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335 Eduard Shehi, Brikena Shkodra Rrugia Importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (II sec. a.C.- VII sec. d.C.): lo stato delle ricerche La città di Durazzo si estende nella parte occidentale dell’Albania, sulle coste del Mare Adriatico (fig. 1). In questo contesto, su un insedia- mento illirico 1 venne quindi fondata una colonia da Greci provenienti da Corfù e Corinto, verso il 627 a.C. 2 . Approfittando della buona posizione geografica, la città conobbe uno sviluppo economico crescen- te e le potenze rivali nella regione diverse volte hanno tentato di prenderne il control- lo, finché nel 229 a.C. Durazzo aprì le porte alle legioni romane, per diventare così civi- tas foederata 3 . Come parte della provincia di Macedonia 4 , istituita nel 140 a.C., e poi quale punto di partenza della via Egnatia, Durazzo divenne la porta verso l’Oriente. Sembra che dopo la vittoria di Ottaviano ad Actium, la città sia diventata colonia romana, con il nome colonia Iulia Augusta Dyrrachina 5 . Con la riorganizzazione delle provinciae, all’inizio del IV sec. d.C., la città divenne centro del- la provincia di Epirus Nova 6 : la crescente presenza delle popolazioni barbare ne de- terminò la conquista, per due volte, da par- te degli Ostrogoti nel 457 e 479 d.C. 7 . Sotto gli imperatori Anastasio I e Giustiniano I, la città conobbe una rinascita economica e architettonica 8 , per proseguire verso gran- di cambiamenti urbanistici e culturali nel corso della metà del VII secolo, quando si documenta la disgregazione delle caratteri- stiche urbane di questo importante centro dell’impero romano. Questa breve presentazione della vicenda storica della città trova riflesso nella consi- stenza dei rapporti commerciali, dei quali la ceramica costituisce parte importante. Dal- 1 Scyl. 26. Si segnala che l’elaborazione dell’apparato illustrativo qui proposto è stata curata dagli Autori. 2 Th. I, 24. 3 Plb. II, 11. 4 Const. Porphyr. De Them., II 9. 5 Miraj, Myrto 1982, 133; Miraj 1991a; 1991b, qui 272. 6 Ioannis Malalae XIII, 11-13, 347; Hierocl. Hist. I. 7 Iordanis 270-272; Malch. 20, 263-274, 448-250. 8 Shehi, Shkodra 2011, 325-336. Fig. 1. Carta schematica dell’Albania con indicazione del reticolo idrografico e dei principali siti di interesse archeologico. 0 16 km

Importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (II sec.a;C. – VII sec. d.C.: Lo status delle ricerche”, in S. Fiorello (ed.), Ceramica romana nella Puglia adriatica,

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Eduard Shehi, Brikena Shkodra Rrugia

importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.- Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

La città di Durazzo si estende nella parte occidentale dell’Albania, sulle coste del Mare Adriatico

(fig. 1). In questo contesto, su un insedia-mento illirico1 venne quindi fondata una colonia da Greci provenienti da Corfù e Corinto, verso il 627 a.C.2. Approfittando della buona posizione geografica, la città conobbe uno sviluppo economico crescen-te e le potenze rivali nella regione diverse volte hanno tentato di prenderne il control-lo, finché nel 229 a.C. Durazzo aprì le porte alle legioni romane, per diventare così civi-tas foederata3.Come parte della provincia di Macedonia4, istituita nel 140 a.C., e poi quale punto di partenza della via Egnatia, Durazzo divenne la porta verso l’oriente. Sembra che dopo la vittoria di ottaviano ad Actium, la città sia diventata colonia romana, con il nome colonia Iulia Augusta Dyrrachina5. Con la riorganizzazione delle provinciae, all’inizio del IV sec. d.C., la città divenne centro del-la provincia di Epirus Nova6: la crescente presenza delle popolazioni barbare ne de-terminò la conquista, per due volte, da par-te degli ostrogoti nel 457 e 479 d.C.7. Sotto gli imperatori Anastasio I e Giustiniano I, la città conobbe una rinascita economica e architettonica8, per proseguire verso gran-di cambiamenti urbanistici e culturali nel corso della metà del VII secolo, quando si documenta la disgregazione delle caratteri-stiche urbane di questo importante centro dell’impero romano.Questa breve presentazione della vicenda storica della città trova riflesso nella consi-stenza dei rapporti commerciali, dei quali la ceramica costituisce parte importante. Dal-

1 Scyl. 26. Si segnala che l’elaborazione dell’apparato illustrativo qui proposto è stata curata dagli Autori.2 Th. I, 24.3 Plb. II, 11.4 Const. Porphyr. De Them., II 9.5 Miraj, Myrto 1982, 133; Miraj 1991a; 1991b, qui 272.6 Ioannis Malalae XIII, 11-13, 347; Hierocl. Hist. I.7 Iordanis 270-272; Malch. 20, 263-274, 448-250.8 Shehi, Shkodra 2011, 325-336.

Fig. 1. Carta schematica dell’Albania con indicazione del reticolo idrografico e dei principali siti di interesse archeologico.

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la fine del IV sec. a.C., il commercio legato all’Illyria meridionale, Dyrrachium inclusa, si orienta verso la penisola italiana, princi-palmente verso la parte meridionale di essa, assumendo profilo prevalente rispetto al commercio di area egea e greco-continen-tale. Durante l’intero periodo tardorepub-blicano, le importazioni dall’area italica, testimoniate dalle considerevoli quantità di anfore greco-italiche documentate, sono ben più numerose rispetto alle produzio-ni greche – principalmente provenienti da Rodi –9. La stessa tendenza si registra anche per le ceramiche fine da mensa. Interessan-te anche l’importazione delle anfore Lam-boglia 2, con un allargamento delle zone di approvvigionamento, non più concen-trato nell’Italia meridionale, visibile anche attraverso le attestazionid di terra sigillata italica. Con il passaggio al I sec. d.C., viene ribadito l’ orientamento preferenziale verso le importazioni italiche, testimoniato dalle manufatture più diffuse nel periodo, le an-fore Dressel 6 e le forme della terra sigillata italica, mentre nei secoli seguenti il com-prensorio illirico meridionale determina un allargamento delle zone di approvvigiona-mento, stabilendo connessioni con regioni più lontane, quali la Gallia meridionale, l’a-rea iberica e l’Africa settentrionale10.Il periodo tardoanticho testimonia di una graduale apertura della città verso le pro-duzioni del Mediterraneo orientale. La fine del IV secolo registra per Durazzo la ripresa di intensi contatti commerciali con i centri di produzione egei e levantini, che trova ri-flesso nel progressivo cambiamento della ti-pologica delle anfore da trasporto attestate, secondo tendenze e consistenze che si pre-servano fino alla metà del VII sec. d.C.11. In-dipendentemente peraltro dai cambiamenti politici occorsi nell’Africa settentrionale, la ceramica fine africana diventa dunque il prodotto fittile principale da mensa a Du-razzo per tutto il Tardoantico, anche se le manifatture fini focesi si dimostrano desti-nate a conoscere un graduale successo12.Questo contributo cerca di offrire un quadro dettagliato delle importazioni di ceramica fine a vernice rossa a Durazzo.

L’analisi tipologica degli esemplari presen-tati racchiude uno spazio cronologico che corre dal II sec. a.C. – quando si presen-ta un nuovo elemento tecnologico nella produzione della ceramica fine da tavola, l’utilizzo della vernice rossa, talora deno-minata ‘romana’ –13 fino all’estinguersi della organizzazione istituzionale romana della città14, che per Durazzo sembra possa collocarsi verso la metà del VII sec. d.C., periodo nel quale si interrompe l’importa-zione dei prodotti fini e si affievoliscono gli elementi urbani della città15.Grazie allo studio della ceramica fine ab-biamo tentato di identificare le caratteristi-che del commercio e della diffusione delle merci dai centri di produzione del Medi-terraneo verso Durazzo: tuttavia, per un quadro più ampio, sarà di certo necessario il confronto delle informazioni attinte all’a-nalisi di altre classi ceramiche, specialmen-te di quelle che hanno garantito il trasporto delle derrate alimentari, le quali rappre-sentano la parte principale del carico nelle navi. Quest’analisi si basa principalmente sui dati crono-tipologici ricavati dal ma-teriale archeologico documentato durante gli scavi sistematici e di emergenza con-dotti a Durazzo. Le limitate informazioni stratigrafiche disponibili non hanno reso possibile la definizione cronologica della originaria attestazione ovvero della defini-tiva scomparsa dalla circolazione dei tipi specifici dei vasi in esame, tranne che par-zialmente per il V e VI sec. d.C.: in queste condizioni, per le definizioni cronologiche relative alla rimannete parte del materiale indicato si è fatto riferimento al periodo di circolazione dei tipi di vasi documentato in altri centri del Mediterraneo, per i quali sono disponibili dati certi.

Allo stato attuale della ricerca, va segnalato che lo studio delle produzioni ceramiche fini a vernice rossa importate solo negli ultimi decenni ha cominciato a rientrare nell’ambito di indagini approfondite, per il periodo in questione. Anche se la presen-za delle manifatture in terra sigillata è stata rilevata già dal primo quarto dello scorso

9 Lahi 2009, 129-130.10 Shehi 2003, 209-220.11 Shkodra 2006, 436-444, figg. 6-9.12 Eadem, 431-436, fig. 2-5; 2008.13 Hayes 2005, 12.14 Pirenne 1970, 215; Hodges, Whitehouse 1983, 23-33.15 Shkodra 2011, 592-597.

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importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

secolo16, sono a lungo mancati studi appro-fonditi, perché i ricercatori si sono limitati a farne cenno nei loro lavori17. Solo dall’ul-timo decennio del XX secolo, si è registrato un vivace interesse che ha determinato la definizione di informazioni più dettaglia-te18: in generale, i vasi di questa classe sono stati apprezzati nell’ottica della presenta-zione degli elementi cristiani che vi reca-vano le rappresentazioni e le decorazioni impresse19. Negli ultimi anni, la ceramica fine è diventata tuttavia oggetto di due stu-di – condotti nell’ambito di attività di dot-torato di ricerca – che ne hanno analizzato tipologicamente e cronologicamente le im-portazioni a Durazzo20 e si sono basati in primis su informazioni provenienti sia dagli scavi archeologici di emergenza sia dai po-chi interventi stratigrafici, legati a contesti di V e VI secolo, impostati nell’area del foro circolare e dell’anfiteatro21.Per quanto riguarda le dinamiche di svilup-po delle importazioni, la presentazione del materiale è stata condotta per ambiti cro-nologici: questo criterio ha consentito di isolare singoli periodi, nei quali si è potu-to registrare il dominio del mercato locale da parte di un gruppo specifico di vasi a vernice rossa; per una parte di materiale – riferita, come già indicato, al ‘periodo IV’, – è stato altresì possibile prendere in con-siderazione anche i dati attinti al contesto stratigrafico documentato.

