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CENTRO LIGURE PER LA STORIA DELLA CERAMICA ATTI XLVI CONVEGNO INTERNAZIONALE DELLA CERAMICA CERAMICA E ARCHITETTURA SAVONA, 24 - 25 MAGGIO 2013

La fortuna delle terrecotte ornamentali di Andrea Boni: dagli incarichi milanesi alle commesse extraeuropee, in Atti XLVI Convegno Internazionale della Ceramica, Ceramica e Architettura

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CENTRO LIGURE PER LA STORIA DELLA CERAMICA

ATTIXLVI

CONVEGNO INTERNAZIONALEDELLA CERAMICA

CERAMICA E ARCHITETTURA

SAVONA, 24 - 25 MAGGIO 2013

Nel 1852, anno in cui Andrea Bonifonda un’impresa per la produzione dicotti a stampo, a Milano perdura la do-minazione austriaca e insieme con essaresiste il predominio, almeno in ambitoaccademico, dello stile neoclassico. Aquella data gli Asburgo e la classicità sierano così a lungo accompagnati, chetale stile si era ridotto a simbolo del-l’orientamento illiberale di quella domi-nazione straniera. E mentre in altriluoghi ci si rivolse ad altri stili per desi-derio di cambiamento, nel capoluogolombardo la scelta di abbandonare l’imi-tazione dell’antico si caricò di valore po-litico. Accadde così che il gotico, ilrinascimento e il barocco si prestaronoad esprimere a Milano anche il desideriodi una società libera e democratica. Que-sto discorso intorno alla politica e all’arteebbe parecchi seguaci per almeno unventennio (1840-1860) ed è in tale am-biente culturale che emerse l’idea di tor-nare a decorare case e palazzi conterrecotte come ai tempi dei Visconti edegli Sforza. Certamente il ritorno doposecoli a quel materiale fu per molti solouna gradevole novità priva di ulterioriimplicazioni, ma per un gruppo più av-veduto di intellettuali costituì una ma-niera sottile di alludere a un glorioso

passato in cui gli italiani si governavanoda sé1.

Alla fine degli anni Quaranta c’eranodunque architetti e ingegneri, oltre a unbuon numero di facoltosi committenti,che desideravano avvalersi dei cotti or-namentali, convinti che essi fossero unapeculiarità edilizia locale da troppotempo ingiustamente abbandonata e me-ritevole di essere riportata in produ-zione. Mancava però una fabbricacapace di soddisfare tali esigenze, sic-ché, quando lo scultore Andrea Boni de-cise di riproporre tali manufatti, si può aragione sostenere che si lanciò nell’im-presa contando su una clientela già per-suasa del loro pregio e ben dispostaall’acquisto.

Andrea Boni nacque nel 1815 a Cam-pione d’Italia. Il padre era titolare, in-sieme ad altri soci, di una fabbrica per laproduzione di terraglia d’uso comune. Undato biografico rilevante perché, anche sein seguito il figlio scelse la professione discultore, il suo primo apprendistato sisvolse di sicuro presso la ditta paterna egli permise di familiarizzare con l’interociclo di produzione della ceramica2.

Il giovane artista nel 1837 è a Milano,dove, quasi diciottenne, si iscrive allascuola di architettura dell’accademia di

1 Carlo Cattaneo sostiene a proposito che il«ritorno del gotico e del barocco non fu dapprimaun’aberrazione del gusto, ma una dimostrazioned’ordine politico»; e precisa che, seppur perpochi, fu «un pensiero deliberato di rimettere in

onore l’immagine di un tempo che non potevasievocare in cose di maggior momento», CATTANEO

1846, p. 114.2 I risultati della mia ricerca sono condensati

nel volume VENTURELLI 2013a.

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Enrico Venturelli

LA FORTUNA DELLE TERRECOTTE ORNAMENTALI DI ANDREA BONI:DAGLI INCARICHI MILANESI ALLE COMMESSE EXTRAEUROPEE

Brera. In tale occasione dichiara di essere,di professione, un «intagliatore di marmo».Però della specifica attività di intagliatoresi conserva solo questa attestazione e,anche se lungo l’intera sua esistenza Bonicontinuò a definirsi scultore, in realtà (al-meno allo stato attuale delle ricerche)non è noto alcun manufatto in marmo alui riconducibile. Del resto, anche il suomonumento funebre propone l’allegoriadella Scultura che impugna il martello, al-ludendo a un tipo di attività che in realtànon caratterizzò affatto la vita dell’artista3.

