieri sensibili” e forse anche di altre parti delle città, gridano necessità e aspettative, richieste di ascolto e di visibilità che rimangono in gran parte inascoltate. D’altra parte si rileva anche la debolezza della partecipazione dei cittadini delle banlieue alle politiche urbane: accettare di essere inseriti in un programma di aiuti porterebbe ad essere definiti e ad autodefinirsi come persone-‐con-‐problemi e a confermare un’identità negativa rifiutata per principio. L’esperienza francese, frutto di numerose e riccamente finanziate azioni per contrastare l’emarginazione e le disuguaglianze, hanno avuto esiti positivi, ma anche alcune conseguenza paradossali come quella di far
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crescere ancor di più il senso di esclusione per coloro che non hanno potuto o saputo approfittare dei sostegni all’integrazione che si è spesso compiuta con il volontario allontanamento dalle cités di chi era riuscito ad avere successo, sottolineando l’insuccesso degli altri. In molti quartieri si sono formate delle enclaves in cui si sono accumulate difficoltà tanto più acute e visibili in quanto sono quelle che i dispositivi sociali non sono riusciti ad attenuare. Le sommosse del 1990 nella banlieue lionese sono scoppiate in una delle “vetrine” dei grandi interventi sociali urbani. Qualche giorno prima il quartiere aveva festeggiato una ristrutturazione, alcune riabilitazioni di edifici, un rinnovo commerciale. Il 6 ottobre seguente i rivoltosi distrussero il loro quartiere attaccando, in primis, i luoghi appena riqualificati. Sarebbe importante accettare l’esistenza del conflitto tra gli “inclusi” nel processo di sviluppo socioeconomico e gli “esclusi” e di metterla al centro delle riflessioni politiche in modo da rendere produttivo anziché distruttivo il conflitto.
Edifici degradati nelle Banlieue Parigine
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3.3 -‐ L’esperienza Spagnola: L’area metropolitana di Barcellona e la periferia “ghetto” di La Mina A partire dal 1992, anno delle famose Olimpiadi estive, Barcellona è diventata, nell’immaginario collettivo di architetti e urbanisti, un vero e proprio paradigma, un modello da studiare e, laddove possibile, da imitare. Barcellona rappresenta il luogo in cui il confronto dialettico tra piani e progetti si è manifestato con maggiore evidenza e forza. L’epoca delle Olimpiadi ha rafforzato il rapporto di interrelazione tra pianificazione comunale, programmi operativi e progetti puntuali per la realizzazione di spazi pubblici o di edifici. La strategia adottata è stata quella di promuovere un tipo di azione pubblica che puntasse alla realizzazione di interventi in grado di produrre un effetto moltiplicatore della riqualificazione da estendere a porzioni sempre più ampie di città, evitando quindi le azioni isolate e marginali. La riqualificazione delle periferie rientra in pieno nel quadro strategico degli interventi pubblici, soprattutto nel caso di Barcellona, come casi di rimodellazione della periferia privata. Da un punto di vista progettuale gli interventi pubblici più diffusi, finalizzati a garantire una migliore vivibilità tanto delle aree più centrali quanto delle periferie più marginali, interessano soprattutto gli spazi aperti. È maturata, infatti, una diversa consapevolezza del modo di costruire la città attraverso una rinnovata attenzione al ruolo degli elementi che costituiscono la struttura degli spazi pubblici, strade, parchi e piazze, per ridare qualità e maggiore vivibilità all’ambiente urbano complessivo. Si tratta di una strategia di “monumentalizzazione delle periferie18”. Barcellona è parte di un’area metropolitana comprendente 28 comuni; la città conta una popolazione di circa 1,5 milioni di abitanti per una superficie di circa 97 chilometri quadrati. L’attività urbanistica che ha interessato Barcellona sin dagli inizi degli anni ’80 si è sempre distinta per una spiccata attitudine alla mobilitazione da parte dell’opinione pubblica. Non sono mancati confronti accesi su proposte di assetto e di disegno urbano. Quella della partecipazione, resa possibile anche attraverso la discussione pubblica programmata, ha rappresentato l’elemento distintivo di un modo di affrontare le problematiche connesse con i temi urbani. Lo sviluppo urbanistico di Barcellona ha subito una meticolosa selezione a cui ha fatto seguito un progressivo cambio di scala degli interventi. All’inizio per l’amministrazione comunale occuparsi della qualità