Per quanto riguarda il ‘periodo I’ (metà II-metà I sec. a.C.), le prime produzioni di ceramica fine a vernice rossa attestate a Durazzo appartengono alla terra sigillata orientale A e si caratterizzano principal-mente per la modesta quantità importata durante un lungo periodo di tempo – dal-la metà del II sec. a.C. fino al I sec. d.C. –22. Tuttavia la scoperta di un solo tipo, il piatto ESA Atlante 2 (fig. 2.1), costringe ad assumere con qualche riserva l’ipotesi che l’inizio del periodo d’uso del tipo possa

definire anche la originaria datazione della presenza di questa classe nella città. Per-tanto si rimanda a future indagini archeo-logiche il compito di verificare se l’impor-tazione di ESA possa datarsi, o meno, agli anni 150-120 a.C.23.Alla fine del II sec. a.C., al repertorio dei piatti in ESA si aggiungono i tipi Atlante 3A (fig. 2.2) e Atlante 4A (fig. 2.3). Mentre il primo tipo ha breve durata, il secondo registra un periodo d’utilizzo più lungo24. Comunque, anche se in piccole quantità e

16 Rey 1925, 18-19, 24, fig. 18.17 Tartari 1971, 107-110, fig. 1.1, 5-6; 1983, 87, fig. 3.8; 1985, 87; Myrto 1984, 148; 1987, 250; Tartari, Myrto

1988, 260-262, fig. 5.1-6; Zeqo 1988, 258-260.18 Tartari 1996, 86; Hoti, Metalla, Shehi 2004, 139-172; Tartari 2004, 32, fig. XXXVIII.78; Tartari, Shehi 2006,

247-256.19 Hoti 1996, 174, ntt. 8, 9.20 Shehi 2010; Shkodra 2011.21 Shkodra 2006, 431-436; Hoti et alii 2008, 382-394; Shkodra 2008, 19-23; 2011, 215-221.22 Shehi 2010, 289-292.23 Secondo la datazione più antica del tipo: così Atlante II 1985, 14.24 Per le datazioni, Atlante II 1985, 14-16.

Fig. 2. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana.

Campionatura delle manifatture fittili: ESA

Atlante 2 (1); ESA Atlante 3A (2); ESA Atlante 4A (3);

ESA Atlante 3B (4); ESA Atlante 4B (5); Conspectus

10 (6); Conspectus 20.1 (7); Conspectus 22 (8);

Conspectus 18 (9); Conspectus R16 (10).

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con lunghi periodi d’utilizzo – specialmen-te per l’Atlante 4A –, in questo periodo ab-biamo una chiara presenza dei manufatti in ESA, tra i quali risultano preferiti i piatti25.

Per quanto riguarda il ‘periodo II’ (metà I sec. a.C.-metà I sec. d.C.), i primi lustri di questo torno di tempo segnano grandi cambiamenti nel mercato locale: mentre le sigillate orientali conoscono un pur leggero aumento, le importazioni di terra sigillata italica diventano preponderanti e – aspetto di sicuro rilievo – si impongono, con enor-mi quantità di oggetti, in un periodo di tempo relativamente breve, compreso tra il 40-30 a.C. e il 50-70 d.C.. La originaria

comparsa delle sigillate italiche comincia dunque negli anni 40 del I sec. a.C., ma in quantità talmente limitate che non possia-mo dire se la loro presenza è il risultato di un commercio diretto oppure l’esito di al-tre motivazioni e dinamiche.Tuttavia dal decennio successivo, e per tut-ta l’età augustea, la presenza delle sigilla-te orientali A giunge ai livelli più alti nel mercato locale, con il picco raggiunto nel primo decennio del I sec. d.C., e continua su queste quantità almeno fino all’inizio del principato di Tiberio26. Al repertorio dei tipi già censiti si aggiungono l’Atlante 3B e 4B27 (fig. 2.4-5): rispetto alle altre forme continua peraltro la prevalenza dei piatti, tra cui l’Atlante 3 registra il più grande nu-mero di attestazioni.Nello stesso periodo, l’importazione della terra sigillata italica evidenzia un cambia-mento notevole, con l’aumento improvvi-so delle importazioni, per lo più piatti, un po’ meno coppe, raramente calici: i tipi più comuni tra i piatti sono quelli Conspectus 10 e 20.128 (fig. 2.6-7), tra le coppe quelle Conspectus 2229 (fig. 2.8).L’aumento delle importazioni continua anche durante l’ultimo decennio del I sec. a.C., computando il doppio dei tipi italici attestati. L’aumento più solido riguarda an-cora i piatti, ma il tipo principale diviene ora il Conspectus 1830 (fig. 2.9). Al contrario, le coppe diminuiscono e i calici (fig. 2.10) le rimpiazzano per consistenza, secondi solo ai piatti. Il passaggio al I sec. d.C. consoce la continua crescita delle sigillate italiche, ma con un ritmo meno sostenuto rispetto a quello del decennio precedente, con piatti sempre preferiti a calici e coppe.Il primo decennio d.C. mostra tuttavia una leggera – e, allo stato attuale, inspiegabile – diminuzione di terra sigillata italica, in un periodo che pure ne registra l’aumento nell’intero bacino mediterraneo. Le prefe-renze, tra le forme, vengono accordate ai piatti, tra cui si riscontrano i ‘nuovi’ tipi Conspectus 12 e 21.131 (fig. 3.11-12).All’inizio del I sec. d.C., il mercato di Du-razzo registra altre due manifatture orien-tali: la terra sigillata orientale B (ESB) e la

25 Shehi 2010, 289-292.26 Idem, tab. 138.27 Atlante II 1985, 14-16.28 Conspectus 1990, 68-69, 86-87.29 Iidem, 90-91.30 Iidem, 82-83.31 Iidem, 72-73, 88-89.

Fig. 3. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana. Campionatura delle manifatture fittili: Conspectus 12 (11); Conspectus 21.1 (12); ESB Atlante 18 (13); ESB Atlante 29 (14); ESA Atlante 28 (15); ESA Atlante 30 (16); ESA Atlante 46 (17); ESA Atlante 47 (18); Conspectus 4.6 (19); Conspectus 20 (20); Conspectus 26 (21); Conspectus 27 (22); Conspectus 36 (23); Conspectus 34 (24).

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ceramica ‘di Çandarli’. In questo periodo, e fino alla metà del secolo, le quantità sono poco consistenti: questi vasi erano parte occasionale dei carichi delle navi prove-nienti dall’Asia minore. In questi anni, le ESB risultano presenti con i piatti Atlante 1832 (fig. 3.13) e le coppe Atlante 2933 (fig. 3.14), in numero limitato.Dal periodo di Tiberio, i livelli della ESA tendono a diminuire: diversi tipi afferma-tisi in precedenza non sono più utilizzati, mentre entrano nel mercato poche quanti-tà di piatti Atlante 28, 30 (fig. 3.15-16) e 38, nonché le coppe Atlante 46 (fig. 3.17) e le tazze Atlante 4734 (fig. 3.18): la maggior quantità dei frammenti raccolti appartiene proprio alla forma Atlante 47, che vanta anche il più lungo periodo d’utilizzo, esteso fino al sesto decennio del I sec. d.C.35.Totalmente differente si presenta, nello stesso periodo, la situazione nota per le sigillate italiche. Durante il principato di Tiberio, e fino alla metà del I sec. d.C., le importazioni italiche raggiungono i livelli più alti: il picco si registra durante gli anni 20-30 d.C., con quantità che superano ogni indice di presenza mai stabilito prima o dopo. Questo incremento si evidenzia e sostiene mediante la crescente diversità dei tipi di piatti importati: più numerosi sono quelli Cospectus 4.6 (fig. 3.19), 18, 20.3-20.536 (fig. 3.20), mentre i calici si avviano a sparire e cresce il numero delle coppe, spe-cialmente le Conspectus 22, 26 (fig. 3.21), 27, 36 (fig. 2.22-23), di meno le Conspectus 32, 3437 (fig. 3.24) e 37.I marchi di fabbrica costituiscono un’altra fonte di informazioni di inestimabile valore storico, cronologico, geografico. A Duraz-zo abbiamo 11 bolli su terra sigillata italica già editi38 e 24 nuovi: tra questi 26 sono leg-gibili, mentre gli altri risultano parzialmen-te preservati ovevro non leggibili; 15 sono

bolli rettangolari, 12 in planta pedis – tra cui 6 in planta pedis destrorum –, 2 sono ellittici. Tra i bolli leggibili, due apparten-gono a L. Avillivs; 2 a L. Tettius – uno le-gato allo schiavo Samia, l’altro allo schiavo Manophilus; 1 appartiene a Rasinius legato allo schiavo Celer. Ciascuno degli altri bolli sembra un hapax. I più antichi marchi di fabbrica censiti sono quattro: Memmius, originario di Arezzo, datato al 20 a.C.-10 d.C.39; L. Tettius Samia, originario di Arez-zo, datato al 20 a.C.-5 d.C.40; L. Umbricius, originario di Arezzo, datato al 20 a.C.-50 d.C.41; Avillius, di origine indeterminata, datato al 20 a.C.-40 d.C.42.Conviene peraltro sottolineare che nel se-condo decennio del I sec. d.C., entrano nel mercato locale le sigillate galliche, all’inizio documentate solo dalle produzioni con decorazioni a rilievo: le quantità sono mo-deste, ma tendono ad aumentare gradual-mente. In questo periodo, il principale tipo importato è il Dragendorff 29B43 (fig. 4.25).

Per quanto riguarda il ‘periodo III’ (secon-da metà I-fine II sec. d.C.), nei primi lustri si prolunga la presenza della ESA, benché secondo quantità minime e, per di più, identificate per la longevità dei tipi prece-denti – Atlante 3, 28, 30, 38, 47 –.Simili dinamiche iniziano a coinvolge-re anche la terra sigillata italica, la quale procede verso una continua diminuzione: mentre per gli anni 40-60 d.C. il numero degli oggetti si mantiene più o meno su va-lori importanti, a partire dal 70 d.C. circa la quantità sembra diminuire in modo sensi-bile e peraltro si giunge a un bilanciamento tra piatti e coppe. Alla fine del secolo sono presenti solo le forme tarde, principalmen-te coppe e piatti profondi44 (fig. 4.26).Dalla seconda metà del I sec. d.C., si assiste alla diminuzione della ESA e delle sigilla-

32 Atlante II 1985, 56-57.33 Iidem, 59.34 Iidem, 27-28, 31-32, 34-36.35 Ibidem.36 Conspectus 1990, 58-59, 82-83, 86-87.37 Iidem, 90-91, 98-101, 108-110, 112, 116-117. 38 Tartari, Shehi 2006, 247-256.39 OCK 2000, 278, n. 1137.40 Iidem, 428, n. 2109.41 Iidem, 491, n. 2452.42 Iidem, 152, n. 371.43 Dragendorff 1895, 132, tab. II.29.44 Le tipologie tardoitaliche non sono state definite all’interno di una tassonomia tipologica: per questi oggetti

rinvenuti a Durazzo si rimanda a Shehi 2010, 203-206.