Secondo quanto attestano i registri,Boni frequentò l’accademia per due anniconsecutivi, poi però, di ciò che fece aMilano (o altrove), nel decennio succes-sivo non ci sono notizie. Presumo che inquel periodo si rese conto che nonc’erano molte opportunità di impiego perun intagliatore di marmo, e invece si ac-corse che esistevano interessanti pro-spettive di guadagno nel settore dellaterracotta. Inizialmente produsse manu-fatti di tal genere in uno spazio ridotto econ modeste risorse; quindi, nel 1851,volle sottoporre la sua opera al pareredell’I.R. Istituto Lombardo di Scienze, Let-tere ed Arti. Ne conseguì un giudizio lu-singhiero, una medaglia d’argento, masoprattutto uno stimolo a proseguire e atrasformare un semplice laboratorio d’ar-tista in una vera e propria industria mo-derna4.

Forte di tale incoraggiamento, il 21giugno 1852 Andrea Boni decise (cito dalrogito) di «associare nell’impresa vari ca-

pitalisti e di erigere quindi una società inaccomandita per la continuazione dellostabilimento stesso sovra più ampie basi».La ditta, denominata «Andrea Boni eCompagni», funzionò con tale strutturafino al 1862, quando Boni liquidò i soci ediventò unico proprietario dell’impresa. Ilprimo degli atti notarili che attestano talieventi è di grande interesse perchéelenca i 14 soci che aderirono alla pro-posta di finanziamento5. Sono quasi tuttimilanesi e fra essi spiccano noti possi-denti come i banchieri Ippolito GaetanoCiani, Giovambattista e Piero Brambilla,l’industriale Francesco Turati e il conteRenato Borromeo. Inoltre, e si tratta diaspetto molto rilevante, ben sei di essisono architetti o ingegneri, che evidente-mente decisero di investire in una im-presa in grado di fornire manufatti utiliper la loro attività professionale.

Per circa vent’anni (1850-1870) le ter-recotte della ditta Boni riscossero note-vole successo. Basti osservare che nelcorso del secondo decennio d’attivitàspuntarono a Milano numerose ditte con-correnti, un segnale indubbio che la ri-chiesta di tali manufatti fu, per qualchetempo, robusta e lasciò immaginare pro-spettive di profitto per più di un impren-ditore6. Inoltre, riguardo all’attività dellafabbrica nel periodo precedente all’unifi-cazione nazionale è possibile affermareche i committenti furono perlopiù mila-nesi. Poi però, grazie anche alle mutatecondizioni politiche, gli incarichi prove-nienti da altre regioni d’Italia e dall’estero

3 Il monumento, in discreto stato di conserva-zione, si trova nell’area del Cimitero Monumentale diMilano denominata Rialzato di Ponente, nn. 19-20,ed è opera dello scultore Giosuè Argenti (1819-1901).

4 Distribuzione dei premj d’industria perl’anno 1851, «Giornale dell’I. R. Istituto Lombardo diScienze, Lettere e Arti e Biblioteca Italiana», 1852,

III, 15, pp. 224-225.5 Archivio di Stato di Milano, Notarile ultimi

versamenti: notaio Luigi Clerici, 93, 1529, 21 giugno1852; notaio Giovambattista Bolgeri, 2711, 3814, 6febbraio 1862.

6 Le ditte concorrenti sono elencate in CORONA

1885, pp. 456-460.

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si moltiplicarono e l’impresa locale si tra-sformò in una fabbrica di respiro nazio-nale. Per Andrea Boni gli anni Sessantafurono dunque un periodo di intenso la-voro e i suoi cotti furono applicati ad edi-fici anche di rilievo in parecchie località.