urbana significava misurarsi con una delle tante esperienze assolutamente nuove: non si aveva alcuna dimestichezza con la gestione dei problemi urbani e per questo appariva più opportuno cominciare a dare il via riqualificazione urbana a partire da interventi puntali di piccola scala come quelli per il miglioramento di piazze, strade e la creazione di nuovi parchi. I nuovi quartieri su cui si andava ad operare cominciavano finalmente a ritrovare dignità e ruolo nella città. La seconda fase è invece caratterizzata da quello che è stato definito il “cambio di scala”. I Giochi Olimpici del 1992 costituiscono in questo senso l’elemento catalizzatore che consentiva di programmare ad avviare progetti urbani di grande portata e di riprendere a discutere sulle problematiche urbanistiche generali. L’attenzione di questo periodo si concentra soprattutto sulle grandi infrastrutture per la mobilità. Da questo approccio nascono le cosiddette rondas, grandi viali di circonvallazione. A partire dall’opportunità offerta dai Giochi Olimpici, prende forma e sempre maggiore visibilità il cosiddetto “modello Barcellona”19, inteso soprattuto come quell’insieme di fattori che hanno concretamente reso possibile il configurarsi e poi l’attuarsi di questo consolidato paradigma. Localizzato al confine tra Barcellona e il municipio di Sant Andrià del Besòs, a nord della città, il quartiere di La Mina è suddiviso in due nuclei, La Mina Vella, realizzato tra il 1967 e la prima metà degli anni Settanta e La Mina Nova, realizzato nel corso degli anni Settanta. La vicinanza di Barcellona è a lungo testimonianza solo dalla presenza di una linea ferroviaria, fino a che, con la progressiva industrializzazione iniziano a comparire anche a Sant Andrià impianti produttivi e residenze operaio, assieme all’installazione di servizio
18 G.Franz, F. Leder, La riqualificazione delle periferie residenziali, Scenari ed elementi per una futura politica di intervento in Emilia Romagna, Alinea Editrice, Firenze, 2003. 19 F. Indovina, Barcellona: un nuovo ordine territoriale, Franco Angeli, Milano, 1999.
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alla città come l’inceneritore, la discarica, il depuratore. Il quartiere nato per ospitare immigrati che vivevano nelle baraccopoli ai margini della città conta circa 15 mila abitanti; infatti è altissima la presenza di famiglie extracomunitarie e questo ha contribuito ad aggravare lo stato di marginalità sociale in cui versa il quartiere.
Veduta aerea del quartiere di La Mina
Già nei primi quindici anni di vita del quartiere emergono chiaramente i limiti e le carenze di una pianificazione ispirata al principio della rapidità di costruzione; una volta soddisfatto il bisogno primario della casa ci si rende conto di aver dato vita ad un luogo di emarginazione fisica e sociale.
Dopo una proposta di totale demolizione avanzata dal governo metropolitano nel 1993, all’inizio del 2000, grazie all’approvazione della “Modificaciòn del Plan General Metropolitano en el Front Litoral i marge dret del riu Besòs”, si è giunti alla determinazione di operare un intervento di riqualificazione dell’intera area attraverso la realizzazione del “Plan Especial de La Mina”. La qualità degli spazi pubblici, soprattutto in questo settore del quartiere, è assolutamente scadente e ciò aumenta il senso di insicurezza e di insoddisfazione degli abitanti. Prima di attuare qualsiasi tipo di intervento l’amministrazione ha provveduto a studiare le problematiche sociali e a definire un programma di sostegno alla popolazione residente. L’analisi si è successivamente concentrata sugli aspetti edilizi, per la messa a punto di azioni da intraprendere per aumentare la funzionalità degli alloggi e più in generale dei complessi residenziali. Infine è stato condotto uno studio sulle problematiche urbanistiche che prefigurano interventi necessari a riqualificare il tessuto edilizio esistente attraverso la demolizione, la rimodellazione e la nuova costruzione, ad aumentare la vivibilità del quartiere inserendo nuove attività e funzioni, a migliorare la qualità degli spazi aperti, l’accessibilità alle zone centrali attraverso il miglioramento della rete dei collegamenti viari, pedonali e ciclabili e al potenziamento del trasporto pubblico. La grande portata di questi interventi catalizza energie ed interessi, e fa pensare ad un imminente cambio di prospettiva per La Mina che vuole abbandonare la condizione di quartiere periferico per passare ad occupare una posizione privilegiata rispetto alle