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Ceramica romana nella Puglia adriatica

te italiche, che vengono rimpiazzate dalla ESB, caratterizzata da crescita rapida e da attestazione più ampia rispetto a quella delle altre due produzioni messe insieme. Le forme principali rimandano per lo più a tazze, con quantità doppia rispetto ai piatti, mentre le coppe sono poche. La maggior parte delle tazze è rappresentata dall’Atlan-te 8045 (fig. 4.27), quindi dalla forma Atlan-te 76 (fig. 4.28) – con due tipi –46, e 7547 (fig. 4.29); meno numerose le tazze Atlante 72-7348. Una parte di questi manufatti ha un periodo d’uso che continua anche nel

successivo ‘periodo IV’ – si veda infra –. I piatti più numerosi appartengono alla for-ma Atlante 60 – nel totale dei frammenti essi sono secondi solo all’Atlante 70 – (fig. 4.30), quindi all’Atlante 62 (fig. 4.31); in questo periodo sono registrati pure i piatti Atlante 59 e 6349 (fig. 4.32-33), le tazze At-lante 71 e 7450 (fig. 4.34-35): le coppe sono rappresentate solo dall’Atlante 70, con i tipi A e B51 (fig. 5.36).Le forme delle sigillate ‘di Çandarli’ sono in numero limitato: abbiamo coppe Loe-schcke 15, tazze Loeschcke 19, piatti Lo-eschcke 2652.Durante la seconda metà del I sec. d.C., si arriva al massimo utilizzo delle sigillate galliche: si riscontra un intreccio nell’u-tilizzo delle tazze Dragendorff 29B e 3753 (fig. 5.37), ma con una breve durata, poiché segue una repentina diminuizione alla fine del I secolo: solo un bollo è chiaramente leggibile e appartiene a due vasai, Verecun-dus e Aquitanus, che hanno svolto la loro attività durante il principato di Tiberio, fino agli anni Settanta54.Nel passaggio dal primo quarto al secondo quarto del II sec. d.C., anche se le quantità della ESB continuano a essere importan-ti, se ne registra la forte diminuzione, che tocca il punto più basso nel passaggio dal secondo al terzo quarto del secolo: poi la classe riprende a crescere, ma non più se-condo le quantità precedenti. Questa dimi-nuzione è il risultato del blocco nell’impor-tazione di diverse forme, quali le Atlante 59, 62, 63, 71, 74, 75: continuano a domi-nare le tazze, ma il rapporto quantitativo con i piatti è meno accentuato. Le coppe sono in numero limitato. Le tazze sono per lo più relative a forme che perdurano dal periodo precedente, ma anche versioni tar-de dell’Atlante 80 e 79 (fig. 5.38). I piatti identificano per lo più produzioni standard e tarde dell’Atlante 60, benché pure siano attestati a un tempo quelli Atlante 62 e 63.La seconda metà del II secolo denuncia la diminuzione continua della produzione

Fig. 4. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana. Campionatura delle manifatture fittili: sigillata gallica Dragendorff 29B (25); sigillata tardoitalica (26); ESB Atlante 80 (27); ESB Atlante 76 (28); ESB Atlante 75 (29); ESB Atlante 60 (30); ESB Atlante 62 (31); ESB Atlante 59 (32); ESB Atlante 63 (33); ESB Atlante 71 (34); ESB Atlante 75 (35).

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45 Atlante II 1985, 69-70.46 Iidem, 68-69.47 Iidem, 68.48 Iidem, 67-68.49 Iidem, 63-65.50 Iidem, 67-68.51 Iidem, 66-67.52 Iidem, 76-77.53 Dragendorff 1895, 132, 146, 154, tab. II.29, III.3754 Polak 2000, 347, 169.

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importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

in ESB – fino peraltro alla sua sparizione dal mercato locale –, attestata peraltro da forme sporadiche e ‘casuali’, forse da in-tendersi quale parte complementare delle altre produzioni fini da mensa. Le tipologie principali importate sono due: le varianti tarde dei piatti Atlante 60 e le tazze Atlante 75, in quantità simili.Le produzioni orientali ‘di Çandarli’ hanno continuato a essere presenti durante questo tempo, ma in piccole quantità: per lo più si tratta di forme che risalgono al periodo precedente – Loeschcke 19 e 26 –, cui si affianca la ‘nuova’ tazza Hayes 155.Con la organizzazione del nuovo, grande centro produttivo dell’impero romano, nel

corso del I sec. d.C., nell’Africa settentrio-nale, si insinua un sensibile cambiamento anche nelle caratteristiche delle importazio-ni note a Durazzo. La ricca tipologia della terra sigillata africana mostra che è attestata l’intera manifattura destinata all’esportazio-ne prodotta nella Tunisia settentrionale – ARSW A, D1, D2 –56 e nella Tunisia centrale – ARSW A/D, C –57. Con molta probabili-tà, dal II secolo, queste produzioni arrivano nel porto di Durazzo in qualità e quantità considerevoli: si tratta in generale, per le forme principali, delle produzioni ARSW A, Hayes 3, 6, 8, 9, 14, 27 (fig. 5.39-40; fig. 6.41-44), tra le quali spicca il rinvenimento frequente delle tazze Hayes 8 e 958.

Fig. 5. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana. Campionatura delle manifatture fittili: ESB Atlante 70 (36); sigillata gallica Dragendorf 37 (37); ESB Atlante 79 (38); ARSW Hayes 3C (39); ARSW Hayes 8A (40).

Fig. 6. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana.

Campionatura delle manifatture fittili: ARSW

Hayes 9A (41); ARSW Hayes 6 (42); ARSW Hayes

14B (43); ARSW Hayes 27 (44); ARSW Hayes 31

(45); ARSW Hayes 32 (46); ARSW Hayes 32/58 (47);

ARSW Hayes 45A (48); ARSW Hayes 50B (49);

ARSW Hayes 57 (50).

55 Hayes 1972, 18, fig. 2.56 Mackensen 1998a, 30-37; Mackensen, Schneider 2002, 128; Bonifay 2004, 49, ‘atelier X’, fig. 22; Bonifay,

Dridi, Jacquest 2004, 233-234.57 Mackensen 1998a, 30; Mackensen, Schneider 2002, 131-134, 141-142, 151-155, Table 6; Bonifay et alii 2002-

2003, 137; Bonifay 2004, 51; Mackensen, Schneider 2006, 173-174, 180. 58 Hayes 1972, rispettivamente 21, fig. 2; 29, fig. 3; 33-37, fig. 4; 39, fig. 6; 49-51, fig. 8.

36 43

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cm

0 5

cm

342

Ceramica romana nella Puglia adriatica

Per quanto attiene al ‘periodo IV’ (inizi III-IV sec. d.C.), un contesto datato al III-IV sec. d.C. documentato nel bastione SE delle fortificazioni urbiche (Bas.02/b-4)59 testimonia la fase più antica di attestazio-ne delle produzioni africane – ARSW A –, che qui registra tuttavia pochi frammenti: l’unica forma identificata è il piatto Hayes 27 (fig. 6.44). Gli esemplari relativi alle produzioni ARSW A/D e ARSW C, rispet-tivamente i piatti Hayes 32 (fig. 6.46) ac-compagnati da quelli Hayes 44, 50A e 57 (fig. 6.50), contribuiscono a documentare il cambiamento delle caratteristiche delle importazioni africane a Durazzo: oramai è chiaro il dominio delle produzioni della Tunisia centrale in confronto a quelle della Tunisia settentrionale.Tranne che nel bastione SE, il piatto Ha-yes 50A sembra essere la forma più co-mune della produzione C tra il materiale ceramico dello scavo condotto nel 2005 nel foro circolare60. I raffinati piatti Hayes 45 (fig. 6.48), con decorazione nella parte superiore del labbro, rinvenuti negli sca-vi di emergenza nel centro della città61, si aggiungono agli esemplari rappresentativi della produzione C a Durazzo: il tipo che precede l’Hayes 50, il piatto Hayes 31 (fig. 6.45), è un’altra forma rappresentativa del-la produzione della Tunisia centrale (pro-duzione A/D)62. Un frammento del fondo di un esemplare di questa forma è stato do-cumentato quale residuo nel deposito della seconda metà del V secolo nell’area dell’an-fiteatro63, e anche negli scavi di emergenza condotti dietro l’edificio del Comune64.

Per quanto attiene al ‘periodo V’ (fine IV-prima metà V sec. d.C.), i dati disponibili

non provengono da contesti indagati stra-tigraficamente65. Indipendentemente dallo stato di conservazione assai frammentario dei materiali, è evidente che la produzio-ne D della Tunisia settentrionale segna le importazioni più comuni nei contesti di questo periodo. Le tipologie topiche della seconda metà del IV secolo e della prima metà del successivo – Hayes 50B (fig. 6.49), Hayes 91A e 91B (fig. 7.56), Hayes 61A (fig. 7.51)66 – sembra siano comuni negli scavi condotti in città. Una delle forme meglio riscontrate è il piatto semplice, non decora-to, Hayes 50B, prodotto nel centro di Sidi Marzouk Tounsi67. La presenza di questo tipo è testimoniata in diverse aree della cit-tà68. Mentre il piatto Hayes 61A, prodotto nelle officine della regione di Tebourabas69, e la tazza con labbro estroflesso Hayes 91A e 91B, forme standard della produzione D2 di oudhna70, provengono dal materiale di scavi di emergenza71.D’altro canto si registra un numero più limitato dei manufatti della produzione ARSW C della Tunisia centrale: abbiamo potuto isolare due tipi con decorazione a rilievo, le tazze Hayes 52B72 (fig. 7.54) e Hayes 53A73, entrambe, con molta proba-bilità, della produzione fine C3 delle offici-ne di Sidi Marzouk Tounsi74.

Per quanto attiene al ‘periodo VI’ (secon-da metà V sec. d.C.), a Durazzo esso segna l’importazione di diversi nuovi tipi della produzione della Tunisia settentrionale e la prima identificazione della produzio-ne focese (PRSW). La convivenza dei tipi Hayes 87A, 67 e 50B/64, della produzione ARSW D, con il tipo Hayes 3C (fig. 8.71), di produzione focese, in un deposito docu-

59 Shkodra 2011, 49-51, 200-208.60 Eadem, 395, fig. 65.61 Shehi 2007b.62 Hayes 1972, 52-53, fig. 9.63 Shkodra 2011, contesto ‘Amf. 2007/706’, 389-391, fig. 65.228.64 Hoti, Metalla, Shehi 2004, 150-151.65 Shkodra 2011, 208-211.66 Mackensen, Schneider 2002, 125-134.67 Iidem, 132.68 Shkodra 2011, 360-362, fig. 58.69 Mackensen, Schneider 2002, 125.70 Iidem, 128; Bonifay 2004, 179.71 Shkodra 2011, 368, fig. 60, 635-636.72 Hoti, Metalla, Shehi 2004, 146, fig. VII.5.73 La sua presenza è testimoniata nel foro circolare (Hoti et alii 2008, 393, fig. 12.21) e nell’anfiteatro (manu-

fatto esposto nel Museo Archeologico di Durazzo).74 Mackensen, Schneider 2002, 132, fig. 5.3, 6.