Ciò nonostante, già a partire dalla finedell’Ottocento, tali opere cominciarono ascomparire. Alcune furono semplice-mente demolite, per esempio a Milanonel primo dopoguerra. Altre invece, purcontinuando ad esistere, si eclissarono intermini di memoria storico-critica. I cottia stampo persero infatti di valore presto,ben prima dell’avvento della cultura mo-dernista che decretò la condanna di ognitipo di imitazione del passato. Smisero diessere apprezzati già all’inizio degli anniOttanta, quando la loro forza evocativa sispense e tornarono ad essere percepiticome oggetti realizzati in un materiale dimodesta qualità, del tutto inadatto alleesigenze di decoro dell’epoca umbertina.E il declino fu rapido perché quei manu-fatti in argilla non resistettero neppure allivello dei materiali a basso costo, vistoche furono travolti dall’inarrestabile suc-cesso del cemento anche in ambito de-corativo. Si trattò dunque di una tripliceaccusa: quei cotti non solo erano banaliimitazioni, ma erano anche realizzati inmateriale di scarso pregio, e infine nonerano neppure così convenienti. Tali ma-nufatti furono così condannati all’obliooppure ad una pesante sottovalutazioneche li equiparò a prodotti comuni, inde-gni di particolare attenzione perché prividi alcun valore artistico.

Tali circostanze avrebbero reso pres-soché impossibile ricostruire, a 150 annidi distanza, il catalogo delle opere di An-

drea Boni se il titolare non si fosse pre-murato di pubblicare accurate testimo-nianze di quanto la sua fabbrica andavaproducendo. È quindi grazie a lui se oggisi conservano alcuni importanti docu-menti che favoriscono la ricerca attualeoffrendo una ragguardevole messe di datipreziosi.

Il primo di questi testi è un catalogoche, in varie versioni, Boni pubblicò perfavorire la commercializzazione dei suoiprodotti, ma anche per mostrare alla po-tenziale clientela ciò che la sua industriaera in grado di realizzare7. Il catalogonella versione maggiore s’intitola Albumdi decorazioni eseguite in terra cotta nellostabilimento Andrea Boni e Com pagni edè composto da più di cento fogli. Quasitutti i manufatti raffigurati in tale albumsono corredati di dimensioni e prezzo;spesso compare anche una breve descri-zione con indicazione dello stile d’appar-tenenza. Le terrecotte proposte nonservivano solo a decorare le facciate dellecase. Infatti, pur di fronte a una indubbiaprevalenza di stipiti, fregi, mensole e ca-pitelli, il catalogo offre una ricca scelta dicaminetti, stufe e specchiere, nonchévasi, sculture e fontane, appositamenteideati per l’arredo d’interni e giardini.Ogni decorazione, anche la più com-plessa, è agevolmente replicabile grazieagli stampi ed è offerta in vendita a unprezzo prestabilito. Il catalogo ovvia-mente promuove la vendita di pezzi rea-lizzati ricorrendo a stampi già esistenti,ma segnala che la fabbrica è anche di-sponibile a eseguirne di nuovi su richie-sta della clientela.

Da un saggio apparso nel 1865 sul«Politecnico» si apprende che lo stabili-

7 Ho trattato del catalogo maggiore in VENTU-RELLI 2013a. Ho descritto il peculiare catalogo

conservato presso Penn Libraries a Philadelphia(USA) in VENTURELLI 2013b.

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mento ricorreva a due differenti misceled’argilla producendo cotti rossi ma pocoresistenti alle intemperie, oppure cottimolto più duri ma grigi8. I primi eranoovviamente più belli, costavano anchemeno ma si rovinavano presto, gli altriduravano senza danni molto più a lungoma erano più cari e soprattutto non moltoattraenti dal punto di vista estetico. Il ca-talogo, in un probabile aggiornamentodegli anni Sessanta, propone di risolverequesto problema offrendo la possibilità didipingere le terrecotte in modo che sem-brino marmo, legno, porcellana, oro, ar-gento e bronzo.