La Mina, planimetria generale dell'intervento
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operazioni di prossima realizzazione, con la possibilità di diventare un luogo attraente dove poter vivere. La riqualificazione del quartiere di La Mina si pone in un contesto più generale di accordi fra i municipi di Barcellona e Sant Adrià. Riguardo a La Mina, essa mette in evidenza la complessità della situazione di degrado, l’urgenza degli interventi e la necessità di una loro programmazione. Viene disposto quindi uno studio della realtà del quartiere, declinato negli aspetti sociali, tecnico-‐costruttivi ed urbanistici, come fase preparatoria alla progettazione. L’analisi degli aspetti sociali ha per obiettivo la definizione di un programma di sostegno alla popolazione afflitta da una condizione diffusa di povertà, disoccupazione e tossicodipendenza; descrive, tuttavia, le difficoltà di convivenza sociale che si manifestano negli spazi di relazione interni ed esterni: la maggior parte degli abitanti trascorre la gran parte del tempo fuori dal quartiere, che rimane così in mano ad una minoranza aggressiva e violenta. Lo studio registra una certa soddisfazione per i servizi sanitari ed educativi, mentre appaiono carenti quelli sociali, soprattutto per ciò che riguarda i problemi di droga e disoccupazione, senza contare che l’assistenza e diretta esclusivamente alla popolazione più emarginata e non ha tra i suoi obiettivi l’inclusione e la partecipazione di tutti. Gli abitanti restituiscono una buona percezione dei propri alloggi, nei quali si rifugiano perché vivono l’ambiente esterno come ostile. Essi esprimono l’urgenza di un intervento urbanistico per risolvere i conflitti ma ritengono che questo possa rivelarsi inutile se non affiancato da un progetto sociale e politico e che riconosca le persone come soggetti primari del cambiamento. Lo studio tecnico-‐costruttivo sullo stato degli edifici, riferisce sullo stato di conservazione, la sicurezza e l’abitabilità degli edifici del quartiere. Gli edifici realizzati con la tecnica della cassaforma sono quelli che oggi risultano più problematici. Non si riscontrano particolari problemi strutturali, mentre è del tutto insufficiente la dotazione per la protezione dagli incendi e l’accesso ai soggetti con ridotte possibilità motorie. Non sembra giustificata l’eventuale soppressione e sostituzione di edifici; più praticabile è la demolizione puntuale, per diminuire la densità e permettere la formazione di passaggi trasversali fra gli edifici. Lo studio urbanistico descrive la formazione e lo sviluppo di La Mina nel segno della marginalità tuttavia considera la sua localizzazione relativa come un possibile elemento di riscatto. Esso fotografa la condizione abitativa in base ad indicatori di concentrazione e densità, riferiti ad abitanti20 e abitazioni21, e rileva la maggior criticità della situazione di Mina Nova; confrontando questi dati con quelli relativi ad altri quartieri residenziali della periferia di Barcellona, il complesso di La Mina è collocato in una posizione intermedia riguardo a densità, intensità di edificazione e superficie costruita. La spina centrale dei servizi pubblici di maggior dimensione quali le scuole e gli impianti sportivi, si presenta come un blocco rivolto all’interno che divide in due il quartiere ed ostacola le relazioni trasversali. La superficie adibita a standard supera il 75% del totale; di questa la metà è dedicata agli spazi aperti. A Mina Nova gli spazi non edificati sono più grandi ma difficilmente generano aggregazione; il parcheggio in superficie domina lo spazio della rete viaria, di dimensioni abbastanza generose da permettere comunque una buona mobilità interna; sono del tutto assenti garage e parcheggi interrati. L’obbiettivo della variante al Piano è la definizione di un’appropriata cornice normativa per lo sviluppo del settore in questione; a questo scopo il documento fa propri i criteri operativi e gli obiettivi proposti che sono:
-‐ La necessità di un intervento di risistemazione urbanistica, incentrato nella creazione di un asse centrale di organizzazione generale delle nuove edificazioni;
-‐ Il bisogno di rendere compatibili le strutture e gli usi che si propongono con le abitazioni e le attività preesistenti;
-‐ L’impegno ad integrare gli obiettivi precedenti con la necessaria ricomposizione della struttura urbana, con la particolare attenzione al ruolo degli spazi pubblici e dei sevizi.