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importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

Fig. 7. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana.

Campionatura delle manifatture fittili: ARSW

Hayes 61A (51); ARSW Hayes 67C (52); ARSW Hayes 87C (53); ARSW Hayes 52B (54); ARSW Hayes 89B (55); ARSW Hayes 91C (56); ARSW Hayes 93B (57); ARSW

Hayes 97 (58); ARSW Hayes 98B (59); ARSW

Hayes 87/109 (60); ARSW Hayes 99B (61); ARSW

Hayes 101 (62).

mentato nell’area dell’anfiteatro romano75, costituisce elemento determinante per la cronologia di tale deposito da fissare agli anni 450-480 d.C., nonché testimonianza della presenza di nuove tipologie di cera-mica fine da mensa africana a Durazzo.Un altro elemento topico di questo periodo è il piatto Hayes 61B, prodotto in quantità considerevole dalla metà del IV fino alla metà del V secolo, principalmente nelle officine della produzione D2 a Sidi Khali-fa76. Le versioni tarde di questo tipo sono documentate fino alla fine del V secolo77. La presenza di questo tipo, accompagnato dalla tazza focea Hayes 3E (fig. 8.69), ha reso possibile la datazione del deposito connesso con la costruzione del foro cir-colare a Durazzo nell’ultimo quarto del V-inizî del VI secolo78. I dati degli scavi di emergenza testimoniano l’individuazione di questo tipo accompagnato dalla varian-te precedente Hayes 61A79. Il piatto Hayes 67 (fig. 7.52) è un’altra forma presente nei contesti della seconda metà del V seco-lo80. La variante classica della produzione ARSW D, il piatto Hayes 87C (fig. 7. 53), è attestata alla fine del V secolo, come do-cumenta la sua presenza in un deposito del pozzetto del foro circolare81. Questa variante è tipologicamente assimilabile ai manufatti presenti nei depositi legati alla ri-costruzione del foro circolare – nel periodo 500-530 d.C. –82. Sulla base delle caratteri-stiche morfologiche, esistono differenze tra questa variante e gli esemplari individuati nei contesti del periodo protobizantino (530-565)83, sicché è plausibile pensare al restringimento del periodo di attestazione della variante classica Hayes 87C a Duraz-zo nel lasso temporale compreso tra la fine del V secolo e il 530.Per la seconda metà del V secolo, pure conviene menzionare la mancanza dei tipi comuni della produzione ARSW C del-la Tunisia centrale: le produzioni topiche di questo periodo, i piatti con una o due rotellature nella parte esteriore del corpo,

Hayes 82, 83 e, specialmente, 84, prodotti fino al primo quarto del VI secolo, allo sta-to attuale non risultano identificati.La seconda metà del V secolo coincide dunque col periodo della originaria iden-tificazione della presenza della produzio-ne PRSW, in mancanza di dati definitivi per il periodo precedente. La forma topi-ca di questa produzione risulta la Hayes 3, con due varianti, Hayes 3C e 3E. Gli ultimi dati cronologici dall’agorà di Ate-ne e dagli insediamenti ‘foederati’ a Iatrus

75 Shkodra 2011, contesto ‘Amf. 2007/706’, 215-216.76 Mackensen 1993, 32-33; 2004, 126.77 Bonifay 2004, 171.78 Shkodra 2006, 264-265, fig. 4a.31, 33; Hoti et alii 2008, 393, fig. 12.1, 2.79 Shkodra 2011, 362-365, fig. 59.632, 126, 633.80 Hayes 1972, 115; Bonifay 2004, 171, type 41, variant C, fig. 92.8.81 Shkodra 2011, contesto ‘M-F.03/puseta’, 223.82 Eadem, contesto ‘M-F.00/115, 106=108’, 231-235.83 Eadem, contesto ‘M-F.00/305’, 240-242, 371-374, fig. 61.

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Ceramica romana nella Puglia adriatica

(Bulgaria) hanno testimoniato l’inizio dell’esportazione di queste due versioni dopo il 450 d.C.84.

Per quanto riguarda il ‘periodo VII’ (VI sec. d.C.), i dati cronologici acquisiti dai depositi periferici del foro circolare sono indicativi per riuscire a capire la consisten-za delle importazioni di ceramica fine a Du-razzo durante il VI secolo. L’identificazione delle discontinuità cronologiche all’interno di questi depositi ha reso possibile isolare diverse fasi e operare la definizione di ele-

menti tipologici risolutivi per Dyrrachium all’inizio del VI secolo (500-530 d.C. - pri-ma fase), nonché di caratteristiche attribu-ibili al periodo protobizantino (530-565 d.C. ? - seconda fase) e al periodo po-stgiustinianeo (565-600 d.C. - terza fase)85. Nel totale dei prodotti di ceramica fine da mensa importata, è stato notato che i vasi della produzione ARSW D, importati da El Mahrine e oudhna, sono i prodotti princi-pali documentati.La fase cronologica individuata all’inizio del VI secolo (500-530 d.C. ?) sembra do-cumentare la massima presenza di vasi fini africani a Durazzo, nonché la loro maggiore variazione tipologica86. L’identificazione di diverse tipologie, Hayes 87, Hayes 79/93, Hayes 99B (fig. 7.61), Hayes 93B (fig. 7.57), Bonifay 3587 e Fulford 40.488, descrive una plausibile ripresa delle esportazioni africane all’inizio del VI secolo89. Il piatto Hayes 87, presente con le varianti B e B/C, è l’elemen-to distintivo di questa fase, ma pure rilevan-te è la prima attestazione del piatto Hayes 104A. La mancanza di questo tipo nei con-testi delle due fasi cronologiche seguenti si può considerare quale indicazione crono-tipologica dirimente, al fine di delimitare pure la fine del ‘periodo’ qui considerato.La diversificazione delle importazioni afri-cane di questo momento viene completa-ta anche con prodotti delle officine della Tunisia centrale: così per il grande piatto ARSW C5, Hayes 89B (fig. 7.55), con mol-ta probabilità appartenente alle produzioni di Sidi Marzouk Tounsi90.La presenza dei vasi fini in PRSW nei con-testi di questa fase assume un ruolo secon-dario in comparazione con i prodotti in ARSW. Un esemplare Hayes 3E – manu-fatto caratteristico distintivo dei depositi precedenti legati alla costruzione del foro circolare – è considerato quale importante elemento cronologico per avvicinare la da-tazione di questa fase all’inizio del VI seco-lo. Le informazioni raccolte dalle sequenze stratigrafiche più recenti di Iatrus (Bulga-ria) documentano la datazione di questa variante agli anni 490-520 d.C.91.

84 Hayes 2008, 88; Conrad 2007, 225-226, 229.85 Shkodra 2011, 229- 256, grafico 27/f.231.86 Il totale degli essemplari è 23, quello dei tipi 15: Shkodra 2011, 549-550, fig. 104.87 Bonifay 2004, 166-167, type 35, fig. 92.88 Fulford 1984, 63.89 Reynolds 1995, 30-31, 112-116; Tortorella 1998, 50; Reynolds 2004, 239-240.90 Mackensen, Schneider 2002, 134, fig. 6.10-12.91 Conrad 2007, 229, fig. 23, n. 1232: periodo D1 dell’insediamento.

Fig. 8. Durazzo, cantieri di scavo in area urbana. Campionatura delle manifatture fittili: ARSW Hayes 104A (63); ARSW Hayes 105A (64-65); ARSW Hayes 107 (66); ARSW Hayes 108 (67); ARSW Hayes 109 (68); PRSW Hayes 3E (69); PRSW Hayes 3H (70); PRSW Hayes 3C (71); PRSW Hayes 3F (72); PRSW Hayes 3G (73); PRSW Hayes 10 (74).

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importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

92 Shkodra 2011, 549-550, fig.104.93 Eadem, 242, tab. LX.570.94 Eadem, 410, tab. LXI.582.95 La consistenza della tassonomia tipologica attestata diminuisce da 15 tipi, nella prima fase qui considerata, a

9, nella seconda fase, e poi ancora a 6 tipi, nella terza: Shkodra 2011, 549-550, fig. 104.96 Nell’agorà di Atene la datazione di questa fase di svilupo tecnologico del tipo Hayes 104, variante B, è stata

condotta di recente sulla base della documentazione numismaticha e ancorata al periodo 580-585 d.C.: Ha-yes 2008, 81, n. 1160.

97 Shkodra 2011, 248, fig. XLVI.420.98 Mackensen 1998a, 33-39.99 Hayes 2008, 86, 88, 242.100 Idem 1972, 342.101 Hoti et alii 2008, 379, fig. 6; Shkodra 2011, 87, 253-256.

La seconda fase cronologica (530-565 d.C. ?), che corrisponde agli anni della ricon-quista bizantina dell’Africa, non sembra sia stata accompagnata da cambiamen-ti di profilo tipologico nella natura delle importazioni di ceramica fine africana a Durazzo. Quello che si nota è la continu-ità delle importazioni ovvero l’utilizzo dei tipi attestati già nelle fasi precedenti – che corrispondono al periodo tardovandalo –, nonché un numero più limitato di va-rianti92. Elemento distintivo di questa fase cronologica è l’evoluzione tipologica della tazza Hayes 91 (fig. 7.56), nella variante classica C, e Atlante XLIX, 10. Lo stes-so fenomeno – l’evoluzione all’interno di un tipo – si può verificare anche nel caso dell’identificazione di una variante pecu-liare del piatto Hayes 87C93, caratteristica solo di questa fase cronologica. Comun-que questo periodo documenta anche il sensibile cambiamento tipologico denun-ciato dalla ‘forma’ Hayes 104 (fig. 8.63), della quale la variante C è una tazza e non più un piatto come nella variante A, pre-sente durante la fase precedente ancorata all’inizio del VI secolo. Le tazze Hayes 95 e 98B (fig. 7.59) sono individui topici di questa fase.I vasi di produzione focese continuano ad avere un ruolo secondario nelle importa-zioni in città di ceramica fine da mensa, attenstandosi per quantità dietro quelle africane. In questa fase, questo gruppo è rappresentato dalla versione F della forma Hayes 3 (fig. 8.72), lo sviluppo tipologico del quale si nota nella riduzione dell’altezza del labbro e nell’estroflessione più accen-nata all’esterno. La forma Hayes 9 è identi-ficata da un frammento di fondo94.Durante la terza fase cronologica (565-600 d.C.), i vasi africani da mensa continuano a essere il gruppo più importante delle im-portazioni fini, anche se si documenta una

riduzione sensibile dei tipi rappresentati rispetto al periodo precedente95. In riferi-mento agli esemplari identificati emerge l’importante presenza della tazza Hayes 99B (fig. 7.61) e 99C, la mancanza oppure la presenza della quale, come residuo nei de-positi delle due fasi cronologiche preceden-ti, hanno imposto la distinzione della terza fase cronologica. Simile valenza, in ordine alle questioni cronologiche, assume per questa fase anche il piatto Hayes 104B96, che si documenta solamente in questo con-testo, assieme alla tazza Hayes 104C97.Per questa fase si nota altresì che, in termi-ni quantitativi, un’alta percentuale di indi-vidui proviene dalle manifatture degli anni 575/670-fine VII sec. d.C., quando fu riat-tivata la produzione nei centri della Tunisia centrale – tipi Hayes 99C, 107, 108 –98, le quali assumono un ruolo poco importante nei contesti delle due fasi precedenti.Negli esemplari di PRSW si nota la co-esistenza delle diverse varianti del tipo Hayes 3F, 3G, 3H (fig. 8.72-73, 70), to-piche durante gli anni 520-550 d.C.99. Alla stessa produzione appartiene anche il piatto Hayes 9, per cui è stato propo-sto il periodo 520-600 d.C. quale ambito cronologico plausibile per la produzione e l’esportazione100.