L’Album di decorazioni in terra cottaè di grande importanza perché offre me-ticolose raffigurazioni di un gran nu-mero di pezzi, sia isolati l’uno dall’altroche combinati a formare decorazioni piùcomplesse. Non sono molti invece ifogli dedicati a intere facciate di edifici.Il catalogo non fornisce dunque molteinformazioni su natura, consistenza e di-stribuzione geografica delle grandi com-messe. In effetti, se ci fosse solol’Album, sarebbe nota non più di unadecina di opere maggiori certamente at-tribuibili alla fabbrica Boni.

Fortunatamente esiste un altro tipo didocumentazione che permette di asse-gnare alla ditta un numero molto più ele-vato di opere (circa 70). Si tratta deicataloghi editi in occasione dell’annualeEsposizione delle opere di belle arti nellegallerie del palazzo nazionale di Brera,per l’esattezza i volumi dal 1863 al 1871.

Fino all’inizio degli anni Sessanta i ca-taloghi di Brera avevano il semplicescopo di registrare le opere effettiva-mente esposte (perlopiù quadri e scul-

ture). Ma, a partire dal 1863 e per circaun decennio, furono utilizzati anche perdare notizia di ciò che si andava realiz-zando in Lombardia e che per varie ra-gioni non poteva essere esposto. Per leopere non esposte si stilò un secondoelenco da collocare in un’apposita Ap-pendice, e si decise pure di dedicarespazio alle arti decorative. La prima Ap-pendice elenca, oltre alle novità archi-tettoniche, solo opere di «intaglio inlegno» e «decorazioni in terra cotta», main seguito, anno dopo anno, le sezionidedicate alle arti decorative si moltipli-carono.

Affinché l’appendice fosse il più pos-sibile esaustiva nel descrivere il fervorelombardo i curatori del catalogo invita-rono gli artisti a segnalare la loro attività.E Andrea Boni approfittò per nove anniconsecutivi di tale opportunità inviandoprecise descrizioni della fabbrica e minu-ziosi elenchi delle opere, anzi, per i primiotto anni, l’intera sezione dedicata alleterrecotte è occupata dalla ditta Boni, esolo nel 1871 viene nominata una se-conda impresa.

Il primo resoconto compare dunquesul catalogo del 1863: si tratta di un testopiuttosto articolato, di tono apertamenteelogiativo, mirante a sottolineare che ciòche viene proposto da tale fabbrica è in-dubbia produzione artistica: «Il signor An-drea Boni ebbe, or sono circa dodicianni, la felice idea di far rivivere l’indu-stria artistica delle terre cotte per servirealle decorazioni figurative, ornamentalied architettoniche. […] Il rapido incre-mento e l’estensione dello stabilimentodel signor Boni, se porgono testimo-nianza in favore di esso, e della intelli-

8 Dell’industria delle terre cotte in Italia e segna-tamente in Lombardia (con tavola), «Il Politecnico»,

1865, XXIV, 105, pp. 282-297.

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gente solerzia con cui è diretto e pro-mosso, mostrano pure che nel nostropaese non erano spente le tradizioni diquesta industria singolare, né meno vivoil desiderio, e direi quasi il bisogno di ve-derla risorgere»9. Seguono poi due elen-chi: il primo riguarda otto incarichi incorso di realizzazione o recentementeconclusi, mentre nel secondo, collocatoin nota, sono segnalate 15 tra le maggioriopere del decennio precedente.

Il biennio 1862-1863 è un periododi grandi cambiamenti per la fabbrica:il 6 febbraio 1862 si scioglie la societàfondata dieci anni prima e Andrea Boniliquida i soci diventando unico proprie-tario. Inoltre, va sottolineato che quelli fu-rono gli anni del massimo entusiasmocelebrativo per la recente unificazione na-zionale, anni in cui i committenti ricor-sero con maggior decisione ai cotti ancheper esprimere, finalmente in manieraesplicita, la propria passione risorgimen-tale.