20 Numero di abitanti per blocco, abitanti medi per alloggio, metri quadri per abitante, densità netta di abitanti per ettaro. 21 Unità d’abitazione per blocco, superficie utile media degli alloggi, metri quadri di superficie costruita, numero di alloggi per portone.
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Si prevede che le abitazioni nuove non siano inferiori al 25% delle esistenti e che le nuove attività raggiungano un peso pari alla metà di tutta la superficie nuova costruita. L’adozione dei criteri rende così necessaria una revisione delle norme urbanistiche del PGM in relazione alla porzione di La Mina che coincide con il settore di Mina Nova e Mina Industrial, per un totale di 21 ettari. L’aumento dell’indice massimo di edificabilità genera un potenziale di 900 nuovi alloggi mantenendo l’indice di densità al di sotto di quello attuale.
Foto del modello del quartiere di La Mina, stato di progetto
Il Plan especial de reordenaciòn y mejora interior (PERI), è lo strumento che indica gli ambiti di intervento e le modalità della riqualificazione di La Mina. L’intero processo di trasformazione è gestito a partire da due strumenti di pianificazione, il PGM e il PERI: il PGM è del 1976 e fu promosso per assolvere alla funzione regolatrice della continuità urbana di Barcellona; il PERI viene introdotto alla fine degli anni Ottanta come strumento d’intervento in aree consolidate. L’intervento genera un nuovo scenario, flessibile e aperto, su cui si costruisce la strategia di riqualificazione. L’elemento ordinatore capace di strutturare l’intero quartiere è un asse viario centrale che si sviluppa ed alimenta vecchie e nuove edificazioni, nuovo luogo di ritrovo e spazio di relazione aperto a tutti. Il corso ha un’ampiezza di 40 metri e una sezione a rambla; i servizi comuni sono invece distribuiti in posizioni estreme, in modo da incentivare i flussi pedonali. Particolare attenzione è dedicata alle scuole e al loro dimensionamento in base alle necessità attuali e future; anch’esse vengono ubicate in modo da non scoraggiare la coesione fisica del quartiere, quindi in posizioni esterne. La rottura della marginalità passa anche attraverso la costruzione di nuove abitazioni che garantiscono diversificazione tipologica e dei residenti. I nuovi edifici hanno una scala più ridotta e sono maggiormente permeabili. L’intervento è completato dall’organizzazione di una struttura viaria a reticolo che cerca maggior connessione con la rete di grande comunicazione e dalla previsione di un numero congruo di parcheggi.
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
Conclusioni e Situazione Attuale Dal percorso ricondotto, possiamo fare una prima riflessione riguardante i “mali “ delle periferie che spesso vengono attribuiti ad una scarsa progettazione urbanistica e architettonica ed a un controllo sociale insufficiente. I rimedi più frequenti proposti sono la Riqualificazione: conferire una maggiore qualità agli edifici, al contesto e alla vita sociale nei quartieri, inteso come rigenerazione: Dare nuova vita! La prima esigenza, è di rendere più vivibili gli ambienti legati alla vita quotidiana, quindi attuare azioni mirate alla manutenzione o alla ristrutturazione delle situazioni maggiormente degradate. Un’altra questione fondamentale, spesso trascurata, è la riqualificazione degli spazi pubblici, queste zone diventano luoghi anonimi e privi di significato e gli abitanti dei quartieri sono spinti a chiudersi nelle loro case perché percepiscono pericolo e ostilità al di fuori della propria abitazione. I trasporti e le infrastrutture hanno lo scopo di garantire una migliore mobilità agli abitanti, bisogna agire attraverso il potenziamento delle reti. Ci si è reso conto che le realtà periferiche si sono formate in parte perché nel passato le infrastrutture sono state intese come “oggetti adagiati sul territorio e non come componenti integrate dei sistemi territoriali“22. L’esigenza è, quindi, quella di introdurre la mobilità sostenibile. I processi di riqualificazione non possono partire se il territorio non offre delle basi economiche tali da garantire uno sviluppo; una trasformazione urbana di qualità ha bisogno, inoltre, di una Rigenerazione economica, questo necessita la creazione di un’occupazione per le nuove generazioni, in modo da garantire uno sviluppo urbano sostenibile. Si rischia