Per quanto riguarda il ‘periodo VIII’ (pri-ma metà VII sec. d.C.), le informazioni provengono dai depositi documentati nell’area del colonato del foro circolare101. Sulla base del materiale raccolto nel 1999, principalmente dal ‘corridoio’ del monu-mento102, si evince la costante quantità di ceramica fine africana attestata rispetto ai dati disponibili per il periodo precedente. Il tipo più comune sembra il grande piatto Hayes 105 (fig. 8.64-65), secondo diverse varianti. Sono identificati anche altri manu-fatti legati all’ultima fase delle consistenti

346

Ceramica romana nella Puglia adriatica

produzioni, destinate all’esportazione, dei centri africani – a partire dal 575 d.C. –103, quali le forme Hayes 109 (fig. 8.68), Hayes 101 (fig. 7.62), Hayes 107 (fig. 8.66), Hayes 108 (fig. 8.67).

La produzione focese è rappresentata in questo periodo dalla forma Hayes 10 (fig. 8.74), che chiude la produzione destinata all’esportazione di questa manifattura fine da mensa104.

I dati tipologici e cronologici sopra in-dicati consentono di identificare le ca-ratteristiche distintive della ceramica

fine da mensa di tradizione romana e, in parte, i meccanismi della sua circolazione a Durazzo.La presenza delle sigillate orientali A ha come caratteristica principale le minime quantità importate durante un lungo pe-riodo di tempo, che comincia alla metà del II sec. a.C. e prosegue fino alla fine del I sec. d.C.. Fino ad ora sono stati identifi-cati 9 tipi di vasi, con le varianti pertinen-ti: 6 piatti, 2 coppe, 1 tazza. Anche dalla quantità degli esemplari, i piatti dominano largamente: Atlante 3 e Atlante 4 i più uti-lizzati. Il dominio dei piatti, rispetto alle altre forme, si registra anche nelle città di Apollonia, Phoenice, Buthrotum: le diffe-renze si notano nella preferenza assegnata ai tipi specifici. A Dyrrachium si registrano quantità simili per le forme Atlante 3 e 4, mentre dominano le Atlante 3 a Lezhë, Apollonia, Phoenice e Buthrotum. Gli altri tipi sono attestati diversamente per ogni città, escludendo le forme Atlante 30, 25, 47105. La limitata quantità delle produzio-ni ESA ha portato alla documentazione di solo due bolli: uno a rosetta centrale, con cinque palmette intorno, l’altro di forma rettangolare, con lettere non leggibili.L’analisi della presenza di sigillate orientali A in diverse città della Grecia antica, elabo-rata da P. Bes e J. Poblome, offre dati inte-ressanti che possono essere comparati con i ritrovamenti di Durazzo. Nelle città con-siderate, le ESA si attestano su livelli mol-to bassi in confronto alle altre produzioni, come anche nel nostro caso. In Grecia, il punto più alto delle importazioni riguarda

gli anni intorno al 45 a.C.106, cui segue un indebolimento delle attestazioni107. Anche a Durazzo, il livello delle ESA conosce una crescita dalla seconda metà del I sec. a.C. e termina nel primo decennio del secolo seguente.Durante il periodo che registra le ESA qua-li uniche sigillate circolanti nel mercato lo-cale – metà II sec. a.C.-40/30 a.C. –, la linea principale dei rifornimenti seguiva la rotta da Meridione a Settentrione. Le merci pro-dotte nelle regioni dell’Asia minore è plau-sibile fossero parte dei carichi misti, stivate nei porti egei e destinate al viaggio orien-tato verso i porti dell’Illyria meridionale e forse anche oltre, verso la Dalmazia108. L’al-tra rotta, da oriente a occidente, mediata dalla via Egnatia – ovvero dalla strada che l’ha preceduta – dall’area di Salonicco in direzione della costa dell’Adriatico, sembra fosse meno utilizzata109.A partire dalla seconda metà del I sec. a.C., la situazione nel mercato locale cambia: sono ormai i prodotti italici quelli più ri-chiesti e anche meglio proposti nell’offerta commerciale generale. In questa produzio-ne i piatti costituiscono la forma più nume-rosa, con sei tipi identificati e un grande nu-mero di frammenti di tipo non identificato: il numero più grande dei frammenti appar-tiene alla forma Conspectus 18, seguito da quelli relativi alle forme Conspectus 20 e 4.Le coppe attestano i medesimi valori dei piatti in riferimento alla quantità totale individuata, tuttavia registrano sette tipi identificati e diversi frammenti di ardua attribuzione tipologica. Diversamente dai piatti, nelle coppe non si trova un unico tipo dominante: i più rappresentati sono quelle Conspectus 36, 22, 34.

102 La funzione di questo spazzio interno, tra il colonnato e gli ambiti periferici, si connette alla necessità di rendere agevoli il collegamento e lo spostamento tra gli ambienti del monumento: Hoti 1998, 271-272.

103 Mackensen 1998a, 33-39.104 Hayes 1972, 343-346.105 Shehi 2010, 290-291.106 Bes, Poblome 2006, 149, grafico 5.107 Iidem, 143, grafico 1.108 Shehi 2010, 318-319.109 Idem, 319.

347

importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

I calici restituiscono una piccola parte del totale dei frammenti scoperti, con cinque tipi definiti e diversi frammenti non chiara-mente identificati. L’utilizzo di questi vasi è per di più concentrato in uno stretto pe-riodo temporale, che va dalla fine del I sec. a.C. all’inizio del I sec. d.C..I bicchieri, le bottiglie e le tazze sono in quantità limitate sul totale dei manufatti fittili scoperti.Per quanto riguarda le sigillate italiche, la originaria presenza, dopo il 40 a.C., è simile a quella riscontrata per altre città dell’Alba-nia quali Scutari, Lezha, Apollonia, Buthro-tum, Dimale: si distingue Phoenice, dove la documentazione finora disponibile registra questa situazione per un periodo di poco successivo ancorandolo al passaggio dal terzo al quarto venticinquennio del I sec. a.C.. Peraltro il rapido aumento delle im-portazioni, a partire dagli anni Trenta del I sec. a.C., è simile in tutti centri indicati. Le differenze tra le diverse città si fanno nota-re dall’inizio del I sec. d.C., quando le città geograficamente vicine denunciano curve di crescita similari. Anche l’uscita dal mer-cato delle sigillate italiche cambia da una città all’altra, prolungandosi per l’intero II sec. d.C.110.Le attestazioni di piatti e coppe sono pro-porzionalmente simili nella gran parte delle città, pur con il chiaro dominio dei piatti, tranne che a Scutari, dove troviamo quan-tità paritarie, in termini assoluti. Differenze tra le città si notano nelle preferenze verso i diversi tipi. Mentre i piatti Conspectus 4 si presentano in diversi esemplari a Durazzo, in pochi esemplari sono stati individuati a Scutari e Buthrotum; il piatto Conspectus 10, per il momento, proviene solo da Du-razzo; il piatto Conspectus 12 si trova in limitate quantità; il tipo dominante tra i piatti a Durazzo è il Conspectus 18, che ri-sulta numeroso a Buthrotum, ma non come il tipo dominante, perché viene sorpassato

dal Conspectus 29, che a Durazzo si attesta al secondo posto. In questo senso Buthro-tum è simile alle città di Scutari e Phoenice, mentre a Apollonia i due tipi si attestano su valori simili111.Tra le coppe constatiamo una analogia nelle preferenze per i tipi Conspectus 22 nelle città di Scutari, Durazzo, Phoenice e Buthrotum: la forma preferita a Durazzo è la Conspectus 36 – che non è stata ancora rinventua in altre città –, a Buthrotum lo è la Conspectus 23, così come a Phoenice, mentre a Scutari domina la forma Conspec-tus 34, che si trova in numero ridotto nelle altre città112.I grafici elaborati per diverse città della vici-na Grecia aiutano a impostare chiare com-parazioni. A Corinto la maggiore presenza di sigillate italiche si registra negli ultimi tre lustri del I a.C.113, cui seguono un ridimen-sionamento nei successivi 15 anni e ulteriori altri due picchi di presenze nei periodi 30-45 e 75-90 d.C.114. A Argo, le importazioni ita-liche diventano considerevoli solo nei primi decenni del I sec. d.C.115. A Efeso, l’aumento si nota durante i primi due decenni del me-desimo secolo, con la massima presenza tra gli anni 10 e 20 d.C.116. A olimpia, la massi-ma crescita si attesta durante gli anni 30-40 d.C. e continua, su simili livelli, fino agli anni 90-100 d.C.117. Considerando in complesso la documentazione, in tutta la Grecia le si-gillate italiche presentano due massimi di attestazione: la prima negli anni 15-1 a.C. e la seconda negli anni 30-45 d.C.118. Que-ste informazioni sono parzialmente simili a quelle note per Durazzo. Come abbiamo già visto, la crescita delle importazioni comincia intorno al 30 a.C., ma il picco si raggiunge nell’ultimo decennio del I sec. a.C.; si nota anche una limitata diminuzione nel primo decennio del I sec. d.C., che poi lascia spa-zio a un altro incremento durante gli anni 20-30 d.C., dunque prima che il medesimo fenomeno si registri in Grecia.

110 Per la sigillata italicha a Scutari si rimanda a Lahi 2005-2006, 171-210; a Dimale, diversi tipi con bolli sono stati pubblicati in Dautaj 1994, 105-150; per una parziale publicazione delle sigillate da Phoenice si rimanda a Boschi 2003, 31-40; Gamberini 2007, 106-110; Shehi 2007, 157-166; per un confronto dettagliato fra la documentazione raccolta in questi centri si veda ora Shehi 2010, 292-297.