La decorazione più eclatante a talproposito è senza alcun dubbio la fac-ciata della cosiddetta Casa Rossa, erettanel 1862, su incarico del barone e ban-chiere Ippolito Gaetano Ciani, in corsodi Porta Venezia a Milano (purtropposmantellata nel 1928)10. Un apparato de-corativo imponente, pensato per rive-stire alcuni edifici preesistenti eimmaginato dal committente come unagrandiosa commemorazione dei princi-pali eventi che avevano condotto all’unità

d’Italia (fig. 1)11. Basti solo ricordare, a ti-tolo d’esempio, che nel timpano centralele figure della Francia e dell’Italia si strin-gono la mano e, alla stessa altezza, a de-stra e a sinistra compaiono molte scritteche riportano date e località delle più ce-lebri battaglie, mentre nei riquadri a ri-lievo del portale compaiono Cavour,Garibaldi e il re Vittorio Emanuele, oltrealle personificazioni delle città di Veneziae Roma, rattristate perché a loro non è an-cora concessa la gioia della riunificazione.

A mio parere, Casa Ciani rappresentaper la ditta Boni l’apice del successo inarea locale. Prima di tale realizzazione leopere realizzate dalla fabbrica Boni sonoperlopiù l’esito di incarichi provenienti dapossidenti o professionisti milanesi o pervarie ragioni connessi all’area pertinente

9 Esposizione delle opere di belle arti […] diBrera nell’anno 1863, pp. 101-102.

10 Esposizione delle opere di belle arti […] diBrera nell’anno 1863, pp. 103-104: «Decorazione inistile bizantino della casa Ciani, che prospetta incorso di Porta Venezia, compita in due riprese, nel1855 e nel 1862 sul disegno del signor ingegnerearchitetto Giacomo Bussi». Il barone Ciani era il

minore di tre fratelli di una rinomata famiglia di ban-chieri che si era arricchita in epoca napoleonica; idue maggiori risiedevano in esilio a Lugano a causadelle loro idee politiche.

11 Ringrazio per le immagini a corredo del testo:la famiglia Boni (Fig. 1), l’amministrazione provin-ciale di Como (Fig. 2) e Giovanni Dall’Orto (Figg. 3e 5).

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Fig. 1 - Facciata di Casa Ciani a Milano (1862).

al capoluogo lombardo. Invece, in se-guito, e sempre più spesso, le richiestearrivarono da altre regioni e pure dal-l’estero12.

I primi ad approfittare delle terrecotteBoni furono ovviamente i soci dell’im-presa. Come l’architetto di Casa Ciani,Giacomo Bussi, e il committente, il ba-rone appunto, che era anche il detentoredel maggior numero di quote. Ci sonopoi altri due casi in cui architetto e com-mittente sono entrambi soci: nel primo, sitratta di Alessandro Sidoli, ideatore di untempietto in stile bramantesco (1852) peril parco della villa di Francesco Turati aOrsenigo in provincia di Como (fig. 2);nel secondo, l’architetto è Giuseppe Pe-stagalli, autore della decorazione per lafacciata e il cortile di Casa Brambilla(1855), un tempo situata in piazza dellaScala e di proprietà dei banchieri Gio-vambattista e Piero Brambilla.

Al di fuori della città le località mag-

giormente citate nell’elenco delle opererealizzate fino al 1863 sono quelle prefe-rite per la villeggiatura dall’alta borghesiamilanese: il laghi e la Brianza. Un casoemblematico è la decorazione della fac-ciata della villa Frizzoni a Bellagio «consi-stente in un fregio a putti e festoni, inpinnacoli e vasi in terra bianca» su dise-gno di Rodolfo Vantini (1792-1856), postiin opera nel 1858 da Guseppe Pestagalli.E sempre in località turistica, a Cernob-bio, la chiesa di San Vincenzo a Cernob-bio riceve nel 1860 un insolito ornatobarocco in terracotta rossa per iniziativasempre di un committente milanese, il ca-nonico di Sant’Ambrogio Costantino Gia-norini.

Scorrendo l’elenco delle opere pre-cedenti al 1863, oltre ad osservare ilmodo con cui si diffondono in sensogeografico i prodotti della ditta Boni, èpossibile anche notare quanto ampia nesia l’applicazione in senso tipologico.Infatti i cotti si adattano non solo allecase in città o alle ville in campagna, maanche alle chiese (come si è appenavisto), ai monumenti funebri, ai teatri,agli arredi da farmacia e perfino alleserre. Va poi notato che i cotti furonoutilizzati in vario modo: certamente perdecorare edifici costruiti ex novo, mamolto più spesso per dotare di unanuova decorazione edifici preesistenti,o anche per completare o sostituire de-corazioni ammalorate di monumenti an-tichi.