di attuare degli interventi dal punto di vista architettonico, ma che sono destinati al decadimento poiché non esiste una base economica che garantisca uno sviluppo successivo e autonomo. Ultimo punto fondamentale, da tener conto, è quello di una Rigenerazione Sociale: fondamento di qualsiasi operazione di rigenerazione. I primi soggetti interessati ad una rigenerazione, sono gli abitanti stessi spesso con problematiche molto forti. Bisogna, come prima cosa, occuparsi di loro attraverso politiche di sostegno sociale e garantire un mixitè sociale per diversificare la popolazione residente in modo da innescare nuove forme di sviluppo. Seguendo gli indicatori della carta Audis: “…è possibile gestire un’azione mirata alla rigenerazione in modo sistematico e programmatico, calibrando di volta in volta gli interventi sulla base delle realtà locali23”. Va rilevato che questi processi di riqualificazione possono essere evitati attraverso l’attuazione di norme volte al controllo, alla gestione e alla qualità dell’edilizia pubblica. In tutti i casi accennati, una delle problematiche comuni, è proprio la scarsa amministrazione e l’incongruenza tra il progetto esecutivo (quello su carta) e il progetto realmente costruito; se ci fosse stato maggior controllo, a livello sia amministrativo che economico, sicuramente molti problemi a livello architettonico e sociale non si sarebbero posti. Come afferma Touraine (1991) noi viviamo il passaggio da una società verticale che avevamo preso l’abitudine di chiamare una società divisa in classi, con gente che stava in alto e gente che stava in basso, ad una società orizzontale dove l’importanza è sapere se si è al centro o in periferia che è la zona della grande incertezza e delle tensioni in cui le persone non sanno se finiranno per far parte degli “in” o degli “out”. C’è un mercato in movimento continuo in cui si tratta di fare della strategia e di adattarsi ad un ambiente mutevole rispetto a cui ognuno ha bisogno di identità, autonomia, libertà e capacità di negoziare. Che è proprio ciò che manca nei territori periferici in cui l’esclusione sociale unita a quella spaziale costruisce schemi di segregazione nettamente percepita dagli abitanti, nei cui discorsi compaiono frequentemente parole come “abbandono”, “rifiuto”, “mancanza”, “lontananza”, “invisibilità”.
22 A.Clementi , R. Pavia , Territori e spazi delle infrastrutture, Ancona 1998. 23 S. Vacchetta, Politecnico di Torino, 2010.
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Riqualificazione delle Periferie: lo Scontro Sociale e le Politiche Urbanistiche
Bibliografia Libri di testo: -‐ Intorno alla Città, Problemi delle periferie in Europa e in Italia, Antida Gazzola, Liguori Editore, Napoli 2008; -‐ Periferie tra riqualificazione e sviluppo locale, un confronto sulle metodologie e sulle pratiche di intervento in Italia e in Europa, Francesca Governa e Silvia Saccomani, Alinea Editrice, Firenze 2000; -‐ La riqualificazione delle periferie urbane, Luigi Lagomarsino e Antida Gazzola, Erga Edizioni, Genova 1997; -‐ Riqualificare la città in Europa: il caso dell’Olanda e della Svezia, P. Ugolini, Edizioni Casamara, Genova, 1996; -‐ La riqualificazione delle periferie residenziali, Scenari ed elementi per una futura politica di intervento in Emilia Romagna, G.Franz, F. Leder, Alinea Editrice, Firenze, 2003. -‐ Barcellona: un nuovo ordine territoriale, F. Indovina, Franco Angeli, Milano, 1999. -‐ Territori e spazi delle infrastrutture, A.Clementi , R. Pavia, Ancona 1998. -‐ Valutare i programmi complessi, Regione Piemonte a cura di G. Ferrero , L’Artistica Editrice , Savigliano 2002. Tesi di Laurea: -‐ Rigenerare le periferie: un confronto fra paesi europei, Candidato: Silvia Vacchetta, Relatore: Agata Spaziante, Politecnico di Torino, II Facoltà di Architettura, corso di laurea magistrale in pianificazione territoriale, Torino 2010; -‐ Periferie Urbane: cambiamenti nelle interpretazioni e nelle politiche. L’esperienza del progetto speciale periferie a Torino, Candidato: Samantha Macchetto, Relatore: Silvia Saccomani, Politecnico di Torino, II Facoltà di Architettura, corso di laurea magistrale in pianificazione territoriale, Torino 2010. Siti Internet: -‐ http://www.isocarp.org/pub/events/congress/2006/programme/amsterdam.pdf -‐ http://www.urbanisticatre.uniroma3.it/DIDATTICA/articolo_coppola.pdf