111 Per Scutari si rimanda a Lahi 2005-2006, 171-210; Shehi 2010, 292-297.112 Shehi 2010, 292-297.113 Slane 2004, 40; Bes, Poblome 2006, 143, grafico 2.114 Bes, Poblome 2006, 143, grafico 2.115 Abadie-Reynal 2004, 63; 2005, 41.116 Martin 2006, 175, fig. 1; Zabehlicky Scheffenegger 2004, 78-80.117 Martin 2006, 175, fig. 1.118 Bes, Poblome 2006, 143, grafico 1.

348

Ceramica romana nella Puglia adriatica

L’analisi dell’origine dei bolli scoperti a Durazzo offre altresì un’immagine interes-sante sui rapporti commerciali. Tra i bolli documentati, 16 provengono da Arezzo (47% del totale), 3 dall’Italia centrale, 3 da Pisa, 1 da Pozzuoli. Questo primato nella concentrazione di provenienze da Arezzo è simile a quello registrato per i rinvenimen-ti effettuati ad Apollonia e Buthrotum: in entrambi i contesti seguono, per quantità, i bolli dell’Italia centrale. A Buthrotum si trova un’alta percentuale di bolli dalla valle del Po, che a Durazzo e Apollonia, invece, si riscontrano mediante un solo esemplare. Diversamente dagli altri tre centri menzio-nati, a Scutari si segnala la prevalenza dei bolli provenienti dalla valle padana, seguiti da quelli di Arezzo e di Pisa119.Comparando i bolli ritrovati in altre città antiche dell’Albania, solamente in cinque casi abbiamo gli stessi bolli: L. Avillius e Avillius a Phoenice, L. Gellius ad Apol-lonia, Rasinus a Buthrotum, Camurius a Buthrotum e Apollonia120.Interessante è anche l’analisi dei dati rela-tivi all’origine dei bolli attestati a Durazzo espressa nel confronto con le città delle re-gioni vicine. A Corinto, Atene, Argo e Cen-chreae, le più grandi percentuali dei bolli rimandano a Arezzo. A Corinto si attestano al secondo posto i bolli dell’Italia centra-le, mentre i bolli di Pisa e di Pozzuoli sono rari. Ad Atene ritroviamo i bolli di Arezzo e dell’Italia centrale, mentre quelli di Pisa sono più numerosi che a Corinto. Nella città di Argo i bolli provenienti dall’Italia centrale sono vicini, per quantità, a quel-li da Arezzo. A Cenchreae sono similari le quantità di bolli dall’Italia centrale, Pisa e Pozzuoli. Molta diversa si presenta la situa-zione a olimpia, dove il maggior numero appartiene all’Italia centrale, mentre i bolli di Arezzo sono in numero limitato121.Durante i decenni contraddistinti dal do-minio della sigillata italica, estesi tra 40/30 a.C. e 50/60 d.C., prevale di certo la rotta commerciale occidente-oriente, che segna il punto di partenza al porto di Brundi-sium: peraltro Dyrrachium era il punto di partenza della via Egnatia, quindi i carichi delle navi non erano destinati solo ai suoi

abitanti, ma anche al commercio nelle aree interne dei Balcani. L’importanza assegnata dagli autori antichi a Dyrrachium e Apollo-nia trova conferma anche nell’attestazione di altre classi ceramiche122, non solo delle sigillate qui in esame. Prendendo spunto dagli itinerarî antichi, gli studiosi moder-ni hanno elencato da tre a cinque punti di passaggio dall’Italia verso il littorale illirico, dove Durazzo assume posizione centrale123.Durante lo stesso periodo, l’importazione delle sigillate orientali A e B, anche se in livelli minimi in confronto con le produzio-ni italiche, mostra la continuità delle rot-te da Meridione a Settentrione (fig. 9). Se compariamo i siti dei ritrovamenti dei bolli delle ESA e ESB con il periplo documenta-to dalle fonti (Plin. HN, II, 244), troviamo similarità significative nei nomi delle città menzionate.Con la diminuzione dei prodotti italici, il loro posto viene preso rapidamente da un’altra produzione, originaria dell’Asia mi-nore: le ESB. oramai si notano anche cam-biamenti nelle preferenze delle forme, con il numero maggiore appannaggio delle tazze, divise in 9 tipi identificati. Il più comune è l’Atlante 80, seguito dall’Atlante 76, 75, 74. Al secondo posto si trovano i piatti, con otto tipi identificati. Quello più attestato è il tipo Atlante 60, quindi si registrano, ma molto distanziati, frammenti dell’Atlante 62. Le coppe sono in quantità minime, con solo due tipi identificati: su 8 frammenti scoperti, 6 appartengono all’Atlante 70.A Durazzo notiamo una chiara divisione nelle preferenze delle tazze rispetto ai piat-ti, a differenza di quanto i dati registrano, allo stato attuale, per le città di Apollonia, Phoenice, Buthrotum. Analogia si nota tra le quattro città nel dominio dell’Atlante 60 per i piatti, dell’Atlante 80 per le tazze, dell’Atlante 70 per le coppe – tranne che a Phoenice, dove non è stato finora scoperto –. Altri tipi preferiti nelle quattro città sono l’Atlante 63 e 76, mentre gli altri tipi sono rari e si trovano in una o due città.Tra i frammenti di vasi in sigillata di produ-zione orientale B abbiamo 23 bolli: 6 con nomi – interamente oppure parzialmente leggibili –, 9 con rosette, 6 con palmette,

119 Per Scutari, Lahi 2005-2006, 171-210; per Phoenice, Boschi 2003, 31-40; Gamberini 2007, 106-110. Per l’analisi della documentazione nota per tutte le città menzionate, Shehi 2010, 296-297.

120 Shehi 2010, 292-297; Lahi 2005-2006, 171-210.121 Bes, Poblome 2006, 157, fig. 5; Abadie-Reynal 2005, 42.122 Shehi 2003, 209-216.123 Uggeri 1998, 59-61; Arnaud 2006.

349

importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

Antiochia

Delos

ScodraLissus

PhoeniceApolloniaByllisDyrrachium

Buthrotum

EphesusSmyrna

Puteoli

AretiumPisae

La Graufesenque

Aquilea

Valle del Po

Tarsus

124 Per l’analisi della diffusione di questi bolli si rimanda a Shehi 2010, 82-83, 122-125, mappe 1-2, tav. 96, mappe 3-4, tav. 97, mappe 5-6, tav. 98.

125 Bes, Poblome 2006, 143, grafico 1.

2 di forma non chiara. Tra i bolli leggibi-li abbiamo: ΦoI/boY, EP/MHς, MaP/koY, (koIP)anoς. Altri 3 bolli sono parzialmente leggibili, solo 2 identificabili: (MaP)/ko(Y) e kE(P/Δ)o(ς). La diffu-sione di questi bolli si riscontra in tutto il Mediterraneo, con un’alta concentrazione nell’area dell’Egeo e dell’Adriatico124.In diverse città della Grecia, la presenza delle ESB raggiunge alti indici di presenza nel lasso temporale 105-120 d.C.125.Le altre sigillate orientali si riscontrano in tale quantità limitata da tradire un ruolo affatto sensibile sul mercato: dovevano es-sere parte occasionale dei carichi di sigil-late smerciate nei principali porti egei. Le più numerose sono le sigillate ‘di Çandarli’, presenti dal periodo augusteo fino alla metà del III secolo. Il periodo del loro originario ingresso è simile a quello riscontrato per le ESB, con le quali condividono altresì anche le regioni di produzione, individuabili sulla costa egea dell’Asia minore. Pertanto siamo dell’opinione che i vasi ‘di Çandarli’ sono arrivati negli stessi carichi assieme alle ESB nei mercati dell’Illyria meridionale. Questa

produzione è stata documentata, per ora, solo a Dyrrachium, Buthrotum e Berat. Rari ritrovamenti sono le sigillate di Pont, con forme databili dalla metà del I sec. d.C. fino alla fine del II sec. d.C..Con i cambiamenti che ha subito la pro-duzione delle sigillate nella regione, anche il commercio a Durazzo ha preso un’altra direzione: durante il periodo 50/60-metà II sec. d.C., si ritorna al dominio della rotta da S a N, la più frequentata, con le ESB che si attestano quale la merce principale tra le sigillate. La presenza delle altre sigillate – ormai parte complementare dei carichi –, scoperte principalmente nelle città di Dyrrachium e Buthrotum, fa pensare che in questo periodo venivano riforniti solo i porti principali, che poi a loro volta serviva-no quali centri di redistribuzione. L’assorti-mento delle diverse produzioni fittili vero-similmente avveniva nei diversi porti egei.Nei due peripli antichi, quello dall’estre-mità settentrionale dell’Adriatico fino ai monti Acrocerauni, nella descrizione del-lo Pseudo Skylax, e quello dal Mare Egeo all’Adriatico, nel ricordo di Plinio il Vec-

Fig. 9. Carta schematica del Mediterraneo in età

romana. Vie e rotte seguite per il trasporto della

ceramica fine da mensa.

Antiochia

Delos

ScodraLissus

PhoeniceApolloniaByllisDyrrachium

Buthrotum

EphesusSmyrna

Puteoli

AretiumPisae

La Graufesenque

Aquilea

Valle del Po

Tarsus

ESA

ESB – PRSW

Sigillata italica

Sigillata gallica

ARSW

350

Ceramica romana nella Puglia adriatica

chio126, troviamo diversi nomi di città che si riscontrano anche nelle mappe di distribu-zione dei bolli di ESB127.La presenza del bollo ‘Kερ/Δoς’ a Heraklea Lyncestis128, a metà strada tra Dyrrachium e Thessalonica, mostra le difficoltà nel riusci-re a capire le direzioni assunte dai commer-ci: questo bollo sarà arrivato o per via di mare, dall’Asia Minore ai porti dell’Illyria meridionale (rotta da S a N), e di là, lun-go la via Egnatia, fino a Heraklea Lyncestis (percorso da W a E); oppure per via di mare, dall’Asia Minore fino a Thessalonica, e di là, lungo la via Egnatia fino a Heraklea Lyncestis (percorso da E a W).La stessa direzione, ma in senso contrario, da N a S, sembra sia stata utilizzata per il commercio delle sigillate italiche tarde C. L’Abadie-Reynal, partendo dalle analisi delle sigillate italiche tarde scoperte a Argo, constata che l’importazione dovrebbe esse-re partita dalla città di Ancona verso l’altra costa adriatica129. Valorizzando le analogie nell’attestazione di forme di sigillata italica tarda rinvenuta a Durazzo con i dati non solo di Argo, ma anche di altre città dell’A-driatico settentrionale, ci si orienta di certo a confermare l’esistenza della stessa linea di commercio suggerita.La comunicazione con la Gallia meridio-nale costituisce poi una questione a parte. Secondo F. Maselli Scotti, tra le sigillate galliche a rilievo scoperte ad Aquileia – quelle lisce sono minime –, le più numero-se appartengono alla forma Dragendorff 37 (datate 60-100 d.C.), con solo 2 esemplari Dragendorff 29130 (variante A: 10-40 d.C.; variante B: 40-90 d.C.). Questa è una situa-zione differente rispetto a quanto si riscon-tra a Durazzo, dove il tipo più comune è il Dragendorff 29b. Queste differenze fanno pensare all’esistenza di un’altra direttrice di commercio verso l’Illyria meridionale.Basandosi sull’Editto dei Prezzi di Diocle-