Si possono inoltre riconoscere al-meno due maniere di decorare con leterrecotte, per esplicitare le quali se-gnalo le facciate del palazzo del conteAvogadro di Quinto a Vercelli (1863) e

12 Esposizione delle opere di belle arti […] di Breranell’anno 1863, p. 103: «Innumerevoli altri lavori vennero

spediti in tutte le provincie d’Italia, nel Triestino, in Dal-mazia, in Inghilterra, in Turchia, in Egitto e in America».

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Fig. 2 - Tempietto nel parco della Villa Turati aOrsenigo, provincia di Como (1852).

della casa del signor Cesare Fusoni aComo (1865). Nel primo caso, le deco-razioni in cotto di Palazzo Avogadro(fig. 3) si estendono a tal punto sullasuperficie da lasciare ben poco spazioagli intonaci, i quali, soprattutto se dicolore analogo a quello delle terrecotte,quasi scompaiono alla vista. Una resadel genere (è pure il caso di Casa Ciani)fu criticata perché tanta decorazione ecosì vistosa, si disse, è «ingrata alla vistaper troppo campeggiare della tintarossa della terra cotta senza alcun ri-poso all’occhio»13. La Casa Fusoni (fig.4) mostra invece una maniera più so-bria di ricorrere ai cotti, ai quali si as-segna il compito di contornare lefinestre e marcare i piani lasciando li-bere estese superfici a intonaco. Que-sta maniera di utilizzo aveva comeprototipo la già menzionata Casa Bram-billa, per la quale l’architetto GiuseppePestagalli fu elogiato essendosi avvalsodei cotti «con giusta parsimonia, alter-

nando la terra cotta colla pietra e coigiusti riposi d’altra tinta»14.

Una sorta di effetto estetico inter-medio tra i due predetti è quello che sipercepisce osservando la facciata volutanel 1864 da Alessandro Manzoni per lasua casa di Milano (fig. 5), in cui l’into-naco, pur ricoprendo estesi brani dellasuperficie della facciata, è caratterizzatoda una lavorazione a graffito che pro-duce un effetto di fusione tra graffiti ecotti. Un effetto analogo si apprezza os-servando la facciata della cappella se-polcrale del conte Vitaliano Borromeo(1863), situata sull’Isola Madre del lagoMaggiore: in tal caso la semplice deco-razione a riquadri della superficie ad in-tonaco dialoga armoniosamente con irilevi in cotto (fig. 6).

Raggruppando con criterio topogra-fico le circa 70 opere elencate nei cata-loghi di Brera è possibile osservare inquali regioni italiane e poi in quali statistranieri i cotti Boni conseguirono mag-

13 PARAVICINI 1885, p. 347. 14 PARAVICINI 1885, p. 347.

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Fig. 3 - Particolare della facciata del Palazzo Avo-gadro di Quinto a Vercelli (1863).

Fig. 4 - Particolare della facciata di Casa Fusonia Como (1865).

giore successo commerciale. Da taleclassificazione risulta subito evidenteche la diffusione maggiore, Lombardiaa parte, si ebbe in Piemonte e in EmiliaRomagna, mentre dal Veneto la dittanon ricevette alcun importante incarico.Le ragioni potrebbero essere semplice-mente politiche, dato che l’unione dellaLombardia al Piemonte dal 1859 e lapermanenza del Veneto sotto la domi-nazione austriaca fino al 1866 favori-rono in un caso i rapporti commercialie nell’altro li ostacolarono. Ma non vaneppure scartata l’ipotesi che in Venetoesistessero fabbriche concorrenti capacidi contrastare gli sforzi di penetrazionecommerciale della ditta Boni.