ziano, J. Rougé ipotizza una connessione tra la Gallia e l’area del Danubio espressa per via terrestre e secondo navigazione flu-viale131. Questa direttrice poteva svolgersi e aprirsi anche verso Aquileia, da dove pure poteva estendersi verso ambiti meridionali, tuttavia – come descritto sopra – restano chiare le differenze nelle tipologie attesta-te. In un’analisi interessante, basata sulle scoperte subacquee occorse in Dalmazia, M. Jurisic propone due rotte, dalle quali le navi possono essere giunte dall’occi-dente verso l’oriente, e poi verso il Mare Adriatico132. Provenendo dalla Spagna e fermandosi nei porti della Gallia meridio-nale, le merci dovrebbero essere arrivate a Durazzo transitando per i porti italici133 (fig. 9). Le navi che si fermavano nei diversi porti ispanici, gallici e italici, avendo quale merce principale le derrate alimentari tra-sportate nelle anfore, stivavano altresì le sigillate come carico aggiuntivo.

Dalla seconda metà del II sec. d.C., a Du-razzo la necessità di consumo di ceramica fine si orienta verso i prodotti dell’Africa settentrionale, manufatti che hanno domi-nato il mercato mediterraneo dal I fino al VII secolo134. Le produzioni più antiche appartengono al ‘periodo II’ e al ‘periodo III’ e sono testimoniate da diversi tipi. Tut-tavia la mancanza di dati stratigrafici per il periodo in questione rendono difficile la definizione della natura delle importazioni e il confronto con altri centri dell’Adriati-co. Dai dati sin qui disponibili, emerge che i tipi identificati appartengono alla produ-zione ARSW A, a lungo considerata quale produzione della Tunisia settentrionale135, anche se l’identificazione delle analogie con la produzione ARSW C rimanda alle officine identificate finora soltanto nella Tunisia centrale136. A Buthrotum la origi-naria presenza dei vasi fini africani è stata

126 Rispettivamente Scyl. GGM, XL-L e Plin. HN, II, 244.127 Per un quadro generale sulla diffusione delle ESA e delle ESB nell’Adriaticho nordorientale si rimanda a

Maggi 2006, 179-194.128 Maneva 1979, 35, fig. III.40.129 Abadie-Reynal 2004, 65.130 Maselli Scoti 1981, 244.131 Rougé 1966, 99.132 Jurisic 2000, 48-49, mappe 41-42.133 Shehi 2010, 322.134 Reynolds 1995, 14-34, 106-130; Bonifay 2004, 477-489.135 Hayes 1972, 297-298; 1980, 518; Atlante I 1981, 19 sgg..136 Bonifay 2004, 47; Mackensen, Schneider 2006, 168-173, table 1; Mackensen 2009, 20; Cau, Reynolds, Boni-

fay 2012, 4.

351

importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

accertata in un contesto della metà del III secolo nell’area del foro137. A Bylis e Saran-da, le più antiche produzioni africane sono testimoniate dalla tazza Hayes 8A in con-testi della metà del II secolo e della prima metà del successivo138.Le informazioni raccolte dallo scavo del deposito del bastione sud-orientale (‘bas. 02/b-4’), databile al III-IV sec. d.C., dimo-strano che i tipi non decorati della produ-zione ARSW C della Tunisia centrale, ac-compagnate dalla produzione ARSW A/D, individuano le importazioni dominanti in rapporto alle quantità offerte dalla produ-zione ARSW A. Nei depositi databili al tar-do periodo imperiale a Buthrotum (III-IV sec. d.C.), la ceramica fine da mensa afri-cana si presenta con diversi esemplari delle produzioni A/D e C, segnando così per le importazioni situazioni simili a quelle ve-rificate a Durazzo per lo stesso periodo139, secondo peraltro caratteristiche note pure per Scutari140. In un contesto di distruzione della fine IV secolo documentato a Hrušica (Ad Pirum) si nota la limitata presenza della produzione ARSW A rispetto alle quantità ben rappresentate delle produzioni ARSW A/D, C e D141. Queste presenze limitate delle produzioni ARSW A, nei contesti del periodo in questione, definiscono un feno-meno simile per diversi centri dell’Adriati-co settentrionale142.I dati parziali per il periodo compreso tra la fine del IV e la metà del V sec. d.C. mettono in evidenza l’apparizione della produzione ARSW D della Tunisia set-tentrionale, rappresentata da diverse tipo-logie rispetto al numero più limitato dei manufatti in ARSW C. Questi dati sono comparabili con quelli assunti per diversi

centri dell’Adriatico settentrionale143. Pe-raltro il deposito di IV secolo nell’agorà di Atene sembra mostrare un profilo diverso nel confronto con i dati noti a Durazzo e nei centri nordadriatici. Infatti si nota la sostituzione delle produzioni della Tunisia settentrionale con quelle della produzione C e E, nonché specialmente delle imita-zioni focesi, che è plausibile siano legate ai cambiamenti politici e amministrativi nella pars Orientis dell’Impero durante questo periodo144.La presenza dei primi tipi della produzio-ne PRSW, legata a questo periodo, non ri-sulta sinora attestata a Durazzo, mentre a Scutari i vasi fini da mensa focesi sono do-cumentati dalla fine del IV all’inizio del V secolo, accompagnati da una diminuzione nella prima metà del V secolo145. Anche a Buthrotum la presenza degli esemplari del-la prima fase di questa produzione (tipo Hayes 2A) ha reso possibile la datazione del deposito connesso alla ricostruzione del palazzo basilicale (‘deposito 3042’) agli anni 400-425146. In diversi centri dell’A-driatico settentrionale, i dati pubblicati rendono evidente che le importazioni di ceramica fine focese si attestano dall’inizio del V secolo e diventano dominanti verso la fine del secolo147.La seconda metà del V secolo a Durazzo mostra limitate quantità di ceramica fine africana148. Questo si può connettere alla natura stessa del deposito documentato nell’anfiteatro romano (‘amf. 07/706’). Anche se è difficile produrre conclusioni cogenti, sul piano quantitativo, in relazio-ne al periodo, si nota l’importazione di prodotti fini africani solo dalla Tunisia set-tentrionale. In questo modo, per il perio-

137 Reynolds, Hernandez, Çondi 2008, 75, figg. 13.39-40, 14.47-50.138 Muçaj et alii 2011, 48-49, tab. II.9.139 Reynolds 2004, 225.140 Hoxha 2003, 63.141 Perko 1992, 350.142 A Ravenna, Maioli 1983, 88; ad Aquileia, Rupel 1991, 119-139; Perko 1991, 119; Cividini 1994, 126; a Hera-

clia (Venezia), Marinig 1992, 122; a Split, Schrunk 1989, 59-65.143 Per Aquileia, Cividini 1994, 126, 145: Hayes 59, 61, 149-159, CA 43-58, tabb. 16-17, CA 66, tab. 17; Hayes

80, 91A e B, 165-170, CA 94-94, tab. 18, CA 97-99, CA 103, tab. 18; Perko 1991, 119-120. L’identificazione della produzione D nei contesti di questo periodo è una carateristicha anche dei depositi del palazzo di Diocleziano a Split: Schrunk 1989, 73-90.

144 Hayes 2008, 72.145 Hoxha 2003, 74-75, fig. XIX.4.146 Reynolds 2002, 221, fig. 21.4.147 Per Classe (Ravenna), Stoppioni Piccoli 1983, 86-112, 130-146; per Palagruža, Hayes 1998, 544, fig. 1; Kiri-

gin 1998, 429-431; per Split, Schrunk 1989, 221-222. A Invillino si documenta il dominio delle importazioni focesi fino alla fine del VI sec. d.C.: Mackensen 1987, 229-265.

148 Shkodra 2011, 544, grafico 45.

352

Ceramica romana nella Puglia adriatica

do in questione, la situazione di Durazzo evidenzia l’importanza di Cartagine quale grande centro di produzione, secondo un fenomeno comparabile per altri centri del territorio albanese149 e dell’Adriatico set-tentrionale150. Peraltro i dati dell’agorà di Atene hanno mostrato il ruolo indebolito delle produzioni cartaginesi durante la se-conda metà del V secolo, per lasciar posto alla riattivazione dei centri produttori della Tunisia centrale151.Durante questo secolo, si registra la pre-senza dei prodotti fini PRSW a Durazzo. Anche se non si può parlare di dati quan-titativamente completi, a causa della fram-mentarietà del campione, si nota la presen-za delle varianti del tipo Hayes 3 (le 3C e le 3E) della seconda metà del V secolo. A Scutari la più alta presenza di questa pro-duzione si evidenza dalla metà del V secolo fino alla metà del successivo, per conti-nuare in quantità ridotte fino all’inizio del VII secolo152. Contesti legati alla fase tar-da di costruzione del palazzo basilicale di Buthrotum (US 3156), con datazione al ter-zo quarto del V secolo, mostrano la presen-za della variante Hayes 3C della produzio-ne focese, accompagnata dalla produzione africana dello stesso periodo (Hayes 84)153.Nei depositi della fine del V secolo, nell’a-gorà di Atene i vasi focesi sono all’incirca l’80-90% del totale di tutte le ceramiche fini, dominando dunque rispetto alle pro-

duzioni africane154. La presenza delle pro-duzioni focesi può competere, in termini quantitativi, con i vasi fini africani in diver-si centri dell’Adriatico155: in modo specifico nell’Italia meridionale e sudorientale, come a San Giovani di Ruoti156.Sulla base dei dati disponibili, diversi pe-raltro tra Scutari e Buthrotum, i prodotti focesi più antichi della fine del IV-inizio V sec. d.C. (Hayes 1 e 2) non sono stati do-cumentati a Durazzo. Indipendentemente dalla crescita d’importanza di questo grup-po dalla fine del V secolo, la quantità dei vasi importati a Durazzo è sempre meno numerosa in confronto a quella rinvenuta a Buthrotum e Scutari. Le caratteristiche di questi rifornimenti per Durazzo sono simili a quelle riscontrate in diversi centri dell’A-driatico157, e dell’Italia occidentale – Roma e Napoli –158, e pure diverse da quelle at-testate per altri centri adriatici159, dove si riscontra una più alta concentrazione delle importazioni focesi160.L’inizio del VI secolo registra non solo il più alto livello delle importazioni africane, ma anche la più grande varietà tipologica attestata a Durazzo161: mentre le produzio-ni fini focesi continuano ad avere un ruo-lo di secondo piano nelle importazioni di ceramica fine da mensa. La presenza del-le produzioni africane a Buthrotum, come anche a Durazzo, testimonia l’aumento sensibile di queste importazioni, che do-

149 A Scutari si può notare il dominio della produzione ARSW D e la mancanza della produzoine ARSW C nei contesti della seconda metà del V secolo: Hoxha 2003, 64-68; diversa la situazione nota per Durazzo e Scutari, mentre a Lezha e Buthrotum è presente il tipo Hayes 84 della prodzuione ARSW C: Hoxha, Shkodra c.s.; Reynolds 2002, 221, fig. 21.11.