Tuttavia, mentre i cataloghi di Breranon nominano alcuna opera eseguita inVeneto, nel catalogo della ditta compareuna tavola di grande interesse raffigu-rante l’arredo interno della farmacia diGiacomo Accordi situata a Venezia inCampo San Fantin. Un allestimentoassai originale, eseguito nel 1860, in cuile terrecotte (rilievi e figure a tuttotondo) sono applicate o sorrette dallastruttura portante in legno. Tale farma-

cia precede e probabilmente funge daprototipo per analoghi arredi realizzatiper la farmacia Sandri a Milano (1863) ela farmacia Venzi a Bellinzona (1865).

In area piemontese le opere elen-cate nei cataloghi di Brera sono addirit-tura 15 e tra di esse spiccano quelledirette dall’architetto Edoardo ArborioMella (1808-1884), come i lavori di re-stauro del duomo della città di Alba (laditta Boni fornisce i cotti del rosonedella facciata) e i lavori di ristruttura-zione del castello d’Uviglie in Monfer-rato (la ditta fornisce materiali peralmeno un quinquennio). Inoltre, neglistessi anni un altro noto architetto, Giu-seppe Bollati (1819-1869), si avvale deicotti della ditta Boni per decorare a To-rino l’esterno e il cortile di Palazzo Ca-rignano, destinato ad ospitare laCamera dei deputati.

Queste prime analisi inducono a ri-tenere che per il successo della dittaBoni al di fuori della Lombardia fu de-cisivo l’apprezzamento dei professioni-sti, architetti e ingegneri, più che quellodei committenti. Si pensi anche al casodell’architetto Antonio Cipolla (1820-

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Fig. 5 - Particolare della facciata di Casa Manzonia Milano (1864).

Fig. 6 - Cappella funeraria di Vitaliano Borromeo,Isola Madre, Lago Maggiore (1863).

1874) che si avvale dei cotti Boni siaper la decorazione esterna della sedebolognese della Banca Nazionale cheper quella interna della sede fiorentinadello stesso istituto.

Un altro incontro felice fu quelloche si verificò con il bolognese Giu-seppe Mengoni (1829-1877), vincitoredel concorso per la realizzazione a Mi-lano della Galleria Vittorio Emanuele.Per decorare quello spazio l’architettoscelse infatti la fabbrica Boni, a cui ri-chiese di eseguire gli ornati su suo di-segno. Secondo i cataloghi di Brera, ilavori in galleria durarono almeno treanni, dal 1866 al 1868. E merita segna-lare che nel 1868 le decorazioni furonorealizzate non solo in terracotta maanche in «cemento idraulico». Inoltre,sempre su disegno di Mengoni, la dittaeseguì decori, ma in stucco, per l’in-terno del Caffè Gnocchi in galleria. Lacollaborazione proseguì tra i due pro-fessionisti anche negli anni successivisia a Milano che a Bologna, Mengoniperò richiese sempre più spesso allafabbrica Boni di fornire manufatti inaltri materiali: stucco, cemento e anchepietra, come nel caso dei lavori per larealizzazione della Cassa di Risparmiodi Bologna. Un segnale indubbio chel’interesse per la terracotta stava giàscemando, segnale confermato anchedalla decisione di dipingere i cotti dellaGalleria Vittorio Emanuele occultan-done il tipico colore con una tinta ocrache li spaccia per rilievi in altro mate-riale. Il rosso delle terrecotte è però rie-merso alla vista negli ultimi anni, acausa del deterioramento in più zonedel rivestimento pittorico (fig. 7). Cu-

riosamente, tra 1870 e il 1871, propriomentre il prestigio dei cotti comincia aincrinarsi, Andrea Boni non solo acqui-stò una cascina per trasferire lo stabili-mento in più ampi spazi, ma deciseanche di aprire al pubblico «nei sotter-ranei della Galleria Vittorio Emanueleuna esposizione permanente dei lavorieseguiti nella sua fabbrica, con botteganella galleria stessa al n. 56»15.

Per quanto riguarda i rapporti conl’estero, più volte nei cataloghi di Brerasi sottolinea che molto materiale fu in-viato in Inghilterra, Irlanda e America.Sembra di intendere che tale, più in-tensa relazione con il mondo anglosas-sone fosse dovuta alla partecipazionedella ditta alle frequenti esposizioniche si organizzavano in quegli anni. Lafabbrica Boni è infatti presente a NewYork (1853) e a Dublino (1865).