150 Ad Aquileia il 74,4% del totale della ceramica fine da mensa africana è composta dalla produzione ARSW D: Cividini 1994, 127; a Heraclia si registra la medesima situazione, con l’ARSW D che presenta il più gran numero di esemplari: Marinig 1992, 123; a Split non solo l’ARSW D è il gruppo dominante tra le produzioni africane, ma pure è il solo documentato nei contesti di abbandono del palazzo di Diocleziano, dunque dopo la seconda metà del V secolo: Schrunk 1989, 73-75.

151 Hayes 2008, 73.152 Hoxha 1997, 277; 2003, 74.153 Reynolds 2002, 221, fig. 21.11-12.154 Hayes 2008, 85.155 Mackensen 1987, 235-241, figg. 38.7-13, 39; Pröttel 1996, 89-96, fig. 112-114. Per Ravenna, Maioli 1983, 90,

nn. 4.38-45.156 Freed 1983, 102-106, fig. 112; Reynolds 1995, 35; Martin 1998, 115-120, fig. 6; Hayes 2008, 86.157 A Invillino si nota la minore quantità della ceramica fine focese rispetto a quella africana: si evidenziano 7

esemplari del tipo PRSW Hayes 3 (rispetto a 20 esemplari di ARSW), 3 dei qualli della variante E e 4 della variante F: Mackensen 1987, 235-239, 260, fig. 38.7-13. Così pure si registra nella Val Pescara: Siena, Troia-no, Verrocchio 1998, 678-680, fig. 13; Martin 1998, 118, fig. 6.

158 Reynolds 1995, 35, fig. 162; Soricelli 1994, 141-143, fig. 74.159 Sulla consistenza quantitativa della difusione dei vasi focesi in questi centri si rimanda a Mackensen 1987,

236-241, fig. 39; Martin 1998, 118-119, fig. 6; nei contesti di fine V-VI sec. d.C., nella villa di Agnuli (Mattinata), la quantità di manufatti di PRSW domina quella della sigillata africana: Volpe et alii 1998, 724-726, fig. 4.

160 Shkodra 2011, 576, fig. 110.161 Eadem, 550, fig. 104.

353

importazioni di ceramica fine con vernice rossa da Durazzo (ii sec. a.C.-Vii sec. d.C.): lo stato delle ricerche

minando contro le produzioni focesi162. Gli scavi di Scutari rendono evidenti quantità poco meno consistenti delle importazioni africane rispetto ai più numerosi esemplari focesi, almeno per gli ani 500-550 d.C.163.Peraltro a Buthrotum le produzioni foce-si sono cospicue, ma non superano quelle africane, con rapporti proporzionali simili tra i due gruppi, come succede per Du-razzo164. Questa consistenza quantitativa di ceramica focese a Buthrotum è simile a quella registrata a Scutari e in altri centri dell’Adriatico settentrionale165. Dunque, anche se definite secondo posizioni geogra-fiche parimenti importanti, per le tre città indicate le dinamiche delle importazioni di ceramica fine sono diverse. Va segnalato che queste differenze possono essere anche il risultato delle diverse consistenza e de-stinazione funzionale dei contesti utilizza-ti per ricavare i dati comparativi qui usa-ti. Per di più, l’esito dei confronti istituiti appare pur sempre relativo, mancando dei dati sulla totalità dei vasi in rapporto con i contesti menzionati. Quello che emerge è comunque la differenza quantitativa della presenza di manifatture fini focesi a Du-razzo in confronto a Buthrotum e a Scutari nella prima metà del VI secolo166. Nel caso di Durazzo, questa differenza non sembra avere rilevanza cronologica, perché questo gruppo di ceramica fine non si propone quale elemento tipologico importante – dal punto di vista quantitativo – in alcuno dei periodi cronologici identificati.Le caratteristiche delle importazioni focesi a Durazzo può essere connesso con le diffe-renti rotte di rifornimento della città in con-fronto a Buthrotum e a Scutari. Le impor-tazioni di questo gruppo di ceramica fine, come si evince dai dati provenienti da Du-razzo – minime quantità di ceramica fine, ma alto numero di anfore del Mediterraneo orientale –167, non sembrano connesse con

le importazioni dei contenitori da traspor-to. Le differenze apprezzabili per Duraz-zo, da un lato, e per Scutari e Buthrotum, dall’altro, si possono considerare testimo-nianza dell’utilizzo di almeno due differen-ti e importanti rotte commerciali, secondo lunghe distanze geografiche (fig. 9), estese in direzione dei centri litorali adriatici. Le minime quantità delle importazioni focesi a Durazzo, comparabili con quelle note per Roma e per diversi centri dell’Adriatico168, potranno essere dunque considerate segno di connessioni dirette con i centri produt-tivi del Mediterraneo orientale, fondate su carichi unificati e non soggette ad aggiunte rispetto alle produzioni africane attinte al porto di Cartagine (fig. 9). Le caratteristi-che di Buthrotum vanno verso la stesa di-rezione, con possibili connessioni dirette con i centri produttivi orientali, mentre le differenti quantità dei vasi focesi, rispetto a Durazzo, possono avere spiegazione cro-nologica. Rimane da verificare se il ‘depo-sito 1152’ di Buthrotum appartiene al tardo periodo vandalo (500-533) oppure a quello protobizantino (533-550)169.Peraltro l’altra rotta di ridistribuzione delle anfore orientali, partendo dal porto di Car-tagine, dove i carichi della ceramica fine focese rimanevano intatti170, può spiegare le quantità considerevoli ovvero dominanti delle importazioni focesi a Scutari e in di-versi altri centri dell’Adriatico171.La presenza sempre dominante delle im-portazioni fini africane a Durazzo, in rap-porto con i vasi fini focesi, non dovrà essere connesso con le importazioni delle anfore di simili origini. Il periodo della massima presenza di ceramica fine non corrisponde con quello delle anfore172, che lascia in-tendere altri meccanismi per il loro arrivo a Durazzo, forse non direttamente dall’A-frica. La similarità nelle quantità di cera-mica fine qui riscontrate rispetto a quelle

162 Reynolds 2004, 228, 239.163 Hoxha 2003, 74, tab. XIX; Shkodra 2011, 233-234, grafico 30.164 Si rimanda qui alla nt. 159.165 Per Scutari, Hoxha 2003, fab. XIX, grafici: 5-6; per Split, Schrunk 1989, 97-101.166 A Durazzo troviamo 32 esemplari per ARSW, 6 esemplari per PRSW; a Buthrotum 32 esemplari per ARSW,

24 esemplari per PRSW; a Scutari 8 esemplari per ARSW, 16 esemplari per PRSW: così Shkodra 2011, 234, grafico 30.

167 Shkodra 2011, 542-543, grafico 44.168 Per Invillino e Val Pescara si rimanda qui alla nt. 157.169 Reynolds 2004, 239-240.170 Idem 1995, 134.171 Per Split, Schrunk 1989, 97-101; per Agnuli (Mattinata), Volpe et alii 1998, 724-726, fig. 4; Martin 1998, 115.172 Shkodra 2011, passim, grafici 44-45.

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Ceramica romana nella Puglia adriatica

attestate in diversi centri dell’Adriatico, specialmente lungo la Val Pescara, si può considerare informazione importante per discernere i rapporti comuni di comunica-zione tra i due litorali.Tuttavia rispetto alla diminuzione delle quantità dei vasi fini africani nella gran par-te dei centri del Mediterraneo, dalla metà del VI fino alla metà del VII secolo173, i depositi di Durazzo mostrano una chiara continuità, con una leggera diminuzione in termini quantitativi174. La seconda metà del VI secolo mostra la diminuzione dei tipi di vasi fini africani rispetto alla fase pre-cedente175. Comunque i prodotti africani continuano a essere dominanti nelle impor-tazioni rispetto al numero dei vasi focesi. A Buthrotum, nello stesso periodo, si nota una diminuzione accentuata dei prodotti africani, in confronto al periodo preceden-te, mentre sembra che da questo indebo-limento dei contatti con l’Africa prenda terreno l’importazione dei vasi fini focesi, che finiscono per risultare dominanti entro l’ultimo quarto del VI secolo176. Le quanti-tà della ceramica fine importata, documen-tata a Scutari, subiscono diminuzioni sensi-bili nei contesti della seconda metà del VI secolo177. Tra metà VI-inizio VII sec. d.C.,

in diversi centri dell’Adriatico settentrio-nale, come Aquileia e Ravenna, si nota la stessa diminuzione delle importazioni afri-cane in confronto al periodo precedente178. Al contrario, altri centri dell’Adriatico, come documentato nel castrum tardoanti-co a Ibligo-Invillino e a Coper, mostrano un’importazione vivace dai centri africani e orientali durante il VI secolo, e così fino alla prima metà del VII secolo179, segnando analogia con la situazione di Durazzo.La continuità di importazione della ce-ramica fine da mensa africana durante la seconda metà del VI secolo a Durazzo e la presenza in quantità considerevoli del-le forme dell’ultima fase della produzione africana – Hayes 105 e 109 – sono prove di una vitalità dei traffici a lunga distanza attivi fino alla prima metà del VII secolo, almeno allo stato attuale della ricerca180. Il rifornimento di Durazzo con quantità con-siderevoli di produzioni africane e focesi lascia intendere che si tratta di un impor-tante centro militare dell’impero bizantino, ancora in funzione: da una parte, connesso direttamente alla rete delle comunicazioni del Mediterraneo orientale, dall’altra, indi-rettamente legato al sistema di ridistribu-zione adriatica interregionale.

173 Fentress, Perkins 1988; Tortorella 1998, 50-51.174 Shkodra 2011, 544, grafico 45.175 Eadem, 550, fig. 104.176 Reynolds 2002, 224; 2004, 238, 241.177 Hoxha 2003, 74-75, fig. XIX.5-6.178 Cividini 1994, 71-72, 145-146.179 Mackensen 1987, 230-241; Cunja 1996, figg. 12.157-160, 13.162-168, 14.169-176, 15.177-185; Villa 1998,

279-280.180 Shkodra 2011, 253-256.

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