15 Esposizione delle opere di belle arti […] diBrera nell’anno 1870, pp. 69-70.

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Fig. 7 - Particolare della Galleria Vittorio Ema-nuele a Milano (1866).

Invece, nonostante la partecipazioneall’esposizione di Parigi del 1867, spiccanegli elenchi dei cataloghi l’assenza dirapporti commerciali con la Francia.

Va sottolineato che all’estero si invia-rono gruppi di elementi decorativi divario genere, ma raramente l’apparatodecorativo per un intero edificio. Si vedaad esempio il «camino e caminiera in-verniciati, imitanti la porcellana, con ungruppo per getto d’acqua, vasi, bustimensole, ecc. spediti a S. M. la Reginad’Inghilterra a Londra»; oppure la «com-missione di otto vasi inverniciati a guisadi quelli del Giappone, e di diversi bustidi putti, data dal signor Leopoldo Man-dler di Vienna»16. Fa eccezione l’Egitto. Èinfatti da quel paese che Andrea Boni ri-ceve gli incarichi più stimolanti e di si-curo più remunerativi. Il primo edificio aricevere una decorazione con i cottiBoni è, nel 1864, il Teatro Zizinia adAlessandria d’Egitto. Segue, nel 1869, unincarico analogo «pel nuovo teatro che

si sta erigendo al Cairo, e che dovràaprirsi in occasione dell’inaugurazionedel canale dell’istmo di Suez», nonché un«monumento alto metri 13 circa ad Ali-Mohamed vicerè d’Egitto» da collocarsiin una piazza a Suez17. Infine, sempre aSuez, arriva nel 1870 l’incarico per alcunipavimenti di un nuovo harem; e ciò fupossibile perché Andrea Boni aveva av-viato anche una fabbrica con nuovo me-todo di piastrelle in terra cotta perpavimenti intarsiati a vari disegni e tinte.

La ricerca sugli edifici elencati neicataloghi di Brera è ancora agli inizi.In molti casi le indicazioni fornite nonpermettono una rapida individuazione,sicché è difficile appurare quanti di taliapparati decorativi siano giunti fino aigiorni nostri. Tuttavia, la prima rico-gnizione, di cui ho dato conto in que-sto testo, già permette di apprezzare laconsistenza, lo spessore e anche la vi-talità della vicenda artistica dell’im-presa creata da Andrea

16 Esposizione delle opere di belle arti […] diBrera nell’anno 1871, p. 81.

17 Esposizione delle opere di belle arti […] diBrera nell’anno 1869, pp. 65-66.

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CATTANEO C., 1846, Del bello nelle artiornamen tali, in Alcuni scritti del dottor Carlo Cat taneo, Borroni e Scotti, Milano,pp. 104-114.

CORONA G., 1885, La Ceramica. Esposizioneindu striale italiana del 1881 in Milano.Relazioni dei giurati pubblicate per curadel Comitato Esecutivo, Hoepli, Milano.

Dell’industria delle terre cotte in Italia e se-gnatamente in Lombardia (con tavola), «Il Politecnico», 1865, XXIV, 105, pp. 282-297.

Esposizione delle opere di belle arti nelle galle-rie del palazzo nazionale di Brera

nell’anno 1863, Pirola, Milano 1863 e se-guenti.

PARAVICINI T. V., 1885, Palazzi ed abitazionicivili, in Milano tecnica dal 1859 al 1884, Hoepli, Milano, pp. 331-369.

VENTURELLI E., 2013a, Andrea Boni e la Casadel Manzoni. La rinascita ottocentesca delcotto ornamentale, Casa del Manzoni, Mi-lano.

VENTURELLI E., 2013b, Terrecotte a stampo perl’arredo della casa e del giardino, un pro-dotto di successo della fabbrica milanesedi Andrea Boni (1815-1874), «Faenza»,XCIX, 2, pp. 81-91.

BIBLIOGRAFIA